Language of document : ECLI:EU:C:2022:602

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

1° agosto 2022 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Libera circolazione delle persone – Parità di trattamento – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 24, paragrafi 1 e 2 – Prestazioni di sicurezza sociale – Regolamento (CE) n. 883/2004 – Articolo 4 – Prestazioni familiari – Esclusione dei cittadini di altri Stati membri economicamente inattivi durante i primi tre mesi di soggiorno nello Stato membro ospitante»

Nella causa C‑411/20,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Finanzgericht Bremen (Tribunale tributario di Brema, Germania), con decisione del 20 agosto 2020, pervenuta in cancelleria il 2 settembre 2020, nel procedimento

S

contro

Familienkasse Niedersachsen-Bremen der Bundesagentur für Arbeit,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, L. Bay Larsen, vicepresidente, A. Arabadjiev, A. Prechal, K. Jürimäe (relatrice), C. Lycourgos, E. Regan, N. Jääskinen e I. Ziemele, presidenti di sezione, M. Ilešič, F. Biltgen, P.G. Xuereb e N. Wahl, giudici,

avvocato generale: M. Szpunar

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il governo tedesco, da J. Möller e R. Kanitz, in qualità di agenti;

–        per il governo ceco, da J. Pavliš, M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;

–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da D. Martin e B.-R. Killmann, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 dicembre 2021,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4 del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU 2004, L 166, pag. 1, e rettifica in GU 2004, L 200, pag. 1), nonché dell’articolo 24 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77 e rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35 e GU 2014, L 305, pag. 116).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia sorta tra S, cittadina dell’Unione originaria di uno Stato membro diverso dalla Repubblica federale di Germania, e la Familienkasse Niedersachsen-Bremen der Bundesagentur für Arbeit (Cassa per gli assegni familiari per la Bassa Sassonia e Brema dell’Agenzia federale per l’impiego, Germania; in prosieguo: la «Cassa per gli assegni familiari») in merito al rigetto, da parte di quest’ultima, della domanda di assegni familiari presentata da S per il periodo corrispondente ai primi tre mesi del suo soggiorno in Germania.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

 Regolamento n. 883/2004

3        L’articolo 1, lettere j), k) e z), del regolamento n. 883/2004 contiene le seguenti definizioni ai fini del medesimo regolamento:

«j)      “residenza”, il luogo in cui una persona risiede abitualmente;

k)      “dimora”, la residenza temporanea;

(...)

z)      “prestazione familiare”, tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari, ad esclusione degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni speciali di nascita o di adozione menzionati nell’allegato I».

4        Per quanto riguarda l’ambito di applicazione «ratione personae» di detto regolamento, l’articolo 2, paragrafo 1, di quest’ultimo enuncia:

«Il presente regolamento si applica ai cittadini di uno Stato membro, agli apolidi e ai rifugiati residenti in uno Stato membro che sono o sono stati soggetti alla legislazione di uno o più Stati membri, nonché ai loro familiari e superstiti».

5        In merito all’ambito di applicazione «ratione materiae» di detto regolamento, l’articolo 3, paragrafo 1, di quest’ultimo dispone quanto segue:

«Il presente regolamento si applica a tutte le legislazioni relative ai settori di sicurezza sociale riguardanti:

(...)

j)      le prestazioni familiari».

6        Ai sensi dell’articolo 4 del regolamento n. 883/2004, rubricato «Parità di trattamento»:

«Salvo quanto diversamente previsto dal presente regolamento, le persone alle quali si applica il presente regolamento godono delle stesse prestazioni e sono soggette agli stessi obblighi di cui alla legislazione di ciascuno Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato».

7        L’articolo 11 del medesimo regolamento stabilisce le norme generali relative alla determinazione della legislazione applicabile:

«1.      Le persone alle quali si applica il presente regolamento sono soggette alla legislazione di un singolo Stato membro. Tale legislazione è determinata a norma del presente titolo.

(...)

3.      Fatti salvi gli articoli da 12 a 16:

a)      una persona che esercita un’attività subordinata o autonoma in uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato membro;

b)      un pubblico dipendente è soggetto alla legislazione dello Stato membro al quale appartiene l’amministrazione da cui egli dipende;

c)      una persona che riceva indennità di disoccupazione a norma dell’articolo 65 in base alla legislazione dello Stato membro di residenza è soggetta alla legislazione di detto Stato membro;

d)      una persona chiamata o richiamata alle armi o al servizio civile in uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato membro;

e)      qualsiasi altra persona che non rientri nelle categorie di cui alle lettere da a) a d) è soggetta alla legislazione dello Stato membro di residenza, fatte salve le altre disposizioni del presente regolamento che le garantiscono l’erogazione di prestazioni in virtù della legislazione di uno o più altri Stati membri.

(...)».

 Regolamento (CE) n. 987/2009

8        L’articolo 11 del regolamento (CE) n. 987/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento n. 883/2004 (GU 2009, L 284, pag. 1), prevede quanto segue

«1.      In caso di divergenza di punti di vista tra le istituzioni di due o più Stati membri circa la determinazione della residenza di una persona cui si applica il regolamento di base, tali istituzioni stabiliscono di comune accordo quale sia il centro degli interessi della persona in causa, in base ad una valutazione globale di tutte le informazioni relative a fatti pertinenti, fra cui se del caso:

a)      durata e continuità della presenza nel territorio degli Stati membri in questione;

b)      la situazione dell’interessato tra cui:

i)      la natura e le caratteristiche specifiche di qualsiasi attività esercitata, in particolare il luogo in cui l’attività è esercitata abitualmente, la stabilità dell’attività e la durata di qualsiasi contratto di lavoro;

ii)      situazione familiare e legami familiari;

iii)      esercizio di attività non retribuita;

iv)      per gli studenti, fonte del loro reddito;

v)      alloggio, in particolare quanto permanente;

vi)      Stato membro nel quale si considera che la persona abbia il domicilio fiscale.

2.      Quando la valutazione dei diversi criteri basati sui pertinenti fatti di cui al paragrafo 1 non permette alle istituzioni di accordarsi, la volontà della persona, quale risulta da tali fatti e circostanze, in particolare le ragioni che la hanno indotta a trasferirsi, è considerata determinante per stabilire il suo luogo di residenza effettivo».

 Direttiva 2004/38

9        I considerando 9, 10, 20 et 21 della direttiva 2004/38 così recitano:

«(9)      I cittadini dell’Unione dovrebbero aver il diritto di soggiornare nello Stato membro ospitante per un periodo non superiore a tre mesi senza altra formalità o condizione che il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità, fatto salvo un trattamento più favorevole applicabile ai richiedenti lavoro, come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

(10)      Occorre tuttavia evitare che coloro che esercitano il loro diritto di soggiorno diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo iniziale di soggiorno. Pertanto il diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per un periodo superiore a tre mesi dovrebbe essere subordinato a condizioni.

(...)

(20)      In conformità del divieto di discriminazione in base alla nazionalità, ogni cittadino dell’Unione e i suoi familiari il cui soggiorno in uno Stato membro è conforme alla presente direttiva dovrebbero godere in tale Stato membro della parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali nel campo d’applicazione del trattato, fatte salve le specifiche disposizioni previste espressamente dal trattato e dal diritto derivato.

(21)      Dovrebbe spettare tuttavia allo Stato membro ospitante decidere se intende concedere a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari prestazioni di assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o per un periodo più lungo in caso di richiedenti lavoro, o sussidi per il mantenimento agli studi, inclusa la formazione professionale, prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente».

10      L’articolo 6 di tale direttiva dispone quanto segue:

«1.      I cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità.

2.      Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano anche ai familiari in possesso di un passaporto in corso di validità non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnino o raggiungano il cittadino dell’Unione».

11      L’articolo 14, paragrafo 1, della suddetta direttiva è formulato come segue:

«I cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui all’articolo 6 finché non diventano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante».

12      Ai sensi dell’articolo 24, della medesima direttiva:

«1.      Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.

2.      In deroga al paragrafo 1, lo Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d’assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, se del caso, durante il periodo più lungo previsto all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), né è tenuto a concedere prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente aiuti di mantenimento agli studi, compresa la formazione professionale, consistenti in borse di studio o prestiti per studenti, a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari».

 Diritto tedesco

13      L’articolo 62 dell’Einkommensteuergesetz (legge relativa all’imposta sul reddito), nella versione pubblicata l’8 ottobre 2009 (BGBl. 2009 I, pag. 3366), come modificata dal Gesetz gegen illegale Beschäftigung und Sozialleistungsmissbrauch (legge contro il lavoro illegale e l’abuso di prestazioni sociali, BGBl. 2019 I, pag. 1066), ed entrata in vigore in data 18 luglio 2019 (in prosieguo: l’«EStG»), dispone quanto segue:

«(1)      1Per quanto riguarda i figli ai sensi dell’articolo 63, gli assegni familiari spettano, in forza della presente legge, a chiunque:

1.      abbia il domicilio o il luogo di residenza abituale nel territorio nazionale

(...)

2Per avere diritto agli assegni familiari in applicazione del paragrafo 1, l’avente diritto deve essere identificato tramite un numero di identificazione che gli è stato attribuito (...). 3L’attribuzione successiva del numero di identificazione ha effetto retroattivo rispetto ai mesi durante i quali i requisiti di cui alla prima frase sono soddisfatti.

(1a)      1Il cittadino di un altro Stato membro dell’Unione europea, o di uno Stato a cui si applichi l’accordo sullo Spazio economico europeo, il quale stabilisce il proprio domicilio o la propria residenza abituale nel territorio nazionale non ha diritto ad assegni familiari per i primi tre mesi successivi all’elezione del domicilio o della residenza abituale. 2Tale regola non si applica qualora egli dimostri di percepire redditi nel paese ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, prima frase, numeri da 1 a 4, ad eccezione dei redditi di cui all’articolo 19, paragrafo 1, prima frase, numero 2. 3Scaduto il periodo indicato alla prima frase, egli ha diritto agli assegni familiari, tranne nei casi in cui non siano soddisfatte le condizioni stabilite all’articolo 2, paragrafi 2 o 3, del [Gesetz über die allgemeine Freizügigkeit von Unionsbürgern (legge sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione)] o in cui ricorrano soltanto le condizioni stabilite all’articolo 2, paragrafo 2, n. 1a, della legge sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione, senza che nessun’altra condizione prevista all’articolo 2, paragrafo 2, di detta legge sia stata previamente soddisfatta. 4La verifica della sussistenza delle condizioni di ammissibilità agli assegni familiari a norma della seconda frase è rimessa all’esclusiva valutazione della Cassa per gli assegni familiari (…). 5Se, in un siffatto caso, la Cassa per gli assegni familiari respinge una domanda di assegni familiari, essa deve notificare la propria decisione all’autorità competente in materia di immigrazione. 6Se il richiedente ha indotto a credere che soddisfaceva i requisiti per avere diritto agli assegni familiari avvalendosi di documenti falsificati o alterati oppure facendo ricorso all’inganno, la Cassa per gli assegni familiari ne dà immediata comunicazione all’autorità competente in materia di immigrazione».

 Procedimento principale e questione pregiudiziale

14      La ricorrente nel procedimento principale, S, è madre di tre figli, nati rispettivamente, nel 2003, nel 2005 e nel 2010. V, suo coniuge, è padre di tali figli. Sia i genitori che i figli sono cittadini di uno Stato membro diverso dalla Repubblica federale di Germania.

15      Nel maggio 2015 S ha chiesto, per la prima volta, alla Cassa per gli assegni familiari la concessione di assegni familiari per i suoi tre figli. Detto organismo ha accolto tale domanda con decisione del 13 maggio 2015 e ha iniziato ad erogarle gli assegni in modo regolare, fino al 3 giugno 2016. A quest’ultima data, tale organismo ha deciso di revocare la propria decisione del 13 maggio 2015, di cessare l’erogazione di detti assegni in favore di S a decorrere dal mese di maggio 2016 e di chiederle la restituzione degli assegni familiari versati per quest’ultimo mese. Tale decisione faceva seguito alla cancellazione d’ufficio, da parte dell’autorità competente per la registrazione, di S e dei suoi tre figli dal loro indirizzo a Bremerhaven (Germania), con la motivazione che il loro alloggio risultava vuoto.

16      Nel dicembre 2017 S ha presentato una domanda di assegni familiari per due dei suoi tre figli alla Familienkasse Nordrhein-Westfalen Nord (Cassa per gli assegni familiari per la Renania settentrionale-Vestfalia Nord, Germania) indicando un indirizzo a Herne (Germania). Diverse lettere inviate da detto organismo a tale indirizzo sono state tuttavia restituite al mittente con la dicitura «destinatario sconosciuto». Con decisione del 1° agosto 2018, tale organismo ha quindi respinto la domanda di S con la motivazione che quest’ultima non aveva domicilio o residenza abituale in Germania.

17      Alla fine del mese di ottobre 2019, S ha presentato alla Cassa per gli assegni familiari una nuova domanda di assegni familiari per i suoi tre figli, per il periodo a decorrere dal 1º agosto 2019.

18      Con decisione del 27 dicembre 2019, la Cassa per gli assegni familiari ha respinto questa domanda. Detto organismo ha constatato che S, V e i loro figli risiedevano in Germania a partire dal 19 agosto 2019, data corrispondente al loro ingresso nel territorio di tale Stato membro in provenienza dal loro Stato membro d’origine ed in cui si erano stabiliti in un appartamento a Bremerhaven (Germania). Tale organismo ha nondimeno considerato che S non aveva percepito redditi nazionali nel corso dei primi tre mesi successivi allo stabilimento della sua residenza in Germania. Lo stesso organismo ha, pertanto, dichiarato che ella non soddisfaceva le condizioni previste dall’articolo 62, paragrafo 1a, dell’EStG per beneficiare degli assegni familiari relativamente a tale periodo.

19      Con decisione del 6 aprile 2020, la Cassa per gli assegni familiari ha respinto il reclamo proposto da S avverso la sua decisione del 27 dicembre 2019, per l’effetto confermando quest’ultima. Essa ha dichiarato che S non esercitava alcuna attività retribuita e che V aveva svolto un’attività trascurabile nel periodo compreso tra il 5 novembre 2019 e il 12 dicembre 2019.

20      S ha presentato ricorso al giudice del rinvio, il Finanzgericht Bremen (Tribunale tributario di Brema, Germania), chiedendo l’annullamento del rigetto della sua domanda di assegni familiari e la condanna della Cassa per gli assegni familiari al versamento degli assegni familiari per i mesi da agosto a ottobre 2019.

21      Secondo il giudice del rinvio, in primo luogo, in Germania gli assegni familiari ricadono nella nozione di «prestazioni familiari», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004, in combinato disposto con l’articolo 1, lettera z), del medesimo regolamento. Infatti, essi sarebbero finanziati non già dai contributi dei beneficiari, bensì tramite le imposte. Essi verrebbero concessi a questi ultimi sulla base di una situazione legalmente definita, a prescindere da qualsiasi condizione di reddito e indipendentemente da qualsiasi valutazione individuale e discrezionale dello stato di necessità personale del beneficiario. Tali assegni perseguirebbero la finalità di compensare i carichi familiari.

22      In secondo luogo, detto giudice osserva che l’articolo 62, paragrafo 1a, dell’EStG, risultante da una modifica legislativa introdotta nel luglio 2019, opera una differenza di trattamento tra un cittadino di uno Stato membro diverso dalla Repubblica federale di Germania che stabilisce il proprio domicilio o la propria residenza abituale in quest’ultimo Stato membro e un cittadino tedesco che vi stabilisce il proprio domicilio o la propria residenza abituale in seguito a un soggiorno in un altro Stato membro. Infatti, in applicazione di tale disposizione, a un cittadino di un altro Stato membro, quale S, verrebbe negato il beneficio degli assegni familiari durante i primi tre mesi del suo soggiorno qualora non fornisca la prova dello svolgimento di un’attività lavorativa retribuita in Germania. Per contro, un cittadino tedesco ne beneficerebbe, sin da questi primi tre mesi, anche laddove non eserciti una simile attività.

23      A tal riguardo, il giudice del rinvio spiega che, nel progetto di legge che ha portato all’aggiunta del paragrafo 1a all’articolo 62 dell’EStG, il legislatore tedesco ha ritenuto che tale differenza di trattamento fosse conforme al diritto dell’Unione, poiché avrebbe consentito di evitare un afflusso di cittadini di altri Stati membri idoneo a generare un onere eccessivo per il sistema tedesco di sicurezza sociale. Questa differenza di trattamento sarebbe altresì giustificata alla luce dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, dato che l’erogazione di assegni familiari a cittadini di uno Stato membro diverso dalla Repubblica federale di Germania che non svolgono un’attività lavorativa retribuita in quest’ultimo Stato membro comporterebbe, per le finanze pubbliche del medesimo, lo stesso effetto della concessione di prestazioni sociali a tali cittadini. Ciò posto, detto legislatore non avrebbe esplicitamente affrontato, nel citato progetto di legge, la questione dell’eventuale incidenza dell’articolo 4 del regolamento n. 883/2004. Infine, richiamandosi alla sentenza del 14 giugno 2016, Commissione/Regno Unito (C‑308/14, EU:C:2016:436), il legislatore tedesco avrebbe giustificato tale differenza di trattamento con la necessità di preservare le finanze dello Stato membro ospitante.

24      In terzo luogo, il giudice del rinvio rileva che la questione se gli assegni familiari di cui è causa nel procedimento principale ricadano nella nozione di «assistenza sociale», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, è comunque oggetto di dibattito dottrinale. In tal senso, si sosterrebbe in particolare che detti assegni familiari non rientrano in detta nozione, ma costituiscono, in quanto «prestazioni familiari» di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004, letto in combinato disposto con l’articolo 1, lettera z), di quest’ultimo, vere e proprie prestazioni di sicurezza sociale, non essendo la loro concessione subordinata a condizioni di reddito. È vero che, in tale ipotesi, a norma del regolamento n. 883/2004, la Repubblica federale di Germania sarebbe competente a stabilire i requisiti per la concessione di prestazioni familiari ai cittadini di altri Stati membri che risiedono in Germania senza svolgervi un’attività lavorativa retribuita. Tuttavia, tale regolamento prevedrebbe, al suo articolo 4, un obbligo di parità di trattamento in forza del quale i cittadini di un altro Stato membro dovrebbero essere assoggettati alle stesse condizioni di concessione che si applicano ai cittadini nazionali. Il regolamento in parola non conterrebbe alcuna disposizione che permetta di operare una differenza di trattamento come quella osservata nella presente causa.

25      In definitiva, la soluzione della controversia oggetto del procedimento principale dipende, secondo il giudice del rinvio, dalla risposta alla questione se la discriminazione diretta istituita dall’articolo 62, paragrafo 1a, dell’EStG sia vietata dall’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 oppure se essa possa essere giustificata in forza della deroga al principio della parità di trattamento di cui all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

26      In tale contesto, il Finanzgericht Bremen (Tribunale tributario di Brema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 24 della direttiva [2004/38] e l’articolo 4 del regolamento [n. 883/2004] debbano essere interpretati nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro ai sensi della quale un cittadino di un altro Stato membro, che abbia stabilito un domicilio o la propria residenza abituale nel territorio del primo Stato e non dimostri di percepire, all’interno di detto Stato, redditi da agricoltura e silvicoltura, dall’industria o dal commercio, da lavoro autonomo o subordinato, non ha diritto, nei primi tre mesi dalla data in cui ha ivi stabilito il domicilio o la residenza abituale, a prestazioni familiari ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), in combinato disposto con l’articolo 1, lettera z), del regolamento [n. 883/2004], mentre un cittadino dello Stato membro interessato che si trovi nella stessa situazione ha diritto a prestazioni familiari ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), in combinato disposto con l’articolo 1, lettera z), del regolamento [n. 883/2004,] senza dover dimostrare di percepire, all’interno di detto Stato, redditi da agricoltura e silvicoltura, dall’industria o dal commercio, da lavoro autonomo o subordinato».

 Sulla questione pregiudiziale

27      Con la sua domanda, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 e l’articolo 24 della direttiva 2004/38 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa di uno Stato membro in forza della quale a un cittadino dell’Unione avente la cittadinanza di un altro Stato membro, che abbia stabilito la residenza abituale nel territorio del primo Stato membro e che sia economicamente inattivo in quanto non vi svolge un’attività lavorativa remunerata, viene negato il beneficio di «prestazioni familiari», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004, letto in combinato disposto con l’articolo 1, lettera z), di tale regolamento, durante i primi tre mesi del suo soggiorno nel territorio di tale Stato membro, mentre un cittadino economicamente inattivo del medesimo Stato membro beneficia di tali prestazioni anche durante i primi tre mesi dal suo rientro nel medesimo Stato membro, dopo essersi avvalso, in forza del diritto dell’Unione, del suo diritto di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro.

 Osservazioni preliminari

28      In primo luogo, secondo una giurisprudenza costante della Corte, lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri che consente a chi tra di loro si trovi nella medesima situazione di ottenere, indipendentemente dalla cittadinanza e fatte salve le eccezioni espressamente previste a tale riguardo, il medesimo trattamento giuridico (v., in tal senso, sentenze del 20 settembre 2001, Grzelczyk, C‑184/99, EU:C:2001:458, punto 31, e del 15 luglio 2021, The Department for Communities in Northern Ireland, C‑709/20, EU:C:2021:602, punto 62).

29      Ogni cittadino dell’Unione può quindi avvalersi del divieto di discriminazione in base alla nazionalità, sancito dall’articolo 18 TFUE, precisato in altre disposizioni del trattato FUE, dall’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 e dall’articolo 24 della direttiva 2004/38, in tutte le situazioni che rientrano nell’ambito di applicazione ratione materiae del diritto dell’Unione. Tali situazioni includono, fra l’altro, l’esercizio della libertà di circolazione e di soggiorno nel territorio degli Stati membri conferita dall’articolo 21 TFUE, ferme restando le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle misure adottate in applicazione di questi ultimi [v., in tal senso, sentenze del 20 settembre 2001, Grzelczyk, C‑184/99, EU:C:2001:458, punti 32 e 33; del 21 febbraio 2013, N., C‑46/12, EU:C:2013:97, punto 28, nonché del 15 luglio 2021, A (Assistenza sanitaria pubblica), C‑535/19, EU:C:2021:595, punti 40 e 42].

30      La direttiva 2004/38 stabilisce tali limitazioni e condizioni. Tale direttiva ha previsto un sistema graduale per quanto riguarda il diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante, il quale, riprendendo sostanzialmente le fasi e le condizioni previste nei diversi strumenti del diritto dell’Unione e nella giurisprudenza anteriori a tale direttiva, sfocia nel diritto di soggiorno permanente (sentenza del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja, C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 38).

31      Per quanto riguarda i primi tre mesi di soggiorno nello Stato membro ospitante, gli unici oggetto della questione pregiudiziale, l’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva prevede che i cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità. L’articolo 14, paragrafo 1, di detta direttiva conserva tale diritto nei limiti in cui il cittadino dell’Unione e i suoi familiari non divengano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante (v., in tal senso, sentenze del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja, C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 39, nonché del 25 febbraio 2016, García-Nieto e a., C‑299/14, EU:C:2016:114, punto 42).

32      Pertanto, un cittadino dell’Unione, seppur economicamente inattivo, dispone, nel rispetto delle condizioni enunciate all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, letto in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 1, di quest’ultima, di un diritto di soggiorno della durata di tre mesi in uno Stato membro di cui non sia cittadino.

33      Nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che, durante i primi tre mesi del suo soggiorno in Germania, S si trovava in situazione di soggiorno legale ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, letto in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 1, di quest’ultima.

34      In secondo luogo, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che la controversia oggetto del procedimento principale riguarda la concessione, da parte dello Stato membro ospitante, di assegni familiari, in forza della legislazione di tale Stato membro. A tal riguardo, occorre ricordare che si considerano «prestazioni familiari», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004, letto in combinato disposto con l’articolo 1, lettera z), del medesimo regolamento, prestazioni attribuite automaticamente alle famiglie che rispondono a determinati criteri obiettivi, riguardanti in particolare le loro dimensioni, il loro reddito e le loro risorse di capitale, prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale dei bisogni personali, e destinate a compensare i carichi familiari (v., in tal senso, sentenze del 14 giugno 2016, Commission/Royaume-Uni, C‑308/14, EU:C:2016:436, punto 60, nonché del 21 giugno 2017, Martinez Silva, C‑449/16, EU:C:2017:485, punto 22).

35      Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta altresì che è quanto si verifica nel caso degli assegni familiari in causa nel procedimento principale, dato che questi ultimi sono concessi ai loro beneficiari sulla base di una situazione legalmente definita, indipendente dai loro bisogni personali, e che la loro concessione non mira a garantire i loro mezzi di sussistenza, bensì a compensare i carichi familiari.

36      Inoltre, si deve ricordare che l’articolo 11, paragrafo 3, lettera e), del regolamento n. 883/2004 enuncia una «norma di conflitto» diretta a determinare la normativa nazionale applicabile alla percezione delle prestazioni di sicurezza sociale elencate all’articolo 3, paragrafo 1, di tale regolamento, tra le quali figurano le prestazioni familiari, alle quali possono avere diritto tutte le persone diverse da quelle contemplate dall’articolo 11, paragrafo 3, lettere da a) a d), di detto regolamento, ossia, in particolare, le persone economicamente inattive. Dall’applicazione di tale norma consegue che queste ultime rientrano, in linea di principio, nell’ambito di applicazione della normativa dello Stato membro di residenza [v., in tal senso, sentenze del 14 giugno 2016, Commission/Royaume-Uni, C‑308/14, EU:C:2016:436, punto 63, e del 15 luglio 2021, A (Assistenza sanitaria pubblica), C‑535/19, EU:C:2021:595, punto 45]. Ai sensi dell’articolo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004, la nozione di «residenza» designa, ai fini del medesimo regolamento, il luogo in cui la persona interessata risiede abitualmente.

37      Nel caso di specie, il giudice del rinvio riferisce che S e la sua famiglia avevano stabilito la loro residenza abituale nel territorio tedesco nel corso del periodo di tre mesi di cui è causa nel procedimento principale. Per quanto riguarda la concessione di prestazioni familiari, S, essendo economicamente inattiva, sembra quindi rientrare, conformemente all’articolo 11, paragrafo 3, lettera e), del regolamento n. 883/2004, letto in combinato disposto con l’articolo 1, lettera z), e con l’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), di tale regolamento, nell’ambito di applicazione della legislazione tedesca.

38      È con riserva di tali precisazioni preliminari che occorre stabilire se, allorché si trovi in una situazione di soggiorno legale ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, letto in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 1, di tale direttiva, un cittadino dell’Unione economicamente inattivo possa avvalersi del principio della parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro ospitante economicamente inattivi, che rientrino in tale Stato membro dopo aver esercitato, in forza del diritto dell’Unione, il loro diritto di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro, ai fini della concessione di prestazioni familiari, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 883/2004, letto in combinato disposto con l’articolo 1, lettera z), di tale regolamento.

 Sullinterpretazione dellarticolo 4 del regolamento n. 883/2004 e dellarticolo 24 della direttiva 2004/38

39      Come risulta dal punto 27 della presente sentenza, la questione sollevata verte sull’interpretazione sia dell’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 che dell’articolo 24 della direttiva 2004/38, nei limiti in cui tali due disposizioni precisano il principio della parità di trattamento nel rispettivo ambito di applicazione.

40      Poiché tale questione è connessa, in particolare, alla determinazione dell’ambito di applicazione dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, occorre determinare la portata di tale disposizione, prima di esaminare quella dell’articolo 4 del regolamento n. 883/2004.

 Sull’articolo 24 della direttiva 2004/38

41      L’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 prevede che ogni cittadino dell’Unione il quale risieda, in base a tale direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato membro nell’ambito di applicazione del Trattato.

42      Il principio della parità di trattamento va quindi a beneficio di ogni cittadino dell’Unione il cui soggiorno, nel territorio dello Stato membro ospitante, rispetti le condizioni stabilite dalla suddetta direttiva (v., in tal senso, sentenze dell’11 novembre 2014, Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 69, nonché del 25 febbraio 2016, García-Nieto e a., C‑299/14, EU:C:2016:114, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

43      Tuttavia, l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 stabilisce una deroga al principio della parità di trattamento di cui beneficiano i cittadini dell’Unione diversi dai lavoratori subordinati o autonomi, dai soggetti che mantengano tale status e dai loro familiari, soggiornanti nel territorio di uno Stato membro ospitante, permettendo a quest’ultimo di non attribuire il diritto alle prestazioni di assistenza sociale, in particolare durante i primi tre mesi del soggiorno (sentenza del 19 settembre 2013, Brey, C‑140/12, EU:C:2013:565, punto 56 e giurisprudenza ivi citata).

44      Lo Stato membro ospitante può dunque avvalersi della deroga di cui all’articolo 24, paragrafo 2 della direttiva 2004/38 al fine di negare a un cittadino dell’Unione che esercita il suo diritto di soggiorno nel territorio di tale Stato membro la concessione di una prestazione d’assistenza sociale durante i primi tre mesi del suo soggiorno (v., in tal senso, sentenza del 25 febbraio 2016, García-Nieto e a., C‑299/14, EU:C:2016:114, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

45      Occorre, pertanto, determinare se gli assegni familiari di cui al procedimento principale costituiscano «prestazioni d’assistenza sociale», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

46      A tal riguardo, la Corte ha già dichiarato che la nozione di «prestazione d’assistenza sociale», ai sensi di quest’ultima disposizione, fa riferimento all’insieme dei regimi di assistenza istituiti da autorità pubbliche a livello nazionale, regionale o locale, a cui può ricorrere un soggetto che non disponga delle risorse sufficienti a far fronte ai bisogni elementari propri e a quelli della sua famiglia e che rischia, per questo, di diventare, durante il suo soggiorno, un onere per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante che potrebbe produrre conseguenze sul livello globale dell’aiuto che può essere concesso da tale Stato (sentenze del 19 settembre 2013, Brey, C‑140/12, EU:C:2013:565, punto 61, nonché dell’11 novembre 2014, Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 63).

47      Orbene, come rilevato al punto 35 della presente sentenza, gli assegni familiari di cui al procedimento principale sono concessi a prescindere dallo stato di bisogno individuale del loro beneficiario e non mirano a garantire i mezzi di sussistenza di quest’ultimo.

48      Pertanto, come ha considerato l’avvocato generale al paragrafo 54 delle sue conclusioni, tali assegni non rientrano nella nozione di «prestazioni d’assistenza sociale», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

49      Ciò posto, si deve ancora verificare se, come suggerito dal governo tedesco nelle sue osservazioni scritte, l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 debba essere interpretato, alla luce della sua ratio legis, nel senso che, per quanto riguarda la concessione di prestazioni diverse dalle «prestazioni d’assistenza sociale», ai sensi di tale disposizione, esso consente comunque allo Stato membro ospitante di derogare alla parità di trattamento di cui devono beneficiare, in linea di principio, i cittadini dell’Unione in situazione di soggiorno legale nel suo territorio ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva, letto in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 1, di quest’ultima.

50      A tal fine, da un lato, occorre ricordare che, in quanto deroga al principio della parità di trattamento previsto dall’articolo 18, primo comma, TFUE, di cui l’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 costituisce solamente espressione specifica, il paragrafo 2 di tale articolo 24 deve essere interpretato restrittivamente ed in conformità con le disposizioni del Trattato, ivi incluse quelle relative alla cittadinanza dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 21 febbraio 2013, N., C‑46/12, EU:C:2013:97, punto 33, e del 6 ottobre 2020, Jobcenter Krefeld, C‑181/19, EU:C:2020:794, punto 60).

51      D’altro lato, secondo una giurisprudenza costante della Corte, per interpretare una norma di diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenza del 6 ottobre 2020, Jobcenter Krefeld, C‑181/19, EU:C:2020:794, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).

52      Anzitutto, per quanto riguarda il tenore letterale dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, nulla nel testo di tale disposizione permette di ritenere che, con quest’ultima, il legislatore dell’Unione abbia inteso consentire allo Stato membro ospitante di derogare al principio della parità di trattamento di cui devono beneficiare, in linea di principio, i cittadini dell’Unione che soggiornino legalmente nel suo territorio per quanto riguarda prestazioni diverse da quelle di assistenza sociale. Al contrario, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 57 delle sue conclusioni, da tale disposizione risulta chiaramente che essa riguarda esclusivamente le prestazioni d’assistenza sociale.

53      Inoltre, per quanto riguarda il contesto normativo dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, occorre ricordare che, come risulta dal punto 31 della presente sentenza, l’articolo 14, paragrafo 1, di tale direttiva mantiene il diritto di soggiorno per un periodo non superiore a tre mesi finché il cittadino dell’Unione e i suoi familiari «non diventano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante». Tale articolo 14 conferma quindi l’interpretazione secondo cui la possibilità di derogare al principio della parità di trattamento, sulla base dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, è limitata alle prestazioni d’assistenza sociale e non può estendersi alle prestazioni di sicurezza sociale.

54      Infine, tale interpretazione è conforme all’obiettivo dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, il quale mira, secondo il considerando 10 di tale direttiva, a preservare l’equilibrio finanziario non già del sistema di sicurezza sociale degli Stati membri, bensì del loro «sistema di assistenza sociale».

55      Ne consegue che, come sostanzialmente rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 62 delle sue conclusioni, la deroga al principio della parità di trattamento prevista all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 non è applicabile alla fattispecie in cui, durante i primi tre mesi del suo soggiorno nello Stato membro ospitante, un cittadino dell’Unione chieda non già «prestazioni d’assistenza sociale», ai sensi di tale disposizione, bensì «prestazioni familiari», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004, letto in combinato disposto con l’articolo 1, lettera z), del medesimo regolamento.

 Sull’articolo 4 del regolamento n. 883/2004

56      In via preliminare, occorre ricordare che un cittadino dell’Unione economicamente inattivo, che abbia trasferito la propria residenza abituale nello Stato membro ospitante, rientra, conformemente all’articolo 11, paragrafo 3, lettera e), del regolamento n. 883/2004, nella legislazione di tale Stato membro per quanto riguarda la concessione di prestazioni di sicurezza sociale.

57      A tal riguardo, la Corte ha già dichiarato che tale disposizione persegue non soltanto lo scopo di evitare l’applicazione simultanea di diverse normative nazionali a una determinata situazione e le complicazioni che possono derivarne, ma anche di impedire che le persone che ricadono nell’ambito di applicazione di tale regolamento restino senza tutela in materia di sicurezza sociale per mancanza di una normativa che sia loro applicabile [sentenze del 14 giugno 2016, Commissione/Regno Unito, C‑308/14, EU:C:2016:436, punto 64, e del 15 luglio 2021, A (Assistenza sanitaria pubblica), C‑535/19, EU:C:2021:595, punto 46].

58      Ciò posto, il regolamento n. 883/2004 non organizza un regime comune di sicurezza sociale, ma lascia sussistere regimi nazionali distinti e ha come unico obiettivo quello di assicurare un coordinamento tra questi ultimi al fine di garantire l’esercizio effettivo della libera circolazione delle persone. Le sue disposizioni, quali quelle di cui al suo articolo 11, paragrafo 3, lettera e), non hanno, pertanto, lo scopo di stabilire le condizioni sostanziali per l’esistenza del diritto alle prestazioni di sicurezza sociale (v., in tal senso, sentenza del 14 giugno 2016, Commissione/Regno Unito, C‑308/14, EU:C:2016:436, punti 65 e 67). Benché gli Stati membri restino quindi competenti a stabilire nelle proprie legislazioni le condizioni per la concessione di tali prestazioni, siffatta competenza deve tuttavia esercitarsi nel rispetto del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza dell’11 aprile 2013, Jeltes e a., C‑443/11, EU:C:2013:224, punto 59).

59      A tal riguardo, l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 concretizza il principio di parità di trattamento a favore dei cittadini dell’Unione che si avvalgono, nello Stato membro ospitante, delle prestazioni di sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, del medesimo regolamento [v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2021, A (Assistenza sanitaria pubblica), C‑535/19, EU:C:2021:595, punto 40].

60      Ai sensi di detto articolo 4, salvo quanto diversamente previsto dal regolamento n. 883/2004, le persone alle quali si applica tale regolamento beneficiano delle stesse prestazioni e sono soggette agli stessi obblighi di cui alla legislazione di ciascuno Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato.

61      Orbene, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 71 delle sue conclusioni, il regolamento n. 883/2004 non contiene alcuna disposizione che permetta allo Stato membro ospitante di un cittadino dell’Unione, che abbia la cittadinanza di un altro Stato membro e che si trovi in situazione di soggiorno legale nel primo Stato membro, di operare, per il fatto che tale cittadino è economicamente inattivo, una differenza di trattamento tra quest’ultimo e i suoi propri cittadini riguardo alle condizioni per la concessione di «prestazioni familiari», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), di detto regolamento, letto in combinato disposto con l’articolo 1, lettera z), del medesimo regolamento. Pertanto, l’articolo 4 del regolamento in parola osta a una misura che operi una simile differenza di trattamento.

62      È ben vero che la Corte ha già dichiarato che nulla osta a che la concessione di prestazioni rientranti nell’ambito di applicazione del regolamento n. 883/2004 a cittadini dell’Unione economicamente inattivi sia subordinata al requisito che essi soddisfino le condizioni per disporre di un diritto di soggiorno legale ai sensi della direttiva 2004/38 nello Stato membro ospitante (v., in tal senso, sentenze del 19 settembre 2013, Brey, C‑140/12, EU:C:2013:565, punto 44; dell’11 novembre 2014, Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 83, nonché del 14 giugno 2016, Commissione/Regno Unito, C‑308/14, EU:C:2016:436, punto 68).

63      Ciò premesso, un cittadino dell’Unione che soggiorni nel territorio dello Stato membro ospitante in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, letto in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 1, di quest’ultima, vi si trova – come risulta dai punti da 31 a 33 della presente sentenza – in situazione di soggiorno legale ai sensi di tale direttiva.

64      Ne consegue che tale cittadino dell’Unione beneficia del principio della parità di trattamento rispetto ai cittadini di detto Stato membro prevista all’articolo 4 del regolamento n. 883/2004, anche nel caso in cui sia economicamente inattivo durante i primi tre mesi del suo soggiorno nel medesimo Stato membro a titolo delle disposizioni della direttiva 2004/38 menzionate al punto precedente.

65      Dalle suesposte considerazioni risulta che un cittadino dell’Unione economicamente inattivo che soggiorni, in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, letto in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 1, di quest’ultima, nel territorio di uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza e che abbia stabilito la propria residenza abituale in tale territorio può avvalersi, nello Stato membro ospitante, del principio della parità di trattamento, previsto all’articolo 4 del regolamento n. 883/2004, al fine di ottenere prestazioni familiari, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), di tale regolamento, letto in combinato disposto con l’articolo 1, lettera z), del medesimo regolamento.

66      Di conseguenza, poiché l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 precisa il principio della parità di trattamento in materia di accesso a tali prestazioni, occorre esaminare se una normativa nazionale come quella indicata al punto 27 della presente sentenza configuri una differenza di trattamento contraria a tale disposizione.

 Sull’esistenza di una differenza di trattamento contraria all’articolo 4 del regolamento n. 883/2004

67      Costituisce discriminazione diretta di un cittadino dell’Unione una normativa dello Stato membro ospitante che escluda tale cittadino dal beneficio delle prestazioni familiari, ai sensi del regolamento n. 883/2004, allorché soggiorna legalmente, in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, letto in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 1, di quest’ultima, nel territorio di tale Stato membro, e vi ha stabilito la residenza abituale, con la motivazione che detto cittadino è economicamente inattivo, mentre questo stesso Stato membro concede tali prestazioni ai suoi propri cittadini, quand’anche economicamente inattivi, sin dal loro rientro in detto Stato membro dopo aver esercitato il loro diritto di circolare e di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro in forza del diritto dell’Unione.

68      Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 73 delle sue conclusioni e tenuto conto di quanto esposto al punto 61 della presente sentenza, una simile discriminazione non può, in mancanza di qualsiasi deroga espressamente prevista nel regolamento n. 883/2004, essere giustificata.

69      Pertanto, l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 deve essere interpretato nel senso che osta a che lo Stato membro ospitante adotti una normativa come quella descritta al punto 67 della presente sentenza.

70      Occorre tuttavia sottolineare che il cittadino dell’Unione, economicamente inattivo, che rivendichi, nello Stato membro ospitante, l’applicazione del principio della parità di trattamento sancito da tale articolo per quanto riguarda le condizioni di concessione di prestazioni familiari ai sensi del regolamento n. 883/2004, deve aver stabilito – in forza dell’articolo 2, paragrafo 1, di tale regolamento, letto in combinato disposto con l’articolo 1, lettera j), di detto regolamento, durante il periodo dei primi tre mesi in cui beneficia, in tale Stato membro, di un titolo di soggiorno ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, letto in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 1, della stessa – la propria residenza abituale in tale Stato membro, e non già dimorarvi solo temporaneamente ai sensi dell’articolo 1, lettera k), del medesimo regolamento.

71      A tal riguardo, da un lato, l’articolo 11 del regolamento n. 987/2009, rubricato «Elementi per la determinazione della residenza», al suo paragrafo 1 identifica una serie di elementi ai fini della determinazione dello Stato membro nel quale la persona interessata risiede. Il paragrafo 2 di tale articolo precisa che la nozione di «residenza», ai sensi del regolamento n. 883/2004, deve intendersi come la residenza «effettiva» di tale persona.

72      Dall’altro, secondo la giurisprudenza della Corte, la nozione di «residenza abituale» rappresenta essenzialmente una questione di fatto assoggettata alla valutazione del giudice nazionale alla luce di tutte le circostanze proprie del caso di specie. A tal riguardo, occorre rilevare che la condizione secondo cui un cittadino dell’Unione, come indicato al punto 70 della presente sentenza, deve aver trasferito la propria residenza abituale nel territorio dello Stato membro ospitante implica che egli abbia manifestato la volontà di stabilire, in modo effettivo, il centro abituale dei suoi interessi in tale Stato membro e che dimostri che la sua presenza sul territorio di detto Stato membro attesta un grado sufficiente di stabilità, idoneo a distinguerla da un soggiorno temporaneo [v., per analogia, sentenza del 25 novembre 2021, IB (Residenza abituale di un coniuge – Divorzio), C‑289/20, EU:C:2021:955, punto 58].

73      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, alla questione sollevata occorre rispondere dichiarando quanto segue:

–        L’articolo 4 del regolamento n. 883/2004 deve essere interpretato nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro in forza della quale a un cittadino dell’Unione avente la cittadinanza di un altro Stato membro, che abbia stabilito la residenza abituale nel territorio del primo Stato membro e che sia economicamente inattivo in quanto non vi svolge un’attività lavorativa remunerata, viene negato il beneficio di «prestazioni familiari», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), di detto regolamento, letto in combinato disposto con l’articolo 1, lettera z), del medesimo regolamento, durante i primi tre mesi del suo soggiorno nel territorio di tale Stato membro, mentre un cittadino economicamente inattivo del medesimo Stato membro beneficia di tali prestazioni, anche durante i primi tre mesi dal suo rientro nel medesimo Stato membro dopo essersi avvalso, in forza del diritto dell’Unione, del suo diritto di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro.

–        L’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che esso non è applicabile a una tale normativa.

 Sulle spese

74      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

L’articolo 4 del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, deve essere interpretato nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro in forza della quale a un cittadino dell’Unione avente la cittadinanza di un altro Stato membro, che abbia stabilito la residenza abituale nel territorio del primo Stato membro e che sia economicamente inattivo in quanto non vi svolge un’attività lavorativa remunerata, viene negato il beneficio di «prestazioni familiari», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), di detto regolamento, letto in combinato disposto con l’articolo 1, lettera z), del medesimo regolamento, durante i primi tre mesi del suo soggiorno nel territorio di tale Stato membro, mentre un cittadino economicamente inattivo del medesimo Stato membro beneficia di tali prestazioni anche durante i primi tre mesi dal suo rientro nel medesimo Stato membro, dopo essersi avvalso, in forza del diritto dell’Unione, del suo diritto di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro.

L’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che esso non è applicabile a una tale normativa.

Firme


*      Lingua processuale: il tedesco.