Language of document : ECLI:EU:C:2023:645

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NICHOLAS EMILIOU

presentate il 7 settembre 2023(1)

Causa C128/22

BV NORDIC INFO

contro

Belgische Staat

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese, Belgio)]

«Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione delle persone – Misure nazionali adottate per controllare la diffusione della pandemia di COVID-19 – Divieto di viaggi “non essenziali” verso e da paesi considerati ad alto rischio di contagio per i viaggiatori – Obblighi di quarantena e tampone per i residenti al loro rientro da tali paesi – Direttiva 2004/38/CE – Articoli 4 e 5 – Diritti di uscita e d’ingresso – Restrizione – Articolo 27, paragrafo 1, e articolo 29, paragrafo 1 – Giustificazione – Sanità pubblica – Proporzionalità – Verifiche effettuate al fine di garantire il rispetto delle restrizioni ai viaggi – Codice frontiere Schengen – Articolo 22 e articolo 23, paragrafo 1 – Distinzione tra “verifica di frontiera” ai sensi della prima disposizione ed “esercizio delle competenze di polizia” ai sensi della seconda – Possibilità di ripristinare il controllo di frontiera alle frontiere interne – Articolo 25, paragrafo 1 – Giustificazione – Nozione di “minaccia grave per l’ordine pubblico” – Rischio di gravi agitazioni nella società causate dalla pandemia – Proporzionalità»






I.      Introduzione

1.        Tra gli «interventi non farmaceutici» (2) messi in atto dalle autorità pubbliche di tutto il mondo al fine di controllare la diffusione della pandemia di COVID-19, le limitazioni alla mobilità delle persone hanno rivestito un ruolo preminente. Se i confinamenti hanno costituito gli interventi più drastici di tali misure, anche le restrizioni alla circolazione internazionale sono state collocate in prima linea nella risposta. Infatti, in vari momenti nel corso della pandemia, gli Stati hanno imposto divieti d’ingresso e/o di uscita dal loro territorio e hanno rafforzato i controlli di frontiera per farli rispettare.

2.        Gli Stati membri dell’Unione europea non hanno fatto eccezione a questa tendenza. Nel corso della «prima ondata» della pandemia, dal mese di marzo 2020 in avanti (3), non soltanto gli Stati membri essi hanno congiuntamente vietato l’ingresso nell’Unione europea, isolando parzialmente la «fortezza Europa» dal resto del mondo (4), ma anche le varie restrizioni alla mobilità transfrontaliera introdotte tra di essi si sono tradotte in un livello senza precedenti di chiusure delle frontiere all’interno dell’Unione europea (5).

3.        Sebbene la maggior parte di tali misure sia stata revocata verso la fine del mese di giugno 2020, diversi Stati membri, temendo una (allora) potenziale «seconda ondata» di COVID-19, hanno mantenuto, quale misura precauzionale, restrizioni ai movimenti internazionali. La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, proposta dal Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese, Belgio) verte sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di alcune di tali misure, attuate dal governo belga all’inizio del mese di luglio 2020, consistenti nel divieto dei viaggi «non essenziali», in particolare verso e da determinati paesi considerati ad alto rischio di contagio per i viaggiatori; in obblighi di quarantena e tampone imposti ai residenti in Belgio al momento del loro rientro da tali paesi; e in verifiche effettuate alle frontiere belghe o nelle immediate vicinanze al fine di garantire il rispetto di tali restrizioni ai viaggi.

4.        La presente causa non è la prima causa concernente la COVID-19 a giungere dinanzi alla Corte. Non è neppure la prima volta che la Corte è stata chiamata a occuparsi della legittimità delle misure adottate per controllare la diffusione di una malattia epidemica (6). Tuttavia, sino ad ora, la Corte non era mai stata invitata a pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di misure precauzionali che, per la loro stessa natura e gravità, hanno fatto vacillare uno dei principali fondamenti e, di fatto, una delle principali conquiste dell’Unione europea, ossia la creazione di «uno spazio (...) senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone» (7). La presente causa pone in primo piano anche l’imperitura questione dell’equilibrio che, in una società democratica, le autorità pubbliche devono realizzare tra, da un lato, l’obiettivo legittimo di lottare in modo efficace contro le minacce incombenti sulla società e, dall’altro, i diritti fondamentali delle persone colpite dalle misure adottate a tal fine. Sebbene la Corte abbia già dovuto affrontare tale questione, segnatamente in riferimento alla lotta contro i reati e il terrorismo (8), essa dovrà occuparsene, per la prima volta, nel contesto della minaccia posta da una pandemia.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

1.      Direttiva sulla cittadinanza

5.        L’articolo 4 della direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (9) (in prosieguo: la «direttiva sulla cittadinanza»), intitolato «Diritto di uscita», dispone, al paragrafo 1, che, «[s]enza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, ogni cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità e i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e muniti di passaporto in corso di validità hanno il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro».

6.        L’articolo 5 di tale direttiva, intitolato «Diritto d’ingresso», enuncia, al suo primo comma, che, «[s]enza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, gli Stati membri ammettono nel loro territorio il cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità, nonché i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, muniti di valido passaporto».

7.        Il capo VI della direttiva sulla cittadinanza è intitolato «Limitazioni del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica». All’interno di tale capo, l’articolo 27, intitolato «Principi generali», prevede, al suo paragrafo 1, che «[f]atte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione (...) di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici».

8.        Nello stesso capo, l’articolo 29 di tale direttiva, intitolato «Sanità pubblica», enuncia, al suo paragrafo 1, che «[l]e sole malattie che possono giustificare misure restrittive della libertà di circolazione sono quelle con potenziale epidemico, quali definite dai pertinenti strumenti dell’Organizzazione mondiale della sanità [OMS] (...)».

2.      Codice frontiere Schengen

9.        L’articolo 22 del regolamento (UE) 2016/399, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (10) (in prosieguo: il «codice frontiere Schengen»), intitolato «Attraversamento delle frontiere interne», stabilisce che «[l]e frontiere interne possono essere attraversate in qualunque punto senza che sia effettuata una verifica di frontiera sulle persone, indipendentemente dalla loro nazionalità».

10.      L’articolo 25 di tale codice, intitolato «Quadro generale per il ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne», ai suoi paragrafi 1 e 2 dispone quanto segue:

«1.      In caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro nello spazio senza controllo alle frontiere interne, detto Stato membro può in via eccezionale ripristinare il controllo di frontiera in tutte le parti o in parti specifiche delle sue frontiere interne per un periodo limitato della durata massima di trenta giorni o per la durata prevedibile della minaccia grave se questa supera i trenta giorni. L’estensione e la durata del ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne non eccedono quanto strettamente necessario per rispondere alla minaccia grave.

2.      Il controllo di frontiera alle frontiere interne è ripristinato solo come misura di extrema ratio e in conformità degli articoli 27, 28 e 29. Ogniqualvolta si contempli la decisione di ripristinare il controllo di frontiera alle frontiere interne ai sensi, rispettivamente, degli articoli 27, 28 o 29, sono presi in considerazione i criteri di cui agli articoli 26 e 30, rispettivamente».

B.      Diritto belga

11.      Nel contesto di «misure urgenti» per limitare la diffusione della COVID-19 sul territorio del Belgio, il governo belga ha introdotto restrizioni ai viaggi. Tuttavia, le norme applicabili a tal riguardo sono state modificate nel corso del tempo. Tali sviluppi, per quanto rileva ai fini della presente causa, possono essere sintetizzati come segue.

12.      Inizialmente, tra il 23 marzo e il 15 giugno 2020, tutti i viaggi «non essenziali» dal Belgio e verso il Belgio erano, in linea di principio, vietati (11). In seguito, tra il 15 giugno e il 12 luglio 2020, ha trovato applicazione un’eccezione a tale divieto per quanto concerne i «paesi UE+». (12) I viaggi verso e da uno dei suddetti paesi erano permessi, purché consentiti dal paese in questione (13). Infine, il governo belga ha deciso che i viaggi «non essenziali tra il Belgio e i paesi in questione sarebbero stati disciplinati sulla base della situazione epidemiologica di ciascuno Stato.

13.      A tal fine, è stato introdotto l’articolo 18 del decreto ministeriale del 30 giugno 2020, recante misure urgenti per limitare la diffusione del coronavirus COVID-19, come modificato dal Ministerieel besluit van 10 juli 2020 (decreto ministeriale del 10 luglio 2020) (Moniteur belge del 10 luglio 2020, pag. 51609) (in prosieguo, congiuntamente: il «decreto controverso»). Tale disposizione prevedeva quanto segue:

«§1      I viaggi non essenziali verso il Belgio e dal Belgio sono vietati.

§2      In deroga al paragrafo 1 (...) è permesso:

1°      viaggiare dal Belgio verso tutti i paesi dell’Unione europea, i paesi dello spazio Schengen e il Regno Unito, nonché viaggiare verso il Belgio dai suddetti paesi, ad eccezione dei territori designati come zone rosse, il cui elenco è pubblicato sul sito Internet del [Ministero degli Esteri belga];

(...)».

14.      Pertanto, a partire dal 12 luglio 2020 e fino a una data non precisata nella decisione di rinvio, le autorità belghe hanno utilizzato una classificazione per colori, mediante la quale i paesi UE+ erano classificati come «rossi», «arancioni» o «verdi» a seconda della loro situazione epidemiologica. La suddetta classificazione comportava quanto segue:

–        «verde» significava che i viaggi verso il paese in questione erano permessi, senza alcuna restrizione;

–        «arancione» significava che i viaggi verso il paese in questione erano sconsigliati, e che al rientro erano richiesti quarantena e tampone, benché non a titolo obbligatorio;

–        «rosso» significava che i viaggi verso il paese in questione erano vietati, e che al rientro i viaggiatori dovevano sottoporsi a quarantena e a un tampone obbligatorio (come previsto dalle norme della regione del Belgio interessata) (14).

15.      Ai fini della classificazione per colori di cui sopra, la valutazione della situazione epidemiologica di ciascun paese o regione era effettuata sulla base di una metodologia descritta in un parere scritto emesso da un organo consultivo del governo belga (15). I criteri chiave utilizzati erano, in primo luogo, il numero complessivo di nuovi contagi («incidenza») nei 14 giorni precedenti ogni 100 000 abitanti a livello nazionale o regionale (ove disponibili dati subnazionali), in secondo luogo, l’evoluzione dei tassi di contagio e, in terzo luogo, le eventuali misure di contenimento imposte a livello nazionale o regionale. Di conseguenza, i paesi erano classificati come segue:

–        «alto rischio» (vale a dire «rossi»), quando l’incidenza a livello nazionale di nuovi casi di COVID-19 nei 14 giorni precedenti era 10 volte superiore a quella del Belgio (100 casi segnalati ogni 100 000 abitanti). Lo stesso si applicava anche alle aree situate all’interno di un paese in cui erano stati imposti confinamenti o misure più restrittive di quelle applicabili nel resto del territorio;

–        «rischio moderato» (vale a dire «arancioni») quando l’incidenza a livello nazionale di nuovi casi di COVID-19 nei 14 giorni precedenti era da 2 a 10 volte superiore a quella del Belgio (tra 20 e 100 casi segnalati ogni 100 000 abitanti);

–        paesi a «basso rischio» (vale a dire «verdi»), cioè i paesi in cui l’incidenza a livello nazionale di nuovi casi di COVID-19 nei 14 giorni precedenti era simile a quella del Belgio (meno di 20 casi segnalati ogni 100 000 abitanti).

16.      I dati sui contagi in ogni paese o regione (ove disponibili) erano forniti dall’ECDC, che riceveva tali dati, a sua volta, dai paesi interessati. Le informazioni sulle eventuali misure di contenimento in vigore in un determinato paese o regione erano ottenute e fornite dal Ministero degli Esteri belga. Il Celeval era incaricato di trasmettere informazioni relative alla classificazione per colori dei paesi almeno una volta a settimana.

17.      L’articolo 22 del decreto controverso prevedeva altresì che violazioni delle disposizioni, in particolare, dell’articolo 18 di tale decreto avrebbero comportato l’imposizione delle sanzioni previste dall’articolo 187 della legge del 15 maggio 2007 sulla sicurezza civile (16). Questa disposizione prevede, in sostanza, che l’omesso rispetto di tali misure, intenzionale o per negligenza, sia punito, in tempo di pace, con una pena detentiva da otto giorni a tre mesi e con una pena pecuniaria da EUR 26 a EUR 500, oppure con una soltanto di tali sanzioni. Essa prevede altresì che il ministro dell’Interno o, se del caso, il sindaco o il comandante di polizia della zona in questione «può anche far eseguire d’ufficio dette misure», a spese dei trasgressori.

III. Fatti, procedimento nazionale e questioni pregiudiziali

18.      La Nordic INFO BV (in prosieguo: la «Nordic Info») è un operatore turistico stabilito in Belgio che organizza e vende viaggi verso i paesi nordici, in particolare verso la Svezia.

19.      Il 12 luglio 2020 la classificazione per colori dei paesi UE+, di cui all’articolo 18, paragrafo 2, punto 1°, del decreto controverso, è stata pubblicata, per la prima volta, sul sito Internet del Ministero degli Esteri belga. La Svezia è stata classificata con il colore «rosso» sulla base della sua situazione epidemiologica. Sebbene il Belgio non avesse applicato alcuna restrizione ai viaggi per quanto concerne detto paese fino al 15 giugno 2020 (17), per effetto di tale classificazione i viaggi «non essenziali» verso la Svezia e dalla Svezia sono stati vietati ai sensi di detta disposizione. Inoltre, gli obblighi di quarantena e tampone sono diventati obbligatori per i residenti in Belgio al loro rientro da tale paese, conformemente alle normative regionali applicabili.

20.      In seguito, la Nordic Info ha annullato tutti i viaggi programmati in Svezia per la stagione estiva 2020, ha informato della situazione i viaggiatori presenti in tale paese in quel momento e ha fornito loro assistenza ai fini del rientro in Belgio.

21.      Il 15 luglio 2020, la classificazione per colori dei paesi UE+ è stata aggiornata sul sito Internet del Ministero degli Esteri belga. Il codice colore della Svezia è passato da «rosso» ad «arancione». Pertanto, i viaggi «non essenziali» verso tale paese non erano più vietati, ma semplicemente sconsigliati, e cessavano di applicarsi ai residenti gli obblighi di quarantena e tampone al momento del loro rientro.

22.      La Nordic Info ha in seguito proposto un’azione di responsabilità civile nei confronti del Belgische Staat (Stato belga) dinanzi al Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese), chiedendo il risarcimento di un importo provvisorio pari a EUR 481 431,00, maggiorato degli interessi, nonché la nomina di un perito per valutare il danno definitivo da essa subito a causa dell’annullamento dei viaggi previsti verso la Svezia (18).

23.      La Nordic Info sostiene, in sostanza, che il governo belga è incorso in un errore di diritto nell’adottare le restrizioni ai viaggi di cui trattasi. Segnatamente, la ricorrente nel procedimento principale sostiene, in primo luogo, che tali misure erano contrarie alla direttiva sulla cittadinanza, poiché limitavano il diritto alla libera circolazione ivi garantito e nessuna base giuridica permetteva una siffatta deroga. In secondo luogo, dette misure avrebbero comportato, in pratica, il ripristino dei controlli di frontiera alle frontiere che il Belgio condivide con altri Stati membri, in violazione delle condizioni previste, a tal riguardo, dal codice frontiere Schengen.

24.      È in tali circostanze che il Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se gli articoli 2, 4, 5, 27 e 29 della [direttiva sulla cittadinanza], che danno attuazione agli articoli 20 e 21 del TFUE, debbano essere interpretati nel senso che essi non ostano alla normativa di uno Stato membro (nel caso di specie derivante dagli articoli 18 e 22 del [decreto controverso]), che, con provvedimento generale:

–        impone ai cittadini belgi e ai loro familiari nonché ai cittadini dell’Unione che soggiornano nel territorio belga e ai loro familiari un divieto generale di uscita per viaggi non essenziali dal Belgio verso paesi all’interno dell’[Unione europea] e dello spazio Schengen che, secondo un codice colore elaborato sulla base di dati epidemiologici, sono contraddistinti dal colore rosso;

–        impone a cittadini dell’Unione non belgi e ai loro familiari (che dispongano o meno di un diritto di soggiorno nel territorio belga) restrizioni all’ingresso (come quarantena e tamponi) per viaggi non essenziali da paesi all’interno dell’[Unione europea] e dello spazio Schengen verso il Belgio, che, secondo un codice colore elaborato sulla base di dati epidemiologici, sono contraddistinti dal colore rosso.

2)      Se gli articoli 1, 3 e 22 del codice frontiere Schengen debbano essere interpretati nel senso che essi non ostano alla normativa di uno Stato membro (nel caso di specie derivante dagli articoli 18 e 22 del [decreto controverso]), che impone un divieto di uscita per viaggi non essenziali dal Belgio verso paesi all’interno dell’UE e dello spazio Schengen e un divieto di ingresso da questi paesi verso il Belgio, che non solo può dar luogo a controlli e sanzioni, ma che può anche essere attuato d’ufficio dal Ministro, dal sindaco e dal comandante di polizia».

25.      La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, datata 7 febbraio 2022, è stata depositata il 23 febbraio 2022. La Nordic Info, i governi belga, rumeno, norvegese e svizzero, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte. I governi belga, rumeno e norvegese, nonché la Commissione, sono stati rappresentati all’udienza tenutasi il 10 gennaio 2023.

IV.    Analisi

26.      La presente causa verte sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di due serie di misure connesse, ma distinte, attuate dal governo belga nel luglio del 2020 (19), per controllare la diffusione della COVID-19. In primo luogo, la causa riguarda determinate restrizioni in materia di viaggi, vale a dire, da un lato, un divieto di viaggi «non essenziali», che ha impedito ai viaggiatori di lasciare il territorio belga per viaggiare verso paesi che si ritenevano presentare un «alto rischio» di contagio nonché, fatta eccezione per i cittadini belgi e i residenti in Belgio, di entrare in detto territorio in provenienza dai suddetti paesi e, dall’altro, obblighi di quarantena e di tampone imposti ai cittadini e ai residenti (20) al loro rientro dai paesi in questione. In secondo luogo, la causa verte sull’effettuazione di verifiche, sulle persone che attraversavano o tentavano di attraversare le frontiere belghe, al fine di far rispettare le summenzionate restrizioni ai viaggi.

27.      Siffatte misure, in base al diritto dell’Unione, sono disciplinate da norme differenti. Da un lato, le restrizioni ai viaggi, nei limiti in cui sono applicate nei confronti di cittadini degli Stati membri (21) che intendano viaggiare all’interno dell’Unione europea, rientrano nell’ambito di applicazione di varie disposizioni del diritto primario e derivato dell’Unione che garantiscono a detti cittadini il diritto di libera circolazione. Questo tema si colloca al centro della prima questione pregiudiziale. Dall’altro lato, le verifiche di frontiera non sono disciplinate dalle disposizioni menzionate supra (22). Per quanto riguarda gli Stati membri ai quali si applica l’acquis di Schengen, come il Belgio (23), la legittimità di tali verifiche deve essere esaminata sulla base delle disposizioni del codice frontiere Schengen. Questo tema è al centro della seconda questione proposta dal giudice del rinvio.

28.      Esaminerò entrambe le questioni in sequenza, nelle sezioni che seguono.

A.      Compatibilità delle restrizioni di viaggio controverse con le norme relative alla libera circolazione delle persone (prima questione)

29.      Ai fini della valutazione delle restrizioni ai viaggi controverse e alla luce del dibattito svoltosi dinanzi alla Corte, ritengo utile affrontare una serie di questioni, segnatamente sulle norme pertinenti in materia di libera circolazione (1), sulla loro portata territoriale (2), sulla misura in cui tali restrizioni hanno ostacolato l’esercizio dei diritti garantiti da dette norme (3), sulla possibilità per gli Stati membri di derogare al diritto dell’Unione, in via «eccezionale», nelle circostanze di cui trattasi (4) e, infine, sulla legittimità di tali restrizioni alla luce di dette norme (5).

1.      Norme pertinenti in materia di libera circolazione delle persone

30.      Restrizioni ai viaggi come quelle adottate dal Belgio costituiscono misure di portata generale che hanno colpito numerose persone. Le persone in questione possedevano status giuridici diversi – ad esempio cittadini degli Stati membri, o cittadini di paesi terzi titolari di un diritto di soggiorno in Belgio. Dette persone intendevano recarsi in vari luoghi o rientrare da tali luoghi – ad esempio un altro Stato membro o un paese terzo – e per scopi diversi – lavoro, famiglia, svago, e così via. A seconda di tali variabili, le stesse restrizioni di viaggio possono essere valutate alla luce di differenti norme di diritto nazionale, di diritto dell’Unione e di diritto internazionale, che disciplinano la circolazione transfrontaliera delle persone.

31.      Tuttavia, nell’ambito della domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, non spetta alla Corte effettuare un controllo olistico della legittimità di tali misure. Il suo compito è, invece, fornire un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile al giudice del rinvio ai fini della risoluzione della controversia di cui al procedimento principale, alla luce della situazione di fatto portata alla sua attenzione.

32.      Sotto questo profilo, la presente causa è un po’ inusuale. Infatti, la legittimità delle restrizioni ai viaggi in questione non è contestata da un determinato individuo, al quale è stato impedito di recarsi in un determinato luogo o di farvi rientro. Si tratta, invece, di un’azione di responsabilità civile proposta da una società che, in qualità di operatore turistico belga che organizza, segnatamente, viaggi verso la Svezia, è stata indirettamente colpita da tali restrizioni. Ciò premesso, dinanzi al giudice del rinvio, la Nordic Info non invoca la propria libertà di fornire servizi turistici transfrontalieri, quale tutelata da diverse disposizioni del diritto dell’Unione (24). Essa invoca, invece, il diritto alla libera circolazione di cui godono, in forza del diritto dell’Unione, i suoi clienti effettivi e potenziali, che si presumono essere cittadini degli Stati membri. Pertanto, la Corte dovrebbe limitarsi, nella presente causa, a esaminare, essenzialmente, le norme connesse a tale diritto.

33.      Osservo che, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, TFUE, i cittadini degli Stati membri hanno lo status di cittadini dell’Unione. Tale status conferisce loro, in particolare, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, lettera a), e dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, nonché dell’articolo 45, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») (25), il diritto di circolare liberamente nel territorio degli Stati membri, indipendentemente dalla finalità, incluso il turismo. Tale diritto deve essere esercitato secondo le condizioni previste dagli strumenti di diritto derivato adottati ai fini della sua attuazione (26), segnatamente dalla direttiva sulla cittadinanza (27).

34.      Il diritto di libera circolazione garantito ai cittadini dell’Unione è costituito da due componenti. Esso implica, in primo luogo, un diritto di uscita, espresso all’articolo 4 della direttiva sulla cittadinanza. Si tratta del diritto di ogni cittadino dell’Unione di lasciare il territorio di uno Stato membro, compreso il proprio (28), per recarsi in un altro Stato membro (29), alla sola condizione di essere munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità e, lo ribadisco, indipendentemente dalla finalità dell’uscita (30). Pertanto, la situazione dei cittadini belgi e degli altri cittadini dell’Unione che hanno tentato di lasciare il territorio belga al fine di recarsi in Svezia per una vacanza ricade in tale diritto (31).

35.      Tale diritto di libera circolazione implica, in secondo luogo, un diritto d’ingresso, anche se, a tal riguardo, il contesto normativo è leggermente più complesso. In sostanza, da un lato, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza conferisce ai cittadini di uno Stato membro il diritto di entrare nel territorio di un altro Stato membro, alla sola condizione che essi siano muniti di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità e, anche in tal caso, indipendentemente dalla finalità dell’ingresso. Dall’altro lato, tale disposizione non disciplina l’ingresso dei cittadini dell’Unione nel loro Stato membro (32). Ciò premesso, in primo luogo, il diritto di una persona di entrare nel territorio dello Stato di cui è cittadina deriva da un principio consolidato di diritto internazionale, riaffermato, in particolare, all’articolo 3, paragrafo 2, del Protocollo n. 4 alla CEDU (33). In secondo luogo, secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE si applica alla situazione specifica di un cittadino dell’Unione che rientri nel proprio Stato membro dopo aver esercitato il suo diritto di libera circolazione viaggiando all’estero. (34) In definitiva, nel caso di specie, i cittadini belgi e gli altri cittadini dell’Unione beneficiavano di un diritto d’ingresso nel territorio belga a seguito, ad esempio, di un viaggio turistico in Svezia, anche se in forza di basi giuridiche differenti.

2.      Se tali norme si applichino alla circolazione delle persone tra il Belgio e lIslanda o la Norvegia

36.      In questa fase delle presenti conclusioni desidero affrontare una questione che, sebbene secondaria, ha tuttavia occupato una parte importante del dibattito dinanzi alla Corte. Più precisamente, dalla decisione di rinvio risulta che la Nordic Info organizza sistematicamente viaggi non soltanto verso la Svezia, ma anche verso l’Islanda e la Norvegia. Sebbene questi paesi non facciano parte dell’Unione europea, essi fanno parte dello spazio Schengen. (35) Pertanto, le restrizioni ai viaggi controverse si applicavano, nei loro confronti, esattamente come nei confronti degli Stati membri (36). In tale contesto, il giudice del rinvio indica che, sebbene la domanda di risarcimento presentata dalla Nordic Info sia incentrata sul danno da essa subito a causa dell’annullamento di viaggi verso la Svezia, detta società «non esclude altre voci di danno». Tale giudice sembra quindi indicare che la ricorrente potrebbe, in una fase successiva del procedimento principale, rivedere o, quantomeno, precisare la sua domanda al fine di includervi l’eventuale annullamento di viaggi verso l’Islanda e/o la Norvegia. Di conseguenza, il giudice del rinvio ha fatto riferimento, nella sua prima questione, ai cittadini dell’Unione che intendevano viaggiare dal Belgio verso determinati «paesi all’interno dell’[Unione europea] e dello spazio Schengen» (e viceversa).

37.      Alla luce di quanto precede, la Corte ha chiesto agli intervenienti, in udienza, se, ed eventualmente in quale misura, le norme in materia di libera circolazione delle persone previste dalla direttiva sulla cittadinanza si applichino in riferimento all’Islanda e alla Norvegia.

38.      Al pari dei governi belga e rumeno, non sono convinto del fatto che la Corte debba affrontare tale questione nella sentenza che pronuncerà nella presente causa. Oltre al fatto che il giudice del rinvio non chiede chiarimenti a tal riguardo, dato che sembra certo della risposta (37), non è certo che fornire un chiarimento del genere d’ufficio possa essere utile a tale giudice ai fini della risoluzione della controversia di cui è investito. Infatti, la Corte formulerebbe, in sostanza, un parere consultivo su una questione che, nella fase in cui si trova il procedimento principale, è una questione fortemente ipotetica (38), al fine di tener conto dell’eventualità che, in seguito, essa possa divenire rilevante qualora la Nordic Info modifichi o precisi la sua domanda. Di norma, la Corte rifiuta, a ragione, di seguire un siffatto approccio speculativo nell’ambito di un procedimento pregiudiziale (39).

39.      Qualora la Corte decida, ciò nonostante, di pronunciarsi su tale questione, formulerò le seguenti osservazioni, in via subordinata.

40.      In generale, le norme in materia di libera circolazione delle persone previste nel Trattato FUE e gli strumenti di diritto derivato adottati ai fini della loro attuazione disciplinano, come ho già affermato, la situazione dei cittadini dell’Unione che viaggiano tra gli Stati membri, e non la circolazione delle persone tra uno Stato membro, quale il Belgio, e un paese terzo, come l’Islanda o la Norvegia. La circostanza che questi ultimi paesi facciano parte dello spazio Schengen è irrilevante a tal riguardo, poiché le norme di cui trattasi non fanno parte dell’acquis Schengen.

41.      Tuttavia, l’Islanda e la Norvegia sono parti contraenti anche dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (40) (in prosieguo: l’«accordo SEE»), unitamente a tutti gli Stati membri dell’Unione europea e all’Unione stessa. Tale accordo contiene, nei suoi allegati (41), due riferimenti espressi alla direttiva sulla cittadinanza, sin dall’entrata in vigore della decisione del Comitato misto SEE n. 158/2007 del 7 dicembre 2007 (42) (in prosieguo: la «decisione del Comitato misto»). Mediante tali riferimenti, la direttiva è stata incorporata nel diritto SEE, con alcuni adeguamenti minori (43), ed è vincolante, di conseguenza, per le parti contraenti di tale accordo (44).

42.      Ciò premesso, dato che gli allegati in questione sono dedicati, rispettivamente, alla libera circolazione dei lavoratori e al diritto di stabilimento, e che ciascuno di essi indica che la direttiva sulla cittadinanza «si applica, ove opportuno, ai settori contemplati [dall’allegato in questione]», resta da chiarire se tale direttiva sia stata integrata nell’accordo SEE solo parzialmente, unicamente per quanto concerne la circolazione dei cittadini degli Stati membri dell’Unione e degli Stati EFTA all’interno dello Spazio economico europeo (in prosieguo: il «SEE») ai fini specifici dello svolgimento di un’attività dipendente o autonoma, oppure totalmente, così da disciplinare detta circolazione a qualsiasi fine, come avviene all’interno dell’Unione europea (45). In tale contesto, la questione se persone «non economicamente attive», vale a dire persone quali studenti, pensionati, e così via, che non sono lavoratori dipendenti o autonomi, beneficino, all’interno del SEE, del diritto alla libera circolazione garantito da tale direttiva è stata particolarmente dibattuta dinanzi alla Corte.

43.      Infatti, mentre l’accordo SEE contiene, al pari del Trattato FUE, disposizioni che garantiscono la libera circolazione delle persone a fini economici (46), esso non contiene disposizioni analoghe agli articoli 20 e 21 TFUE, che disciplinano la circolazione all’interno dell’Unione europea di detti cittadini «non economicamente attivi». La stessa nozione di «cittadinanza dell’Unione», infatti, non possiede un equivalente in detto accordo (47).

44.      Mentre la Corte non si è ancora pronunciata a tal riguardo, la Corte EFTA (48) lo ha già fatto. Nella sua sentenza nella causa Gunnarsson (49), tale giudice ha stabilito che la direttiva sulla cittadinanza si applica alla circolazione delle persone «non economicamente attive» all’interno del SEE, indipendentemente dall’assenza, nell’accordo SEE, di una disposizione equivalente agli articoli 20 e 21 TFUE. In sostanza, la Corte EFTA ha ricordato che il diritto di libera circolazione delle persone non economicamente attive era già garantito nel diritto dell’Unione e nel diritto SEE prima dell’introduzione della nozione di «cittadinanza dell’Unione» e che le relative disposizioni, contenute in varie direttive (50), erano state incorporate sin dall’inizio in tale accordo. La direttiva sulla cittadinanza ha abrogato e sostituito tali direttive e la decisione del Comitato misto ha introdotto questi sviluppi nel diritto SEE. Sebbene la circolazione delle persone «non economicamente attive» sia ormai collegata, nel diritto dell’Unione, alla nozione di «cittadinanza dell’Unione», e sebbene quest’ultima non abbia un equivalente nel diritto SEE, ciò non significa, secondo la Corte EFTA, che i singoli debbano essere «privati di diritti che hanno già acquisito» in forza di tale accordo prima dell’introduzione di detta nozione e che «sono stati mantenuti» da tale direttiva (51).

45.      Evidentemente, la Corte non è vincolata alle sentenze della Corte EFTA. Ciononostante, a mio avviso, il principio di diritto internazionale generale del rispetto degli impegni contrattuali (pacta sunt servanda) (52), le «relazioni privilegiate tra l’Unione, i suoi Stati membri e gli Stati dell’[EFTA]» (53), nonché la necessità di garantire, per quanto possibile, l’applicazione uniforme dell’accordo SEE in tutte le parti contraenti, implicano che la Corte debba tener conto di tali decisioni ai fini dell’interpretazione di detto accordo (54). Suggerisco, quindi, di conformarsi a tali decisioni, salvo che sussistano motivi imperativi per procedere diversamente.

46.      A mio avviso, questa riserva non si applica nel caso di specie. Infatti, il ragionamento della Corte EFTA nella sentenza Gunnarsson è inoppugnabile. Il fatto che il diritto SEE non preveda una «cittadinanza del SEE» non giustifica una riduzione dell’ambito di applicazione sostanziale di una direttiva che è stata incorporata, in quanto tale, nell’accordo SEE. Del resto, talune disposizioni della direttiva sulla cittadinanza si rivolgono specificamente alle persone economicamente non attive (55). Se il Comitato misto avesse avuto l’intenzione di escludere tali persone dall’ambito di applicazione di detta direttiva nel diritto SEE, avrebbe potuto facilmente includere una riserva espressa in relazione a tali disposizioni. Tuttavia, nella decisione del Comitato misto non figura alcuna riserva di tal genere. Di conseguenza, soltanto i diritti che non trovano un fondamento giuridico nella direttiva stessa, e che derivano unicamente dagli articoli 20 e 21 TFUE, non sono applicabili all’interno del SEE, a causa della mancanza di disposizioni equivalenti nell’accordo SEE (56).

47.      In sintesi, le norme della direttiva sulla cittadinanza disciplinano, a mio avviso, anche la circolazione dei cittadini degli Stati membri dell’Unione e degli Stati EFTA all’interno del SEE per qualsiasi scopo. Di conseguenza, dette persone godono, alle condizioni previste in tale direttiva, di un diritto di libera circolazione, in particolare, fra il Belgio e l’Islanda o la Norvegia (57), anche per turismo.

3.      Le restrizioni ai viaggi controverse hanno ostacolato lesercizio del diritto alla libera circolazione garantito da tali norme

48.      È pacifico che restrizioni ai viaggi come quelle di cui trattasi nel procedimento principale hanno ostacolato l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, del loro diritto di libera circolazione.

49.      In primo luogo, il divieto di viaggi «non essenziali», applicandosi ai cittadini dell’Unione che intendevano lasciare il territorio belga per recarsi in Stati membri classificati come «rossi» nell’ambito della classificazione per colori di cui trattasi, ha limitato, in modo drastico, il diritto di uscita garantito, in particolare, dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza. Ciò è vero a prescindere dal fatto che i viaggi verso altri Stati membri (segnatamente quelli classificati come «verdi» o «arancioni») siano rimasti, di converso, esenti da restrizioni. È sufficiente, a mio avviso, che tali persone non abbiano potuto recarsi liberamente nello Stato di loro scelta (58). Per quanto riguarda gli Stati membri «rossi», la possibilità per i cittadini dell’Unione di esercitare il diritto di uscita è stata notevolmente ostacolata. Infatti, tale diritto è stato negato riguardo a numerosi motivi di viaggio, compreso il turismo. Inoltre, nella parte in cui si applicava a cittadini dell’Unione, fatta eccezione per i cittadini belgi (59) e per i cittadini di altri Stati membri residenti in Belgio (60), che intendessero fare ingresso nel territorio del Belgio in provenienza da uno Stato membro «rosso», il divieto di viaggi controverso ha limitato, in modo altrettanto grave, il diritto d’ingresso garantito, in particolare, dall’articolo 5, paragrafo 1, di tale direttiva, per ragioni analoghe.

50.      In secondo luogo, nella misura in cui si applicavano a cittadini dell’Unione non belgi residenti in Belgio, al loro rientro da un viaggio «non essenziale» in uno Stato membro «rosso», gli obblighi di quarantena e tampone hanno limitato anche il diritto d’ingresso previsto all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza. In particolare, l’obbligo di quarantena ha limitato drasticamente la possibilità di circolare nel territorio belga, il che ha prodotto, a mio avviso, un effetto equivalente a ritardare l’ingresso in tale territorio. Nella parte in cui sono stati applicati ai cittadini belgi, nelle stesse circostanze, tali obblighi, pur esulando dall’ambito di applicazione del principio riaffermato all’articolo 3, paragrafo 2, del Protocollo n. 4 alla CEDU (61), hanno limitato, a mio avviso, il diritto di libera circolazione, quale garantito dall’articolo 21 TFUE, per ragioni analoghe.

4.      Possibilità «eccezionale» di derogare al diritto dellUnione ai sensi dellarticolo 347 TFUE

51.      Tenuto conto di alcuni degli argomenti dedotti dagli intervenienti dinanzi alla Corte, in questa fase delle presenti conclusioni desidero svolgere una considerazione importante per quanto concerne la possibilità, per gli Stati membri, di derogare al diritto dell’Unione durante la pandemia di COVID-19.

52.      Infatti, detti intervenienti sostengono che la pandemia ha costituito, almeno durante i suoi mesi iniziali, una «crisi», che ha richiesto un intervento urgente delle autorità pubbliche. Osservo, a tal riguardo, che diversi Stati membri hanno dichiarato, in vari momenti nel corso della pandemia, uno «stato di emergenza», che ha comportato una sospensione temporanea o una deroga a norme ordinarie nei loro territori, al fine di attuare le misure urgenti ritenute necessarie per far fronte a tale crisi. Di fatto, molte di dette misure, in particolare i confinamenti generalizzati, hanno ricordato quelle applicabili in tempo di guerra.

53.      Ciò solleva la questione se, per valutare le misure controverse, debba essere applicato un quadro giuridico «eccezionale» in luogo delle norme «ordinarie» dell’Unione e delle loro eccezioni «ordinarie». A tal riguardo, ricordo che l’articolo 347 TFUE prevede una «clausola di salvaguardia», che, in sostanza, riconosce agli Stati membri la facoltà di adottare le misure che ritengano necessarie, in particolare, nell’eventualità di «gravi agitazioni interne che turbino l’ordine pubblico» (62). Tale disposizione, che non è mai stata interpretata dalla Corte, potrebbe teoricamente consentire, in siffatte circostanze, una deroga generale all’insieme delle norme di tale Trattato e di quelle adottate sul suo fondamento, ivi comprese le varie disposizioni relative alla libera circolazione delle persone (63). Va da sé che la questione se e, eventualmente, in quale misura si possa ritenere che la pandemia di COVID-19 abbia causato siffatte «gravi agitazioni interne» negli Stati membri (64), così come la questione concernente eventuali ulteriori condizioni e limiti connessi alla summenzionata «clausola di salvaguardia», sono estremamente delicate.

54.      Ciò premesso, oltre al fatto che il governo belga non ha invocato l’articolo 347 TFUE (65) dinanzi alla Corte o in altre sedi, sarebbe in ogni caso necessario pronunciarsi su tale disposizione soltanto qualora misure nazionali come quelle di cui trattasi nel procedimento principale non possano essere giustificate alla luce delle norme «ordinarie» del diritto dell’Unione e delle loro eccezioni «ordinarie» (66). Tuttavia, come spiegherò nel prosieguo delle presenti conclusioni, dette norme sono sufficientemente flessibili da poter tener conto della particolarità della situazione di cui trattasi.

5.      Legittimità delle restrizioni ai viaggi controverse alla luce delle clausole derogatorie previste nella direttiva sulla cittadinanza

55.      Anche ai sensi del diritto «ordinario» dell’Unione, il diritto di libera circolazione di cui godono i cittadini dell’Unione non è assoluto. Sono ammesse restrizioni (67). Tuttavia, per essere compatibile con il diritto dell’Unione, qualsiasi restrizione deve rispettare, segnatamente, le condizioni ivi enunciate. Nella misura in cui le restrizioni ai viaggi controverse rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva sulla cittadinanza, esse devono essere valutate alla luce delle condizioni previste al capo VI di tale strumento. Inoltre, nella parte in cui tali restrizioni si applicavano ai cittadini belgi che facevano rientro in Belgio dopo aver esercitato il loro diritto di libera circolazione, ricordo che, sebbene tale situazione non ricada nell’ambito di applicazione della direttiva sulla cittadinanza, bensì dell’articolo 21 TFUE, le condizioni di deroga previste da tale direttiva si applicano in via analogica (68).

56.      In apertura del capo VI, l’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza contiene la regola generale secondo cui gli Stati membri possono limitare la «libertà di circolazione» dei cittadini dell’Unione per motivi di «ordine pubblico», di «pubblica sicurezza» o di «sanità pubblica». Detta regola generale è precisata nel resto di tale capo. In particolare, l’articolo 29, paragrafo 1, di tale direttiva disciplina la possibilità, per gli Stati membri, di limitare detta «libertà» per motivi di «sanità pubblica». Per quanto riguarda la legittimità di misure nazionali adottate sulla base di tali motivi, queste due disposizioni devono quindi essere interpretate congiuntamente. Insieme, esse impongono una serie di condizioni che saranno esposte più dettagliatamente nel prosieguo e che devono essere rispettate in tutti i casi (69).

57.      Mentre il governo belga invoca l’articoli 27, paragrafo 1, e l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, tanto dinanzi al giudice del rinvio quanto dinanzi alla Corte, la Nordic Info sostiene che, indipendentemente dalla questione se le condizioni ivi enunciate siano soddisfatte, tali disposizioni non possono riguardare restrizioni ai viaggi come quelle di cui trattasi nel procedimento principale. Ciò richiede una discussione astratta sull’ambito di applicazione di dette disposizioni (a), prima di effettuare una valutazione specifica di tali misure alla luce delle condizioni in questione (b).

a)      Ambito di applicazione dellarticolo 27, paragrafo 1, e dellarticolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza

58.      Secondo la Nordic Info, l’articolo 27, paragrafo 1, e l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza non sono, in termini generali, sufficientemente ampi da disciplinare, in tutto o anche solo in parte, restrizioni ai viaggi come quelle di cui trattasi, poiché dette disposizioni permettono restrizioni al diritto d’ingresso, e non al diritto di uscita (1) e, in ogni caso, permettono soltanto restrizioni «individuali» alla libera circolazione, e non restrizioni «generali» (2). Esaminerò tali obiezioni in sequenza, nelle sezioni che seguono.

1)      Possibilità di limitare sia il diritto d’ingresso, sia il diritto di uscita

59.      Ricordo che l’articolo 27, paragrafo 1, interpretato in combinato disposto con l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza consente agli Stati membri di limitare la «libertà di circolazione» per motivi di sanità pubblica, senza precisare il tipo di misure che possono essere adottate dalle autorità nazionali.

60.      In primo luogo, tali termini comprendono le eventuali restrizioni al diritto d’ingresso previsto all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza. Ciò include, da un lato, un eventuale divieto d’ingresso nel territorio di uno Stato membro. Si applicano, tuttavia, riserve. Tale disposizione non può mai essere utilizzata da uno Stato membro per rifiutare l’ingresso nel suo territorio ai propri cittadini, per il semplice motivo che (i) detta direttiva non trova applicazione in tale situazione e (ii) vi osta il principio riaffermato all’articolo 3, paragrafo 2, del Protocollo n. 4 della CEDU (70). Inoltre, dall’articolo 29, paragrafo 2, della direttiva sulla cittadinanza discende che uno Stato membro non può vietare, per motivi di «sanità pubblica», l’ingresso nel proprio territorio – ad esempio dopo un viaggio in Svezia – ai cittadini di altri Stati membri ivi residenti (71). Dall’altro lato, uno Stato membro può, in linea di principio, imporre ai cittadini dell’Unione ai quali non può essere vietato l’ingresso nel territorio nazionale altri tipi di restrizioni al loro ingresso, che non producano un effetto equivalente a un diniego. Gli obblighi di quarantena e di tampone imposti ai residenti belgi al loro rientro da paesi ad «alto rischio» rientrerebbero in questa categoria (72).

61.      In secondo luogo, ritengo che, a differenza di quanto sostiene la Nordic Info, nell’articolo 27, paragrafo 1, e nell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza possano rientrare anche eventuali restrizioni al diritto di uscita previsto all’articolo 4, paragrafo 1, di detta direttiva, quale un divieto di uscita (73). Sebbene il titolo del capo VI possa indurre in errore il lettore a tal riguardo (74), in primo luogo, è chiaro che l’espressione «libertà di circolazione» ivi utilizzata è sufficientemente ampia da ricomprendere tale diritto. In secondo luogo, dal fatto che l’articolo 29, paragrafo 2, si occupi, in sostanza, di una misura specifica, segnatamente il diniego d’ingresso, non discende che soltanto le restrizioni al diritto d’ingresso siano ammesse per motivi di «sanità pubblica», poiché lo scopo di detta disposizione non è elencare tutte le restrizioni ammissibili alla libera circolazione ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, bensì, semplicemente, circoscrivere l’uso di tale misura. Inoltre, la suddetta interpretazione è conforme all’obiettivo perseguito dalla deroga per motivi di «sanità pubblica», prevista da tali disposizioni, obiettivo che, come risulta dalla formulazione di quest’ultima disposizione, consiste nel consentire a uno Stato membro di proteggere il suo territorio e la sua popolazione dalla diffusione di determinate malattie infettive o contagiose. È vero che i redattori dell’articolo 29, paragrafo 1, avevano (probabilmente) in mente l’esempio dello Stato membro che impedisce ai viaggiatori affetti da tali malattie di entrare nel suo territorio e di «portare con loro» la malattia. Ciò premesso, la protezione del territorio di uno Stato può anche, in talune situazioni, giustificare restrizioni all’uscita dei propri residenti, per impedire loro di «riportare con loro» dette malattie al momento del rientro (75). Infine, tale interpretazione è confermata dai lavori preparatori (76) della direttiva sulla cittadinanza (77).

2)      Possibilità di limitare la libera circolazione mediante misure generali

62.      Le misure nazionali di cui trattasi nella causa principale avevano portata generale. Infatti, il divieto di viaggi e gli obblighi di quarantena e tampone si applicavano sistematicamente a categorie astratte e ampie di persone in situazioni oggettivamente determinate, ossia a persone che viaggiavano da uno Stato membro ad «alto rischio» o verso tale Stato per uno scopo «non essenziale», persone che viaggiavano da o verso paesi non appartenenti allo spazio Schengen, e così via.

63.      Tuttavia, la Nordic Info sostiene che soltanto misure individuali restrittive del diritto alla libera circolazione possono essere giustificate sulla base dell’articolo 27, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza. Misure di questo genere potrebbero essere adottate soltanto caso per caso, qualora una valutazione individuale della situazione di una determinata persona riveli che quest’ultima rappresenta un pericolo per la sanità pubblica, poiché presenta sintomi di una delle malattie menzionate in tale disposizione o è stata esposta a dette malattie, e sussiste quindi il rischio effettivo che essa sia stata contagiata e possa diffondere la malattia.

64.      Al pari dei governi belga, rumeno e norvegese, nonché della Commissione, ritengo che restrizioni generali alla libera circolazione possano essere adottate, in forza dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, per motivi di «sanità pubblica», senza necessità di una siffatta valutazione caso per caso (78).

65.      In primo luogo, tali disposizioni si riferiscono, rispettivamente, alle «limita[zioni]» che gli Stati membri possono introdurre, nonché alle «misure restrittive della libertà di circolazione» che essi possono adottare per motivi di «sanità pubblica». Questi termini ampi sono in grado di includere misure sia individuali che generali.

66.      In secondo luogo, l’impianto generale del capo VI della direttiva sulla cittadinanza avvalora tale interpretazione. Infatti, mentre l’articolo 27, paragrafo 2, stabilisce, per quanto riguarda i provvedimenti adottati per motivi di «ordine pubblico» o di «pubblica sicurezza», che essi «sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati» e che «[g]iustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione», l’articolo 29 non menziona siffatto requisito per quanto concerne le misure adottate per motivi di «sanità pubblica» (79).

67.      È vero che tale differenza di formulazione non può, di per sé, essere decisiva. Il testo della direttiva sulla cittadinanza non è esente da incoerenze (80). In passato, la Corte ha esteso, a ragione, la necessità di una valutazione individuale ad altre disposizioni della direttiva sulla cittadinanza che non la menzionano espressamente. Essa lo ha fatto, in particolare, nella sentenza nella causa McCarthy e a. (81), per quanto riguarda le misure adottate in caso di abuso di diritti, in forza dell’articolo 35 di tale direttiva.

68.      Tuttavia, la Corte dovrebbe essere cauta nel procedere in tal senso in riferimento a misure adottate per motivi di «sanità pubblica» ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva in parola. Infatti, al pari dei governi belga, rumeno e norvegese e della Commissione, osservo, in terzo luogo, che è logico attribuire un maggiore margine di discrezionalità agli Stati membri per quanto concerne le minacce alla «sanità pubblica» rispetto alle minacce all’«ordine pubblico», alla «pubblica sicurezza» o ai comportamenti abusivi, dal momento che si tratta, semplicemente, di questioni diverse.

69.      Da un lato, le minacce all’«ordine pubblico» o alla «pubblica sicurezza» discendono, generalmente, dal comportamento di taluni individui specifici, come terroristi o criminali pericolosi. Pertanto, tenuto conto, in particolare, dell’importanza del diritto di libera circolazione di cui godono i cittadini dell’Unione, le autorità pubbliche non dovrebbero, in linea di principio, poter adottare misure generali per motivi precauzionali, come un divieto d’ingresso per tutte le persone provenienti da determinati paesi motivato dalla circostanza che alcune di esse potrebbero essere pericolose. Oltre al fatto che ciò andrebbe al di là di quanto necessario a tal riguardo, ritengo che, in una società democratica, salvo in circostanze del tutto eccezionali, le autorità pubbliche non dovrebbero essere autorizzate a presumere che un individuo sia pericoloso semplicemente perché appartiene a una categoria così ampia e astratta di persone (82). A tal riguardo vengono in rilievo considerazioni relative alla dignità individuale. Infatti, in molti casi, un simile approccio si baserebbe su un pregiudizio (83). La stessa logica si applica per quanto concerne la prevenzione di abusi del diritto di libera circolazione. Benché confrontati con numerosi casi di ingresso abusivo di cittadini di paesi terzi che fingono di essere familiari di cittadini dell’Unione, gli Stati membri non possono, per motivi precauzionali, adottare misure generali che privino tutti i familiari del diritto loro conferito, in particolare, dalla direttiva sulla cittadinanza (84).

70.      Dall’altro lato, la minaccia per la «sanità pubblica» rilevante ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, vale a dire il rischio di diffusione nel territorio di uno Stato membro di determinate «malattie (...) con potenziale epidemico» o di «altre malattie infettive o parassitarie contagiose», non è normalmente connessa al comportamento di taluni individui specifici. La situazione epidemiologica in un determinato paese può essere una considerazione pertinente a tal riguardo (85). In talune circostanze, a seconda del grado di contagiosità di dette malattie, gran parte della popolazione, se non l’intera popolazione, potrebbe essere contagiata. In tale contesto, è possibile che misure individuali adottate al punto di ingresso o di uscita dei viaggiatori sul territorio di uno Stato membro, sulla base di sintomi evidenti o di un’esposizione confermata alle malattie di cui trattasi, non siano sempre sufficientemente efficaci per impedirne o limitarne la diffusione (86). Restrizioni generali alla libera circolazione, adottate per motivi precauzionali, ad esempio nei confronti di tutte le persone provenienti da determinati paesi o regioni ad «alto rischio», possono essere necessarie a tale riguardo. L’articolo 27, paragrafo 1, e l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza dovrebbero essere interpretati di conseguenza. Sebbene tali disposizioni, in quanto clausole derogatorie, debbano essere interpretate restrittivamente (87), la loro interpretazione deve tuttavia garantire che esse siano adeguate alla finalità.(88) Inoltre, conformemente all’articolo 168, paragrafo 1, TFUE, «[n]ella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana», compresa la libera circolazione delle persone – un imperativo tanto importante da essere ribadito nell’articolo 35, seconda frase, della Carta. Il controllo delle epidemie è intrinseco in tale obiettivo (89).

71.      Vi è un ultimo argomento in senso contrario che è necessario affrontare prima di concludere la presente sezione. Infatti, gli articoli 30 e 31 della direttiva sulla cittadinanza contengono garanzie per i cittadini dell’Unione soggetti a misure che limitano i diritti ad essi attribuiti da detta direttiva. Le autorità nazionali sono tenute, ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 30, paragrafi 1 e 2, a notificare all’«interessato» «[o]gni provvedimento adottato a norma dell’articolo 27, paragrafo 1» e a comunicargli i «motivi (...) di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica che giustificano l’adozione del provvedimento nei suoi confronti». Inoltre, ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 1, di tale direttiva, dette autorità devono garantire che l’«interessato» abbia accesso a mezzi di impugnazione «al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di ogni provvedimento adottato nei suoi confronti per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica».

72.      In tale contesto, la Nordic Info sostiene che il fatto che tali disposizioni si riferiscano sistematicamente a un «provvedimento» adottato nei confronti di un «interessato» implica necessariamente che, sulla base dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, anche per motivi di «sanità pubblica», possano essere adottate soltanto misure individuali. Si potrebbe anche legittimamente sostenere che, poiché le garanzie in questione sono state concepite, nelle parole della Corte, per «consentire alla persona interessata di fare valere circostanze e considerazioni proprie della sua posizione individuale» (90), permettere agli Stati membri di adottare, sulla base di tale disposizione, misure di applicazione generale, potrebbe svuotare dette garanzie del loro contenuto.

73.      Non ritengo che sia così. In primo luogo, come sottolineato dalla Commissione, lo scopo degli articoli 30 e 31 della direttiva sulla cittadinanza non è circoscrivere il tipo di misure che possono essere adottate in forza dell’articolo 27, paragrafo 1, della stessa, bensì soltanto prevedere determinate garanzie allorché siffatte misure siano adottate. La circostanza che gli articoli 30 e 31 utilizzino il termine «provvedimento», anziché termini più ampi quali «restrizioni» o «misure» si limita a riflettere il fatto che, come si può dedurre da quanto precede, misure individuali sono spesso necessarie ai sensi di tale direttiva e che, evidentemente, il legislatore dell’Unione aveva in mente questo tipo di misure quando ha redatto le disposizioni di cui trattasi. In generale, i termini «misure» e «provvedimenti» sono utilizzati in modo apparentemente intercambiabile nella direttiva sulla cittadinanza, e non sempre in modo coerente (91), il che significa che non si può trarre alcuna conclusione dall’impiego dell’uno o dell’altro termine in una determinata disposizione. In secondo luogo, sebbene tali disposizioni non siano state redatte avendo in mente misure di carattere generale, ciò non significa che la possibilità di adottare misure di tal genere per motivi di «sanità pubblica» priverebbe di qualsiasi effetto utile tali misure. I cittadini dell’Unione dovrebbero sempre essere in grado, in una certa misura, di «fare valere circostanze e considerazioni proprie della [loro] posizione individuale». Tornerò su questo aspetto nel prosieguo, ai paragrafi da 115 a 119.

b)      Se le condizioni previste allarticolo 27, paragrafo 1, e allarticolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza fossero soddisfatte nel caso di specie

74.      Nelle sezioni precedenti ho chiarito il motivo per cui misure nazionali come quelle controverse nel procedimento principale possono, in linea di principio, essere giustificate ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza.

75.      Tuttavia, per essere pienamente compatibili con tali disposizioni, dette misure devono soddisfare tutte le condizioni da esse discendenti. Più precisamente, esse devono essere state attuate in risposta ad una minaccia grave, reale e rilevante per la «sanità pubblica» (1) e rispettare i principi di certezza del diritto (2), di parità di trattamento (3) e di proporzionalità (4). Spetta allo Stato membro interessato dimostrare che ciò si verifica nel caso di specie. Inoltre, spetterà, in ultima analisi, al giudice del rinvio, che è il solo competente a valutare i fatti, determinare se tali condizioni siano soddisfatte nel procedimento principale. La Corte può, tuttavia, fornire indicazioni al riguardo, sulla base delle informazioni di cui dispone. A tal fine, esaminerò dette condizioni in sequenza, nelle sezioni che seguono.

1)      Esistenza di una minaccia grave, reale e rilevante per la «sanità pubblica»

76.      Come indicato in precedenza, l’impiego della giustificazione concernente la «sanità pubblica» di cui all’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza è circoscritto dall’articolo 29. Tale ultima disposizione contiene una definizione precisa delle circostanze in cui i suddetti motivi possono essere validamente invocati (92). Ai sensi del suo paragrafo 1, soltanto alcune malattie possono giustificare l’attuazione di misure restrittive della libera circolazione. Tra di esse figurano le «malattie (...) con potenziale epidemico, quali definite dai pertinenti strumenti dell’[OMS]», vale a dire dal regolamento sanitario internazionale (2005) (in prosieguo: l’«RSI»). (93)

77.      La COVID-19 rientra, ovviamente, in tale categoria. Osservo che, il 30 gennaio 2020 (94), il direttore generale dell’OMS ha stabilito che l’insorgenza della malattia di cui trattasi costituiva un’«emergenza sanitaria pubblica di portata internazionale» ai sensi di tale strumento (95). Inoltre, l’11 marzo 2020, la stessa organizzazione, tenuto conto dell’aumento esponenziale dei casi segnalati e dei paesi colpiti, ha qualificato la COVID-19 come una pandemia (96).

78.      Tuttavia, il fatto che determinate misure siano state adottate a motivo di siffatta malattia non è sufficiente per considerarle giustificate alla luce dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza. Infatti, secondo una giurisprudenza costante della Corte, quando le autorità pubbliche invocano motivi di «sanità pubblica» per giustificare una restrizione del diritto di libera circolazione di cui godono i cittadini dell’Unione, esse devono dimostrare, in modo soddisfacente, che le misure di cui trattasi sono necessarie per tutelare efficacemente gli interessi indicati in tali disposizioni (97). Sebbene discenda dalla ratio stessa dell’articolo 29, paragrafo 1, che, in generale, le malattie ivi menzionate sono considerate una grave minaccia per la «sanità pubblica», misure preventive contro tali malattie non possono essere imposte sistematicamente nei confronti dei cittadini dell’Unione (98): la minaccia deve essere reale, e non meramente ipotetica, nelle circostanze in questione. Le autorità pubbliche devono quindi dimostrare, mediante l’effettuazione di una valutazione dei rischi, sulla base dei dati scientifici più affidabili disponibili in quel momento e dei risultati più aggiornati della ricerca internazionale, che è probabile che la minaccia in questione si concretizzi e la gravità del suo impatto sulla «sanità pubblica» nel caso in cui ciò avvenga effettivamente (99).

79.      Tuttavia, come sostengono i governi intervenienti e dalla Commissione, dalla giurisprudenza della Corte risulta altresì che, qualora, dopo l’effettuazione di siffatta valutazione dei rischi, permangano incertezze quanto all’esistenza o alla portata del rischio asserito per la «sanità pubblica», ma persista la probabilità di un danno reale per tale interesse nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse, gli Stati membri possono, in forza del principio di precauzione, adottare misure restrittive, senza dover attendere che la realtà e la gravità di detto rischio diventino pienamente evidenti (100). Sebbene debbano, in ogni caso, esistere indizi della necessità di adottare misure precauzionali, in tali circostanze l’onere della prova è modesto, consentendo alle autorità nazionali di agire con l’urgenza richiesta. Pertanto, un giudice chiamato a valutare siffatte misure dovrebbe, a mio avviso, limitarsi a controllare se la valutazione, da parte delle autorità, dell’esistenza di una minaccia reale e grave per la «sanità pubblica» si fondi su motivi ragionevoli.

80.      Nel caso di specie, è pacifico che ciò sia avvenuto, per quanto concerne la COVID-19, durante il picco della «prima ondata» della pandemia nell’Unione europea. All’epoca, l’aumento esponenziale del numero di casi ha trasformato l’insorgenza di detta malattia in una «crisi sanitaria». Indipendentemente dall’incertezza scientifica quanto alla fonte, alla trasmissibilità, alle dinamiche del contagio e agli effetti del nuovo (all’epoca) coronavirus, le autorità pubbliche avevano motivi ragionevoli più che sufficienti per ritenere che la pandemia rappresentasse una minaccia reale e grave per la sicurezza della prestazione di assistenza sanitaria, poiché i sistemi sanitari nazionali faticavano a far fronte al numero di persone che dovevano essere ricoverate in ospedale, nonché per la vita stessa e l’integrità fisica della loro popolazione. Inoltre, è difficile obiettare all’osservazione secondo cui, all’epoca, la pandemia era «in grado di produrre conseguenze molto gravi non soltanto sulla salute, ma anche sulla società, sull’economia, sul funzionamento dello Stato e sulla vita in generale» (101).

81.      Di conseguenza, le autorità pubbliche potevano ragionevolmente ritenere, a dir poco, che il controllo della diffusione della COVID-19 fosse divenuto una necessità, al fine di salvaguardare i loro sistemi sanitari e attenuare le conseguenze del virus sulla società nel suo insieme e che, a tal fine, esse fossero tenute, in particolare, ad attuare una serie di «interventi non farmaceutici», ivi comprese restrizioni ai viaggi, per tentare di rallentare la trasmissione comunitaria (102) della malattia (103).

82.      Tuttavia, la questione cruciale, ai fini della causa nel procedimento principale, è sapere se tali considerazioni erano ancora valide, in Belgio, al momento dell’adozione e dell’attuazione delle misure contestate a detrimento della Nordic Info, vale a dire, in senso ampio, all’inizio del mese di luglio 2020. Infatti, la legittimità di tali misure deve essere valutata alla luce del contesto esistente (104).

83.      All’epoca, la gravità della «prima ondata» era venuta meno. La situazione epidemiologica complessiva nell’Unione europea aveva iniziato a manifestare segnali di miglioramento già a partire dal mese di maggio, il che aveva giustificato un «cauto ottimismo» (105), tanto che la Commissione aveva invitato gli Stati membri a prendere in considerazione l’allentamento progressivo e, infine, la revoca delle restrizioni ai viaggi introdotte gli uni nei confronti degli altri all’inizio del mese di marzo (106). Tale miglioramento è stato confermato in giugno. Conseguentemente, numerosi Stati membri avevano già revocato le restrizioni il 15 giugno, e la Commissione aveva incoraggiato gli altri a fare altrettanto. Le restrizioni temporanee ai viaggi non essenziali nell’Unione europea sono state anch’esse allentate il 30 giugno (107).

84.      Tuttavia, il governo belga sostiene che, sebbene la situazione epidemiologica nell’Unione europea all’inizio del mese di luglio fosse complessivamente migliorata, la pandemia non era terminata, né era totalmente sotto controllo. La situazione, infatti, differiva notevolmente da un paese all’altro. Sebbene essa si fosse stabilizzata in Belgio, dati oggettivi (108) indicavano significative impennate nei contagi in altri Stati membri, tra i quali la Svezia. Tenuto conto della natura altamente contagiosa del virus (109), le autorità belghe hanno ritenuto che il rischio di una recrudescenza della pandemia sul territorio nazionale – un’eventuale (all’epoca) «seconda ondata» – fosse reale, in particolare nel caso in cui le misure di contenimento fossero state revocate troppo presto, in vista dell’inizio delle vacanze estive.Quindi, hanno deciso di mantenere alcune di tali misure, comprese le restrizioni ai viaggi controverse, adattandole, al contempo, al livello di rischio.

85.      A mio avviso, la valutazione del rischio per la «sanità pubblica» operata delle autorità belghe al momento dei fatti sembra ragionevole, alla luce del principio di precauzione (110). Le misure controverse, quindi, sembrano giustificate, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza. Il fatto che, all’epoca, non vi fosse un trattamento o un vaccino autorizzati e/o efficaci per attenuare l’impatto del virus sulla popolazione tende a confermare la ragionevolezza di tale valutazione. Tuttavia, come sottolinea la Commissione, l’entità del rischio dipendeva anche dalla prevedibile capacità, in particolare, del sistema sanitario belga di far fronte a un eventuale nuovo picco di contagi sul territorio nazionale, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare (111).

86.      Di converso, il fatto che altri Stati membri abbiano revocato, grosso modo in quel periodo, alcune o tutte le misure da essi introdotte per limitare la trasmissione del virus non è determinante a tal riguardo. Infatti, dato che, in primo luogo, la salute e la vita delle persone occupano una posizione preminente tra gli interessi protetti dal Trattato FUE (112), che, in secondo luogo, la competenza in tale settore è in larga misura attribuita agli Stati membri (113) e che, in terzo luogo, ogni azione dell’Unione deve rispettare le «responsabilità» degli Stati membri in materia (114), la Corte ha ripetutamente dichiarato che spetta agli Stati membri stabilire, segnatamente, «il livello al quale intendono garantire la tutela della sanità pubblica» e che, conseguentemente, si deve riconoscere loro «un margine di discrezionalità» in tale settore (115). Pertanto, sebbene taluni Stati membri abbiano evidentemente considerato accettabile il livello di rischio legato alla COVID-19, ciò non rimette in discussione la ragionevolezza della valutazione operata dalle autorità belghe quanto alla necessità di misure precauzionali in Belgio (116).

2)      Le restrizioni ai viaggi controverse erano trasparenti

87.      Se, a prima vista, le autorità belghe avevano motivi legittimi per attuare misure precauzionali all’epoca dei fatti, per essere compatibili con l’articolo 27, paragrafo 1, e con l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, tali misure dovevano, inoltre, essere trasparenti, vale a dire conformi al principio della certezza del diritto. Tale principio impone, segnatamente, che le norme di diritto siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, in particolare quando possono, come nel caso di specie, avere sugli individui e sulle imprese conseguenze sfavorevoli (117).

88.      A mio avviso, le misure controverse sono state formulate con chiarezza e precisione sufficienti a consentire agli interessati di adeguare la loro condotta. In primo luogo, le misure erano chiaramente definite: divieto di viaggi, obblighi di quarantena e di tampone. In secondo luogo, l’elenco dei paesi ad «alto rischio»/«rossi», in relazione ai quali dette misure trovavano applicazione, era disponibile su una pagina Internet dedicata e, quindi, facilmente accessibile. In terzo luogo, è vero che tali misure si basavano su una nozione, quella di viaggi «non essenziali», la cui natura aperta ha determinato alcune incertezze per le persone che intendevano viaggiare verso il Belgio o dal Belgio. Il governo belga ha spiegato che, sebbene tale nozione non fosse precisata nella normativa applicabile, un elenco esemplificativo dei motivi dei viaggi considerati «essenziali», che corrispondeva all’elenco applicabile nel contesto delle restrizioni temporanee ai viaggi non essenziali verso l’Unione europea (118), era tuttavia disponibile online. Indubbiamente, ciò ha aiutato le persone a capire se il viaggio che stavano programmando potesse essere considerato «essenziale» oppure no. Ciò nonostante, se, sulla base di tale elenco, taluni viaggi erano chiaramente vietati, ad esempio i viaggi turistici, talune voci figuranti in tale elenco, come ad esempio i «viaggi per motivi familiari imperativi», erano aperte a interpretazione. A tal riguardo, mi sembra che le autorità nazionali fossero tenute, in forza del principio della certezza del diritto, a istituire un meccanismo che consentisse al pubblico di chiedere in anticipo, mediante mezzi adeguati, se un determinato motivo di viaggio – legato, ad esempio, alla famiglia – fosse considerato «essenziale» oppure no, in modo da evitare di scontrarsi con un rifiuto inatteso al momento della partenza o dell’arrivo. Di fatto, il governo belga ha spiegato di aver predisposto, online, uno spazio per «FAQ» (domande più frequenti) a tal riguardo. Ogni volta che il pubblico poneva frequentemente una domanda, le autorità fornivano una risposta in tale spazio. Ciò sembra soddisfare il requisito che ho appena esposto.

3)      Le restrizioni di viaggio controverse sono state applicate in modo non discriminatorio

89.      Per essere compatibili con l’articolo 27, paragrafo 1, e l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, le misure controverse dovevano, inoltre, essere applicate in modo non discriminatorio (119).

90.      Detto aspetto può essere affrontato succintamente, poiché risulta chiaramente che ciò sia avvenuto. In primo luogo, il divieto di uscita dal territorio belga verso paesi ad «alto rischio»/«rossi» si applicava indipendentemente dalla nazionalità dei viaggiatori. In secondo luogo, per quanto riguarda il divieto d’ingresso, è vero che tale misura non si applicava ai cittadini belgi e ai cittadini di altri Stati membri residenti in Belgio, mentre era imposta ad altri cittadini dell’Unione. Tuttavia, tale disparità di trattamento è giustificata poiché le suddette categorie di persone non si trovano in una situazione analoga (120). In terzo luogo, la quarantena e il tampone erano richiesti ai residenti in Belgio al rientro dagli stessi paesi, a prescindere dalla loro nazionalità.

4)      Proporzionalità delle restrizioni ai viaggi controverse

91.      Per essere compatibili con l’articolo 27, paragrafo 1, e con l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, le misure controverse dovevano, inoltre, rispettare il principio di proporzionalità (121). Come spiegherò dettagliatamente nelle sezioni che seguono, la valutazione di tale requisito include un esame di tre criteri cumulativi, segnatamente la questione se tali misure fossero «idonee» (i), «necessarie» (ii) e «proporzionate in senso stretto» (iii).

92.      Tuttavia, prima di addentrarsi nell’esame di ciascuno di tali criteri, si impongono alcune precisazioni per quanto concerne il livello di controllo di tale principio nel caso di specie. Come rilevato dal governo norvegese, in materia di sanità pubblica è necessaria una certa cautela a tal riguardo. Infatti, la Corte ha statuito in più occasioni che, conformemente al «margine di discrezionalità» di cui godono gli Stati membri in tale settore, spetta a essi stabilire non soltanto il livello al quale intendono garantire la tutela della sanità pubblica nel loro territorio, ma anche «il modo in cui tale livello deve essere raggiunto» (122). Inoltre, detto margine di discrezionalità è particolarmente ampio in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, in cui le autorità pubbliche cercano di far fronte a una pandemia provocata da un nuovo virus, in una fase ancora relativamente precoce e incerta degli eventi, con tempo o conoscenze limitati per valutare le misure più idonee. In una situazione del genere, il principio di precauzione esige che le autorità pubbliche dispongano di un notevole margine di manovra (123).

93.      Per essere chiari, ciò non significa che tali autorità disponessero di carta bianca nel predisporre la loro risposta alla pandemia di COVID-19, al punto di escludere il controllo giurisdizionale delle loro azioni a tal riguardo. Infatti, il controllo giurisdizionale s’impone, a maggior ragione, poiché, tenuto conto dell’urgenza della situazione, le misure introdotte per contrastare la diffusione di tale malattia venivano comunemente adottate dai soli governi, senza seguire il normale processo decisionale democratico e, in particolare, senza un controllo parlamentare ex ante.

94.      Pertanto, per conciliare, da un lato, tale ampio margine di discrezionalità e, dall’altro, il necessario rispetto delle norme giuridiche, la portata del controllo giurisdizionale del principio di proporzionalità nel caso di specie dovrebbe, a mio avviso, limitarsi, anche in questo caso, alla questione se le autorità potessero ragionevolmente ritenere che le misure controverse fossero idonee e necessarie ai fini della gestione del rischio per la «sanità pubblica» sopra descritto, e proporzionate in senso stretto (124).

95.      Desidero inoltre precisare, anzitutto che, circa all’epoca dei fatti, le istituzioni dell’Unione avevano adottato (125), conformemente alla competenza limitata dell’Unione europea nel settore della sanità pubblica (126), una serie di comunicazioni, raccomandazioni e orientamenti al fine di promuovere un certo grado di coordinamento tra le varie misure adottate dagli Stati membri in risposta alla pandemia (127). Sebbene tali strumenti di soft-law non fossero, per definizione, vincolanti per gli Stati membri, essi dovevano comunque essere tenuti in debito conto, conformemente al principio di leale cooperazione. Pertanto, i principi e le norme raccomandati ivi contenuti sono elementi contestuali pertinenti nella presente causa.

i)      Le restrizioni al viaggio controverse sembravano idonee

96.      Secondo la giurisprudenza constante della Corte, il requisito ai sensi del quale ogni misura restrittiva della libera circolazione deve essere «idonea», comprende due criteri cumulativi: la misura in questione deve, in primo luogo, essere in grado di contribuire al conseguimento dell’obiettivo perseguito e, in secondo luogo, «risponde[re] realmente all’intento di raggiungerlo [ed essere] attuata in modo coerente e sistematico» (128).

–       Tali restrizioni ai viaggi sembravano idonee a contribuire all’obiettivo perseguito

97.      Per soddisfare la prima parte del requisito dell’«idoneità», il governo belga doveva dimostrare che restrizioni ai viaggi come le restrizioni controverse potevano contribuire a evitare il rischio di un nuovo picco di casi di COVID-19 nel territorio belga. A tal riguardo, sono necessarie prove scientifiche concordanti. Ciò detto, anche in questo caso, in virtù del principio di precauzione, l’onere della prova è modesto. Infatti, all’epoca dei fatti, la minaccia rappresentata dalla pandemia appariva reale e grave e vi era un notevole grado di incertezza quanto alle soluzioni disponibili per porvi rimedio.

98.      A questo proposito, il governo belga sostiene che, sebbene non fosse possibile stabilire con certezza, all’epoca dei fatti, che tali misure avrebbero avuto un effetto preventivo, era comunque ragionevole, sulla base delle informazioni scientifiche disponibili in quel momento, supporre che ciò sarebbe potuto avvenire. Vi era un «ampio consenso» tra esperti medici nazionali e consulenti del governo sul fatto che la circolazione internazionale di persone stesse contribuendo in modo significativo alla diffusione della COVID-19. Limitare detta circolazione sembrava quindi una misura idonea a controllare la pandemia.

99.      Concordo sul fatto che le autorità belghe potessero ragionevolmente supporre che le restrizioni ai viaggi avrebbero contribuito all’obiettivo inerente alla «sanità pubblica» perseguito. A tal riguardo, tuttavia, si impone una precisazione aggiuntiva, poiché tale contributo non è così ovvio, come è stato suggerito alla Corte dai governi intervenienti e dalla Commissione.

100. Infatti, per quanto riguarda la base scientifica di tali misure, rilevo che, prima della COVID-19, si riteneva, in generale, che le restrizioni ai viaggi non fossero efficaci per contenere l’insorgenza di malattie epidemiche (129). Di conseguenza, nelle prime settimane della pandemia, l’OMS non ha raccomandato l’attuazione di siffatte restrizioni in relazione alla Cina o ad altri paesi (130). Tuttavia, com’è noto, la maggior parte dei paesi non ha tenuto conto della raccomandazione dell’OMS al riguardo (131). Le stesse istituzioni dell’Unione hanno approvato le restrizioni ai viaggi adottate all’interno dell’Unione europea dagli Stati membri e hanno raccomandato l’introduzione di una restrizione temporanea coordinata dei viaggi non essenziali verso l’Unione europea, ritenendo che il massiccio afflusso di persone provenienti da paesi colpiti dal virus comportasse l’«importazione» di un numero considerevole di casi «stranieri» di COVID-19 nei relativi paesi di arrivo, il che avrebbe potuto, com’è di fatto accaduto, dare origine a focolai locali (132). In tale contesto, vari documenti scientifici pubblicati nella primavera del 2020 hanno suggerito che tali restrizioni ai viaggi abbiano effettivamente contribuito a limitare o, quanto meno, a ritardare l’arrivo e l’insorgenza iniziale della malattia nei paesi interessati (133). La stessa OMS ha finito per rivedere la sua posizione e ha ritenuto che dette misure avessero un certo effetto a tal riguardo (134).

101. Occorre tuttavia osservare che, all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, la COVID-19 era già ampiamente presente sul territorio belga. Ci si può legittimamente interrogare sull’opportunità di limitare la circolazione internazionale dopo che il virus si era già diffuso presso la popolazione locale. Tuttavia, come sostenuto dal governo belga, e sebbene gli elementi di prova all’epoca disponibili fossero limitati e inconcludenti (135), era ragionevole supporre che, in un contesto in cui, da un lato, la situazione epidemiologica variava significativamente da uno Stato membro all’altro, con alcuni paesi che registravano un tasso elevato di trasmissione di virus, mentre la situazione sul territorio belga era, in comparazione, sicura (136), e in cui, dall’altro, ci si attendeva, con l’estate alle porte, un ampio afflusso di viaggiatori in arrivo o di ritorno da detti paesi caratterizzati da una maggiore incidenza, per ragioni legate al turismo, mantenere alcune restrizioni ai viaggi tra il Belgio e detti paesi fosse sensato. Ciò avrebbe potuto contribuire – in misura limitata, ma apprezzabile (137) – a evitare il rischio di un nuovo picco di casi di COVID-19 nel territorio belga. Invero, avrebbe potuto impedire una notevole importazione di casi «stranieri» di COVID-19, che avrebbero potuto, a loro volta, sconvolgere il fragile equilibrio locale. Infatti, la stessa OMS ha previsto la possibilità di attuare o mantenere siffatte restrizioni come una delle misure idonee a limitare la trasmissione comunitaria in un contesto di tal genere (138).

102. È evidente che, una volta dimostrato, in misura ragionevole, che la limitazione della circolazione internazionale di persone poteva contribuire a limitare la diffusione della COVID-19, è praticamente indubbio che, come sostengono i governi intervenienti dinanzi alla Corte, il divieto controverso di viaggi «non essenziali» fosse idoneo a limitare tale circolazione tra il Belgio e i paesi ad «alto rischio» di cui trattasi. Il divieto di «ingresso» evitava il rischio che i viaggiatori provenienti da tali zone «portassero con loro» casi di malattia. Il divieto di «uscita» impediva ai residenti belgi di recarsi in dette zone, con lo stesso risultato al momento del loro rientro. Inoltre, gli obblighi di quarantena e di tampone imposti ai residenti in Belgio permettevano alle autorità, come sostenuto dal governo belga, di monitorare da vicino il loro stato di salute, il che poteva contribuire all’individuazione e all’isolamento dei sospetti casi importati, limitando così il rischio di trasmissione alla popolazione locale. (139)

–       Le restrizioni ai viaggi controverse erano coerenti

103. La circostanza se le restrizioni ai viaggi controverse «risponde[ssero] realmente» all’intento di raggiungere l’obiettivo di «sanità pubblica perseguito dipende alla questione se dette misure si inserissero in una strategia più ampia intesa a limitare la diffusione della COVID-19 (140). Sembra che ciò sia avvenuto nel caso di specie. Il governo belga indica che, all’epoca dei fatti, erano in atto altri «interventi non farmaceutici» destinati a evitare la trasmissione comunitaria, quali misure igieniche, tamponi, isolamento e ricerca di contatti. Inoltre, quando uno Stato membro limita, come ha fatto il Belgio all’epoca, i viaggi da e verso altri Stati membri a motivo della loro situazione epidemiologica comparativamente peggiore, coerenza esige che esso imponga restrizioni analoghe alla circolazione verso e da zone interne al territorio nazionale caratterizzate da una situazione epidemiologica altrettanto grave (141). Dal fascicolo non risulta chiaramente se ciò sia avvenuto, all’epoca, in Belgio. Ciò dovrebbe essere verificato dal giudice del rinvio.

104. Per quanto riguarda la questione se le misure controverse siano state attuate in modo coerente e sistematico, ricordo che la loro applicazione dipendeva dalla situazione epidemiologica nei paesi interessati, un fattore che è chiaramente coerente con l’obiettivo di sanità pubblica perseguito. Inoltre, a tal riguardo, tutti i paesi caratterizzati da una situazione epidemiologica simile sono stati trattati allo stesso modo. In aggiunta a ciò, la valutazione della situazione in ciascun paese è stata effettuata sulla base di dati ragionevolmente affidabili e aggiornati forniti dall’ECDC (142), fattore che ha indubbiamente contribuito alla coerenza del sistema nel suo complesso.

105. Il fatto che le restrizioni controverse non si applicassero ai viaggi a fini «essenziali» non rimette in discussione, a mio avviso, la loro coerenza. Infatti, un numero limitato di motivi per viaggiare era riconosciuto come «essenziale». La portata di tale esclusione, di conseguenza, non era tale da ostacolare la realizzazione dell’obiettivo di sanità pubblica perseguito (143). Infatti, detta esclusione era una necessità, alla luce di tale obiettivo. Limitare alcuni dei viaggi «essenziali in questione, segnatamente la circolazione di lavoratori «essenziali», come i professionisti sanitari, avrebbe pregiudicato la lotta contro la COVID-19. Infine, come spiegherò in dettaglio nel prosieguo, detta esclusione costituiva un requisito per garantire la rigorosa proporzionalità delle misure di cui trattasi (144). Inoltre, il «bersaglio» delle misure di cui trattasi era, lo ricordo, il potenziale afflusso di viaggiatori a fini turistici che non era interessato da tale esclusione.

ii)    Le restrizioni di viaggio contestate sembravano necessarie

106. Anche il requisito per cui qualsiasi misura restrittiva della libera circolazione deve essere «necessaria» comprende due condizioni. Occorre verificare, da un lato, se esistano misure alternative altrettanto efficaci, ma meno restrittive rispetto alla misura scelta, per raggiungere l’obiettivo perseguito (145) e, dall’altro, se detta misura sia «strettamente necessaria», cioè non ecceda quanto necessario per raggiungere l’obiettivo in questione (146).

–       Se vi fossero alternative meno restrittive, ma altrettanto efficaci

107. In via preliminare, ricordo che spetta a ciascuno Stato membro stabilire sia il livello al quale esso intende garantire la protezione della sanità pubblica sul suo territorio, sia il modo in cui detta protezione deve essere garantita, a condizione siano soddisfatti i requisiti del diritto dell’Unione. Il fatto che altri Stati membri abbiano imposto misure meno severe non è, pertanto, determinante (147). Ovviamente, maggiore è il livello di tutela della sanità pubblica che si intende conseguire, più severe sono le misure necessarie per conseguirlo. È evidente che, nel caso di specie, il Belgio mirava a un livello di protezione elevato.

108. Passando ora all’esistenza di alternative alle restrizioni ai viaggi controverse, altrettanto efficaci ai fini della protezione della sanità pubblica ma meno restrittive della libertà di circolazione, rilevo che l’onere della prova imposto alle autorità nazionali a tal riguardo non può estendersi sino al punto di esigere che esse dimostrino che nessun’altra misura potesse costituire un’alternativa altrettanto praticabile (148). Pertanto, nel caso di specie, non è necessario esaminare ogni misura ipotizzabile. È sufficiente un esame delle alternative più ovvie, che sono state discusse dinanzi alla Corte.

109. In primo luogo, l’imposizione di misure individuali di diniego d’ingresso o di quarantena soltanto a taluni viaggiatori, ad esempio quelli presentanti sintomi della malattia, sarebbe stato, indubbiamente, meno restrittiva. Tuttavia, non si sarebbe trattato di una misura altrettanto efficace nel prevenire il rischio di «importazione» di casi di COVID-19 al livello perseguito dalle autorità belghe. Anche supponendo che il controllo dei sintomi di tutti i viaggiatori al punto del loro ingresso nel territorio belga fosse praticabile, era ragionevole supporre che un siffatto controllo avrebbe consentito l’identificazione di soltanto alcuni portatori della malattia e che una parte di essi, vale a dire le persone asintomatiche e presintomatiche, sarebbero passate attraverso il filtro senza essere individuata (149). Un controllo generale dei viaggiatori mediante tamponi rapidi avrebbe avuto lacune analoghe (150).

110. In secondo luogo, per raggiungere il livello di protezione perseguito dal governo belga, neppure la semplice imposizione di una quarantena a tutti i viaggiatori in arrivo o al rientro da paesi ad «alto rischio» sarebbe stata efficace quanto un divieto di viaggiare verso e da tali paesi, unitamente a un obbligo di quarantena imposto ai soli residenti. È evidente che l’imposizione ai viaggiatori di una quarantena per un periodo di tempo adeguato contribuisce, in una certa misura, ad attenuare il rischio di cui sopra (151). In teoria, essa garantisce che tutti, compresi i portatori asintomatici e quelli nella fase presintomatica, di incubazione, siano isolati dal resto della popolazione locale e, di conseguenza, non provochino catene di contagio. Tuttavia, come sostenuto dai governi belga e norvegese, se un divieto di viaggi impedisce il rischio di importazione di casi «stranieri» di COVID-19 nel territorio nazionale, la quarantena, di converso, è soltanto una misura correttiva, che opera quando tali casi sono già stati importati e che, a seconda delle sue modalità, è soltanto parzialmente efficace nell’attenuare il rischio di un’ulteriore trasmissione alla popolazione locale. Richiedere la quarantena a domicilio alle persone, come sembra essere avvenuto nel caso di specie, presenta siffatte lacune. Oltre al fatto che le persone possono non adempiere pienamente l’obbligo di isolarsi, sovente esse condividono il loro domicilio con familiari che potrebbero, a loro volta, contagiarsi e diffondere la malattia (152).

–       Carattere strettamente necessario delle restrizioni ai viaggi controverse.

111. Quanto alla questione se le restrizioni ai viaggi controverse non eccedessero quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo di «sanità pubblica» perseguito, ricordo che tali misure si applicavano soltanto in riferimento a paesi che si riteneva presentassero un alto rischio per i viaggiatori. Inoltre, benché tale verifica spetti al giudice del rinvio, sembrerebbe che, ogni qual volta fossero disponibili dati relativi al tasso di contagio all’interno di un determinato paese, a livello regionale, le restrizioni erano applicate in modo più mirato, soltanto in riferimento ai viaggi tra il Belgio e le regioni problematiche (153).

112. È vero che sarebbe stato possibile elaborare misure più specifiche, che avrebbero potuto consentire un approccio ancora più mirato. La valutazione della situazione epidemiologica in un determinato paese avrebbe potuto essere più affinata. Considerazioni quali il tasso di effettuazione di tamponi, la struttura della popolazione e così via avrebbero potuto consentire una valutazione più precisa (154). Tuttavia, evidentemente, ciò avrebbe reso la suddetta valutazione più complessa da effettuare, mentre la tempestività era essenziale. Come sottolineato dai governi belga e norvegese, il diritto dell’Unione consente alle autorità nazionali di adottare norme di facile applicazione e attuazione, anche ove queste possano non condurre a una soluzione perfetta per ogni situazione (155).

113. Ricordo inoltre che, per soddisfare il requisito in discussione nella presente sezione, le misure restrittive del diritto di libera circolazione devono altresì essere accompagnate da talune garanzie, idonee ad assicurare che l’ingerenza in tale diritto sia effettivamente limitata allo stretto necessario (156).

114. Nel caso di specie, una prima garanzia contro un’ingerenza non necessaria di questo tipo risiede, a mio avviso, nella rivalutazione periodica delle restrizioni ai viaggi controverse (157). Come sottolineano i governi intervenienti e dalla Commissione, la situazione epidemiologica in ogni paese o regione era riesaminata periodicamente al fine di garantire che le restrizioni trovassero applicazione, in riferimento a una determinata zona, fintantoché detta situazione fosse problematica. I dati sul tasso di contagio nazionale o regionale erano aggiornati, a quanto risulta, su base settimanale (158), sicché le autorità pubbliche potevano adeguare la classificazione per colori in modo dinamico (159). Quanto alla necessità generale di tali misure, spetta al giudice del rinvio verificare se i pertinenti decreti contenessero una «sunset clause» (clausola di caducità) che prevedesse la cessazione della loro applicazione in una determinata data o, quantomeno, se le autorità belghe monitorassero l’evoluzione della minaccia che le giustificava.

115. In secondo luogo, il giudice del rinvio dovrebbe altresì verificare se le garanzie procedurali previste agli articoli 30 e 31 della direttiva sulla cittadinanza fossero operative. Sebbene, come ho indicato al precedente paragrafo 73, le disposizioni in questione non siano state redatte avendo in mente misure generali come quelle di cui trattasi, le suddette garanzie trovavano comunque applicazione. Infatti, esse miravano ad «assicurare (...) un elevato grado di tutela dei diritti del cittadino dell’Unione», nonché «il rispetto del principio secondo il quale gli atti amministrativi devono essere sufficientemente motivati» (160). Le garanzie in questione costituiscono, inoltre, un’espressione specifica del principio della tutela giurisdizionale effettiva, garantito dall’articolo 47 della Carta, ragione in più per la quale esse dovrebbero possedere una portata ampia. Ciò premesso, concordo con il governo belga e la Commissione sul fatto che, nel caso di specie, sono necessari alcuni adattamenti.

116. Da un lato, per quanto concerne gli obblighi di «notifica[re] per iscritto» all’«interessato» il «provvedimento» che limita la sua libera circolazione e di fornirgli informazioni concernenti i motivi che giustificano l’adozione di detto «provvedimento», previsti rispettivamente all’articolo 30, paragrafi 1 e 2, della direttiva sulla cittadinanza, è evidente che le restrizioni ai viaggi controverse non avrebbero potuto essere notificate in tal modo, e che le relative informazioni non avrebbero potuto essere fornite su base individuale a tutte le persone rientranti nel loro ambito di applicazione. Tuttavia, la tutela offerta da tali garanzie doveva essere assicurata in modo adeguato. Come sostenuto dal governo belga in udienza, il fatto che le informazioni concernenti l’adozione di dette restrizioni e i motivi di «sanità pubblica» che le giustificavano fossero state ripetutamente condivise con il pubblico, mediante diversi mezzi di comunicazione seguiti da una vasta platea di destinatari soddisfa, a mio avviso, tale requisito (161).

117. Per quanto riguarda, dall’altro lato, l’obbligo di fornire ai cittadini dell’Unione accesso ai mezzi di impugnazione giurisdizionali al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di ogni «provvedimento» restrittivo del loro diritto di libera circolazione, previsto all’articolo 31, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, esso non implica, a mio avviso, che i cittadini dell’Unione debbano avere il diritto di contestare direttamente misure generali come quelle di cui trattasi qualora una siffatta possibilità non si prevista nel diritto nazionale. Infatti, tale disposizione deve, a mio avviso, essere interpretata alla luce dell’articolo 47 della Carta e dei requisiti essenziali da esso discendenti (162). Ricordo che il principio di tutela giurisdizionale effettiva ivi garantito non richiede, in quanto tale, l’esistenza di un ricorso autonomo diretto a contestare la conformità di disposizioni nazionali con norme dell’Unione, purché vi siano uno o più rimedi giuridici che permettano di garantire, in via incidentale, il rispetto dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione (163).

118. Vi sono vari modi nei quali i giudici belgi potevano garantire, durante la pandemia, la tutela giurisdizionale dei diritti che i cittadini dell’Unione traggono dalla direttiva sulla cittadinanza. In primo luogo, ad esempio, qualsiasi atto mediante il quale le autorità di polizia, sulla base delle restrizioni ai viaggi controverse, avessero negato a una determinata persona l’imbarco su un volo o sanzionato il tentativo di imbarcarsi, si qualificava, di per sé, come un «provvedimento» ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 1, di detta direttiva (164) e, di conseguenza, doveva poter essere sottoposto a controllo giurisdizionale. In tale contesto, l’interessato doveva disporre della possibilità di sollevare, in via pregiudiziale, la questione della compatibilità con il diritto dell’Unione delle misure generali sulla base delle quali tale «provvedimento» era stato adottato. In secondo luogo, era evidentemente possibile farlo nell’ambito di un’azione di risarcimento nei confronti dello Stato, in considerazione del fatto che la Nordic Info ha presentato una domanda di tal genere (165).

119. Nell’ambito dei suddetti mezzi di impugnazione, un cittadino dell’Unione doveva essere in grado non soltanto di contestare la compatibilità generale di tali misure con il diritto dell’Unione, ma anche di sostenere che esse non avrebbero dovuto essere applicate nei suoi confronti. Tale persona doveva essere in grado di sostenere, ad esempio, che le era stato erroneamente negato il diritto di imbarcarsi sul suo volo, quando invece viaggiava per una finalità «essenziale». I giudici dovevano essere in grado di verificare, ad esempio, se le autorità fossero legittimate a stabilire che il viaggio di cui trattasi, pur essendo un viaggio per questioni familiari, non rientrava nella categoria dei «motivi familiari imperativi» (166) o se le circostanze molto specifiche di tale persona avessero dovuto giustificare, al di là di tali categorie generali di viaggi considerati «essenziali», una deroga eccezionale al divieto di viaggio (167).

iii) Rigorosa proporzionalità delle restrizioni ai viaggi controverse

120. La proporzionalità in senso stretto implica una valutazione degli inconvenienti causati da una determinata misura e della questione se tali inconvenienti siano proporzionati rispetto agli scopi perseguiti (168). I governi intervenienti e la Commissione hanno ampiamente omesso la trattazione di tale requisito nelle loro osservazioni. Detta omissione, tuttavia, può essere loro perdonata, poiché questo aspetto del criterio di proporzionalità è generalmente assente nella giurisprudenza «classica» della Corte in materia di libera circolazione (169). Di converso, esso figura in modo relativamente costante nelle sue decisioni relative alla legittimità di misure nazionali che limitano l’esercizio dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, di quest’ultima (170). In tale contesto, la Corte ha chiesto al governo belga e alla Commissione, in udienza, se il giudice del rinvio sia tenuto, di fatto, a verificare anche la rigorosa proporzionalità delle restrizioni ai viaggi controverse. Tali intervenienti hanno ammesso che vi è tenuto. Anch’io sono convinto che si tratti dell’approccio corretto, e ciò per i motivi che seguono.

121. Le misure restrittive della libera circolazione delle persone sollevano, in termini generali, questioni attinenti ai diritti fondamentali. Oltre al fatto che il diritto di libera circolazione di cui godono i cittadini dell’Unione è tutelato, di per sé, nella Carta (171), di regola, le misure nazionali restrittive di tale diritto limitano, al contempo, altri diritti e libertà ivi garantiti. È certamente quanto è avvenuto nel caso di specie. Le restrizioni ai viaggi controverse, avendo ostacolato la circolazione tra gli Stati membri, possono aver limitato, a seconda delle circostanze, (i) il diritto alla vita privata e familiare tutelato dall’articolo 7 (poiché essi potevano, segnatamente, mantenere separate le famiglie) (172), (ii) il diritto all’istruzione tutelato dall’articolo 14 (poiché, ad esempio, detto divieto poteva impedire agli studenti di frequentare corsi presso università straniere), (iii) il diritto al lavoro garantito dall’articolo 15 (potendo impedire alle persone di cercare un lavoro all’estero) e (iv) la libertà d’impresa protetta dall’articolo 16 (segnatamente poiché rendevano praticamente impossibile la prestazione di servizi turistici in riferimento ai paesi ad «alto rischio» di cui trattasi).

122. In situazioni del genere, le condizioni di deroga al diritto di libera circolazione, quali previste all’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, devono essere interpretate in modo conforme ai requisiti derivanti dalla Carta. Infatti, tale disposizione non può tollerare restrizioni non ammesse, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, alla libera circolazione delle persone. Ne consegue, a mio avviso, che, ai sensi della prima disposizione, il criterio di proporzionalità dovrebbe essere tanto stringente quanto ai sensi della seconda.

123. Infatti, vi è una differenza importante, in termini di tutela dei diritti fondamentali, tra i diversi aspetti del criterio di proporzionalità. I requisiti di «idoneità» e di «necessità» riguardano unicamente l’efficienza delle misure in questione rispetto all’obiettivo perseguito. In definitiva, non si tratta che di un controllo giurisdizionale limitato del fatto che le autorità abbiano valutato la situazione di fatto in modo ragionevolmente corretto a tal riguardo. Inoltre, il suddetto controllo dipende fortemente da considerazioni astratte quali il «livello di protezione» dell’interesse in questione perseguito dai poteri pubblici. Come ho già affermato, quanto più elevato è il livello di tutela, tanto più «necessarie» appariranno le misure restrittive, anche quelle particolarmente drastiche.  Tuttavia, alcune misure, per quanto possano essere «necessarie» al fine di salvaguardare determinati interessi, sono semplicemente troppo gravose rispetto ad altri interessi per essere accettabili in una società democratica. È proprio questo il senso del requisito di «proporzionalità in senso stretto». Ai sensi di tale requisito, i vantaggi risultanti dalle misure controverse rispetto all’obiettivo perseguito sono bilanciati con gli inconvenienti che esse causano in riferimento ai diritti fondamentali (173). Come rilevato dall’avvocato generale Saugmandsgaard Øe nelle sue conclusioni nella causa Tele2 Sverige e a. (174), tale bilanciamento «dà luogo (...) a un dibattito sui valori che devono prevalere in una società democratica e, in definitiva, sul tipo di società in cui vogliamo vivere». Tale dibattito è necessario, anche in relazione a misure in materia di «sanità pubblica» (175) e, aggiungerei, a maggior ragione in relazione a misure adottate durante la pandemia di COVID-19, tenuto conto del loro impatto senza precedenti sull’intera popolazione degli Stati membri (176).

124. Passando ora alla rigorosa proporzionalità delle restrizioni ai viaggi controverse, desidero osservare che, come indicato in precedenza, da un lato, tali misure hanno limitato, a seconda delle circostanze, vari diritti e libertà fondamentali tutelati dalla Carta. Dall’altro lato, esse sembravano idonee e necessarie per perseguire un obiettivo di interesse generale riconosciuto dall’Unione, vale a dire la protezione della sanità pubblica. Inoltre, come sottolineano i governi belga e norvegese, l’attuazione di tali misure era necessaria per tutelare il «diritto alla salute» delle popolazioni nazionali, che è riconosciuto in numerosi strumenti internazionali dei quali gli Stati membri sono parte e che impone loro obblighi positivi di adottare le misure adeguate, in particolare, per controllare le malattie epidemiche (177). In tale contesto, doveva essere mantenuto un «giusto equilibrio» tra questi diversi diritti e interessi (178).

125. Ovviamente, mantenere un simile bilanciamento non era un’operazione semplice. Mantenere la pandemia sotto controllo e ridurre, al contempo, l’impatto delle misure sanitarie sulle libertà civili era indubbiamente un compito complesso. Le autorità pubbliche hanno dovuto compiere numerose scelte politiche, economiche e sociali, e in tempi alquanto ristretti, tenuto conto della rapida evoluzione della situazione con la quale erano confrontate. Infatti, è probabile che si sia trattato di una delle più grandi sfide cui le autorità pubbliche hanno dovuto far fronte in tempi recenti.

126. Bilanciare i vantaggi e gli svantaggi di restrizioni ai viaggi come quelle di cui trattasi è stato particolarmente difficile. Da un lato, misure del genere potevano aiutare a limitare la diffusione della COVID-19. Dall’altro, esse erano suscettibili di causare notevoli perturbazioni sociali ed economiche (179).

127. In primo luogo, le restrizioni ai viaggi hanno avuto un impatto enorme sulle imprese e sulla relativa libertà garantita ai sensi dell’articolo 16 della Carta. In particolare, le conseguenze per il settore turistico sono state senza precedenti. A causa di tali restrizioni, le attività, in particolare, di operatori turistici quali la Nordic Info hanno subito, in generale, un blocco (180). Tuttavia, a mio avviso, nel bilanciamento di valori concorrenti, le autorità pubbliche potevano ragionevolmente ritenere che la sanità pubblica dovesse prevalere su siffatte considerazioni economiche (181) e/o che una pandemia incontrollata avrebbe potuto avere, nel lungo periodo, conseguenze ben più gravi sull’economia, se non fossero state adottate misure temporanee per limitarne la diffusione. In aggiunta, sono state adottate altre misure a livello dell’Unione e a livello nazionale per attenuare l’impatto di tali restrizioni sul settore in questione (182).

128. In secondo luogo, le restrizioni ai viaggi hanno causato notevoli inconvenienti per gli individui. Tali inconvenienti gravano pesantemente sul cuore dei giuristi europei poiché tali misure hanno hanno avuto il maggiore impatto sul «figlio prediletto» del diritto dell’Unione, vale a dire il cittadino mobile dell’Unione. Lo status in questione e il diritto alla libera circolazione ad esso associato sono stati concepiti come un mezzo di emancipazione degli individui, attraverso lo studio, il lavoro, la creazione di amicizie e di legami familiari, e così via, nell’intera Unione europea. Esso è legato a uno stile di vita: per molti di questi cittadini, gli spostamenti internazionali costituiscono una parte essenziale della loro vita. Improvvisamente, la stessa mobilità promossa dall’Unione europea veniva considerata una minaccia e limitata di conseguenza (183)

129. Ciò premesso, è chiaro che, in linea generale, le restrizioni ai viaggi possono avere un impatto eterogeneo sui cittadini dell’Unione, a seconda delle circostanze. Ad esempio, impedire a una persona di rientrare a casa e/o di riunirsi con i suoi cari in un paese diverso viola il suo diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare in misura maggiore rispetto a impedire semplicemente alla stessa persona di recarsi in Svezia per un viaggio turistico. Questo è il motivo per cui, di regola, la rigorosa proporzionalità di tali misure deve essere valutata in concreto, tenuto conto della situazione individuale delle persone interessate (184).

130. Ho spiegato al paragrafo 132 delle presenti conclusioni che, per quanto riguarda le restrizioni ai viaggi adottate in risposta alla minaccia rappresentata da una malattia epidemica, sovente una siffatta valutazione individuale non è possibile senza compromettere l’efficacia di dette restrizioni. A tal fine possono essere adottate misure generali. Tuttavia, in questa ipotesi deve essere effettuata una valutazione in abstracto della proporzionalità, distinguendo diverse categorie di persone e di circostanze, per tener conto del fatto che alcuni motivi di viaggio meritano maggiore protezione rispetto ad altri e devono prevalere sulle esigenze sanità pubblica (185).

131. Il governo belga ha sostenuto in udienza, in risposta ai quesiti ad esso rivolti dalla Corte, che le restrizioni ai viaggi controverse si fondavano su tale logica. In particolare, per garantire la rigorosa proporzionalità delle misure di cui trattasi, le persone che viaggiavano per fini «essenziali», in particolare per «motivi familiari imperativi», erano state escluse dal loro ambito di applicazione.

132. A mio avviso, ammettendo che le categorie generali dei viaggi «essenziali» siano state concepite in modo sufficientemente ampio da soddisfare i requisiti, in particolare, del diritto fondamentale alla vita privata e familiare, e che gli elementi necessari per provare il carattere «essenziale» di un viaggio non fossero tali da far sì che, nella pratica, viaggiare fosse eccessivamente difficile (186) ciò ha indubbiamente contribuito ad assicurare la rigorosa proporzionalità delle misure controverse (187). Tuttavia, in aggiunta a tali categorie generali, ritengo che le misure controverse dovessero, inoltre, essere applicate in modo flessibile. Altre circostanze individuali specifiche dovevano poter giustificare deroghe eccezionali al momento dell’applicazione. Persone temporaneamente soggiornanti in Belgio dovevano essere autorizzate a rientrare nel loro Stato membro di residenza, fosse esso la Svezia o un altro paese ad «alto rischio» (188). Parimenti, alcune altre circostanze umanitarie potevano e dovevano giustificare una deroga per motivi connessi ai diritti fondamentali. Si tratta di una verifica che spetta al giudice del rinvio.

133. Di converso, le autorità pubbliche potevano ragionevolmente ritenere che i viaggi per scopi turistici, per quanto potessero essere importanti, dovessero essere temporaneamente sacrificati per esigenze di sanità pubblica. Inoltre, a tale riguardo, occorre tenere presente che le restrizioni in questione si applicavano soltanto in riferimento a determinati paesi ad «alto rischio», mentre i viaggi turistici verso altri paesi erano consentiti. Anche ciò ha contribuito alla rigorosa proporzionalità delle misure controverse.

6.      Conclusione provvisoria

134. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 5, paragrafo 1, interpretati in combinato disposto con l’articolo 27, paragrafo 1, e l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, devono essere interpretati nel senso che non ostano, in linea di principio, a misure nazionali, attuate in risposta alla minaccia grave e reale per la sanità pubblica rappresentata da una pandemia, consistenti, da un lato, in un divieto di viaggiare verso e da paesi nei quali la situazione epidemiologica è comparativamente peggiore rispetto a quella esistente nello Stato membro in questione e, dall’altro, in obblighi di quarantena e di tampone per i residenti al momento del loro rientro da detti paesi.

B.      Legittimità delle verifiche effettuate per far rispettare le restrizioni ai viaggi controverse (seconda questione)

135. Dinanzi al giudice del rinvio, la Nordic Info sostiene che, al fine di far rispettare le restrizioni ai viaggi discusse nel corso della mia analisi della prima questione, all’epoca dei fatti le autorità belghe hanno effettuato verifiche alle frontiere tra il Belgio e altri Stati Schengen, in violazione delle norme del codice frontiere Schengen.

136. Ricordo che, al fine di attuare l’obiettivo dell’Unione di creare «uno spazio (...) senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone» (189), il codice frontiere Schengen prevede il principio dell’assenza di controlli di frontiera sulle persone che attraversano le «frontiere interne» (190) tra i paesi ai quali si applica l’acquis di Schengen, quali il Belgio e la Svezia (191). L’articolo 22 di detto codice esprime tale principio stabilendo che le frontiere interne possono essere attraversate in qualunque punto senza che sia effettuata una verifica di frontiera sulle persone. Tuttavia, in via eccezionale, gli articoli da 25 a 35 dello stesso codice consentono, a talune condizioni, il ripristino temporaneo di tali verifiche.

137. Nel caso di specie, la Nordic Info sostiene che le verifiche controverse sono state effettuate in violazione dell’articolo 22 del codice frontiere Schengen. Inoltre, a suo avviso, le condizioni per un ripristino eccezionale del controllo di frontiera alle frontiere interne, quale previsto dall’articolo 25 e seguenti di tale codice, non erano soddisfatte.

138. Nell’ordinanza di rinvio, il giudice del rinvio sembra partire dal presupposto che le verifiche effettuate dalle autorità belghe costituissero, di fatto, «verifiche di frontiera», ai sensi dell’articolo 22 del codice frontiere Schengen, e, pertanto, sembra dubitare della loro legittimità soltanto ai sensi dell’articolo 25 e seguenti di tale codice. Tuttavia, nelle sue osservazioni, il governo belga contesta tale presupposto. Inoltre, la seconda questione è formulata in modo ampio e aperto, sicché in essa potrebbe rientrare anche il problema in questione. Di conseguenza, ritengo opportuno fornire alcune precisazioni quanto alle caratteristiche delle verifiche controverse (1), per poi esaminare le condizioni per il ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne (2).

1.      Caratteristiche delle verifiche controverse

139. La domanda di pronuncia pregiudiziale è vaga per quanto concerne le verifiche effettuate dalle autorità belghe, all’epoca dei fatti, per far rispettare le restrizioni ai viaggi controverse. Il giudice del rinvio si limita a spiegare, e lo ribadisce nella formulazione della sua seconda questione, che il divieto di viaggi previsto all’articolo 18 del decreto controverso (192) dava «luogo a controlli e sanzioni» in caso di violazione, e che poteva essere «attuato d’ufficio» dalle autorità competenti. Per il resto, tale giudice riprende il contenuto di alcune delle disposizioni pertinenti del diritto belga, senza spiegare ciò che esse implicassero nella pratica. Ad ogni modo, gli elementi che seguono emergono dal fascicolo e, in particolare, dalle risposte fornite dal governo belga ai quesiti posti dalla Corte.

140. Da un lato, è pacifico che, all’epoca dei fatti, le autorità belghe non avevano formalmente ripristinato il controllo di frontiera alle frontiere interne che il Belgio condivide con altri paesi Schengen, conformemente all’articolo 25 e seguenti del codice frontiere Schengen. Dall’altro, alcune verifiche sono state effettuate, all’epoca, da agenti di polizia, in particolare:

–        negli aeroporti, in linea di principio per tutti i voli. Tuttavia, per i voli provenienti da paesi Schengen «ad alto rischio»/«rossi», venivano effettuate verifica a campione sui passeggeri;

–        nelle stazioni ferroviarie, mediante agenti che effettuavano verifiche a campione su passeggeri su treni internazionali ad alta velocità provenienti dai paesi confinanti al momento della discesa nella prima stazione in cui tali treni si fermavano dopo l’ingresso nel territorio belga;

–        sulle strade che attraversano le frontiere, mediante unità mobili di agenti che effettuavano verifiche a campione durante il loro orario di lavoro normale.

141. Secondo il governo belga, tali verifiche non erano «verifiche di frontiera» ai sensi dell’articolo 22 del codice frontiere Schengen. Si sarebbe trattato di casi di mero «esercizio delle competenze di polizia da parte delle autorità competenti degli Stati membri in forza della legislazione nazionale (...)» che, inoltre, non avevano un «effetto equivalente alle verifiche di frontiera» ai sensi dell’articolo 23, lettera a), di detto codice. Esse non rientravano, pertanto, nel divieto di controlli di frontiera alle frontiere interne, come chiarito da quest’ultima disposizione.

142. La corretta caratterizzazione delle verifiche controverse è, evidentemente, una questione il cui esame spetta al giudice del rinvio. Tuttavia, al fine di assistere detto giudice a tal riguardo, formulerò alcune osservazioni.

143. Da un lato, le verifiche controverse sembrerebbero, a prima vista, rispondere alla definizione di «verifiche di frontiera» di cui all’articolo 2, punto 11, del codice frontiere Schengen. In primo luogo, apparentemente, esse sono state «effettuate ai valichi di frontiera» o nei pressi di essi, almeno per quanto concerne le strade e gli aeroporti (193), anche se nel caso delle stazioni ferroviarie la situazione non è molto diversa. (194) In secondo luogo, esse sono state presumibilmente effettuate «al fine di accertare che le persone (...) po[tessero] essere autorizzat[e] ad entrare nel territorio [di uno Stato membro] o autorizzat[e] a lasciarlo», poiché, a quanto risulta, gli agenti di polizia verificavano che i viaggiatori soddisfacessero almeno una delle condizioni all’epoca imposte per «essere autorizzat[i] ad entrare» nel territorio belga o a «lasciarlo», vale a dire che essi stessero viaggiando per un «fine essenziale» o, in alternativa, che non provenissero da un paese ad «alto rischio» o tentassero di recarvisi.

144. Dall’altro lato, il fatto che, apparentemente, le verifiche controverse non siano state effettuate in strutture fisse, bensì da unità mobili di agenti di polizia presenti in luoghi diversi in momenti diversi, unitamente al fatto che dette verifiche non fossero sistematiche (195), bensì «verifiche a campione» aleatorie, costituiscono forti indizi (196) del fatto che si trattasse, come sostenuto dal governo belga, di casi di «esercizio delle competenze di polizia (...) nelle zone di frontiera», come previsto dall’articolo 23, lettera a), del codice frontiere Schengen. Purché l’intensità e la frequenza di tali verifiche, che spetta al giudice del rinvio accertare sulla base delle norme pertinenti del diritto belga, non siano state tali da conferire loro un «effetto equivalente alle verifiche di frontiera», esse non rientravano, di fatto, nel divieto previsto dall’articolo 22 del codice frontiere Schengen (197). Il fatto che l’articolo 23, lettera a), preveda, al punto ii), soltanto l’effettuazione di verifiche in risposta a «minacce per la sicurezza pubblica» e non a «minacce per la sanità pubblica» è irrilevante a tal riguardo. Infatti, la suddetta disposizione non fornisce alcuna base giuridica per l’esercizio di «competenze di polizia», né indica i motivi sulla base dei quali essi possano essere esercitati, dato che detti motivi sono individuati dal diritto nazionale pertinente, e l’ipotesi di verifiche legate alla sicurezza pubblica è prevista meramente a titolo di esempio (198).

2.      Condizioni per il ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne

145. Nella sezione precedente ho spiegato il motivo per cui, a mio avviso, fatta salva la verifica del giudice del rinvio, controlli come quelli effettuati dalle autorità belghe, all’epoca dei fatti, per far rispettare le restrizioni ai viaggi controverse non costituivano «verifiche di frontiera» vietate alle frontiere interne, ai sensi dell’articolo 22 del codice frontiere Schengen. Pertanto, la questione se le condizioni per un ripristino eccezionale del controllo di frontiera a tali frontiere fossero soddisfatte, all’epoca, in Belgio, non appare più rilevante. Tuttavia, la tratterò per ragioni di completezza (199).

146. L’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen stabilisce il quadro generale che disciplina il ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne. Esso prevede, segnatamente, che tale controllo possa essere ripristinato «[i]n caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna» di uno Stato membro. Altre condizioni procedurali e sostanziali devono essere soddisfatte, come spiegherò nel prosieguo (200).

147. Tuttavia, indipendentemente dalla questione se tali altre condizioni fossero soddisfatte all’epoca dei fatti in Belgio, la Nordic Info sostiene che il ripristino del controllo di frontiera non era chiaramente possibile in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, per la semplice ragione che l’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen non fa riferimento alla «sanità pubblica» come giustificazione di una misura del genere. Detto problema, come risulta dalla decisione di rinvio, si colloca al centro della seconda questione proposta dal giudice del rinvio. Di conseguenza, esaminerò anzitutto, in termini astratti, l’ambito di applicazione della suddetta disposizione (a), per poi formulare alcune brevi osservazioni sulla questione se le condizioni per l’attuazione di una siffatta misura fossero soddisfatte nelle circostanze del caso di specie (b).

a)      Ambito di applicazione dellarticolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen

148. A mio avviso, l’argomento della Nordic Info concernente i motivi in base ai quali il controllo di frontiera alle frontiere interne può essere legittimamente ripristinato ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen ha un certo peso (201).

149. Infatti, mentre l’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza menziona espressamente motivi «di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica» (il corsivo è mio) quali motivi che giustificano restrizioni alla libera circolazione, l’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen fa riferimento, per quanto riguarda il controllo di frontiera alle frontiere interne, soltanto a una «minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna», omettendo, a quanto pare, la «sanità pubblica». La prevenzione di ««minacc[e] per la salute pubblica» degli Stati membri, infatti, è menzionata in tale codice soltanto in riferimento all’ingresso di cittadini di paesi terzi che arrivano alle frontiere esterne (202).

150. Inoltre, un’analisi della genesi di detto codice tende a indicare che tale differenza di regime non costituisce una mera omissione, bensì una scelta deliberata del legislatore dell’Unione. A tal riguardo, ricordo che la Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen(203), firmata a Schengen il 19 giugno 1990 (204), non menzionava la «sanità pubblica» né in riferimento alle condizioni d’ingresso degli stranieri, né in relazione al ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne (205). Ciononostante, nella sua proposta legislativa, divenuta la prima versione del codice frontiere Schengen (206), la Commissione ha proposto, in particolare, di aggiungere alle condizioni d’ingresso esistenti la circostanza che gli stranieri non fossero considerati pericolosi per la salute pubblica (207) e che il controllo di frontiera potesse essere ripristinato in caso di «minaccia grave per l’ordine pubblico, la salute pubblica o la sicurezza interna» (208)’. Tuttavia, in occasione della prima lettura del testo, il Parlamento europeo ha modificato le disposizioni relative al controllo di frontiera alle frontiere interne, eliminando ogni riferimento alle minacce alla «salute pubblica». (209) L’emendamento in questione è sopravvissuto al resto del processo legislativo.

151. Ciò precisato, al pari dei governi belga, norvegese e svizzero, nonché della Commissione, sono dell’avviso che, sebbene una «minaccia per la salute pubblica» non possa, di per sé, giustificare il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen, alcune situazioni connesse alla sanità pubblica sono talmente gravi da poter rientrare nella nozione di «minaccia grave per l’ordine pubblico» di cui a tale disposizione (210).

152. Sebbene la nozione di «minaccia grave per l’ordine pubblico» non sia definita nel codice frontiere Schengen, dal considerando 27 di tale codice risulta che il legislatore dell’Unione ha ritenuto applicabile, a tal riguardo, la definizione fornita dalla Corte nella sua giurisprudenza in materia di libera circolazione. Secondo la giurisprudenza pertinente, la nozione di «ordine pubblico» presuppone l’esistenza di una «minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società» (211).

153. In primo luogo, la protezione della popolazione contro i danni causati, segnatamente, dalla lotta contro malattie epidemiche, unitamente alla prestazione di assistenza sanitaria a detta popolazione, può facilmente essere considerata costituire un siffatto «interesse fondamentale della società». Infatti, potrebbe trattarsi di una delle «funzioni essenziali dello Stato» che l’Unione «rispetta» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE. In secondo luogo, i rischi posti da malattie di questo genere possono, in talune circostanze, essere a tal punto gravi da costituire una «minaccia reale, attuale e sufficientemente grave» da pregiudicare un siffatto «interesse» (212).

154. Nella misura in cui, ad esempio, una determinata pandemia rientri nella definizione di «ordine pubblico» sopra richiamata, non vedo alcun motivo per escluderla dall’ambito di applicazione dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen. La formulazione di tale disposizione non è sottoposta a condizioni per quanto concerne il tipo di «minaccia grave per l’ordine pubblico» idonea a giustificare il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne. Purché si tratti di una minaccia «grave», qualsiasi minaccia di tal genere è inclusa. Gli elementi storici discussi in precedenza non escludono, a mio avviso, siffatta interpretazione (213). Per essere chiari, ciò non significa che le nozioni di «sanità pubblica» e di «ordine pubblico» coincidano, o che la prima possa sempre giustificare una siffatta misura. Ciò si verifica soltanto in circostanze eccezionali, in cui la situazione a livello di sanità pubblica è sufficientemente grave da minacciare gravemente l’ordine pubblico (214).

b)      Se le condizioni per il ripristino del controllo di frontiera fossero soddisfatte nelle circostanze di cui trattasi

155. Poiché il giudice del rinvio non chiede, in verità, se le condizioni per il ripristino del controllo di frontiera fossero soddisfatte nelle circostanze di cui trattasi e poiché, inoltre, è probabile che eventuali chiarimenti sul punto siano irrilevanti ai fini del procedimento principale, mi limiterò a formulare alcune osservazioni su tale aspetto.

156. In primo luogo, come ho appena spiegato, il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne è giustificabile, ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen, in risposta a una «minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro». Quanto alla questione se la pandemia di COVID-19 costituisse, di fatto, una «minaccia» di tal genere all’epoca dei fatti, rimando ai precedenti paragrafi da 76 a 86.

157. In secondo luogo, dall’articolo 25, paragrafo 2, e dall’articolo 26 del codice frontiere Schengen risulta che l’attuazione di siffatta misura deve rispettare il principio di proporzionalità (215).

158. In primo luogo, per quanto riguarda la questione se il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne costituisca una misura idonea a rispondere alla «minaccia grave per l’ordine pubblico» che la COVID-19 può aver rappresentato all’epoca, rimando ai paragrafi da 97 a 102 delle presenti conclusioni per una discussione sull’effetto (limitato) delle restrizioni alla circolazione internazionale delle persone sulla diffusione di una malattia epidemica. Tuttavia, poiché restrizioni ai viaggi come quelle di cui trattasi erano, a tal riguardo, idonee, mi sembra che lo stesso valga per il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne. Infatti, tale misura ha contribuito (o avrebbe potuto contribuire) a garantire il rispetto di tali restrizioni e, pertanto, alla loro applicazione sistematica e coerente.

159. In secondo luogo, la questione se il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne fosse necessario dipende, in sostanza, dalla questione se misure alternative sarebbero state meno restrittive, ma altrettanto efficaci, per far rispettare le restrizioni ai viaggi controverse. A tal riguardo, osservo che «verifiche a campione» aleatorie effettuate sul territorio, anche nelle zone di frontiera, accompagnate da sanzioni effettive e dissuasive in caso di violazione di tali misure, potevano costituire, probabilmente, un mezzo meno restrittivo ma altrettanto efficace per garantirne il rispetto e, del resto, sembra che sia precisamente questo l’approccio scelto dalle autorità belghe all’epoca dei fatti (216).

160. In terzo luogo, per quanto concerne la proporzionalità in senso stretto del ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne, richiamo le mie osservazioni di cui ai precedenti paragrafi da 120 a 133, per una discussione sull’accettabilità, in una società democratica, di restrizioni alla circolazione internazionale delle persone per motivi di «sanità pubblica». Aggiungo altresì che, al di là degli inconvenienti causati da restrizioni sostanziali ai viaggi, le verifiche di frontiera comportano, di per sé, determinati svantaggi (217). Le verifiche di frontiera effettuate dagli Stati membri durante la pandemia hanno ostacolato in modo notevole la circolazione delle persone che viaggiavano per fini «essenziali» non erano perciò sottoposte a divieti di viaggio, e per le quali l’attraversamento senza ostacoli delle frontiere era fondamentale. L’impatto di tali verifiche sui lavoratori transfrontalieri e sugli operatori sanitari era, talora, notevole, specialmente quando esse causavano lunghe code e ritardi considerevoli. Lo stesso vale per quanto concerne la circolazione di merci tra le frontiere. Come minimo, al fine di «bilanciare» gli eventuali vantaggi e svantaggi del controllo di frontiera, dovevano essere adottate misure quali il sistema delle «vie verdi» raccomandato dalla Commissione, per facilitare il flusso delle persone e delle merci «essenziali» (218).

161. Infine, ricordo che occorre seguire una procedura specifica per ripristinare il controllo di frontiera alle frontiere interne. In particolare, ai sensi dell’articolo 27 del codice frontiere Schengen, le autorità nazionali devono notificare tale intenzione alle loro omologhe negli altri Stati membri e alla Commissione, almeno quattro settimane prima del ripristino previsto. In via eccezionale, ai sensi dell’articolo 28, esse possono ripristinare immediatamente il controllo di frontiera, notificando contestualmente tale misura. In entrambi i casi, è necessaria una notificazione. Sembrerebbe che non tutti gli Stati membri che hanno attuato tale misura nel corso della pandemia abbiano adempiuto a tale obbligo (219).

3.      Conclusione provvisoria

162. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen non osta, in linea di principio, a che uno Stato membro ripristini temporaneamente il controllo di frontiera alle frontiere interne in risposta a una pandemia, purché quest’ultima sia sufficientemente grave da poter essere qualificata come una «minaccia grave per l’ordine pubblico» ai sensi della suddetta disposizione e che tutte le condizioni ivi stabilite siano soddisfatte.

V.      Conclusione

163. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali proposte dal Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese, Belgio) nei seguenti termini:

1)      L’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 5, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 27, paragrafo 1, e con l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE,

devono essere interpretati nel senso che

essi non ostano, in linea di principio, a misure nazionali, attuate in risposta alla minaccia grave e reale per la sanità pubblica rappresentata da una pandemia, consistenti, da un lato, in un divieto di viaggiare verso e da paesi nei quali la situazione epidemiologica è comparativamente peggiore rispetto a quella esistente nello Stato membro in questione e, dall’altro, in obblighi di quarantena e di tampone per i residenti al loro rientro da detti paesi.

2)      L’articolo 25, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen)

deve essere interpretato nel senso che

esso non osta, in linea di principio, a che uno Stato membro ripristini temporaneamente il controllo di frontiera alle frontiere interne in risposta a una pandemia, purché quest’ultima sia sufficientemente grave da poter essere qualificata come una «minaccia grave per l’ordine pubblico» ai sensi della suddetta disposizione e che tutte le condizioni ivi stabilite siano soddisfatte.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Gli «interventi non farmaceutici» sono misure di sanità pubblica, diverse dalla vaccinazione e dalla fornitura di medicinali e trattamenti medici, che mirano a prevenire e/o a controllare la trasmissione di una malattia contagiosa in una comunità. V. Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (in prosieguo: l’«ECDC»), Guidelines for non-pharmaceutical interventions to reduce the impact of COVID-19 in the EU/EEA and the UK, [Orientamenti sugli interventi non farmaceutici per ridurre l’impatto della COVID-19 nell’UE/SEE e nel Regno Unito], ECDC, Stoccolma, 24 settembre 2020 (in prosieguo: gli «orientamenti dell’ECDC»).


3      È vero che gli Stati membri hanno subito differenti «ondate» della pandemia in momenti diversi. Tuttavia, per quanto riguarda l’anno rilevante nella presente causa, ossia il 2020, può essere operata una distinzione approssimativa tra una «prima ondata», dalla fine di febbraio alla fine di giugno, e una «seconda ondata» iniziata nell’autunno 2020 e coincisa con l’emergere di nuovi ceppi di COVID-19.


4      Commissione europea, 16 marzo 2020, comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio – COVID-19: restrizione temporanea dei viaggi non essenziali verso l’UE (COM(2020) 115 final) e Consiglio europeo, conclusioni del presidente del Consiglio europeo a seguito della videoconferenza con i membri del Consiglio europeo sulla Covid-19, 17 marzo 2020.


5      V., sulle varie restrizioni alla mobilità transfrontaliera introdotte dagli Stati membri, orientamenti dell’ECDC, pagg. da 18 a 20 e riferimenti ivi indicati.


6      V., a tal proposito, la giurisprudenza relativa all’insorgere della malattia della «mucca pazza», in particolare la sentenza del 5 maggio 1998, Regno Unito/Commissione (C‑180/96, EU:C:1998:192).


7      V. articolo 3, paragrafo 2, TUE e articolo 26, paragrafo 2, TFUE.


8      V., ad esempio, la giurisprudenza della Corte relativa alla conservazione dei dati relativi al traffico su Internet, in particolare la sentenza del 6 ottobre 2020, La Quadrature du Net e a. (C‑511/18, C‑512/18 e C‑520/18, EU:C:2020:791).


9      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77).


10      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016 (GU 2016, L 77, pag. 1).


11      V. articolo 7 del Ministerieel besluit van 23 maart 2020 houdende dringende maatregelen om de verspreiding van het coronavirus COVID-19 te beperken (decreto ministeriale del 23 marzo 2020 recante misure urgenti per limitare la diffusione del coronavirus COVID-19) (Moniteur belge del 23 marzo 2020, pag. 17603).


12      Con tale espressione ci si riferisce agli Stati membri dell’Unione europea e ai paesi terzi che attuano l’acquis di Schengen, vale a dire Islanda, Liechtenstein, Norvegia, e Svizzera.


13      V. articolo 7 del decreto ministeriale del 23 marzo 2020 recante misure urgenti per limitare la diffusione del coronavirus COVID-19, come modificato dal decreto ministeriale del 5 giugno 2020 (Moniteur belge del 5 giugno 2020, pag. 41544) e, in seguito, articolo 18 del Ministerieel Besluit van 30 juni 2020 houdende dringende maatregelen om de verspreiding van het coronavirus COVID-19 te beperken (decreto ministeriale del 30 giugno 2020 recante misure urgenti per limitare la diffusione del coronavirus COVID-19) (Moniteur Belge del 30 giugno 2020, pag. 48715).


14      Nella decisione di rinvio non si precisa la base giuridica per gli obblighi di quarantena e tampone imposti al rientro. Dinanzi alla Corte, il governo belga ha spiegato che gli obblighi di quarantena e tampone non rientravano nella competenza dello Stato federale, bensì in quella degli enti federati. Pertanto, diversi regolamenti trovavano applicazione, a tal riguardo, nelle varie zone del Belgio.


15      Segnatamente il Celeval, un organo istituito dal governo belga nell’aprile 2020, presieduto dal Servizio federale di sanità pubblica e composto da esperti in materia di salute, virologi, economisti, psicologi, esperti comportamentali e in comunicazione.


16      Moniteur Belge del 31 luglio 2007.


17      V. supra, paragrafo 12. È pacifico che la Svezia non ha imposto restrizioni all’ingresso dei residenti in Belgio all’epoca dei fatti.


18      La Nordic Info chiede, in particolare, il risarcimento delle perdite legate all’annullamento di tutti i viaggi in Svezia, alla prestazione di informazioni e di assistenza al rimpatrio ai viaggiatori interessati, nonché all’impossibilità di effettuare prenotazioni future a causa del divieto di viaggi. Tuttavia, il giudice del rinvio precisa che, in questa fase del procedimento principale, la Nordic Info «non esclude altre voci di danno», il che significa, per quanto mi è dato comprendere, che essa potrebbe invocare altre perdite in una fase successiva. Tornerò su questo aspetto nel prosieguo, al paragrafo 36.


19      Nella decisione di rinvio non si precisa per quanto tempo dette misure sono rimaste in vigore.


20      Sottolineo che, nonostante quanto sembra risultare dalla formulazione della prima questione, dalla decisione di rinvio emerge chiaramente che tali obblighi si applicavano non soltanto ai cittadini di altri Stati membri residenti in Belgio, ma anche ai cittadini belgi. Il giudice del rinvio spiega, a tal riguardo, che detta questione riflette non soltanto la portata effettiva di tali misure, bensì, piuttosto, il fatto che la Nordic Info contesta la loro compatibilità con il diritto dell’Unione unicamente nella parte in cui esse si applicavano ai cittadini di altri Stati membri.


21      E dei loro familiari cittadini di paesi terzi. Nel resto delle presenti conclusioni mi concentrerò, per comodità, sui cittadini degli Stati membri, ma l’analisi svolta varrà anche per i familiari cittadini di paesi terzi.


22      Infatti, sebbene le norme in materia di libera circolazione garantiscano il diritto dei cittadini degli Stati membri di circolare tra tali Stati, esse non attribuiscono loro il diritto di non essere sottoposti a verifiche di frontiera quando lo fanno. V., in tal senso, considerando 7 e articoli 4 e 5 della direttiva sulla cittadinanza.


23      V. articoli 1 e 2 del Protocollo (n. 19) sull’acquis di Schengen integrato nell’ambito dell’Unione europea (GU 2010, C 83, pag. 2), allegato al Trattato di Lisbona.


24      V., in particolare, articolo 56 TFUE.


25      Inoltre, il diritto dei cittadini degli Stati membri di viaggiare all’interno dell’Unione europea specificamente a fini turistici è tutelato ai sensi della libera prestazione dei servizi prevista, in particolare, all’articolo 56 TFUE. V., segnatamente, sentenza del 31 gennaio 1984, Luisi e Carbone (286/82 e 26/83, EU:C:1984:35, punto 16).


26      V. articolo 20, paragrafo 2, e articolo 21, paragrafo 1, TFUE e articolo 52, paragrafo 2, della Carta.


27      V. articolo 1, lettera a), della direttiva sulla cittadinanza.


28      V., segnatamente, sentenza del 4 ottobre 2012, Byankov (C‑249/11, EU:C:2012:608, punti 30 e 32, nonché giurisprudenza ivi citata).


29      Di converso, la possibilità, per i cittadini dell’Unione, di lasciare uno Stato membro al fine di recarsi in un paese terzo non è disciplinata da tale disposizione, né, in generale, dal diritto dell’Unione in materia di libera circolazione.


30      V., in tal senso, considerando 2 e 3 della direttiva sulla cittadinanza.


31      Nel diritto internazionale, il diritto di lasciare qualsiasi paese, compreso il proprio, è garantito, in particolare, dall’articolo 2, paragrafo 2, del Protocollo n. 4 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950. Poiché tutti gli Stati membri, ad eccezione della Grecia, hanno ratificato detto protocollo, esso costituisce un elemento contestuale pertinente ai fini dell’analisi nella presente causa.


32      Questa soluzione deriva dalla delimitazione dell’ambito di applicazione generale della direttiva sulla cittadinanza, che, ai sensi del suo articolo 3, paragrafo 1, si applica «a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza» [v., in particolare, sentenza del 6 ottobre 2021, A (Attraversamento di frontiere a bordo di imbarcazione da diporto) (C‑35/20, EU:C:2021:813, punti da 67 a 69 e giurisprudenza ivi citata)]. In udienza, la Corte ha chiesto alle parti intervenienti se, di conseguenza, anche l’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva non disciplini l’uscita dal territorio belga di un cittadino svedese che intenda recarsi in Svezia. A mio parere sì. In primo luogo, da un punto di vista logico, dal fatto che la direttiva sulla cittadinanza non affronti la questione specifica dell’ingresso di un cittadino svedese in Svezia non discende che essa non disciplini neppure la questione dell’uscita di detto cittadino dal Belgio, poiché si tratta di due questioni collegate, ma distinte. In secondo luogo, quando un cittadino svedese risiede in Belgio, si tratta di un «cittadino dell’Unione che (...) soggiorn[a] in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva. Detta persona è, pertanto, un «beneficiario» del diritto conferito da tale strumento. L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva in parola si applica, quindi, alla questione se il Belgio possa vietare o meno a tale persona di lasciare il suo territorio, indipendentemente dalla destinazione.


33      Di converso, il diritto internazionale non attribuisce agli stranieri un diritto generale di entrare in un determinato paese. V., per quanto riguarda la CEDU, Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), 26 giugno 2012, Kurić e a c. Slovenia (CE:ECHR:2014:0312JUD002682806, § 355).


34      V., in tal senso, in particolare, sentenza del 6 ottobre 2021, A (Attraversamento di frontiere a bordo di imbarcazione da diporto) (C‑35/20, EU:C:2021:813, punto 70 e giurisprudenza ivi citata). Anche l’articolo 56 TFUE potrebbe, a mio avviso, essere invocato da cittadini dell’Unione nei confronti del proprio Stato membro, nel contesto del loro rientro da un viaggio turistico in un altro Stato membro (v. supra, nota 26).


35      V. articolo 2 dell’Accordo concluso dal Consiglio dell’Unione europea con la Repubblica d’Islanda e il Regno di Norvegia sulla loro associazione all’attuazione, all’applicazione e allo sviluppo dell’acquis di Schengen, del 18 maggio 1999 (GU 1999, L 176, pag. 36).


36      V., supra, paragrafi 12 e 13.


37      Il giudice del rinvio indica, nella decisione di rinvio, di ritenere che la direttiva sulla cittadinanza disciplini la circolazione delle persone tra, in particolare, il Belgio e l’Islanda o la Norvegia.


38      La posizione di tali paesi nella classificazione per colori di cui trattasi nel procedimento principale non è menzionata nella decisione di rinvio, il che significa che non è neppure chiaro se le restrizioni ai viaggi siano state applicate in relazione a tali paesi all’epoca dei fatti.


39      V., ad esempio, sentenze dell’11 dicembre 2018, Weiss e a. (C‑493/17, EU:C:2018:1000, punto 166), e del 26 novembre 2020, Sögård Fastigheter (C‑787/18, EU:C:2020:964, punti da 79 a 81).


40      Accordo del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3).


41      In particolare nell’allegato V, punto 1, e nell’allegato VIII, punto 3.


42      GU 2008, L 124, pag. 20, e supplemento SEE n. 26 dell’8.5.2008, pag. 17.


43      Nel diritto SEE, qualsiasi riferimento contenuto nella direttiva sulla cittadinanza a uno «Stato membro» (o agli «Stati membri») deve essere inteso nel senso che include anche gli Stati EFTA (Islanda, Liechtenstein e Norvegia), mentre i riferimenti a un «cittadino dell’Unione» (o ai «cittadini dell’Unione») sono sostituiti dai termini «cittadini degli Stati membri della Comunità e degli Stati AELS (EFTA)» (v. allegato V e allegato VIII dell’accordo SEE).


44      V., in tal senso, articolo 7 dell’accordo SEE.


45      V., supra, paragrafi 34 e 35.


46      V., in particolare, articolo 28 (libera circolazione dei lavoratori) e articolo 31 (diritto di stabilimento) dell’accordo SEE. In una prospettiva analoga, la Commissione ha ricordato, in udienza, che la libera prestazione dei servizi garantita dall’articolo 36 di tale accordo attribuisce ai cittadini degli Stati membri dell’Unione europea e degli Stati EFTA un diritto di viaggiare all’interno del SEE a fini turistici [v. sentenza del 2 aprile 2020, Ruska Federacija (C‑897/19 PPU, EU:C:2020:262, punti da 51 a 54)], come previsto dall’articolo 56 TFUE per quanto concerne l’Unione europea (v. supra, nota 26), e ciò vale indipendentemente dallo status economico di detti cittadini. Pertanto, nel caso di specie, indipendentemente dalla misura in cui la direttiva sulla cittadinanza si applichi all’interno del SEE, i clienti della Nordic Info godevano di un diritto garantito in forza del diritto SEE di viaggiare dal Belgio verso l’Islanda o la Norvegia (e viceversa). Tale circostanza conferma la mia convinzione che non occorra statuire su detta questione nella presente causa.


47      V. decisione del Comitato misto, considerando 8. V. anche dichiarazione comune delle Parti contraenti relativa alla decisione [in questione].


48      Sottolineo che la Corte è competente ad interpretare l’accordo SEE. Infatti, poiché è stato concluso, fra l’altro, dall’Unione europea, esso costituisce parte integrante del diritto dell’Unione. V. sentenza del 2 aprile 2020, Ruska Federacija (C‑897/19 PPU, EU:C:2020:262, punto 49).


49      Sentenza del 27 giugno 2014 (E‑26/13, [2014] EFTA Ct. 254) (in prosieguo: la «sentenza Gunnarsson»).


50      V. direttive 90/364/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno (GU 1990, L 180, pag. 26); 90/365/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno cessato la propria attività professionale (GU 1990, L 180, pag. 28); e 90/366/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990; relativa al diritto di soggiorno degli studenti (GU 1990, L 180, pag. 30). Tali direttive erano state adottate, all’epoca, sulla base della «clausola di flessibilità» prevista all’articolo 235 TCE (attuale articolo 352 TFUE).


51      V. sentenza Gunnarsson (punti da 75 a 82).


52      Quale previsto all’articolo 26 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, del 23 maggio 1969 (United Nations Treaty Series, vol. 1155, pag. 331).


53      V., in particolare, sentenza del 2 aprile 2020, Ruska Federacija (C‑897/19 PPU, EU:C:2020:262, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).


54      V., per analogia, sentenza del 6 ottobre 2020, Commissione/Ungheria (Insegnamento superiore) (C‑66/18, EU:C:2020:792, punto 92).


55      V., in particolare, articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva sulla cittadinanza.


56      A mio avviso, il ragionamento della Corte EFTA al punto 80 della sentenza Gunnarsson, ai sensi del quale, da un lato, l’incorporazione della direttiva sulla cittadinanza nell’accordo SEE non può aver ivi introdotto in tale accordo «diritti fondati sulla nozione di cittadinanza dell’Unione», mentre, dall’altro, i singoli dovrebbero poter godere dei «diritti acquisiti» che sono stati «mantenuti» in tale direttiva, può essere interpretato in tal senso. Ciò premesso, la Corte ha chiesto agli intervenienti, in udienza, se detto ragionamento dovesse invece essere inteso nel senso che soltanto alcuni dei diritti garantiti dalla direttiva in parola, considerati «acquisiti», debbano essere riconosciuti, all’interno del SEE, alle persone non economicamente attive, mentre altri, quali il diritto di soggiorno di breve durata (articolo 6) e il diritto di soggiorno permanente (articoli da 16 a 21), non dovrebbero essere loro riconosciuti, trattandosi di diritti «nuovi», «fondati sulla nozione di cittadinanza dell’Unione». Al pari di tutti gli intervenienti, non ritengo che una siffatta interpretazione restrittiva sia necessaria. Lo ribadisco: Lo ribadisco: la decisione del Comitato misto non contiene alcuna riserva in tal senso. Certamente, per la Corte EFTA era sufficiente che i «diritti» di libera di circolazione e di soggiorno, in termini generali, fossero già diritti «acquisiti» per le persone non economicamente attive in forza delle precedenti direttive, indipendentemente dal successivo sviluppo dei «sotto-diritti» specifici da esse derivanti nella direttiva sulla cittadinanza.


57      Per semplicità, nel prosieguo delle presenti conclusioni continuerò a fare riferimento soltanto ai cittadini dell’Unione che circolano all’interno dell’Unione europea. Il ragionamento varrà, mutatis mutandis, anche per la circolazione dei cittadini dell’Unione e dei cittadini dei Stati EFTA all’interno del SEE.


58      V., per analogia, Corte EDU, 14 giugno 2022, L.B. c. Lituania (CE:ECHR:2022:0614JUD003812120, § 81).


59      Infatti, in forza del principio di diritto internazionale riaffermato all’articolo 3, paragrafo 2, del Protocollo n. 4 alla CEDU, uno Stato non può vietare l’ingresso nel proprio territorio dei suoi cittadini.


60      Ciò può spiegarsi con il fatto che l’articolo 29, paragrafo 2, della direttiva sulla cittadinanza non consente a uno Stato membro di rifiutare, per motivi di «sanità pubblica», l’ingresso di cittadini di altri Stati membri residenti nel suo territorio (v. infra, paragrafo 60).


61      Infatti, a mio avviso, tale disposizione possiede un ambito di applicazione più ristretto rispetto all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza o all’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, poiché si limita a vietare la privazione ex lege o de facto del diritto di entrare nel territorio nazionale. Misure temporanee quali la quarantena non possono essere considerate tali. V. Corte EDU, 14 settembre 2022, H.F. e a. c. Francia (CE:ECHR:2022:0914JUD002438419, §§ 128 e 248).


62      V., per analogia, articolo 123, lettera c), dell’accordo SEE.


63      V. le mie conclusioni nella causa Valstybės sienos apsaugos tarnyba e a. (C‑72/22 PPU, EU:C:2022:431, paragrafo 112 e riferimenti citati). Per quanto riguarda l’articolo 2, paragrafo 2, del Protocollo n. 4 alla CEDU, ricordo che, analogamente, l’articolo 15, paragrafo 1, di tale convenzione consente agli Stati membri, in caso di «guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione» di «adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale».


64      Mi limito ad osservare che, nella giurisprudenza della Corte EDU, la nozione di «pericolo pubblico che minacci la vita della nazione», ai sensi dell’articolo 15 della CEDU, si riferisce a «una situazione eccezionale di crisi o di emergenza che colpisce l’intera popolazione e costituisce una minaccia per la vita organizzata della comunità che compone lo Stato» [v. Corte EDU, 1º luglio 1961, Lawless c. Irlanda (n. 3), CE:ECHR:1961:0701JUD000033257, § 28]. La Corte EDU non si è ancora pronunciata sulla questione se la pandemia di COVID-19 rientri in tale definizione. Tuttavia, nella sua decisione del 13 aprile 2021, Terheş c. Romania (CE:ECHR:2021:0413DEC00499332, § 39) (in prosieguo: la «sentenza Terheş c. Romania»), essa ha suggerito tale possibilità, perlomeno in riferimento ai mesi iniziali della pandemia (v. § 39). Nelle mie conclusioni nella causa Valstybės sienos apsaugos tarnyba e a. (C‑72/22 PPU, EU:C:2022:431, paragrafi da 110 a 113), ho proposto una definizione simile della nozione di «gravi agitazioni interne» utilizzata all’articolo 347 TFUE. A mio avviso, la situazione in taluni Stati membri all’epoca della prima ondata poteva integrare «agitazioni» di questo tipo. Tale qualificazione sembrerebbe più forzata per quanto concerne la situazione esistente in altri Stati membri all’epoca dei fatti (v. infra, paragrafi da 80 a 85).


65      Per quanto mi è noto, nessuno Stato membro ha invocato l’articolo 347 TFUE nel corso della pandemia di COVID-19. Per quanto concerne l’articolo 15, paragrafo 1, della CEDU, il Belgio non figura tra gli Stati che, durante tale pandemia, hanno emesso notifiche ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 3 (elenco delle notifiche disponibile all’indirizzo https://www.coe.int/en/web/conventions/derogations-covid-19).


66      V., per analogia, Corte EDU, sentenza Terheş c. Romania (§ 46 e giurisprudenza ivi citata).


67      V., in tal senso, articolo 20 e articolo 21, paragrafo 1, TFUE. V. anche, per quanto concerne l’articolo 45 della Carta, articolo 52, paragrafo 1, di detto strumento.


68      V., mutatis mutandis, sentenza del 5 giugno 2018, Coman e a. (C‑673/16, EU:C:2018:385, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).


69      V. paragrafi 75 e segg. Sottolineo che, ad oggi, a differenza delle eccezioni di «ordine pubblico» e di «pubblica sicurezza», l’eccezione di «sanità pubblica» non è mai stata interpretata dalla Corte.


70      V. supra, paragrafo 35 e nota 61.


71      Infatti, ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, uno Stato membro non può allontanare un cittadino dell’Unione per motivi di «sanità pubblica» dopo che sia trascorso un «periodo di tre mesi successivi alla data di arrivo». Ne consegue che uno Stato membro può rifiutare l’ingresso iniziale di siffatto cittadino o allontanarlo dal suo territorio soltanto prima che esso abbia iniziato a esercitare il diritto di soggiorno previsto all’articolo 7 della direttiva sulla cittadinanza. Di converso, una volta che detto cittadino sia divenuto un residente, qualora lasci temporaneamente il territorio, al momento del rientro non potrà essergli negato l’ingresso per tali ragioni.


72      Per quanto riguarda i cittadini belgi, poiché il principio riaffermato all’articolo 3, paragrafo 2, del Protocollo n. 4 alla CEDU non osta a siffatte misure (v. supra, nota 61), esse potevano essere adottate ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, applicandosi per analogia le condizioni previste all’articolo 27, paragrafo 1, e all’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza.


73      V., in tal senso, sentenze del 10 luglio 2008, Jipa (C‑33/07, EU:C:2008:396, punti da 19 a 22); del 17 novembre 2011, Gaydarov (C‑430/10, EU:C:2011:749, punti 26 e da 29 a 30); e del 4 ottobre 2012, Byankov (C‑249/11, EU:C:2012:608, punti 35 e 36).


74      Il capo VI della direttiva sulla cittadinanza è intitolato «Limitazioni del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica» (il corsivo è mio).


75      V., per quanto riguarda la COVID-19, infra, paragrafo 102.


76      Nella proposta della Commissione di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (COM(2001) 257 definitivo), l’articolo 27 (allora articolo 25) faceva riferimento ai «provvedimenti di diniego d’ingresso (...) del cittadino dell’Unione», mentre l’articolo 29 (allora articolo 27) si riferiva al «divieto d’ingresso (...)». Tuttavia, tali disposizioni sono state modificate nel corso dell’iter legislativo della proposta, nel senso di fare invece riferimento a eventuali restrizioni alla «libertà di circolazione», un’espressione ritenuta preferibile in quanto «si estende a qualsiasi tipo di provvedimento, che si tratti di un allontanamento o un’espulsione, di un divieto di ingresso o di uscita dal territorio» (v. proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, COM(2003) 199 definitivo, pagg. 8, 31 e 33). Il fatto che il titolo del capo VI non sia stato modificato di conseguenza costituisce, quindi, una mera omissione del legislatore dell’Unione. Lo stesso vale per il fatto che l’articolo 29, paragrafo 1, continua a fare riferimento allo «Stato membro ospitante», anziché utilizzare un termine più generale come «lo Stato membro in questione», per includere la situazione in cui uno Stato membro limiti il diritto di uscita dei propri cittadini.


77      Per analogia, il diritto di uscita di cui all’articolo 2, paragrafo 2, del Protocollo n. 4 alla CEDU può essere limitato, segnatamente per motivi di «salute» (v. articolo 2, paragrafo 3).


78      V., nello stesso senso, Goldner Lang, I., «"Laws of Fear" in the EU: The Precautionary Principle and Public Health Restrictions to Free Movement of Persons in the Time of COVID-19», European Journal of Risk Regulation, 2021, pagg. da 1 a 24; Thym, D., e Bornemann, J., «Schengen and Free Movement Law During the First Phase of the Covid-19 Pandemic: Of Symbolism, Law and Politics», European Papers, vol. 5, n. 3, 2020, pagg. da 1162 a 1163; van Eijken, H.H., e Rijpma, J.J., «Stopping a Virus from Moving Freely: Border Controls and Travel Restrictions in Times of Corona», Utrecht Law Review, vol. 17, n. 3, 2021, pagg. da 34 a 50.


79      È vero che l’articolo 29, paragrafo 3, della direttiva sulla cittadinanza prevede che uno Stato membro non possa, in modo «sistematico», subordinare l’ingresso nel proprio territorio a una visita medica «al fine di accertare che [i cittadini dell’Unione che arrivano nel suo territorio] non soffrano di patologie indicate [all’articolo 29, paragrafo 1]». Esso può farlo soltanto «[o]ve sussistano seri indizi che ciò è necessario». La Commissione ha indicato, nella relazione alla sua proposta iniziale, che detto riferimento era inteso a precisare che la deroga per motivi di «sanità pubblica» può essere utilizzata soltanto «a condizione che esistano seri indizi che la persona interessata soffre di una delle malattie [previste all’articolo 29, paragrafo 1]». Tuttavia, a mio avviso, ciò non significa che, ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, possano essere adottate soltanto misure individuali. Infatti, la circostanza che una persona presenti sintomi di una malattia con potenziale epidemico può costituire un «serio indizio» della necessità di una siffatta misura. In ogni caso, lo stesso vale per la situazione di una persona che intenda recarsi temporaneamente in un paese che si trovi a far fronte a un grave focolaio di tale malattia o che provenga da detto paese. Di conseguenza, le misure restrittive applicabili in via generale alle persone che viaggiano da un paese di tal genere o che intendano ivi recarsi non sono in contrasto con l’articolo 29, paragrafo 3.


80      V. supra, paragrafo 61 e nota 76. Per fare un altro esempio: l’articolo 27, paragrafo 2, menziona il principio di proporzionalità, mentre l’articolo 29 non lo menziona, nonostante detto principio debba sempre essere rispettato (v. infra, paragrafo 91).


81      Sentenza del 18 dicembre 2014 (C‑202/13, EU:C:2014:2450, punti da 43 a 58).


82      V., in tal senso, sentenza del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale) (C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punti 135, 159 e 160).


83      V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Mayras nella causa Bonsignore (67/74, EU:C:1975:22, pag. 315).


84      V., in tal senso, sentenza del 18 dicembre 2014, McCarthy e a. (C‑202/13, EU:C:2014:2450, punto 56).


85      V., mutatis mutandis, sentenza del 4 aprile 2017, Fahimian (C‑544/15, EU:C:2017:255, punti 40 e 41).


86      V., per quanto concerne la COVID-19, infra, paragrafo 109.


87      V., in particolare, sentenza del 22 giugno 2021, Ordre des barreaux francophones et germanophone e a. (Misure preventive ai fini dell’allontanamento) (C‑718/19, EU:C:2021:505, punto 56 e giurisprudenza ivi citata).


88      V., per analogia, sentenza del 29 luglio 2019, Spiegel Online (C‑516/17, EU:C:2019:625, punti da 53 a 55 e giurisprudenza ivi citata). È vero che una valutazione individuale è normalmente richiesta per garantire, oltre al carattere necessario delle misure restrittive di cui trattasi, la rigorosa proporzionalità di queste ultime. Tuttavia, per quanto riguarda le misure generali adottate per motivi di «sanità pubblica», la proporzionalità può essere garantita concependole in modo corretto e assicurando che circostanze individuali specifiche possano essere prese in considerazione al momento dell’esecuzione, come spiegherò nel prosieguo, ai paragrafi da 128 a 132.


89      V., in tal senso, articolo 168, paragrafo 1, secondo comma, TFUE, il quale precisa che l’azione dell’Unione nel settore della sanità pubblica comprende, segnatamente, «la sorveglianza, l’allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero». È vero che, come spiegherò in riferimento al codice frontiere Schengen, nella parte B delle presenti conclusioni, talune situazioni connesse alla «sanità pubblica» sono così gravi da poter ritenere che rappresentino una minaccia per l’«ordine pubblico», il che potrebbe condurre alla situazione paradossale per cui, in tali casi, misure restrittive della libera circolazione potrebbero essere adottate soltanto su base individuale. Tuttavia, a mio avviso, tale questione può essere risolta mediante una semplice applicazione della dottrina della lex specialis. Poiché il legislatore ha previsto, nella direttiva sulla cittadinanza, un regime speciale per le misure adottate per motivi di «sanità pubblica», ne consegue che tale regime, nella misura in cui deroga al regime applicabile alle misure adottate per motivi di «ordine pubblico», dovrebbe prevalere su quest’ultimo.


90      Sentenza del 18 dicembre 2014, McCarthy e a. (C‑202/13, EU:C:2014:2450, punti 50 e 51).


91      Ad esempio, l’articolo 27, paragrafo 2, fa riferimento [nella versione inglese] a «measures» (misure), benché, ai sensi di tale disposizione, soltanto decisioni individuali, vale a dire provvedimenti, possano essere adottati per motivi di «ordine pubblico» o di «pubblica sicurezza».


92      V., in tal senso, considerando 22 della direttiva sulla cittadinanza.


93      L’RSI è vincolante per tutti i membri dell’OMS. Sono inclusi gli Stati membri dell’Unione europea.


94      OMS, «Statement on the second meeting of the International Health Regulations (2005) Emergency Committee regarding the outbreak of novel coronavirus (2019-nCoV)», 30 gennaio 2020.


95      Ai sensi dell’articolo 1 dell’RSI per tale s’intende «un evento sanitario straordinario che viene giudicato (...) come un rischio per la sanità pubblica in altri Stati attraverso la diffusione di malattie a livello internazionale (...)».


96      OMS, «WHO Director-General’s opening remarks at the media briefing on COVID-19», 11 marzo 2020.


97      V., per analogia, sentenza del 19 novembre 2020, Ministère public et Conseil national de l’ordre des pharmaciens [Commercializzazione del cannabidiolo (CBD)] (C‑663/18, EU:C:2020:938, punto 87 e giurisprudenza ivi citata). Analogamente, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, del Protocollo n. 4 alla CEDU, una misura che interferisca con il diritto di uscita sancito all’articolo 2, paragrafo 2, è considerata «necessari[a]», «in una società democratica», alla protezione della salute pubblica, qualora risponda a «un’esigenza sociale pressante» e, in particolare, qualora i motivi addotti dalle autorità nazionali per giustificarla siano «pertinenti e sufficienti».


98      V., in tal senso, articolo 29, paragrafo 3, della direttiva sulla cittadinanza.


99      V., per analogia, sentenza del 19 novembre 2020, Ministère public et Conseil national de l’ordre des pharmaciens [Commercializzazione del cannabidiolo (CBD)] (C‑663/18, EU:C:2020:938, punti 88 e 91 e giurisprudenza ivi citata).


100      Ibidem, punto 92.


101      Corte EDU, sentenza Terheş v. Romania, § 39. V. anche, OMS, «COVID‑19 strategic preparedness and response – COVID-19 Strategy Update», 14 aprile 2020, nel quale si segnala che, al 13 aprile 2020, più di 1,7 milioni di persone erano state contagiate in tutto il mondo e quasi 85 000 persone avevano perso la vita. La capacità di rapida propagazione del virus aveva sopraffatto anche i sistemi di assistenza sanitaria più resilienti. All’epoca, il 20% dei casi complessivi era grave o critico, con un tasso di mortalità superiore al 3%, che aumentava nei gruppi di persone di età più avanzata e nei gruppi di persone con patologie pregresse.


102      Con l’espressione «trasmissione comunitaria» s’intende il processo di diffusione di una malattia infettiva in un ampio gruppo di persone attraverso contatti casuali.


103      V. Consiglio europeo, conclusioni del presidente del Consiglio europeo a seguito della videoconferenza con i membri del Consiglio europeo sulla Covid-19, 17 marzo 2020, e OMS, «COVID-19 strategic preparedness and response – COVID-19 Strategy Update», 14 aprile 2020.


104      V., in tal senso, sentenza del 23 dicembre 2015, Scotch Whisky Association e a. (C‑333/14, EU:C:2015:845, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).


105      Commissione europea, 8 maggio 2020, comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio, Seconda valutazione dell’applicazione della restrizione temporanea dei viaggi non essenziali verso l’UE (COM(2020) 222 final).


106      Commissione europea, 15 maggio 2020, comunicazione della Commissione, Verso un approccio graduale e coordinato per il ripristino della libera circolazione e la revoca dei controlli alle frontiere interne – COVID-19, 15 maggio 2020 (GU 2020, C 169, pag. 30).


107      Commissione europea, 11 giugno 2020, comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio, Terza valutazione dell’applicazione della restrizione temporanea dei viaggi non essenziali verso l’UE (COM(2020) 399 final).


108      Il Belgio ha richiamato i dati del suo istituto nazionale di sanità. V. anche ECDC, Coronavirus disease 2019 (COVID-19) in the EU/EEA and the UK – tenth update [Malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) nell’UE/SEE e nel Regno Unito – Decimo aggiornamento], 11 giugno 2020, Stoccolma, pag. 3, e Coronavirus disease 2019 (COVID-19) in the EU/EEA and the UK – eleventh update: resurgence of cases [Malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) nell’UE/SEE e nel Regno Unito – Undicesimo aggiornamento: comparsa di nuovi casi], 10 agosto 2020, Stoccolma, pag. 3.


109      Che era già stata oggetto di studi pubblicati nella primavera del 2020. V. Liu, Y., Gayle, A., Wilder-Smith, A., e Rocklöv, J., «The reproductive number of COVID-19 is higher compared to SARS coronavirus», J. Travel Med, 2020. Tale elevato tasso di contagio è divenuto ancor più evidente all’inizio del mese di luglio 2020, da quando l’OMS ha riconosciuto che il virus si propagava per via aerea [v. OMS, Coronavirus disease (COVID-19), Situation Report ‑172, 10 luglio 2020].


110      V. anche OMS, Coronavirus disease (COVID-19), Situation Report ‑172, 10 luglio 2020, nel quale il direttore regionale dell’OMS per l’Europa ha esortato i paesi a «tenere duro e rimanere concentrati».


111      Osservo che tale valutazione dei rischi, basata su dati epidemiologici e capacità locali, segue generalmente quella sviluppata dall’OMS e dalle istituzioni dell’Unione nelle loro rispettive raccomandazioni. V., in particolare, OMS, «COVID‑19 strategic preparedness and response – COVID-19 Strategy Update», 14 aprile 2020, e Commissione europea, 15 maggio 2020, comunicazione della Commissione, Verso un approccio graduale e coordinato per il ripristino della libera circolazione e la revoca dei controlli alle frontiere interne – COVID-19.


112      V., a tal riguardo, articolo 168, paragrafo 1, TFUE e articolo 35, seconda frase, della Carta.


113      V., tuttavia, infra, paragrafo 113.


114      V. articolo 168, paragrafo 7, TFUE.


115      V., in particolare, sentenza del 19 gennaio 2023, CIHEF e a. (C‑147/21, EU:C:2023:31, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).


116      Per inciso, desidero aggiungere che, sebbene l’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza contenga la riserva per cui i motivi di «sanità pubblica» non possono essere invocati «per fini economici», è evidente che ciò non è avvenuto nel caso di specie, come sostenuto dal governo belga. È pur vero che le restrizioni controverse sono state introdotte per garantire, tra l’altro, che il sistema sanitario belga disponesse della capacità materiale, delle risorse umane e anche delle risorse finanziarie per far fronte alla pandemia. Tuttavia, ogni misura pubblica implica considerazioni finanziarie. Solo quelle che perseguono un «obiettivo esclusivamente economico» sono problematiche (sentenza del 4 ottobre 2012, Byankov (C‑249/11, EU:C:2012:608, punto 39)]. L’obiettivo di mantenere in funzionamento un sistema sanitario non rientra in tale categoria [v., per analogia, sentenza del 28 gennaio 2016, CASTA e a. (C‑50/14, EU:C:2016:56, punto 61 e giurisprudenza ivi citata)].


117      V., segnatamente, sentenza dell’11 giugno 2015, Berlington Hungary e a. (C‑98/14, EU:C:2015:386, punti 74, 76 e 77 nonché giurisprudenza ivi citata).


118      V. segnatamente, raccomandazione (UE) 2020/912 del Consiglio, del 30 giugno 2020, relativa alla restrizione temporanea dei viaggi non essenziali verso l’UE e all’eventuale revoca di tale restrizione (GU 2020, L 208 I, pag. 1).


119      V. articolo 27, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza («qualunque sia la sua cittadinanza»).


120      V. supra, paragrafo 60.


121      Infatti, sebbene tale requisito sia menzionato soltanto nell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva sulla cittadinanza, per quanto concerne le misure adottate per motivi di «ordine pubblico» o di «pubblica sicurezza», il principio di proporzionalità costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, che deve essere sempre rispettato dagli Stati membri quando limitano la libera circolazione [v., in particolare, sentenza del 13 settembre 2016, Rendón Marín (C‑165/14, EU:C:2016:675, punto 45 e giurisprudenza ivi citata)].


122      V., in particolare, sentenza del 19 gennaio 2023, CIHEF e a. (C‑147/21, EU:C:2023:31, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).


123      V., in tal senso, sentenza del 18 settembre 2019, VIPA (C‑222/18, EU:C:2019:751, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).


124      V., in tal senso, sentenze del 23 dicembre 2015, Scotch Whisky Association e a. (C‑333/14, EU:C:2015:845, punto 36), e del 1º marzo 2018, CMVRO (C‑297/16, EU:C:2018:141, punti 70 e 71).


125      Una cronologia dell’azione dell’Unione in relazione alla COVID-19 è disponibile al sito Internet https://commission.europa.eu/strategy-and-policy/coronavirus-response/timeline-eu-action_it.


126      Ai sensi dell’articolo 168, paragrafi 1 e 2, TFUE, l’azione dell’Unione «completa le politiche nazionali», «incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri (...) e, ove necessario, appoggia la loro azione», con particolare riguardo alla «sorveglianza (...) e [al]la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero». A tal fine, la Commissione «può prendere, in stretto contatto con gli Stati membri, ogni iniziativa utile a promuovere [il] coordinamento [tra gli Stati membri], in particolare mediante la «definizione di orientamenti». Infine, ai sensi dell’articolo 168, paragrafo 5, il Parlamento europeo e il Consiglio possono anche adottare, segnatamente, «misure concernenti la sorveglianza, l’allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero».


127      Sottolineo tuttavia che un coordinamento completo delle misure in materia di viaggi all’interno dell’Unione è stato realizzato soltanto dopo i fatti di cui trattasi. V. raccomandazione (UE) 2020/1475 del Consiglio, del 13 ottobre 2020, per un approccio coordinato alla limitazione della libertà di circolazione in risposta alla pandemia di COVID-19 (GU 2020, L 337, pag. 3).


128      V., in particolare, sentenza del 7 settembre 2022, Cilevičs e a. (C‑391/20, EU:C:2022:638, punti 74 e 75, nonché giurisprudenza ivi citata).


129      V., in particolare, von Tigerstrom, B., e Wilson, K., «COVID-19 travel restrictions and the International Health Regulations (2005)», BMJ Global Health, vol. 5, n. e002629, 2020; Grépin, K.A., Ho, T., Liu, Z., e a., «Evidence of the effectiveness of travel-related measures during the early phase of the COVID-19 pandemic: a rapid systematic review», BMJ Global Health, vol.. 6, n. e004537, 2021.


130      V. OMS, «WHO advice for international travel and trade in relation to the outbreak of pneumonia caused by a new coronavirus in China», 10 gennaio 2020; «Statement on the second meeting of the International Health Regulations (2005) Emergency Committee regarding the outbreak of novel coronavirus (2019-nCoV)», 30 gennaio 2020.


131      La questione se ciò sia conforme all’RSI esula dall’ambito delle presenti conclusioni. V., a tal riguardo, von Tigerstrom B, e Wilson K., op. cit.


132      V. Commissione europea, 16 marzo 2020, comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio – COVID-19: restrizione temporanea dei viaggi non essenziali verso l’UE (COM(2020) 115 final); Commissione europea, 16 marzo 2020, Covid-19, Orientamenti relativi alle misure per la gestione delle frontiere destinate a tutelare la salute e garantire la disponibilità di beni e servizi essenziali (GU 2020, C 86 I, pag. 1); e Consiglio europeo, conclusioni del presidente del Consiglio europeo a seguito della videoconferenza con i membri del Consiglio europeo sulla Covid-19, 17 marzo 2020. Tale raccomandazione temporanea, inizialmente adottata per un periodo di 30 giorni, è stata successivamente prorogata fino al 30 giugno 2020. V. Commissione europea, 8 aprile 2020, comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio, Valutazione dell’applicazione della restrizione temporanea dei viaggi non essenziali verso l’UE (COM(2020) 148 final); 8 maggio 2020, comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio, Seconda valutazione dell’applicazione della restrizione temporanea dei viaggi non essenziali verso l’UE (COM(2020) 222 final).


133      V., inter alia, Lau, H., e a., «The association between international and domestic air traffic and the coronavirus (COVID-19) outbreak», Journal of microbiology, immunology and infection, vol. 53, n. 3, 2020, pagg. da 467 a 472; Chinazzi, M., e a., «The effect of travel restrictions on the spread of the 2019 novel coronavirus (COVID-19) outbreak», Science, vol. 368, n. 6489, 2020, pagg. da 395 a 400; Wells, R., e a., «Impact of international travel and border control measures on the global spread of the novel 2019 coronavirus outbreak», PNAS, vol. 117, n. 13, pagg. da 7504 a 7509; e Linka, K., e a., «Outbreak dynamics of COVID-19 in Europe and the effect of travel restrictions», Computer methods in biomechanics and biomedical engineering, vol. 23, n. 11, 2020, pagg. da 710 a 717. Osservo che tali studi sull’efficacia delle restrizioni ai viaggi si basano su modelli, piuttosto che su prove solide, che all’epoca erano limitati, come riconosciuto dagli autori. Essi includono ipotesi simulate, controfattuali, basate su supposizioni relative alla trasmissibilità del virus, al volume dei viaggiatori malati, e così via, di ciò che sarebbe accaduto se tali misure non fossero state in vigore.


134      V., in particolare, OMS, «Updated WHO recommendations for international traffic in relation to COVID-19 outbreak», 29 febbraio 2020, e «Statement on the third meeting of the International Health Regulations (2005) Emergency Committee regarding the outbreak of coronavirus disease (COVID-19)», 1º maggio 2020.


135      V. orientamenti dell’ECDC, pagg. 18 e 19.


136      Ricordo che, in forza della metodologia applicabile, i paesi considerati ad «alto rischio», in relazione ai quali trovavano applicazione le restrizioni ai viaggi controverse, erano quelli in cui l’incidenza nazionale di nuovi casi di COVID-19 era 10 volte superiore a quella del Belgio (100 casi segnalati ogni 100 000 abitanti nei 14 giorni precedenti) (v. supra, paragrafo 15).


137      Rilevo che, per essere considerata adeguata, una determinata misura non deve essere necessariamente idonea, da sola, a eliminare il rischio per la «sanità pubblica» in questione. È sufficiente che possa apportare un contributo apprezzabile a tale riguardo (v., in tal senso, sentenza del 19 gennaio 2023, CIHEF e a. (C‑147/21, EU:C:2023:31, punto 56).


138      V., in particolare, OMS, «COVID‑19 strategic preparedness and response – COVID-19 Strategy Update», 14 aprile 2020, e «Public health considerations while resuming international travel», 30 luglio 2020. La Commissione ha suggerito siffatta linea di azione in diverse comunicazioni (v., in particolare, Commissione europea, 15 maggio 2020, comunicazione della Commissione, Verso un approccio graduale e coordinato per il ripristino della libera circolazione e la revoca dei controlli alle frontiere interne – COVID-19) sebbene, all’epoca dei fatti, come indicato in precedenza, essa caldeggiasse la revoca delle restrizioni ai viaggi all’interno dell’Unione europea. Anche le restrizioni coordinate e temporanee ai viaggi non essenziali verso l’Unione europea hanno seguito una logica analoga a partire dal 1º luglio 2020, poiché le restrizioni si applicavano soltanto in relazione a paesi caratterizzati da una situazione a livello di COVID-19 meno favorevole, in comparazione, rispetto a quella nell’Unione europea. V. raccomandazione (UE) 2020/912 del Consiglio, del 30 giugno 2020, relativa alla restrizione temporanea dei viaggi non essenziali verso l’UE e all’eventuale revoca di tale restrizione (GU 2020, L 208I, pag. 1). Anche la metodologia e i criteri utilizzati per valutare la situazione in un determinato paese (il numero di nuovi contagi ogni 100 000 abitanti nei 14 giorni precedenti, l’evoluzione del tasso dei nuovi contagi nel corso dello stesso periodo e la risposta complessiva alla COVID-19) erano analoghi ai criteri utilizzati dal Belgio all’epoca dei fatti (v. supra, paragrafo 15).


139      V., in particolare, in merito all’idoneità di siffatte misure, Commissione europea, 16 marzo 2020, Covid-19, Orientamenti relativi alle misure per la gestione delle frontiere destinate a tutelare la salute e garantire la disponibilità di beni e servizi essenziali (GU 2020, C 86I, pag. 1), punto 21; OMS, «Key considerations for repatriation and quarantine of travellers in relation to the outbreak of novel coronavirus 2019-nCoV», 11 febbraio 2020. V. anche, in generale, articolo 31, paragrafo 2, lettera c), dell’RSI.


140      V., per analogia, sentenza del 23 dicembre 2015, Scotch Whisky Association e a. (C‑333/14, EU:C:2015:845, punto 38).


141      V., per analogia, sentenza del 18 maggio 1982, Adoui e Cornuaille (115/81 e 116/81, EU:C:1982:183, punto 8). Ciò non ha inciso sul margine di discrezionalità degli Stati membri per quanto riguarda il perseguimento di una politica più liberale o più restrittiva in risposta alla pandemia. Essi sono rimasti liberi di scegliere l’una o l’altra, ma, per essere coerenti, erano tenuti a trattare in modo analogo situazioni interne ed esterne comparabili. V. van Eijken, H.H., e Rijpma, J.J., op. cit., pag. 43, e Thym, D., e Bornemann, J., op. cit., pagg. 1168 e 1169.


142      V. supra, paragrafo 16.


143      V., per analogia, sentenza del 7 settembre 2022, Cilevičs e a. (C‑391/20, EU:C:2022:638, punto 76).


144      V. infra, paragrafi da 128 a 132. V., per analogia, sentenza del 19 maggio 2009, Apothekerkammer des Saarlandes e a. (C‑171/07 e C‑172/07, EU:C:2009:316, punto 45).


145      V., particolare, sentenza del 4 maggio 2016, Philip Morris Brands e a. (C‑547/14, EU:C:2016:325, punto 160).


146      V., in particolare, sentenza del 26 aprile 2012, ANETT (C‑456/10, EU:C:2012:241, punto 45).


147      V., in particolare, sentenza del 10 marzo 2021, Ordine Nazionale dei Biologi e a. (C‑96/20, EU:C:2021:191, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).


148      V., in particolare, sentenza del 23 dicembre 2015, Scotch Whisky Association e a. (C‑333/14, EU:C:2015:845, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).


149      Infatti, in studi pubblicati approssimativamente all’epoca dei fatti si stimava che, nel corso della prima fase della pandemia, più della metà dei viaggiatori che avevano importato casi dalla Cina in altri paesi erano arrivati durante il periodo presintomatico, di incubazione, mentre erano già contagiosi, e avevano iniziato a mostrare sintomi soltanto qualche giorno dopo il loro arrivo. V., in particolare, Wells, C.R., e a., op. cit., pag. 7505, nonché i riferimenti ivi contenuti. V., in generale, sull’assenza di efficacia del controllo all’ingresso, orientamenti dell’ECDC, pag. 20.


150      Come sostenuto dal governo norvegese, i dati scientifici disponibili all’epoca dei fatti tendevano a indicare che, per quanto riguarda la COVID-19, vi fosse una «finestra» a seguito del contagio durante la quale i marcatori biologici utilizzati nei tamponi restavano negativi.


151      V. supra, paragrafo 102. V. anche gli orientamenti dell’ECDC, pag. 20.


152      È vero che imporre una rigida quarantena a tutti i viaggiatori in una struttura ad hoc in prossimità del loro punto di ingresso avrebbe permesso di garantire un adeguato isolamento dal resto della popolazione. Tuttavia, si sarebbe trattato di una misura non soltanto eccessivamente difficile da attuare, ma anche, indubbiamente, più che discutibile dal punto di vista dei diritti fondamentali.


153      V., in tal senso, supra, paragrafi 14 e 15.


154      Ad esempio, tale metodo di calcolo si è rivelato particolarmente ingiusto per Stati membri quali il Lussemburgo, che conducevano campagne di tamponi molto più intensive rispetto ad altri e che, a causa del numero di casi individuati mediante siffatte pratiche, sono stati considerati paesi ad «alto rischio», nonostante la situazione epidemiologica sul loro territorio fosse, in realtà, probabilmente simile a quella di altri paesi classificati come «arancioni» ma che, semplicemente, effettuavano controlli meno rigorosi.


155      V., in particolare, sentenza del 20 novembre 2019, Infohos (C‑400/18, EU:C:2019:992, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).


156      V., per analogia, sentenza del 6 ottobre 2020, La Quadrature du Net e a. (C‑511/18, C‑512/18 e C‑520/18, EU:C:2020:791, punto 132 e giurisprudenza ivi citata).


157      Sulla necessità di riesaminare periodicamente la persistenza della minaccia per la sanità pubblica che aveva inizialmente giustificato misure precauzionali, v., in particolare, sentenza dell’11 luglio 2013, Francia/Commissione (C‑601/11 P, EU:C:2013:465, punto 110 e giurisprudenza ivi citata). V., per quanto riguarda siffatto requisito in riferimento alle restrizioni ai viaggi, sentenza del 4 ottobre 2012, Byankov (C‑249/11, EU:C:2012:608, punti 44 e 47), e Corte EDU, 8 dicembre 2020, Rotaru c. Repubblica di Moldavia (CE:ECHR:2020:1208JUD002676412, § 25 e giurisprudenza ivi citata).


158      V. supra, paragrafo 16.


159      La causa nel procedimento principale sembrerebbe fornire un buon esempio a tal riguardo. Il 12 luglio 2020 la Svezia è stata classificata come «rossa» nella classificazione per colori di cui trattasi, conformemente alla metodologia consolidata (v. supra, paragrafo 15), sulla base del fatto che, secondo i dati dell’ECDC del 10 luglio, il tasso di incidenza nei 14 giorni precedenti era pari a 102,1 casi ogni 100 000 abitanti, pur potendosi osservare una tendenza al ribasso. Di conseguenza, a partire da tale data, sono state applicate restrizioni ai viaggi. Tuttavia, il 13 luglio, l’ECDC ha pubblicato nuovi dati indicanti un tasso di 94.5/100 000 casi. Un calo significativo dei contagi è stato confermato dall’ambasciata svedese il giorno successivo. La classificazione di questo paese è stata quindi modificata in «arancione» il 15 luglio e le restrizioni ai viaggi sono state revocate in riferimento a tale paese. È vero che ci si potrebbe interrogare sulla necessità di classificare la Svezia come paese ad «alto rischio», nonostante il fatto che le cifre fossero di poco superiori alla soglia pertinente e che fosse già percepibile una tendenza al ribasso, quando poi le restrizioni furono revocate due giorni più tardi. Un’applicazione così zelante delle norme, discutibile dal punto di vista della certezza del diritto, poteva forse non essere necessaria. Tuttavia, ciò non rimette in discussione, a mio avviso, la legittimità del sistema in sé.


160      Considerando 25 della direttiva sulla cittadinanza (il corsivo è mio).


161      V. anche, in tal senso, articolo 34 della direttiva sulla cittadinanza.


162      V., in tal senso, sentenza del 4 giugno 2013, ZZ (C‑300/11, EU:C:2013:363, punto 52).


163      V. sentenza del 13 marzo 2007, Unibet (C‑432/05, EU:C:2007:163, punti da 47 a 64).


164      V., per analogia, sentenza del 27 ottobre 1977, Bouchereau (30/77, EU:C:1977:172, punto 15).


165      V., per analogia, sentenza del 13 marzo 2007, Unibet (C‑432/05, EU:C:2007:163, punti da 56 a 64).


166      V. supra, paragrafo 88.


167      V. infra, paragrafo 132.


168      V., in particolare, sentenza del 17 dicembre 2020, Centraal Israëlitisch Consistorie van België e a. (C‑336/19, EU:C:2020:1031, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).


169      V., in particolare, con esclusivo riguardo all’idoneità e alla necessita, sentenze del 14 luglio 1983, Sandoz (174/82, EU:C:1983:213, punto 18); del 10 luglio 2008, Jipa (C‑33/07, EU:C:2008:396, punto 29); e del 16 marzo 2023, OL (Proroga delle concessioni italiane) (C‑517/20, non pubblicata, EU:C:2023:219, punto 53), nelle quali si menzionano soltanto l’idoneità e la necessità.


170      V., in particolare, sentenze del 22 gennaio 2013, Sky Österreich (C‑283/11, EU:C:2013:28, punto 50); del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 54); e del 17 dicembre 2020, Centraal israëlitisch Consistorie van België e a. (C‑336/19, EU:C:2020:1031, punto 64).


171      Sottolineo che la Carta è applicabile in una situazione come quella di cui al procedimento principale. Infatti, allorché gli Stati membri limitino il diritto di libera circolazione di cui godono i cittadini dell’Unione e adducano motivi previsti dal diritto dell’Unione, come quelli di cui all’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, per giustificare una restrizione di questo genere, essi agiscono in «attuazione del diritto dell’Unione», ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta. V., in particolare, sentenza del 21 maggio 2019, Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli) (C‑235/17, EU:C:2019:432, punti 63 e 64 e giurisprudenza ivi citata).


172      Analogamente, sebbene la libertà di circolazione sia garantita in quanto tale ai sensi dell’articolo 2 del Protocollo n. 4 alla CEDU, la Corte EDU la considera altresì un aspetto importante del diritto di una persona al rispetto della sua vita privata, quale garantito dall’articolo 8 di detta convenzione. V., in particolare, Corte EDU, 6 dicembre 2005, İletmiş c. Türkiye (CE:ECHR:2005:1206JUD002987196, § 47). V. Turchia su Hudoc


173      Analogamente, di fronte a una misura restrittiva del diritto di uscita garantito dall’articolo 2, paragrafo 2, del Protocollo n. 4 alla CEDU, la Corte EDU ha esaminato se tale misura stabilisse un giusto equilibrio tra l’interesse pubblico e i diritti dell’individuo. V., in particolare, Corte EDU, 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia (CE:ECHR:2017:0223JUD004339509, § 104).


174      Conclusioni nelle cause riunite C‑203/15 e C‑698/15, EU:C:2016:572, paragrafo 248.


175      V. risoluzione del Parlamento europeo del 17 aprile 2020 sull’azione coordinata dell’UE per lottare contro la pandemia di COVID-19 e le sue conseguenze [2020/2616(RSP)], punti 46 e segg., e Consiglio dell’Unione europea, dichiarazione dell’alto rappresentante dell’Unione Josep Borrell, a nome dell’Unione europea, sui diritti umani ai tempi della pandemia di coronavirus, 5 maggio 2020.


176      È possibile che il necessario grado di tutela dei diritti fondamentali sia mutato nel contesto del regime eccezionale dello «stato di emergenza», conformemente all’articolo 347 TFUE. Tuttavia, non affronterò tale questione nelle presenti conclusioni, per le ragioni esposte ai precedenti paragrafi da 51 a 54.


177      V., segnatamente, articolo 12, paragrafo 2, lettera c), del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, del 1966 e articolo 11, paragrafo 3, della Carta sociale europea (riveduta), firmata a Strasburgo il 3 maggio 1996. Inoltre, secondo una giurisprudenza costante della Corte EDU, sebbene il «diritto alla salute» non sia garantito in quanto tale dalla CEDU, obblighi positivi in materia di salute derivano, ciò nonostante, dagli articoli 2 e 8 della CEDU (rispettivamente, diritto alla vita e diritto al rispetto della vita privata e familiare). In particolare, l’articolo 2 di tale convenzione impone agli Stati parte un obbligo positivo di adottare le misure adeguate a salvaguardare la vita nelle persone soggette alla loro giurisdizione e tutelare la loro integrità fisica, anche nel settore della sanità pubblica [v., segnatamente, Corte EDU, 5 novembre 2020, Le Mailloux c. Francia (CE:ECHR:2020:1105DEC001810820, § 9 e giurisprudenza ivi citata)]. Nel diritto dell’Unione, siffatti obblighi positivi derivano anche, a mio avviso, dall’articolo 2, paragrafo 1, della Carta, dato che il «diritto alla vita» ivi garantito corrisponde a quello enunciato all’articolo 2 della CEDU, nonché dall’articolo 35, prima frase, della Carta.


178      Per inciso, ricordo che, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta devono altresì rispettare il «contenuto essenziale» di detti diritti e libertà, e che, qualora ciò non avvenga, siffatto bilanciamento degli interessi non è possibile. Tuttavia, non ritengo che le restrizioni ai viaggi controverse abbiano violato il «contenuto essenziale» del diritto di libera circolazione, quale garantito dall’articolo 45, paragrafo 1, della Carta, né degli altri diritti fondamentali in gioco. Se, in particolare, un divieto di viaggi costituisce la forma più severa di restrizione del diritto di libera circolazione, il fatto che tale divieto non fosse assoluto è determinante a tal riguardo. Infatti, esso si applicava soltanto ai viaggi verso e da determinati paesi ad «alto rischio»; i viaggi «essenziali» erano esclusi dal suo ambito di applicazione; inoltre, detto divieto è stato imposto soltanto in via temporanea [v., a contrario, sentenza del 4 ottobre 2012, Byankov (C‑249/11, EU:C:2012:608, punti 44 e 79)].


179      V. orientamenti dell’ECDC, pagg. 18 e 19.


180      V., in particolare, World Economic Forum, «This is the impact of COVID-19 on the travel sector» (https://www.weforum.org/agenda/2022/01/global-travel-tourism-pandemic-covid-19/), e conclusioni dell’avvocato generale Medina nella causa UFC – Que choisir e CLCV (C‑407/21, EU:C:2022:690, paragrafi 1 e 2).


181      V. Consiglio europeo, conclusioni del presidente del Consiglio europeo a seguito della videoconferenza con i membri del Consiglio europeo sulla Covid-19, 17 marzo 2020.


182      V., per le varie misure proposte dalla Commissione, all’epoca, «Turismo e trasporti: orientamenti della Commissione su come far riprendere in sicurezza i viaggi e rilanciare il settore turistico europeo nel 2020 e oltre», comunicato stampa, 13 maggio 2020.


183      V. Iliopoulou-Penot, A., «La Citoyenneté de l’Union aux temps du coronavirus», in Dubout, E., e Picod, F. (a cura di), Coronavirus et droit de l’Union européenne, Bruylant, 2021, pagg. da 178 a 180.


184      V., per analogia, sentenza del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punti da 93 a 99), e Corte EDU, 8 dicembre 2020, Rotaru c. Repubblica di Moldavia (CE:ECHR:2020:1208JUD002676412, § 31 e giurisprudenza ivi citata).


185      V., segnatamente, Thym, D., e Bornemann, J., op. cit., pagg. 1164 e 1165.


186      V., per analogia, con riguardo alla categoria dei viaggi legati a «motivi familiari imperativi», Commissione europea, 28 ottobre 2020, comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio – COVID-19 – Orientamenti relativi alle persone esentate dalla restrizione temporanea dei viaggi non essenziali verso l’UE con riferimento all’attuazione della raccomandazione (UE) 2020/912 del Consiglio del 30 giugno 2020 (COM(2020) 686 final), pag. 9.


187      V., per una valutazione analoga alla luce della CEDU, McBride, J., «An Analysis of Covid-19 Responses and ECHR Requirements», ECHR Blog, 27 marzo 2020 (disponibile all’indirizzo https://www.echrblog.com/2020/03/an-analysis-of-covid-19-responses-and.html).


188      V., in particolare, Commissione europea, Covid-19, Orientamenti relativi alle misure di gestione delle frontiere volte a proteggere la salute e a garantire la disponibilità dei beni e dei servizi essenziali, 16 marzo 2020, punto 21.


189      V. supra, paragrafo 4.


190      Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen, ai fini di tale codice, la nozione di «frontiere interne» designa «a) le frontiere terrestri comuni, comprese le frontiere fluviali e lacustri, degli Stati membri; b) gli aeroporti degli Stati membri adibiti ai voli interni; c) i porti marittimi, fluviali e lacustri degli Stati membri per i collegamenti regolari interni effettuati da traghetti».


191      Così come l’Islanda e la Norvegia, ove rilevante ai fini del procedimento principale (v. supra, note 23 e 35).


192      Sembra che l’esecuzione degli obblighi di quarantena e tampone non sia in discussione.


193      Ricordo che, ai fini del codice frontiere Schengen, gli aeroporti degli Stati membri sono considerati valichi di frontiera. V., in tal senso, le definizioni di «frontiere interne» e di «frontiere esterne» di cui all’articolo 2, rispettivamente punti 1 e 2, di tale codice.


194      Da un lato, anche per quanto concerne i treni internazionali, le stazioni ferroviarie non sono considerate valichi di frontiera ai fini del codice frontiere Schengen (v., in tal senso, le definizioni di «frontiere interne» e «frontiere esterne», di cui all’articolo 2, rispettivamente punti 1 e 2, di tale codice). Dall’altro lato, secondo le regole di tale codice, devono essere effettuate «verifiche di frontiera», sui passeggeri dei treni che attraversano frontiere esterne, quando scendevano (o salivano) nella prima stazione ferroviaria di arrivo (o nell’ultima stazione di partenza) nel territorio di uno Stato Schengen. V. allegato VI «Norme specifiche relative ai vari tipi di frontiera e ai diversi mezzi di trasporto utilizzati per l’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri», punto 1 («Frontiere terrestri»), punto 1.2 («Verifiche sul traffico ferroviario»).


195      Risulta che le uniche verifiche effettuate in modo sistematico riguardassero i passeggeri che salivano o scendevano dai treni Eurostar in arrivo o in partenza per Londra (Regno Unito), alla stazione ferroviaria di Midi a Bruxelles (Belgio). Tuttavia, tali verifiche non sono rilevanti ai fini della presente causa. Infatti, come sottolineato dal governo belga in udienza, esse non concernono l’attraversamento di una «frontiera interna», bensì delle «frontiere esterne» degli Stati Schengen. Poiché tali treni non si fermano, ovviamente, nel mezzo del tunnel sotto la Manica, alla frontiera virtuale tra la Francia e il Regno Unito, i passeggeri sono invece controllati prima di salire o scendere alla stazione ferroviaria di Midi (v. supra, nota 194). Il fatto che tali treni si fermino, talora, nel territorio di Stati Schengen tra Bruxelles e Londra è irrilevante a tal riguardo. Infatti, in questa situazione trova applicazione un regime specifico, in forza del quale i passeggeri che salgono su detti treni, ad esempio a Lille (Francia) con destinazione Bruxelles, sono sottoposti a «verifiche di frontiera» alla stazione di destinazione (v. allegato VI, punto 1.2.3, del codice frontiere Schengen). Sottolineo che, per quanto riguarda tali passeggeri, le verifiche di cui trattasi non sono considerate connesse all’attraversamento di «frontiere interne». Di converso, tali persone sono considerate, per effetto di una finzione giuridica, come persone che hanno attraversato le «frontiere esterne» degli Stati Schengen.


196      V., in tal senso articolo 23, lettera a), punti iii) e iv), del codice frontiere Schengen.


197      V., in tal senso, sentenza del 21 giugno 2017, A (C‑9/16, EU:C:2017:483, punti da 38 a 40 e giurisprudenza ivi citata).


198      Come indica chiaramente l’uso dell’espressione «in particolare» all’articolo 23, lettera a).


199      Queste osservazioni potrebbero rivelarsi, quantomeno, istruttive per altre cause, dato che, come indicato nell’introduzione delle presenti conclusioni, in vari momenti nel corso della pandemia, gli Stati membri hanno ripristinato su larga scala il controllo di frontiera alle frontiere interne. V. Member States’ notifications of the temporary reintroduction of border control at internal borders pursuant to Article 25 and 28 et seq. of the Schengen Borders Code (Notificazioni degli Stati membri del ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne ai sensi degli articoli 25 e 28 e segg. del codice frontiere Schengen) (disponibile in lingua inglese all’indirizzo https://home-affairs.ec.europa.eu/policies/schengen-borders-and-visa/schengen-area/temporary-reintroduction-border-control_en).


200      V. infra, paragrafi da 156 a 162.


201      Tanto che la sua posizione è, o almeno era, apparentemente, condivisa dal Parlamento. V. risoluzione del Parlamento europeo, del 19 giugno 2020, sulla situazione nello spazio Schengen in seguito alla pandemia di Covid-19 [2020/2640(RSP)] (GU 2021, C 362, pag. 77), punto 7.


202      Non costituire una «minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna [o] la salute pubblica» (il corsivo è mio) rappresenta una delle condizioni d’ingresso applicabili ai cittadini di paesi terzi per un soggiorno di breve durata nel territorio degli Stati membri (v. articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del codice frontiere Schengen), condizione che, in linea di principio, è verificata dalle guardie di frontiera nell’ambito delle verifiche «approfondite» alle quali i cittadini di paesi terzi sono sottoposti al momento dell’ingresso nello spazio Schengen (v. articolo 8, paragrafo 3, lettera a), punto vi), di detto codice).


203      Accordo tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmato a Schengen il 14 giugno 1985 (GU 2000, L 239, pag. 13).


204      GU 2000, L 239, pag. 19.


205      V., rispettivamente l’articolo 2, paragrafo 2, e l’articolo 5, paragrafo 1, lettera e), della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen.


206      Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un «codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone», presentata dalla Commissione il 26 maggio 2004 (COM (2004) 391 def.).


207      V. articolo 5, paragrafo 1, lettera e), della proposta.


208      V. articolo 20, paragrafo 1, articolo 22, paragrafo 1, e articolo 24 della proposta (il corsivo è mio).


209      Risoluzione legislativa del Parlamento europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (COM(2004)0391 – C6‑0080/2004 – 2004/0127(COD)) (P6_TA(2005)0247). Il suddetto emendamento scaturisce da una proposta della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. V. commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, 14 aprile 2005, emendamenti da 138 a 198, progetto di relazione, Michael Cashman, Doc n. PE 355.529v01-00, pag. 20, emendamento 171 («(...) Vi è (...) differenza tra una “minaccia per la salute pubblica” quale motivo per negare l’ingresso di una persona e una “minaccia per la salute pubblica” quale motivo per ripristinare i controlli alle frontiere interne, che interesserebbero tutte le persone che desiderano attraversare la frontiera interna. Se, nel primo caso, è facile percepire il beneficio di aggiungere la “minaccia per la salute pubblica” quale motivo di diniego (...) altrettanto non può dirsi per il ripristino dei controlli alle frontiere interne: in caso di insorgenza di una malattia nel territorio di uno Stato membro, la risposta politica adeguata e proporzionale consisterebbe, ad esempio, nel porre le persone colpite in quarantena e, forse, nell’isolare un ospedale o alcuni edifici»).


210      V., per la stessa impostazione, Commissione, Covid-19, Orientamenti relativi alle misure di gestione delle frontiere volte a proteggere la salute e a garantire la disponibilità dei beni e dei servizi essenziali, 16 marzo 2020, punto 18.


211      V., in particolare, sentenze del 4 dicembre 1974, Van Duyn (41/74, EU:C:1974:133, punto 18), e del 4 ottobre 2012, Byankov (C‑249/11, EU:C:2012:608, punto 40).


212      V., in tal senso, supra, paragrafo 81. V. anche Leboeuf, L, «La fermeture des frontières de l’Union pour motifs de santé publique: la recherche d’une approche coordonnée» in Dubout, E., e Picod, F. (a cura di), op. cit., pagg. da 223 a 239; van Eijken, H.H., e Rijpma, J.J., op. cit., pag. 40, e Thym, D., e Bornemann, J., op. cit., pagg. 1148 e 1149.


213      È chiaro che l’emendamento è stato inizialmente proposto per il motivo indicato alla precedente nota 209. Non è chiaro, tuttavia, se i vari membri del Parlamento e del Consiglio abbiano accettato l’emendamento per detto motivo. Essi potrebbero anche aver ritenuto che un riferimento alla «salute pubblica» non fosse necessario, poiché una crisi sanitaria pubblica sufficientemente grave da giustificare il ripristino dei controlli di frontiera rientrerebbe nei motivi di «ordine pubblico».


214      La stessa interpretazione è presente, in sostanza, nella recente proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) 2016/399 che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone, del 14 dicembre 2021 (COM(2021) 891 final). Nella proposta, la Commissione suggerisce di precisare che una «minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna può considerarsi derivare in particolare da (...) emergenze di sanità pubblica su vasta scala» (v. considerando 28 e articolo 25, paragrafo 1, lettera b), della proposta di regolamento).


215      L’articolo 25, paragrafo 2, indica che il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne può costituire unicamente una misura di «extrema ratio», mentre l’articolo 26 stabilisce che le autorità pubbliche devono verificare «fino a che punto tale misura possa rispondere in modo adeguato alla minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna» e «la proporzionalità della misura rispetto a tale minaccia». Tali condizioni corrispondono, a mio avviso, ai criteri della proporzionalità classici dell’idoneità, della necessità e della proporzionalità in senso stretto.


216      V. supra, paragrafi da 139 a 144.


217      V., per un’analisi dettagliata a tal riguardo, Commissione europea, Direzione generale della Politica regionale e urbana, Peyrony, J., Rubio, J., e Viaggi, R., The effects of COVID-19 induced border closures on cross-border regions: an empirical report covering the period March to June 2020, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, 2021.


218      V. Commissione europea, 24 marzo 2020, comunicazione della Commissione sull’attuazione delle corsie verdi («green lanes») previste dagli orientamenti relativi alle misure per la gestione delle frontiere destinate a tutelare la salute e garantire la disponibilità di beni e servizi essenziali (GU 2020, C 96I, pag. 1), e 30 marzo 2020, comunicazione della Commissione, Orientamenti relativi all’esercizio della libera circolazione dei lavoratori durante la pandemia di Covid-19 (GU 2020, C 102I, pag. 1).


219      V., inter alia, Heinikoski, S., «Covid-19 bends the rules on internal border controls: Yet another crisis undermining the Schengen acquis?», FIIA Briefing Paper 281, aprile 2020.