Language of document : ECLI:EU:C:2023:546

SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

6 luglio 2023 (*)

«Impugnazione – Ambiente – Convenzione di Aarhus – Regolamento (CE) n. 1367/2006 – Articolo 2, paragrafo 1, lettera f) – Nozione di “diritto ambientale” – Articolo 2, paragrafo 1, lettera g) – Nozione di “atto amministrativo” – Articolo 10, paragrafo 1 – Riesame interno di atti amministrativi – Delibera del consiglio di amministrazione della Banca europea per gli investimenti (BEI) che approva il finanziamento di un progetto di centrale elettrica a biomassa – Rigetto della richiesta di riesame interno di tale delibera in quanto irricevibile – Indipendenza della BEI nel settore delle sue operazioni finanziarie – Articolo 271, lettera c), TFUE – Portata»

Nelle cause riunite C‑212/21 P e C‑223/21 P,

aventi ad oggetto due impugnazioni, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposte il 2 aprile 2021,

Banca europea per gli investimenti (BEI), rappresentata da K. Carr, G. Faedo e T. Gilliams, in qualità di agenti, assistiti da J. Bouckaert e G. Schaiko, avocats,

ricorrente nella causa C‑212/21 P,

procedimento in cui le altre parti sono:

ClientEarth, con sede in Londra (Regno Unito), rappresentata da S. Abram, J. Flynn, KC, e H. Leith, barrister,

ricorrente in primo grado,

Commissione europea, rappresentata da F. Blanc e G. Gattinara, in qualità di agenti,

interveniente in primo grado,

e

Commissione europea, rappresentata da F. Blanc e G. Gattinara, in qualità di agenti,

ricorrente nella causa C‑223/21 P,

procedimento in cui le altre parti sono:

ClientEarth, con sede in Londra, rappresentata da S. Abram, J. Flynn, KC, e H. Leith, barrister,

ricorrente in primo grado,

Banca europea per gli investimenti (BEI), rappresentata da K. Carr, G. Faedo e T. Gilliams, in qualità di agenti, assistiti da J. Bouckaert e G. Schaiko, avocats,

resistente in primo grado,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta da K. Jürimäe, presidente di sezione, M. Safjan, N. Piçarra (relatore), N. Jääskinen e M. Gavalec, giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: R. Stefanova-Kamisheva, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 20 ottobre 2022,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 15 dicembre 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con le loro rispettive impugnazioni, la Banca europea per gli investimenti (BEI) (causa C‑212/21 P) e la Commissione europea (causa C‑223/21 P) chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 27 gennaio 2021, ClientEarth/BEI (T‑9/19; in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2021:42). Con tale sentenza, il Tribunale ha annullato la decisione della BEI, comunicata alla ClientEarth con lettera del 30 ottobre 2018, che aveva respinto, in quanto irricevibile, la richiesta di riesame interno della delibera del consiglio di amministrazione della BEI, del 12 aprile 2018, che approva il finanziamento di un progetto di centrale elettrica a biomassa in Galizia (Spagna) (in prosieguo: la «la decisione controversa»), presentata dalla ClientEarth il 9 agosto 2018, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1367/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 settembre 2006, sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (GU 2006, L 264, pag. 13), e della decisione 2008/50/CE della Commissione, del 13 dicembre 2007, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1367/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla convenzione di Aarhus con riguardo alle richieste di riesame interno degli atti amministrativi (GU 2008, L 13, pag. 24).

 Contesto normativo

 Diritto internazionale

2        L’articolo 2, paragrafo 2, della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus (Danimarca) il 25 giugno 1998 e approvata a nome della Comunità europea con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005 (GU 2005, L 124, pag. 1; in prosieguo: la «convenzione di Aarhus»), dispone che, ai fini della presente convenzione, si intende per:

«“autorità pubblica”:

(...)

d)      le istituzioni di qualsiasi organizzazione regionale di integrazione economica di cui all’articolo 17 che sia Parte della presente convenzione.

La presente definizione non comprende gli organi o le istituzioni che agiscono nell’esercizio del potere giudiziario o legislativo».

3        L’articolo 9 della convenzione di Aarhus, intitolato «Accesso alla giustizia», ai paragrafi 3 e 4, prevede che ciascuna parte di tale convezione debba provvedere affinché i membri del pubblico che soddisfino i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale possano promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale per impugnare gli atti o contestare le omissioni dei privati o delle pubbliche autorità compiuti in violazione del diritto ambientale nazionale, e che tali procedure devono offrire rimedi adeguati ed effettivi ed essere obiettive, eque, rapide e non eccessivamente onerose.

 Diritto dellUnione

4        I considerando 3, 7, 10, 11, 18 e 20 del regolamento n. 1367/2006 enunciano quanto segue:

«(3)      (...) È opportuno adeguare le norme di diritto [dell’Unione] alle disposizioni della convenzione [di Aarhus].

(...)

(7)      La convenzione di Aarhus detta una definizione molto ampia di “autorità pubblica”. L’idea di fondo è che ogniqualvolta viene esercitato il potere pubblico, gli individui e le loro organizzazioni dovrebbero godere di determinati diritti. È pertanto necessario che le istituzioni e gli organi [dell’Unione] soggetti alle disposizioni del presente regolamento siano definiti in modo altrettanto ampio e funzionale. In base alla convenzione di Aarhus, si possono escludere dall’ambito di applicazione della convenzione le istituzioni e gli organi [dell’Unione] che agiscono nell’esercizio del potere giudiziario o legislativo. (...)

(...)

(10)      Trattandosi di una disciplina in costante evoluzione, la definizione di diritto ambientale dovrebbe riferirsi agli obiettivi della politica [dell’Unione] sull’ambiente, quali figurano nel trattato.

(11)      È opportuno che gli atti amministrativi di portata individuale possano essere soggetti a ricorso interno qualora abbiano effetti esterni e giuridicamente vincolanti. (...) Dato che gli atti adottati dalle istituzioni o dagli organi [dell’Unione] nell’esercizio del potere giudiziario o legislativo possono essere esclusi, si dovrebbero egualmente escludere le procedure di inchiesta nelle quali le istituzioni o gli organi [dell’Unione] agiscano in qualità di organi di controllo amministrativo ai sensi delle disposizioni del trattato.

(...)

(18)      L’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus prevede l’accesso a procedure di ricorso di natura giurisdizionale e non avverso gli atti e le omissioni dei privati e delle pubbliche autorità che violano le norme di diritto ambientale. Le disposizioni sull’accesso alla giustizia dovrebbero essere compatibili con il trattato. In questo contesto, è opportuno che il presente regolamento si applichi esclusivamente agli atti e alle omissioni delle pubbliche autorità.

(...)

(20)      Le organizzazioni non governative attive nel campo della tutela dell’ambiente che soddisfino determinati criteri, in particolare finalizzati ad assicurare che siano organizzazioni indipendenti e affidabili che abbiano dimostrato che il loro obiettivo primario è promuovere la protezione dell’ambiente, dovrebbero essere legittimate a richiedere una revisione interna a livello [dell’Unione] di atti adottati nel quadro della legislazione ambientale o di omissioni da parte di un’istituzione o organo [dell’Unione] di deliberare in materia di legislazione ambientale nella prospettiva di un riesame da parte dell’istituzione o organo in questione».

5        L’articolo 1, paragrafo 1, di tale regolamento definisce il suo oggetto come segue:

«L’obiettivo del presente regolamento è quello di contribuire all’adempimento degli obblighi derivanti dalla [convenzione di Aarhus], stabilendo le regole per applicare le disposizioni [di tale] convenzione alle istituzioni e agli organi [dell’Unione], e a tal fine:

(...)

d)      prevede l’accesso alla giustizia in materia ambientale a livello comunitario alle condizioni stabilite dal presente regolamento».

6        Ai sensi dell’articolo 2 di detto regolamento:

«1.      Ai fini del presente regolamento, si intende per:

(...)

c)      “istituzioni o organi [dell’Unione]”: le istituzioni, gli organi, le agenzie o gli uffici pubblici istituiti dal trattato o sulla base del medesimo, salvo qualora agiscano nell’esercizio del potere giudiziario o legislativo (…)

(...)

f)      “diritto ambientale”: la normativa [dell’Unione] che, a prescindere dalla base giuridica, contribuisce al raggiungimento degli obiettivi della politica comunitaria in materia ambientale, stabiliti nel trattato (…)

g)      “atto amministrativo”: qualsiasi provvedimento di portata individuale nell’ambito del diritto ambientale adottato da un’istituzione o da un organo [dell’Unione] e avente effetti esterni e giuridicamente vincolanti;

(...)».

7        L’articolo 10 del medesimo regolamento, intitolato «Richiesta di riesame interno degli atti amministrativi», al paragrafo 1 prevede quanto segue:

«Qualsiasi organizzazione non governativa che soddisfa i criteri di cui all’articolo 11 può presentare una richiesta di riesame interno all’istituzione o all’organo [dell’Unione] che ha adottato un atto amministrativo ai sensi del diritto ambientale (...)».

8        L’articolo 12 del regolamento n. 1367/2006, intitolato «Ricorsi dinanzi alla Corte di giustizia», al paragrafo 1 così dispone:

«L’organizzazione non governativa che ha formulato la richiesta di riesame interno ai sensi dell’articolo 10 può proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia a norma delle pertinenti disposizioni del trattato».

 Fatti

9        I fatti all’origine della controversia, quali risultano dai punti da 37 a 62 della sentenza impugnata, possono essere riassunti come segue.

10      Con delibera del 12 aprile 2018, pubblicata sul sito Internet della BEI il 28 giugno 2018, il consiglio di amministrazione della BEI ha approvato la proposta di finanziamento del progetto di costruzione, nel comune di Curtis (Teixeiro), situato nella provincia di A Coruña, in Galizia (Spagna), di una centrale a biomassa di produzione di elettricità di una capacità di circa 50 megawatt elettrici, alimentata dai rifiuti forestali raccolti in un raggio di 100 km (in prosieguo: il «progetto Curtis»), sotto forma di prestito, che doveva essere concesso a un organismo ad hoc, per un importo massimo di EUR 60 milioni (in prosieguo: la «delibera del 12 aprile 2018»).

11      Con lettera del 13 aprile 2018 la BEI ha informato il promotore del progetto Curtis della delibera del 12 aprile 2018, affermando che l’approvazione preliminare del finanziamento di tale progetto non creava alcun obbligo a carico della BEI di concedere il prestito, ma consentiva a tale promotore di adottare le misure necessarie per formalizzare detto prestito.

12      Il 23 luglio 2018 i servizi della BEI hanno firmato un accordo interno sulle modalità del contratto di finanziamento del progetto Curtis. La documentazione ad esso relativa è stata firmata il 25 luglio 2018. Il primo esborso connesso al finanziamento della BEI è stato effettuato il 29 agosto 2018.

13      Il 9 agosto 2018 la ClientEarth, un’organizzazione non governativa dedita alla tutela dell’ambiente, ha presentato alla BEI, sulla base dell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006, una richiesta di riesame interno della delibera del 12 aprile 2018.

14      Con la decisione controversa, comunicata alla ClientEarth con lettera del 30 ottobre 2018 firmata dal segretario generale e dalla vicecapo del servizio giuridico della BEI, tale richiesta è stata respinta, in quanto irricevibile, con la motivazione che la delibera del 12 aprile 2018 non costituiva un «atto amministrativo», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006, e non poteva, pertanto, essere oggetto di un riesame interno condotto dalla BEI.

 Ricorso dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

15      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale l’8 gennaio 2019, la ClientEarth ha proposto un ricorso volto all’annullamento della decisione controversa, a sostegno del quale ha dedotto due motivi. Il primo verteva su errori di valutazione nell’applicazione di due condizioni che la delibera del 12 aprile 2018 doveva soddisfare per poter essere qualificata come «atto amministrativo», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006, vale a dire, da un lato, che l’atto sia adottato «nell’ambito del diritto ambientale» e, dall’altro, che tale atto produca «effetti esterni e giuridicamente vincolanti». Il secondo motivo verteva sulla violazione dell’obbligo di motivazione incombente alla BEI.

16      La BEI, sostenuta dalla Commissione, ha chiesto al Tribunale di respingere detto ricorso. In via preliminare, la BEI ha affermato che la richiesta di riesame interno della delibera del 12 aprile 2018 presentata dalla ClientEarth era incompatibile con l’indipendenza della BEI nel settore delle sue operazioni finanziarie e, pertanto, irricevibile.

17      Il Tribunale ha anzitutto respinto, in quanto irricevibile, ai punti da 86 a 92 della sentenza impugnata, tale motivo di difesa della BEI. Esso ha rilevato che nella decisione controversa si riteneva unicamente che la delibera del 12 aprile 2018 non fosse un «atto amministrativo», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006, per il motivo che essa non era stata adottata «nell’ambito del diritto ambientale» e non produceva «effetti esterni e giuridicamente vincolanti». Secondo il Tribunale, la BEI aveva menzionato, «solo nell’ambito dell’esame di questi due sottomotivi, e non di un motivo autonomo, (...) in modo vago e generico, il potere commerciale e politico discrezionale conferitole dai Trattati e dal suo statuto, nonché il suo ruolo istituzionale e il compito ad essa incombente in forza di detto statuto». Il Tribunale ha quindi dichiarato, al punto 91 di tale sentenza, che la valutazione dell’asserita incompatibilità della richiesta di riesame interno della delibera del 12 aprile 2018 con l’indipendenza della BEI nel settore delle sue operazioni finanziarie equivarrebbe a sostituire la propria motivazione a quella adottata dalla BEI a sostegno della decisione controversa.

18      Inoltre, il Tribunale ha rinviato al punto 92 della sentenza impugnata per respingere, in quanto irricevibile, al punto 151 di tale sentenza, un’argomentazione vertente sulla circostanza che, alla luce dell’articolo 271, lettera c), TFUE e dell’indipendenza della BEI nel settore delle sue operazioni finanziarie, la delibera del 12 aprile 2018 non poteva essere qualificata come «atto amministrativo», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006.

19      Successivamente, ai punti da 102 a 104 della sentenza impugnata, il Tribunale ha esaminato il secondo motivo dedotto dalla ClientEarth a sostegno del suo ricorso e ha dichiarato che la decisione controversa consentiva a quest’ultima di comprendere i motivi per i quali la BEI aveva respinto, in quanto irricevibile, la sua richiesta di riesame interno della delibera del 12 aprile 2018, nonché di contestare la fondatezza di tali motivi. Poiché detta decisione consentiva anche al Tribunale di esercitare il suo controllo giurisdizionale, esso ha quindi respinto il secondo motivo di ricorso in quanto infondato.

20      Infine, per quanto riguarda il primo motivo dedotto dalla ClientEarth a sostegno del suo ricorso – esaminato dal Tribunale per ultimo – dal punto 107 della sentenza impugnata risulta che tale organo giurisdizionale ha rilevato, in via preliminare, che le due condizioni di cui al punto 15 della presente sentenza e figuranti all’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006 dovevano essere interpretate, per quanto possibile, «alla luce dell’articolo 9, paragrafi 3 e 4, della convenzione di Aarhus (...) e, pertanto, alla luce del requisito consistente nel garantire un accesso effettivo della [ClientEarth] alla giustizia».

21      Per quanto riguarda, in primo luogo, la seconda parte di tale motivo, vertente sull’erronea applicazione della condizione relativa all’adozione dell’atto «nell’ambito del diritto ambientale», il Tribunale ha ricordato, al punto 118 della sentenza impugnata, che il legislatore dell’Unione europea ha inteso attribuire alla nozione di «diritto ambientale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1367/2006, un «significato ampio, che non si limita a questioni connesse alla protezione dell’ambiente naturale in senso stretto».

22      Al punto 121 della sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto che il riferimento alla «normativa [dell’Unione]», figurante in tale articolo 2, paragrafo 1, lettera f), doveva essere inteso nel senso che esso riguarda «qualsiasi disposizione di diritto derivato dell’Unione avente portata generale», a differenza di un «atto amministrativo», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), di tale regolamento. A tal riguardo, il Tribunale ha rilevato che, poiché, alla data di adozione di detto regolamento, la distinzione tra gli atti normativi, adottati in forza della procedura legislativa ordinaria o speciale, e gli atti regolamentari, adottati secondo un’altra procedura, non era stabilita a livello dei Trattati dell’Unione, la nozione di «normativa», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), di detto regolamento, non può essere interpretata nel senso che essa escluderebbe di prendere in considerazione, in quanto «diritto ambientale», le disposizioni di un «atto regolamentare» adottato in tale settore.

23      Ai punti da 122 a 124 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che occorreva assimilare a disposizioni legislative di «diritto ambientale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), le norme di portata generale che disciplinano l’attività della BEI in materia di concessione di prestiti ai fini della realizzazione degli obiettivi del Trattato FUE nel settore ambientale, in particolare quelle che derivano, da un lato, dalla dichiarazione dei principi e delle norme in materia sociale e ambientale, approvata dal consiglio di amministrazione della BEI il 3 febbraio 2009 (in prosieguo: la «dichiarazione del 2009»), e, dall’altro, dalla strategia in materia di azione per il clima, intesa a mobilizzare finanziamenti a sostegno della transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio e in grado di resistere ai cambiamenti climatici, adottata dalla BEI il 22 settembre 2015 (in prosieguo: la «strategia per il clima»).

24      Al punto 126 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che la nozione di «atto amministrativo», di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006, doveva essere interpretata nel senso che comprende «tutte le misure di portata individuale soggette a requisiti di diritto derivato dell’Unione che, a prescindere dal loro fondamento giuridico, contribuiscano direttamente al perseguimento degli obiettivi di politica dell’Unione nel settore dell’ambiente».

25      Ai punti da 138 a 140 della sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto che la delibera del 12 aprile 2018 – nella parte in cui affermava che il progetto Curtis rispondeva agli obiettivi dell’attività di prestito della BEI e ai criteri di natura ambientale relativi all’ammissibilità dei progetti a un finanziamento da parte di tale organismo, stabiliti dalla dichiarazione del 2009 e dalla strategia per il clima – fosse un provvedimento di portata individuale adottato «nell’ambito del diritto ambientale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), di tale regolamento. Esso ha quindi accolto la seconda parte del primo motivo di tale ricorso.

26      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la prima parte del primo motivo di ricorso, vertente sull’erronea applicazione della condizione che l’atto produca «effetti esterni e giuridicamente vincolanti», il Tribunale ha constatato, ai punti da 167 a 170 della sentenza impugnata, che la delibera del 12 aprile 2018 esprimeva una presa di posizione definitiva del consiglio di amministrazione della BEI in merito all’ammissibilità del progetto Curtis a un finanziamento, da parte di tale organo, per quanto riguarda i suoi aspetti ambientali e sociali, di modo che «la successiva decisione del comitato direttivo di concedere il prestito, dopo aver proseguito la valutazione del progetto Curtis sugli altri aspetti ancora da esaminare, poteva tutt’al più essere considerata solo come una decisione di mera esecuzione».

27      Dopo aver constatato che la richiesta di riesame interno presentata dalla ClientEarth si riferiva, «almeno parzialmente, agli effetti giuridici definitivi prodotti nei confronti dei terzi dalla delibera [del 12 aprile 2018]», il Tribunale, ai punti 171 e 172 della sentenza impugnata, ha accolto la prima parte del primo motivo di ricorso e ha quindi annullato la decisione controversa.

 Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

28      Con la sua impugnazione nella causa C‑212/21 P, la BEI chiede che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata;

–        respingere il ricorso in primo grado, e

–        condannare la ClientEarth alle spese del giudizio di primo grado e del procedimento di impugnazione.

29      Con la sua impugnazione nella causa C‑223/21 P, la Commissione chiede che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata;

–        respingere il ricorso in primo grado in quanto infondato, e

–        condannare la ClientEarth alle spese.

30      Nella sua comparsa di risposta nei due ricorsi, la ClientEarth chiede che la Corte voglia:

–        respingere tali impugnazioni e

–        condannare la Commissione e la BEI alle spese.

31      Con decisione del presidente della Corte del 30 aprile 2021, le cause C‑212/21 P e C‑223/21 P sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento, nonché della sentenza.

 Sulle impugnazioni

32      A sostegno delle loro rispettive impugnazioni, la Commissione e la BEI deducono, ciascuna, tre motivi con i quali esse addebitano al Tribunale di aver commesso errori di diritto nella valutazione dell’indipendenza funzionale invocata dalla BEI nel settore delle sue operazioni finanziarie nonché nell’interpretazione e applicazione della convenzione di Aarhus e della nozione di «atto amministrativo», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006.

 Sul primo motivo di impugnazione e sulla seconda parte del secondo motivo di impugnazione nella causa C212/21 P nonché sul terzo motivo di impugnazione nella causa C223/21 P, vertenti su errori di diritto nella valutazione dellindipendenza della BEI nel settore delle sue operazioni finanziarie

 Argomenti delle parti

33      La BEI, con il primo motivo di impugnazione e la seconda parte del secondo motivo di impugnazione nella causa C‑212/21 P, e la Commissione, con il terzo motivo di impugnazione nella causa C‑223/21 P, addebitano al Tribunale di essere incorso, in particolare ai punti da 89 a 92 e 151 della sentenza impugnata, in un errore di diritto nell’aver respinto in quanto irricevibile il motivo di difesa vertente sull’indipendenza della BEI nel settore delle sue operazioni finanziarie. A loro avviso, il Tribunale ha erroneamente dichiarato che la decisione controversa non si era basata su tale indipendenza «nell’ambito di un motivo autonomo» per respingere in quanto irricevibile la richiesta di riesame interno della delibera del 12 aprile 2018. In ogni caso, secondo la BEI, la questione se la richiesta di riesame interno di tale delibera pregiudicasse detta indipendenza, dal momento che quest’ultima deriva dal diritto primario dell’Unione, era di ordine pubblico e il Tribunale avrebbe dovuto esaminarla d’ufficio.

34      A questo proposito, la BEI addebita, in primo luogo, al Tribunale di aver snaturato, al punto 90 della sentenza impugnata, in modo manifesto, il contenuto della decisione controversa, in quanto l’argomento fondato sull’indipendenza della BEI nel settore delle sue operazioni finanziarie sarebbe stato esplicitamente menzionato nella motivazione di tale decisione. Contrariamente alla costatazione operata al punto 91 della suddetta sentenza, l’esame di tale argomento non avrebbe quindi indotto il Tribunale a sostituire il proprio ragionamento a quello della BEI, né ad uno «squilibrio tra le parti», ai sensi della sentenza dell’11 giugno 2020 nella causa Commissione/Di Bernardo (C‑114/19 P, EU:C:2020:457, punto 59), essendo la ClientEarth un’organizzazione esperta che conosce il diritto dell’Unione.

35      In secondo luogo, la BEI e la Commissione sostengono che una richiesta di riesame interno delle deliberazioni del consiglio di amministrazione della BEI, presentata ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006, pregiudicherebbe l’indipendenza di cui godrebbe tale organo sui mercati finanziari, la quale sarebbe indispensabile all’adempimento della missione di interesse generale affidatale dall’articolo 309 TFUE. Una siffatta richiesta potrebbe altresì nuocere alla reputazione e alla credibilità della BEI su tali mercati. Infatti, durante il periodo nel corso del quale tale richiesta potrebbe essere presentata nonché per tutta la durata di tale riesame e degli eventuali procedimenti giudiziari successivi, la BEI si troverebbe nell’impossibilità pratica di negoziare e di firmare la documentazione contrattuale relativa al finanziamento dei progetti già approvati dal suo consiglio di amministrazione. L’incertezza che ne deriva sarebbe aumentata a causa del numero imprevedibile di richieste di riesame interno che possono essere presentate.

36      Il Tribunale avrebbe dovuto esaminare d’ufficio la ricevibilità della richiesta di riesame interno della delibera del 12 aprile 2018, presentata ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006, alla luce dell’articolo 15, paragrafo 3, dell’articolo 271, lettera c), e degli articoli 308 e 309 TFUE, nonché delle disposizioni pertinenti dello statuto della BEI. Inoltre, il Tribunale avrebbe dovuto fondarsi d’ufficio sull’articolo 271, lettera c), TFUE al fine di respingere il ricorso proposto dalla ClientEarth, atteso che questa disposizione, in combinato disposto con l’articolo 19 dello Statuto della BEI, esclude le delibere del consiglio di amministrazione di tale organo da qualsiasi forma di controllo giurisdizionale nel merito.

37      In tale contesto, sia la BEI che la Commissione sottolineano, da un lato, che il riesame interno di un atto amministrativo, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006, è indissociabile dal ricorso giurisdizionale di cui all’articolo 12 di tale regolamento e, dall’altro, che l’articolo 271, lettera c), TFUE è una delle «pertinenti disposizioni del trattato» che, ai sensi di tale articolo 12, devono essere prese in considerazione per valutare la capacità di stare in giudizio riconosciuta da quest’ultima disposizione alle organizzazioni non governative per la tutela dell’ambiente. Orbene, tale articolo 271, lettera c), sarebbe violato se una delibera del consiglio di amministrazione della BEI oggetto di una richiesta di riesame interno fosse oggetto di un ricorso proposto sulla base dell’articolo 12 del regolamento n. 1367/2006, in considerazione delle preoccupazioni ambientali sollevate dall’organizzazione non governativa che ha presentato tale richiesta.

38      La ClientEarth contesta la fondatezza dell’insieme di tali argomenti.

 Giudizio della Corte

39      Nella loro argomentazione, la BEI e la Commissione addebitano al Tribunale di essere incorso, ai punti da 89 a 92 e 151 della sentenza impugnata, in un errore di diritto nell’aver respinto in quanto irricevibile l’argomento vertente su un pregiudizio all’indipendenza della BEI nel settore delle sue operazioni finanziarie, garantita dal diritto primario dell’Unione, in quanto tale argomento non sarebbe stato addotto come motivo autonomo della decisione controversa. Orbene, detto argomento avrebbe dovuto, in ogni caso, essere esaminato come questione di ordine pubblico idonea a comportare il rigetto del ricorso proposto dalla ClientEarth.

40      Per quanto riguarda, in primo luogo, l’asserito manifesto snaturamento del contenuto della decisione controversa, operato ai punti da 89 a 91 della sentenza impugnata, quanto all’indipendenza della BEI nel settore delle sue operazioni finanziarie, dai commi quarto, quinto e settimo di tale decisione risulta che la richiesta di riesame interno della delibera del 12 aprile 2018 è stata respinta in quanto irricevibile per il motivo che tale delibera non era un «atto amministrativo», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006, non essendo stata adottata «nell’ambito del diritto ambientale» e non avendo prodotto «effetti esterni e giuridicamente vincolanti», e non per il motivo che tale richiesta di riesame interno pregiudicasse l’indipendenza della BEI nel settore delle sue operazioni finanziarie.

41      Infatti, nella decisione controversa si afferma, al suo sesto comma, che «ogni decisione della BEI di sostenere o meno un progetto potenzialmente ammissibile, e, se del caso, la forma di tale sostegno, rientra nel potere discrezionale commerciale e politico riconosciuto alla [BEI] dai Trattati e dallo statuto» e, al suo ottavo comma, che l’interpretazione della nozione di «diritto ambientale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), di detto regolamento, sostenuta dalla ClientEarth, «non sarebbe più compatibile né con il ruolo istituzionale della BEI né con il compito ad essa conferito conformemente al suo (s)tatuto».

42      Il Tribunale ha così potuto dichiarare senza commettere errori di diritto, ai punti 89 e 90 della sentenza impugnata, che, nella decisione controversa, la BEI ha menzionato solo «in modo vago e generico, il potere commerciale e politico discrezionale conferitole dai Trattati e dal suo statuto, nonché il suo ruolo istituzionale e il compito ad essa incombente in forza di detto statuto», non come motivo autonomo di irricevibilità della richiesta di riesame interno della delibera del 12 aprile 2018, ma unicamente nell’ambito dell’esame dei due sottomotivi richiamati al punto 40 della presente sentenza. In tale contesto, non si può addebitare al Tribunale di aver snaturato in modo manifesto il contenuto della detta decisione.

43      A tal proposito, occorre aggiungere che il giudice dell’Unione non è tenuto a prendere in considerazione spiegazioni supplementari fornite solo nel corso del procedimento dall’autore dell’atto in questione al fine di valutare l’osservanza dell’obbligo di motivazione, altrimenti la ripartizione delle competenze tra l’amministrazione e il giudice dell’Unione sarebbe pregiudicata e il controllo di legittimità dei provvedimenti amministrativi sarebbe indebolito (v., in tal senso, sentenza dell’11 giugno 2020, Commissione/Di Bernardo, C‑114/19 P, EU:C:2020:457, punto 58).

44      Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’obbligo per il Tribunale di esaminare d’ufficio l’asserita violazione, da parte della richiesta di riesame interno della delibera del 12 aprile 2018, dell’indipendenza della BEI nel settore delle sue operazioni finanziarie, che tale organo fonda in particolare sull’articolo 15, paragrafo 3, sull’articolo 271, lettera c), sugli articoli 308 e 309 TFUE nonché su talune disposizioni dello statuto della BEI, occorre rilevare anzitutto che un’asserita violazione del diritto primario dell’Unione non è sufficiente per far sorgere un obbligo di esame d’ufficio da parte del giudice dell’Unione.

45      Infatti, sebbene taluni motivi possano, o anche debbano, essere rilevati d’ufficio, quali un difetto o un’insufficienza di motivazione della decisione di cui trattasi, un motivo vertente sulla legittimità sostanziale della predetta decisione, riconducibile alla violazione dei Trattati o di qualsiasi norma di diritto relativa alla loro applicazione, ai sensi dell’articolo 263 TFUE, può invece essere esaminato dal giudice dell’Unione solo se è dedotto dal ricorrente (v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2017, Commissione/Italia, C‑467/15 P, EU:C:2017:799, punti 14 e 15 nonché giurisprudenza ivi citata).

46      È dunque senza commettere errori di diritto che il Tribunale si è astenuto dall’esaminare nel merito l’argomento della BEI vertente su un pregiudizio alla sua indipendenza nel settore delle sue operazioni finanziarie, che deriverebbe dall’articolo 15, paragrafo 3, dagli articoli 308 e 309 TFUE nonché da talune disposizioni dello statuto della BEI.

47      Tuttavia, l’invocazione da parte della BEI della salvaguardia della sua indipendenza nel settore delle sue operazioni finanziarie, in relazione con l’articolo 271, lettera c), TFUE, come traspare al punto 110 del controricorso da essa depositato dinanzi al Tribunale, poteva essere intesa come una messa in discussione della competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea a controllare, sia pure indirettamente, una delibera del consiglio di amministrazione della BEI, in occasione di un ricorso di annullamento diretto contro il rifiuto della BEI di procedere al riesame interno di tale delibera. Inoltre, la BEI, sostenuta su tale punto dalla Commissione, ha affermato, in particolare all’udienza tenutasi dinanzi alla Corte, che esiste un nesso indissolubile tra il diritto di presentare una domanda di riesame interno di una delibera del consiglio di amministrazione della BEI e il diritto di proporre un ricorso di annullamento contro la decisione adottata dalla BEI in esito a tale riesame. Pertanto, la salvaguardia dell’indipendenza della BEI imporrebbe, a loro avviso, di privare le organizzazioni non governative per la tutela dell’ambiente, quali la ClientEarth, tanto del diritto di chiedere il riesame interno di una siffatta delibera quanto del diritto di proporre un ricorso di annullamento contro un’eventuale decisione di rigetto.

48      In tale contesto, spettava al Tribunale verificare, d’ufficio, la competenza del giudice dell’Unione a pronunciarsi su un ricorso di annullamento diretto contro una decisione che statuisce su una richiesta di riesame interno di una delibera del consiglio di amministrazione della BEI. Infatti, quando la questione della competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea a conoscere di una controversia è di ordine pubblico, tale questione può essere esaminata in qualsiasi momento dalla Corte, anche d’ufficio (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2020, Bank Refah Kargaran/Consiglio, C‑134/19 P, EU:C:2020:793, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

49      Conformemente all’articolo 271, lettera c), TFUE, i ricorsi avverso tali deliberazioni del consiglio di amministrazione della BEI possono essere proposti, alle condizioni fissate dall’articolo 263, TFUE, «soltanto dagli Stati membri o dalla Commissione e unicamente per violazione delle norme di cui all’articolo 19, paragrafo 2 e paragrafi da 5 a 7 inclusi, dello statuto della [BEI]».

50      Dalla formulazione stessa dell’articolo 271, lettera c), TFUE emerge che tale disposizione subordina la possibilità di proporre un ricorso di annullamento contro delibere del consiglio di amministrazione della BEI a condizioni più rigorose rispetto a quelle imposte dall’articolo 263 TFUE. L’articolo 271, lettera c), TFUE implica, quindi, una limitazione alla competenza generale che questo trattato conferisce alla Corte di giustizia dell’Unione europea per il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione e deve essere, pertanto, interpretato restrittivamente (v., per analogia, sentenza del 3 giugno 2021, Ungheria/Parlamento, C‑650/18, EU:C:2021:426, punto 31). Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 63 e 64 delle sue conclusioni, tale limitazione riguarda, da un lato, la cerchia dei potenziali richiedenti e, dall’altro, i poteri di controllo del merito del giudice dell’Unione.

51      Ne consegue che l’articolo 271, lettera c), TFUE non disciplina direttamente l’ipotesi di un ricorso, proposto ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006, avverso una decisione della BEI che statuisce su una richiesta di riesame interno di una delibera del suo consiglio di amministrazione. Resta il fatto che l’articolo 271, lettera c), TFUE costituisce una disposizione pertinente del Trattato, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006, che deve essere presa in considerazione per determinare la possibilità di adire il giudice dell’Unione.

52      Orbene, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 68 delle sue conclusioni, l’articolo 271, lettera c), TFUE sarebbe privato della sua efficacia pratica se, nell’ambito di un ricorso contro una decisione della BEI che si pronuncia su una richiesta di riesame interno di una delibera del suo consiglio di amministrazione, il giudice dell’Unione procedesse, indirettamente, al controllo della fondatezza di tale delibera.

53      Per contro, tenuto conto del punto 50 della presente sentenza e contrariamente alle affermazioni della BEI e della Commissione, l’articolo 271, lettera c), TFUE non osta, in via di principio, a che un’organizzazione non governativa chieda, conformemente all’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006, il riesame interno di una delibera del consiglio di amministrazione della BEI né a che il giudice dell’Unione sia investito, sulla base dell’articolo 12, paragrafo 1, di tale regolamento, di un ricorso di annullamento avverso una decisione che dichiara irricevibile una richiesta di riesame interno di una delibera del consiglio di amministrazione della BEI.

54      Infatti, in quest’ultima ipotesi, il ricorso mira a far esaminare, dal giudice dell’Unione, non già la legittimità o la fondatezza di una delibera del consiglio di amministrazione della BEI, ma unicamente se la BEI fosse legittimata a respingere in quanto irricevibile una richiesta di riesame interno di una siffatta delibera. Come rilevato dall’avvocato generale, al paragrafo 73 delle sue conclusioni, l’unica conseguenza dell’eventuale accoglimento di un siffatto ricorso sarebbe quella di indurre la BEI a procedere essa stessa a un riesame interno della suddetta delibera.

55      Nel caso di specie, il ricorso proposto dalla ClientEarth dinanzi al Tribunale aveva ad oggetto l’annullamento della decisione controversa, fondata sul combinato disposto dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), e dell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006, comunicata alla ClientEarth con lettera del 30 ottobre 2018, firmata dal segretario generale e dalla vicecapo del servizio giuridico della BEI, con la quale la richiesta di riesame interno della delibera del 12 aprile 2018 è stata respinta in quanto irricevibile.

56      Poiché tale ricorso, proposto ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006, aveva ad oggetto l’annullamento della decisione controversa, sul fondamento dell’asserita qualificazione giuridica erronea, da parte della BEI, della delibera del 12 aprile 2018 alla luce dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), di tale regolamento, nell’ambito della sua valutazione della ricevibilità della richiesta di riesame interno di tale delibera, e non la fondatezza di detta delibera, l’articolo 271, lettera c), TFUE non può ostare alla proposizione di un siffatto ricorso.

57      È quindi senza incorrere in errori di diritto che il Tribunale si è ritenuto competente a conoscere del ricorso proposto dalla ClientEarth avverso la decisione controversa. In tale contesto, la circostanza che esso non abbia esaminato esplicitamente gli argomenti vertenti sull’articolo 271, lettera c), TFUE non è idonea a giustificare l’annullamento della sentenza impugnata.

58      Alla luce dei motivi che precedono, occorre respingere in quanto infondati il primo motivo di impugnazione e la seconda parte del secondo motivo di impugnazione della BEI nella causa C‑212/21 P, nonché il terzo motivo di impugnazione della Commissione nella causa C‑223/21 P.

 Sulla terza parte del terzo motivo di impugnazione e sulla prima parte del secondo motivo di impugnazione nella causa C212/21 P, nonché sul primo motivo di impugnazione nella causa C223/21 P, vertenti su errori di diritto nellinterpretazione e applicazione della convenzione di Aarhus

 Argomenti delle parti

59      La BEI, con la terza parte del terzo motivo di impugnazione nella causa C‑212/21 P, e la Commissione, con la prima parte del primo motivo di impugnazione nella causa C‑223/21 P, addebitano al Tribunale di aver erroneamente ritenuto, ai punti 107, 125 e 126 della sentenza impugnata, che le condizioni enunciate all’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006 dovessero essere interpretate alla luce dell’articolo 9 della convenzione di Aarhus.

60      In primo luogo, la giurisprudenza della Corte, in particolare le sentenze del 13 gennaio 2015, Consiglio e Commissione/Stichting Natuur en Milieu e Pesticide Action Network Europe (C‑404/12 P e C‑405/12 P, EU:C:2015:5), e del 3 settembre 2020, Mellifera/Commissione (C‑784/18 P, non pubblicata, EU:C:2020:630), escluderebbe l’obbligo di interpretare il regolamento n. 1367/2006 conformemente alle disposizioni di tale convenzione.

61      In secondo luogo, dal punto 40 della sentenza del 16 luglio 2015, ClientEarth/Commissione (C‑612/13 P, EU:C:2015:486), risulterebbe che, poiché la Convenzione di Aarhus sarebbe stata concepita prendendo in considerazione gli ordinamenti giuridici nazionali, e non le specificità giuridiche delle organizzazioni regionali d’integrazione economica, quali l’Unione, non potrebbe essere stabilita alcuna analogia tra l’attuazione di tale Convenzione da parte degli Stati membri e l’attuazione di quest’ultima a livello dell’Unione. Il Tribunale non avrebbe quindi potuto basarsi, al punto 107 della sentenza impugnata, su «motivi analoghi», del resto non esplicitati, per interpretare l’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006 alla luce dell’articolo 9, paragrafi 3 e 4, di tale convenzione.

62      In terzo luogo, il Tribunale si sarebbe erroneamente basato, ai punti 125 e 126 della sentenza impugnata, sul principio di interpretazione conforme alla convenzione di Aarhus per valutare se la delibera del 12 aprile 2018 costituisse un «provvedimento di portata individuale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006, mentre tale nozione dovrebbe essere interpretata unicamente sulla base dei criteri derivanti dagli articoli 263 e 288 TFUE. A tal proposito, dal punto 25 della sentenza del 3 dicembre 2020 Région de Bruxelles-Capitale/Commissione, (C‑352/19 P, EU:C:2020:978), risulterebbe che la Convenzione di Aarhus non può dettare l’interpretazione del diritto primario dell’Unione.

63      Con la prima parte del secondo motivo di impugnazione nella causa C‑212/21 P e con la seconda parte del primo motivo di impugnazione nella causa C‑223/21 P, la BEI e la Commissione, rispettivamente, addebitano al Tribunale di essere incorso, per giunta, in un errore di diritto, al punto 107 della sentenza impugnata, nell’interpretazione degli articoli 2 e 9 della convenzione di Aarhus. Infatti, adottando la delibera del 12 aprile 2018, il consiglio di amministrazione della BEI non avrebbe agito come «autorità pubblica», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, di tale convenzione, sicché l’articolo 9, paragrafo 3, di quest’ultima non sarebbe applicabile. Al contrario, l’adozione di tale delibera rientrerebbe nell’attività finanziaria della BEI in quanto banca.

64      La ClientEarth contesta la fondatezza dell’insieme di tali argomenti.

 Giudizio della Corte

65      Con la loro argomentazione, la BEI e la Commissione sostengono che il Tribunale è incorso, ai punti 107, 125 e 126 della sentenza impugnata, in vari errori di diritto nell’interpretazione e applicazione della convenzione di Aarhus.

66      Al riguardo, in primo luogo, occorre ricordare che le norme di diritto dell’Unione devono essere interpretate per quanto possibile alla luce del diritto internazionale, in particolare quando tali norme mirano ad eseguire un accordo internazionale concluso dall’Unione (v., in tal senso, sentenze del 14 luglio 1998, Safety Hi-Tech, C‑284/95, EU:C:1998:352, punto 22, nonché del 19 dicembre 2019, Nederlands Uitgeversverbond e Groep Algemene Uitgevers, C‑263/18, EU:C:2019:1111, punto 38).

67      È quanto avviene nel caso del regolamento n. 1367/2006 che è inteso ad attuare, per quanto riguarda le istituzioni dell’Unione, le disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aahrus (v., in tal senso, sentenza dell’8 marzo 2011, Lesoochranárske zoskupenie, C‑240/09, EU:C:2011:125, punto 41).

68      Se è vero che tale articolo 9, paragrafo 3, non può essere invocato per valutare la legittimità dell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006 (v., in tal senso, sentenze del 13 gennaio 2015, Consiglio e a./Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht, da C‑401/12 P a C‑403/12 P, EU:C:2015:4, punto 61, nonché del 13 gennaio 2015, Consiglio e Commissione/Stichting Natuur en Milieu e Pesticide Action Network Europe, C‑404/12 P e C‑405/12 P, EU:C:2015:5, punto 53), una siffatta constatazione non osta a che le disposizioni di tale regolamento siano, conformemente alla giurisprudenza menzionata al punto 66 della presente sentenza, interpretate, per quanto possibile, alla luce della convenzione di Aarhus (v., in tal senso, sentenza del 3 settembre 2020, Mellifera/Commissione, C‑784/18 P, non pubblicata, EU:C:2020:630, punto 77).

69      Infatti, una siffatta interpretazione costituisce un mezzo essenziale per garantire, conformemente alla volontà del legislatore dell’Unione espressa al considerando 3 di detto regolamento, che le disposizioni del diritto dell’Unione restino compatibili con quelle di tale convenzione.

70      Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’argomento della BEI e della Commissione secondo cui, adottando la delibera del 12 aprile 2018, il consiglio di amministrazione della BEI non ha agito in qualità di «autorità pubblica», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, della Convenzione di Aarhus, occorre ricordare, da un lato, che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), di tale Convenzione, le istituzioni di qualsiasi organizzazione regionale di integrazione economica che, al pari dell’Unione, sia Parte di tale convenzione devono essere considerate autorità pubbliche ai fini di tale convezione, salvo qualora agiscano nell’esercizio del potere giudiziario o legislativo.

71      Dall’altro lato, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1367/2006, nella nozione di «istituzioni o organi [dell’Unione]», ai quali tale regolamento si applica conformemente al suo articolo 1, rientrano «le istituzioni, gli organi, le agenzie o gli uffici pubblici istituiti dal trattato o sulla base del medesimo, salvo qualora agiscano nell’esercizio del potere giudiziario o legislativo». Al riguardo, il considerando 7 di detto regolamento precisa che tale nozione è definita «in modo (…) ampio e funzionale», a causa del «modo ampio» con cui la convenzione di Aarhus definisce le autorità pubbliche alle quali essa si applica, al fine di garantire diritti alle persone e alle loro organizzazioni dal momento in cui viene esercitata il potere pubblico. Inoltre, il considerando 11 del medesimo regolamento enuncia che dovrebbero essere parimenti escluse «le procedure di inchiesta nelle quali le istituzioni o gli organi [dell’Unione] agiscano in qualità di organi di controllo amministrativo ai sensi delle disposizioni del trattato».

72      Ne consegue che l’azione delle «istituzioni o organi [dell’Unione]» può essere esclusa dall’ambito di applicazione del regolamento n. 1367/2006 e della convenzione di Aarhus solo qualora tali istituzioni e organi esercitino poteri giudiziari o legislativi o agiscano in qualità di organi di controllo amministrativo ai sensi delle disposizioni del trattato.

73      Orbene, ciò non avviene nel caso di specie. Infatti, la delibera del 12 aprile 2018 recante approvazione della proposta di finanziamento del progetto Curtis, sulla base dell’articolo 9, paragrafo 1, e dell’articolo 19, paragrafo 3, dello statuto della BEI, non risulta dall’esercizio di poteri giudiziari o legislativi da parte del consiglio di amministrazione della BEI, la quale non ha neppure agito in qualità di «organ[o] di controllo amministrativo ai sensi delle disposizioni del trattato», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1367/2006, letto alla luce del suo considerando 11.

74      Pertanto, come evidenziato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi da 92 a 94 delle sue conclusioni, la BEI esercita competenze di duplice natura, nell’ambito di un finanziamento organizzato contrattualmente. Infatti, in tale occasione, essa agisce indubbiamente come partner privato del beneficiario, ma svolge anche funzioni di interesse generale. Pertanto, l’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), di tale regolamento nel senso che, quando la BEI esercita la sua attività di finanziamento, essa deve essere qualificata come «organo [dell’Unione]», garantisce che tale regolamento sia attuato in modo compatibile con l’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della Convenzione di Aarhus.

75      Alla luce dei motivi che precedono, occorre respingere in quanto infondati la prima parte del secondo motivo di impugnazione e la terza parte del terzo motivo di impugnazione nella causa C‑212/21 P, nonché il primo motivo di impugnazione nella causa C‑223/21 P.

 Sulle parti seconda e terza del secondo motivo di impugnazione e sulle parti prima e seconda del terzo motivo nella causa C212/21 P nonché sul secondo motivo di impugnazione nella causa C223/21 P, vertenti sulla violazione dellarticolo 2, paragrafo 1, lettere f) e g), del regolamento n. 1367/2006

 Sulla nozione di «diritto ambientale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1367/2006

–       Argomenti delle parti

76      La BEI, con le parti prima e seconda del terzo motivo di impugnazione nella causa C‑212/21 P, e la Commissione, con la prima parte del secondo motivo di impugnazione nella causa C‑223/21 P, addebitano al Tribunale, ai punti da 120 a 124 e da 138 a 140 della sentenza impugnata, di aver erroneamente assimilato i criteri ambientali relativi all’ammissibilità dei progetti a un finanziamento della BEI, che derivano dalla dichiarazione del 2009 e della strategia per il clima, a disposizioni legislative del diritto ambientale dell’Unione, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1367/2006 e, di conseguenza, di aver ritenuto che la delibera del 12 aprile 2018 sia stata adottata «in base al diritto ambientale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), di tale regolamento.

77      A tal riguardo, la BEI e la Commissione fanno valere, anzitutto, che la nozione di «normativa», di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), di detto regolamento, è una nozione formale, definita dalla procedura di adozione dell’atto di cui trattasi. Pertanto, conformemente all’articolo 289 TFUE, potrebbe essere qualificata come «normativa» soltanto una disposizione contenuta in un atto dell’Unione adottato sul fondamento di una disposizione dei Trattati che preveda l’adozione di tale atto mediante la procedura legislativa ordinaria o mediante la procedura legislativa speciale. Il Tribunale, ai punti da 120 a 124 della sentenza impugnata, non avrebbe quindi tenuto conto dei requisiti derivanti dall’articolo 289 TFUE e avrebbe proceduto a un’interpretazione che va al di là delle nozioni di «diritto» e di «normativa», di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettere f) e g), del regolamento n. 1367/2006. In particolare, il punto 121 della sentenza impugnata sarebbe viziato da un errore di diritto in quanto il Tribunale avrebbe ivi dichiarato che la distinzione, introdotta dal Trattato di Lisbona, tra gli atti legislativi e gli atti regolamentari è irrilevante ai fini dell’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), di tale regolamento.

78      La BEI e la Commissione contestano, poi, al Tribunale di aver ritenuto che la dichiarazione del 2009 e la strategia per il clima avessero carattere vincolante. Questi due strumenti si limiterebbero a guidare l’attività della BEI nelle diverse fasi della valutazione dei progetti, senza tuttavia limitare l’esercizio del potere discrezionale di cui dispone tale organo. La circostanza che un progetto soddisfi i criteri di ammissibilità per un finanziamento derivante da detti strumenti non comporterebbe alcun diritto ad ottenere un finanziamento della BEI, alcun obbligo per il suo consiglio di amministrazione di approvare tale finanziamento, né alcun obbligo per la BEI di firmare un contratto di prestito, anche dopo l’approvazione del consiglio di amministrazione.

79      Anche supponendo che la dichiarazione del 2009 e la strategia per il clima limitino l’esercizio del potere discrezionale della BEI, una siffatta limitazione non può essere considerata imposta da una norma giuridica. Inoltre, una direttiva interna avente il solo effetto di costringere l’istituzione che se ne discosta a motivare la sua decisione non costituirebbe tuttavia una fonte del diritto. La nozione di «normativa», di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1367/2006, comprenderebbe quindi le sole norme aventi effetti giuridici vincolanti immediati sul cittadino. Ciò non avverrebbe tuttavia nel caso degli orientamenti in forza dei quali un’istituzione limita l’esercizio del suo potere discrezionale per il futuro.

80      Infine, la BEI e la Commissione contestano l’analogia stabilita, al punto 123 della sentenza impugnata, tra le politiche di prestito della BEI in materia ambientale e le norme interne di quest’ultima in materia di personale. Esse fanno valere che, in quest’ultimo settore, la BEI agisce in qualità di autorità amministrativa, in quanto le sue decisioni possono essere oggetto di un controllo giurisdizionale, mentre l’attività di prestito della BEI in materia ambientale rientrerebbe nell’esercizio del suo ruolo finanziario e non si tradurrebbe in decisioni amministrative che possono essere oggetto di un controllo giurisdizionale nel merito.

81      La ClientEarth contesta la fondatezza dell’insieme di tali argomenti.

–       Giudizio della Corte

82      Con la loro argomentazione, la BEI e la Commissione addebitano al Tribunale di aver erroneamente dichiarato, ai punti da 120 a 124 e da 138 a 140 della sentenza impugnata, che tanto la dichiarazione del 2009 quanto la strategia per il clima rientrano nella nozione di «diritto ambientale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1367/2006, e, pertanto, che la delibera del 12 aprile 2018 è stata adottata «nell’ambito del diritto ambientale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), di tale regolamento.

83      La nozione di «diritto ambientale» è definita all’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1367/2006 come comprendente «la normativa [dell’Unione] che, a prescindere dalla base giuridica, contribuisce al raggiungimento degli obiettivi della politica [dell’Unione] in materia ambientale», di cui all’articolo 191, paragrafo 1, TFUE. Come si evince dal considerando 10 di tale regolamento, il rinvio a tali obiettivi si giustifica in quanto il diritto ambientale «[è] una disciplina in costante evoluzione».

84      Dalla formulazione stessa dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1367/2006, in combinato disposto con il considerando 10 di tale regolamento, risulta che il legislatore dell’Unione ha inteso attribuire una portata ampia alla nozione di «diritto ambientale».

85      In tale contesto, la circostanza che, in talune versioni linguistiche, come le versioni in lingua spagnola, inglese, francese o portoghese, l’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1367/2006 si riferisca alla «normativa» o a «qualsiasi disposizione legislativa» non può implicare, contrariamente alla posizione sostenuta dalla BEI e dalla Commissione, che la nozione di «diritto ambientale» sia, ai fini dell’applicazione di tale regolamento, limitata ad atti legislativi, ai sensi dell’articolo 289, paragrafo 3, TFUE. Infatti, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 118 delle sue conclusioni, in altre versioni linguistiche, e in particolare in quella di lingua tedesca, l’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1367/2006 utilizza la nozione più ampia di «norme giuridiche», che può includere qualsiasi atto di portata generale giuridicamente vincolante.

86      In tali circostanze, conformemente alla giurisprudenza della Corte, tale disposizione deve essere interpretata in funzione dell’economia generale e della finalità della normativa di cui essa fa parte (v., in tal senso, sentenza del 24 febbraio 2022, Tiketa, C‑536/20, EU:C:2022:112, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

87      Orbene, tenuto conto del punto 84 della presente sentenza nonché degli obiettivi della politica dell’Unione in materia ambientale, si impone un’interpretazione ampia della nozione di «diritto ambientale», nel senso che quest’ultima comprende qualsiasi atto dell’Unione che, a prescindere dal suo fondamento giuridico, contribuisca alla realizzazione degli obiettivi di tale politica, quali definiti all’articolo 191, paragrafo 1, TFUE [v., in tal senso, sentenza dell’8 novembre 2022, Deutsche Umwelthilfe (Omologazione dei veicoli a motore), C‑873/19, EU:C:2022:857, punto 53]. La circostanza che, secondo la formulazione stessa dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1367/2006, la base giuridica sulla quale un atto è adottato non è un criterio pertinente ai fini della sua qualificazione come «diritto ambientale» consente di dedurne che la procedura di adozione di un atto siffatto, la quale determina, conformemente all’articolo 289 TFUE, la sua natura legislativa o meno, non è neanch’essa un criterio pertinente ai fini di tale qualificazione.

88      Nel caso di specie, il consiglio di amministrazione della BEI, nel decidere di concedere un finanziamento sulla base dell’articolo 9, paragrafo 1, e dell’articolo 19, paragrafo 3, dello statuto della BEI, non può discostarsi, senza alcuna giustificazione, dai criteri ambientali relativi all’ammissibilità dei progetti a un finanziamento che derivano dalla dichiarazione del 2009 e dalla strategia per il clima, che la BEI stessa si è impegnata a seguire nella sua attività di finanziamento, pena una sanzione, eventualmente, a titolo di violazione di principi generali del diritto, quali la parità di trattamento o la tutela del legittimo affidamento (v., per analogia, sentenza del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, da C‑189/02 P, C‑202/02 P, C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punti 209 e 211).

89      Pertanto, è senza incorrere in errori di diritto che il Tribunale, ai punti da 122 a 124 della sentenza impugnata, ha ritenuto che tanto la dichiarazione del 2009 quanto la strategia climatica rientrassero nella nozione di «diritto ambientale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), del regolamento n. 1367/2006, in quanto esse definiscono i criteri di natura ambientale vertenti sull’ammissibilità dei progetti a un finanziamento della BEI e, quindi, disciplinano l’attività di quest’ultima in materia di concessione di prestiti ai fini della realizzazione degli obiettivi del Trattato FUE in materia ambientale.

90      Inoltre, è parimenti senza incorrere in errori di diritto che, ai punti da 138 a 140 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che, nella parte in cui ha constatato che il progetto Curtis soddisfaceva i criteri ambientali relativi all’ammissibilità dei progetti al finanziamento della BEI derivanti da questi due atti, la delibera del 12 aprile 2018 era stata adottata «nell’ambito del diritto ambientale» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006.

91      Alla luce dei motivi che precedono, occorre respingere le parti prima e seconda parte del terzo motivo di impugnazione nella causa C‑212/21 P, nonché la prima parte del secondo motivo di impugnazione nella causa C‑223/21 P, in quanto infondate.

 Sulla nozione di «provvedimento di portata individuale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006

–       Argomenti delle parti

92      Con la seconda parte del secondo motivo di impugnazione nella causa C‑223/21 P, la Commissione addebita al Tribunale di non aver tenuto conto, ai punti da 126 a 142 della sentenza impugnata, della giurisprudenza secondo cui la nozione di «provvedimento di portata individuale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006, deve essere interpretata secondo i criteri derivanti dagli articoli 263 e 288 TFUE. Infatti, il Tribunale avrebbe ritenuto, in violazione dei principi enunciati ai punti da 65 a 67 e da 84 a 86 della sentenza del 3 settembre 2020 nella causa Mellifera/Commissione (C‑784/18 P, non pubblicata, EU:C:2020:630), che, per qualificare la delibera del 12 aprile 2018 come «provvedimento di portata individuale», fosse sufficiente che, con tale delibera, il consiglio di amministrazione della BEI avesse preso una decisione definitiva sul raggiungimento di determinati obiettivi ambientali. Tale approccio implicherebbe quindi che atti non vincolanti, quali raccomandazioni e pareri, possano essere oggetto di una richiesta di riesame interno, sulla base dell’articolo 10, paragrafo 1, di tale regolamento, e successivamente di un ricorso ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, di detto regolamento.

93      A sostegno della Commissione, la BEI afferma che la delibera del 12 aprile 2018 costituisce un atto interno, il cui unico effetto è quello di consentire ai servizi di tale organo di proseguire le trattative contrattuali per il finanziamento approvato, cosicché essa non riguarda individualmente questioni esterne.

94      La ClientEarth fa valere che l’argomento secondo cui l’atto oggetto di una richiesta di riesame interno debba essere considerato un «provvedimento di portata individuale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006, non è stato sollevato né dalla BEI né dalla Commissione dinanzi al Tribunale, cosicché la Commissione non è legittimata ad addurre tale argomento in sede di impugnazione, tenuto conto del suo carattere di novità. In ogni caso, la delibera del 12 aprile 2018 sarebbe un «provvedimento di portata individuale», in quanto essa si applica a una domanda specifica riguardante il finanziamento del progetto Curtis.

–       Giudizio della Corte

95      Con la sua argomentazione, la Commissione addebita al Tribunale di aver commesso, ai punti da 126 a 142 della sentenza impugnata, un errore di diritto nell’interpretazione e applicazione della nozione di «provvedimento di portata individuale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006, avendo attribuito una siffatta portata alla delibera del 12 aprile 2018.

96      Per quanto riguarda, in primo luogo, la questione sollevata dalla ClientEarth se la Commissione sia legittimata a contestare, in sede di impugnazione, la sentenza impugnata nei limiti in cui avrebbe erroneamente qualificato la delibera del 12 aprile 2018 come «provvedimento di portata individuale», occorre ricordare che un ricorrente è legittimato a proporre un’impugnazione in cui fa valere, dinanzi alla Corte, motivi e argomenti derivanti dalla sentenza impugnata stessa e diretti a contestarne, in diritto, la fondatezza (v., in tal senso, sentenze del 29 novembre 2007, Stadtwerke Schwäbisch Hall e a./Commissione, C‑176/06 P, non pubblicata, EU:C:2007:730, punto 17, e del 4 marzo 2021, Commissione/Fútbol Club Barcelona, C‑362/19 P, EU:C:2021:169, punto 47 nonché giurisprudenza ivi citata).

97      La Commissione è quindi legittimata a contestare, in sede di impugnazione, la qualificazione come «provvedimento di portata individuale», operata dal Tribunale ai punti 140 e 142 della sentenza impugnata, della delibera del 12 aprile 2018.

98      In secondo luogo, per quanto riguarda la fondatezza di tale qualificazione, occorre ricordare che, per determinare la portata generale o individuale di un atto, il giudice dell’Unione deve tener conto, in primo luogo, del suo oggetto e del suo contenuto. Un atto ha portata generale, ai sensi dell’articolo 288 TFUE, se si applica a situazioni determinate obiettivamente e se produce effetti giuridici nei confronti di categorie di persone considerate in modo generale ed astratto. Per quanto riguarda tale secondo criterio, la portata generale di un atto non è posta in discussione dalla possibilità di determinare con maggiore ο minor precisione il numero ο persino l’identità dei soggetti di diritto cui si applica in un dato momento, fintantoché è pacifico che tale applicazione si compie in forza di una situazione oggettiva di diritto ο di fatto, definita dall’atto in relazione con la finalità di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza del 3 settembre 2020, Mellifera/Commissione, C‑784/18 P, non pubblicata, EU:C:2020:630, punti da 65 a 67 e giurisprudenza ivi citata).

99      Nel caso di specie, la delibera del 12 aprile 2018, nella parte in cui approva la proposta di finanziamento del progetto Curtis con riferimento ai suoi aspetti ambientali e sociali, riguarda una situazione specifica, vale a dire il finanziamento di tale progetto, e produce effetti giuridici nei confronti del promotore di detto progetto, consentendogli di adottare le misure necessarie ai fini della formalizzazione del prestito.

100    È quindi senza incorrere in errori di diritto che il Tribunale ha dichiarato, ai punti 140 e 142 della sentenza impugnata, che tale delibera costituisce un «provvedimento di portata individuale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006.

101    Pertanto, la seconda parte del secondo motivo di impugnazione nella causa C‑223/21 P dev’essere respinta in quanto infondata.

 Sulla nozione di «effetti esterni e giuridicamente vincolanti», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006

–       Argomenti delle parti

102    La BEI, con le parti seconda e terza del secondo motivo di impugnazione nella causa C‑212/21 P, e la Commissione, con la terza parte del secondo motivo di impugnazione nella causa C‑223/21 P, addebitano al Tribunale di aver erroneamente dichiarato che la delibera del 12 aprile 2018 produce effetti esterni e giuridicamente vincolanti, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006, in quanto esprime una posizione definitiva del consiglio di amministrazione della BEI in merito all’ammissibilità del progetto Curtis a un finanziamento della BEI, con riferimento ai suoi aspetti ambientali e sociali. Infatti, una siffatta delibera non attribuirebbe un diritto individuale ad ottenere un finanziamento da parte della BEI, dal momento che il rapporto tra tale organo e il potenziale mutuatario diverrebbe giuridicamente vincolante solo alla firma del contratto pertinente. Nessun effetto giuridicamente vincolante può quindi essere ricollegato a tale delibera.

103    La sentenza impugnata sarebbe, inoltre, viziata da una contraddizione di motivazione, in quanto il Tribunale avrebbe constatato, al contempo, che la delibera del 12 aprile 2018 produceva effetti giuridici nei confronti del promotore del progetto Curtis sia, ai punti da 167 a 170 di tale sentenza, che tale delibera non costituiva un «impegno giuridico a concedere il prestito» e che la procedura è proseguita dopo la sua adozione.

104    A tal riguardo, la BEI sostiene che una delibera del suo consiglio di amministrazione, adottata sul fondamento dell’articolo 19, paragrafo 3, dello statuto della BEI, costituisce una decisione unica di finanziamento di un progetto, senza che sia possibile operare una separazione tra un «aspetto finanziario», che non sarebbe definitivo e non produrrebbe effetti vincolanti ed esterni, e un «aspetto ambientale», che sarebbe definitivo e giuridicamente vincolante nei confronti di terzi.

105    In ogni caso, l’esistenza di effetti esterni e giuridicamente vincolanti, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006, sarebbe dovuta essere accertata con riferimento alla situazione giuridica della ClientEarth. Il Tribunale, dopo aver esaminato, al punto 170 della sentenza impugnata, la situazione giuridica del promotore del progetto Curtis, avrebbe confermato che nessun effetto di questo tipo si era prodotto nei confronti della ClientEarth.

106    La ClientEarth contesta la fondatezza dell’insieme di tali argomenti.

–       Giudizio della Corte

107    Con la loro argomentazione, la BEI e la Commissione addebitano al Tribunale di essere incorso in un errore di diritto dichiarando, ai punti da 167 a 171 della sentenza impugnata, che la delibera del 12 aprile 2018 è un atto avente «effetti esterni e giuridicamente vincolanti», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006.

108    Al riguardo, dal punto 149 della sentenza impugnata emerge che il Tribunale, «per coerenza generale», ha interpretato tale nozione conformemente a quella di «atti (…) destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi», di cui all’articolo 263, primo comma, TFUE, la quale esclude, in via di principio, gli atti che producono effetti soltanto nella sfera interna dell’istituzione, dell’organo o dell’organismo dell’Unione che ne è l’autore, senza creare alcun diritto o obbligo nei confronti dei terzi (v., in tal senso, sentenze del 25 febbraio 1988, Les Verts/Parlamento, 190/84, EU:C:1988:94, punto 8, e del 25 giugno 2020, CSUE/KF, C‑14/19 P, EU:C:2020:492, punto 73 nonché giurisprudenza ivi citata).

109    Orbene, ai punti da 167 a 171 della sentenza impugnata, il Tribunale ha constatato, in applicazione di tale giurisprudenza, che la delibera del 12 aprile 2018 fissa in modo definitivo la posizione del consiglio di amministrazione della BEI in merito all’ammissibilità del progetto Curtis a un finanziamento di tale organo riguardo agli aspetti ambientali e sociali di tale progetto e, pertanto, che tale delibera produce effetti giuridici nei confronti dei terzi, in particolare del promotore di detto progetto, nei limiti in cui constatava l’ammissibilità di detto progetto a un finanziamento della BEI alla luce dei suoi aspetti ambientali e sociali, consentendo così a tale promotore di adottare le misure necessarie ai fini della formalizzazione del prestito.

110    Non si può ravvisare alcuna contraddizione tra, da un lato, la constatazione che gli aspetti ambientali del progetto Curtis erano stati oggetto di una valutazione definitiva e, dall’altro, le circostanze, anch’esse rilevate nei suddetti punti della sentenza impugnata, che la delibera del 12 aprile 2018 non costituiva un «impegno giuridico quanto alla concessione del prestito» e che il procedimento di concessione di tale finanziamento è proseguito, dal momento che restavano da esaminare altri aspetti tecnici, economici e finanziari di detto progetto.

111    Inoltre, l’argomento addotto dalla BEI secondo cui il Tribunale è incorso in un errore di diritto ritenendo, ai punti da 167 a 170 della sentenza impugnata, che la delibera del 12 aprile 2018 contenesse un «aspetto finanziario» che poteva essere separato da un «aspetto ambientale» e che solo quest’ultimo fosse definitivo e giuridicamente vincolante per i terzi, si basa su una lettura errata di tali punti. Infatti, il Tribunale si è limitato a rilevare che tale delibera accerta in modo definitivo l’ammissibilità del progetto Curtis ad un finanziamento della BEI, alla luce degli aspetti ambientali e sociali di tale progetto, ma non ha affatto dichiarato che detta delibera si basa su una separazione formale tra questi ultimi aspetti e gli aspetti finanziari o di altro tipo riguardanti detto progetto.

112    Inoltre, l’argomento secondo cui il Tribunale avrebbe dovuto, al punto 170 della sentenza impugnata, valutare se la delibera del 12 aprile 2018 abbia «effetti esterni e giuridicamente vincolanti», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1367/2006, nei confronti della ClientEarth non trova alcun fondamento in tale regolamento. Infatti, né tale disposizione né l’articolo 10, paragrafo 1, di detto regolamento richiedono che l’atto amministrativo oggetto di una richiesta di riesame interno abbia effetti esterni e giuridicamente vincolanti nei confronti dell’organizzazione non governativa che presenta tale richiesta.

113    Alla luce dei motivi che precedono, occorre respingere le parti seconda e terza del secondo motivo di impugnazione nella causa C‑212/21 P, nonché la terza parte del secondo motivo di impugnazione nella causa C‑223/21 P, in quanto infondate.

114    Tenuto conto dell’insieme dei motivi sin qui esposti, occorre respingere le impugnazioni nel loro complesso.

 Sulle spese

115    Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è respinta, la Corte statuisce sulle spese. Conformemente all’articolo 138, paragrafo 1, di tale regolamento di procedura, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, di detto regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

116    Poiché la ClientEarth ne ha fatto domanda, la BEI e la Commissione, rimaste soccombenti, devono essere condannate a farsi carico, oltre che delle proprie spese, di quelle sostenute dalla ClientEarth in ciascuna delle due impugnazioni.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Le impugnazioni sono respinte.

2)      La Banca europea per gli investimenti (BEI) e la Commissione europea sono condannate a farsi carico, oltre che delle proprie spese, di quelle sostenute dalla ClientEarth.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.