Language of document : ECLI:EU:T:2005:429

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

29 novembre 2005 (*)

«Concorrenza – Art. 81 CE – Intesa – Mercato del fosfato di zinco – Ammenda – Art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 – Principi di proporzionalità e di parità di trattamento – Ricorso di annullamento»

Nella causa T‑52/02,

Société nouvelle des couleurs zinciques SA (SNCZ), con sede in Bouchain (Francia), rappresentata dagli avv.ti. R. Saint-Esteben e H. Calvet, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata inizialmente dai sigg. F. Castillo de la Torre e F. Lelievre, successivamente dal sig. Castillo de la Torre e dalla sig.ra O. Beynet, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento dell’art. 3 della decisione della Commissione 11 dicembre 2001, 2003/437/CE, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 81 del Trattato CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (Caso COMP/E-1/37.027 – Fosfato di zinco) (GU 2003, L 153, pag. 1), ovvero, in subordine, una domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione),

composto dalla sig.ra P. Lindh, presidente, nonché dai sigg. R. García‑Valdecasas e J.D. Cooke, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 2 luglio 2004,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La Société nouvelle des couleurs zinciques SA (in prosieguo: la «ricorrente» oppure la «SNCZ») è un’impresa francese che produce fosfato di zinco e cromati di zinco, di stronzio e di bario. Tutti tali prodotti sono pigmenti minerali anticorrosione utilizzati nell’industria delle vernici e dei rivestimenti. Il fatturato mondiale della SNCZ ammontava nel 2000 ad EUR 17,08 milioni.

2        Benché le loro formule chimiche possano variare leggermente, gli ortofosfati di zinco rappresentano un prodotto chimico omogeneo, designato con la denominazione generica di «fosfato di zinco». Il fosfato di zinco, che si ottiene dall’ossido di zinco e dall’acido fosforico, viene frequentemente usato come pigmento minerale anticorrosione nell’industria delle vernici. Esso viene commercializzato sul mercato tanto come fosfato di zinco standard, quanto come fosfato di zinco modificato o «attivato».

3        Nel 2001 i seguenti cinque produttori europei detenevano la maggior parte del mercato mondiale del fosfato di zinco: la Dr. Hans Heubach GmbH & Co. KG (in prosieguo: la «Heubach), la James M. Brown Ltd (in prosieguo: la «James Brown»), la SNCZ, la Trident Alloys Ltd (in prosieguo: la «Trident») (precedentemente la Britannia Alloys & Chemicals Ltd; in prosieguo: la «Britannia») e la Union Pigments AS (già Waardals AS) (in prosieguo: la «Union Pigments»). Tra il 1994 ed il 1998 il valore del mercato del fosfato di zinco standard ammontava a circa EUR 22 milioni annui a livello mondiale ed a circa EUR 15‑16 milioni annui a livello dello Spazio economico europeo (SEE). Nell’ambito del SEE, la Heubach, la SNCZ, la Trident (in precedenza la Britannia) e la Union Pigments detenevano quote del mercato del fosfato di zinco standard assai simili, intorno al 20%. La James Brown deteneva una quota di mercato nettamente inferiore. Gli acquirenti del fosfato di zinco sono i grandi fabbricanti di vernici. Il mercato delle vernici è dominato da alcuni gruppi chimici multinazionali.

4        Il 13 e il 14 maggio 1998 la Commissione ha proceduto, simultaneamente e senza preavviso, ad alcuni accertamenti presso gli uffici della Heubach, della SNCZ e della Trident, a norma dell’art. 14, n. 2, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204). Dal 13 al 15 maggio 1998, a seguito di una richiesta della Commissione a norma dell’art. 8, n. 3, del Protocollo 23 dell’Accordo SEE, l’Autorità di vigilanza dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA) ha effettuato, simultaneamente e senza preavviso, alcuni accertamenti presso gli uffici della Union Pigments, a norma dell’art. 14, n. 2, del capitolo II del Protocollo 4 dell’Accordo tra gli Stati EFTA sull’istituzione di un’Autorità di vigilanza e di una Corte di giustizia.

5        Nel corso del procedimento amministrativo la Union Pigments e la Trident hanno informato la Commissione della loro volontà di cooperare pienamente con quest’ultima, in conformità della comunicazione della Commissione 18 luglio 1996, sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»), e hanno entrambe rilasciato delle dichiarazioni in merito all’intesa (in prosieguo: la «dichiarazione della Union Pigments» e la «dichiarazione della Trident»).

6        Il 2 agosto 2000 la Commissione ha adottato una comunicazione degli addebiti nei confronti delle imprese destinatarie della decisione costituente l’oggetto del presente ricorso (v. infra, punto 7), ivi inclusa la ricorrente. Nella sua risposta del 1° dicembre 2000 alla comunicazione degli addebiti, la ricorrente ha dichiarato che non contestava in sostanza i fatti esposti in tale comunicazione.

7        In data 11 dicembre 2001 la Commissione ha adottato la decisione 2003/437/CE, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 81 del Trattato CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (Caso COMP/E‑1/37.027 – Fosfato di zinco) (GU 2003, L 153, pag. 1). La decisione presa in considerazione ai fini della presente sentenza è quella che è stata notificata alle imprese interessate e che è allegata al ricorso introduttivo (in prosieguo: la «decisione impugnata»). Tale decisione è, per taluni aspetti, diversa da quella pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

8        Nella decisione impugnata la Commissione afferma che tra il 24 marzo 1994 ed il 13 maggio 1998 è esistita un’intesa che ha visto riunite la Britannia (la Trident a partire dal 15 marzo 1997), la Heubach, la James Brown, la SNCZ e la Union Pigments. L’intesa sarebbe stata limitata al fosfato di zinco standard. In primo luogo, i membri dell’intesa avrebbero messo in atto un accordo di ripartizione del mercato con quote di vendita per i produttori. In secondo luogo, i detti membri avrebbero fissato dei prezzi «minimi» o «raccomandati» a ciascuna riunione e li avrebbero in genere rispettati. In terzo luogo, sarebbe stata effettuata, in una certa misura, una spartizione della clientela.

9        Il dispositivo della decisione impugnata è formulato nei seguenti termini:

«Articolo 1

Britannia (...), (...) Heubach (...), James (...) Brown (...), [SNCZ], Trident (...) e [Union Pigments] hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, paragrafo 1, del trattato CE e dell’articolo 53, paragrafo 1, dell’accordo SEE partecipando a un accordo continuato e/o a una pratica concordata nel settore del fosfato di zinco.

La durata dell’infrazione è stata la seguente:

a) nel caso di (...) Heubach (...), James (...) Brown (...), [SNCZ] e [Union Pigments]: dal 24 marzo 1994 al 13 maggio 1998;

(...)

Articolo 3

Per l’infrazione di cui all’articolo 1, sono irrogate le seguenti ammende:

a) Britannia (...): 3,37 milioni di EUR,

b) (...) Heubach (...): 3,78 milioni di EUR,

c) James (...) Brown (...): 940 000 EUR,

d) [SNCZ]: 1,53 milioni di EUR,

e) Trident (...): 1,98 milioni di EUR,

f) [Union Pigments]: 350 000 EUR.

(…)»

10      Ai fini del calcolo dell’importo delle ammende, la Commissione ha utilizzato il metodo esposto negli Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti») e la comunicazione sulla cooperazione.

11      La Commissione ha così anzitutto fissato un «importo di base», calcolato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione (v. ‘considerando’ 261‑313 della decisione impugnata).

12      Quanto al primo criterio, la detta istituzione ha ritenuto che l’infrazione dovesse essere qualificata come «molto grave», e ciò in considerazione della natura del comportamento in esame, del suo impatto effettivo sul mercato del fosfato di zinco e del fatto che esso aveva interessato l’intero mercato comune e, dopo la sua creazione, l’intero SEE (‘considerando’ 300 della decisione impugnata). Indipendentemente dal carattere molto grave dell’infrazione, la Commissione ha chiarito che avrebbe tenuto conto delle ridotte dimensioni del mercato in questione (‘considerando’ 303 della decisione impugnata).

13      La Commissione ha applicato un «trattamento differenziato» alle imprese coinvolte, al fine, da un lato, di tener conto dell’effettiva capacità economica di queste ultime di pregiudicare sensibilmente la concorrenza e, dall’altro, di fissare l’ammenda ad un livello che ne garantisse una sufficiente efficacia deterrente (‘considerando’ 304 della decisione impugnata). A tale scopo, essa ha suddiviso le imprese in questione in due categorie, in base alla loro «importanza relativa sul mercato interessato». La Commissione si è dunque fondata sul fatturato realizzato nel SEE da ciascuna delle dette imprese nel corso dell’ultimo anno dell’infrazione con la vendita del prodotto in questione, ed ha tenuto conto del fatto che la ricorrente, la Britannia (la Trident a partire dal 15 marzo 1997), la Heubach e la Union Pigments erano «i maggiori produttori di fosfato di zinco nel SEE e detenevano quote di mercato alquanto simili, che si aggiravano intorno al 20% o superavano tale valore» (‘considerando’ 307 e 308 della decisione impugnata). La ricorrente è stata inquadrata, al pari della Britannia, della Heubach, della Trident e della Union Pigments, nella prima categoria («importo di partenza» di EUR 3 milioni). La James Brown, la cui quota di mercato era «decisamente inferiore», è stata inquadrata nella seconda categoria («importo di partenza» di EUR 750 000) (‘considerando’ 308 e 309 della decisione impugnata).

14      Quanto al criterio relativo alla durata, la Commissione ha ritenuto che l’infrazione imputabile alla ricorrente fosse di durata «media», essendosi protratta dal 24 marzo 1994 al 13 maggio 1998 (‘considerando’ 310 della decisione impugnata). Essa ha di conseguenza aumentato del 40% l’importo di partenza della ricorrente, arrivando così ad un «importo di base» di EUR 4,2 milioni (‘considerando’ 310 e 313 della decisione impugnata).

15      La Commissione ha poi reputato che nel caso di specie non sussistessero circostanze aggravanti o attenuanti (‘considerando’ 314‑336 della decisione impugnata). Essa ha inoltre respinto gli argomenti relativi alla «difficoltà del contesto economico» in cui aveva avuto luogo l’intesa ed alle caratteristiche specifiche delle imprese interessate (‘considerando’ 337‑343 della decisione impugnata). La Commissione ha dunque fissato a EUR 4,2 milioni l’importo dell’ammenda «prima dell’applicazione della comunicazione [sulla cooperazione]» relativamente alla ricorrente (‘considerando’ 344 della decisione impugnata).

16      Inoltre, la Commissione ha ricordato il limite che, a norma dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, l’ammenda da infliggere a ciascuna delle imprese interessate non poteva superare. L’importo dell’ammenda della ricorrente prima dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione è stato così ridotto ad EUR 1,7 milioni e quello della Union Pigments ad EUR 700 000. Gli importi delle ammende delle altre imprese, prima dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione, sono rimasti entro il limite del detto tetto massimo (‘considerando’ 345 della decisione impugnata).

17      Infine, la Commissione ha concesso alla ricorrente una riduzione del 10% ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, tenuto conto del fatto che la detta ricorrente aveva dichiarato, nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti, che non contestava in sostanza i fatti esposti in quest’ultima (‘considerando’ 360, 363 e 366 della decisione impugnata). L’importo finale dell’ammenda inflitta alla ricorrente è dunque risultato di EUR 1,53 milioni (‘considerando’ 370 della decisione impugnata).

 Procedimento e conclusioni delle parti

18      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 27 febbraio 2002, la ricorrente ha proposto l’odierno ricorso.

19      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quinta Sezione) ha deciso di aprire la fase orale e, a titolo di misure di organizzazione del procedimento, ha invitato la Commissione a produrre un documento e a rispondere ad un quesito scritto. La Commissione ha ottemperato a tali richieste.

20      Le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti del Tribunale in occasione dell’udienza svoltasi il 2 luglio 2004.

21      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        in via principale, annullare l’art. 3 della decisione impugnata;

–        in via subordinata, ridurre l’importo dell’ammenda;

–        condannare la Commissione alle spese.

22      La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

–        rigettare il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

23      La ricorrente deduce tre motivi a sostegno del suo ricorso. Il primo riguarda una violazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, il secondo, una violazione del principio di proporzionalità e, il terzo, una violazione del principio di non discriminazione.

 Quanto al primo motivo, relativo ad una violazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17

 Argomenti delle parti

24      La Commissione, fissando l’importo di partenza dell’ammenda della ricorrrente a EUR 3 milioni, pari al 17% del suo fatturato mondiale, avrebbe – secondo la ricorrente – violato l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. L’importo suddetto supererebbe il limite massimo delle ammende previsto da tale disposizione.

25      In primo luogo, la ricorrente asserisce che tale fissazione arbitraria dell’importo di partenza è contraria all’esplicito tenore dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Tale disposizione conferirebbe alla Commissione la possibilità di superare la prima soglia di un milione per arrivare fino al 10% del fatturato, ma non consentirebbe assolutamente un metodo consistente nel fissare subito l’importo di partenza al di là del limite massimo del 10% e nel ridurre poi l’importo dell’ammenda, al fine di conformarsi alla detta disposizione. Pertanto, il metodo di calcolo applicato nel caso di specie, consistente nel fissare l’importo di partenza della ricorrente a EUR 3 milioni, pari al 17% del suo fatturato mondiale, non sarebbe legittimo.

26      La ricorrente sostiene che la Commissione snatura il tenore letterale dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 allorché afferma che tale disposizione impone che l’ammenda che alla fine verrà inflitta ad un’impresa venga «ridotta» nel caso in cui il suo ammontare «superi» il limite del 10% del fatturato. Infatti, la detta disposizione non prevedrebbe alcuna riduzione entro tale limite del 10%, ma contemplerebbe espressamente soltanto l’ipotesi in cui l’ammenda, in un primo tempo fissata entro il limite del 10%, vale a dire tra EUR 1 000 ed EUR 1 milione, venga aumentata «fino al 10%».

27      La ricorrente nega che la sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑9/99, HFB e a./Commissione (Racc. pag. II‑1487), corrobori la tesi della Commissione secondo cui l’importo di partenza può essere fissato al di là del limite del 10% del fatturato dell’impresa in questione. In tale sentenza, il Tribunale avrebbe sottoposto ad esame il fatto che la Commissione aveva preso in considerazione un «importo intermedio» superiore al limite del 10% «nel corso del suo calcolo», e non all’«inizio» del medesimo. Pertanto, il Tribunale non avrebbe considerato l’ipotesi che l’importo di partenza venga fissato al di là del tetto massimo del 10%. Tale interpretazione sarebbe confermata dal fatto che il Tribunale ha dichiarato che soltanto «alcuni fattori presi in considerazione nell’ambito del suo calcolo non si ripercuotono sull’importo finale dell’ammenda» (sentenza HFB e a./Commissione, cit., punto 452). Orbene, nel metodo seguito dalla Commissione, sarebbero tutti i «fattori» che, per principio, non si ripercuotono sull’importo finale, eccettuata soltanto la riduzione per la «cooperazione», in quanto la Commissione ha proceduto a quest’ultima soltanto dopo aver ridotto l’importo intermedio per ricondurlo entro il tetto massimo del 10%. Inoltre, la ricorrente fa osservare che la citata sentenza HFB e a./Commissione, così come tutte le altre sentenze citate dalla Commissione nell’ambito del presente motivo, è stata oggetto soltanto di una pubblicazione parziale nella Raccolta, posto che i passaggi non pubblicati delle sentenze in questione sono stati senza dubbio ritenuti dal giudice comunitario come non contenenti questioni di principio.

28      In secondo luogo, la ricorrente fa valere che il modo in cui l’importo di partenza è stato fissato nel caso di specie viola l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, in quanto esclude la presa in considerazione del fattore relativo alla durata dell’infrazione nell’importo dell’ammenda inflitta. La ricorrente ricorda come la detta disposizione imponga alla Commissione di fissare l’ammenda tenendo conto, «oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata». Nel caso di specie, dopo aver fissato a EUR 3 milioni l’importo di partenza, ciò che è largamente superiore al tetto massimo del 10%, la Commissione avrebbe aumentato tale importo del 40% per tener conto della durata «media» dell’infrazione e l’avrebbe così portato ad EUR 4,2 milioni. Orbene, posto che l’importo di partenza fissato in considerazione della gravità dell’infrazione supera di molto il tetto massimo del 10% del fatturato, un’ulteriore modulazione in base alla durata sarebbe assolutamente impossibile e costituirebbe soltanto un puro esercizio teorico che porta soltanto a fingere di rispettare l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

29      La Commissione, avendo ritenuto che l’infrazione ascritta alla ricorrente fosse di durata media, avrebbe dovuto tener conto di tale elemento dall’efficacia relativamente moderatrice, in quanto normalmente avrebbe dovuto essere inflitta alla ricorrente un’ammenda più severa qualora essa avesse commesso un’infrazione non soltanto «molto grave», ma anche di «lunga» o «assai lunga» durata. Il fatto di imporre una sanzione senza prendere in considerazione la durata dell’infrazione sarebbe «estremamente nocivo» per la politica della concorrenza, poiché le imprese, e soprattutto le piccole o medie imprese (PMI), non sarebbero in alcun modo incitate a limitare la durata della loro partecipazione all’intesa.

30      Per quanto riguarda la pertinenza della sentenza HFB e a./Commissione, cit. supra al punto 27, ai fini della presa in considerazione della durata di un’infrazione, la ricorrente fa osservare, anzitutto, come in tale sentenza il Tribunale statuisse su una eccezione di illegittimità degli orientamenti ed esaminasse dunque censure di ordine generale formulate nei confronti di questi ultimi. Per contro, nel caso di specie si tratterebbe di verificare se il calcolo concreto effettuato specificamente nel caso della ricorrente sia conforme all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. La ricorrente ricorda poi che, nella medesima sentenza sopra citata, il Tribunale ha soltanto considerato l’ipotesi in cui «taluni fattori» presi in considerazione non si ripercuotevano sull’ammenda finale (punto 453). Il detto giudice comunitario non si sarebbe pronunciato sull’elemento relativo alla durata. Posto che tale elemento costituisce uno dei due criteri contemplati dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, esso dovrebbe obbligatoriamente essere preso in considerazione e ripercuotersi sull’importo finale dell’ammenda, a pena di negare qualsiasi efficacia obbligatoria e qualsiasi effetto utile al regolamento n. 17 (sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑21/99, Dansk Rørindustri/Commissione, Racc. pag. II‑1681, punto 203).

31      Infine, la ricorrente censura il fatto che la Commissione abbia preso in considerazione il fattore relativo alla cooperazione dopo l’applicazione del tetto massimo del 10%, malgrado essa abbia aumentato l’importo di base in considerazione della durata dell’infrazione prima dell’applicazione del detto tetto massimo. Tale approccio avrebbe come risultato che l’elemento relativo alla cooperazione, previsto dagli orientamenti, ha un impatto diretto sull’ammenda effettiva ed incita dunque le imprese a cooperare con la Commissione. Per contro, le imprese ricaverebbero un beneficio soltanto teorico dall’elemento costituito dalla durata, previsto da un regolamento del Consiglio, e, di conseguenza, non sarebbero incitate a porre fine all’infrazione quanto prima possibile.

32      In terzo luogo, la ricorrente sostiene che il modo in cui è stato fissato l’importo di partenza, vale a dire ampiamente al di là del tetto massimo del 10%, viola l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, in quanto tale metodo esclude la presa in considerazione delle circostanze aggravanti ed attenuanti nell’importo dell’ammenda inflitta. Alla luce della giurisprudenza e degli orientamenti da essa stessa emanati, la Commissione non sarebbe legittimata ad adottare un metodo che rende impossibile qualsiasi effettiva presa in considerazione di tali circostanze, in quanto queste rientrano nella valutazione della gravità dell’infrazione, criterio questo previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 (sentenza del Tribunale 12 luglio 2001, cause riunite T‑202/98, T‑204/98 e T‑207/98, Tate & Lyle e a./Commissione, Racc. pag. II‑2035, punto 109).

33      In quarto luogo, il metodo adottato dalla Commissione per stabilire l’importo delle ammende non fornirebbe alcuna indicazione in merito agli elementi assunti a riferimento dalla detta istituzione per fissare l’importo di partenza. Sebbene gli orientamenti prevedano come «applicabile» un importo di EUR 20 milioni per le infrazioni molto gravi, la Commissione avrebbe percepito il carattere inappropriato di tali importi qualora, come nel caso di specie, per tutte le imprese in questione, di dimensioni piccole o medie, tale «minimo» sia già di molto superiore al limite del 10% del loro fatturato. La ricorrente sottolinea che «tale indeterminatezza assoluta, perlomeno singolare nell’ambito di un’iniziativa diretta a garantire “la trasparenza ed il carattere obiettivo delle decisioni”, diverrebbe un arbitrio totale se consentisse per giunta alla Commissione di disattendere i criteri ad essa imposti dall’art. 15, n. 2».

34      Per parte sua, la Commissione sostiene, fondandosi in particolare sulla giurisprudenza del Tribunale nelle cause cosiddette «Tubi preisolati» (sentenze HFB e a./Commissione, cit. supra al punto 27; Dansk Rørindustri/Commissione, cit. supra al punto 30; sentenze del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑15/99, Brugg Rohrsyteme/Commissione, Racc. pag. II‑1613, punto 150, e causa T‑16/99, Lögstör Rör/Commissione, Racc. pag. II‑1633, punto 292), che la ricorrente compie un’interpretazione erronea delle disposizioni dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e che, pertanto, il primo motivo dev’essere respinto.

35      Quanto all’argomento che la ricorrente fa valere nella sua replica, secondo cui non esiste negli orientamenti alcuna indicazione generale che consenta di prevedere il livello che l’importo di partenza dovrebbe normalmente raggiungere, la Commissione ritiene che esso sia irricevibile per il fatto che costituisce un motivo nuovo. Infatti, tale argomento non avrebbe nulla che vedere con un’eventuale violazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, costituente l’oggetto del primo motivo, e non potrebbe dunque essere considerato come uno sviluppo di quest’ultimo. Ad ogni modo, tale argomento non sarebbe pertinente, in quanto gli orientamenti forniscono indicazioni in merito all’importo di partenza.

 Giudizio del Tribunale

36      La ricorrente asserisce che la Commissione ha violato l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, in quanto l’importo di partenza utilizzato ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda, ossia EUR 3  milioni, pari al 17% del suo fatturato, supera il tetto massimo del 10% previsto dalla detta disposizione. Tale argomento non può essere accolto.

37      Ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, «[l]a Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni di imprese ammende che variano da un minimo di mille unità di conto ad un massimo di un milione, con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione, quando intenzionalmente o per negligenza (...) commettano una infrazione alle disposizioni dell’articolo [81], paragrafo 1 (...) del Trattato». La medesima disposizione prevede che, «[p]er determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata».

38      Stabilendo che la Commissione può infliggere ammende di importo elevabile fino al 10% del fatturato realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente, l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 impone che l’ammenda che verrà alla fine inflitta ad un’impresa venga ridotta nel caso in cui il suo ammontare superi il 10% del fatturato di quest’ultima, indipendentemente dalle operazioni di calcolo intermedie destinate a prendere in considerazione la durata e la gravità dell’infrazione. Ne consegue che il limite massimo del 10% previsto dalla detta disposizione si applica soltanto all’importo dell’ammenda infine irrogata dalla Commissione (sentenza HFB e a./Commissione, cit. supra al punto 27, punto 451; sentenza del Tribunale 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181, punti 367 e 368).

39      Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, gli «importi intermedi» ai sensi della giurisprudenza citata sopra al punto 38 comprendono l’importo di partenza (v., in tal senso, sentenze HFB e a./Commissione, cit. supra al punto 27, punto 450, e Dansk Rørindustri/Commissione, cit. supra al punto 30, punti 183, 184 e 205; v., per analogia, sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑230/00, Daesang e Sewon Europe/Commissione, Racc. pag. II‑2733, punto 56).

40      Inoltre, se nel proprio calcolo la Commissione fa intervenire un importo intermedio, ivi compreso un importo di partenza, superiore al limite massimo del 10% del fatturato dell’impresa in questione, il fatto che taluni elementi presi in considerazione nell’ambito del calcolo suddetto non si ripercuotano sull’importo finale dell’ammenda non può essere censurato. Questa è infatti la conseguenza del divieto previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 di superare il limite massimo del 10% del fatturato dell’impresa interessata (sentenza HFB e a./Commissione, cit. supra al punto 27, punto 453). Tra gli «elementi» che possono non ripercuotersi sull’importo finale dell’ammenda rientra la durata dell’infrazione (sentenze HFB e a./Commissione, cit. supra al punto 27, punti 450‑453, e Dansk Rørindustri/Commissione, cit. supra al punto 30, punto 251).

41      Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente riguardante il fatto che l’elemento relativo alla cooperazione viene preso in considerazione dopo l’applicazione del tetto massimo del 10% e ha dunque un impatto diretto sull’importo dell’ammenda, è sufficiente constatare che tale metodo garantisce che la comunicazione sulla cooperazione possa produrre pienamente il proprio effetto utile: se l’importo di base eccedesse ampiamente il limite del 10% prima dell’applicazione della citata comunicazione, senza che tale limite potesse essere immediatamente applicato, l’incitamento dell’impresa interessata a collaborare con la Commissione sarebbe molto meno incisivo, posto che l’ammenda finale verrebbe ricondotta in ogni caso al 10%, con o senza cooperazione (sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, cit. supra al punto 38, punti 352‑354).

42      Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui negli orientamenti non esiste alcuna indicazione generale che consenta di prevedere il livello che dovrebbe normalmente avere l’importo di partenza delle ammende, esso va respinto senza che sia necessario esaminare la sua ricevibilità (v. supra, punto 35). Il Tribunale ritiene che sia sufficiente constatare come gli orientamenti prevedano che, per le infrazioni molto gravi, l’importo delle ammende «applicabili» sia superiore ad EUR 20 milioni (punto 1 A, terzo trattino, secondo comma). Non sarebbe possibile fornire indicazioni precise quanto agli importi di partenza in tutte le infrazioni ipotizzabili. Inoltre, risulta chiaramente dal punto 1 A, terzo trattino, secondo comma, che l’importo delle ammende potrebbe essere inferiore ad EUR 20 milioni, sicché l’argomento della ricorrente secondo cui questi orientamenti non sono pensati per le PMI deve essere respinto. Inoltre, gli stessi orientamenti consentono alla Commissione di prendere in considerazione, qualora le circostanze lo esigano, la situazione particolare in cui si trovano le PMI (sentenza Lögstör Rör/Commissione, cit. supra al punto 34, punto 295).

43      Risulta chiaramente dagli orientamenti che le ammende inflitte alle PMI che hanno partecipato ad infrazioni molto gravi possono non soltanto essere inferiori ad EUR 20 milioni, ma anche essere portate al tetto massimo del 10% previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Pertanto, la censura della ricorrente secondo cui non esiste alcuna indicazione generale a questo riguardo deve essere respinta.

44      Ne consegue che il primo motivo va interamente respinto.

 Quanto al secondo motivo, relativo ad una violazione del principio di proporzionalità

45      In via preliminare, la ricorrente fa osservare che, tenendo conto della riduzione del 10% ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, l’ammenda che le è stata inflitta è la sanzione più elevata che potesse legittimamente essere adottata nei suoi confronti, in quanto rappresenta il 9% del suo fatturato mondiale. A sua conoscenza, mai in 40 anni la Commissione ha adottato una decisione di tale severità. La ricorrente asserisce che la Commissione ha in tal modo violato il principio di proporzionalità.

46      Il secondo motivo si compone di tre parti, con le quali la ricorrente deduce, in ordine di successione, che il principio di proporzionalità è stato violato in quanto:

–        l’ammenda che le è stata inflitta è totalmente sproporzionata, in particolare in rapporto a quella inflitta ad altre imprese, tanto nel presente caso quanto in altri casi recenti;

–        la Commissione ha preso in considerazione il suo fatturato mondiale per determinare il tetto massimo dell’ammenda ad essa applicabile;

–        la Commissione non ha tenuto conto del rapporto tra il suo fatturato complessivo e quello realizzato mediante la vendita del prodotto in questione.

 Quanto alla prima parte del motivo, relativa al fatto che l’ammenda inflitta alla ricorrente è totalmente sproporzionata

–       Argomenti delle parti

47      La ricorrente afferma che il fatto di avere arbitrariamente fissato, nel caso di specie, l’importo di partenza ad un livello ampiamente superiore al tetto massimo del 10% ha portato ad una sanzione manifestamente sproporzionata. La ricorrente chiarisce che, posto che nel suo caso l’importo di partenza rappresentava il 17% del suo fatturato mondiale, pari al 170% del massimo legale, essa «aveva la garanzia» di vedersi infliggere un’ammenda del massimo importo, e ciò malgrado che nulla giustificasse una tale severità. In particolare, la ricorrente rileva come non vi sia alcuna relazione tra l’importo dell’ammenda, da un lato, e la gravità dell’infrazione, nonché le dimensioni e la responsabilità di essa ricorrente, dall’altro. La sanzione inflitta si baserebbe su un’iniziativa totalmente estranea a qualsiasi presa in considerazione della situazione concreta di essa ricorrente. Quest’ultima rileva come la stessa Commissione riconosca che la durata dell’infrazione commessa dalla ricorrente sia «media» ed in nessun caso «lunga».

48      Ad avviso della ricorrente, il fatto di infliggere l’ammenda massima ad una PMI è contrario ai principi fissati dalla giurisprudenza e dagli orientamenti della Commissione. Il Tribunale avrebbe convalidato questi ultimi indicando che poteva risultare appropriato ponderare gli importi determinati, «in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione, (...) e adattare di conseguenza il punto di partenza generale secondo la caratteristica specifica di ogni impresa» (sentenza del Tribunale 13 dicembre 2001, causa T‑48/98, Acerinox/Commissione, Racc. pag. II‑3859, punto 80). Nella citata sentenza Acerinox/Commissione, il Tribunale avrebbe altresì rigettato l’argomento invocato da una delle ricorrenti e fondato sull’esiguità delle quote di mercato di quest’ultima a motivo del fatto che bisognava fondamentalmente tener conto delle sue «dimensioni» e della sua «forza economica» (punti 89 e 90). In tal modo, il Tribunale avrebbe sottolineato che era essenziale tener conto delle dimensioni dell’impresa, indipendentemente dalle sue quote di mercato. Nel caso di specie, la Commissione avrebbe totalmente omesso di prendere in considerazione il fatto che la ricorrente è una PMI particolarmente modesta e che esisteva una «disparità considerevole» tra le dimensioni delle diverse imprese in questione.

49      La ricorrente ritiene che gli orientamenti non siano stati assolutamente concepiti per le PMI. Infatti, nel caso di infrazioni molto gravi, essi prevedrebbero un’ammenda «applicabile» superiore a EUR 20 milioni. Orbene, un’ammenda di tale importo presupporrebbe quantomeno un fatturato di EUR 200 milioni, vale dire un fatturato undici volte superiore a quello della ricorrente.

50      La ricorrente sostiene che una delle conseguenze del metodo arbitrario di fissazione delle ammende adottato dalla Commissione è che le grandi imprese vengono sanzionate in misura inferiore rispetto alle PMI. Essa ritiene, in primo luogo, per quanto riguarda il caso di specie, che sia manifestamente sproporzionato che grandi imprese si vedano infliggere ammende inferiori della metà a quelle delle PMI per infrazioni rigorosamente identiche. La ricorrente fa rinvio, a questo riguardo, ad una tabella contenuta nel ricorso introduttivo, nella quale viene indicato l’importo dell’ammenda inflitta a ciascuna delle imprese incriminate. La ricorrente sostiene che l’ammenda inflittale è l’ammenda massima e rappresenta praticamente il doppio di quella inflitta alla Heubach, malgrado che le infrazioni loro ascritte fossero di gravità e di durata rigorosamente identiche. A questo proposito, essa precisa che il suo ragionamento è formulato in termini di percentuale del fatturato e non di importi assoluti. In secondo luogo, la sproporzione sarebbe altrettanto manifesta ove si confronti l’ammenda inflitta alla ricorrente con quella inflitta ad altre imprese in casi analoghi. Infatti, nella decisione della Commissione 18 luglio 2001, 2001/716/CE, relativa ad un procedimento in forza dell’articolo 81 del Trattato CE e dell’articolo 53 dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (casi COMP.D.2 37.444 – SAS/Maersk Air e COMP.D.2 37.386 – Sun‑Air/SAS e Maersk Air) (GU L 265, pag. 15; in prosieguo: la «decisione SAS»), la società SAS sarebbe stata condannata ad un’ammenda pari allo 0,79% del suo fatturato mondiale dopo aver beneficiato di una riduzione del 10% ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, vale a dire un’ammenda undici volte meno elevata, in proporzione al fatturato, di quella inflitta alla ricorrente. Quest’ultima sottolinea che, per un’impresa che realizza un fatturato mondiale di quasi EUR 5 miliardi, un’ammenda corrispondente allo 0,79% del suo fatturato è insignificante, mentre per essa ricorrente, che realizza un fatturato di EUR 17 milioni, un’ammenda di EUR 1,53  milioni è una sanzione colossale (sentenza del Tribunale 6 luglio 2000, causa T‑62/98, Volkswagen/Commissione, Racc. pag. II‑2707, punti 336 e 347).

51      Per quanto riguarda l’allegazione della Commissione secondo cui le dimensioni della ricorrente sono state prese in considerazione, in quanto l’importo di partenza è stato fissato a EUR 3 milioni, e non a EUR 20 milioni come previsto dagli orientamenti, la ricorrente ribatte, nella sua replica, che la Commissione trascura completamente la valutazione dell’importanza dell’ammenda in rapporto a quella dell’impresa. Infatti, la Commisione ragionerebbe unicamente in termini di importi assoluti, negando così qualunque significato al riferimento al fatturato per valutare l’importanza di un’ammenda per un’impresa determinata. Orbene, gli orientamenti «non [osterebbero] a che tali fatturati vengano presi in considerazione nella determinazione dell’importo dell’ammenda al fine di rispettare i principi generali di diritto comunitario, nonché nel caso in cui le circostanze lo esigano» (sentenza HFB e a./Commissione, cit. supra al punto 27, punto 447). Nel caso di specie, la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione il fatturato in sede di determinazione dell’importo dell’ammenda al fine di evitare una violazione del principio di proporzionalità. Taluni importanti testi normativi, tra i quali il regolamento (CEE) del Consiglio 21 dicembre 1989, n. 4064, relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese [GU L 395, pag. 1, rettificato in GU 1990, L 257, pag. 13, come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 30 giugno 1997, n. 1310, GU L 180, pag. 1], nonché i testi disciplinanti le PMI dimostrerebbero il carattere essenziale del criterio del fatturato.

52      Quanto all’argomento della Commissione secondo cui non le si può addebitare il fatto che l’importo dell’ammenda inflitta a talune imprese sia superiore, in rapporto al fatturato, a quello dell’ammenda inflitta ad altre imprese implicate nella medesima infrazione, la ricorrente sostiene che la giurisprudenza in questione si applica soltanto alle imprese che si trovino in una situazione differente in rapporto agli elementi relativi alla «gravità» e alla «durata». Per contro, la giurisprudenza non darebbe alcuna risposta alla questione sollevata nella presente fattispecie, nella quale la sanzione inflitta alla ricorrente è, in rapporto al suo fatturato, quasi due volte superiore a quella inflitta alla Heubach, malgrado che tali due imprese si trovassero in una situazione identica.

53      La ricorrente sostiene che la violazione del principio di proporzionalità è tanto più manifesta nel caso di specie per il fatto che la Commissione avrebbe commesso errori di valutazione nel determinare l’importo dell’ammenda. In particolare, la detta istituzione non avrebbe tenuto conto né dei principi da essa formulati nei propri orientamenti né della propria prassi antecedente. In primo luogo, il fatto che la ricorrente, una PMI, non disponesse neppure di un servizio per gli affari legali non sarebbe stato preso in considerazione nella presente fattispecie. A questo proposito, la ricorrente ricorda che la Commissione ha rinunciato, in taluni casi, ad infliggere ammende alle piccole imprese che non conoscevano sufficientemente il diritto comunitario e il diritto nazionale [decisione della Commissione 15 dicembre 1982, 82/897/CEE, relativa ad una procedura di applicazione dell’articolo 85 del Trattato CEE (IV/C-30.128 – Toltecs‑Dorcet) (GU L 379, pag. 19)]. La ricorrente aggiunge, riferendosi al fatto che le imprese implicate hanno lasciato nelle loro agende l’indicazione di tutti gli incontri, che la Commissione non ha sufficientemente dimostrato che le dette imprese fossero veramente consapevoli del carattere illegittimo delle pratiche in questione.

54      In secondo luogo, la ricorrente asserisce che, in generale, la Commissione infligge ammende ridotte allorché applica per la prima volta le norme sulla concorrenza in un contesto nuovo [decisione della Commissione 27 ottobre 1992, 92/521/CEE, relativa ad una procedura ai sensi dell’articolo 85 del Trattato CEE (IV/33.384 e 33.378 – Distribuzione di pacchetti turistici in occasione della Coppa del mondo di calcio 1990) (GU L 326, pag. 31, punto 125)]. La ricorrente rileva come il comunicato stampa della Commissione nella presente fattispecie lasci intendere che è la prima volta che la detta istituzione persegue così severamente pratiche illecite alle quali hanno partecipato PMI, e da ciò conclude che non avrebbe dovuto esserle inflitta l’ammenda massima.

55      In terzo luogo, la ricorrente afferma che la Commissione non ha potuto addurre l’esistenza di un danno eccezionale per i consumatori. Al riguardo, la ricorrente fa valere le dimensioni del mercato del fosfato di zinco, giudicate «ridotte» dalla stessa Commissione (‘considerando’ 303 della decisione impugnata), l’esistenza di prodotti sostitutivi (‘considerando’ 45 della decisione impugnata) e le dimensioni degli acquirenti (‘considerando’ 51 della decisione impugnata).

56      Infine, la ricorrente ricorda che, secondo gli orientamenti, «il vantaggio economico o finanziario [eventualmente] realizzato dagli autori dell’infrazione» è un elemento importante per la valutazione dell’importo dell’ammenda. Orbene, la Commissione non ha mai asserito che la ricorrente avesse ritratto un qualunque beneficio dall’infrazione.

57      Per parte sua, la Commissione contesta gli argomenti della ricorrente. Essa afferma che l’ammenda inflitta a quest’ultima rappresenta il 9% del fatturato da essa realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente. Pertanto, l’affermazione della ricorrente secondo cui tale ammenda è «l’ammenda più elevata che potesse legittimamente essere adottata nei suoi confronti» sarebbe erronea, in quanto l’ammenda suddetta rappresentava meno del 10% del suo fatturato. Inoltre, la Commissione precisa che essa, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non soltanto ha inflitto sanzioni più severe di quella adottata nei confronti di quest’ultima, ma ha anche, in più occasioni, ridotto l’ammenda inflitta ad un’impresa al fine di rispettare il tetto massimo del 10% [decisione della Commissione 21 ottobre 1998, 1999/60/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 85 del Trattato CE (Caso n. IV/35.691/E-4 ­– Intesa tubi preisolati) (GU 1999, L 24, pag. 1; in prosieguo: la «decisione Tubi preisolati»), ‘considerando’ 176 (relativamente all’impresa Lögstör), e decisione della Commissione 12 luglio 2001, 2002/271/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 del Trattato CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (Caso COMP/E-1/36.490 – Elettrodi di grafite) (GU 2002, L 100, pag. 1), ‘considerando’ 199 (relativamente all’impresa UCAR)]. Inoltre, la Commissione contesta la fondatezza degli argomenti della ricorrente relativi al carattere sproporzionato dell’ammenda.

–       Giudizio del Tribunale

58      Ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, per determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto della durata e della gravità dell’infrazione. Il carattere proporzionato dell’ammenda va dunque valutato alla luce dell’insieme delle circostanze dell’infrazione (sentenza del Tribunale 20 aprile 1999, cause riunite da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. II‑931, punto 1215).

59      Nel caso di specie, è importante sottolineare che la ricorrente non nega di aver partecipato ad un’infrazione molto grave ai sensi degli orientamenti, e ciò dal 24 marzo 1994 al 13 maggio 1998, vale a dire per un periodo di più di quattro anni.

60      Oltre a ciò, si deve constatare che l’importo di partenza di EUR 3 milioni fissato dalla Commissione è nettamente inferiore alla soglia minima di EUR 20 milioni normalmente prevista dagli orientamenti per questo tipo di infrazione (v. punto 1 A, secondo comma, terzo trattino). L’ammenda infine inflitta alla ricorrente ammonta soltanto ad EUR 1,53 milioni. Tenuto conto, da un lato, della gravità dell’infrazione, della sua durata e del ruolo avuto dalla ricorrente nella commissione della medesima e, dall’altro, degli elementi addotti dalla ricorrente nella presente causa, il Tribunale ritiene che l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente medesima non sia sproporzionato.

61      Inoltre, occorre respingere la tesi della ricorrente secondo cui l’ammenda inflittale è sproporzionata tenuto conto delle sue dimensioni. Anzitutto, l’affermazione della ricorrente secondo cui essa «aveva la garanzia» di vedersi infliggere l’ammenda massima in quanto l’importo di partenza corrispondeva al 17% del suo fatturato mondiale non può essere condivisa. Se il comportamento della ricorrente lo avesse consentito, l’ammenda avrebbe infatti potuto essere considerevolmente ridotta sulla scorta di circostanze attenuanti ed ai sensi della comunicazione sulla cooperazione. Nel caso di specie, l’ammenda inflitta non rappresenta l’ammenda massima che la Commissione avrebbe potuto irrogare, in quanto è stata ridotta del 10% ai sensi della comunicazione sulla cooperazione.

62      Occorre poi ricordare, da un lato, che il solo riferimento espresso al fatturato contenuto nell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 riguarda il limite superiore che l’importo di un’ammenda non può eccedere e, dall’altro, che tale limite si intende riferito al fatturato complessivo (sentenza della Corte 7 giugno 1983, cause riunite da 100/80 a 103/80, Musique diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 119). Nel rispetto di tale limite, la Commissione può, in linea di principio, fissare l’ammenda a partire dal fatturato di sua scelta, in termini di base geografica e di prodotti interessati (sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T-25/95, T-26/95, da T-30/95 a T-32/95, da T-34/95 a T-39/95, da T-42/95 a T-46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T-65/95, da T-68/95 a T-71/95, T-87/95, T‑88/95, T-103/95 e T-104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491, punto 5023), senza essere obbligata a fare precisamente riferimento al fatturato complessivo o a quello realizzato sul mercato dei prodotti in questione. Infine, se è vero che gli orientamenti non prevedono il calcolo delle ammende in funzione di un determinato fatturato, è altresì vero che essi non ostano a che sia preso in considerazione un determinato fatturato, purché la scelta della Commissione non sia viziata da un manifesto errore di valutazione (sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, cit. supra al punto 38, punto 195).

63      Nel caso di specie, si deve ricordare come dalla decisione impugnata risulti che la Commissione ha reputato appropriato procedere ad un trattamento differenziato delle imprese al fine di tener conto dell’«effettiva capacità economica dei colpevoli di pregiudicare sensibilmente la concorrenza e al fine di fissare l’ammenda ad un livello che ne garantisca una sufficiente efficacia deterrente» (‘considerando’ 304 della decisione impugnata). La Commissione ha aggiunto che era necessario «tener conto del peso specifico delle singole società e quindi dell’effettivo impatto sulla concorrenza del loro comportamento illecito». Ai fini della valutazione di tali elementi, la Commissione ha scelto di basarsi sul fatturato ricavato dalle vendite di fosfato di zinco standard nel SEE nel corso dell’ultimo anno dell’infrazione. Essa rileva che la ricorrente era uno dei principali produttori di fosfato di zinco nel SEE, in quanto deteneva una quota di mercato del 20% circa, e l’ha dunque classificata nella prima categoria (‘considerando’ 308 della decisione impugnata). L’importo di partenza dell’ammenda è stato fissato, per tutte le imprese della prima categoria, a EUR 3 milioni. L’importo di partenza della James Brown, che aveva una quota di mercato del 5% circa, è stato fissato a EUR 750 000.

64      La Commissione, pur avendo confrontato l’importanza relativa delle imprese coinvolte sulla base del fatturato realizzato con le vendite di fosfato di zinco nel SEE, ha fatto riferimento anche alle quote di mercato delle imprese sul mercato in questione al fine di inquadrarle nelle due differenti categorie. Infatti, la Commissione ha calcolato le quote di mercato delle imprese implicate basandosi, da un lato, sui fatturati realizzati sul mercato in questione menzionati nella tabella contenuta nel ‘considerando’ 50 della decisione impugnata e, dall’altro, su informazioni contenute nel fascicolo. La fondatezza di tale metodo non è stata contestata dalla ricorrente.

65      Nell’analisi dell’«effettiva capacità economica dei colpevoli di pregiudicare sensibilmente la concorrenza », che implica una valutazione della reale importanza di tali imprese sul mercato interessato, vale a dire del loro influsso su quest’ultimo, il fatturato complessivo fornisce soltanto una visione incompleta dello stato dei fatti. Non si può escludere, infatti, che un’impresa potente avente una moltitudine di attività differenti sia presente soltanto in modo accessorio su uno specifico mercato di prodotti. Allo stesso modo, non si può escludere che un’impresa con una posizione importante su un mercato geografico extracomunitario disponga soltanto di una debole posizione sul mercato comunitario o su quello del SEE. In tali ipotesi, il semplice fatto che l’impresa in questione realizzi un fatturato complessivo importante non significa necessariamente che essa eserciti un influsso determinante sul mercato di cui trattasi. Tale è il motivo per cui la Corte ha sottolineato, nella sentenza 17 dicembre 1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione (Racc. pag. I‑8417, punto 139), che, se è vero che le quote di mercato detenute da un’impresa non possono essere determinanti per concludere che essa fa parte di un gruppo economico potente, le dette quote sono però rilevanti al fine di determinare l’influsso che l’impresa in questione ha potuto esercitare sul mercato (sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑224/00, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. II‑2597, punto 193). Nella fattispecie, la Commissione ha tenuto conto tanto della quota di mercato quanto del fatturato delle imprese in questione sul mercato di cui trattasi, elementi questi che avrebbero consentito di determinare l’importanza relativa di ciascuna impresa su tale mercato.

66      Ne consegue che la Commissione non ha commesso un errore manifesto di valutazione nella sua analisi della «effettiva capacità economica [degli autori dell’infrazione]», ai sensi del punto 1 A, quarto comma, degli orientamenti.

67      Inoltre, risulta da un raffronto dei fatturati realizzati sul mercato dalle imprese comprese nella prima categoria e menzionati nella tabella contenuta nel ‘considerando’ 50 della decisione impugnata che giustamente tali imprese sono state raggruppate e si sono viste infliggere un importo di partenza identico. Infatti, la ricorrente ha realizzato, nel 1998, un fatturato sul mercato in questione nel SEE di EUR 3,9 milioni. La Heubach, la Trident e la Union Pigments avevano realizzato fatturati di EUR 3,7 milioni, 3,69 milioni e 3,2 milioni rispettivamente. La Britannia, che nel 1998 non esercitava più alcuna attività economica, aveva realizzato, nel 1996, un fatturato sul mercato in questione nel SEE di EUR 2,78 milioni.

68      Occorre altresì rilevare che, come giustamente indicato dalla ricorrente, gli orientamenti stabiliscono, al punto 1 A, sesto comma, che una disparità «considerevole» nelle dimensioni delle imprese autrici di un’infrazione della stessa natura è, in particolare, idonea a giustificare una differenziazione ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione (v., in tal senso, sentenza Acerinox/Commissione, cit. supra al punto 48, punto 90). Inoltre, ai sensi della giurisprudenza, se è vero che la Commissione dispone di un certo margine di discrezionalità nella determinazione dell’importo delle ammende e che il calcolo dell’ammenda non deve obbedire ad una semplice formula matematica (sentenza del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑150/89, Martinelli/Commissione, Racc. pag. II‑1165, punto 59), l’importo delle ammende deve quantomeno essere proporzionato rispetto agli elementi presi in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione (sentenza Tate & Lyle e a./Commissione, cit. supra al punto 32, punto 106). Conseguentemente, qualora la Commissione suddivida le imprese interessate in gruppi ai fini della fissazione dell’importo delle ammende, la determinazione delle soglie di appartenenza a ogni singolo gruppo così individuato deve essere coerente ed obiettivamente giustificata (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punto 298, e 19 marzo 2003, causa T‑213/00, CMA CGM e a./Commissione, Racc. pag. II‑913; in prosieguo: la «sentenza FETTCSA», punto 416).

69      Certo, nel caso di specie, la ricorrente, pur avendo realizzato un fatturato complessivo di EUR 17 milioni nel 2000, è stata classificata nello stesso gruppo della Britannia, della Heubach, della Trident e della Union Pigments, che avevano rispettivamente un fatturato complessivo di EUR 55,7 milioni, 71 milioni, 76 milioni e 7 milioni. Tuttavia, da ciò non è possibile inferire una violazione del principio di proporzionalità. Come chiarito sopra ai punti 63 e 64, tali diverse imprese sono state raggruppate in quanto avevano fatturati sul mercato in questione e quote di mercato che erano assai simili. Era coerente ed obiettivamente giustificato raggruppare le imprese su tale base. Inoltre, il Tribunale ritiene che la diversità delle dimensioni della ricorrente rispetto a quelle delle altre imprese coinvolte non fosse di importanza tale per cui essa avrebbe dovuto essere inquadrata in un gruppo differente (v., in tal senso, sentenza Daesang e Sewon Europe/Commissione, cit. supra al punto 39, punti 69‑77).

70      Occorre rilevare, ad abundantiam, che, nelle circostanze della presente fattispecie, si è tenuto sufficientemente conto del fatturato complessivo della ricorrente in sede di applicazione del tetto massimo del 10% previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Come indicato sopra ai punti 16 e 17, l’importo dell’ammenda della ricorrente è stato ridotto a EUR 1,7 milioni al fine di rispettare il detto tetto massimo, prima di essere ulteriormente ridotto ad EUR 1,53 milioni per la cooperazione fornita. Il tetto massimo del 10% è inteso ad evitare che le ammende siano sproporzionate rispetto all’importanza dell’impresa (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 62, punto 119). L’applicazione di tale limite massimo nel caso di specie ha garantito che l’ammenda inflitta alla ricorrente fosse proporzionata alle sue dimensioni. In considerazione del carattere molto grave dell’infrazione e del fatto che quest’ultima è durata per più di quattro anni, l’importo dell’ammenda avrebbe potuto essere molto più elevato se la ricorrente non fosse stata una piccola impresa e non avesse beneficiato del tetto massimo del 10%.

71      La ricorrente sostiene che è manifestamente sproporzionato che le grandi imprese si vedano infliggere ammende inferiori della metà rispetto a quelle delle PMI per infrazioni identiche. Essa adduce il fatto che, con un fatturato di EUR 17,08 milioni, si è vista infliggere un’ammenda corrispondente al 9% circa del suo fatturato, mentre l’ammenda inflitta alla Heubach, che aveva un fatturato di EUR 71,018 milioni, corrispondeva soltanto al 5,3% di quest’ultimo.

72      In risposta a tali allegazioni, occorre osservare, anzitutto, che la Commissione ha inflitto un’ammenda di EUR 3,78 milioni alla Heubach ed un’ammenda di EUR 1,53 milioni alla ricorrente. Pertanto, malgrado che tali due imprese abbiano partecipato ad un’infrazione molto grave per un periodo di più di quattro anni ed abbiano avuto un’importanza simile sul mercato (v. supra, punto 67), l’ammenda della Heubach rappresenta più del doppio di quella della ricorrente.

73      La Commissione, non essendo obbligata ad effettuare il calcolo dell’importo dell’ammenda partendo da importi basati sul fatturato delle imprese in questione, non è tenuta neppure a garantire, nel caso in cui delle ammende vengano inflitte a più imprese implicate in una medesima infrazione, che gli importi finali delle ammende alle quali conduce il suo calcolo per le imprese coinvolte rendano conto di qualsiasi differenza tra queste ultime quanto al loro fatturato complessivo o al loro fatturato sul mercato del prodotto in questione (sentenza Dansk Rørindustri/Commissione, cit. supra al punto 30, punto 202).

74      A questo proposito, occorre precisare che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 non impone neppure che, qualora delle ammende vengano inflitte a più imprese implicate in una medesima infrazione, l’importo dell’ammenda inflitta ad un’impresa di dimensioni piccole o medie non sia superiore, in termini di percentuale del fatturato, a quello delle ammende inflitte alle imprese più grandi. Infatti, risulta dalla detta disposizione che, tanto per le imprese di dimensioni piccole o medie quanto per le imprese di dimensioni superiori, occorre prendere in considerazione, per determinare l’importo dell’ammenda, la gravità e la durata dell’infrazione. Qualora la Commissione infligga, alle imprese implicate in una medesima infrazione, ammende giustificate, per ciascuna di esse, in rapporto alla gravità e alla durata dell’infrazione, non può addebitarsi alla detta istituzione il fatto che, per talune di queste imprese, l’importo dell’ammenda sia superiore, in proporzione al fatturato, a quello di altre imprese (sentenza Dansk Rørindustri/Commissione, cit. supra al punto 30, punto 203).

75      La ricorrente asserisce che i principi fissati dal Tribunale nella sentenza Dansk Rørindustri/Commissione, cit. supra al punto 30, si applicano soltanto nel caso di imprese che si trovino in una situazione differente in rapporto agli elementi relativi alla gravità e alla durata dell’infrazione. Orbene, è ovvio che, se le imprese in questione si trovano in una situazione differente, la Commissione non è obbligata a garantire che gli importi dell’ammenda rendano conto di qualsiasi diversità tra le imprese stesse quanto al loro fatturato complessivo o al loro fatturato sul mercato del prodotto in questione. I detti principi si applicano anche se le imprese in questione si trovano in una situazione identica.

76      Va respinto anche l’argomento della ricorrente secondo cui il carattere sproporzionato dell’ammenda inflitta è manifesto qualora tale ammenda venga confrontata con quella inflitta ad altre imprese in casi analoghi. Infatti, la Commissione non può essere obbligata a fissare ammende proporzionate ai fatturati e perfettamente coerenti rispetto a quelle fissate in altri casi precedenti.

77      Occorre sottolineare, a questo proposito, che la prassi decisionale antecedente della Commissione non funge di per sé quale quadro giuridico‑normativo per le ammende in materia di concorrenza. Il fatto che la Commissione abbia applicato, in passato, ammende di un certo livello a taluni tipi di infrazioni non vale a privare la detta istituzione della possibilità di aumentare tale livello entro i limiti indicati dal regolamento n. 17, ove ciò sia necessario per garantire l’attuazione della politica comunitaria in materia di concorrenza (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 62, punto 109, e sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, cit. supra al punto 38, punto 243).

78      Inoltre, qualora la Commissione infligga alle imprese implicate in una medesima infrazione ammende giustificate, per ciascuna di esse, in rapporto alla gravità e alla durata dell’infrazione stessa, non può censurarsi la detta istituzione per il fatto che, per talune di tali imprese, l’importo dell’ammenda è superiore, in rapporto al fatturato, a quello di altre imprese in casi precedenti (v., in tal senso, sentenza LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 68, punto 278).

79      Occorre aggiungere che la gravità delle infrazioni va accertata sulla scorta di un gran numero di elementi come, segnatamente, le circostanze proprie al caso di specie, il suo contesto e l’effetto dissuasivo delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (sentenza della Corte 17 luglio 1997, causa C‑219/95 P, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. I‑4411, punto 33, e sentenza LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 68, punto 236). Orbene, i dati pertinenti, quali i mercati, i prodotti, i paesi, le imprese e i periodi in questione variano da caso a caso. Ne consegue che la Commissione non può essere obbligata ad infliggere ammende rispecchianti la medesima proporzione dei fatturati in tutti i casi paragonabili sotto il profilo della gravità (sentenza del Tribunale 13 gennaio 2004, causa T‑67/01, JCB Service/Commissione, Racc. pag. II‑49, punti 187‑189).

80      Occorre inoltre rilevare che, anche se l’ammenda inflitta dalla Commissione nella decisione SAS, fatta valere dalla ricorrente (v. supra, punto 50), non rappresentava una percentuale molto elevata del fatturato dell’impresa in questione, essa era comunque assai cospicua, in quanto ammontava a quasi EUR 40 milioni. Per contro, se la Commissione fosse stata obbligata ad infliggere alla ricorrente un’ammenda pari allo 0,79% del suo fatturato, come aveva fatto nella decisione SAS, tale ammenda, che sarebbe ammontata ad EUR 134 939, non avrebbe chiaramente avuto alcun effetto dissuasivo.

81      Anche le allegazioni della ricorrente relative a presunti errori di valutazione debbono essere respinte.

82      In primo luogo, la Commissione era legittimata a non tener conto del fatto che la ricorrente non disponeva di un servizio per gli affari legali. Ai sensi degli orientamenti, «si potrà inoltre tenere conto del fatto che generalmente le imprese di grandi dimensioni dispongono quasi sempre di conoscenze e di infrastrutture giuridico‑economiche che consentono loro di essere maggiormente consapevoli del carattere di infrazione del loro comportamento e delle conseguenze che ne derivano sotto il profilo del diritto della concorrenza» (punto 1 A, quinto comma). Come giustamente rilevato dalla Commissione, tale comma le consente di aumentare le ammende delle imprese di grandi dimensioni, ma non le impone di ridurre quelle fissate per imprese di dimensioni modeste. Oltre a ciò, posto che l’incompatibilità dell’intesa in questione con le norme sulla concorrenza è esplicitamente affermata all’art. 81, n. 1, lett. a)‑c), CE ed è altresì sancita da una costante giurisprudenza, la ricorrente non può asserire che non conosceva sufficientemente la pertinente normativa. Inoltre, risulta dalla decisione impugnata che le imprese incriminate erano ben consapevoli dell’illiceità di un’intesa che prevedeva la fissazione di prezzi indicativi, la ripartizione del mercato e l’assegnazione di clienti (‘considerando’ 99‑100, 125 e 253).

83      Ad ogni modo, perché un’infrazione alle norme sulla concorrenza possa essere considerata intenzionale, non è necessario che l’impresa sia stata consapevole di violare tali norme, ma è sufficiente che essa non potesse ignorare che il proprio comportamento aveva come scopo la restrizione della concorrenza (sentenze del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑143/89, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. II‑917, punto 41, e 16 dicembre 2003, cause riunite T‑5/00 e T‑6/00, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied/Commissione, Racc. pag. II‑5761, punti 396 e 397).

84      In secondo luogo, occorre respingere l’argomento della ricorrente secondo cui la Commissione avrebbe dovuto infliggere ammende ridotte per il fatto che era la prima volta che perseguiva così severamente pratiche illecite alle quali partecipavano delle PMI. Infatti, la Commissione non è tenuta a ridurre le ammende qualora agisca per la prima volta in un settore particolare. Oltre a ciò, nulla obbliga la Commissione a ridurre le ammende qualora le imprese coinvolte siano delle PMI. Le dimensioni dell’impresa vengono infatti prese in considerazione dal tetto massimo fissato dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dalle disposizioni degli orientamenti. A parte tali considerazioni relative alle dimensioni, non vi è alcuna ragione di trattare le PMI diversamente dalle altre imprese. Il fatto che le imprese siano PMI non le esonera dal loro dovere di rispettare le norme sulla concorrenza, così come giustamente fatto valere dalla Commissione (v. ‘considerando’ 343 della decisione impugnata).

85      Inoltre, non si può asserire che, nella fattispecie, la Commissione abbia agito in un contesto nuovo sotto questo profilo. Nella decisione Tubi preisolati essa aveva infatti già inflitto ammende elevate a PMI che avevano preso parte a pratiche illecite.

86      In terzo luogo, la ricorrente fa leva sul fatto che la Commissione non ha addotto l’esistenza di un danno eccezionale causato ai consumatori. Al riguardo, è sufficiente constatare come dall’assenza di tale danno eccezionale non possa concludersi che l’ammenda in questione fosse sproporzionata. Inoltre, la Commissione ha preso in considerazione, in modo indiretto, il fatto che l’infrazione non ha causato un danno siffatto. Da un lato, essa ha considerato le ridotte dimensioni del mercato in questione per fissare l’importo di partenza a EUR 3 milioni (‘considerando’ 303 della decisione impugnata). Dall’altro, essa ha riconosciuto che il contesto economico nel quale l’infrazione si era verificata era difficile, segnatamente per il fatto che i clienti delle imprese interessate avevano un forte potere d’acquisto (considerando’ 339 della decisione impugnata).

87      La ricorrente fa valere che la Commissione non ha potuto addurre l’esistenza di un danno eccezionale per i consumatori in considerazione dell’«esistenza di prodotti sostitutivi». Tale argomento non può rimettere in discussione la conclusione menzionata al punto 86 di cui sopra. Inoltre, all’udienza, la ricorrente ha chiarito, nel fare riferimento all’esistenza di prodotti sostitutivi, che intendeva che la Commissione non aveva compiuto alcuna analisi sufficientemente approfondita del mercato e che l’infrazione non aveva avuto alcun effetto concreto. A questo riguardo, è giocoforza constatare che la ricorrente, nelle sue memorie, ha sommariamente fatto menzione dei prodotti sostitutivi nell’ambito di un argomento sussidiario relativo alla proporzionalità dell’ammenda e, in particolare, all’assenza di un danno eccezionale causato ai consumatori. È chiaro che essa non ha in generale messo in discussione gli effetti dell’infrazione e non ha contestato la definizione del mercato.

88      Ad ogni modo, come statuito nella sentenza pronunciata dal Tribunale in data odierna nella causa T‑64/02, Heubach/Commissione (Racc. pag. II‑5137), la Commissione era legittimata a concludere che l’infrazione in questione aveva avuto effetti reali. In particolare, la Commissione ha sufficientemente dimostrato che l’accordo sulle quote di vendita, «pietra angolare» dell’intesa (‘considerando’ 66 della decisione impugnata), era stato attuato in maniera scrupolosa e che, su base annua, «le quote di mercato reali dei cinque produttori hanno in sostanza coinciso con quelle assegnate» (‘considerando’ 72 della decisione impugnata). Oltre a ciò, la Commissione ha fornito la prova del fatto che l’accordo sui prezzi ha avuto un impatto concreto sul mercato. Occorre sottolineare, a questo riguardo, che, secondo obiettive constatazioni formulate dalla Union Pigments e dalla Trident, le principali imprese che hanno cooperato con la Commissione, le iniziative sui prezzi hanno prodotto un effetto sul livello dei prezzi di mercato. Più in generale, alla luce del fatto che l’intesa aveva come obiettivo, tra gli altri, la fine di una guerra dei prezzi e che le pratiche incriminate sono state applicate per un periodo di più di quattro anni, il Tribunale ritiene che le imprese in questione siano essenzialmente riuscite a porre fine alla detta guerra dei prezzi ed abbiano così adattato i loro prezzi per raggiungere un livello di prezzi di transazione superiore a quello che si sarebbe imposto in assenza di intesa.

89      Infine, quanto all’argomento della ricorrente secondo cui la Commissione non ha tenuto conto del fatto che essa non aveva praticamente realizzato alcun utile grazie alle vendite del prodotto in questione, occorre ricordare che, se è vero che l’importo dell’ammenda irrogata deve essere proporzionato alla durata dell’infrazione e agli altri fattori che possono entrare nella valutazione della gravità di quest’ultima, tra i quali rientra il vantaggio che l’impresa interessata ha potuto trarre dalle proprie pratiche (sentenza del Tribunale 21 ottobre 1997, causa T‑229/94, Deutsche Bahn/Commissione, Racc. pag. II‑1689, punto 127), la circostanza che un’impresa non abbia tratto alcun vantaggio dall’infrazione non può impedire, a termini della giurisprudenza, l’irrogazione di un’ammenda, poiché diversamente quest’ultima perderebbe il suo carattere dissuasivo (sentenze Ferriere Nord/Commissione, cit. supra al punto 83, punto 53, e FETTCSA, punto 340).

90      Ne consegue che la Commissione non è tenuta, ai fini della fissazione dell’importo delle ammende, a prendere in considerazione l’assenza di vantaggi derivanti dall’infrazione in questione (sentenze Cimenteries CBR e a./Commissione, cit. supra al punto 62, punto 4881, e FETTCSA, punto 341).

91      Sebbene la Commissione possa, ai sensi degli orientamenti da essa emanati (punto 2, primo comma, quinto trattino) e sulla scorta delle circostanze aggravanti, aumentare la sanzione al fine di superare l’importo dei guadagni illeciti realizzati grazie all’infrazione, tale possibilità non significa che la Commissione si sia ormai imposta l’onere di dimostrare in qualsiasi caso, ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, il vantaggio economico connesso all’infrazione constatata (sentenza FETTCSA, punti 342 e 343). In altri termini, l’assenza di un vantaggio di questo tipo non può essere considerata come una circostanza attenuante.

92      Nel caso di specie, la Commissione non ha fondato la decisione impugnata sui profitti che gli autori dell’infrazione avevano ricavato da quest’ultima. Alla luce della giurisprudenza richiamata ai punti 89‑91 di cui sopra, essa non ha commesso alcun errore manifesto di valutazione a questo proposito.

93      Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che la prima parte del secondo motivo non può essere accolta.

 Quanto alla seconda parte del motivo, relativa al fatto che la Commissione ha tenuto conto del fatturato mondiale della ricorrente per stabilire il tetto massimo del 10%

–       Argomenti delle parti

94      La ricorrente fa valere che il principio di proporzionalità è stato violato per il fatto che la Commissione ha tenuto conto del fatturato mondiale delle imprese per determinare il tetto massimo del 10% previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Essa ricorda che, secondo la giurisprudenza, la Commissione deve evitare di attribuire al fatturato applicabile nella determinazione dell’importo delle ammende un «peso eccessivo rispetto agli altri criteri di valutazione» (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 62, punto 121). Secondo la dottrina, tale passaggio conterrebbe «un avvertimento contro un’applicazione puramente matematica della regola del 10 per cento, che rischierebbe di entrare in conflitto con il (...) “principio di proporzionalità”» (Van Bael, I., e Bellis, J.F., Droit de la concurrence de la Communauté économique européenne, Bruylant, Bruxelles, 1991, pag. 648). La Commissione riconoscerebbe, nella decisione impugnata, che, per determinare l’importo di base dell’ammenda, è necessario tener conto dell’effetto reale del comportamento illecito sulla concorrenza (‘considerando’ 305 della decisione impugnata). Al riguardo, la detta istituzione avrebbe ritenuto adeguato utilizzare il fatturato realizzato con il prodotto in questione nel SEE come base di comparazione dell’importanza relativa delle imprese coinvolte sul mercato in questione (‘considerando’ 307 della decisione impugnata). Pertanto, la Commissione avrebbe dovuto proseguire fino in fondo il proprio ragionamento e calcolare il tetto massimo del 10% per la ricorrente in rapporto al suo fatturato europeo, che rappresenta meno di un quarto del suo fatturato mondiale.

95      La Commissione afferma di aver preso in considerazione le rispettive quote di mercato dei membri dell’intesa nel SEE al fine di stabilire l’importo di partenza delle ammende. Tale metodo non avrebbe alcun rapporto con il fatto che, a norma dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, l’importo dell’ammenda che può essere inflitta ad un’impresa non può eccedere il 10% del suo fatturato mondiale.

–       Giudizio del Tribunale

96      La seconda parte del secondo motivo non può essere accolta. Infatti, da un lato, risulta chiaramente dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, nonché dalla giurisprudenza, che il limite massimo del 10% mira ad evitare che le ammende siano sproporzionate in rapporto all’importanza dell’impresa in questione (v. supra, punto 70). Occorre dunque utilizzare il fatturato complessivo per stabilire tale tetto massimo (sentenze Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 62, punto 119, e HFB e a./Commissione, cit. supra al punto 27, punto 541). Dall’altro lato, la presa in considerazione del fatturato realizzato con la vendita del prodotto costituente l’oggetto dell’infrazione nel mercato geografico in questione serve ad accertare, nella valutazione della gravità dell’infrazione, la portata del comportamento di ciascuna delle imprese su tale mercato. Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, nulla osta a che fatturati differenti vengano utilizzati per scopi distinti. Occorre pertanto respingere la seconda parte del secondo motivo.

 Quanto alla terza parte del motivo, relativa al fatto che la Commissione non ha tenuto conto del rapporto tra il fatturato complessivo della ricorrente ed il fatturato da questa realizzato con la vendita del prodotto in questione

–       Argomenti delle parti

97      La ricorrente afferma che la Commissione doveva tener conto, per valutare la gravità dell’infrazione, del fatto che il fatturato da essa realizzato con la vendita del prodotto in questione era modesto in rapporto al suo fatturato complessivo, quale risultante dalla vendita di tutti i prodotti indistintamente considerati (sentenza del Tribunale 14 luglio 1994, causa T‑77/92, Parker Pen/Commissione, Racc. pag. II‑549, punto 94).

98      La Commissione fa osservare che la sentenza Parker Pen/Commissione, cit. supra al punto 97, è stata pronunciata in un’epoca in cui gli importi di base delle ammende venivano fissati in proporzione al fatturato delle imprese. Attualmente, il fatturato complessivo rientrerebbe tra i numerosi elementi dei quali la Commissione può tenere conto, sotto il controllo del giudice, ma non si tratterebbe di un elemento che essa deve necessariamente prendere in considerazione. La Commissione afferma, più in particolare, che, come dichiarato dal Tribunale nella sentenza 14 maggio 1998, causa T‑327/94, SCA Holding/Commissione (Racc. pag. II‑1373, punto 184), «essa non ha l’obbligo di considerare, per valutare la gravità dell’infrazione, il nesso esistente tra il fatturato complessivo di un’impresa e il fatturato proveniente dalle merci oggetto dell’infrazione».

–       Giudizio del Tribunale

99      Occorre anzitutto ricordare che una giurisprudenza consolidata osta a che sia attribuito all’uno o all’altro dei diversi fatturati un peso eccessivo rispetto agli altri criteri di valutazione, sicché la fissazione di un’ammenda adeguata non può essere il risultato di un semplice calcolo basato sul fatturato complessivo, segnatamente nel caso in cui le merci in questione rappresentino solo una piccola parte di tale fatturato (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 62, punti 120 e 121, e sentenza Parker Pen/Commissione, cit. supra al punto 97, punto 94). Il Tribunale ha così accolto, nella sentenza Parker Pen/Commissione, cit. supra al punto 97, il motivo relativo ad una violazione del principio di proporzionalità in quanto la Commissione non aveva preso in considerazione il fatto che il fatturato realizzato con i prodotti oggetto dell’infrazione era relativamente modesto rispetto a quello costituito dall’insieme delle vendite realizzate dall’impresa interessata.

100    Nel caso di specie, posto che la Commissione non ha basato il proprio calcolo dell’importo dell’ammenda da infliggere alla ricorrente sul suo fatturato complessivo, quest’ultima non può invocare utilmente la sentenza Parker Pen/Commissione, cit. supra al punto 97 (sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑31/99, ABB Asea Brown Boveri/Commissione, Racc. pag. II‑1881, punto 156).

101    Risulta dalla decisione impugnata (v. ‘considerando’ 262‑309) che, in conformità della giurisprudenza, la Commissione ha tenuto conto di tutta una serie di elementi diversi dal fatturato complessivo al fine di fissare l’ammenda, tra i quali la natura dell’infrazione, i suoi effetti reali, l’importanza delle imprese coinvolte sul mercato, la portata dissuasiva delle ammende e le ridotte dimensioni del mercato in questione (v., in tal senso, sentenze ABB Asea Brown Boveri/Commissione, cit. supra al punto 100, punto 157; Tokai Carbon e a./Commissione, cit. supra al punto 38, punto 202, e Daesang e Sewon Europe/Commissione, cit. supra al punto 39, punto 60).

102    Ad ogni modo, come giustamente rilevato dalla Commissione, è giocoforza constatare come il fatturato realizzato dalla ricorrente con le vendite di fosfato di zinco rappresenti una parte relativamente importante del fatturato complessivo di quest’ultima, vale a dire più del 22,83%. Di conseguenza, non è possibile asserire che la ricorrente abbia realizzato soltanto una parte esigua del proprio fatturato complessivo sul mercato in questione.

103    Per tali ragioni, occorre respingere la terza parte del secondo motivo. Il secondo motivo va dunque respinto nella sua interezza.

 Quanto al terzo motivo, relativo ad una violazione del principio di non discriminazione

 Argomenti delle parti

104    La ricorrente fa valere che il metodo di determinazione delle ammende utilizzato nella fattispecie è discriminatorio, in quanto, per talune imprese, la Commissione ha fissato un importo di partenza superiore al tetto massimo di legge.

105    In primo luogo, la ricorrente ribadisce che, procedendo in tal modo, la Commissione le ha inflitto d’ufficio un’ammenda pari al massimo di legge. Per contro, le imprese aventi fatturati più rilevanti del suo, ma poste in una situazione assolutamente identica quanto alla gravità e alla durata dell’infrazione, avevano la garanzia di vedersi infliggere un’ammenda inferiore al massimo di legge in quanto, nel loro caso, l’importo di partenza era inferiore al massimo di legge previsto. La ricorrente ritiene che la violazione del principio di non discriminazione sia particolarmente evidente qualora la sua situazione venga confrontata a quella della Heubach. Malgrado il fatto che la Commissione non abbia rilevato alcuna differenza tra tali due imprese nella determinazione dell’importo delle ammende, l’ammenda inflitta alla Heubach rappresenterebbe il 5,3% del suo fatturato, mentre quella inflitta alla ricorrente sarebbe pari al 9% del suo fatturato. La ricorrente si vedrebbe dunque infliggere un’ammenda corrispondente ad una percentuale del fatturato pari al 170% dell’ammenda della Heubach. Un trattamento così differente e totalmente ingiustificato verso le due imprese costituirebbe una discriminazione significativa. Tale violazione del principio di non discriminazione si spiegherebbe con il rifiuto assoluto della Commissione di prendere in considerazione il fatturato per determinare l’ammenda inflitta.

106    Nella sua replica, la ricorrente respinge l’interpretazione che la Commissione fornisce della sentenza Dansk Rørindustri/Commissione, cit. supra al punto 30.

107    In secondo luogo, essa sostiene che il metodo adottato dalla Commissione avrebbe come conseguenza di portare alla medesima sanzione, vale a dire il massimo di legge, nel caso di due imprese la cui partecipazione all’infrazione abbia invece avuto durata differente. La ricorrente afferma che due imprese con un medesimo importo di partenza superiore al tetto massimo del 10%, ma che abbiano partecipato all’infrazione l’una soltanto per un anno e l’altra per cinque anni, si vedrebbero alla fine entrambe infliggere la medesima ammenda corrispondente al 10% del fatturato mondiale. Ciò costituirebbe un’esplicazione particolarmente chiara della violazione del principio di parità di trattamento nel caso di specie.

108    La Commissione nega che la ricorrente abbia subito un trattamento discriminatorio. Infatti, malgrado che la sua capacità di arrecare un pregiudizio alla concorrenza fosse uguale a quella della Heubach, l’ammenda inflitta alla ricorrente sarebbe stata ridotta da EUR 4,2 milioni a EUR 1,53 milioni in applicazione, precisamente, del limite massimo del 10% del fatturato complessivo fissato dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. La Commissione ritiene che la differenza di trattamento, a favore della ricorrente, non possa essere considerata come una discriminazione e sia, ai sensi della giurisprudenza del Tribunale (sentenze Brugg Rohrsysteme/Commissione, cit. supra al punto 34, punto 155, e LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 68, punto 300), la conseguenza diretta del limite massimo stabilito per le ammende dal regolamento n. 17.

 Giudizio del Tribunale

109    Secondo una costante giurisprudenza, il principio di parità di trattamento risulta violato soltanto quando situazioni analoghe vengono trattate in maniera differente o quando situazioni differenti vengono trattate in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. supra al punto 65, punto 69, e sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑311/94, BPB de Eendracht/Commissione, Racc. pag. II‑1129, punto 309).

110    Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, il fatto che nel suo caso l’importo di partenza fosse superiore al tetto massimo del 10% non ha avuto come effetto che le venisse inflitta d’ufficio l’ammenda massima (v. supra, punto 61).

111    Occorre ricordare che, al fine di tener conto della capacità economica delle imprese interessate e di fissare le ammende ad un livello atto a garantire un sufficiente effetto dissuasivo, la Commissione ha inquadrato la ricorrente, nonché la Heubach, la Trident, la Britannia e la Union Pigments, nella prima categoria (‘considerando’ 304 della decisione impugnata). Dal fatto che il fatturato complessivo della ricorrente fosse inferiore a quello realizzato dalla Heubach, dalla Trident e dalla Britannia non è possibile inferire una violazione del principio di parità di trattamento.

112    Infatti, come indicato sopra al punto 69, il raffronto dei fatturati realizzati nel SEE con le vendite del prodotto in questione rivela che giustamente tali imprese sono state riunite in un medesimo gruppo e si sono viste assegnare un identico importo di partenza.

113    Inoltre, sebbene la ricorrente e la Heubach abbiano entrambe partecipato ad un’infrazione molto grave per un periodo di più di quattro anni, l’ammenda finale inflitta alla ricorrente, pari ad EUR 1,53 milioni, rappresenta meno della metà di quella inflitta alla Heubach, vale a dire EUR 3,78 milioni. Tale diversità di trattamento, a favore della ricorrente, è obiettivamente giustificata tenuto conto della differenza di dimensioni delle due imprese, motivo per cui la ricorrente ha beneficiato del limite massimo previsto dal regolamento n. 17.

114    Inoltre, posto che la Commissione non è tenuta a garantire che gli importi finali delle ammende ai quali il suo calcolo conduce per le imprese in questione rendano conto di qualsiasi differenza tra queste ultime quanto al loro fatturato (v. supra, punto 74), la ricorrente non può addebitare alla detta istituzione di essersi vista infliggere un’ammenda superiore, in termini di percentuale del fatturato complessivo, a quella inflitta alla Heubach (sentenza Dansk Rørindustri/Commissione, cit. supra al punto 30, punto 210).

115    Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui il metodo adottato dalla Commissione ha come conseguenza di portare alla stessa sanzione nel caso di due imprese la cui partecipazione all’infrazione abbia però avuto durata differente, è sufficiente constatare come esso non riguardi i fatti in questione e sia dunque puramente ipotetico.

116    Infine, occorre notare, per quanto riguarda il principio di parità di trattamento, alla luce di quanto sopra esposto, che l’applicazione degli orientamenti nel caso di specie ha permesso di garantire che le due parti di cui si compone il detto principio fossero rispettate. Da un lato, tutte le imprese implicate avevano una responsabilità comune e paragonabile in quanto hanno tutte partecipato ad un’infrazione molto grave. Pertanto, in un primo tempo, tale responsabilità è stata valutata sulla base degli elementi propri dell’infrazione, quali la sua natura e il suo impatto sul mercato. Dall’altro lato, in un secondo tempo, la Commissione ha modulato tale valutazione sulla base delle circostanze peculiari di ciascuna impresa interessata, ivi comprese le sue dimensioni e le sue capacità, la durata della sua partecipazione e la sua cooperazione.

117    Pertanto, il terzo motivo deve essere respinto perché infondato.

118    Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che il ricorso deve essere respinto nella sua interezza.

 Sulle spese

119    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La ricorrente è condannata alle spese.

Lindh

García-Valdecasas

Cooke

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 29 novembre 2005.

Il cancelliere

 

       Il presidente

E. Coulon

 

       P. Lindh


* Lingua processuale: il francese.