Language of document : ECLI:EU:T:2014:92

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

27 febbraio 2014 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercato mondiale degli schermi a cristalli liquidi (LCD) – Accordi e pratiche concordate riguardanti prezzi e capacità di produzione – Competenza territoriale – Vendite interne – Vendite di prodotti finiti che incorporano i prodotti oggetto del cartello – Infrazione unica e continuata – Ammende – Metodo di arrotondamento – Competenza giurisdizionale estesa al merito»

Nella causa T‑91/11,

InnoLux Corp., già Chimei InnoLux Corp., con sede in Zhunan (Taiwan), rappresentata da J.‑F. Bellis, avvocato, e R. Burton, solicitor,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da P. Van Nuffel, F. Ronkes Agerbeek e A. Biolan, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda di annullamento parziale della decisione C (2010) 8761 def. della Commissione, dell’8 dicembre 2010, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 [TFUE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/39.309 – LCD) e di riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente dalla medesima decisione,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione),

composto da H. Kanninen, presidente, G. Berardis (relatore) e C. Wetter, giudici,

cancelliere: N. Rosner, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 24 aprile 2013,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1.     Società interessate nella presente causa

1        La Chi Mei Optoelectronics Corp. (in prosieguo: la «CMO») era la società di diritto taiwanese che controllava un gruppo di società con sedi in tutto il mondo operanti nella produzione di schermi a cristalli liquidi a matrice attiva (in prosieguo: gli «LCD»).

2        Il 20 novembre 2009 la CMO ha stipulato un accordo di concentrazione con le società InnoLux Display Corp. e la TPO Displays Corp. In forza di tale accordo, a partire dal 18 marzo 2010, la TPO Displays e la CMO hanno cessato di esistere. L’entità giuridica rimasta in essere ha cambiato denominazione due volte, passando dapprima da InnoLux Display Corp. a Chimei InnoLux Corp. e, da ultimo, a InnoLux Corp., la ricorrente.

2.     Procedimento amministrativo

3        In data [riservato] (1), la società di diritto coreano Samsung Electronics Co. Ltd (in prosieguo: la «Samsung») ha presentato alla Commissione delle Comunità europee una domanda volta ad ottenere un’immunità dalle ammende a titolo della comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3; in prosieguo: la «comunicazione del 2002 sul trattamento favorevole»).

4        In quella sede, la Samsung ha denunciato l’esistenza di un cartello tra numerose imprese, fra cui la ricorrente, riguardante alcuni tipi di LCD.

5        Il 23 novembre 2006 la Commissione ha concesso alla Samsung l’immunità condizionale ai sensi del punto 15 della comunicazione del 2002 sul trattamento favorevole, mentre l’ha negata a un’altra partecipante al cartello, la società di diritto coreano LG Display Co. Ltd, in precedenza denominata LG Philips LCD Co. Ltd (in prosieguo: la «LGD»).

6        Il 27 maggio 2009 la Commissione ha avviato il procedimento amministrativo e emesso una comunicazione degli addebiti ai sensi dell’articolo 10 del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU L 123, pag. 18). Tale comunicazione degli addebiti era indirizzata a sedici società, tra cui la CMO e due controllate europee possedute al 100% da quest’ultima, segnatamente la Chi Mei Optoelectronics BV e la Chi Mei Optoelectronics UK Ltd. Al riguardo, ai punti da 281 a 285 della comunicazione degli addebiti, la Commissione ha ricordato in particolare che, secondo la giurisprudenza, in primo luogo, le disposizioni del diritto della concorrenza dell’Unione europea riconoscevano che varie società appartenenti a uno stesso gruppo costituivano un’entità economica, e quindi un’impresa ai sensi degli articoli 101 TFUE e 102 TFUE, se le società interessate non determinavano in modo autonomo il loro comportamento sul mercato (sentenza del Tribunale del 30 settembre 2003, Michelin/Commissione, T‑203/01, Racc. pag. II‑4071, punto 290), e, in secondo luogo, era sufficiente che la Commissione dimostrasse che la totalità del capitale di una controllata era detenuta dalla controllante perché sia confermata la presunzione che quest’ultima esercitava un’influenza determinante sul comportamento della controllata sul mercato (sentenza del Tribunale del 31 marzo 2009, ArcelorMittal Luxembourg e a./Commissione, T‑405/06, Racc. pag. II‑771, punto 91). Di seguito, ai punti da 327 a 329 della comunicazione degli addebiti, la Commissione ha spiegato le ragioni per le quali, in applicazione della richiamata giurisprudenza, le due controllate della CMO sopra menzionate dovevano essere ritenute solidalmente responsabili per le infrazioni commesse da quest’ultima.

7        La comunicazione degli addebiti recava in allegato un CD‑ROM contenente le parti accessibili del dossier della Commissione. I destinatari della comunicazione degli addebiti hanno fatto valere il loro diritto di accesso alle parti del dossier della Commissione che erano disponibili solo presso gli uffici della Commissione.

8        Entro il termine previsto, i destinatari della comunicazione degli addebiti hanno reso noto alla Commissione, per iscritto, il loro punto di vista sulle obiezioni sollevate nei loro confronti.

9        Numerosi destinatari della comunicazione degli addebiti, fra cui la ricorrente, hanno esercitato il loro diritto di essere sentiti oralmente, durante l’audizione tenutasi il 22 e il 23 settembre 2009.

10      Con richiesta di informazioni del 4 marzo 2010 e con lettera del 6 aprile 2010, le parti sono state invitate a presentare, in particolare, i dati relativi al valore delle vendite che sarebbero state prese in considerazione ai fini del calcolo delle ammende e a presentare le loro osservazioni su tale questione.

11      La CMO ha risposto alla suddetta lettera il 23 aprile 2010.

3.     La decisione impugnata

12      In data 8 dicembre 2010 la Commissione ha adottato la decisione C (2010) 8761 def., relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 [TFUE] e dell’articolo 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo (caso COMP/39.309 – LCD) (in prosieguo: la «decisione impugnata»), di cui è stata pubblicata una sintesi nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 7 ottobre 2011 (GU C 295, pag. 8).

13      La decisione impugnata è indirizzata a sei delle sedici società destinatarie della comunicazione degli addebiti, fra cui la ricorrente. Di contro, essa non fa più riferimento alle sue controllate, alle quali era stata indirizzata la suddetta comunicazione.

14      Nella decisione impugnata, la Commissione ha dichiarato l’esistenza di un cartello fra sei grandi produttori internazionali di LCD, inclusa la ricorrente, riguardante le due categorie di tali prodotti, di dimensioni uguali o superiori a dodici pollici, di seguito indicate: gli LCD per applicazioni informatiche, come quelli per i notebook e gli schermi di computer (in prosieguo: gli «LCD‑IT») e gli LCD per i televisori (in prosieguo: gli «LCD‑TV») (in prosieguo, considerati complessivamente: gli «LCD oggetto del cartello»).

15      Secondo la decisione impugnata, detto cartello ha preso la forma di un’infrazione unica e continuata all’articolo 101 TFUE e all’articolo 53 dell’accordo SEE che si è verificata, quanto meno, tra il 5 ottobre 2001 e il 1° febbraio 2006 (in prosieguo: il «periodo di infrazione»). Durante tale periodo, i partecipanti all’intesa hanno organizzato numerose riunioni multilaterali, da essi denominate «riunioni Cristallo», principalmente in hotel di Taiwan. Dette riunioni avevano un obiettivo chiaramente anticoncorrenziale poiché costituivano l’occasione per i partecipanti, in particolare, di fissare prezzi minimi per gli LCD oggetto del cartello, di discutere delle loro proiezioni di prezzo per evitarne la diminuzione e di coordinare gli aumenti di prezzo nonché i livelli di produzione. Nel corso del periodo d’infrazione, i partecipanti al cartello si sono altresì incontrati bilateralmente e si sono sovente scambiati informazioni sugli argomenti trattati durante le «riunioni Cristallo». Inoltre, essi hanno adottato talune misure volte a verificare che le decisioni adottate durante tali riunioni fossero applicate (punti da 70 a 74 della decisione impugnata).

16      Sebbene la ricorrente avesse fatto valere che il mercato degli LCD‑TV era distinto da quello degli LCD‑IT e che sussisteva un cartello unicamente riguardo a questi ultimi, la Commissione ha nondimeno ritenuto che si trattasse di un’infrazione unica e continuata avente ad oggetto l’insieme di tali prodotti (punti 281 e da 283 a 290 della decisione impugnata).

17      Al fine di determinare le ammende inflitte dalla decisione impugnata, la Commissione si è basata sugli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «orientamenti del 2006»).

18      In applicazione degli orientamenti del 2006 la Commissione ha, in primo luogo, determinato il valore delle vendite degli LCD oggetto del cartello direttamente o indirettamente interessate dall’infrazione. A tal fine, essa ha individuato le tre seguenti categorie di vendite effettuate dai partecipanti al cartello:

–        «vendite dirette nel SEE», vale a dire le vendite degli LCD oggetto del cartello a un’altra impresa nell’ambito dello Spazio economico europeo (SEE);

–        «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati», vale a dire le vendite degli LCD oggetto del cartello incorporati, all’interno del gruppo cui appartiene il produttore, in prodotti finiti che sono venduti a un’altra impresa nell’ambito del SEE;

–        «vendite indirette», vale a dire le vendite degli LCD oggetto del cartello a un’altra impresa situata all’esterno del SEE, la quale successivamente incorpora gli schermi nei prodotti finiti che essa vende all’interno del SEE (punto 380 della decisione impugnata).

19      Nondimeno, la Commissione ha ritenuto di potersi limitare a prendere in considerazione le prime due categorie menzionate al precedente punto 18, dato che l’inclusione della terza categoria non era necessaria affinché le ammende irrogate raggiungessero un livello dissuasivo sufficiente (punto 381 della decisione impugnata).

20      Anziché utilizzare il valore delle vendite realizzate da un’impresa nell’ultimo anno intero in cui questa ha partecipato all’infrazione, come previsto in generale dal punto 13 degli orientamenti del 2006, la Commissione ha ritenuto più adeguato utilizzare, nel caso di specie, il valore annuale medio delle vendite durante l’intero periodo dell’infrazione, tenuto conto, in particolare, della crescita esponenziale delle vendite della maggior parte delle imprese interessate nel corso degli anni ai quali si riferisce la decisione impugnata (punto 384 della decisione impugnata).

21      Per quanto concerne la ricorrente, la Commissione ha respinto le obiezioni di quest’ultima relative alle circostanze secondo cui, per prima cosa, il valore delle vendite rilevanti avrebbe dovuto essere calcolato senza tenere conto delle sue «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati» e delle sue «vendite dirette nel SEE» fatte ad altri destinatari della comunicazione degli addebiti, per seconda cosa, si sarebbero dovute escludere le spedizioni degli LCD che non erano state fatturate a società europee e, per terza cosa, si sarebbe dovuta operare una distinzione tra le vendite di LCD‑IT e quelle di LCD‑TV. Pertanto, riguardo alla ricorrente, il totale delle vendite rilevanti effettuate durante il periodo d’infrazione è stato fissato in EUR 1 555 111 603, la cui media annuale, ottenuta dividendo il suddetto importo per la durata del cartello – pari a 4,33 anni – equivaleva a EUR 359 148 176 (punti 388, 394, da 398 a 401 e tabella 4 della decisione impugnata).

22      In secondo luogo, la Commissione ha osservato che, stante la gravità dell’infrazione commessa, occorreva fissare a 16% la percentuale del valore delle vendite dei prodotti in questione da utilizzare per il calcolo dell’importo di base dell’ammenda e che ciò valeva per tutti i partecipanti al cartello (punto 416 della decisione impugnata).

23      In terzo luogo, la Commissione ha applicato alla ricorrente un coefficiente di moltiplicazione relativo alla durata dell’infrazione pari a 4,25, a motivo della partecipazione di quest’ultima all’infrazione per tutta la durata del cartello accertata nella decisione impugnata, vale a dire quattro anni e tre mesi (punti 417 e 418 nonché tabella 5 della decisione impugnata).

24      In quarto luogo, la Commissione ha ritenuto che le circostanze del caso di specie giustificassero l’inclusione nell’importo di base dell’ammenda di una maggiorazione pari al 16% del valore medio delle vendite rilevanti, al fine di assicurare l’effetto dissuasivo della stessa (in prosieguo: il «diritto d’entrata»), conformemente al punto 25 degli orientamenti del 2006, e che ciò valesse per tutti i partecipanti al cartello (punti 419 e 424 della decisione impugnata).

25      In quinto luogo, la Commissione non ha ritenuto sussistenti circostanze aggravanti o attenuanti ai sensi degli orientamenti del 2006 riguardo ad alcuno dei partecipanti al cartello. In tal modo, tale istituzione ha respinto, in particolare, gli argomenti con cui la ricorrente asseriva di avere avuto un ruolo passivo nell’intesa, di avervi partecipato per negligenza e, infine, di avere cooperato con la Commissione andando al di là dell’ambito di applicazione della comunicazione del 2002 sul trattamento favorevole, e ciò sebbene la Commissione non le avesse rivolto domande di informazioni altrettanto precise come quelle rivolte ad altri partecipanti al cartello (punti 426, 430, 433, 434, 438, 439 e da 442 a 444 della decisione impugnata).

26      In sesto luogo, in applicazione della comunicazione del 2002 sul trattamento favorevole, la Commissione ha, innanzitutto, confermato l’immunità totale concessa alla Samsung. Di seguito, essa ha considerato che la collaborazione fornita dalla ricorrente non le conferisse il diritto ad alcuna riduzione dell’ammenda (punti da 455 a 458 e 472 della decisione impugnata).

27      Sulla base di tali considerazioni, all’articolo 2 della decisione impugnata la Commissione ha condannato la ricorrente al pagamento di un’ammenda pari a EUR 300 000 000.

 Procedimento e conclusioni delle parti

28      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 21 febbraio 2011, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

29      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Sesta Sezione) ha deciso di avviare la fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 64 del regolamento di procedura del Tribunale, ha rivolto quesiti scritti alle parti, che hanno risposto entro il termine impartito.

30      All’udienza del 24 aprile 2013 le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti orali formulati dal Tribunale.

31      La ricorrente chiede, in sostanza, che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata nella parte in cui la riguarda;

–        ridurre l’importo dell’ammenda inflittale dalla decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese.

32      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

33      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce tre motivi:

–        il primo, vertente sul fatto che la Commissione, nel determinare il valore delle vendite rilevanti ai fini del calcolo dell’ammenda, avrebbe applicato una nozione giuridicamente errata, quella delle «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati»;

–        il secondo, vertente sul fatto che, quando ha concluso che l’infrazione si estendeva agli LCD‑TV, la Commissione avrebbe violato l’articolo 101 TFUE e l’articolo 53 dell’accordo SEE;

–        il terzo, vertente sul fatto che il valore delle vendite rilevanti adottato dalla Commissione nei confronti della stessa avrebbe erroneamente incluso vendite diverse rispetto a quelle concernenti gli LCD oggetto del cartello.

1.     Sul primo motivo, vertente sul fatto che la Commissione, nel determinare il valore delle vendite rilevanti ai fini del calcolo dell’ammenda, avrebbe applicato una nozione giuridicamente errata, quella delle «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati»

34      Il primo motivo della ricorrente si compone in sostanza di due capi, vertenti, il primo, sul fatto che la nozione di «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati» contrasterebbe con la mancanza dell’accertamento di un’infrazione relativa ai prodotti finiti che incorporano gli LCD oggetto del cartello e, il secondo, sulle incoerenze che asseritamente ineriscono a detta nozione.

 Sul primo capo, vertente sul fatto che la nozione di «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati» contrasterebbe con la mancanza dell’accertamento di un’infrazione relativa ai prodotti finiti che incorporano gli LCD oggetto del cartello

35      La ricorrente afferma, da un lato, che l’impiego della nozione di «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati» non è compatibile con il punto 13 degli orientamenti del 2006, dato che la Commissione ha tenuto conto delle vendite di prodotti finiti riguardo ai quali non è stata constatata alcuna infrazione nella decisione impugnata e che, pertanto, non sono in relazione, diretta o anche solo indiretta, con l’infrazione constatata in tale decisione. Dall’altro lato, la ricorrente sottolinea che i prezzi degli LCD oggetto del cartello non sono prezzi di riferimento per i prodotti finiti che incorporano i suddetti LCD.

36      Ai sensi del punto 13 degli orientamenti del 2006, «al fine di determinare l’importo di base dell’ammenda da infliggere, la Commissione utilizzerà il valore delle vendite dei beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzate dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno del SEE».

37      Al riguardo, occorre anzitutto osservare che da tale disposizione non si desume che solo il valore delle vendite risultante dalle transazioni effettivamente interessate dalle pratiche illecite possa essere preso in considerazione per calcolare il valore delle vendite pertinente (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 16 giugno 2011, Putters International/Commissione, T‑211/08, Racc. pag. II‑3729, punto 58).

38      La formulazione del punto 13 degli orientamenti del 2006 si riferisce, infatti, alle vendite realizzate sul mercato rilevante, interessato dall’infrazione. A fortiori, detto punto si riferisce soltanto ai casi per i quali la Commissione dispone di prove documentali dell’infrazione (v., in tal senso, sentenza Putters International/Commissione, cit., punto 59).

39      Tale interpretazione è confermata dall’obiettivo perseguito dalle norme dell’Unione in materia di concorrenza. Infatti, l’interpretazione proposta dalla ricorrente comporterebbe che, per determinare l’importo di base delle ammende da infliggersi nelle cause relative ad intese, la Commissione sarebbe tenuta a stabilire in ciascun caso quali siano le singole vendite oggetto dell’intesa. Un obbligo siffatto non è mai stato imposto dai giudici dell’Unione e nulla indica che la Commissione avesse l’intenzione di imporselo negli orientamenti del 2006 (sentenza Putters International/Commissione, cit., punto 60).

40      Inoltre, da una costante giurisprudenza risulta che il volume di affari realizzato sui prodotti che hanno costituito oggetto dell’infrazione è tale da fornire una giusta indicazione dell’entità di quest’ultima sul mercato interessato. In particolare, il volume di affari realizzato sui prodotti che abbiano costituito oggetto di una pratica restrittiva costituisce un criterio oggettivo che fornisce il giusto metro della nocività di tale pratica rispetto al normale gioco della concorrenza (sentenza Putters International/Commissione, cit., punto 61; v. anche, in tal senso, sentenza della Corte del 7 giugno 1983, Musique Diffusion française e a./Commissione, da 100/80 a 103/80, Racc. pag. 1825, punto 121, e sentenza del Tribunale dell’11 marzo 1999, British Steel/Commissione, T‑151/94, Racc. pag. II‑629, punto 643).

41      Nel caso di specie, si deve ricordare che, al punto 380 della decisione impugnata, la Commissione ha definito le categorie delle vendite descritte al precedente punto 18.

42      Per quanto concerne le «vendite dirette nel SEE», non è contestato che esse soddisfano i requisiti previsti dal punto 13 degli orientamenti del 2006, letti alla luce della giurisprudenza pertinente.

43      Per quanto concerne le «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati», nel primo capo del primo motivo la ricorrente sostiene che queste ultime non sono in relazione diretta o indiretta con l’infrazione, dato che esse riguardano le vendite dei prodotti finiti che incorporano gli LCD oggetto del cartello e non le vendite di questi ultimi.

44      Al riguardo, occorre per prima cosa osservare che, se è vero che la nota a piè di pagina riferita al punto 13 degli orientamenti del 2006 recita che un caso di vendita in relazione indiretta con un’infrazione può essere constatato quando il prezzo del prodotto oggetto di accordi orizzontali volti alla fissazione del prezzo serve come base per la determinazione del prezzo di prodotti di qualità superiore o inferiore, tale nota precisa che il suddetto caso è indicato a titolo di esempio. È pertanto del tutto priva di rilevanza la circostanza, invocata dalla ricorrente, secondo cui i prodotti finiti che incorporano gli LCD oggetto del cartello non sono prodotti di qualità superiore o inferiore a questi ultimi.

45      Quanto alla circostanza, anch’essa invocata dalla ricorrente, secondo cui la decisione impugnata non ha constatato alcuna infrazione riguardante i prodotti finiti che incorporano gli LCD oggetto del cartello, si deve osservare che la Commissione non ha preso in considerazione il valore totale delle vendite di tali prodotti finiti, bensì soltanto la frazione di tale valore che poteva corrispondere al valore degli LCD oggetto del cartello, incorporati nei prodotti finiti, purché questi ultimi fossero stati venduti dalla ricorrente a imprese terze aventi sede all’interno del SEE. Se è vero che la Commissione non avrebbe potuto prendere in considerazione il suddetto valore totale senza avere preliminarmente accertato infrazioni relative ai prodotti finiti, non si può ritenere che un accertamento di questo tipo fosse necessario per poter prendere in considerazione la frazione di tale valore costituita dal valore degli LCD oggetto del cartello incorporati nei prodotti finiti.

46      Inoltre, se la Commissione non avesse utilizzato la nozione di «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati» non avrebbe potuto tenere conto, nel calcolo dell’ammenda, di una frazione considerevole delle vendite degli LCD oggetto del cartello fatte dai partecipanti al cartello costituenti imprese verticalmente integrate, sebbene tali vendite avessero pregiudicato il gioco della concorrenza nel SEE.

47      Quindi, conformemente alla giurisprudenza richiamata ai precedenti punti da 37 a 40, la Commissione doveva tenere conto dell’entità dell’infrazione sul mercato interessato e, a tal fine, poteva utilizzare il volume d’affari realizzato dalla ricorrente con gli LCD oggetto del cartello, in quanto criterio oggettivo atto a fornire il giusto metro della nocività della sua partecipazione all’intesa rispetto al normale gioco della concorrenza, a condizione che tale volume d’affari risultasse dalle vendite aventi un collegamento con il SEE. Orbene, un tale collegamento sussiste quando gli LCD oggetto del cartello sono trasferiti dalla ricorrente alle sue controllate, indipendentemente dalla loro sede, che li incorporano in prodotti finiti i quali sono venduti a terzi nel SEE.

48      La scelta della Commissione di prendere in considerazione le «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati» è tanto più giustificata nel caso di specie in quanto dagli elementi di prova contenuti nella decisione impugnata (v. in particolare il punto 394 della medesima), non contestato dalla ricorrente, risulta che le vendite degli LCD oggetto del cartello interne alle imprese partecipanti al cartello avvenivano a prezzi influenzati da quest’ultimo.

49      Inoltre, come risulta in particolare dai punti 92 e 93 della decisione impugnata, i partecipanti al cartello erano a conoscenza del fatto che i prezzi degli LCD oggetto del cartello influenzavano quelli dei prodotti finiti che li incorporavano.

50      Infine, riguardo all’argomento della ricorrente secondo cui la sentenza del Tribunale del 10 settembre 2008, JSC Kirovo‑Chepetsky Khimichesky Kombinat/Consiglio (T‑348/05, non pubblicata nella Raccolta, punto 62), osta a qualsiasi assimilazione tra le vendite di prodotti finiti che incorporano un componente e le vendite di tali componenti in quanto tali, si deve osservare che il contesto nel quale e la finalità per la quale la Commissione ha tenuto conto degli LCD oggetto del cartello che sono stati incorporati nei prodotti finiti non possono essere assimilati a quelli che caratterizzavano la causa decisa con la suddetta sentenza.

51      Infatti, nella causa decisa con la citata sentenza JSC Kirovo‑Chepetsky Khimichesky Kombinat/Consiglio (punti 54, 55, 57 e 58), il Consiglio dell’Unione europea, dopo aver adottato, a seguito di un’inchiesta antidumping relativa a taluni prodotti tra cui il nitrato di ammonio, misure antidumping relative a questi ultimi, ha ampliato l’ambito di applicazione di tali misure ad altri prodotti senza avviare nuove inchieste, in ragione del fatto che questi ulteriori prodotti erano simili a quelli oggetto della suddetta inchiesta, in particolare per quanto riguardava il tenore di nitrato di ammonio.

52      A tal proposito, il Tribunale ha constatato l’illegittimità di tale estensione, rilevando quanto segue:

«62. (…) Il componente di un prodotto finito può certamente essere oggetto di provvedimenti antidumping, tuttavia, in tal caso, deve essere considerato come un prodotto [costituente] in quanto tale [l’oggetto di dumping]. Qualora detto componente non sia considerato in sé, ma come elemento di un altro prodotto, è quest’altro prodotto, con tutti i suoi componenti, che costituisce il prodotto interessato, e l’inchiesta antidumping deve quindi avere ad oggetto tale prodotto indipendentemente dai suddetti componenti. Possono essere assoggettati a provvedimenti antidumping unicamente i prodotti che siano stati oggetto di un’inchiesta antidumping, dopo che venga constatato che i prodotti in questione sono esportati verso la Comunità a un prezzo inferiore rispetto a quello dei “prodotti simili” ai sensi dell’articolo 1 del regolamento [(CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1)]. Di conseguenza, essendo pacifico che i nuovi tipi di prodotti considerati dal regolamento impugnato differiscono dal prodotto interessato ai sensi dei regolamenti iniziali, è impossibile imporre loro un dazio antidumping senza prima effettuare un’inchiesta al fine di esaminare se tali prodotti costituiscano anch’essi oggetto di dumping sul mercato comunitario».

53      Nulla di simile è avvenuto nel presente caso, dal momento che nella fattispecie in esame la Commissione non si è basata sull’inchiesta effettuata sugli LCD oggetto del cartello per constatare un’infrazione relativa ai prodotti finiti nei quali sono incorporati tali LCD. Lungi dall’assimilare gli LCD oggetto del cartello ai prodotti finiti dei quali essi costituivano un componente, la Commissione si è limitata a considerare, ai soli fini del calcolo dell’ammenda, che, riguardo ad imprese verticalmente integrate quali la ricorrente, il luogo di vendita dei prodotti finiti coincideva col luogo di vendita del componente oggetto del cartello a un terzo, come tale non appartenente quindi alla stessa impresa produttrice di tale componente.

54      Alla luce delle considerazioni che precedono, il primo capo del presente motivo dev’essere respinto.

 Sul secondo capo, vertente sulle incoerenze che asseritamente inficiano la nozione di «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati»

55      Il secondo capo del primo motivo contiene due censure nei confronti della nozione di «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati», la quale avrebbe comportato che la Commissione, da un lato, oltrepassasse i limiti della sua competenza territoriale, e, dall’altro, assoggettasse la ricorrente a un trattamento sfavorevole e discriminatorio rispetto ad altri partecipanti allo stesso cartello.

 Sulla competenza territoriale della Commissione

56      La ricorrente sostiene che, per la contabilizzazione delle «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati», la Commissione ha artificialmente spostato il luogo in cui tali vendite erano effettivamente avvenute e, in tal modo, ha violato i limiti della sua competenza territoriale.

57      Occorre anzitutto ricordare i principi affermati dalla giurisprudenza sulla competenza territoriale della Commissione nella constatazione di infrazioni al diritto della concorrenza.

58      In proposito, la Corte ha riconosciuto che quando talune imprese, con sede all’esterno del SEE ma che producono beni venduti a terzi all’interno del SEE, si accordano sui prezzi che praticano ai loro clienti stabiliti nel SEE e attuano questo accordo vendendo a prezzi effettivamente coordinati, esse partecipano ad una concertazione che ha come oggetto e come effetto quello di restringere il gioco della concorrenza nel mercato interno, ai sensi dell’articolo 101 TFUE, e che la Commissione è territorialmente competente a perseguire (v., in tal senso, sentenza della Corte del 27 settembre 1988, Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, 89/85, 104/85, 114/85, 116/85, 117/85 e da 125/85 a 129/85, Racc. pag. 5193; in prosieguo: la «sentenza pasta di legno I», punti 13 e 14).

59      La giurisprudenza ha altresì precisato che una violazione dell’articolo 101 TFUE implica due comportamenti, vale a dire la formazione dell’intesa e la sua attuazione. Far dipendere l’applicabilità dei divieti previsti dal diritto della concorrenza dal luogo di conclusione dell’intesa finirebbe chiaramente col fornire alle imprese un facile mezzo per sottrarsi a detti divieti. Quello che conta è, dunque, il luogo in cui l’intesa viene posta in atto. Inoltre, al fine di stabilire se tale luogo sia situato nel SEE, è di scarsa rilevanza il fatto che i partecipanti al cartello si siano avvalsi o meno di controllate, agenti, subagenti o succursali con sede all’interno del SEE al fine di creare dei contatti fra essi e gli acquirenti che vi sono stabiliti (v., in tal senso, sentenza pasta di legno I, punti 16 e 17).

60      Dal momento che il requisito dell’attuazione è soddisfatto, la competenza della Commissione ad applicare le norme dell’Unione in materia di concorrenza nei confronti di tali operazioni trae fondamento nel principio di territorialità che è universalmente accolto nel diritto internazionale pubblico (sentenza pasta di legno I, punto 18).

61      La giurisprudenza derivante dalla sentenza pasta di legno I è stata ripresa dalla sentenza del Tribunale del 25 marzo 1999, Gencor/Commissione (T‑102/96, Racc. pag. II‑753), avente ad oggetto una decisione in merito a una concentrazione ai sensi del regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio, del 21 dicembre 1989, relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese (GU 1990, L 257, pag. 13), sostituito dal regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio, del 20 gennaio 2004, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese (GU L 24, pag. 1).

62      In quella occasione, il Tribunale ha certamente rilevato che, qualora sia prevedibile che una concentrazione progettata produca un effetto immediato e sostanziale nell’Unione, l’applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione relative al controllo delle concentrazioni è giustificata con riferimento al diritto internazionale pubblico (sentenza Gencor/Commissione, cit., punto 90).

63      Nondimeno, al punto 87 della citata sentenza Gencor/Commissione, il Tribunale ha sottolineato, in sostanza, che il criterio dell’attuazione di un’intesa come elemento di collegamento della stessa col territorio dell’Unione viene soddisfatto con la semplice vendita del prodotto oggetto del cartello all’interno di quest’ultima, a prescindere dall’ubicazione delle fonti di approvvigionamento e degli impianti di produzione. Di conseguenza, il Tribunale ha respinto l’argomento che la ricorrente, nella fattispecie decisa con la suddetta sentenza, aveva cercato di dedurre dal fatto che la concentrazione in causa non era sorta né era stata attuata nel territorio dell’Unione, bensì in Sudafrica, e che pertanto non risultavano soddisfatti i requisiti di competenza territoriale definiti nella sentenza pasta di legno I (sentenza Gencor/Commissione, cit., punti 56, 61 e 87).

64      Ne consegue che il ragionamento seguito dal Tribunale nella citata sentenza Gencor/Commissione non rimette in discussione la giurisprudenza derivante dalla sentenza pasta di legno I.

65      Nel presente caso è dunque sufficiente concentrarsi sulla questione se la Commissione potesse utilizzare la categoria delle «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati» senza con ciò violare i principi enunciati nella sentenza pasta di legno I.

66      A tal riguardo, si deve in primo luogo osservare che, quando un cartello di dimensioni mondiali ha uno scopo anticoncorrenziale, esso è attuato nel mercato interno, ai sensi della sentenza pasta di legno I, per il semplice fatto che i prodotti oggetto del cartello sono commercializzati su tale mercato.

67      Occorre infatti rilevare che l’attuazione di un cartello non comporta necessariamente che esso produca effetti concreti (sentenza del Tribunale del 12 settembre 2007, Prym e Prym Consumer/Commissione, T‑30/05, non pubblicata nella Raccolta, punto 110; v. inoltre, in tal senso, sentenza della Corte del 24 settembre 2009, Erste Group Bank e a./Commissione, C‑125/07 P, C‑133/07 P, C‑135/07 P e C‑137/07 P, Racc. pag. I‑8681, punti 116 e 117). In realtà, il fatto che il cartello abbia prodotto effetti concreti sui prezzi praticati dai partecipanti è rilevante solo nell’ambito della determinazione della gravità del cartello, ai fini del calcolo dell’ammenda, sempre che la Commissione decida di fondarsi su questo criterio (v., in tal senso, sentenza della Corte del 4 giugno 2009, T‑Mobile Netherlands e a., C‑8/08, Racc. pag. I‑4529, punto 31) tra quelli che può prendere in considerazione in tale contesto. Orbene, ciò non si è verificato nel caso di specie (v. punto 416 della decisione impugnata).

68      Allo stesso modo, è di scarsa rilevanza il fatto che i partecipanti al cartello non si siano sempre conformati alle decisioni adottate in materia di prezzi. Infatti, la fissazione di un prezzo – sia pure meramente indicativo – pregiudica il gioco della concorrenza perché consente a tutti i partecipanti all’intesa di prevedere con un ragionevole grado di certezza quale sarà la politica dei prezzi dei loro concorrenti. Più in generale, intese siffatte comportano un intervento diretto sui parametri essenziali della concorrenza nel mercato considerato. Difatti, esprimendo una volontà comune di applicare un determinato livello di prezzi ai loro prodotti, i produttori di cui trattasi non determinano più in modo autonomo la loro politica sul mercato comune, contravvenendo in tal modo ai principi insiti nelle norme del Trattato relative alla concorrenza (v. sentenza del Tribunale del 9 luglio 2003, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, T‑224/00, Racc. pag. II‑2597, punto 120, e giurisprudenza ivi citata).

69      In secondo luogo, si deve osservare che il concetto di attuazione ai sensi della sentenza pasta di legno I si fonda in sostanza sulla nozione di impresa nel diritto della concorrenza risultante dalla giurisprudenza richiamata al precedente punto 6 (v. anche, in tal senso, sentenze della Corte del 12 luglio 1984, Hydrotherm Gerätebau, 170/83, Racc. pag. 2999, punto 11, e del 29 marzo 2011, ArcelorMittal Luxembourg/Commissione e Commissione/ArcelorMittal Luxembourg e a., C‑201/09 P e C‑216/09 P, Racc. pag. I‑2239, punto 95), alla quale deve riconoscersi un ruolo decisivo nella determinazione dei limiti della competenza territoriale della Commissione per applicare tale diritto.

70      In particolare, se l’impresa cui appartiene la ricorrente ha partecipato a un cartello concepito all’esterno del SEE, la Commissione deve poter perseguire le ripercussioni che il comportamento di tale impresa ha avuto sul gioco della concorrenza nel mercato interno e infliggerle un’ammenda proporzionata alla lesività di tale cartello rispetto al gioco della concorrenza in detto mercato. A tal fine, quando gli LCD oggetto del cartello prodotti dalla ricorrente sono stati incorporati in prodotti finiti da parte di società appartenenti alla medesima impresa della ricorrente e tali prodotti finiti sono stati venduti da detta impresa all’interno del SEE, si deve ritenere che l’intesa ha influenzato le transazioni che sono state effettuate sino al momento di tale vendita incluso.

71      In tale contesto, non è determinante sapere se le vendite interne alla suddetta impresa siano state o meno effettuate a prezzi maggiorati a motivo dell’intesa. Infatti, in caso affermativo, la lesività dell’intesa si rifletterebbe in tali maggiorazioni. In caso negativo, tale lesività consisterebbe nel vantaggio competitivo di cui gode l’impresa partecipante all’intesa rispetto alle altre imprese che realizzano prodotti finiti incorporanti taluni LCD oggetto del cartello ma che acquistano tali LCD a un prezzo non risultante dalle normali condizioni di mercato. Al riguardo, dalla giurisprudenza risulta che non tener conto del valore delle cessioni interne a un’impresa finirebbe necessariamente con l’avvantaggiare in modo ingiustificato le società integrate verticalmente, dato che, in una tale situazione, il profitto derivante dall’intesa potrebbe non essere preso in considerazione e, in tal modo, l’impresa interessata sarebbe sottratta a una sanzione proporzionata alla sua importanza sul mercato dei prodotti oggetto dell’infrazione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 14 maggio 1998, Europa Carton/Commissione, T‑304/94, Racc. pag. II‑869, punti 127 e 128).

72      La ricorrente non contesta tale giurisprudenza, ma sottolinea che la mera trasposizione di quest’ultima al caso di specie avrebbe consentito alla Commissione di raggiungere l’obiettivo di non favorire le imprese verticalmente integrate. Quindi, a differenza di quanto affermato dalla Commissione nella decisione impugnata, non sarebbe stato necessario a tali fini ricorrere alla nozione di «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati». Secondo la ricorrente, la Commissione non può fondarsi sulla citata sentenza Europa Carton/Commissione per prendere in considerazione il valore degli LCD oggetto del cartello incorporati, all’esterno del SEE, in prodotti finiti venduti nel SEE. Dovrebbe negarsi qualsiasi assimilazione fra la vendita di un prodotto finito e quella di un LCD oggetto del cartello. Per contro, le vendite interne a un’impresa verticalmente integrata dovrebbero essere assimilate alle vendite a terzi ed essere pertanto contabilizzate come se fossero fatte all’interno del SEE.

73      Si deve constatare che, come osserva la Commissione, nella giurisprudenza derivante dalla citata sentenza Europa Carton/Commissione non vi è nulla che possa essere interpretato nel senso che la competenza territoriale della Commissione debba essere esclusa quando i prodotti oggetto di un cartello, prima di raggiungere il mercato interno, siano assoggettati ad una transazione fra due società con sede all’esterno del SEE e appartenenti all’impresa che ha partecipato al cartello.

74      Nel caso di specie, i partecipanti al cartello che, come la ricorrente, erano imprese verticalmente integrate, incorporavano, all’esterno del SEE, taluni LCD oggetto del cartello in prodotti finiti venduti all’interno del SEE. Pertanto, il caso che la Commissione aveva di fronte non si prestava alla trasposizione pura e semplice della giurisprudenza derivante dalla citata sentenza Europa Carton/Commissione. Di conseguenza, la Commissione aveva il diritto di adattare gli insegnamenti di quest’ultima alle circostanze del caso di specie, così da raggiungere lo scopo, evidenziato da tale giurisprudenza, di non privilegiare le imprese verticalmente integrate che hanno partecipato a un cartello.

75      In considerazione di quanto precede, si deve concludere che la Commissione, avvalendosi della contabilizzazione delle «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati», non ha illegittimamente esteso la sua competenza territoriale a perseguire le infrazioni alle regole di concorrenza enunciate nei trattati.

 Sulle asserite discriminazioni derivanti dalla nozione di «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati»

76      La ricorrente sostiene che il carattere illegittimo della nozione di «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati» è dimostrato dalla circostanza che l’impiego di quest’ultima l’ha esposta a un trattamento sfavorevole e discriminatorio rispetto ad altre partecipanti al medesimo cartello.

–       Osservazioni preliminari

77      Occorre ricordare che il principio della parità di trattamento costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, sancito dagli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

78      Risulta da una costante giurisprudenza che il principio della parità di trattamento impone che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (v. sentenza della Corte del 14 settembre 2010, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione e a., C‑550/07 P, Racc. pag. I‑8301, punto 55, e giurisprudenza ivi citata).

79      Per quanto concerne la determinazione dell’importo dell’ammenda, il principio in parola osta a che la Commissione operi, in applicazione di diversi metodi di calcolo, una discriminazione tra le imprese che hanno partecipato a un accordo o a una pratica concordata contraria all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE (v. sentenza della Corte del 19 luglio 2012, Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione e Commissione/Alliance One International e a., C‑628/10 P e C‑14/11 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 58, e giurisprudenza ivi citata).

80      Nel caso di specie, occorre osservare che la Commissione ha calcolato l’ammenda da infliggere a ciascuno dei partecipanti al cartello sulla base delle stesse tre categorie di vendita ricordate al precedente punto 18. Il fatto che la categoria delle «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati» fosse applicabile soltanto ad alcuni dei partecipanti non costituisce una discriminazione, dato che la Commissione ha valutato l’applicabilità di tale categoria a ciascuno dei partecipanti sulla base degli stessi criteri oggettivi. Analogamente, il fatto che la mancata considerazione delle «vendite indirette» possa aver giovato a taluni partecipanti in misura maggiore rispetto alla ricorrente non costituisce, di per sé, una discriminazione (v., in tal senso, sentenza Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione e Commissione/Alliance One International e a., cit., punti 135 e 138, e conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella medesima causa, paragrafo 87).

–       Sull’asserita discriminazione rispetto alla Samsung

81      La ricorrente sostiene che la Commissione l’ha trattata in modo meno favorevole della Samsung, e ciò sebbene tali due imprese si trovassero in situazioni asseritamente simili. Al riguardo, la ricorrente deduce che le cessioni di LCD oggetto del cartello effettuate dalla Samsung alle sue controllate con sede all’interno del SEE, che li hanno incorporati in prodotti finiti, sono state contabilizzate in quanto «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati» soltanto dopo che i prodotti finiti erano stati venduti all’interno del SEE. Invece, gli LCD oggetto del cartello venduti dalla ricorrente alle stesse controllate europee della Samsung sono stati tutti presi in considerazione, anche quando i prodotti finiti erano venduti da tali controllate con sede al di fuori del SEE, in quanto «vendite dirette nel SEE». Alla luce di tali circostanze, la ricorrente sottolinea che, quando essa vende gli LCD oggetto del cartello alla Samsung, questi ultimi non lasciano il cerchio dei membri del cartello e, pertanto, non rappresentano un’immissione sul mercato.

82      Occorre innanzitutto rilevare che la Commissione ha applicato, nei confronti della Samsung e della ricorrente, gli stessi criteri. Infatti, da un lato, le vendite di LCD oggetto del cartello fatte dalla ricorrente o dalla Samsung a terzi indipendenti con sede nel SEE sono state incluse tra le «vendite dirette nel SEE». Dall’altro, le situazioni nelle quali la ricorrente o la Samsung trasferivano dapprima gli LCD oggetto del cartello ad altre società appartenenti alla stessa impresa, le quali li incorporavano in prodotti finiti venduti a terzi indipendenti, sono state prese in considerazione come «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati», qualora tali vendite a terzi avessero luogo all’interno del SEE.

83      Inoltre, occorre osservare che la Commissione aveva certamente il diritto di includere le vendite della ricorrente alle controllate europee della Samsung fra le «vendite dirette nel SEE», dato che gli LCD oggetto del cartello di cui trattasi erano venduti a clienti con sede nel SEE, il che ha inevitabilmente falsato il gioco della concorrenza nel mercato interno. La misura della nocività deve essere stimata sulla base del volume d’affari che la ricorrente ha realizzato in particolare attraverso tali vendite, conformemente alla giurisprudenza richiamata al precedente punto 37.

84      Non può essere accolto l’argomento della ricorrente secondo cui la Commissione non avrebbe dovuto prendere in considerazione le vendite che non erano estranee alla cerchia dei partecipanti al cartello. Infatti, quando un prodotto oggetto di un cartello è venduto nel mercato interno, viene falsato il gioco della concorrenza nell’ambito di quest’ultimo e la Commissione ne deve tenere conto quando calcola l’ammenda da infliggere all’impresa che ha beneficiato di tale vendita. Al riguardo, occorre sottolineare che l’articolo 101 TFUE, al pari delle altre regole in materia di concorrenza enunciate nei Trattati, non è destinato a tutelare soltanto gli interessi dei concorrenti o dei consumatori, bensì la struttura del mercato e, in tal modo, la concorrenza in quanto tale (sentenze della Corte T‑Mobile Netherlands e a., cit., punto 38, e del 6 ottobre 2009, GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a., C‑501/06 P, C‑513/06 P, C‑515/06 P e C‑519/06 P, Racc. pag. I‑9291, punto 63). Nel caso di specie, l’origine della distorsione della concorrenza nel mercato interno risiede nella vendita fra la ricorrente e la Samsung.

85      Inoltre, benché sia vero che taluni degli LCD oggetto del cartello che le controllate europee della Samsung hanno acquistato dalla ricorrente possono essere stati incorporati in prodotti finiti venduti all’esterno del SEE, tale circostanza non rimette in discussione il fatto che una vendita fra due imprese distinte sia avvenuta proprio all’interno del SEE quando gli LCD della ricorrente sono stati acquistati dalle controllate europee della Samsung. Pertanto, la Commissione poteva ritenere che si trattasse di vendite che incidevano sul gioco della concorrenza nel mercato interno.

86      Quanto al fatto che, riguardo alla Samsung, la Commissione abbia preso in considerazione soltanto le vendite degli LCD oggetto del cartello che le controllate europee della Samsung hanno incorporato in prodotti finiti venduti all’interno del SEE, occorre rilevare che, in relazione a detti LCD oggetto del cartello, la loro prima vendita a un’impresa terza si è realizzata al momento della vendita del prodotto finito. Pertanto, al fine di prendere in considerazione soltanto le vendite aventi un nesso con il SEE, la Commissione aveva il diritto, se non addirittura l’obbligo, di limitarsi a prendere in considerazione le vendite degli LCD oggetto del cartello che erano stati incorporati in prodotti finiti venduti nel SEE.

87      Per quanto concerne l’argomento della ricorrente secondo cui il fatto di stabilire una distinzione fondata sulla destinazione del prodotto finito contrasterebbe con la giurisprudenza derivante dalla sentenza della Corte del 6 marzo 1974, Istituto Chemioterapico Italiano e Commercial Solvents/Commissione (6/73 e 7/73, Racc. pag. 223, punto 33), si deve osservare che la questione che si poneva nella causa decisa con la suddetta sentenza era diversa da quella che si pone nella presente causa. Infatti, si trattava di sapere se il divieto di abuso di posizione dominante, sancito dall’articolo 102 TFUE, fosse applicabile qualora il detentore di una tale posizione con sede nel mercato interno tentasse, mediante lo sfruttamento abusivo di quest’ultima, di eliminare dal mercato un concorrente anch’esso con sede in detto mercato. È solo con riferimento a tale ipotesi che la Corte ha affermato che era irrilevante accertare se il comportamento in questione riguardasse le esportazioni di tale concorrente oppure le sue attività nel mercato interno. La Corte non ha mancato di sottolineare che era la stessa eliminazione di tale concorrente ad avere ripercussioni sui rapporti di concorrenza nel mercato interno (sentenza Istituto Chemioterapico Italiano e Commercial Solvents/Commissione, cit., punto 33). Nel caso di specie, per contro, la Commissione aveva il diritto di definire la categoria delle «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati» limitandola alle sole vendite degli LCD oggetto del cartello che si ritrovavano nei prodotti finiti venduti nel SEE. Infatti, se questa prima vendita di prodotti oggetto del cartello a un terzo non avesse avuto luogo nel SEE, il collegamento tra il mercato interno e l’infrazione sarebbe stato troppo debole.

88      Infine, sebbene non sia possibile escludere che anche gli LCD incorporati in altri prodotti finiti venduti dalla Samsung a terzi stabiliti all’esterno del SEE possano essere successivamente rientrati all’interno di quest’ultimo e, in tal modo, avere ivi falsato il gioco della concorrenza, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, la Commissione gode di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda il metodo di calcolo delle ammende. Tale metodo, circoscritto dagli orientamenti del 2006, prevede vari elementi di flessibilità che consentono alla Commissione di esercitare il proprio potere discrezionale in conformità al disposto del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 1) (v., in tal senso, sentenze della Corte del 3 settembre 2009, Papierfabrik August Koehler e a./Commissione, C‑322/07 P, C‑327/07 P e C‑338/07 P, Racc. pag. I‑7191, punto 112, e del 14 ottobre 2010, Deutsche Telekom/Commissione, C‑280/08 P, Racc. pag. I‑9555, punto 271). Inoltre, la Commissione non è obbligata a constatare e a sanzionare ogni comportamento anticoncorrenziale (sentenza del Tribunale del 15 giugno 2005, Tokai Carbon e a./Commissione, T‑71/03, T‑74/03, T‑87/03 e T‑91/03, non pubblicata nella Raccolta, punto 369). Peraltro, dato che la Commissione ha applicato a tutte le imprese verticalmente integrate la nozione di «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati» – la quale esclude le vendite degli LCD oggetto del cartello che sono stati incorporati nei prodotti finiti venduti al di fuori del SEE – prescindendo dal luogo in cui i prodotti finiti sono stati realizzati, non è stata commessa alcuna disparità di trattamento ingiustificata.

–       Sulle asserite discriminazioni in rapporto ad altri due destinatari della decisione impugnata

89      La ricorrente sostiene di essere stata discriminata in rapporto ad altri due partecipanti al cartello, segnatamente la LGD e la società di diritto taiwanese AU Optronics Corp. (in prosieguo: l’«AUO»), che apparterrebbero a gruppi aventi un grado di integrazione verticale simile a quello della ricorrente. Infatti, secondo la ricorrente, poiché la Commissione ha applicato a tali partecipanti solo la nozione di «vendite dirette nel SEE», le loro vendite di LCD oggetto del cartello a società collegate sono state prese in considerazione unicamente quando l’acquirente si trovava all’interno del SEE. Di contro, attraverso l’impiego della nozione di «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati», le vendite interne della ricorrente sono state contabilizzate anche quando erano destinate a controllate con sede al di fuori del SEE, a condizione che i prodotti finiti, realizzati da tali filiali con l’impiego degli LCD oggetto del cartello, fossero venduti all’interno del SEE. Il carattere discriminatorio della distinzione operata dalla Commissione sarebbe tanto più evidente in quanto, come risulterebbe dai punti 394 e 396 della decisione impugnata, essa avrebbe utilizzato in sostanza gli stessi elementi di prova per accertare l’incidenza dell’intesa, da un lato, sulle vendite della ricorrente alle sue controllate, e, dall’altro, sulle vendite della LGD e dell’AUO alle società a cui ciascuna di esse era connessa.

90      In primo luogo, si deve osservare che la Commissione, nella decisione impugnata, non ha concluso che la LGD costituisse un’impresa unica, ai sensi della giurisprudenza ricordata ai precedenti punti 6 e 69, con la società di diritto coreano LG Electronics, Inc. (in prosieguo: la «LGE») e con la società di diritto olandese Koninklijke Philips Electronics NV (in prosieguo: la «Philips»). Allo stesso modo, la Commissione non ha applicato tale nozione all’AUO e alla società di diritto taiwanese BenQ Corp. (in prosieguo: la «BenQ»). Inoltre, le vendite della LGD alla LGE e alla Philips e quelle dell’AUO alla BenQ sono state considerate come «vendite dirette nel SEE» e non come «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati». Il trattamento diverso al quale sono state assoggettate le vendite della ricorrente è giustificato dal fatto che essa ha trasferito gli LCD oggetto del cartello dapprima, all’interno della stessa impresa, a società con sede al di fuori del SEE, le quali hanno successivamente incorporato tali LCD in prodotti finiti che sono stati venduti, da questa stessa impresa, a terzi con sede nel SEE. Tale differenza oggettiva giustifica l’inclusione delle vendite della ricorrente in una categoria diversa da quella applicata alle vendite della LGD alla LGE e alla Philips.

91      In secondo luogo, nella misura in cui la censura della ricorrente riassunta al precedente punto 89 possa essere interpretata nel senso che essa addebiti alla Commissione di aver escluso l’esistenza di un’impresa unica fra la LGD, la LGE e la Philips e fra la AUO e la BenQ, occorre innanzitutto ricordare che, secondo la giurisprudenza, una censura relativa a un motivo di annullamento è irricevibile a causa della mancanza di interesse ad agire qualora, anche supponendo che detto motivo sia fondato, l’annullamento dell’atto impugnato sulla base di tale motivo non sia idoneo a dare soddisfazione al ricorrente (sentenza della Corte del 9 giugno 2011, Evropaïki Dynamiki/BCE, C‑401/09 P, Racc. pag. I‑4911, punto 49; v. anche, in tal senso, sentenze della Corte del 15 marzo 1973, Marcato/Commissione, 37/72, Racc. pag. 361, punti da 2 a 8, e del 21 settembre 2000, EFMA/Consiglio, C‑46/98 P, Racc. pag. I‑7079, punto 38).

92      Nel caso di specie, la censura della ricorrente è irricevibile perché, anche ipotizzando che la Commissione abbia erroneamente omesso di considerare che la LGD, la LGE e la Philips formavano un’impresa unica, come la AUO e la BenQ, tale circostanza non potrebbe in alcun modo avvantaggiare la ricorrente. Infatti, contrariamente a quanto da essa sostenuto, tali asseriti errori della Commissione, quand’anche si fossero verificati, non dimostrerebbero che la nozione di «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati» sia a sua volta errata, dato che la definizione di tale nozione è indipendente dai casi ai quali essa è applicata o meno. Quindi, se la Commissione avesse constatato che i gruppi di società sopra menzionati costituivano imprese uniche, avrebbe dovuto semplicemente escludere che i trasferimenti degli LCD oggetto del cartello nell’ambito della stessa impresa fossero contabilizzati quali «vendite dirette nel SEE». Invece, la Commissione avrebbe verificato quali fra le suddette vendite soddisfacessero le condizioni per essere considerate come «vendite dirette nel SEE attraverso prodotti trasformati», condizioni che sarebbero state esattamente quelle applicate alle vendite della ricorrente che sono state incluse in tale categoria.

93      In ogni caso, anche ammettendo che la ricorrente sia legittimata a far valere la censura riassunta al precedente punto 89, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, da un lato, il rispetto del principio di parità di trattamento deve conciliarsi col rispetto del principio di legalità, secondo cui nessuno può far valere a proprio vantaggio un illecito commesso a favore di altri; dall’altro, quando un’impresa ha violato, mediante il suo comportamento, l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, essa non può sottrarsi a ogni sanzione a motivo del fatto che ad altri operatori economici non sono state inflitte ammende, quando, come nella fattispecie, il giudice dell’Unione non sia stato adito per giudicare la situazione di questi ultimi (v. sentenza del Tribunale del 16 novembre 2006, Peróxidos Orgánicos/Commissione, T‑120/04, Racc. pag. II‑4441, punto 77, e giurisprudenza ivi citata).

94      Anche per le suddette ragioni, la ricorrente non può trarre alcun vantaggio dagli eventuali errori in cui è incorsa la Commissione in merito all’esistenza di un’impresa unica tra la LGD, la LGE e la Philips e tra l’AUO e la BenQ.

95      Quanto al fatto, dedotto dalla ricorrente, che nella comunicazione degli addebiti la Commissione aveva considerato che la LGD, la LGE e la Philips costituivano un’impresa unica, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza, la comunicazione degli addebiti è per sua natura provvisoria e soggetta a modifiche nell’ambito della valutazione successivamente compiuta dalla Commissione alla luce delle osservazioni presentate dalle parti e di altre constatazioni di fatto. Infatti, la Commissione deve tener conto degli elementi derivanti dall’intero procedimento amministrativo o per abbandonare censure che sarebbero infondate, o per rettificare ed integrare sia in fatto che in diritto i suoi argomenti a sostegno delle censure che essa accoglie. Pertanto, la comunicazione degli addebiti non impedisce assolutamente alla Commissione di modificare la propria posizione a favore delle imprese interessate (v. sentenza della Corte del 10 luglio 2008, Bertelsmann e Sony Corporation of America/Impala, C‑413/06 P, Racc. pag. I‑4951, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).

96      Ne consegue che la Commissione non è vincolata a tenere ferme le valutazioni in fatto o in diritto formulate in tale documento. Al contrario, essa deve motivare la sua decisione definitiva con le sue valutazioni conclusive basate sugli esiti dell’intera indagine quali essi risultano al momento della chiusura del procedimento amministrativo. Peraltro, la Commissione non è tenuta a spiegare le eventuali differenze sussistenti tra le sue valutazioni definitive e quelle provvisorie contenute nella comunicazione degli addebiti (v. sentenza Bertelsmann e Sony Corporation of America/Impala, cit., punti 64 e 65, e giurisprudenza ivi citata).

97      Pertanto, la Commissione non era obbligata a spiegare, nella decisione impugnata, le ragioni per le quali essa aveva in conclusione ritenuto che la LGD non costituisse un’impresa unica con la LGE e la Philips.

98      Infine, deve essere respinto in quanto inoperante l’argomento della ricorrente relativo al fatto che il ragionamento seguito e gli elementi di prova richiamati dalla Commissione con riguardo tanto alle vendite degli LCD oggetto del cartello interne alle imprese quanto alle vendite fatte alle imprese legate ai partecipanti da una relazione particolare sono essenzialmente gli stessi. Infatti, tale circostanza non incide sul fatto che la presenza o l’assenza di un’impresa unica ai sensi della giurisprudenza richiamata ai precedenti punti 6 e 69 è una circostanza sufficiente per giustificare che la Commissione classifichi in modo diverso le vendite effettuate in un caso o nell’altro ai fini dell’ammenda.

99      In considerazione di quanto precede, occorre respingere anche il secondo capo del primo motivo e, di conseguenza, quest’ultimo nel suo complesso.

2.     Sul secondo motivo, relativo al fatto che la Commissione avrebbe violato l’articolo 101 TFUE e l’articolo 53 dell’accordo SEE quando ha concluso che l’infrazione si estendeva agli LCD-TV

100    Con il presente motivo, da un lato, la ricorrente contesta, in sostanza, che il suo comportamento anticoncorrenziale relativo sia agli LCD-TV che agli LCD-IT potesse venire considerato come atto a generare una stessa infrazione unica e continuata. Dall’altro, essa addebita alla Commissione di non avere tenuto conto del fatto che i partecipanti coreani al cartello addebitato nella decisione impugnata si fossero accordati con i fornitori giapponesi di LCD-TV in merito a questi ultimi prodotti.

 Osservazioni preliminari

101    Occorre anzitutto ricordare che la nozione di infrazione unica riguarda la situazione in cui più imprese abbiano preso parte ad un’infrazione costituita da un comportamento continuato avente un unico obiettivo economico volto a falsare la concorrenza, oppure da infrazioni singole collegate l’una all’altra da un’identità di oggetto (stessa finalità dell’insieme degli elementi) e di soggetti (identità delle imprese interessate, consapevoli di partecipare all’oggetto comune) (v. sentenza del Tribunale del 28 aprile 2010, Amann & Söhne e Cousin Filterie/Commissione, T‑446/05, Racc. pag. II‑1255, punto 89, e giurisprudenza ivi citata).

102    Si deve poi osservare che una violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE può risultare non soltanto da un atto isolato, ma anche da una serie di atti o, ancora, da un comportamento continuato. Tale interpretazione non può essere contestata sulla base del fatto che uno o più elementi di questa serie di atti o di questo comportamento continuato potrebbero anche costituire di per sé stessi e presi isolatamente una violazione di detta disposizione. Ove le diverse azioni facciano parte di un piano globale, a causa del loro identico oggetto consistente nel distorcere il gioco della concorrenza all’interno del mercato unico, la Commissione può imputare la responsabilità di tali azioni in funzione della partecipazione all’infrazione considerata nel suo insieme (v. sentenza Amann & Söhne e Cousin Filterie/Commissione, cit., punto 90, e la giurisprudenza ivi citata).

103    Occorre inoltre precisare che l’obiettivo unico perseguito dal piano globale che caratterizza un’infrazione unica e continuata non può essere determinato riferendosi in generale alla distorsione della concorrenza nel mercato interessato dall’infrazione, dal momento che il pregiudizio arrecato alla concorrenza costituisce, come oggetto o come effetto, un elemento intrinseco a qualunque comportamento rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. Una siffatta definizione della nozione di obiettivo unico rischierebbe di privare la nozione di infrazione unica e continuata di una parte del suo significato, in quanto avrebbe per conseguenza che vari comportamenti concernenti un settore economico, vietati dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, dovrebbero essere sistematicamente qualificati come elementi costitutivi di un’infrazione unica. Pertanto, ai fini della qualificazione di comportamenti diversi come infrazione unica e continuata, occorre verificare se essi presentino un nesso di complementarietà, nel senso che ciascuno di essi è destinato a far fronte ad una o più conseguenze del gioco normale della concorrenza, e se essi contribuiscano, interagendo reciprocamente, alla realizzazione di tutti gli effetti anticoncorrenziali voluti dai rispettivi autori nell’ambito di un piano globale diretto a conseguire un unico obiettivo. Al riguardo, occorre tenere conto di tutte le circostanze che possano dimostrare o mettere in dubbio tale nesso, quali il periodo di applicazione, il contenuto (inclusi i metodi utilizzati) e, correlativamente, l’obiettivo dei diversi comportamenti in questione (v. sentenza Amann & Söhne e Cousin Filterie/Commissione, cit., punto 92, e giurisprudenza ivi citata).

104    Alla luce dei suddetti principi, occorrerà esaminare gli argomenti della ricorrente, dopo aver ricordato le constatazioni effettuate dalla Commissione nella decisione impugnata che risultano rilevanti al riguardo.

 Constatazioni effettuate nella decisione impugnata

105    Si deve preliminarmente osservare che l’infrazione addebitata dalla Commissione ai destinatari della decisione impugnata consiste nel fatto che essi hanno partecipato, da un lato, alle «riunioni Cristallo», durante le quali fissavano dei prezzi minimi per gli LCD oggetto del cartello, discutevano delle loro proiezioni di prezzo per evitarne la diminuzione e coordinavano i loro aumenti di prezzo nonché i livelli di produzione e, dall’altro, a riunioni bilaterali riguardanti gli argomenti discussi durante le «riunioni Cristallo» (v. precedente punto 15).

106    In modo più dettagliato, nella decisione impugnata, la Commissione ha affermato, in primo luogo, che i partecipanti al cartello si erano impegnati in un’intesa unica, complessa e continuata per gli LCD-IT e gli LCD-TV, costituita da una serie di azioni connesse ed interdipendenti che sono perdurate lungo tutto il periodo d’infrazione, allo scopo di aumentare e di conservare il prezzo dei suddetti LCD a livello mondiale e di SEE (punto 283).

107    In secondo luogo, secondo la decisione impugnata, la fissazione dei prezzi, ottenuta mediante l’aumento dei medesimi, la determinazione di forchette di prezzo e la determinazione di prezzi minimi o obiettivo, e l’adozione di una posizione comune e di una strategia futura sui parametri che determinano i prezzi, quali la produzione, le capacità, le spedizioni nonché la domanda, accompagnate da un sistema di sorveglianza per garantire il rispetto degli accordi conclusi, sono altrettanti elementi che fanno tutti parte di un piano globale, che aveva per obiettivo comune quello di controllare i prezzi per le vendite mondiali, incluse quelle effettuate all’interno del SEE, sia degli LCD‑IT che degli LCD‑TV (punto 284).

108    In terzo luogo, la Commissione ha osservato che le caratteristiche dell’infrazione, le sue linee d’azione e la sua organizzazione hanno seguito lo stesso schema lungo tutto il periodo d’infrazione. Se è vero che le modalità operative della collusione sono cambiate nel corso del tempo, secondo la decisione impugnata ciò doveva essere considerato normale riguardo a un’intesa di lunga durata, i cui partecipanti si erano adattati a cambiamenti di circostanze, in particolare al fine di non essere scoperti. Quindi, nella decisione impugnata, è stato osservato che anche la presenza, alle riunioni del cartello tenutesi successivamente al maggio 2005, di personale di segreteria e non più dirigenziale come in precedenza, non aveva comportato un cambiamento nella natura delle riunioni, che continuavano a riguardare la fissazione dei prezzi e il controllo di parametri quali la produzione degli LCD oggetto del cartello (punto 287).

109    In quarto luogo, la Commissione ha riconosciuto che le discussioni che si erano tenute nel corso del primo anno del cartello si erano concentrate tutte sugli LCD‑IT e ha rilevato che gli LCD‑TV erano stati coinvolti in tali discussioni successivamente al settembre 2002. Essa ha tuttavia sottolineato che, a mano a mano che gli altri partecipanti al cartello si erano dedicati alla produzione di LCD-TV, essi avevano iniziato a condividere con gli altri i loro dati relativi a questi ultimi. A tal riguardo, la Commissione ha sottolineato, da un lato, che da quel momento in poi gli LCD-TV erano stati sistematicamente oggetto di discussioni durante le stesse riunioni in cui si discuteva sugli LCD-IT, e, dall’altro, che i partecipanti erano in grado di riallocare le capacità tra le varie applicazioni degli LCD oggetto del cartello al fine di influenzare la domanda e, in tal modo, anche i prezzi di tali prodotti. Su tale base, la Commissione ha concluso che le stesse imprese perseguivano, per gli LCD-TV, lo stesso obiettivo e utilizzavano le stesse modalità operative, nell’ambito dello stesso piano globale, rispetto ai casi delle discussioni riguardanti gli LCD-IT tenutesi a partire dal 2001 (punti 288 e 289).

 Valutazione degli argomenti che contestano le constatazioni effettuate nella decisione impugnata

110    Da numerosi documenti raccolti dalla Commissione risulta che i partecipanti al cartello erano in grado di riallocare le loro capacità produttive tra gli LCD-IT e gli LCD-TV al fine di influenzare la domanda e, con la stessa modalità, i prezzi di tali prodotti.

111    A tal riguardo, in primo luogo, il punto 154 della decisione impugnata cita gli appunti di un partecipante alla «riunione Cristallo» dell’11 giugno 2003, alla quale la ricorrente ha assistito, nei quali è stata ripresa una dichiarazione di [riservato] del seguente tenore:

«(…S)e gli attuali clienti nei settori degli schermi e dei notebook riducono i loro ordini, la capacità di produzione sarà dislocata al fine di produrre, per reazione, televisori (…)».

112    In secondo luogo, da un messaggio di posta elettronica relativo alla «riunione Cristallo» del 9 luglio 2003, citato al punto 155 della decisione impugnata, risulta che la ricorrente decideva le sue priorità nell’allocazione delle proprie capacità di produzione degli LCD tra LCD-TV e LCD-IT sulla base dei margini di guadagno attesi. Lo stesso messaggio di posta elettronica menziona una riallocazione delle capacità di produzione dagli LCD-IT agli LCD-TV da parte di [riservato]. Inoltre, il verbale redatto da uno dei partecipanti a tale riunione menziona la circostanza, ripresa al punto 156 della decisione impugnata, che, per la ricorrente, la produzione di schermi costituiva un modo per assorbire tutte le capacità di produzione che restavano disponibili.

113    In terzo luogo, in un messaggio di posta elettronica interna di [riservato], relativo al verbale della «riunione Cristallo» del 5 febbraio 2004 che si era svolta presso la ricorrente, si legge che [riservato] riallocava le sue capacità di produzione in particolare verso gli LCD‑TV.

114    In quarto luogo, al punto 187 della decisione impugnata, la Commissione si è riferita agli appunti di un partecipante alla «riunione Cristallo» del 4 novembre 2004, che menzionavano discussioni vertenti sulla riallocazione delle capacità di produzione fra le varie applicazioni degli LCD oggetto del cartello al fine di influenzare la domanda. In particolare, [riservato] ha confermato «la sua intenzione di lanciare la produzione del MEP 17’’ soltanto se la domanda nel mercato dei televisori [fosse stata] limitata e se non [avesse avuto] alternative». Stando ai medesimi appunti, l’offerta della ricorrente di taluni LCD-TV era divenuta insufficiente in quanto la stessa aveva reindirizzato le sue capacità di produzione verso altri LCD [riservato], che erano LCD-IT, come la ricorrente ha confermato in risposta a un quesito scritto del Tribunale.

115    In quinto luogo, al punto 192 della decisione impugnata, la Commissione cita taluni appunti relativi alla «riunione Cristallo» del 7 gennaio 2005, alla quale la ricorrente ha partecipato, dai quali risulta che un altro partecipante al cartello riallocava le sue capacità di produzione di schermi verso i computer portatili e i televisori.

116    In sesto luogo, al punto 220 della decisione impugnata, la Commissione menziona il fatto che, secondo una relazione di [riservato] sulla «riunione Cristallo» del 4 novembre 2005, la ricorrente ha, in tale occasione, presentato i suoi volumi di vendite e le sue capacità di produzione. Al riguardo, occorre precisare che detta relazione menziona il fatto che la ricorrente, nel novembre 2005, impiegava quasi il 100% delle capacità di alcuni dei suoi impianti di produzione per realizzare LCD‑TV.

117    In settimo luogo, al punto 223 della decisione impugnata, la Commissione cita documenti relativi alla «riunione Cristallo» del 6 dicembre 2005, cui la ricorrente ha assistito, dove viene riferito che uno dei partecipanti al cartello riallocava una parte delle sue capacità di produzione verso i televisori e i computer portatili.

118    I suddetti elementi dimostrano che i partecipanti al cartello, inclusa la ricorrente, erano in grado di riallocare, e in effetti hanno più volte riallocato, le loro capacità di produzione degli LCD‑IT verso gli LCD‑TV e viceversa per cercare di mantenere i prezzi degli uni e degli altri prodotti ai livelli pattuiti o, quanto meno, per limitare le loro diminuzioni. Pertanto, tali elementi consentono di concludere che sussisteva un nesso di complementarità, ai sensi della giurisprudenza ricordata al precedente punto 103, tra le decisioni adottate e le informazioni scambiate riguardo alle due categorie di LCD oggetto del cartello.

119    Per quanto concerne la deduzione, da parte della ricorrente, dell’asserito carattere superficiale ed episodico degli scambi di informazioni tra i partecipanti al cartello in merito agli LCD-TV, occorre osservare che le prove contenute nella decisione impugnata mostrano, innanzitutto, che in diverse occasioni i partecipanti alle riunioni del cartello hanno pattuito di mantenere costante il livello dei prezzi degli LCD-TV. Come rilevato al punto 154 della decisione impugnata, in occasione della «riunione Cristallo» dell’11 giugno 2003, sono state scambiate talune informazioni in particolare riguardo alla strategia dei prezzi (price policies) che uno dei partecipanti al cartello prevedeva, in particolare, per gli LCD‑TV. Allo stesso modo, sono state esaminate alcune tabelle relative alle tendenze dei prezzi di vari tipi di LCD oggetto del cartello per i mesi di maggio, giugno e luglio di quell’anno. In una di tali tabelle figurano taluni dati riguardanti gli LCD‑TV. Inoltre, al punto 165 della decisione impugnata, la Commissione ha citato taluni documenti relativi alla «riunione Cristallo» del 7 novembre 2003, dai quali risulta che i partecipanti si prefissavano come obiettivi di aumentare i prezzi degli LCD per i computer portatili e di mantenere costante il livello dei prezzi degli altri LCD oggetto del cartello, con esplicito riferimento agli LCD-TV. In allegato a un verbale di tale riunione figurano talune tabelle che mostrano i prezzi di numerosi tipi di LCD oggetto del cartello, fra cui gli LCD‑TV, nel corso del 2003. Altri esempi del fatto che le discussioni durante le riunioni del cartello avevano ad oggetto i dati, in particolare i prezzi e le capacità di produzione, relativi non soltanto agli LCD‑IT ma anche agli LCD‑TV, risultano dai punti 167, 171, 173, 174, 202 e 214 della decisione impugnata nonché dai documenti del dossier della Commissione a cui i suddetti punti rinviano.

120    Anche ipotizzando che i partecipanti al cartello abbiano scambiato ulteriori informazioni, o informazioni più sensibili, sia riguardo agli LCD-IT che agli LCD-TV, resta comunque il fatto che le prove raccolte dalla Commissione dimostrano che tutte le suddette informazioni erano scambiate contestualmente, spesso attraverso gli stessi documenti, e, soprattutto, nel perseguimento del medesimo scopo. Inoltre, il carattere sensibile e dettagliato delle informazioni fornite dalla ricorrente risulta dal punto 202 della decisione impugnata, dove la Commissione cita un documento, relativo alla «riunione Cristallo» del 5 maggio 2005, da cui emerge che, per quanto riguarda la ricorrente, in considerazione delle capacità ristrette, il prezzo di una categoria di LCD-TV è aumentato da 5 a 10 dollari degli Stati Uniti (USD) in maggio, il che ha portato il prezzo a USD 230.

121    Per quanto riguarda il fatto, dedotto dalla ricorrente, che le discussioni sugli LCD‑TV hanno, a suo avviso, messo in evidenza una tendenza continua all’abbassamento dei prezzi di tali prodotti, occorre osservare che numerosi documenti sui quali la Commissione si è fondata nella decisione impugnata menzionano la volontà dei partecipanti al cartello di mantenere costanti i livelli dei prezzi di tali LCD e il fatto che non erano probabili, a breve termine, abbassamenti dei prezzi (v. punti 165, 167, 173 e 207 della decisione impugnata). In ogni caso, anche ipotizzando che sovente le discussioni dell’intesa siano pervenute soltanto a decisioni di abbassamento dei prezzi, tale coordinamento dei comportamenti avrebbe comunque falsato il gioco della concorrenza, dato che gli abbassamenti dei prezzi sono stati effettuati in modo coordinato e avrebbero potuto essere più significativi in assenza di concertazione. Oltre a ciò, la possibilità di riallocare le capacità di produzione, che costituiva oggetto delle discussioni in seno al cartello, permetteva ai partecipanti a quest’ultimo di reagire ad abbassamenti dei prezzi degli LCD‑TV, e ciò in modo coordinato, nell’ambito di un piano globale.

122    Per quanto riguarda la circostanza, anch’essa dedotta dalla ricorrente, che il personale inviato alle riunioni dai partecipanti al cartello era specializzato negli LCD‑IT e non negli LCD‑TV, occorre rilevare che, se è vero che la stessa può interpretarsi nel senso che gli LCD‑IT erano più importanti per le imprese interessate, tuttavia non significa che gli LCD‑TV fossero oggetto solo di discussioni superficiali ed episodiche. Infatti, come giustamente sottolineato dalla Commissione, tale circostanza dimostra che gli scambi di informazioni riguardanti gli LCD‑TV avvenivano in modo premeditato, dato che il personale presente alle riunioni doveva prepararsi su tale settore, che non faceva parte del loro principale settore di attività.

123    Da quanto precede risulta che gli scambi di dati relativi agli LCD‑TV rientravano nello stesso piano globale relativo agli LCD‑IT e, di conseguenza, nella stessa infrazione unica e continuata.

124    Gli altri argomenti della ricorrente non rimettono in discussione la constatazione che si trattava proprio di un’infrazione unica e continuata, riguardante tanto gli LCD‑IT quanto gli LCD‑TV, che la Commissione aveva il diritto di sanzionare con un’ammenda complessiva.

125    In primo luogo, è del tutto irrilevante il fatto che i dati relativi agli LCD‑TV hanno iniziato ad essere discussi tra i partecipanti al cartello in seguito a una prima fase, durante la quale il cartello aveva interessato solo gli LCD‑IT. Infatti, essendo stato dimostrato che gli scambi di informazioni e le decisioni adottate durante le riunioni del cartello riguardo agli LCD‑TV rientravano nello stesso piano globale messo in atto per gli LCD‑IT, è irrilevante il momento in cui tale estensione del cartello ha avuto luogo per ciascuno dei partecipanti. Inoltre, occorre sottolineare che, ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda, la Commissione ha tenuto conto della media del valore delle vendite rilevanti di ciascun destinatario della decisione impugnata durante tutto il periodo d’infrazione. Detta media è influenzata, in modo favorevole alla ricorrente, dal fatto che quest’ultima non produceva LCD‑TV all’inizio del periodo d’infrazione.

126    Inoltre, il fatto che la ricorrente non produceva LCD‑TV quando i dati relativi a questi ultimi hanno iniziato a essere scambiati nel corso delle «riunioni Cristallo» non toglie nulla alla circostanza che la ricorrente, quando ha esteso le sue attività agli LCD‑TV, ha potuto beneficiare delle informazioni di cui essa disponeva riguardo ai prezzi e alle capacità di produzione degli altri partecipanti al cartello che l’avevano preceduta in tale settore. Al riguardo, dalla giurisprudenza risulta che un’impresa può essere ritenuta responsabile di una pratica concertata anche laddove la sua partecipazione si limiti al mero recepimento di informazioni sul comportamento futuro dei suoi concorrenti (v., in tal senso, sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2008, Lafarge/Commissione, T‑54/03, non pubblicata nella Raccolta, punti 459 e 460, e giurisprudenza ivi citata). Quindi, un’impresa può anche avere partecipato direttamente solo ad alcuni dei comportamenti anticoncorrenziali che compongono un’infrazione unica e continuata, ma essere stata al corrente di tutti gli altri comportamenti illeciti previsti o attuati dagli altri partecipanti all’intesa nel perseguire i medesimi obiettivi, o aver potuto ragionevolmente prevederli ed essere stata pronta ad accettarne il rischio. In un caso del genere, la Commissione può ben imputare a tale impresa la responsabilità di tutti i comportamenti anticoncorrenziali che compongono tale infrazione e, di conseguenza, dell’infrazione nel suo insieme (sentenza della Corte del 6 dicembre 2012, Commissione/Verhuizingen Coppens, C‑441/11 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 43).

127    In tale contesto, non è necessario esaminare il valore probatorio, contestato dalla ricorrente, del documento sul quale la Commissione si è fondata per affermare che l’estensione dell’intesa agli LCD-TV era iniziata nel settembre 2002.

128    In secondo luogo, è di scarsa importanza il fatto che gli LCD-IT e gli LCD-TV possano rientrare in mercati diversi, come sostiene la ricorrente. Al riguardo, occorre anzitutto ricordare che un’infrazione unica non deve necessariamente avere ad oggetto lo stesso prodotto o prodotti fungibili. Altri criteri, quali l’identità o la diversità degli obiettivi delle pratiche di cui trattasi, l’identità delle imprese partecipanti, l’identità delle modalità dell’attuazione di tali pratiche, l’identità delle persone fisiche implicate per conto delle imprese e l’identità dell’ambito di applicazione geografica delle pratiche in questione, sono egualmente rilevanti a tal fine (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 12 dicembre 2012, Almamet/Commissione, T‑410/09, non pubblicata nella Raccolta, punti 172 e 174, e giurisprudenza ivi citata). Detti criteri sono soddisfatti nel caso di specie, come risulta dai precedenti punti da 111 a 128.

129    Inoltre, secondo una giurisprudenza costante, in sede di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, è per determinare se un accordo possa incidere sul commercio tra gli Stati membri e abbia per oggetto o per effetto di impedire, di restringere o di falsare il gioco della concorrenza nel mercato interno che occorre definire il mercato di cui trattasi. Di conseguenza, l’obbligo di tracciare una delimitazione del mercato di cui trattasi in una decisione adottata ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE si impone alla Commissione unicamente quando, senza una delimitazione siffatta, non sia possibile stabilire se l’accordo, la decisione di associazione di imprese o la pratica concordata di cui è causa possano incidere sugli scambi tra Stati membri e abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza nel mercato interno (v. sentenza del Tribunale del 25 ottobre 2005, Groupe Danone/Commissione, T‑38/02, Racc. pag. II‑4407, punto 99 e del 6 dicembre 2005, Brouwerij Haacht/Commissione, T‑48/02, Racc. pag. II‑5259, punto 58; v. anche, in tal senso, ordinanza della Corte del 16 febbraio 2006, Adriatica di Navigazione/Commissione, C‑111/04 P, non pubblicata nella Raccolta, punto 31).

130    Nel caso di specie, la ricorrente non ha contestato che l’intesa era suscettibile di incidere sul commercio fra gli Stati membri e aveva per oggetto di restringere e di falsare il gioco della concorrenza nel mercato interno.

131    Inoltre, la giurisprudenza ha pure precisato che il mercato interessato da una decisione della Commissione che accerta un’infrazione all’articolo 101 TFUE è determinato dagli accordi e dalle attività dell’intesa (v. sentenza del Tribunale del 24 marzo 2011, IBP e International Building Products France/Commissione, T‑384/06, Racc. pag. II‑1177, punto 118, e giurisprudenza ivi citata). Nel caso di specie, come giustamente sottolineato dalla Commissione, sono i membri dell’intesa che hanno deliberatamente focalizzato il loro comportamento anticoncorrenziale contemporaneamente sugli LCD‑IT e sugli LCD‑TV.

132    Di seguito, occorre esaminare l’argomento che la ricorrente cerca di dedurre dalla sentenza del Tribunale dell’11 dicembre 2003, Adriatica di Navigazione/Commissione (T‑61/99, Racc. pag. II‑5349, punto 36), al fine di sostenere che la Commissione avrebbe dato una definizione insufficiente dei mercati interessati e avrebbe in tal modo erroneamente inteso la natura e la portata precise dell’infrazione constatata nella decisione impugnata.

133    A questo riguardo, occorre ricordare che è vero che, al punto 30 della citata sentenza Adriatica di Navigazione/Commissione, il Tribunale ha osservato che censure dirette contro la definizione del mercato rilevante fatta propria dalla Commissione possono concernere elementi attinenti all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE diversi dall’esistenza di una restrizione della concorrenza nel mercato interno e dall’incidenza sugli scambi tra gli Stati membri, quali la portata dell’intesa in questione, il suo carattere unico o globale nonché l’apporto individuale di ciascuna impresa partecipante. Allo stesso modo, ai punti 31 e 32 della suddetta sentenza, il Tribunale ha sottolineato che una decisione della Commissione che constata la partecipazione di un’impresa a un’intesa può avere conseguenze sulle relazioni dei destinatari di tale decisioni con soggetti terzi. Pertanto, è auspicabile che la Commissione, allorché adotta una decisione che constata la partecipazione di un’impresa a un’infrazione complessa, collettiva e ininterrotta, oltre a verificare l’osservanza delle condizioni specifiche d’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, consideri che, perché una siffatta decisione possa implicare la responsabilità personale di ciascuno dei suoi destinatari, deve essere accertata la loro partecipazione ai comportamenti collettivi sanzionati e correttamente delimitati.

134    Tuttavia, anche alla luce di tale giurisprudenza, l’argomento della ricorrente non può essere accolto nel caso in esame. Infatti, dai precedenti punti da 110 a 127 risulta che la Commissione ha ritenuto la ricorrente responsabile soltanto dell’infrazione che si è realizzata con la partecipazione alle «riunioni Cristallo» e alle riunioni bilaterali legate a queste ultime, le quali avevano per scopo di coordinare i prezzi e le capacità di produzione sia degli LCD‑IT che degli LCD‑TV. Quindi, la mancanza di una definizione più specifica dei mercati interessati dall’intesa non ha esposto la ricorrente ai rischi rilevati dal Tribunale nella citata sentenza Adriatica di Navigazione/Commissione menzionati al precedente punto 133.

 Mancata considerazione dei contatti con i fornitori giapponesi

135    La ricorrente rimprovera alla Commissione di non aver tenuto conto del fatto che i partecipanti coreani all’infrazione constatata nella decisione impugnata si sarebbero accordati con i fornitori giapponesi di LCD‑TV, i quali, insieme ai suddetti partecipanti coreani, sarebbero gli attori principali su tale mercato, mentre la ricorrente avrebbe in esso solo un ruolo secondario. Secondo la ricorrente, la vera infrazione che la Commissione avrebbe dovuto perseguire riguardo a tali LCD consisteva nella concertazione fra gli attori principali di detto mercato. Di conseguenza, la Commissione avrebbe violato l’obbligo di motivazione, il principio di parità di trattamento nonché il principio di proporzionalità.

 Osservazioni preliminari

136    Si deve rilevare che, sebbene la giurisprudenza relativa alla nozione di infrazione unica e continuata permetta alla Commissione di perseguire contemporaneamente, con un solo procedimento e una sola decisione, diversi comportamenti che avrebbero potuto essere perseguiti individualmente, essa non implica che la Commissione sia obbligata a procedere in tal modo. Pertanto, anche ipotizzando che l’asserita concertazione tra i fornitori giapponesi di LCD-TV e i partecipanti coreani all’intesa oggetto della decisione impugnata costituisca un’infrazione dell’articolo 101 TFUE e che tale infrazione rientri nella medesima infrazione unica e continuata da essa constatata nella decisione impugnata, non per questo la Commissione avrebbe potuto essere obbligata a perseguire l’insieme di tali comportamenti in modo unitario.

137    Infatti, la Commissione dispone di un potere discrezionale circa la portata delle procedure da essa espletate. Al riguardo, secondo la giurisprudenza, essa non può essere obbligata a constatare e a sanzionare tutti i comportamenti anticoncorrenziali, né i giudici dell’Unione possono dichiarare – anche solo allo scopo di ridurre l’ammenda – che la Commissione, alla luce delle prove a sua disposizione, avrebbe dovuto accertare l’esistenza di un’infrazione durata per un certo periodo di tempo e imputabile a una specifica impresa (v., in tal senso, Tokai Carbon e a./Commissione, cit., punti 369 e 370).

138    L’esercizio di tale potere è soggetto a sindacato giurisdizionale. Tuttavia, dalla giurisprudenza risulta che solo dimostrando che la Commissione ha avviato, senza una ragione oggettiva, due procedimenti separati a fronte di una situazione di fatto unitaria è possibile ritenere che la sua scelta costituisca uno sviamento di potere (v., in tal senso, sentenza della Corte del 29 giugno 2010, Commissione/Alrosa, C‑441/07 P, Racc. pag. I‑5949, punto 89).

139    Nel caso di specie, la Commissione ha considerato che essa non disponeva, oppure non disponeva ancora, di prove sufficienti nei confronti dei fornitori giapponesi e ha pertanto scelto di non perseguirli contestualmente alla ricorrente e agli altri destinatari della decisione impugnata, nei confronti dei quali essa disponeva, per contro, di numerose prove della sussistenza di un’infrazione, e ciò sia per gli LCD-IT che per gli LCD-TV, come è stato sopra rilevato (punti da 110 a 134). Orbene, tale circostanza costituisce una ragione oggettiva, che giustifica la scelta della Commissione. Occorre tuttavia osservare che, nell’ambito del procedimento riguardante i fornitori giapponesi, la Commissione sarà tenuta a rispettare, in particolare, il principio del ne bis in idem nei confronti della ricorrente.

 Sull’asserita violazione dell’obbligo di motivazione

140    La ricorrente asserisce che, nella decisione impugnata, la Commissione avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali essa ha escluso i fornitori giapponesi di LCD-TV dal procedimento conclusosi con l’adozione della decisione impugnata.

141    A tal riguardo, si deve ricordare che la Commissione non aveva alcun obbligo di esporre, nella decisione impugnata, le ragioni per le quali i fornitori giapponesi non erano stati perseguiti nell’ambito di tale procedimento. Infatti, secondo la giurisprudenza, l’obbligo di motivazione di un atto non può comportare un obbligo dell’istituzione che ne è l’autore di motivare il fatto di non aver adottato altri atti simili nei confronti di terzi (v., in tal senso, sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2004, JFE Engineering e a./Commissione, T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, Racc. pag. II‑2501, punto 414, e del 4 luglio 2006, Hoek Loos/Commissione, T‑304/02, Racc. pag. II‑1887, punto 63).

 Sull’asserita violazione del principio di parità di trattamento

142    Occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza ricordata al precedente punto 93, quando un’impresa ha violato, mediante il suo comportamento, l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, essa non può sottrarsi a qualsiasi sanzione in ragione del fatto che ad altri operatori economici non sono state inflitte ammende, anche quando, come nella fattispecie, il giudice dell’Unione non sia stato adito per la situazione di questi ultimi. In proposito, occorre osservare che, se è vero che la Commissione non può operare una discriminazione tra le imprese che hanno partecipato a una medesima intesa, vero è anche che l’infrazione contestata alla ricorrente consiste nella concertazione che ha avuto luogo, durante le «riunioni Cristallo» e talune riunioni bilaterali collegate a queste ultime, tra i fornitori taiwanesi e coreani degli LCD oggetto del cartello. Poiché i fornitori giapponesi non hanno partecipato a tale concertazione, la decisione impugnata non è viziata da una disparità di trattamento a tal riguardo.

143    Per quanto concerne l’argomento della ricorrente secondo cui le sole discussioni importanti relative agli LCD‑TV erano quelle in cui rientravano i fornitori giapponesi, alle quali la ricorrente non partecipava, è sufficiente ricordare che la Commissione ha apportato prove sufficienti per dimostrare che i destinatari della decisione impugnata si sono accordati, nell’ambito di un piano globale, sia sugli LCD‑IT che sugli LCD‑TV (v. precedenti punti da 105 a 134). Tale concertazione costituisce un’infrazione che la Commissione era in diritto di perseguire, a prescindere dall’eventuale esistenza di altre infrazioni concernenti gli LCD‑TV a cui taluni destinatari della decisione impugnata diversi dalla ricorrente possano aver partecipato.

144    In risposta all’argomento che la ricorrente cerca di trarre dalla prassi della Commissione, in particolare dalla decisione C (2008) 5955 def. della Commissione, del 15 ottobre 2008, relativa ad un procedimento di applicazione dell’articolo 81 [CE] (caso COMP/39.188 – Banane) (in prosieguo: la «decisione Banane»), occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, una prassi decisionale della Commissione non può servire come quadro giuridico delle ammende in materia di concorrenza e che decisioni relative ad altri casi rivestono solo un carattere indicativo per quanto concerne l’eventuale esistenza di una discriminazione, poiché è poco verosimile che le circostanze proprie di questi, quali i mercati, i prodotti, le imprese e i periodi considerati, siano identiche (v. sentenza del Tribunale dell’8 ottobre 2008, Carbone-Lorraine/Commissione, T‑73/04, Racc. pag. II‑2661, punto 92, e giurisprudenza ivi citata).

145    Al fine di sottolineare le differenze esistenti tra i fatti oggetto della decisione Banane e quelli della presente causa, si deve osservare che uno dei partecipanti all’infrazione di cui alla suddetta decisione si è visto riconoscere una riduzione dell’ammenda del 10% a titolo di circostanza attenuante, in quanto non risultava dal dossier che egli fosse a conoscenza di taluni aspetti di detta infrazione, ai quali non partecipava direttamente, o che potesse ragionevolmente prevederli (v. punti 465 e 466 della decisione Banane).

146    Invece, il presente caso non presenta circostanze simili, dato che la ricorrente, che ha senz’altro partecipato a tutti gli aspetti dell’infrazione constatata nella decisione impugnata, tenta di avvalersi del fatto di non aver partecipato ad un’infrazione implicante altre società.

147    In ogni caso, come giustamente sottolinea la Commissione, anche ipotizzando che i contatti bilaterali tra i fornitori coreani e giapponesi di LCD‑TV abbiano costituito un’infrazione unica e continuata insieme a quella constatata nella decisione impugnata e che la ricorrente abbia ignorato l’esistenza di tali contatti bilaterali, tali circostanze non comporterebbero che gli addebiti confermati nei confronti della ricorrente a motivo della sua partecipazione all’infrazione constatata nella decisione impugnata risultino privi di fondamento, né che l’ammenda inflitta alla ricorrente debba essere ridotta. Infatti, nulla permette in concreto di affermare che l’ammenda inflitta in caso di intesa più vasta, che includesse i fornitori giapponesi, sarebbe stata alla fine inferiore per la ricorrente. Al riguardo, l’eventuale riduzione che la Commissione avrebbe potuto concedere alla ricorrente, a titolo di circostanza attenuante, avrebbe potuto essere compensata, se non addirittura oltrepassata, dall’aumento derivante dall’applicazione di percentuali più elevate per quanto riguarda la gravità dell’infrazione e il «diritto d’entrata».

 Sull’asserita violazione del principio di proporzionalità

148    La ricorrente deduce la violazione del principio di proporzionalità, in quanto la Commissione non avrebbe tenuto conto del carattere meno grave dei comportamenti anticoncorrenziali relativi agli LCD‑TV rispetto a quelli relativi agli LCD‑IT.

149    In risposta a tale argomento, si deve rilevare, in primo luogo, che la Commissione ha correttamente affermato che si trattava di un’infrazione unica e continuata. Al riguardo, dalla giurisprudenza risulta che la Commissione non è obbligata a effettuare un’analisi separata di ciascun elemento di un’infrazione unica, a causa in particolare dell’esistenza di una strategia d’insieme condivisa da tutti i membri dell’intesa (v., in tal senso, sentenza Carbone-Lorraine/Commissione, cit., punto 49).

150    In secondo luogo, per quanto riguarda più in particolare il carattere proporzionato dei coefficienti utilizzati dalla Commissione in relazione alla gravità dell’infrazione come «diritto d’entrata» (v. precedente punto 24), si deve ricordare che gli orientamenti del 2006, e la giurisprudenza a cui essi sono ispirati, affermano che la gravità dell’infrazione viene valutata, in una prima fase, in base agli elementi propri della violazione stessa, quali la sua natura, la quota di mercato aggregata di tutte le parti interessate, l’estensione geografica dell’infrazione e il fatto che essa sia stata attuata oppure no. In una seconda fase, tale valutazione viene modulata in funzione di circostanze aggravanti o attenuanti proprie a ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 25 ottobre 2011, Aragonesas Industrias y Energía/Commissione, T‑348/08, Racc. pag. II‑7583, punto 264, e giurisprudenza ivi citata).

151    Lo scopo della suddetta prima fase è quello di stabilire l’importo di base dell’ammenda inflitta a ciascuna impresa interessata, applicando al valore delle vendite dei prodotti o dei servizi in parola sul mercato geografico rilevante per ciascuna di esse un primo coefficiente moltiplicatore che riflette la gravità dell’infrazione, ed eventualmente anche un secondo coefficiente moltiplicatore diretto a dissuaderle dall’intraprendere nuovamente simili comportamenti illeciti. Ciascuno dei due coefficienti moltiplicatori è determinato alla luce di fattori che riflettono le peculiarità dell’infrazione considerata nella sua globalità, ossia in quanto riunisce il complesso dei comportamenti anticoncorrenziali di tutti i suoi partecipanti (v., in tal senso, sentenza Aragonesas Industrias y Energía/Commissione, cit., punto 265).

152    Ne consegue che, anche ipotizzando che i comportamenti anticoncorrenziali relativi agli LCD-TV siano stati meno gravi di quelli relativi agli LCD-IT, la Commissione poteva fissare il coefficiente relativo alla gravità e quello relativo ai «diritti d’entrata» tenendo conto del piano globale oggetto dell’infrazione unica e continuata alla quale si riferiva l’insieme di tali comportamenti.

153    Inoltre, per quanto riguarda la circostanza che, nella decisione Banane, la Commissione ha applicato percentuali meno significative rispetto a quelle della decisione impugnata e ha concesso una riduzione elevata a titolo di circostanza attenuante, è sufficiente rinviare alla giurisprudenza menzionata al precedente punto 144 e sottolineare che, nella suddetta decisione, la Commissione ha accordato una riduzione, tenuto conto della situazione particolare creata, segnatamente, dal quadro regolamentare in vigore per il commercio delle banane (v. punto 460 della decisione Banane e il rinvio in esso contenuto, nonché il suo punto 467).

154    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, il secondo motivo dev’essere respinto.

3.     Sul terzo motivo, vertente sul fatto che il valore delle vendite rilevanti adottato dalla Commissione nei confronti della ricorrente avrebbe erroneamente incluso vendite diverse rispetto a quelle concernenti gli LCD oggetto del cartello

155    A sostegno della domanda volta a che il Tribunale riformi l’importo dell’ammenda inflittale nella decisione impugnata, la ricorrente solleva il terzo motivo, nel quale viene sostanzialmente dedotto che l’importo dell’ammenda è stato calcolato sulla base di un valore delle vendite errato, in quanto la ricorrente aveva erroneamente inserito nello stesso talune vendite relative a categorie di LCD diverse da quelle oggetto della decisione impugnata.

156    Si deve ricordare che il controllo di legittimità delle decisioni adottate dalla Commissione è completato dalla competenza estesa al merito, riconosciuta al giudice dell’Unione dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, in conformità con l’articolo 261 TFUE. Tale competenza autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità irrogata.

157    Spetta quindi al Tribunale, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, valutare, alla data in cui adotta la propria decisione, se alla ricorrente sia stata inflitta un’ammenda il cui importo rifletta adeguatamente la gravità dell’infrazione di cui trattasi (v. sentenza del Tribunale del 27 settembre 2012, Shell Petroleum e a./Commissione, T‑343/06, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 117, e giurisprudenza ivi citata).

158    Nel caso di specie, è incontestato fra le parti che, in ragione degli errori commessi dalla ricorrente, l’importo di base dell’ammenda che le è stata inflitta ammontava, prima dell’arrotondamento, a EUR 301 684 468 e che la parte di tale importo derivante dagli errori in questione era di EUR 13 246 618. Invece, è controverso fra le parti il modo in cui tali importi devono essere arrotondati.

159    Nell’atto introduttivo, la ricorrente ha chiesto che dall’ammenda inflittale nella decisione impugnata, pari a EUR 300 000 000, venga detratta una somma pari a EUR 13 250 000. Il nuovo importo dovrebbe pertanto ammontare a EUR 286 750 000.

160    Nel controricorso, la Commissione ha spiegato che, riguardo a tutti i destinatari della decisione impugnata, essa ha arrotondato l’importo di base per difetto alle prime due cifre, ad eccezione dei casi in cui tale riduzione rappresentava più del 2% dell’importo prima dell’arrotondamento, nei quali la Commissione ha arrotondato tale importo alle prime tre cifre.

161    A tal riguardo, occorre notare che la ricorrente, nella decisione impugnata, ha beneficiato dell’arrotondamento alle prime due cifre. Infatti, l’importo di base non arrotondato era pari a EUR 301 684 468, mentre l’importo arrotondato, come indicato nella tabella n. 6 della decisione impugnata, era di EUR 300 000 000.

162    Secondo la Commissione, il calcolo proposto dalla ricorrente è errato, in quanto comporta due arrotondamenti: quello che la Commissione ha già applicato all’importo di base figurante nella decisione impugnata e quello che induce a ritenere che l’importo da sottrarre in ragione dell’esclusione delle vendite di prodotti diversi dagli LCD oggetto del cartello passi da EUR 13 246 618 a EUR 13 250 000.

163    Per contro, come osserva la Commissione, l’applicazione del metodo seguito nella decisione impugnata all’importo di base risultante dal valore delle vendite corretto, vale a dire EUR 288 437 850, condurrebbe all’importo arrotondato di EUR 288 000 000. Infatti, un arrotondamento alle prime due cifre determinerebbe una riduzione di EUR 8 437 850, cioè superiore al 2% (2,9%) dell’importo di base non arrotondato.

164    Nella replica, la ricorrente sostiene che il fatto di arrotondare il nuovo importo della sua ammenda alle prime tre cifre, anziché alle prime due, comporterebbe che essa sarebbe la destinataria della decisione impugnata che profitta al minimo dell’arrotondamento. Essa chiede quindi una riduzione più elevata.

165    Al riguardo occorre rilevare che, mentre spetta al Tribunale valutare esso stesso le circostanze della fattispecie al fine di stabilire l’importo dell’ammenda, l’esercizio di una competenza estesa al merito non può comportare, in sede di determinazione dell’importo delle ammende inflitte, una discriminazione tra le imprese che hanno preso parte a un’intesa contraria all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE (v., in tal senso, sentenza Commissione/Verhuizingen Coppens, cit., punto 80).

166    Nel caso di specie, nella decisione impugnata la Commissione ha applicato il metodo di arrotondamento descritto al precedente punto 160 a tutti i partecipanti al cartello. Detto metodo è oggettivo e consente a tutti i partecipanti di beneficiare di una riduzione, nei limiti del 2%. Se è vero che talune riduzioni sono più elevate di altre e che quella della ricorrente sarebbe la meno elevata in percentuale se il Tribunale seguisse lo stesso metodo, resta comunque il fatto che qualsiasi metodo di arrotondamento comporta aggiustamenti che variano per ciascuna impresa e che determinano una riduzione più o meno elevata. Pertanto, poiché il metodo scelto dalla Commissione giova, certo in una misura diversa, a tutti i destinatari della decisione impugnata e che tale misura è limitata al tetto massimo del 2%, è opportuno non discostarsene, al fine di evitare disparità di trattamento (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 17 maggio 2011, Elf Aquitaine/Commissione, T‑299/08, Racc. pag. II‑2149, punti 307 e 308).

167    Si deve tuttavia ricordare che, per preservare l’effetto utile dell’articolo 18, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 1/2003, la Commissione può obbligare un’impresa a fornire tutte le informazioni necessarie per quanto attiene ai fatti di cui quest’ultima possa essere a conoscenza ed a comunicarle, all’occorrenza, i relativi documenti che siano in suo possesso, alla sola condizione di non imporre all’impresa l’obbligo di fornire risposte attraverso le quali quest’ultima verrebbe portata ad ammettere l’esistenza della violazione, che deve invece essere provata dalla Commissione (sentenza della Corte del 18 ottobre 1989, Orkem/Commissione, 374/87, Racc. pag. 3283, punti 34 e 35). Un’impresa alla quale la Commissione abbia inviato una richiesta di informazioni ai sensi dell’articolo 18 del regolamento n. 1/2003 è quindi soggetta ad un obbligo di collaborazione attiva e può esserle inflitta un’ammenda specifica, prevista dalle disposizioni di cui all’articolo 23, paragrafo 1, di detto regolamento, che può raggiungere l’1% del suo volume d’affari totale qualora essa fornisca, intenzionalmente o per negligenza, informazioni inesatte o fuorvianti (sentenza Shell Petroleum e a./Commissione, cit., punto 118).

168    Ne risulta che il Tribunale, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, può tenere conto, se del caso, della mancata collaborazione di un’impresa ed aumentare conseguentemente l’importo dell’ammenda inflittale per violazione degli articoli 101 TFUE o 102 TFUE, sempreché tale impresa non sia stata sanzionata per il medesimo comportamento con un’ammenda specifica basata sulle disposizioni dell’articolo 23, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 (sentenza Shell Petroleum e a./Commissione, cit., punto 118).

169    Ciò potrebbe verificarsi, ad esempio, nel caso in cui, in risposta ad una richiesta della Commissione in tal senso, un’impresa abbia omesso, intenzionalmente o per negligenza, di presentare durante il procedimento amministrativo elementi decisivi ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda dei quali disponeva o avrebbe potuto disporre al momento dell’adozione della decisione impugnata. Sebbene non sia precluso al Tribunale di tenere conto di tali elementi nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, resta il fatto che l’impresa che li abbia addotti solo nella fase contenziosa, pregiudicando così lo scopo e il corretto svolgimento del procedimento amministrativo, si espone al rischio che tale circostanza venga presa in considerazione dal Tribunale al momento della determinazione dell’importo adeguato dell’ammenda (sentenza Shell Petroleum e a./Commissione, cit., punto 119).

170    Nel caso di specie la ricorrente ammette di avere commesso errori quando ha fornito alla Commissione i dati necessari per il calcolo del valore delle vendite rilevanti, dato che essa vi aveva incluso talune vendite relative a prodotti diversi dagli LCD oggetto del cartello. La Commissione conferma che tali prodotti non avrebbero dovuto essere inclusi nel calcolo.

171    Inoltre, risulta dal dossier che tali errori derivano dal fatto che la ricorrente non aveva precisato le caratteristiche specifiche di taluni LCD alla società che la stessa aveva scelto al fine di calcolare i dati da trasmettere alla Commissione.

172    Il Tribunale dichiara che tale circostanza non consente di ritenere che la ricorrente sia venuta meno al suo obbligo di collaborazione risultante dalle disposizioni dell’articolo 18 del regolamento n. 1/2003 in un modo tale che se ne debba tenere conto nella fissazione dell’importo dell’ammenda. Infatti, la ricorrente non ha cercato di indurre la Commissione in errore, né le ha trasmesso dati lordi, a partire dai quali la Commissione avrebbe dovuto calcolare il valore delle vendite rilevanti, senza fornirle al tempo stesso le precisazioni necessarie per estrarne i dati netti. La ricorrente si è avvalsa di consulenti esterni specializzati per poter fornire alla Commissione i dati necessari, ma ha commesso la negligenza di non spiegare a tali consulenti le differenze sussistenti tra talune tipologie di LCD. Al riguardo, occorre osservare che la ricorrente non aveva manifestamente alcun interesse a che la Commissione ricevesse dati erronei, che includessero le vendite di prodotti diversi dagli LCD oggetto del cartello, poiché tali inesattezze avrebbero potuto giocare solo a suo sfavore, rendendo più elevato l’importo dell’ammenda che la Commissione le avrebbe inflitto.

173    In tale contesto, si procederà ad un’equa valutazione delle circostanze della fattispecie calcolando l’importo dell’ammenda da infliggere alla ricorrente sulla base del valore delle vendite corretto ed applicando a quest’ultimo lo stesso metodo seguito dalla Commissione nella decisione impugnata, anche per quanto riguarda l’arrotondamento. L’importo così stabilito ammonta a EUR 288 000 000 (v. precedente punto 163).

174    In considerazione di quanto precede, occorre ridurre l’importo dell’ammenda a EUR 288 000 000 e respingere il ricorso quanto al resto.

 Sulle spese

175    Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. In applicazione del paragrafo 3, primo comma, del medesimo articolo, il Tribunale può ripartire le spese se le parti risultano soccombenti, rispettivamente, su uno o più capi.

176    Nel caso di specie, la Commissione è rimasta soccombente solo per quanto concerne il fatto di avere incluso le vendite relative a prodotti diversi dagli LCD oggetto del cartello nel valore delle vendite rilevanti ai fini del calcolo dell’importo di base dell’ammenda da infliggere alla ricorrente. Tuttavia, tale errore è dovuto unicamente alla negligenza della ricorrente, la quale ha fornito alla Commissione dati sbagliati. Per contro, la ricorrente è rimasta soccombente per quanto concerne l’insieme delle altre conclusioni da essa presentate. In considerazione di ciò, si procederà ad un’equa valutazione delle circostanze della causa condannando la ricorrente alle spese, come richiesto dalla Commissione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 27 settembre 2006, Roquette Frères/Commissione, T‑322/01, Racc. pag. II‑3137, punti 338 e 339).

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      L’importo dell’ammenda inflitta alla InnoLux Corp., già Chimei InnoLux Corp., dall’articolo 2 della decisione C (2010) 8761 def. della Commissione, dell’8 dicembre 2010, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 101 [TFUE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/39.309 – LCD), è fissato in EUR 288 000 000.

2)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)      La InnoLux è condannata alle spese.

Kanninen

Berardis

Wetter

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo, il 27 febbraio 2014.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.


1 Si omettono i dati riservati.