CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
NICHOLAS EMILIOU
presentate il 7 settembre 2023(1)
Causa C‑128/22
BV NORDIC INFO
contro
Belgische Staat
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese, Belgio)]
«Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione delle persone – Misure nazionali adottate per controllare la diffusione della pandemia di COVID-19 – Divieto di viaggi “non essenziali” verso e da paesi considerati ad alto rischio di contagio per i viaggiatori – Obblighi di quarantena e tampone per i residenti al loro rientro da tali paesi – Direttiva 2004/38/CE – Articoli 4 e 5 – Diritti di uscita e d’ingresso – Restrizione – Articolo 27, paragrafo 1, e articolo 29, paragrafo 1 – Giustificazione – Sanità pubblica – Proporzionalità – Verifiche effettuate al fine di garantire il rispetto delle restrizioni ai viaggi – Codice frontiere Schengen – Articolo 22 e articolo 23, paragrafo 1 – Distinzione tra “verifica di frontiera” ai sensi della prima disposizione ed “esercizio delle competenze di polizia” ai sensi della seconda – Possibilità di ripristinare il controllo di frontiera alle frontiere interne – Articolo 25, paragrafo 1 – Giustificazione – Nozione di “minaccia grave per l’ordine pubblico” – Rischio di gravi agitazioni nella società causate dalla pandemia – Proporzionalità»
I. Introduzione
1. Tra gli «interventi non farmaceutici» (2) messi in atto dalle autorità pubbliche di tutto il mondo al fine di controllare la diffusione della pandemia di COVID-19, le limitazioni alla mobilità delle persone hanno rivestito un ruolo preminente. Se i confinamenti hanno costituito gli interventi più drastici di tali misure, anche le restrizioni alla circolazione internazionale sono state collocate in prima linea nella risposta. Infatti, in vari momenti nel corso della pandemia, gli Stati hanno imposto divieti d’ingresso e/o di uscita dal loro territorio e hanno rafforzato i controlli di frontiera per farli rispettare.
2. Gli Stati membri dell’Unione europea non hanno fatto eccezione a questa tendenza. Nel corso della «prima ondata» della pandemia, dal mese di marzo 2020 in avanti (3), non soltanto gli Stati membri essi hanno congiuntamente vietato l’ingresso nell’Unione europea, isolando parzialmente la «fortezza Europa» dal resto del mondo (4), ma anche le varie restrizioni alla mobilità transfrontaliera introdotte tra di essi si sono tradotte in un livello senza precedenti di chiusure delle frontiere all’interno dell’Unione europea (5).
3. Sebbene la maggior parte di tali misure sia stata revocata verso la fine del mese di giugno 2020, diversi Stati membri, temendo una (allora) potenziale «seconda ondata» di COVID-19, hanno mantenuto, quale misura precauzionale, restrizioni ai movimenti internazionali. La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, proposta dal Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese, Belgio) verte sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di alcune di tali misure, attuate dal governo belga all’inizio del mese di luglio 2020, consistenti nel divieto dei viaggi «non essenziali», in particolare verso e da determinati paesi considerati ad alto rischio di contagio per i viaggiatori; in obblighi di quarantena e tampone imposti ai residenti in Belgio al momento del loro rientro da tali paesi; e in verifiche effettuate alle frontiere belghe o nelle immediate vicinanze al fine di garantire il rispetto di tali restrizioni ai viaggi.
4. La presente causa non è la prima causa concernente la COVID-19 a giungere dinanzi alla Corte. Non è neppure la prima volta che la Corte è stata chiamata a occuparsi della legittimità delle misure adottate per controllare la diffusione di una malattia epidemica (6). Tuttavia, sino ad ora, la Corte non era mai stata invitata a pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di misure precauzionali che, per la loro stessa natura e gravità, hanno fatto vacillare uno dei principali fondamenti e, di fatto, una delle principali conquiste dell’Unione europea, ossia la creazione di «uno spazio (...) senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone» (7). La presente causa pone in primo piano anche l’imperitura questione dell’equilibrio che, in una società democratica, le autorità pubbliche devono realizzare tra, da un lato, l’obiettivo legittimo di lottare in modo efficace contro le minacce incombenti sulla società e, dall’altro, i diritti fondamentali delle persone colpite dalle misure adottate a tal fine. Sebbene la Corte abbia già dovuto affrontare tale questione, segnatamente in riferimento alla lotta contro i reati e il terrorismo (8), essa dovrà occuparsene, per la prima volta, nel contesto della minaccia posta da una pandemia.
II. Contesto normativo
A. Diritto dell’Unione
1. Direttiva sulla cittadinanza
5. L’articolo 4 della direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (9) (in prosieguo: la «direttiva sulla cittadinanza»), intitolato «Diritto di uscita», dispone, al paragrafo 1, che, «[s]enza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, ogni cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità e i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e muniti di passaporto in corso di validità hanno il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro».
6. L’articolo 5 di tale direttiva, intitolato «Diritto d’ingresso», enuncia, al suo primo comma, che, «[s]enza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, gli Stati membri ammettono nel loro territorio il cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità, nonché i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, muniti di valido passaporto».
7. Il capo VI della direttiva sulla cittadinanza è intitolato «Limitazioni del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica». All’interno di tale capo, l’articolo 27, intitolato «Principi generali», prevede, al suo paragrafo 1, che «[f]atte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione (...) di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici».
8. Nello stesso capo, l’articolo 29 di tale direttiva, intitolato «Sanità pubblica», enuncia, al suo paragrafo 1, che «[l]e sole malattie che possono giustificare misure restrittive della libertà di circolazione sono quelle con potenziale epidemico, quali definite dai pertinenti strumenti dell’Organizzazione mondiale della sanità [OMS] (...)».
2. Codice frontiere Schengen
9. L’articolo 22 del regolamento (UE) 2016/399, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (10) (in prosieguo: il «codice frontiere Schengen»), intitolato «Attraversamento delle frontiere interne», stabilisce che «[l]e frontiere interne possono essere attraversate in qualunque punto senza che sia effettuata una verifica di frontiera sulle persone, indipendentemente dalla loro nazionalità».
10. L’articolo 25 di tale codice, intitolato «Quadro generale per il ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne», ai suoi paragrafi 1 e 2 dispone quanto segue:
«1. In caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro nello spazio senza controllo alle frontiere interne, detto Stato membro può in via eccezionale ripristinare il controllo di frontiera in tutte le parti o in parti specifiche delle sue frontiere interne per un periodo limitato della durata massima di trenta giorni o per la durata prevedibile della minaccia grave se questa supera i trenta giorni. L’estensione e la durata del ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne non eccedono quanto strettamente necessario per rispondere alla minaccia grave.
2. Il controllo di frontiera alle frontiere interne è ripristinato solo come misura di extrema ratio e in conformità degli articoli 27, 28 e 29. Ogniqualvolta si contempli la decisione di ripristinare il controllo di frontiera alle frontiere interne ai sensi, rispettivamente, degli articoli 27, 28 o 29, sono presi in considerazione i criteri di cui agli articoli 26 e 30, rispettivamente».
B. Diritto belga
11. Nel contesto di «misure urgenti» per limitare la diffusione della COVID-19 sul territorio del Belgio, il governo belga ha introdotto restrizioni ai viaggi. Tuttavia, le norme applicabili a tal riguardo sono state modificate nel corso del tempo. Tali sviluppi, per quanto rileva ai fini della presente causa, possono essere sintetizzati come segue.
12. Inizialmente, tra il 23 marzo e il 15 giugno 2020, tutti i viaggi «non essenziali» dal Belgio e verso il Belgio erano, in linea di principio, vietati (11). In seguito, tra il 15 giugno e il 12 luglio 2020, ha trovato applicazione un’eccezione a tale divieto per quanto concerne i «paesi UE+». (12) I viaggi verso e da uno dei suddetti paesi erano permessi, purché consentiti dal paese in questione (13). Infine, il governo belga ha deciso che i viaggi «non essenziali tra il Belgio e i paesi in questione sarebbero stati disciplinati sulla base della situazione epidemiologica di ciascuno Stato.
13. A tal fine, è stato introdotto l’articolo 18 del decreto ministeriale del 30 giugno 2020, recante misure urgenti per limitare la diffusione del coronavirus COVID-19, come modificato dal Ministerieel besluit van 10 juli 2020 (decreto ministeriale del 10 luglio 2020) (Moniteur belge del 10 luglio 2020, pag. 51609) (in prosieguo, congiuntamente: il «decreto controverso»). Tale disposizione prevedeva quanto segue:
Ǥ1 I viaggi non essenziali verso il Belgio e dal Belgio sono vietati.
§2 In deroga al paragrafo 1 (...) è permesso:
1° viaggiare dal Belgio verso tutti i paesi dell’Unione europea, i paesi dello spazio Schengen e il Regno Unito, nonché viaggiare verso il Belgio dai suddetti paesi, ad eccezione dei territori designati come zone rosse, il cui elenco è pubblicato sul sito Internet del [Ministero degli Esteri belga];
(...)».
14. Pertanto, a partire dal 12 luglio 2020 e fino a una data non precisata nella decisione di rinvio, le autorità belghe hanno utilizzato una classificazione per colori, mediante la quale i paesi UE+ erano classificati come «rossi», «arancioni» o «verdi» a seconda della loro situazione epidemiologica. La suddetta classificazione comportava quanto segue:
– «verde» significava che i viaggi verso il paese in questione erano permessi, senza alcuna restrizione;
– «arancione» significava che i viaggi verso il paese in questione erano sconsigliati, e che al rientro erano richiesti quarantena e tampone, benché non a titolo obbligatorio;
– «rosso» significava che i viaggi verso il paese in questione erano vietati, e che al rientro i viaggiatori dovevano sottoporsi a quarantena e a un tampone obbligatorio (come previsto dalle norme della regione del Belgio interessata) (14).
15. Ai fini della classificazione per colori di cui sopra, la valutazione della situazione epidemiologica di ciascun paese o regione era effettuata sulla base di una metodologia descritta in un parere scritto emesso da un organo consultivo del governo belga (15). I criteri chiave utilizzati erano, in primo luogo, il numero complessivo di nuovi contagi («incidenza») nei 14 giorni precedenti ogni 100 000 abitanti a livello nazionale o regionale (ove disponibili dati subnazionali), in secondo luogo, l’evoluzione dei tassi di contagio e, in terzo luogo, le eventuali misure di contenimento imposte a livello nazionale o regionale. Di conseguenza, i paesi erano classificati come segue:
– «alto rischio» (vale a dire «rossi»), quando l’incidenza a livello nazionale di nuovi casi di COVID-19 nei 14 giorni precedenti era 10 volte superiore a quella del Belgio (100 casi segnalati ogni 100 000 abitanti). Lo stesso si applicava anche alle aree situate all’interno di un paese in cui erano stati imposti confinamenti o misure più restrittive di quelle applicabili nel resto del territorio;
– «rischio moderato» (vale a dire «arancioni») quando l’incidenza a livello nazionale di nuovi casi di COVID-19 nei 14 giorni precedenti era da 2 a 10 volte superiore a quella del Belgio (tra 20 e 100 casi segnalati ogni 100 000 abitanti);
– paesi a «basso rischio» (vale a dire «verdi»), cioè i paesi in cui l’incidenza a livello nazionale di nuovi casi di COVID-19 nei 14 giorni precedenti era simile a quella del Belgio (meno di 20 casi segnalati ogni 100 000 abitanti).
16. I dati sui contagi in ogni paese o regione (ove disponibili) erano forniti dall’ECDC, che riceveva tali dati, a sua volta, dai paesi interessati. Le informazioni sulle eventuali misure di contenimento in vigore in un determinato paese o regione erano ottenute e fornite dal Ministero degli Esteri belga. Il Celeval era incaricato di trasmettere informazioni relative alla classificazione per colori dei paesi almeno una volta a settimana.
17. L’articolo 22 del decreto controverso prevedeva altresì che violazioni delle disposizioni, in particolare, dell’articolo 18 di tale decreto avrebbero comportato l’imposizione delle sanzioni previste dall’articolo 187 della legge del 15 maggio 2007 sulla sicurezza civile (16). Questa disposizione prevede, in sostanza, che l’omesso rispetto di tali misure, intenzionale o per negligenza, sia punito, in tempo di pace, con una pena detentiva da otto giorni a tre mesi e con una pena pecuniaria da EUR 26 a EUR 500, oppure con una soltanto di tali sanzioni. Essa prevede altresì che il ministro dell’Interno o, se del caso, il sindaco o il comandante di polizia della zona in questione «può anche far eseguire d’ufficio dette misure», a spese dei trasgressori.
III. Fatti, procedimento nazionale e questioni pregiudiziali
18. La Nordic INFO BV (in prosieguo: la «Nordic Info») è un operatore turistico stabilito in Belgio che organizza e vende viaggi verso i paesi nordici, in particolare verso la Svezia.
19. Il 12 luglio 2020 la classificazione per colori dei paesi UE+, di cui all’articolo 18, paragrafo 2, punto 1°, del decreto controverso, è stata pubblicata, per la prima volta, sul sito Internet del Ministero degli Esteri belga. La Svezia è stata classificata con il colore «rosso» sulla base della sua situazione epidemiologica. Sebbene il Belgio non avesse applicato alcuna restrizione ai viaggi per quanto concerne detto paese fino al 15 giugno 2020 (17), per effetto di tale classificazione i viaggi «non essenziali» verso la Svezia e dalla Svezia sono stati vietati ai sensi di detta disposizione. Inoltre, gli obblighi di quarantena e tampone sono diventati obbligatori per i residenti in Belgio al loro rientro da tale paese, conformemente alle normative regionali applicabili.
20. In seguito, la Nordic Info ha annullato tutti i viaggi programmati in Svezia per la stagione estiva 2020, ha informato della situazione i viaggiatori presenti in tale paese in quel momento e ha fornito loro assistenza ai fini del rientro in Belgio.
21. Il 15 luglio 2020, la classificazione per colori dei paesi UE+ è stata aggiornata sul sito Internet del Ministero degli Esteri belga. Il codice colore della Svezia è passato da «rosso» ad «arancione». Pertanto, i viaggi «non essenziali» verso tale paese non erano più vietati, ma semplicemente sconsigliati, e cessavano di applicarsi ai residenti gli obblighi di quarantena e tampone al momento del loro rientro.
22. La Nordic Info ha in seguito proposto un’azione di responsabilità civile nei confronti del Belgische Staat (Stato belga) dinanzi al Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese), chiedendo il risarcimento di un importo provvisorio pari a EUR 481 431,00, maggiorato degli interessi, nonché la nomina di un perito per valutare il danno definitivo da essa subito a causa dell’annullamento dei viaggi previsti verso la Svezia (18).
23. La Nordic Info sostiene, in sostanza, che il governo belga è incorso in un errore di diritto nell’adottare le restrizioni ai viaggi di cui trattasi. Segnatamente, la ricorrente nel procedimento principale sostiene, in primo luogo, che tali misure erano contrarie alla direttiva sulla cittadinanza, poiché limitavano il diritto alla libera circolazione ivi garantito e nessuna base giuridica permetteva una siffatta deroga. In secondo luogo, dette misure avrebbero comportato, in pratica, il ripristino dei controlli di frontiera alle frontiere che il Belgio condivide con altri Stati membri, in violazione delle condizioni previste, a tal riguardo, dal codice frontiere Schengen.
24. È in tali circostanze che il Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se gli articoli 2, 4, 5, 27 e 29 della [direttiva sulla cittadinanza], che danno attuazione agli articoli 20 e 21 del TFUE, debbano essere interpretati nel senso che essi non ostano alla normativa di uno Stato membro (nel caso di specie derivante dagli articoli 18 e 22 del [decreto controverso]), che, con provvedimento generale:
– impone ai cittadini belgi e ai loro familiari nonché ai cittadini dell’Unione che soggiornano nel territorio belga e ai loro familiari un divieto generale di uscita per viaggi non essenziali dal Belgio verso paesi all’interno dell’[Unione europea] e dello spazio Schengen che, secondo un codice colore elaborato sulla base di dati epidemiologici, sono contraddistinti dal colore rosso;
– impone a cittadini dell’Unione non belgi e ai loro familiari (che dispongano o meno di un diritto di soggiorno nel territorio belga) restrizioni all’ingresso (come quarantena e tamponi) per viaggi non essenziali da paesi all’interno dell’[Unione europea] e dello spazio Schengen verso il Belgio, che, secondo un codice colore elaborato sulla base di dati epidemiologici, sono contraddistinti dal colore rosso.
2) Se gli articoli 1, 3 e 22 del codice frontiere Schengen debbano essere interpretati nel senso che essi non ostano alla normativa di uno Stato membro (nel caso di specie derivante dagli articoli 18 e 22 del [decreto controverso]), che impone un divieto di uscita per viaggi non essenziali dal Belgio verso paesi all’interno dell’UE e dello spazio Schengen e un divieto di ingresso da questi paesi verso il Belgio, che non solo può dar luogo a controlli e sanzioni, ma che può anche essere attuato d’ufficio dal Ministro, dal sindaco e dal comandante di polizia».
25. La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, datata 7 febbraio 2022, è stata depositata il 23 febbraio 2022. La Nordic Info, i governi belga, rumeno, norvegese e svizzero, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte. I governi belga, rumeno e norvegese, nonché la Commissione, sono stati rappresentati all’udienza tenutasi il 10 gennaio 2023.
IV. Analisi
26. La presente causa verte sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di due serie di misure connesse, ma distinte, attuate dal governo belga nel luglio del 2020 (19), per controllare la diffusione della COVID-19. In primo luogo, la causa riguarda determinate restrizioni in materia di viaggi, vale a dire, da un lato, un divieto di viaggi «non essenziali», che ha impedito ai viaggiatori di lasciare il territorio belga per viaggiare verso paesi che si ritenevano presentare un «alto rischio» di contagio nonché, fatta eccezione per i cittadini belgi e i residenti in Belgio, di entrare in detto territorio in provenienza dai suddetti paesi e, dall’altro, obblighi di quarantena e di tampone imposti ai cittadini e ai residenti (20) al loro rientro dai paesi in questione. In secondo luogo, la causa verte sull’effettuazione di verifiche, sulle persone che attraversavano o tentavano di attraversare le frontiere belghe, al fine di far rispettare le summenzionate restrizioni ai viaggi.
27. Siffatte misure, in base al diritto dell’Unione, sono disciplinate da norme differenti. Da un lato, le restrizioni ai viaggi, nei limiti in cui sono applicate nei confronti di cittadini degli Stati membri (21) che intendano viaggiare all’interno dell’Unione europea, rientrano nell’ambito di applicazione di varie disposizioni del diritto primario e derivato dell’Unione che garantiscono a detti cittadini il diritto di libera circolazione. Questo tema si colloca al centro della prima questione pregiudiziale. Dall’altro lato, le verifiche di frontiera non sono disciplinate dalle disposizioni menzionate supra (22). Per quanto riguarda gli Stati membri ai quali si applica l’acquis di Schengen, come il Belgio (23), la legittimità di tali verifiche deve essere esaminata sulla base delle disposizioni del codice frontiere Schengen. Questo tema è al centro della seconda questione proposta dal giudice del rinvio.
28. Esaminerò entrambe le questioni in sequenza, nelle sezioni che seguono.
A. Compatibilità delle restrizioni di viaggio controverse con le norme relative alla libera circolazione delle persone (prima questione)
29. Ai fini della valutazione delle restrizioni ai viaggi controverse e alla luce del dibattito svoltosi dinanzi alla Corte, ritengo utile affrontare una serie di questioni, segnatamente sulle norme pertinenti in materia di libera circolazione (1), sulla loro portata territoriale (2), sulla misura in cui tali restrizioni hanno ostacolato l’esercizio dei diritti garantiti da dette norme (3), sulla possibilità per gli Stati membri di derogare al diritto dell’Unione, in via «eccezionale», nelle circostanze di cui trattasi (4) e, infine, sulla legittimità di tali restrizioni alla luce di dette norme (5).
1. Norme pertinenti in materia di libera circolazione delle persone
30. Restrizioni ai viaggi come quelle adottate dal Belgio costituiscono misure di portata generale che hanno colpito numerose persone. Le persone in questione possedevano status giuridici diversi – ad esempio cittadini degli Stati membri, o cittadini di paesi terzi titolari di un diritto di soggiorno in Belgio. Dette persone intendevano recarsi in vari luoghi o rientrare da tali luoghi – ad esempio un altro Stato membro o un paese terzo – e per scopi diversi – lavoro, famiglia, svago, e così via. A seconda di tali variabili, le stesse restrizioni di viaggio possono essere valutate alla luce di differenti norme di diritto nazionale, di diritto dell’Unione e di diritto internazionale, che disciplinano la circolazione transfrontaliera delle persone.
31. Tuttavia, nell’ambito della domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, non spetta alla Corte effettuare un controllo olistico della legittimità di tali misure. Il suo compito è, invece, fornire un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile al giudice del rinvio ai fini della risoluzione della controversia di cui al procedimento principale, alla luce della situazione di fatto portata alla sua attenzione.
32. Sotto questo profilo, la presente causa è un po’ inusuale. Infatti, la legittimità delle restrizioni ai viaggi in questione non è contestata da un determinato individuo, al quale è stato impedito di recarsi in un determinato luogo o di farvi rientro. Si tratta, invece, di un’azione di responsabilità civile proposta da una società che, in qualità di operatore turistico belga che organizza, segnatamente, viaggi verso la Svezia, è stata indirettamente colpita da tali restrizioni. Ciò premesso, dinanzi al giudice del rinvio, la Nordic Info non invoca la propria libertà di fornire servizi turistici transfrontalieri, quale tutelata da diverse disposizioni del diritto dell’Unione (24). Essa invoca, invece, il diritto alla libera circolazione di cui godono, in forza del diritto dell’Unione, i suoi clienti effettivi e potenziali, che si presumono essere cittadini degli Stati membri. Pertanto, la Corte dovrebbe limitarsi, nella presente causa, a esaminare, essenzialmente, le norme connesse a tale diritto.
33. Osservo che, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, TFUE, i cittadini degli Stati membri hanno lo status di cittadini dell’Unione. Tale status conferisce loro, in particolare, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, lettera a), e dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, nonché dell’articolo 45, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») (25), il diritto di circolare liberamente nel territorio degli Stati membri, indipendentemente dalla finalità, incluso il turismo. Tale diritto deve essere esercitato secondo le condizioni previste dagli strumenti di diritto derivato adottati ai fini della sua attuazione (26), segnatamente dalla direttiva sulla cittadinanza (27).
34. Il diritto di libera circolazione garantito ai cittadini dell’Unione è costituito da due componenti. Esso implica, in primo luogo, un diritto di uscita, espresso all’articolo 4 della direttiva sulla cittadinanza. Si tratta del diritto di ogni cittadino dell’Unione di lasciare il territorio di uno Stato membro, compreso il proprio (28), per recarsi in un altro Stato membro (29), alla sola condizione di essere munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità e, lo ribadisco, indipendentemente dalla finalità dell’uscita (30). Pertanto, la situazione dei cittadini belgi e degli altri cittadini dell’Unione che hanno tentato di lasciare il territorio belga al fine di recarsi in Svezia per una vacanza ricade in tale diritto (31).
35. Tale diritto di libera circolazione implica, in secondo luogo, un diritto d’ingresso, anche se, a tal riguardo, il contesto normativo è leggermente più complesso. In sostanza, da un lato, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza conferisce ai cittadini di uno Stato membro il diritto di entrare nel territorio di un altro Stato membro, alla sola condizione che essi siano muniti di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità e, anche in tal caso, indipendentemente dalla finalità dell’ingresso. Dall’altro lato, tale disposizione non disciplina l’ingresso dei cittadini dell’Unione nel loro Stato membro (32). Ciò premesso, in primo luogo, il diritto di una persona di entrare nel territorio dello Stato di cui è cittadina deriva da un principio consolidato di diritto internazionale, riaffermato, in particolare, all’articolo 3, paragrafo 2, del Protocollo n. 4 alla CEDU (33). In secondo luogo, secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE si applica alla situazione specifica di un cittadino dell’Unione che rientri nel proprio Stato membro dopo aver esercitato il suo diritto di libera circolazione viaggiando all’estero. (34) In definitiva, nel caso di specie, i cittadini belgi e gli altri cittadini dell’Unione beneficiavano di un diritto d’ingresso nel territorio belga a seguito, ad esempio, di un viaggio turistico in Svezia, anche se in forza di basi giuridiche differenti.
2. Se tali norme si applichino alla circolazione delle persone tra il Belgio e l’Islanda o la Norvegia
36. In questa fase delle presenti conclusioni desidero affrontare una questione che, sebbene secondaria, ha tuttavia occupato una parte importante del dibattito dinanzi alla Corte. Più precisamente, dalla decisione di rinvio risulta che la Nordic Info organizza sistematicamente viaggi non soltanto verso la Svezia, ma anche verso l’Islanda e la Norvegia. Sebbene questi paesi non facciano parte dell’Unione europea, essi fanno parte dello spazio Schengen. (35) Pertanto, le restrizioni ai viaggi controverse si applicavano, nei loro confronti, esattamente come nei confronti degli Stati membri (36). In tale contesto, il giudice del rinvio indica che, sebbene la domanda di risarcimento presentata dalla Nordic Info sia incentrata sul danno da essa subito a causa dell’annullamento di viaggi verso la Svezia, detta società «non esclude altre voci di danno». Tale giudice sembra quindi indicare che la ricorrente potrebbe, in una fase successiva del procedimento principale, rivedere o, quantomeno, precisare la sua domanda al fine di includervi l’eventuale annullamento di viaggi verso l’Islanda e/o la Norvegia. Di conseguenza, il giudice del rinvio ha fatto riferimento, nella sua prima questione, ai cittadini dell’Unione che intendevano viaggiare dal Belgio verso determinati «paesi all’interno dell’[Unione europea] e dello spazio Schengen» (e viceversa).
37. Alla luce di quanto precede, la Corte ha chiesto agli intervenienti, in udienza, se, ed eventualmente in quale misura, le norme in materia di libera circolazione delle persone previste dalla direttiva sulla cittadinanza si applichino in riferimento all’Islanda e alla Norvegia.
38. Al pari dei governi belga e rumeno, non sono convinto del fatto che la Corte debba affrontare tale questione nella sentenza che pronuncerà nella presente causa. Oltre al fatto che il giudice del rinvio non chiede chiarimenti a tal riguardo, dato che sembra certo della risposta (37), non è certo che fornire un chiarimento del genere d’ufficio possa essere utile a tale giudice ai fini della risoluzione della controversia di cui è investito. Infatti, la Corte formulerebbe, in sostanza, un parere consultivo su una questione che, nella fase in cui si trova il procedimento principale, è una questione fortemente ipotetica (38), al fine di tener conto dell’eventualità che, in seguito, essa possa divenire rilevante qualora la Nordic Info modifichi o precisi la sua domanda. Di norma, la Corte rifiuta, a ragione, di seguire un siffatto approccio speculativo nell’ambito di un procedimento pregiudiziale (39).
39. Qualora la Corte decida, ciò nonostante, di pronunciarsi su tale questione, formulerò le seguenti osservazioni, in via subordinata.
40. In generale, le norme in materia di libera circolazione delle persone previste nel Trattato FUE e gli strumenti di diritto derivato adottati ai fini della loro attuazione disciplinano, come ho già affermato, la situazione dei cittadini dell’Unione che viaggiano tra gli Stati membri, e non la circolazione delle persone tra uno Stato membro, quale il Belgio, e un paese terzo, come l’Islanda o la Norvegia. La circostanza che questi ultimi paesi facciano parte dello spazio Schengen è irrilevante a tal riguardo, poiché le norme di cui trattasi non fanno parte dell’acquis Schengen.
41. Tuttavia, l’Islanda e la Norvegia sono parti contraenti anche dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (40) (in prosieguo: l’«accordo SEE»), unitamente a tutti gli Stati membri dell’Unione europea e all’Unione stessa. Tale accordo contiene, nei suoi allegati (41), due riferimenti espressi alla direttiva sulla cittadinanza, sin dall’entrata in vigore della decisione del Comitato misto SEE n. 158/2007 del 7 dicembre 2007 (42) (in prosieguo: la «decisione del Comitato misto»). Mediante tali riferimenti, la direttiva è stata incorporata nel diritto SEE, con alcuni adeguamenti minori (43), ed è vincolante, di conseguenza, per le parti contraenti di tale accordo (44).
42. Ciò premesso, dato che gli allegati in questione sono dedicati, rispettivamente, alla libera circolazione dei lavoratori e al diritto di stabilimento, e che ciascuno di essi indica che la direttiva sulla cittadinanza «si applica, ove opportuno, ai settori contemplati [dall’allegato in questione]», resta da chiarire se tale direttiva sia stata integrata nell’accordo SEE solo parzialmente, unicamente per quanto concerne la circolazione dei cittadini degli Stati membri dell’Unione e degli Stati EFTA all’interno dello Spazio economico europeo (in prosieguo: il «SEE») ai fini specifici dello svolgimento di un’attività dipendente o autonoma, oppure totalmente, così da disciplinare detta circolazione a qualsiasi fine, come avviene all’interno dell’Unione europea (45). In tale contesto, la questione se persone «non economicamente attive», vale a dire persone quali studenti, pensionati, e così via, che non sono lavoratori dipendenti o autonomi, beneficino, all’interno del SEE, del diritto alla libera circolazione garantito da tale direttiva è stata particolarmente dibattuta dinanzi alla Corte.
43. Infatti, mentre l’accordo SEE contiene, al pari del Trattato FUE, disposizioni che garantiscono la libera circolazione delle persone a fini economici (46), esso non contiene disposizioni analoghe agli articoli 20 e 21 TFUE, che disciplinano la circolazione all’interno dell’Unione europea di detti cittadini «non economicamente attivi». La stessa nozione di «cittadinanza dell’Unione», infatti, non possiede un equivalente in detto accordo (47).
44. Mentre la Corte non si è ancora pronunciata a tal riguardo, la Corte EFTA (48) lo ha già fatto. Nella sua sentenza nella causa Gunnarsson (49), tale giudice ha stabilito che la direttiva sulla cittadinanza si applica alla circolazione delle persone «non economicamente attive» all’interno del SEE, indipendentemente dall’assenza, nell’accordo SEE, di una disposizione equivalente agli articoli 20 e 21 TFUE. In sostanza, la Corte EFTA ha ricordato che il diritto di libera circolazione delle persone non economicamente attive era già garantito nel diritto dell’Unione e nel diritto SEE prima dell’introduzione della nozione di «cittadinanza dell’Unione» e che le relative disposizioni, contenute in varie direttive (50), erano state incorporate sin dall’inizio in tale accordo. La direttiva sulla cittadinanza ha abrogato e sostituito tali direttive e la decisione del Comitato misto ha introdotto questi sviluppi nel diritto SEE. Sebbene la circolazione delle persone «non economicamente attive» sia ormai collegata, nel diritto dell’Unione, alla nozione di «cittadinanza dell’Unione», e sebbene quest’ultima non abbia un equivalente nel diritto SEE, ciò non significa, secondo la Corte EFTA, che i singoli debbano essere «privati di diritti che hanno già acquisito» in forza di tale accordo prima dell’introduzione di detta nozione e che «sono stati mantenuti» da tale direttiva (51).
45. Evidentemente, la Corte non è vincolata alle sentenze della Corte EFTA. Ciononostante, a mio avviso, il principio di diritto internazionale generale del rispetto degli impegni contrattuali (pacta sunt servanda) (52), le «relazioni privilegiate tra l’Unione, i suoi Stati membri e gli Stati dell’[EFTA]» (53), nonché la necessità di garantire, per quanto possibile, l’applicazione uniforme dell’accordo SEE in tutte le parti contraenti, implicano che la Corte debba tener conto di tali decisioni ai fini dell’interpretazione di detto accordo (54). Suggerisco, quindi, di conformarsi a tali decisioni, salvo che sussistano motivi imperativi per procedere diversamente.
46. A mio avviso, questa riserva non si applica nel caso di specie. Infatti, il ragionamento della Corte EFTA nella sentenza Gunnarsson è inoppugnabile. Il fatto che il diritto SEE non preveda una «cittadinanza del SEE» non giustifica una riduzione dell’ambito di applicazione sostanziale di una direttiva che è stata incorporata, in quanto tale, nell’accordo SEE. Del resto, talune disposizioni della direttiva sulla cittadinanza si rivolgono specificamente alle persone economicamente non attive (55). Se il Comitato misto avesse avuto l’intenzione di escludere tali persone dall’ambito di applicazione di detta direttiva nel diritto SEE, avrebbe potuto facilmente includere una riserva espressa in relazione a tali disposizioni. Tuttavia, nella decisione del Comitato misto non figura alcuna riserva di tal genere. Di conseguenza, soltanto i diritti che non trovano un fondamento giuridico nella direttiva stessa, e che derivano unicamente dagli articoli 20 e 21 TFUE, non sono applicabili all’interno del SEE, a causa della mancanza di disposizioni equivalenti nell’accordo SEE (56).
47. In sintesi, le norme della direttiva sulla cittadinanza disciplinano, a mio avviso, anche la circolazione dei cittadini degli Stati membri dell’Unione e degli Stati EFTA all’interno del SEE per qualsiasi scopo. Di conseguenza, dette persone godono, alle condizioni previste in tale direttiva, di un diritto di libera circolazione, in particolare, fra il Belgio e l’Islanda o la Norvegia (57), anche per turismo.
3. Le restrizioni ai viaggi controverse hanno ostacolato l’esercizio del diritto alla libera circolazione garantito da tali norme
48. È pacifico che restrizioni ai viaggi come quelle di cui trattasi nel procedimento principale hanno ostacolato l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, del loro diritto di libera circolazione.
49. In primo luogo, il divieto di viaggi «non essenziali», applicandosi ai cittadini dell’Unione che intendevano lasciare il territorio belga per recarsi in Stati membri classificati come «rossi» nell’ambito della classificazione per colori di cui trattasi, ha limitato, in modo drastico, il diritto di uscita garantito, in particolare, dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza. Ciò è vero a prescindere dal fatto che i viaggi verso altri Stati membri (segnatamente quelli classificati come «verdi» o «arancioni») siano rimasti, di converso, esenti da restrizioni. È sufficiente, a mio avviso, che tali persone non abbiano potuto recarsi liberamente nello Stato di loro scelta (58). Per quanto riguarda gli Stati membri «rossi», la possibilità per i cittadini dell’Unione di esercitare il diritto di uscita è stata notevolmente ostacolata. Infatti, tale diritto è stato negato riguardo a numerosi motivi di viaggio, compreso il turismo. Inoltre, nella parte in cui si applicava a cittadini dell’Unione, fatta eccezione per i cittadini belgi (59) e per i cittadini di altri Stati membri residenti in Belgio (60), che intendessero fare ingresso nel territorio del Belgio in provenienza da uno Stato membro «rosso», il divieto di viaggi controverso ha limitato, in modo altrettanto grave, il diritto d’ingresso garantito, in particolare, dall’articolo 5, paragrafo 1, di tale direttiva, per ragioni analoghe.
50. In secondo luogo, nella misura in cui si applicavano a cittadini dell’Unione non belgi residenti in Belgio, al loro rientro da un viaggio «non essenziale» in uno Stato membro «rosso», gli obblighi di quarantena e tampone hanno limitato anche il diritto d’ingresso previsto all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza. In particolare, l’obbligo di quarantena ha limitato drasticamente la possibilità di circolare nel territorio belga, il che ha prodotto, a mio avviso, un effetto equivalente a ritardare l’ingresso in tale territorio. Nella parte in cui sono stati applicati ai cittadini belgi, nelle stesse circostanze, tali obblighi, pur esulando dall’ambito di applicazione del principio riaffermato all’articolo 3, paragrafo 2, del Protocollo n. 4 alla CEDU (61), hanno limitato, a mio avviso, il diritto di libera circolazione, quale garantito dall’articolo 21 TFUE, per ragioni analoghe.
4. Possibilità «eccezionale» di derogare al diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 347 TFUE
51. Tenuto conto di alcuni degli argomenti dedotti dagli intervenienti dinanzi alla Corte, in questa fase delle presenti conclusioni desidero svolgere una considerazione importante per quanto concerne la possibilità, per gli Stati membri, di derogare al diritto dell’Unione durante la pandemia di COVID-19.
52. Infatti, detti intervenienti sostengono che la pandemia ha costituito, almeno durante i suoi mesi iniziali, una «crisi», che ha richiesto un intervento urgente delle autorità pubbliche. Osservo, a tal riguardo, che diversi Stati membri hanno dichiarato, in vari momenti nel corso della pandemia, uno «stato di emergenza», che ha comportato una sospensione temporanea o una deroga a norme ordinarie nei loro territori, al fine di attuare le misure urgenti ritenute necessarie per far fronte a tale crisi. Di fatto, molte di dette misure, in particolare i confinamenti generalizzati, hanno ricordato quelle applicabili in tempo di guerra.
53. Ciò solleva la questione se, per valutare le misure controverse, debba essere applicato un quadro giuridico «eccezionale» in luogo delle norme «ordinarie» dell’Unione e delle loro eccezioni «ordinarie». A tal riguardo, ricordo che l’articolo 347 TFUE prevede una «clausola di salvaguardia», che, in sostanza, riconosce agli Stati membri la facoltà di adottare le misure che ritengano necessarie, in particolare, nell’eventualità di «gravi agitazioni interne che turbino l’ordine pubblico» (62). Tale disposizione, che non è mai stata interpretata dalla Corte, potrebbe teoricamente consentire, in siffatte circostanze, una deroga generale all’insieme delle norme di tale Trattato e di quelle adottate sul suo fondamento, ivi comprese le varie disposizioni relative alla libera circolazione delle persone (63). Va da sé che la questione se e, eventualmente, in quale misura si possa ritenere che la pandemia di COVID-19 abbia causato siffatte «gravi agitazioni interne» negli Stati membri (64), così come la questione concernente eventuali ulteriori condizioni e limiti connessi alla summenzionata «clausola di salvaguardia», sono estremamente delicate.
54. Ciò premesso, oltre al fatto che il governo belga non ha invocato l’articolo 347 TFUE (65) dinanzi alla Corte o in altre sedi, sarebbe in ogni caso necessario pronunciarsi su tale disposizione soltanto qualora misure nazionali come quelle di cui trattasi nel procedimento principale non possano essere giustificate alla luce delle norme «ordinarie» del diritto dell’Unione e delle loro eccezioni «ordinarie» (66). Tuttavia, come spiegherò nel prosieguo delle presenti conclusioni, dette norme sono sufficientemente flessibili da poter tener conto della particolarità della situazione di cui trattasi.
5. Legittimità delle restrizioni ai viaggi controverse alla luce delle clausole derogatorie previste nella direttiva sulla cittadinanza
55. Anche ai sensi del diritto «ordinario» dell’Unione, il diritto di libera circolazione di cui godono i cittadini dell’Unione non è assoluto. Sono ammesse restrizioni (67). Tuttavia, per essere compatibile con il diritto dell’Unione, qualsiasi restrizione deve rispettare, segnatamente, le condizioni ivi enunciate. Nella misura in cui le restrizioni ai viaggi controverse rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva sulla cittadinanza, esse devono essere valutate alla luce delle condizioni previste al capo VI di tale strumento. Inoltre, nella parte in cui tali restrizioni si applicavano ai cittadini belgi che facevano rientro in Belgio dopo aver esercitato il loro diritto di libera circolazione, ricordo che, sebbene tale situazione non ricada nell’ambito di applicazione della direttiva sulla cittadinanza, bensì dell’articolo 21 TFUE, le condizioni di deroga previste da tale direttiva si applicano in via analogica (68).
56. In apertura del capo VI, l’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza contiene la regola generale secondo cui gli Stati membri possono limitare la «libertà di circolazione» dei cittadini dell’Unione per motivi di «ordine pubblico», di «pubblica sicurezza» o di «sanità pubblica». Detta regola generale è precisata nel resto di tale capo. In particolare, l’articolo 29, paragrafo 1, di tale direttiva disciplina la possibilità, per gli Stati membri, di limitare detta «libertà» per motivi di «sanità pubblica». Per quanto riguarda la legittimità di misure nazionali adottate sulla base di tali motivi, queste due disposizioni devono quindi essere interpretate congiuntamente. Insieme, esse impongono una serie di condizioni che saranno esposte più dettagliatamente nel prosieguo e che devono essere rispettate in tutti i casi (69).
57. Mentre il governo belga invoca l’articoli 27, paragrafo 1, e l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, tanto dinanzi al giudice del rinvio quanto dinanzi alla Corte, la Nordic Info sostiene che, indipendentemente dalla questione se le condizioni ivi enunciate siano soddisfatte, tali disposizioni non possono riguardare restrizioni ai viaggi come quelle di cui trattasi nel procedimento principale. Ciò richiede una discussione astratta sull’ambito di applicazione di dette disposizioni (a), prima di effettuare una valutazione specifica di tali misure alla luce delle condizioni in questione (b).
a) Ambito di applicazione dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza
58. Secondo la Nordic Info, l’articolo 27, paragrafo 1, e l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza non sono, in termini generali, sufficientemente ampi da disciplinare, in tutto o anche solo in parte, restrizioni ai viaggi come quelle di cui trattasi, poiché dette disposizioni permettono restrizioni al diritto d’ingresso, e non al diritto di uscita (1) e, in ogni caso, permettono soltanto restrizioni «individuali» alla libera circolazione, e non restrizioni «generali» (2). Esaminerò tali obiezioni in sequenza, nelle sezioni che seguono.
1) Possibilità di limitare sia il diritto d’ingresso, sia il diritto di uscita
59. Ricordo che l’articolo 27, paragrafo 1, interpretato in combinato disposto con l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza consente agli Stati membri di limitare la «libertà di circolazione» per motivi di sanità pubblica, senza precisare il tipo di misure che possono essere adottate dalle autorità nazionali.
60. In primo luogo, tali termini comprendono le eventuali restrizioni al diritto d’ingresso previsto all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza. Ciò include, da un lato, un eventuale divieto d’ingresso nel territorio di uno Stato membro. Si applicano, tuttavia, riserve. Tale disposizione non può mai essere utilizzata da uno Stato membro per rifiutare l’ingresso nel suo territorio ai propri cittadini, per il semplice motivo che (i) detta direttiva non trova applicazione in tale situazione e (ii) vi osta il principio riaffermato all’articolo 3, paragrafo 2, del Protocollo n. 4 della CEDU (70). Inoltre, dall’articolo 29, paragrafo 2, della direttiva sulla cittadinanza discende che uno Stato membro non può vietare, per motivi di «sanità pubblica», l’ingresso nel proprio territorio – ad esempio dopo un viaggio in Svezia – ai cittadini di altri Stati membri ivi residenti (71). Dall’altro lato, uno Stato membro può, in linea di principio, imporre ai cittadini dell’Unione ai quali non può essere vietato l’ingresso nel territorio nazionale altri tipi di restrizioni al loro ingresso, che non producano un effetto equivalente a un diniego. Gli obblighi di quarantena e di tampone imposti ai residenti belgi al loro rientro da paesi ad «alto rischio» rientrerebbero in questa categoria (72).
61. In secondo luogo, ritengo che, a differenza di quanto sostiene la Nordic Info, nell’articolo 27, paragrafo 1, e nell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza possano rientrare anche eventuali restrizioni al diritto di uscita previsto all’articolo 4, paragrafo 1, di detta direttiva, quale un divieto di uscita (73). Sebbene il titolo del capo VI possa indurre in errore il lettore a tal riguardo (74), in primo luogo, è chiaro che l’espressione «libertà di circolazione» ivi utilizzata è sufficientemente ampia da ricomprendere tale diritto. In secondo luogo, dal fatto che l’articolo 29, paragrafo 2, si occupi, in sostanza, di una misura specifica, segnatamente il diniego d’ingresso, non discende che soltanto le restrizioni al diritto d’ingresso siano ammesse per motivi di «sanità pubblica», poiché lo scopo di detta disposizione non è elencare tutte le restrizioni ammissibili alla libera circolazione ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, bensì, semplicemente, circoscrivere l’uso di tale misura. Inoltre, la suddetta interpretazione è conforme all’obiettivo perseguito dalla deroga per motivi di «sanità pubblica», prevista da tali disposizioni, obiettivo che, come risulta dalla formulazione di quest’ultima disposizione, consiste nel consentire a uno Stato membro di proteggere il suo territorio e la sua popolazione dalla diffusione di determinate malattie infettive o contagiose. È vero che i redattori dell’articolo 29, paragrafo 1, avevano (probabilmente) in mente l’esempio dello Stato membro che impedisce ai viaggiatori affetti da tali malattie di entrare nel suo territorio e di «portare con loro» la malattia. Ciò premesso, la protezione del territorio di uno Stato può anche, in talune situazioni, giustificare restrizioni all’uscita dei propri residenti, per impedire loro di «riportare con loro» dette malattie al momento del rientro (75). Infine, tale interpretazione è confermata dai lavori preparatori (76) della direttiva sulla cittadinanza (77).
2) Possibilità di limitare la libera circolazione mediante misure generali
62. Le misure nazionali di cui trattasi nella causa principale avevano portata generale. Infatti, il divieto di viaggi e gli obblighi di quarantena e tampone si applicavano sistematicamente a categorie astratte e ampie di persone in situazioni oggettivamente determinate, ossia a persone che viaggiavano da uno Stato membro ad «alto rischio» o verso tale Stato per uno scopo «non essenziale», persone che viaggiavano da o verso paesi non appartenenti allo spazio Schengen, e così via.
63. Tuttavia, la Nordic Info sostiene che soltanto misure individuali restrittive del diritto alla libera circolazione possono essere giustificate sulla base dell’articolo 27, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza. Misure di questo genere potrebbero essere adottate soltanto caso per caso, qualora una valutazione individuale della situazione di una determinata persona riveli che quest’ultima rappresenta un pericolo per la sanità pubblica, poiché presenta sintomi di una delle malattie menzionate in tale disposizione o è stata esposta a dette malattie, e sussiste quindi il rischio effettivo che essa sia stata contagiata e possa diffondere la malattia.
64. Al pari dei governi belga, rumeno e norvegese, nonché della Commissione, ritengo che restrizioni generali alla libera circolazione possano essere adottate, in forza dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, per motivi di «sanità pubblica», senza necessità di una siffatta valutazione caso per caso (78).
65. In primo luogo, tali disposizioni si riferiscono, rispettivamente, alle «limita[zioni]» che gli Stati membri possono introdurre, nonché alle «misure restrittive della libertà di circolazione» che essi possono adottare per motivi di «sanità pubblica». Questi termini ampi sono in grado di includere misure sia individuali che generali.
66. In secondo luogo, l’impianto generale del capo VI della direttiva sulla cittadinanza avvalora tale interpretazione. Infatti, mentre l’articolo 27, paragrafo 2, stabilisce, per quanto riguarda i provvedimenti adottati per motivi di «ordine pubblico» o di «pubblica sicurezza», che essi «sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati» e che «[g]iustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione», l’articolo 29 non menziona siffatto requisito per quanto concerne le misure adottate per motivi di «sanità pubblica» (79).
67. È vero che tale differenza di formulazione non può, di per sé, essere decisiva. Il testo della direttiva sulla cittadinanza non è esente da incoerenze (80). In passato, la Corte ha esteso, a ragione, la necessità di una valutazione individuale ad altre disposizioni della direttiva sulla cittadinanza che non la menzionano espressamente. Essa lo ha fatto, in particolare, nella sentenza nella causa McCarthy e a. (81), per quanto riguarda le misure adottate in caso di abuso di diritti, in forza dell’articolo 35 di tale direttiva.
68. Tuttavia, la Corte dovrebbe essere cauta nel procedere in tal senso in riferimento a misure adottate per motivi di «sanità pubblica» ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva in parola. Infatti, al pari dei governi belga, rumeno e norvegese e della Commissione, osservo, in terzo luogo, che è logico attribuire un maggiore margine di discrezionalità agli Stati membri per quanto concerne le minacce alla «sanità pubblica» rispetto alle minacce all’«ordine pubblico», alla «pubblica sicurezza» o ai comportamenti abusivi, dal momento che si tratta, semplicemente, di questioni diverse.
69. Da un lato, le minacce all’«ordine pubblico» o alla «pubblica sicurezza» discendono, generalmente, dal comportamento di taluni individui specifici, come terroristi o criminali pericolosi. Pertanto, tenuto conto, in particolare, dell’importanza del diritto di libera circolazione di cui godono i cittadini dell’Unione, le autorità pubbliche non dovrebbero, in linea di principio, poter adottare misure generali per motivi precauzionali, come un divieto d’ingresso per tutte le persone provenienti da determinati paesi motivato dalla circostanza che alcune di esse potrebbero essere pericolose. Oltre al fatto che ciò andrebbe al di là di quanto necessario a tal riguardo, ritengo che, in una società democratica, salvo in circostanze del tutto eccezionali, le autorità pubbliche non dovrebbero essere autorizzate a presumere che un individuo sia pericoloso semplicemente perché appartiene a una categoria così ampia e astratta di persone (82). A tal riguardo vengono in rilievo considerazioni relative alla dignità individuale. Infatti, in molti casi, un simile approccio si baserebbe su un pregiudizio (83). La stessa logica si applica per quanto concerne la prevenzione di abusi del diritto di libera circolazione. Benché confrontati con numerosi casi di ingresso abusivo di cittadini di paesi terzi che fingono di essere familiari di cittadini dell’Unione, gli Stati membri non possono, per motivi precauzionali, adottare misure generali che privino tutti i familiari del diritto loro conferito, in particolare, dalla direttiva sulla cittadinanza (84).
70. Dall’altro lato, la minaccia per la «sanità pubblica» rilevante ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, vale a dire il rischio di diffusione nel territorio di uno Stato membro di determinate «malattie (...) con potenziale epidemico» o di «altre malattie infettive o parassitarie contagiose», non è normalmente connessa al comportamento di taluni individui specifici. La situazione epidemiologica in un determinato paese può essere una considerazione pertinente a tal riguardo (85). In talune circostanze, a seconda del grado di contagiosità di dette malattie, gran parte della popolazione, se non l’intera popolazione, potrebbe essere contagiata. In tale contesto, è possibile che misure individuali adottate al punto di ingresso o di uscita dei viaggiatori sul territorio di uno Stato membro, sulla base di sintomi evidenti o di un’esposizione confermata alle malattie di cui trattasi, non siano sempre sufficientemente efficaci per impedirne o limitarne la diffusione (86). Restrizioni generali alla libera circolazione, adottate per motivi precauzionali, ad esempio nei confronti di tutte le persone provenienti da determinati paesi o regioni ad «alto rischio», possono essere necessarie a tale riguardo. L’articolo 27, paragrafo 1, e l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza dovrebbero essere interpretati di conseguenza. Sebbene tali disposizioni, in quanto clausole derogatorie, debbano essere interpretate restrittivamente (87), la loro interpretazione deve tuttavia garantire che esse siano adeguate alla finalità.(88) Inoltre, conformemente all’articolo 168, paragrafo 1, TFUE, «[n]ella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana», compresa la libera circolazione delle persone – un imperativo tanto importante da essere ribadito nell’articolo 35, seconda frase, della Carta. Il controllo delle epidemie è intrinseco in tale obiettivo (89).
71. Vi è un ultimo argomento in senso contrario che è necessario affrontare prima di concludere la presente sezione. Infatti, gli articoli 30 e 31 della direttiva sulla cittadinanza contengono garanzie per i cittadini dell’Unione soggetti a misure che limitano i diritti ad essi attribuiti da detta direttiva. Le autorità nazionali sono tenute, ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 30, paragrafi 1 e 2, a notificare all’«interessato» «[o]gni provvedimento adottato a norma dell’articolo 27, paragrafo 1» e a comunicargli i «motivi (...) di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica che giustificano l’adozione del provvedimento nei suoi confronti». Inoltre, ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 1, di tale direttiva, dette autorità devono garantire che l’«interessato» abbia accesso a mezzi di impugnazione «al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di ogni provvedimento adottato nei suoi confronti per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica».
72. In tale contesto, la Nordic Info sostiene che il fatto che tali disposizioni si riferiscano sistematicamente a un «provvedimento» adottato nei confronti di un «interessato» implica necessariamente che, sulla base dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, anche per motivi di «sanità pubblica», possano essere adottate soltanto misure individuali. Si potrebbe anche legittimamente sostenere che, poiché le garanzie in questione sono state concepite, nelle parole della Corte, per «consentire alla persona interessata di fare valere circostanze e considerazioni proprie della sua posizione individuale» (90), permettere agli Stati membri di adottare, sulla base di tale disposizione, misure di applicazione generale, potrebbe svuotare dette garanzie del loro contenuto.
73. Non ritengo che sia così. In primo luogo, come sottolineato dalla Commissione, lo scopo degli articoli 30 e 31 della direttiva sulla cittadinanza non è circoscrivere il tipo di misure che possono essere adottate in forza dell’articolo 27, paragrafo 1, della stessa, bensì soltanto prevedere determinate garanzie allorché siffatte misure siano adottate. La circostanza che gli articoli 30 e 31 utilizzino il termine «provvedimento», anziché termini più ampi quali «restrizioni» o «misure» si limita a riflettere il fatto che, come si può dedurre da quanto precede, misure individuali sono spesso necessarie ai sensi di tale direttiva e che, evidentemente, il legislatore dell’Unione aveva in mente questo tipo di misure quando ha redatto le disposizioni di cui trattasi. In generale, i termini «misure» e «provvedimenti» sono utilizzati in modo apparentemente intercambiabile nella direttiva sulla cittadinanza, e non sempre in modo coerente (91), il che significa che non si può trarre alcuna conclusione dall’impiego dell’uno o dell’altro termine in una determinata disposizione. In secondo luogo, sebbene tali disposizioni non siano state redatte avendo in mente misure di carattere generale, ciò non significa che la possibilità di adottare misure di tal genere per motivi di «sanità pubblica» priverebbe di qualsiasi effetto utile tali misure. I cittadini dell’Unione dovrebbero sempre essere in grado, in una certa misura, di «fare valere circostanze e considerazioni proprie della [loro] posizione individuale». Tornerò su questo aspetto nel prosieguo, ai paragrafi da 115 a 119.
b) Se le condizioni previste all’articolo 27, paragrafo 1, e all’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza fossero soddisfatte nel caso di specie
74. Nelle sezioni precedenti ho chiarito il motivo per cui misure nazionali come quelle controverse nel procedimento principale possono, in linea di principio, essere giustificate ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza.
75. Tuttavia, per essere pienamente compatibili con tali disposizioni, dette misure devono soddisfare tutte le condizioni da esse discendenti. Più precisamente, esse devono essere state attuate in risposta ad una minaccia grave, reale e rilevante per la «sanità pubblica» (1) e rispettare i principi di certezza del diritto (2), di parità di trattamento (3) e di proporzionalità (4). Spetta allo Stato membro interessato dimostrare che ciò si verifica nel caso di specie. Inoltre, spetterà, in ultima analisi, al giudice del rinvio, che è il solo competente a valutare i fatti, determinare se tali condizioni siano soddisfatte nel procedimento principale. La Corte può, tuttavia, fornire indicazioni al riguardo, sulla base delle informazioni di cui dispone. A tal fine, esaminerò dette condizioni in sequenza, nelle sezioni che seguono.
1) Esistenza di una minaccia grave, reale e rilevante per la «sanità pubblica»
76. Come indicato in precedenza, l’impiego della giustificazione concernente la «sanità pubblica» di cui all’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza è circoscritto dall’articolo 29. Tale ultima disposizione contiene una definizione precisa delle circostanze in cui i suddetti motivi possono essere validamente invocati (92). Ai sensi del suo paragrafo 1, soltanto alcune malattie possono giustificare l’attuazione di misure restrittive della libera circolazione. Tra di esse figurano le «malattie (...) con potenziale epidemico, quali definite dai pertinenti strumenti dell’[OMS]», vale a dire dal regolamento sanitario internazionale (2005) (in prosieguo: l’«RSI»). (93)
77. La COVID-19 rientra, ovviamente, in tale categoria. Osservo che, il 30 gennaio 2020 (94), il direttore generale dell’OMS ha stabilito che l’insorgenza della malattia di cui trattasi costituiva un’«emergenza sanitaria pubblica di portata internazionale» ai sensi di tale strumento (95). Inoltre, l’11 marzo 2020, la stessa organizzazione, tenuto conto dell’aumento esponenziale dei casi segnalati e dei paesi colpiti, ha qualificato la COVID-19 come una pandemia (96).
78. Tuttavia, il fatto che determinate misure siano state adottate a motivo di siffatta malattia non è sufficiente per considerarle giustificate alla luce dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza. Infatti, secondo una giurisprudenza costante della Corte, quando le autorità pubbliche invocano motivi di «sanità pubblica» per giustificare una restrizione del diritto di libera circolazione di cui godono i cittadini dell’Unione, esse devono dimostrare, in modo soddisfacente, che le misure di cui trattasi sono necessarie per tutelare efficacemente gli interessi indicati in tali disposizioni (97). Sebbene discenda dalla ratio stessa dell’articolo 29, paragrafo 1, che, in generale, le malattie ivi menzionate sono considerate una grave minaccia per la «sanità pubblica», misure preventive contro tali malattie non possono essere imposte sistematicamente nei confronti dei cittadini dell’Unione (98): la minaccia deve essere reale, e non meramente ipotetica, nelle circostanze in questione. Le autorità pubbliche devono quindi dimostrare, mediante l’effettuazione di una valutazione dei rischi, sulla base dei dati scientifici più affidabili disponibili in quel momento e dei risultati più aggiornati della ricerca internazionale, che è probabile che la minaccia in questione si concretizzi e la gravità del suo impatto sulla «sanità pubblica» nel caso in cui ciò avvenga effettivamente (99).
79. Tuttavia, come sostengono i governi intervenienti e dalla Commissione, dalla giurisprudenza della Corte risulta altresì che, qualora, dopo l’effettuazione di siffatta valutazione dei rischi, permangano incertezze quanto all’esistenza o alla portata del rischio asserito per la «sanità pubblica», ma persista la probabilità di un danno reale per tale interesse nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse, gli Stati membri possono, in forza del principio di precauzione, adottare misure restrittive, senza dover attendere che la realtà e la gravità di detto rischio diventino pienamente evidenti (100). Sebbene debbano, in ogni caso, esistere indizi della necessità di adottare misure precauzionali, in tali circostanze l’onere della prova è modesto, consentendo alle autorità nazionali di agire con l’urgenza richiesta. Pertanto, un giudice chiamato a valutare siffatte misure dovrebbe, a mio avviso, limitarsi a controllare se la valutazione, da parte delle autorità, dell’esistenza di una minaccia reale e grave per la «sanità pubblica» si fondi su motivi ragionevoli.
80. Nel caso di specie, è pacifico che ciò sia avvenuto, per quanto concerne la COVID-19, durante il picco della «prima ondata» della pandemia nell’Unione europea. All’epoca, l’aumento esponenziale del numero di casi ha trasformato l’insorgenza di detta malattia in una «crisi sanitaria». Indipendentemente dall’incertezza scientifica quanto alla fonte, alla trasmissibilità, alle dinamiche del contagio e agli effetti del nuovo (all’epoca) coronavirus, le autorità pubbliche avevano motivi ragionevoli più che sufficienti per ritenere che la pandemia rappresentasse una minaccia reale e grave per la sicurezza della prestazione di assistenza sanitaria, poiché i sistemi sanitari nazionali faticavano a far fronte al numero di persone che dovevano essere ricoverate in ospedale, nonché per la vita stessa e l’integrità fisica della loro popolazione. Inoltre, è difficile obiettare all’osservazione secondo cui, all’epoca, la pandemia era «in grado di produrre conseguenze molto gravi non soltanto sulla salute, ma anche sulla società, sull’economia, sul funzionamento dello Stato e sulla vita in generale» (101).
81. Di conseguenza, le autorità pubbliche potevano ragionevolmente ritenere, a dir poco, che il controllo della diffusione della COVID-19 fosse divenuto una necessità, al fine di salvaguardare i loro sistemi sanitari e attenuare le conseguenze del virus sulla società nel suo insieme e che, a tal fine, esse fossero tenute, in particolare, ad attuare una serie di «interventi non farmaceutici», ivi comprese restrizioni ai viaggi, per tentare di rallentare la trasmissione comunitaria (102) della malattia (103).
82. Tuttavia, la questione cruciale, ai fini della causa nel procedimento principale, è sapere se tali considerazioni erano ancora valide, in Belgio, al momento dell’adozione e dell’attuazione delle misure contestate a detrimento della Nordic Info, vale a dire, in senso ampio, all’inizio del mese di luglio 2020. Infatti, la legittimità di tali misure deve essere valutata alla luce del contesto esistente (104).
83. All’epoca, la gravità della «prima ondata» era venuta meno. La situazione epidemiologica complessiva nell’Unione europea aveva iniziato a manifestare segnali di miglioramento già a partire dal mese di maggio, il che aveva giustificato un «cauto ottimismo» (105), tanto che la Commissione aveva invitato gli Stati membri a prendere in considerazione l’allentamento progressivo e, infine, la revoca delle restrizioni ai viaggi introdotte gli uni nei confronti degli altri all’inizio del mese di marzo (106). Tale miglioramento è stato confermato in giugno. Conseguentemente, numerosi Stati membri avevano già revocato le restrizioni il 15 giugno, e la Commissione aveva incoraggiato gli altri a fare altrettanto. Le restrizioni temporanee ai viaggi non essenziali nell’Unione europea sono state anch’esse allentate il 30 giugno (107).
84. Tuttavia, il governo belga sostiene che, sebbene la situazione epidemiologica nell’Unione europea all’inizio del mese di luglio fosse complessivamente migliorata, la pandemia non era terminata, né era totalmente sotto controllo. La situazione, infatti, differiva notevolmente da un paese all’altro. Sebbene essa si fosse stabilizzata in Belgio, dati oggettivi (108) indicavano significative impennate nei contagi in altri Stati membri, tra i quali la Svezia. Tenuto conto della natura altamente contagiosa del virus (109), le autorità belghe hanno ritenuto che il rischio di una recrudescenza della pandemia sul territorio nazionale – un’eventuale (all’epoca) «seconda ondata» – fosse reale, in particolare nel caso in cui le misure di contenimento fossero state revocate troppo presto, in vista dell’inizio delle vacanze estive.Quindi, hanno deciso di mantenere alcune di tali misure, comprese le restrizioni ai viaggi controverse, adattandole, al contempo, al livello di rischio.
85. A mio avviso, la valutazione del rischio per la «sanità pubblica» operata delle autorità belghe al momento dei fatti sembra ragionevole, alla luce del principio di precauzione (110). Le misure controverse, quindi, sembrano giustificate, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, e dell’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza. Il fatto che, all’epoca, non vi fosse un trattamento o un vaccino autorizzati e/o efficaci per attenuare l’impatto del virus sulla popolazione tende a confermare la ragionevolezza di tale valutazione. Tuttavia, come sottolinea la Commissione, l’entità del rischio dipendeva anche dalla prevedibile capacità, in particolare, del sistema sanitario belga di far fronte a un eventuale nuovo picco di contagi sul territorio nazionale, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare (111).
86. Di converso, il fatto che altri Stati membri abbiano revocato, grosso modo in quel periodo, alcune o tutte le misure da essi introdotte per limitare la trasmissione del virus non è determinante a tal riguardo. Infatti, dato che, in primo luogo, la salute e la vita delle persone occupano una posizione preminente tra gli interessi protetti dal Trattato FUE (112), che, in secondo luogo, la competenza in tale settore è in larga misura attribuita agli Stati membri (113) e che, in terzo luogo, ogni azione dell’Unione deve rispettare le «responsabilità» degli Stati membri in materia (114), la Corte ha ripetutamente dichiarato che spetta agli Stati membri stabilire, segnatamente, «il livello al quale intendono garantire la tutela della sanità pubblica» e che, conseguentemente, si deve riconoscere loro «un margine di discrezionalità» in tale settore (115). Pertanto, sebbene taluni Stati membri abbiano evidentemente considerato accettabile il livello di rischio legato alla COVID-19, ciò non rimette in discussione la ragionevolezza della valutazione operata dalle autorità belghe quanto alla necessità di misure precauzionali in Belgio (116).
2) Le restrizioni ai viaggi controverse erano trasparenti
87. Se, a prima vista, le autorità belghe avevano motivi legittimi per attuare misure precauzionali all’epoca dei fatti, per essere compatibili con l’articolo 27, paragrafo 1, e con l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, tali misure dovevano, inoltre, essere trasparenti, vale a dire conformi al principio della certezza del diritto. Tale principio impone, segnatamente, che le norme di diritto siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, in particolare quando possono, come nel caso di specie, avere sugli individui e sulle imprese conseguenze sfavorevoli (117).
88. A mio avviso, le misure controverse sono state formulate con chiarezza e precisione sufficienti a consentire agli interessati di adeguare la loro condotta. In primo luogo, le misure erano chiaramente definite: divieto di viaggi, obblighi di quarantena e di tampone. In secondo luogo, l’elenco dei paesi ad «alto rischio»/«rossi», in relazione ai quali dette misure trovavano applicazione, era disponibile su una pagina Internet dedicata e, quindi, facilmente accessibile. In terzo luogo, è vero che tali misure si basavano su una nozione, quella di viaggi «non essenziali», la cui natura aperta ha determinato alcune incertezze per le persone che intendevano viaggiare verso il Belgio o dal Belgio. Il governo belga ha spiegato che, sebbene tale nozione non fosse precisata nella normativa applicabile, un elenco esemplificativo dei motivi dei viaggi considerati «essenziali», che corrispondeva all’elenco applicabile nel contesto delle restrizioni temporanee ai viaggi non essenziali verso l’Unione europea (118), era tuttavia disponibile online. Indubbiamente, ciò ha aiutato le persone a capire se il viaggio che stavano programmando potesse essere considerato «essenziale» oppure no. Ciò nonostante, se, sulla base di tale elenco, taluni viaggi erano chiaramente vietati, ad esempio i viaggi turistici, talune voci figuranti in tale elenco, come ad esempio i «viaggi per motivi familiari imperativi», erano aperte a interpretazione. A tal riguardo, mi sembra che le autorità nazionali fossero tenute, in forza del principio della certezza del diritto, a istituire un meccanismo che consentisse al pubblico di chiedere in anticipo, mediante mezzi adeguati, se un determinato motivo di viaggio – legato, ad esempio, alla famiglia – fosse considerato «essenziale» oppure no, in modo da evitare di scontrarsi con un rifiuto inatteso al momento della partenza o dell’arrivo. Di fatto, il governo belga ha spiegato di aver predisposto, online, uno spazio per «FAQ» (domande più frequenti) a tal riguardo. Ogni volta che il pubblico poneva frequentemente una domanda, le autorità fornivano una risposta in tale spazio. Ciò sembra soddisfare il requisito che ho appena esposto.
3) Le restrizioni di viaggio controverse sono state applicate in modo non discriminatorio
89. Per essere compatibili con l’articolo 27, paragrafo 1, e l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, le misure controverse dovevano, inoltre, essere applicate in modo non discriminatorio (119).
90. Detto aspetto può essere affrontato succintamente, poiché risulta chiaramente che ciò sia avvenuto. In primo luogo, il divieto di uscita dal territorio belga verso paesi ad «alto rischio»/«rossi» si applicava indipendentemente dalla nazionalità dei viaggiatori. In secondo luogo, per quanto riguarda il divieto d’ingresso, è vero che tale misura non si applicava ai cittadini belgi e ai cittadini di altri Stati membri residenti in Belgio, mentre era imposta ad altri cittadini dell’Unione. Tuttavia, tale disparità di trattamento è giustificata poiché le suddette categorie di persone non si trovano in una situazione analoga (120). In terzo luogo, la quarantena e il tampone erano richiesti ai residenti in Belgio al rientro dagli stessi paesi, a prescindere dalla loro nazionalità.
4) Proporzionalità delle restrizioni ai viaggi controverse
91. Per essere compatibili con l’articolo 27, paragrafo 1, e con l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, le misure controverse dovevano, inoltre, rispettare il principio di proporzionalità (121). Come spiegherò dettagliatamente nelle sezioni che seguono, la valutazione di tale requisito include un esame di tre criteri cumulativi, segnatamente la questione se tali misure fossero «idonee» (i), «necessarie» (ii) e «proporzionate in senso stretto» (iii).
92. Tuttavia, prima di addentrarsi nell’esame di ciascuno di tali criteri, si impongono alcune precisazioni per quanto concerne il livello di controllo di tale principio nel caso di specie. Come rilevato dal governo norvegese, in materia di sanità pubblica è necessaria una certa cautela a tal riguardo. Infatti, la Corte ha statuito in più occasioni che, conformemente al «margine di discrezionalità» di cui godono gli Stati membri in tale settore, spetta a essi stabilire non soltanto il livello al quale intendono garantire la tutela della sanità pubblica nel loro territorio, ma anche «il modo in cui tale livello deve essere raggiunto» (122). Inoltre, detto margine di discrezionalità è particolarmente ampio in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, in cui le autorità pubbliche cercano di far fronte a una pandemia provocata da un nuovo virus, in una fase ancora relativamente precoce e incerta degli eventi, con tempo o conoscenze limitati per valutare le misure più idonee. In una situazione del genere, il principio di precauzione esige che le autorità pubbliche dispongano di un notevole margine di manovra (123).
93. Per essere chiari, ciò non significa che tali autorità disponessero di carta bianca nel predisporre la loro risposta alla pandemia di COVID-19, al punto di escludere il controllo giurisdizionale delle loro azioni a tal riguardo. Infatti, il controllo giurisdizionale s’impone, a maggior ragione, poiché, tenuto conto dell’urgenza della situazione, le misure introdotte per contrastare la diffusione di tale malattia venivano comunemente adottate dai soli governi, senza seguire il normale processo decisionale democratico e, in particolare, senza un controllo parlamentare ex ante.
94. Pertanto, per conciliare, da un lato, tale ampio margine di discrezionalità e, dall’altro, il necessario rispetto delle norme giuridiche, la portata del controllo giurisdizionale del principio di proporzionalità nel caso di specie dovrebbe, a mio avviso, limitarsi, anche in questo caso, alla questione se le autorità potessero ragionevolmente ritenere che le misure controverse fossero idonee e necessarie ai fini della gestione del rischio per la «sanità pubblica» sopra descritto, e proporzionate in senso stretto (124).
95. Desidero inoltre precisare, anzitutto che, circa all’epoca dei fatti, le istituzioni dell’Unione avevano adottato (125), conformemente alla competenza limitata dell’Unione europea nel settore della sanità pubblica (126), una serie di comunicazioni, raccomandazioni e orientamenti al fine di promuovere un certo grado di coordinamento tra le varie misure adottate dagli Stati membri in risposta alla pandemia (127). Sebbene tali strumenti di soft-law non fossero, per definizione, vincolanti per gli Stati membri, essi dovevano comunque essere tenuti in debito conto, conformemente al principio di leale cooperazione. Pertanto, i principi e le norme raccomandati ivi contenuti sono elementi contestuali pertinenti nella presente causa.
i) Le restrizioni al viaggio controverse sembravano idonee
96. Secondo la giurisprudenza constante della Corte, il requisito ai sensi del quale ogni misura restrittiva della libera circolazione deve essere «idonea», comprende due criteri cumulativi: la misura in questione deve, in primo luogo, essere in grado di contribuire al conseguimento dell’obiettivo perseguito e, in secondo luogo, «risponde[re] realmente all’intento di raggiungerlo [ed essere] attuata in modo coerente e sistematico» (128).
– Tali restrizioni ai viaggi sembravano idonee a contribuire all’obiettivo perseguito
97. Per soddisfare la prima parte del requisito dell’«idoneità», il governo belga doveva dimostrare che restrizioni ai viaggi come le restrizioni controverse potevano contribuire a evitare il rischio di un nuovo picco di casi di COVID-19 nel territorio belga. A tal riguardo, sono necessarie prove scientifiche concordanti. Ciò detto, anche in questo caso, in virtù del principio di precauzione, l’onere della prova è modesto. Infatti, all’epoca dei fatti, la minaccia rappresentata dalla pandemia appariva reale e grave e vi era un notevole grado di incertezza quanto alle soluzioni disponibili per porvi rimedio.
98. A questo proposito, il governo belga sostiene che, sebbene non fosse possibile stabilire con certezza, all’epoca dei fatti, che tali misure avrebbero avuto un effetto preventivo, era comunque ragionevole, sulla base delle informazioni scientifiche disponibili in quel momento, supporre che ciò sarebbe potuto avvenire. Vi era un «ampio consenso» tra esperti medici nazionali e consulenti del governo sul fatto che la circolazione internazionale di persone stesse contribuendo in modo significativo alla diffusione della COVID-19. Limitare detta circolazione sembrava quindi una misura idonea a controllare la pandemia.
99. Concordo sul fatto che le autorità belghe potessero ragionevolmente supporre che le restrizioni ai viaggi avrebbero contribuito all’obiettivo inerente alla «sanità pubblica» perseguito. A tal riguardo, tuttavia, si impone una precisazione aggiuntiva, poiché tale contributo non è così ovvio, come è stato suggerito alla Corte dai governi intervenienti e dalla Commissione.
100. Infatti, per quanto riguarda la base scientifica di tali misure, rilevo che, prima della COVID-19, si riteneva, in generale, che le restrizioni ai viaggi non fossero efficaci per contenere l’insorgenza di malattie epidemiche (129). Di conseguenza, nelle prime settimane della pandemia, l’OMS non ha raccomandato l’attuazione di siffatte restrizioni in relazione alla Cina o ad altri paesi (130). Tuttavia, com’è noto, la maggior parte dei paesi non ha tenuto conto della raccomandazione dell’OMS al riguardo (131). Le stesse istituzioni dell’Unione hanno approvato le restrizioni ai viaggi adottate all’interno dell’Unione europea dagli Stati membri e hanno raccomandato l’introduzione di una restrizione temporanea coordinata dei viaggi non essenziali verso l’Unione europea, ritenendo che il massiccio afflusso di persone provenienti da paesi colpiti dal virus comportasse l’«importazione» di un numero considerevole di casi «stranieri» di COVID-19 nei relativi paesi di arrivo, il che avrebbe potuto, com’è di fatto accaduto, dare origine a focolai locali (132). In tale contesto, vari documenti scientifici pubblicati nella primavera del 2020 hanno suggerito che tali restrizioni ai viaggi abbiano effettivamente contribuito a limitare o, quanto meno, a ritardare l’arrivo e l’insorgenza iniziale della malattia nei paesi interessati (133). La stessa OMS ha finito per rivedere la sua posizione e ha ritenuto che dette misure avessero un certo effetto a tal riguardo (134).
101. Occorre tuttavia osservare che, all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, la COVID-19 era già ampiamente presente sul territorio belga. Ci si può legittimamente interrogare sull’opportunità di limitare la circolazione internazionale dopo che il virus si era già diffuso presso la popolazione locale. Tuttavia, come sostenuto dal governo belga, e sebbene gli elementi di prova all’epoca disponibili fossero limitati e inconcludenti (135), era ragionevole supporre che, in un contesto in cui, da un lato, la situazione epidemiologica variava significativamente da uno Stato membro all’altro, con alcuni paesi che registravano un tasso elevato di trasmissione di virus, mentre la situazione sul territorio belga era, in comparazione, sicura (136), e in cui, dall’altro, ci si attendeva, con l’estate alle porte, un ampio afflusso di viaggiatori in arrivo o di ritorno da detti paesi caratterizzati da una maggiore incidenza, per ragioni legate al turismo, mantenere alcune restrizioni ai viaggi tra il Belgio e detti paesi fosse sensato. Ciò avrebbe potuto contribuire – in misura limitata, ma apprezzabile (137) – a evitare il rischio di un nuovo picco di casi di COVID-19 nel territorio belga. Invero, avrebbe potuto impedire una notevole importazione di casi «stranieri» di COVID-19, che avrebbero potuto, a loro volta, sconvolgere il fragile equilibrio locale. Infatti, la stessa OMS ha previsto la possibilità di attuare o mantenere siffatte restrizioni come una delle misure idonee a limitare la trasmissione comunitaria in un contesto di tal genere (138).
102. È evidente che, una volta dimostrato, in misura ragionevole, che la limitazione della circolazione internazionale di persone poteva contribuire a limitare la diffusione della COVID-19, è praticamente indubbio che, come sostengono i governi intervenienti dinanzi alla Corte, il divieto controverso di viaggi «non essenziali» fosse idoneo a limitare tale circolazione tra il Belgio e i paesi ad «alto rischio» di cui trattasi. Il divieto di «ingresso» evitava il rischio che i viaggiatori provenienti da tali zone «portassero con loro» casi di malattia. Il divieto di «uscita» impediva ai residenti belgi di recarsi in dette zone, con lo stesso risultato al momento del loro rientro. Inoltre, gli obblighi di quarantena e di tampone imposti ai residenti in Belgio permettevano alle autorità, come sostenuto dal governo belga, di monitorare da vicino il loro stato di salute, il che poteva contribuire all’individuazione e all’isolamento dei sospetti casi importati, limitando così il rischio di trasmissione alla popolazione locale. (139)
– Le restrizioni ai viaggi controverse erano coerenti
103. La circostanza se le restrizioni ai viaggi controverse «risponde[ssero] realmente» all’intento di raggiungere l’obiettivo di «sanità pubblica perseguito dipende alla questione se dette misure si inserissero in una strategia più ampia intesa a limitare la diffusione della COVID-19 (140). Sembra che ciò sia avvenuto nel caso di specie. Il governo belga indica che, all’epoca dei fatti, erano in atto altri «interventi non farmaceutici» destinati a evitare la trasmissione comunitaria, quali misure igieniche, tamponi, isolamento e ricerca di contatti. Inoltre, quando uno Stato membro limita, come ha fatto il Belgio all’epoca, i viaggi da e verso altri Stati membri a motivo della loro situazione epidemiologica comparativamente peggiore, coerenza esige che esso imponga restrizioni analoghe alla circolazione verso e da zone interne al territorio nazionale caratterizzate da una situazione epidemiologica altrettanto grave (141). Dal fascicolo non risulta chiaramente se ciò sia avvenuto, all’epoca, in Belgio. Ciò dovrebbe essere verificato dal giudice del rinvio.
104. Per quanto riguarda la questione se le misure controverse siano state attuate in modo coerente e sistematico, ricordo che la loro applicazione dipendeva dalla situazione epidemiologica nei paesi interessati, un fattore che è chiaramente coerente con l’obiettivo di sanità pubblica perseguito. Inoltre, a tal riguardo, tutti i paesi caratterizzati da una situazione epidemiologica simile sono stati trattati allo stesso modo. In aggiunta a ciò, la valutazione della situazione in ciascun paese è stata effettuata sulla base di dati ragionevolmente affidabili e aggiornati forniti dall’ECDC (142), fattore che ha indubbiamente contribuito alla coerenza del sistema nel suo complesso.
105. Il fatto che le restrizioni controverse non si applicassero ai viaggi a fini «essenziali» non rimette in discussione, a mio avviso, la loro coerenza. Infatti, un numero limitato di motivi per viaggiare era riconosciuto come «essenziale». La portata di tale esclusione, di conseguenza, non era tale da ostacolare la realizzazione dell’obiettivo di sanità pubblica perseguito (143). Infatti, detta esclusione era una necessità, alla luce di tale obiettivo. Limitare alcuni dei viaggi «essenziali in questione, segnatamente la circolazione di lavoratori «essenziali», come i professionisti sanitari, avrebbe pregiudicato la lotta contro la COVID-19. Infine, come spiegherò in dettaglio nel prosieguo, detta esclusione costituiva un requisito per garantire la rigorosa proporzionalità delle misure di cui trattasi (144). Inoltre, il «bersaglio» delle misure di cui trattasi era, lo ricordo, il potenziale afflusso di viaggiatori a fini turistici che non era interessato da tale esclusione.
ii) Le restrizioni di viaggio contestate sembravano necessarie
106. Anche il requisito per cui qualsiasi misura restrittiva della libera circolazione deve essere «necessaria» comprende due condizioni. Occorre verificare, da un lato, se esistano misure alternative altrettanto efficaci, ma meno restrittive rispetto alla misura scelta, per raggiungere l’obiettivo perseguito (145) e, dall’altro, se detta misura sia «strettamente necessaria», cioè non ecceda quanto necessario per raggiungere l’obiettivo in questione (146).
– Se vi fossero alternative meno restrittive, ma altrettanto efficaci
107. In via preliminare, ricordo che spetta a ciascuno Stato membro stabilire sia il livello al quale esso intende garantire la protezione della sanità pubblica sul suo territorio, sia il modo in cui detta protezione deve essere garantita, a condizione siano soddisfatti i requisiti del diritto dell’Unione. Il fatto che altri Stati membri abbiano imposto misure meno severe non è, pertanto, determinante (147). Ovviamente, maggiore è il livello di tutela della sanità pubblica che si intende conseguire, più severe sono le misure necessarie per conseguirlo. È evidente che, nel caso di specie, il Belgio mirava a un livello di protezione elevato.
108. Passando ora all’esistenza di alternative alle restrizioni ai viaggi controverse, altrettanto efficaci ai fini della protezione della sanità pubblica ma meno restrittive della libertà di circolazione, rilevo che l’onere della prova imposto alle autorità nazionali a tal riguardo non può estendersi sino al punto di esigere che esse dimostrino che nessun’altra misura potesse costituire un’alternativa altrettanto praticabile (148). Pertanto, nel caso di specie, non è necessario esaminare ogni misura ipotizzabile. È sufficiente un esame delle alternative più ovvie, che sono state discusse dinanzi alla Corte.
109. In primo luogo, l’imposizione di misure individuali di diniego d’ingresso o di quarantena soltanto a taluni viaggiatori, ad esempio quelli presentanti sintomi della malattia, sarebbe stato, indubbiamente, meno restrittiva. Tuttavia, non si sarebbe trattato di una misura altrettanto efficace nel prevenire il rischio di «importazione» di casi di COVID-19 al livello perseguito dalle autorità belghe. Anche supponendo che il controllo dei sintomi di tutti i viaggiatori al punto del loro ingresso nel territorio belga fosse praticabile, era ragionevole supporre che un siffatto controllo avrebbe consentito l’identificazione di soltanto alcuni portatori della malattia e che una parte di essi, vale a dire le persone asintomatiche e presintomatiche, sarebbero passate attraverso il filtro senza essere individuata (149). Un controllo generale dei viaggiatori mediante tamponi rapidi avrebbe avuto lacune analoghe (150).
110. In secondo luogo, per raggiungere il livello di protezione perseguito dal governo belga, neppure la semplice imposizione di una quarantena a tutti i viaggiatori in arrivo o al rientro da paesi ad «alto rischio» sarebbe stata efficace quanto un divieto di viaggiare verso e da tali paesi, unitamente a un obbligo di quarantena imposto ai soli residenti. È evidente che l’imposizione ai viaggiatori di una quarantena per un periodo di tempo adeguato contribuisce, in una certa misura, ad attenuare il rischio di cui sopra (151). In teoria, essa garantisce che tutti, compresi i portatori asintomatici e quelli nella fase presintomatica, di incubazione, siano isolati dal resto della popolazione locale e, di conseguenza, non provochino catene di contagio. Tuttavia, come sostenuto dai governi belga e norvegese, se un divieto di viaggi impedisce il rischio di importazione di casi «stranieri» di COVID-19 nel territorio nazionale, la quarantena, di converso, è soltanto una misura correttiva, che opera quando tali casi sono già stati importati e che, a seconda delle sue modalità, è soltanto parzialmente efficace nell’attenuare il rischio di un’ulteriore trasmissione alla popolazione locale. Richiedere la quarantena a domicilio alle persone, come sembra essere avvenuto nel caso di specie, presenta siffatte lacune. Oltre al fatto che le persone possono non adempiere pienamente l’obbligo di isolarsi, sovente esse condividono il loro domicilio con familiari che potrebbero, a loro volta, contagiarsi e diffondere la malattia (152).
– Carattere strettamente necessario delle restrizioni ai viaggi controverse.
111. Quanto alla questione se le restrizioni ai viaggi controverse non eccedessero quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo di «sanità pubblica» perseguito, ricordo che tali misure si applicavano soltanto in riferimento a paesi che si riteneva presentassero un alto rischio per i viaggiatori. Inoltre, benché tale verifica spetti al giudice del rinvio, sembrerebbe che, ogni qual volta fossero disponibili dati relativi al tasso di contagio all’interno di un determinato paese, a livello regionale, le restrizioni erano applicate in modo più mirato, soltanto in riferimento ai viaggi tra il Belgio e le regioni problematiche (153).
112. È vero che sarebbe stato possibile elaborare misure più specifiche, che avrebbero potuto consentire un approccio ancora più mirato. La valutazione della situazione epidemiologica in un determinato paese avrebbe potuto essere più affinata. Considerazioni quali il tasso di effettuazione di tamponi, la struttura della popolazione e così via avrebbero potuto consentire una valutazione più precisa (154). Tuttavia, evidentemente, ciò avrebbe reso la suddetta valutazione più complessa da effettuare, mentre la tempestività era essenziale. Come sottolineato dai governi belga e norvegese, il diritto dell’Unione consente alle autorità nazionali di adottare norme di facile applicazione e attuazione, anche ove queste possano non condurre a una soluzione perfetta per ogni situazione (155).
113. Ricordo inoltre che, per soddisfare il requisito in discussione nella presente sezione, le misure restrittive del diritto di libera circolazione devono altresì essere accompagnate da talune garanzie, idonee ad assicurare che l’ingerenza in tale diritto sia effettivamente limitata allo stretto necessario (156).
114. Nel caso di specie, una prima garanzia contro un’ingerenza non necessaria di questo tipo risiede, a mio avviso, nella rivalutazione periodica delle restrizioni ai viaggi controverse (157). Come sottolineano i governi intervenienti e dalla Commissione, la situazione epidemiologica in ogni paese o regione era riesaminata periodicamente al fine di garantire che le restrizioni trovassero applicazione, in riferimento a una determinata zona, fintantoché detta situazione fosse problematica. I dati sul tasso di contagio nazionale o regionale erano aggiornati, a quanto risulta, su base settimanale (158), sicché le autorità pubbliche potevano adeguare la classificazione per colori in modo dinamico (159). Quanto alla necessità generale di tali misure, spetta al giudice del rinvio verificare se i pertinenti decreti contenessero una «sunset clause» (clausola di caducità) che prevedesse la cessazione della loro applicazione in una determinata data o, quantomeno, se le autorità belghe monitorassero l’evoluzione della minaccia che le giustificava.
115. In secondo luogo, il giudice del rinvio dovrebbe altresì verificare se le garanzie procedurali previste agli articoli 30 e 31 della direttiva sulla cittadinanza fossero operative. Sebbene, come ho indicato al precedente paragrafo 73, le disposizioni in questione non siano state redatte avendo in mente misure generali come quelle di cui trattasi, le suddette garanzie trovavano comunque applicazione. Infatti, esse miravano ad «assicurare (...) un elevato grado di tutela dei diritti del cittadino dell’Unione», nonché «il rispetto del principio secondo il quale gli atti amministrativi devono essere sufficientemente motivati» (160). Le garanzie in questione costituiscono, inoltre, un’espressione specifica del principio della tutela giurisdizionale effettiva, garantito dall’articolo 47 della Carta, ragione in più per la quale esse dovrebbero possedere una portata ampia. Ciò premesso, concordo con il governo belga e la Commissione sul fatto che, nel caso di specie, sono necessari alcuni adattamenti.
116. Da un lato, per quanto concerne gli obblighi di «notifica[re] per iscritto» all’«interessato» il «provvedimento» che limita la sua libera circolazione e di fornirgli informazioni concernenti i motivi che giustificano l’adozione di detto «provvedimento», previsti rispettivamente all’articolo 30, paragrafi 1 e 2, della direttiva sulla cittadinanza, è evidente che le restrizioni ai viaggi controverse non avrebbero potuto essere notificate in tal modo, e che le relative informazioni non avrebbero potuto essere fornite su base individuale a tutte le persone rientranti nel loro ambito di applicazione. Tuttavia, la tutela offerta da tali garanzie doveva essere assicurata in modo adeguato. Come sostenuto dal governo belga in udienza, il fatto che le informazioni concernenti l’adozione di dette restrizioni e i motivi di «sanità pubblica» che le giustificavano fossero state ripetutamente condivise con il pubblico, mediante diversi mezzi di comunicazione seguiti da una vasta platea di destinatari soddisfa, a mio avviso, tale requisito (161).
117. Per quanto riguarda, dall’altro lato, l’obbligo di fornire ai cittadini dell’Unione accesso ai mezzi di impugnazione giurisdizionali al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di ogni «provvedimento» restrittivo del loro diritto di libera circolazione, previsto all’articolo 31, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, esso non implica, a mio avviso, che i cittadini dell’Unione debbano avere il diritto di contestare direttamente misure generali come quelle di cui trattasi qualora una siffatta possibilità non si prevista nel diritto nazionale. Infatti, tale disposizione deve, a mio avviso, essere interpretata alla luce dell’articolo 47 della Carta e dei requisiti essenziali da esso discendenti (162). Ricordo che il principio di tutela giurisdizionale effettiva ivi garantito non richiede, in quanto tale, l’esistenza di un ricorso autonomo diretto a contestare la conformità di disposizioni nazionali con norme dell’Unione, purché vi siano uno o più rimedi giuridici che permettano di garantire, in via incidentale, il rispetto dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione (163).
118. Vi sono vari modi nei quali i giudici belgi potevano garantire, durante la pandemia, la tutela giurisdizionale dei diritti che i cittadini dell’Unione traggono dalla direttiva sulla cittadinanza. In primo luogo, ad esempio, qualsiasi atto mediante il quale le autorità di polizia, sulla base delle restrizioni ai viaggi controverse, avessero negato a una determinata persona l’imbarco su un volo o sanzionato il tentativo di imbarcarsi, si qualificava, di per sé, come un «provvedimento» ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 1, di detta direttiva (164) e, di conseguenza, doveva poter essere sottoposto a controllo giurisdizionale. In tale contesto, l’interessato doveva disporre della possibilità di sollevare, in via pregiudiziale, la questione della compatibilità con il diritto dell’Unione delle misure generali sulla base delle quali tale «provvedimento» era stato adottato. In secondo luogo, era evidentemente possibile farlo nell’ambito di un’azione di risarcimento nei confronti dello Stato, in considerazione del fatto che la Nordic Info ha presentato una domanda di tal genere (165).
119. Nell’ambito dei suddetti mezzi di impugnazione, un cittadino dell’Unione doveva essere in grado non soltanto di contestare la compatibilità generale di tali misure con il diritto dell’Unione, ma anche di sostenere che esse non avrebbero dovuto essere applicate nei suoi confronti. Tale persona doveva essere in grado di sostenere, ad esempio, che le era stato erroneamente negato il diritto di imbarcarsi sul suo volo, quando invece viaggiava per una finalità «essenziale». I giudici dovevano essere in grado di verificare, ad esempio, se le autorità fossero legittimate a stabilire che il viaggio di cui trattasi, pur essendo un viaggio per questioni familiari, non rientrava nella categoria dei «motivi familiari imperativi» (166) o se le circostanze molto specifiche di tale persona avessero dovuto giustificare, al di là di tali categorie generali di viaggi considerati «essenziali», una deroga eccezionale al divieto di viaggio (167).
iii) Rigorosa proporzionalità delle restrizioni ai viaggi controverse
120. La proporzionalità in senso stretto implica una valutazione degli inconvenienti causati da una determinata misura e della questione se tali inconvenienti siano proporzionati rispetto agli scopi perseguiti (168). I governi intervenienti e la Commissione hanno ampiamente omesso la trattazione di tale requisito nelle loro osservazioni. Detta omissione, tuttavia, può essere loro perdonata, poiché questo aspetto del criterio di proporzionalità è generalmente assente nella giurisprudenza «classica» della Corte in materia di libera circolazione (169). Di converso, esso figura in modo relativamente costante nelle sue decisioni relative alla legittimità di misure nazionali che limitano l’esercizio dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, di quest’ultima (170). In tale contesto, la Corte ha chiesto al governo belga e alla Commissione, in udienza, se il giudice del rinvio sia tenuto, di fatto, a verificare anche la rigorosa proporzionalità delle restrizioni ai viaggi controverse. Tali intervenienti hanno ammesso che vi è tenuto. Anch’io sono convinto che si tratti dell’approccio corretto, e ciò per i motivi che seguono.
121. Le misure restrittive della libera circolazione delle persone sollevano, in termini generali, questioni attinenti ai diritti fondamentali. Oltre al fatto che il diritto di libera circolazione di cui godono i cittadini dell’Unione è tutelato, di per sé, nella Carta (171), di regola, le misure nazionali restrittive di tale diritto limitano, al contempo, altri diritti e libertà ivi garantiti. È certamente quanto è avvenuto nel caso di specie. Le restrizioni ai viaggi controverse, avendo ostacolato la circolazione tra gli Stati membri, possono aver limitato, a seconda delle circostanze, (i) il diritto alla vita privata e familiare tutelato dall’articolo 7 (poiché essi potevano, segnatamente, mantenere separate le famiglie) (172), (ii) il diritto all’istruzione tutelato dall’articolo 14 (poiché, ad esempio, detto divieto poteva impedire agli studenti di frequentare corsi presso università straniere), (iii) il diritto al lavoro garantito dall’articolo 15 (potendo impedire alle persone di cercare un lavoro all’estero) e (iv) la libertà d’impresa protetta dall’articolo 16 (segnatamente poiché rendevano praticamente impossibile la prestazione di servizi turistici in riferimento ai paesi ad «alto rischio» di cui trattasi).
122. In situazioni del genere, le condizioni di deroga al diritto di libera circolazione, quali previste all’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, devono essere interpretate in modo conforme ai requisiti derivanti dalla Carta. Infatti, tale disposizione non può tollerare restrizioni non ammesse, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, alla libera circolazione delle persone. Ne consegue, a mio avviso, che, ai sensi della prima disposizione, il criterio di proporzionalità dovrebbe essere tanto stringente quanto ai sensi della seconda.
123. Infatti, vi è una differenza importante, in termini di tutela dei diritti fondamentali, tra i diversi aspetti del criterio di proporzionalità. I requisiti di «idoneità» e di «necessità» riguardano unicamente l’efficienza delle misure in questione rispetto all’obiettivo perseguito. In definitiva, non si tratta che di un controllo giurisdizionale limitato del fatto che le autorità abbiano valutato la situazione di fatto in modo ragionevolmente corretto a tal riguardo. Inoltre, il suddetto controllo dipende fortemente da considerazioni astratte quali il «livello di protezione» dell’interesse in questione perseguito dai poteri pubblici. Come ho già affermato, quanto più elevato è il livello di tutela, tanto più «necessarie» appariranno le misure restrittive, anche quelle particolarmente drastiche. Tuttavia, alcune misure, per quanto possano essere «necessarie» al fine di salvaguardare determinati interessi, sono semplicemente troppo gravose rispetto ad altri interessi per essere accettabili in una società democratica. È proprio questo il senso del requisito di «proporzionalità in senso stretto». Ai sensi di tale requisito, i vantaggi risultanti dalle misure controverse rispetto all’obiettivo perseguito sono bilanciati con gli inconvenienti che esse causano in riferimento ai diritti fondamentali (173). Come rilevato dall’avvocato generale Saugmandsgaard Øe nelle sue conclusioni nella causa Tele2 Sverige e a. (174), tale bilanciamento «dà luogo (...) a un dibattito sui valori che devono prevalere in una società democratica e, in definitiva, sul tipo di società in cui vogliamo vivere». Tale dibattito è necessario, anche in relazione a misure in materia di «sanità pubblica» (175) e, aggiungerei, a maggior ragione in relazione a misure adottate durante la pandemia di COVID-19, tenuto conto del loro impatto senza precedenti sull’intera popolazione degli Stati membri (176).
124. Passando ora alla rigorosa proporzionalità delle restrizioni ai viaggi controverse, desidero osservare che, come indicato in precedenza, da un lato, tali misure hanno limitato, a seconda delle circostanze, vari diritti e libertà fondamentali tutelati dalla Carta. Dall’altro lato, esse sembravano idonee e necessarie per perseguire un obiettivo di interesse generale riconosciuto dall’Unione, vale a dire la protezione della sanità pubblica. Inoltre, come sottolineano i governi belga e norvegese, l’attuazione di tali misure era necessaria per tutelare il «diritto alla salute» delle popolazioni nazionali, che è riconosciuto in numerosi strumenti internazionali dei quali gli Stati membri sono parte e che impone loro obblighi positivi di adottare le misure adeguate, in particolare, per controllare le malattie epidemiche (177). In tale contesto, doveva essere mantenuto un «giusto equilibrio» tra questi diversi diritti e interessi (178).
125. Ovviamente, mantenere un simile bilanciamento non era un’operazione semplice. Mantenere la pandemia sotto controllo e ridurre, al contempo, l’impatto delle misure sanitarie sulle libertà civili era indubbiamente un compito complesso. Le autorità pubbliche hanno dovuto compiere numerose scelte politiche, economiche e sociali, e in tempi alquanto ristretti, tenuto conto della rapida evoluzione della situazione con la quale erano confrontate. Infatti, è probabile che si sia trattato di una delle più grandi sfide cui le autorità pubbliche hanno dovuto far fronte in tempi recenti.
126. Bilanciare i vantaggi e gli svantaggi di restrizioni ai viaggi come quelle di cui trattasi è stato particolarmente difficile. Da un lato, misure del genere potevano aiutare a limitare la diffusione della COVID-19. Dall’altro, esse erano suscettibili di causare notevoli perturbazioni sociali ed economiche (179).
127. In primo luogo, le restrizioni ai viaggi hanno avuto un impatto enorme sulle imprese e sulla relativa libertà garantita ai sensi dell’articolo 16 della Carta. In particolare, le conseguenze per il settore turistico sono state senza precedenti. A causa di tali restrizioni, le attività, in particolare, di operatori turistici quali la Nordic Info hanno subito, in generale, un blocco (180). Tuttavia, a mio avviso, nel bilanciamento di valori concorrenti, le autorità pubbliche potevano ragionevolmente ritenere che la sanità pubblica dovesse prevalere su siffatte considerazioni economiche (181) e/o che una pandemia incontrollata avrebbe potuto avere, nel lungo periodo, conseguenze ben più gravi sull’economia, se non fossero state adottate misure temporanee per limitarne la diffusione. In aggiunta, sono state adottate altre misure a livello dell’Unione e a livello nazionale per attenuare l’impatto di tali restrizioni sul settore in questione (182).
128. In secondo luogo, le restrizioni ai viaggi hanno causato notevoli inconvenienti per gli individui. Tali inconvenienti gravano pesantemente sul cuore dei giuristi europei poiché tali misure hanno hanno avuto il maggiore impatto sul «figlio prediletto» del diritto dell’Unione, vale a dire il cittadino mobile dell’Unione. Lo status in questione e il diritto alla libera circolazione ad esso associato sono stati concepiti come un mezzo di emancipazione degli individui, attraverso lo studio, il lavoro, la creazione di amicizie e di legami familiari, e così via, nell’intera Unione europea. Esso è legato a uno stile di vita: per molti di questi cittadini, gli spostamenti internazionali costituiscono una parte essenziale della loro vita. Improvvisamente, la stessa mobilità promossa dall’Unione europea veniva considerata una minaccia e limitata di conseguenza (183)
129. Ciò premesso, è chiaro che, in linea generale, le restrizioni ai viaggi possono avere un impatto eterogeneo sui cittadini dell’Unione, a seconda delle circostanze. Ad esempio, impedire a una persona di rientrare a casa e/o di riunirsi con i suoi cari in un paese diverso viola il suo diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare in misura maggiore rispetto a impedire semplicemente alla stessa persona di recarsi in Svezia per un viaggio turistico. Questo è il motivo per cui, di regola, la rigorosa proporzionalità di tali misure deve essere valutata in concreto, tenuto conto della situazione individuale delle persone interessate (184).
130. Ho spiegato al paragrafo 132 delle presenti conclusioni che, per quanto riguarda le restrizioni ai viaggi adottate in risposta alla minaccia rappresentata da una malattia epidemica, sovente una siffatta valutazione individuale non è possibile senza compromettere l’efficacia di dette restrizioni. A tal fine possono essere adottate misure generali. Tuttavia, in questa ipotesi deve essere effettuata una valutazione in abstracto della proporzionalità, distinguendo diverse categorie di persone e di circostanze, per tener conto del fatto che alcuni motivi di viaggio meritano maggiore protezione rispetto ad altri e devono prevalere sulle esigenze sanità pubblica (185).
131. Il governo belga ha sostenuto in udienza, in risposta ai quesiti ad esso rivolti dalla Corte, che le restrizioni ai viaggi controverse si fondavano su tale logica. In particolare, per garantire la rigorosa proporzionalità delle misure di cui trattasi, le persone che viaggiavano per fini «essenziali», in particolare per «motivi familiari imperativi», erano state escluse dal loro ambito di applicazione.
132. A mio avviso, ammettendo che le categorie generali dei viaggi «essenziali» siano state concepite in modo sufficientemente ampio da soddisfare i requisiti, in particolare, del diritto fondamentale alla vita privata e familiare, e che gli elementi necessari per provare il carattere «essenziale» di un viaggio non fossero tali da far sì che, nella pratica, viaggiare fosse eccessivamente difficile (186) ciò ha indubbiamente contribuito ad assicurare la rigorosa proporzionalità delle misure controverse (187). Tuttavia, in aggiunta a tali categorie generali, ritengo che le misure controverse dovessero, inoltre, essere applicate in modo flessibile. Altre circostanze individuali specifiche dovevano poter giustificare deroghe eccezionali al momento dell’applicazione. Persone temporaneamente soggiornanti in Belgio dovevano essere autorizzate a rientrare nel loro Stato membro di residenza, fosse esso la Svezia o un altro paese ad «alto rischio» (188). Parimenti, alcune altre circostanze umanitarie potevano e dovevano giustificare una deroga per motivi connessi ai diritti fondamentali. Si tratta di una verifica che spetta al giudice del rinvio.
133. Di converso, le autorità pubbliche potevano ragionevolmente ritenere che i viaggi per scopi turistici, per quanto potessero essere importanti, dovessero essere temporaneamente sacrificati per esigenze di sanità pubblica. Inoltre, a tale riguardo, occorre tenere presente che le restrizioni in questione si applicavano soltanto in riferimento a determinati paesi ad «alto rischio», mentre i viaggi turistici verso altri paesi erano consentiti. Anche ciò ha contribuito alla rigorosa proporzionalità delle misure controverse.
6. Conclusione provvisoria
134. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 5, paragrafo 1, interpretati in combinato disposto con l’articolo 27, paragrafo 1, e l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza, devono essere interpretati nel senso che non ostano, in linea di principio, a misure nazionali, attuate in risposta alla minaccia grave e reale per la sanità pubblica rappresentata da una pandemia, consistenti, da un lato, in un divieto di viaggiare verso e da paesi nei quali la situazione epidemiologica è comparativamente peggiore rispetto a quella esistente nello Stato membro in questione e, dall’altro, in obblighi di quarantena e di tampone per i residenti al momento del loro rientro da detti paesi.
B. Legittimità delle verifiche effettuate per far rispettare le restrizioni ai viaggi controverse (seconda questione)
135. Dinanzi al giudice del rinvio, la Nordic Info sostiene che, al fine di far rispettare le restrizioni ai viaggi discusse nel corso della mia analisi della prima questione, all’epoca dei fatti le autorità belghe hanno effettuato verifiche alle frontiere tra il Belgio e altri Stati Schengen, in violazione delle norme del codice frontiere Schengen.
136. Ricordo che, al fine di attuare l’obiettivo dell’Unione di creare «uno spazio (...) senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone» (189), il codice frontiere Schengen prevede il principio dell’assenza di controlli di frontiera sulle persone che attraversano le «frontiere interne» (190) tra i paesi ai quali si applica l’acquis di Schengen, quali il Belgio e la Svezia (191). L’articolo 22 di detto codice esprime tale principio stabilendo che le frontiere interne possono essere attraversate in qualunque punto senza che sia effettuata una verifica di frontiera sulle persone. Tuttavia, in via eccezionale, gli articoli da 25 a 35 dello stesso codice consentono, a talune condizioni, il ripristino temporaneo di tali verifiche.
137. Nel caso di specie, la Nordic Info sostiene che le verifiche controverse sono state effettuate in violazione dell’articolo 22 del codice frontiere Schengen. Inoltre, a suo avviso, le condizioni per un ripristino eccezionale del controllo di frontiera alle frontiere interne, quale previsto dall’articolo 25 e seguenti di tale codice, non erano soddisfatte.
138. Nell’ordinanza di rinvio, il giudice del rinvio sembra partire dal presupposto che le verifiche effettuate dalle autorità belghe costituissero, di fatto, «verifiche di frontiera», ai sensi dell’articolo 22 del codice frontiere Schengen, e, pertanto, sembra dubitare della loro legittimità soltanto ai sensi dell’articolo 25 e seguenti di tale codice. Tuttavia, nelle sue osservazioni, il governo belga contesta tale presupposto. Inoltre, la seconda questione è formulata in modo ampio e aperto, sicché in essa potrebbe rientrare anche il problema in questione. Di conseguenza, ritengo opportuno fornire alcune precisazioni quanto alle caratteristiche delle verifiche controverse (1), per poi esaminare le condizioni per il ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne (2).
1. Caratteristiche delle verifiche controverse
139. La domanda di pronuncia pregiudiziale è vaga per quanto concerne le verifiche effettuate dalle autorità belghe, all’epoca dei fatti, per far rispettare le restrizioni ai viaggi controverse. Il giudice del rinvio si limita a spiegare, e lo ribadisce nella formulazione della sua seconda questione, che il divieto di viaggi previsto all’articolo 18 del decreto controverso (192) dava «luogo a controlli e sanzioni» in caso di violazione, e che poteva essere «attuato d’ufficio» dalle autorità competenti. Per il resto, tale giudice riprende il contenuto di alcune delle disposizioni pertinenti del diritto belga, senza spiegare ciò che esse implicassero nella pratica. Ad ogni modo, gli elementi che seguono emergono dal fascicolo e, in particolare, dalle risposte fornite dal governo belga ai quesiti posti dalla Corte.
140. Da un lato, è pacifico che, all’epoca dei fatti, le autorità belghe non avevano formalmente ripristinato il controllo di frontiera alle frontiere interne che il Belgio condivide con altri paesi Schengen, conformemente all’articolo 25 e seguenti del codice frontiere Schengen. Dall’altro, alcune verifiche sono state effettuate, all’epoca, da agenti di polizia, in particolare:
– negli aeroporti, in linea di principio per tutti i voli. Tuttavia, per i voli provenienti da paesi Schengen «ad alto rischio»/«rossi», venivano effettuate verifica a campione sui passeggeri;
– nelle stazioni ferroviarie, mediante agenti che effettuavano verifiche a campione su passeggeri su treni internazionali ad alta velocità provenienti dai paesi confinanti al momento della discesa nella prima stazione in cui tali treni si fermavano dopo l’ingresso nel territorio belga;
– sulle strade che attraversano le frontiere, mediante unità mobili di agenti che effettuavano verifiche a campione durante il loro orario di lavoro normale.
141. Secondo il governo belga, tali verifiche non erano «verifiche di frontiera» ai sensi dell’articolo 22 del codice frontiere Schengen. Si sarebbe trattato di casi di mero «esercizio delle competenze di polizia da parte delle autorità competenti degli Stati membri in forza della legislazione nazionale (...)» che, inoltre, non avevano un «effetto equivalente alle verifiche di frontiera» ai sensi dell’articolo 23, lettera a), di detto codice. Esse non rientravano, pertanto, nel divieto di controlli di frontiera alle frontiere interne, come chiarito da quest’ultima disposizione.
142. La corretta caratterizzazione delle verifiche controverse è, evidentemente, una questione il cui esame spetta al giudice del rinvio. Tuttavia, al fine di assistere detto giudice a tal riguardo, formulerò alcune osservazioni.
143. Da un lato, le verifiche controverse sembrerebbero, a prima vista, rispondere alla definizione di «verifiche di frontiera» di cui all’articolo 2, punto 11, del codice frontiere Schengen. In primo luogo, apparentemente, esse sono state «effettuate ai valichi di frontiera» o nei pressi di essi, almeno per quanto concerne le strade e gli aeroporti (193), anche se nel caso delle stazioni ferroviarie la situazione non è molto diversa. (194) In secondo luogo, esse sono state presumibilmente effettuate «al fine di accertare che le persone (...) po[tessero] essere autorizzat[e] ad entrare nel territorio [di uno Stato membro] o autorizzat[e] a lasciarlo», poiché, a quanto risulta, gli agenti di polizia verificavano che i viaggiatori soddisfacessero almeno una delle condizioni all’epoca imposte per «essere autorizzat[i] ad entrare» nel territorio belga o a «lasciarlo», vale a dire che essi stessero viaggiando per un «fine essenziale» o, in alternativa, che non provenissero da un paese ad «alto rischio» o tentassero di recarvisi.
144. Dall’altro lato, il fatto che, apparentemente, le verifiche controverse non siano state effettuate in strutture fisse, bensì da unità mobili di agenti di polizia presenti in luoghi diversi in momenti diversi, unitamente al fatto che dette verifiche non fossero sistematiche (195), bensì «verifiche a campione» aleatorie, costituiscono forti indizi (196) del fatto che si trattasse, come sostenuto dal governo belga, di casi di «esercizio delle competenze di polizia (...) nelle zone di frontiera», come previsto dall’articolo 23, lettera a), del codice frontiere Schengen. Purché l’intensità e la frequenza di tali verifiche, che spetta al giudice del rinvio accertare sulla base delle norme pertinenti del diritto belga, non siano state tali da conferire loro un «effetto equivalente alle verifiche di frontiera», esse non rientravano, di fatto, nel divieto previsto dall’articolo 22 del codice frontiere Schengen (197). Il fatto che l’articolo 23, lettera a), preveda, al punto ii), soltanto l’effettuazione di verifiche in risposta a «minacce per la sicurezza pubblica» e non a «minacce per la sanità pubblica» è irrilevante a tal riguardo. Infatti, la suddetta disposizione non fornisce alcuna base giuridica per l’esercizio di «competenze di polizia», né indica i motivi sulla base dei quali essi possano essere esercitati, dato che detti motivi sono individuati dal diritto nazionale pertinente, e l’ipotesi di verifiche legate alla sicurezza pubblica è prevista meramente a titolo di esempio (198).
2. Condizioni per il ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne
145. Nella sezione precedente ho spiegato il motivo per cui, a mio avviso, fatta salva la verifica del giudice del rinvio, controlli come quelli effettuati dalle autorità belghe, all’epoca dei fatti, per far rispettare le restrizioni ai viaggi controverse non costituivano «verifiche di frontiera» vietate alle frontiere interne, ai sensi dell’articolo 22 del codice frontiere Schengen. Pertanto, la questione se le condizioni per un ripristino eccezionale del controllo di frontiera a tali frontiere fossero soddisfatte, all’epoca, in Belgio, non appare più rilevante. Tuttavia, la tratterò per ragioni di completezza (199).
146. L’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen stabilisce il quadro generale che disciplina il ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne. Esso prevede, segnatamente, che tale controllo possa essere ripristinato «[i]n caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna» di uno Stato membro. Altre condizioni procedurali e sostanziali devono essere soddisfatte, come spiegherò nel prosieguo (200).
147. Tuttavia, indipendentemente dalla questione se tali altre condizioni fossero soddisfatte all’epoca dei fatti in Belgio, la Nordic Info sostiene che il ripristino del controllo di frontiera non era chiaramente possibile in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, per la semplice ragione che l’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen non fa riferimento alla «sanità pubblica» come giustificazione di una misura del genere. Detto problema, come risulta dalla decisione di rinvio, si colloca al centro della seconda questione proposta dal giudice del rinvio. Di conseguenza, esaminerò anzitutto, in termini astratti, l’ambito di applicazione della suddetta disposizione (a), per poi formulare alcune brevi osservazioni sulla questione se le condizioni per l’attuazione di una siffatta misura fossero soddisfatte nelle circostanze del caso di specie (b).
a) Ambito di applicazione dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen
148. A mio avviso, l’argomento della Nordic Info concernente i motivi in base ai quali il controllo di frontiera alle frontiere interne può essere legittimamente ripristinato ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen ha un certo peso (201).
149. Infatti, mentre l’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva sulla cittadinanza menziona espressamente motivi «di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica» (il corsivo è mio) quali motivi che giustificano restrizioni alla libera circolazione, l’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen fa riferimento, per quanto riguarda il controllo di frontiera alle frontiere interne, soltanto a una «minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna», omettendo, a quanto pare, la «sanità pubblica». La prevenzione di ««minacc[e] per la salute pubblica» degli Stati membri, infatti, è menzionata in tale codice soltanto in riferimento all’ingresso di cittadini di paesi terzi che arrivano alle frontiere esterne (202).
150. Inoltre, un’analisi della genesi di detto codice tende a indicare che tale differenza di regime non costituisce una mera omissione, bensì una scelta deliberata del legislatore dell’Unione. A tal riguardo, ricordo che la Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen(203), firmata a Schengen il 19 giugno 1990 (204), non menzionava la «sanità pubblica» né in riferimento alle condizioni d’ingresso degli stranieri, né in relazione al ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne (205). Ciononostante, nella sua proposta legislativa, divenuta la prima versione del codice frontiere Schengen (206), la Commissione ha proposto, in particolare, di aggiungere alle condizioni d’ingresso esistenti la circostanza che gli stranieri non fossero considerati pericolosi per la salute pubblica (207) e che il controllo di frontiera potesse essere ripristinato in caso di «minaccia grave per l’ordine pubblico, la salute pubblica o la sicurezza interna» (208)’. Tuttavia, in occasione della prima lettura del testo, il Parlamento europeo ha modificato le disposizioni relative al controllo di frontiera alle frontiere interne, eliminando ogni riferimento alle minacce alla «salute pubblica». (209) L’emendamento in questione è sopravvissuto al resto del processo legislativo.
151. Ciò precisato, al pari dei governi belga, norvegese e svizzero, nonché della Commissione, sono dell’avviso che, sebbene una «minaccia per la salute pubblica» non possa, di per sé, giustificare il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen, alcune situazioni connesse alla sanità pubblica sono talmente gravi da poter rientrare nella nozione di «minaccia grave per l’ordine pubblico» di cui a tale disposizione (210).
152. Sebbene la nozione di «minaccia grave per l’ordine pubblico» non sia definita nel codice frontiere Schengen, dal considerando 27 di tale codice risulta che il legislatore dell’Unione ha ritenuto applicabile, a tal riguardo, la definizione fornita dalla Corte nella sua giurisprudenza in materia di libera circolazione. Secondo la giurisprudenza pertinente, la nozione di «ordine pubblico» presuppone l’esistenza di una «minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società» (211).
153. In primo luogo, la protezione della popolazione contro i danni causati, segnatamente, dalla lotta contro malattie epidemiche, unitamente alla prestazione di assistenza sanitaria a detta popolazione, può facilmente essere considerata costituire un siffatto «interesse fondamentale della società». Infatti, potrebbe trattarsi di una delle «funzioni essenziali dello Stato» che l’Unione «rispetta» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE. In secondo luogo, i rischi posti da malattie di questo genere possono, in talune circostanze, essere a tal punto gravi da costituire una «minaccia reale, attuale e sufficientemente grave» da pregiudicare un siffatto «interesse» (212).
154. Nella misura in cui, ad esempio, una determinata pandemia rientri nella definizione di «ordine pubblico» sopra richiamata, non vedo alcun motivo per escluderla dall’ambito di applicazione dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen. La formulazione di tale disposizione non è sottoposta a condizioni per quanto concerne il tipo di «minaccia grave per l’ordine pubblico» idonea a giustificare il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne. Purché si tratti di una minaccia «grave», qualsiasi minaccia di tal genere è inclusa. Gli elementi storici discussi in precedenza non escludono, a mio avviso, siffatta interpretazione (213). Per essere chiari, ciò non significa che le nozioni di «sanità pubblica» e di «ordine pubblico» coincidano, o che la prima possa sempre giustificare una siffatta misura. Ciò si verifica soltanto in circostanze eccezionali, in cui la situazione a livello di sanità pubblica è sufficientemente grave da minacciare gravemente l’ordine pubblico (214).
b) Se le condizioni per il ripristino del controllo di frontiera fossero soddisfatte nelle circostanze di cui trattasi
155. Poiché il giudice del rinvio non chiede, in verità, se le condizioni per il ripristino del controllo di frontiera fossero soddisfatte nelle circostanze di cui trattasi e poiché, inoltre, è probabile che eventuali chiarimenti sul punto siano irrilevanti ai fini del procedimento principale, mi limiterò a formulare alcune osservazioni su tale aspetto.
156. In primo luogo, come ho appena spiegato, il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne è giustificabile, ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen, in risposta a una «minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro». Quanto alla questione se la pandemia di COVID-19 costituisse, di fatto, una «minaccia» di tal genere all’epoca dei fatti, rimando ai precedenti paragrafi da 76 a 86.
157. In secondo luogo, dall’articolo 25, paragrafo 2, e dall’articolo 26 del codice frontiere Schengen risulta che l’attuazione di siffatta misura deve rispettare il principio di proporzionalità (215).
158. In primo luogo, per quanto riguarda la questione se il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne costituisca una misura idonea a rispondere alla «minaccia grave per l’ordine pubblico» che la COVID-19 può aver rappresentato all’epoca, rimando ai paragrafi da 97 a 102 delle presenti conclusioni per una discussione sull’effetto (limitato) delle restrizioni alla circolazione internazionale delle persone sulla diffusione di una malattia epidemica. Tuttavia, poiché restrizioni ai viaggi come quelle di cui trattasi erano, a tal riguardo, idonee, mi sembra che lo stesso valga per il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne. Infatti, tale misura ha contribuito (o avrebbe potuto contribuire) a garantire il rispetto di tali restrizioni e, pertanto, alla loro applicazione sistematica e coerente.
159. In secondo luogo, la questione se il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne fosse necessario dipende, in sostanza, dalla questione se misure alternative sarebbero state meno restrittive, ma altrettanto efficaci, per far rispettare le restrizioni ai viaggi controverse. A tal riguardo, osservo che «verifiche a campione» aleatorie effettuate sul territorio, anche nelle zone di frontiera, accompagnate da sanzioni effettive e dissuasive in caso di violazione di tali misure, potevano costituire, probabilmente, un mezzo meno restrittivo ma altrettanto efficace per garantirne il rispetto e, del resto, sembra che sia precisamente questo l’approccio scelto dalle autorità belghe all’epoca dei fatti (216).
160. In terzo luogo, per quanto concerne la proporzionalità in senso stretto del ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne, richiamo le mie osservazioni di cui ai precedenti paragrafi da 120 a 133, per una discussione sull’accettabilità, in una società democratica, di restrizioni alla circolazione internazionale delle persone per motivi di «sanità pubblica». Aggiungo altresì che, al di là degli inconvenienti causati da restrizioni sostanziali ai viaggi, le verifiche di frontiera comportano, di per sé, determinati svantaggi (217). Le verifiche di frontiera effettuate dagli Stati membri durante la pandemia hanno ostacolato in modo notevole la circolazione delle persone che viaggiavano per fini «essenziali» non erano perciò sottoposte a divieti di viaggio, e per le quali l’attraversamento senza ostacoli delle frontiere era fondamentale. L’impatto di tali verifiche sui lavoratori transfrontalieri e sugli operatori sanitari era, talora, notevole, specialmente quando esse causavano lunghe code e ritardi considerevoli. Lo stesso vale per quanto concerne la circolazione di merci tra le frontiere. Come minimo, al fine di «bilanciare» gli eventuali vantaggi e svantaggi del controllo di frontiera, dovevano essere adottate misure quali il sistema delle «vie verdi» raccomandato dalla Commissione, per facilitare il flusso delle persone e delle merci «essenziali» (218).
161. Infine, ricordo che occorre seguire una procedura specifica per ripristinare il controllo di frontiera alle frontiere interne. In particolare, ai sensi dell’articolo 27 del codice frontiere Schengen, le autorità nazionali devono notificare tale intenzione alle loro omologhe negli altri Stati membri e alla Commissione, almeno quattro settimane prima del ripristino previsto. In via eccezionale, ai sensi dell’articolo 28, esse possono ripristinare immediatamente il controllo di frontiera, notificando contestualmente tale misura. In entrambi i casi, è necessaria una notificazione. Sembrerebbe che non tutti gli Stati membri che hanno attuato tale misura nel corso della pandemia abbiano adempiuto a tale obbligo (219).
3. Conclusione provvisoria
162. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen non osta, in linea di principio, a che uno Stato membro ripristini temporaneamente il controllo di frontiera alle frontiere interne in risposta a una pandemia, purché quest’ultima sia sufficientemente grave da poter essere qualificata come una «minaccia grave per l’ordine pubblico» ai sensi della suddetta disposizione e che tutte le condizioni ivi stabilite siano soddisfatte.
V. Conclusione
163. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali proposte dal Nederlandstalige rechtbank van eerste aanleg Brussel (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua neerlandese, Belgio) nei seguenti termini:
1) L’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 5, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 27, paragrafo 1, e con l’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE,
devono essere interpretati nel senso che
essi non ostano, in linea di principio, a misure nazionali, attuate in risposta alla minaccia grave e reale per la sanità pubblica rappresentata da una pandemia, consistenti, da un lato, in un divieto di viaggiare verso e da paesi nei quali la situazione epidemiologica è comparativamente peggiore rispetto a quella esistente nello Stato membro in questione e, dall’altro, in obblighi di quarantena e di tampone per i residenti al loro rientro da detti paesi.
2) L’articolo 25, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen)
deve essere interpretato nel senso che
esso non osta, in linea di principio, a che uno Stato membro ripristini temporaneamente il controllo di frontiera alle frontiere interne in risposta a una pandemia, purché quest’ultima sia sufficientemente grave da poter essere qualificata come una «minaccia grave per l’ordine pubblico» ai sensi della suddetta disposizione e che tutte le condizioni ivi stabilite siano soddisfatte.