Language of document : ECLI:EU:T:2018:679

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

15 ottobre 2018 (*)

«Marchio dell’Unione europea – Opposizione – Domanda di marchio dell’Unione europea denominativo MINERAL MAGIC – Marchio nazionale denominativo anteriore MAGIC MINERALS BY JEROME ALEXANDER – Impedimento relativo alla registrazione – Articolo 8, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 207/2009 [divenuto articolo 8, paragrafo 3, del regolamento (UE) 2017/1001]»

Nella causa T‑7/17,

John Mills Ltd, con sede in Londra (Regno Unito), rappresentata da S. Malynicz, QC,

ricorrente,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da A. Lukošiūtė e D. Hanf, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO e interveniente dinanzi al Tribunale:

Jerome Alexander Consulting Corp., con sede in Surfside, Florida (Stati Uniti), rappresentata da T. Bamford e C. Rani, solicitors,

avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della prima commissione di ricorso dell’EUIPO, del 5 ottobre 2016 (procedimento R 2087/2015-1), relativa ad un procedimento di opposizione tra Jerome Alexander Consulting e John Mills,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione),

composto da M. Prek (relatore), presidente, E. Buttigieg e B. Berke, giudici,

cancelliere: X. Lopez Bancalari, amministratore

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 5 gennaio 2017;

visto il controricorso dell’EUIPO depositato presso la cancelleria del Tribunale il 31 marzo 2017;

visto il controricorso dell’interveniente, depositato presso la cancelleria del Tribunale il 3 aprile 2017;

in seguito all’udienza del 5 febbraio 2018;

vista l’ordinanza del 13 marzo 2018 di riapertura della fase orale del procedimento;

visto il quesito scritto del Tribunale alle parti e le loro risposte a tale quesito depositate presso la cancelleria del Tribunale il 30 marzo e il 4 aprile 2018;

vista la decisione dell’11 aprile 2018 di chiusura della fase orale del procedimento,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 18 settembre 2013 la John Mills Ltd, ricorrente, ha presentato una domanda di registrazione di marchio dell’Unione europea presso l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), ai sensi del regolamento n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1)].

2        Il marchio del quale è stata chiesta la registrazione è il seguente segno denominativo:

MINERAL MAGIC

3        I prodotti oggetto della domanda di registrazione rientrano nella classe 3 ai sensi dell’Accordo di Nizza relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come riveduto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione: «Lozioni per capelli; prodotti esfolianti; saponi; prodotti di profumeria; oli eterici; cosmetici; prodotti per la pulizia e la cura della pelle, del cuoio capelluto e dei capelli; deodoranti per uso personale (profumeria)».

4        La domanda di marchio dell’Unione è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 2014/14, del 23 gennaio 2014.

5        Il 23 aprile 2015 la Jerome Alexander Consulting Corp., interveniente, ha proposto opposizione ai sensi dell’articolo 41 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 46 del regolamento 2017/1001) alla registrazione del marchio richiesto per i prodotti di cui al precedente punto 3.

6        L’opposizione si fondava sui seguenti marchi anteriori:

–        il marchio americano denominativo MAGIC MINERALS BY JEROME ALEXANDER n. 4274584, designante i seguenti prodotti: «cipria per il viso contenente minerali»;

–        il marchio americano denominativo MAGIC MINERALS, non registrato, designante i seguenti prodotti: «Cosmetici».

7        Gli impedimenti dedotti a sostegno dell’opposizione erano quelli di cui all’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 2017/1001).

8        Con decisione del 18 agosto 2015, la divisione di opposizione ha respinto l’opposizione.

9        Il 15 ottobre 2015 l’interveniente ha presentato all’EUIPO un ricorso avverso la decisione della divisione di opposizione, ai sensi degli articoli da 58 a 64 del regolamento n. 207/2009 (divenuti articoli da 66 a 71 del regolamento 2017/1001).

10      Con decisione del 5 ottobre 2016 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso dell’EUIPO ha annullato la decisione della divisione di opposizione e, sulla base dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009, ha negato la registrazione del marchio richiesto.

11      In primo luogo, la commissione di ricorso ha preso atto del fatto che l’interveniente rinunciava a fondare la propria opposizione sul marchio americano, non registrato, MAGIC MINERALS e che si limitava a far valere il marchio americano denominativo MAGIC MINERALS BY JEROME ALEXANDER.

12      In secondo luogo, la commissione di ricorso ha fatto riferimento all’obiettivo dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 – evitare la sottrazione di un marchio da parte dell’agente del titolare dello stesso – e le condizioni che, a suo parere, dovevano essere soddisfatte perché l’opposizione possa essere accolta sulla base di tale disposizione, vale a dire che l’opponente sia il titolare del marchio anteriore, che il richiedente il marchio sia o sia stato l’agente o il rappresentante del titolare summenzionato, che la domanda sia stata presentata a nome dell’agente o del rappresentante senza il consenso del titolare e senza che ricorrano ragioni legittime a giustificazione del comportamento dell’agente o del rappresentante e che la domanda abbia ad oggetto segni e prodotti identici o simili.

13      In terzo luogo, la commissione di ricorso ha analizzato in concreto se i criteri necessari per l’accoglimento dell’opposizione sulla base dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 fossero soddisfatti. Innanzi tutto, per quanto concerne la sussistenza di una relazione agente/mandante, la commissione di ricorso ha sottolineato che i termini «agente» e «rappresentante» devono essere interpretati estensivamente. Nel caso di specie, essa ha osservato che il contratto di distribuzione tra le parti prevedeva che la ricorrente si sarebbe fatta carico di distribuire i prodotti dell’interveniente all’interno dell’Unione. Essa ha inoltre rilevato che nel contratto figuravano disposizioni riguardanti l’esclusività del contratto, una clausola di non concorrenza nonché disposizioni relative ai diritti di proprietà intellettuale dell’interveniente. Essa ha ritenuto che gli elementi di prova, vale a dire buoni d’ordine di cui uno recante una data anteriore di due mesi rispetto al deposito del marchio richiesto, forniti dall’interveniente, attestavano l’esistenza di una relazione commerciale significativa oltre la semplice relazione normale tra fornitore e distributore. Essa ha quindi riconosciuto che al momento del deposito del marchio richiesto sussisteva una relazione commerciale reale, effettiva e duratura, tale da far sorgere un generale obbligo di fiducia e lealtà, e che la ricorrente era un agente ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009.

14      In quarto luogo, la commissione di ricorso ha evidenziato che l’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 riguardava, oltre all’ipotesi in cui i beni o i servizi confrontati sono identici, quelli in cui essi sono simili. Essa ha rilevato che, nel caso di specie, i prodotti designati dai segni contrapposti erano identici – atteso che i «cosmetici» oggetto del marchio richiesto comprendono la «cipria per il viso contenente minerali» coperta dal marchio anteriore – o simili – atteso che gli altri prodotti contrassegnati dal marchio richiesto sono collegati con quelli coperti dal marchio anteriore, giacché possono essere composti da identici ingredienti, sono spesso prodotti dalle stesse imprese e sono offerti congiuntamente nelle rivendite di articoli di profumeria e casalinghi e sui medesimi scaffali dei punti vendita al dettaglio.

15      Per quanto riguarda i segni, la commissione di ricorso ha ritenuto che essi fossero simili. Anzitutto, essa ha rilevato la notevole somiglianza tra i due primi elementi denominativi («magic» e «minerals») del marchio anteriore e gli elementi denominativi del marchio richiesto. Poi, essa ha sottolineato che il marchio anteriore poteva essere percepito dal pubblico di riferimento dell’Unione come un segno composto da due elementi: l’elemento «by jerome alexander» sarebbe percepito come atto ad identificare la società capogruppo, vale a dire l’entità responsabile del prodotto, e l’elemento «magic minerals» sarebbe probabilmente percepito come diretto ad individuare il prodotto stesso o la linea di prodotti. Da ultimo, essa ha ritenuto che il fatto che lo United States patent and trademark office (USPTO, Ufficio dei brevetti e dei marchi degli Stati Uniti) non avesse opposto obiezioni alla registrazione del marchio MAGIC MINERALS BY JEROME ALEXANDER, malgrado l’esistenza del marchio MINERAL MAGIC COSMETICS, non significasse che non sussistesse alcun rischio di confusione tra gli stessi. Essa ha infatti rilevato che il titolare del marchio MINERAL MAGIC COSMETICS avrebbe dovuto presentare opposizione al riguardo. In considerazione di tutti i suddetti elementi, la commissione di ricorso ha accolto l’opposizione fondata sull’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009.

 Procedimento e conclusioni delle parti

16      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’EUIPO e l’interveniente alle spese.

17      L’EUIPO chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere integralmente il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese sostenute dall’EUIPO.

18      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere integralmente il ricorso;

–        confermare la decisione impugnata;

–        condannare la ricorrente a sopportare le proprie spese e quelle sostenute dall’interveniente e dall’EUIPO.

 In diritto

19      A sostegno del proprio ricorso la ricorrente deduce, in sostanza, un motivo unico, relativo alla violazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 e suddiviso in tre censure. La prima censura verte sul fatto che la commissione di ricorso avrebbe erroneamente ritenuto che la ricorrente fosse un agente o rappresentante, ai sensi di tale disposizione, del titolare del marchio anteriore. Nell’ambito della seconda censura, essa sostiene che la commissione di ricorso ha commesso un errore di diritto dichiarando che l’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 fosse applicabile nonostante i segni contrapposti fossero semplicemente simili e non identici. La terza censura poggia sul fatto che la commissione di ricorso ha ritenuto a torto che la disposizione di cui sopra fosse applicabile benché i prodotti oggetto del marchio anteriore non fossero identici a quelli oggetto del marchio richiesto.

20      Il Tribunale ritiene opportuno esaminare, in primo luogo, il secondo motivo, vertente sull’erronea applicazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 nel caso di segni simili.

21      La ricorrente sostiene che la commissione di ricorso ha commesso un errore ritenendo che fosse sufficiente che il marchio anteriore fosse semplicemente simile – e non identico – al marchio richiesto perché potesse essere fatto valere l’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009. Essa adduce inoltre che la commissione di ricorso ha erroneamente preso in considerazione la prospettiva del pubblico dell’Unione, mentre il pubblico interessato dal marchio americano denominativo anteriore è il pubblico americano.

22      L’EUIPO, sostenuto dall’interveniente, contesta gli argomenti della ricorrente. Esso ritiene che un’interpretazione strettamente letterale dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 implicherebbe che tale disposizione fosse applicabile solo qualora i segni siano identici e renderebbe la stessa inoperante. L’EUIPO ritiene infatti che il richiedente il marchio potrebbe sottrarsi alla sua applicazione modificando lievemente il marchio anteriore e che tale situazione potrebbe compromettere seriamente gli interessi del titolare del marchio anteriore. Esso è del parere che, nel caso in cui il marchio fosse stato registrato nonostante la somiglianza tra i due segni, il richiedente il marchio controverso sarebbe in grado di evitare qualunque registrazione successiva e qualunque uso del marchio anteriore da parte del titolare originario. Ebbene, l’obiettivo della disposizione succitata sarebbe precisamente quello di evitare la sottrazione di un marchio da parte dell’agente del titolare dello stesso, poiché l’agente potrebbe sfruttare le conoscenze e l’esperienza acquisite durante la relazione commerciale traendo, pertanto, un indebito profitto dal lavoro e dagli investimenti effettuati dal titolare. A suo avviso, occorre procedere ad un’interpretazione differenziata della disposizione in parola per tutelare efficacemente il legittimo titolare dalle pratiche sleali dei suoi rappresentanti, estendendo la sua applicazione al di là dell’identità in senso stretto. Il confronto dei segni effettuato alla luce dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 [divenuto articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 2017/1001] e quello effettuato a norma dell’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento non sarebbero necessariamente gli stessi. Esso sostiene che il raffronto dei segni ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 è incentrato sugli interessi del titolare del marchio anteriore. Nel caso di specie, la commissione di ricorso non avrebbe applicato il criterio della somiglianza di cui all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, ma avrebbe esaminato, in funzione della natura specifica dei segni, se questi potessero essere considerati «sostanzialmente» simili, sicché i legittimi interessi del titolare del marchio sarebbero stati compromessi e la ricorrente avrebbe potuto trarre indebito vantaggio dalla sua relazione con detto titolare. Di conseguenza, tenuto conto della specifica natura dei segni in questione, nel caso di specie l’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 sarebbe applicabile al di là dell’identità dei segni.

23      Si deve rammentare che, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009, «[in] seguito all’opposizione del titolare del marchio, un marchio è del pari escluso dalla registrazione se l’agente o il rappresentante del titolare del marchio presenta la domanda a proprio nome e senza il consenso del titolare».

24      Detta non menziona in modo esplicito un requisito d’identità né di somiglianza tra il marchio del titolare e il marchio richiesto dall’agente o dal rappresentante.

25      Tuttavia, l’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento 207/2009 va interpretato alla luce dell’obiettivo di evitare la sottrazione del marchio del titolare da parte dell’agente o del rappresentante di questo, poiché l’agente o il rappresentante potrebbe sfruttare le conoscenze e l’esperienza acquisite durante la relazione commerciale con il titolare traendo, pertanto, un indebito profitto dal lavoro e dagli investimenti effettuati dallo stesso titolare del marchio [v. in tale senso, sentenza del 29 novembre 2012, Adamowski/UAMI – Fagumit (FAGUMIT), T‑537/10 e T‑538/10, EU:T:2012:634, punto 22]. Tale disposizione richiede quindi, in sostanza, che vi sia un rapporto diretto tra il marchio del titolare e quello la cui registrazione è richiesta a proprio nome dall’agente o dal rappresentante. Tale rapporto è ipotizzabile soltanto se i marchi in questione corrispondono.

26      In tal senso, i lavori preparatori del regolamento sul marchio comunitario forniscono un chiarimento utile circa le intenzioni del legislatore e sono in linea con l’interpretazione secondo cui il marchio anteriore e il marchio richiesto devono essere identici – e non semplicemente simili – perché l’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 possa trovare applicazione.

27      Infatti, come ricordato dalla ricorrente, il legislatore dell’Unione aveva inizialmente previsto, nel progetto preliminare di regolamento sul marchio comunitario, che la disposizione in esame potesse applicarsi anche nell’ipotesi di un segno simile. Tale possibilità, tuttavia, non è stato inserita nella versione finale dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1).

28      Analogamente, nel documento n. 11035/82 del Consiglio dell’Unione europea del 1o dicembre 1982, che riporta una sintesi delle conclusioni del gruppo di lavoro sul regolamento sul marchio comunitario in seno al Consiglio, il gruppo di lavoro ha espressamente affermato di non aver adottato la proposta di una delegazione diretta a far sì che la disposizione in esame fosse applicabile anche nel caso di marchi «simili» per «prodotti simili».

29      A tale proposito, nella sua risposta al quesito scritto posto dal Tribunale, l’EUIPO ha sostenuto, da un lato, che tale estratto dei lavori preparatori poteva essere interpretato solo nel senso che il Consiglio avrebbe semplicemente rifiutato di stabilire «in termini positivi» che la disposizione in questione dovesse applicarsi quando i marchi fossero identici o simili e, dall’altro, che detto estratto doveva essere valutato tenendo conto del fatto che i servizi della Commissione europea avevano suggerito di utilizzare l’espressione «identici o simili» nella versione del progetto preliminare di regolamento. Siffatti argomenti devono essere respinti.

30      Infatti, in primo luogo, la circostanza che il legislatore abbia rinunciato in due occasioni a fare esplicito riferimento al fatto che la disposizione pertinente avrebbe dovuto applicarsi anche nel caso di marchi simili –– la prima, modificando il progetto preliminare di regolamento sul punto, la seconda, respingendo esplicitamente la richiesta di una delegazione – dimostra in modo sufficiente la sua intenzione al riguardo.

31      In secondo luogo, dalla formulazione del documento n. 11035/82, risulta che è la proposta in quanto tale della delegazione interessata volta a far sì che detta disposizione si applichi anche ai marchi simili ad essere stata respinta, e non, contrariamente a quanto suggerisce l’EUIPO, la sola proposta di inserire i termini «identici o simili» nella stessa disposizione.

32      In terzo luogo, nello stesso documento n. 11035/82, il gruppo di lavoro ha sottolineato di aver acconsentito a che la disposizione in esame fosse interpretata nel senso che la stessa è applicabile a livello internazionale ai sensi dell’articolo 6 septies della Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, del 20 marzo 1883, quale rivista e modificata.

33      Al riguardo, si deve sottolineare che l’Unione è parte contraente dell’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPS), del 15 aprile 1994 (GU 1994, L 336, pag. 214), che costituisce l’allegato 1 C dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (GU 1994, L 336, pag. 3), e che l’articolo 2 di detto accordo rinvia a diverse disposizioni sostanziali della Convenzione di Parigi, tra cui l’articolo 6 septies. Di conseguenza, e come d’altra parte sottolineato dallo stesso EUIPO nella sua risposta al quesito del Tribunale, l’Unione è tenuta a interpretare l’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 quanto più possibile alla luce della lettera e della finalità di detto accordo (v., in tale senso, sentenza del 16 novembre 2004, Anheuser-Busch, C‑245/02, EU:C:2004:717, punto42), e quindi dell’articolo 6 septies della Convenzione di Parigi.

34      L’articolo citato prevede che, se l’agente o il rappresentante del titolare di un marchio in uno dei paesi dell’Unione per la protezione della proprietà industriale domanda, senza esserne autorizzato, la registrazione a suo nome di «tale» marchio, in uno o più dei suddetti paesi, il titolare avrà il diritto di opporsi alla registrazione richiesta. Tale disposizione, così come è formulata, non può essere interpretata se non nel senso che il marchio del titolare e quello depositato dall’agente o rappresentante siano gli stessi. Va precisato che la versione inglese della succitata disposizione può essere anche intesa nel senso che il marchio del titolare e quello depositato dall’agente o rappresentante devono essere identici. In effetti, tale versione si riferisce al titolare di «un» marchio («the proprietor of a mark») e menziona quindi la registrazione «del» marchio («the registration of the mark»), e quest’ultimo può essere unicamente inteso come quello del titolare.

35      Considerato il tenore inequivocabile dell’articolo 6 septies della Convenzione di Parigi, l’EUIPO non può basarsi sui lavori preparatori della stessa Convenzione per sostenere che tale articolo dovrebbe essere interpretato anche nel senso che il suo ambito di applicazione si estende ad ipotesi in cui i segni siano soltanto simili.

36      In quarto luogo, l’EUIPO tenta di fondarsi sulla presenza delle menzioni «identici o simili» di cui all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 e sull’assenza di siffatte menzioni nel paragrafo 3 di tale disposizione per sostenere che il suo ambito di applicazione non è circoscritto ai casi di una rigorosa identità dei marchi di cui trattasi. Ebbene, la mancanza di simili menzioni dovrebbe piuttosto essere intesa nel senso che al legislatore è apparso evidente che la disposizione in esame riguardasse casi in cui il marchio richiesto dall’agente sia quello del suo titolare e quindi, per definizione, identico, sicché gli è parso inutile effettuare una precisazione in tal senso.

37      Da quanto precede risulta che, nell’intenzione del legislatore dell’Unione, l’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 è applicabile solo se il marchio del titolare e quello richiesto da parte dell’agente o dal rappresentante di questo sono identici, e non semplicemente simili.

38      In tale ambito è utile ricordare che, per quanto concerne i requisiti necessari perché dei segni possano essere considerati identici, dalla giurisprudenza si evince che un segno è identico ad un altro quando riproduce, senza modifiche né aggiunte, tutti gli elementi che lo costituiscono o quando, considerato nel suo complesso, presenta differenze talmente insignificanti che le stesse possono passare inosservate agli occhi di un consumatore medio, dato che quest’ultimo solo raramente ha la possibilità di procedere ad un raffronto diretto dei segni, ma deve affidarsi all’immagine imperfetta che ha conservato nella memoria [sentenza del 3 dicembre 2015, TrekStor/UAMI – Scanlab (iDrive), T‑105/14, non pubblicata, EU:T:2015:924, punto 62]

39      Allo stesso modo, occorre sottolineare che, più indirettamente, la questione dell’identità dei segni è stata del pari oggetto di esame nell’ambito della valutazione sull’uso effettivo di un marchio. L’articolo 15 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 18 del regolamento n. 2017/1001) stabilisce che l’utilizzazione del marchio in una forma che si differenzia dalla forma in cui esso è stato registrato configuri del pari uso, purché gli elementi che differiscono non alterino il carattere distintivo del marchio, a prescindere dal fatto che il marchio sia registrato o meno a nome del titolare. La finalità di tale disposizione è consentire al titolare di apportare al segno le variazioni che, senza modificarne il carattere distintivo, permettano di meglio adattarlo alle esigenze di commercializzazione e di promozione dei prodotti o dei servizi da esso contraddistinti. Tuttavia, la differenza deve risiedere negli elementi trascurabili e i segni, come sono utilizzati e come sono stati registrati, devono essere complessivamente equivalenti [v., in tal senso, sentenza del 23 febbraio 2006, Il Ponte Finanziaria/UAMI – Marine Enterprise Projects (BAINBRIDGE), T‑194/03, EU:T:2006:65, punto 50].

40      Occorre pertanto accertare se i segni contrapposti siano identici ai sensi della sentenza del 3 dicembre 2015, iDrive (T‑105/14, non pubblicata, EU:T:2015:924), citata al precedente punto 38, e alla luce dei criteri stabiliti nella sentenza del 23 febbraio 2006, BAINBRIDGE (T‑194/03, EU:T:2006:65), citata al precedente punto 39.

41      A tal riguardo, dal punto 33 della decisione impugnata risulta che la commissione di ricorso ha ritenuto che il marchio richiesto differisse dal marchio anteriore in quanto l’ordine dei termini «mineral» e «magic» era invertito e non conteneva né la lettera «s» né l’espressione «by jerome alexander» e che, su tale base, i segni contrapposti dovessero essere considerati simili. Tale conclusione va condivisa. È infatti evidente che, nel caso di specie, i segni contrapposti non sono identici, come confermato del resto da tutte le parti nelle loro memorie. La mancanza d’identità tra i segni è inoltre così evidente che questa si impone a prescindere dalla differenza di percezione che possa avere il consumatore medio interessato a seconda del territorio in cui risiede.

42      Dal momento che i segni contrapposti non sono identici, si deve concludere che la commissione di ricorso ha commesso un errore ritenendo di potersi fondare sull’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 per negare la registrazione del marchio richiesto.

43      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni e senza che occorra pronunciarsi sulla prima e sulla terza censura, occorre accogliere il motivo unico, vertente sulla violazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 e, pertanto, annullare la decisione impugnata.

 Sulle spese

44      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. A norma dell’articolo 134, paragrafo 2, del medesimo regolamento, quando vi sono più parti soccombenti il Tribunale decide sulla ripartizione delle spese.

45      Nel caso di specie, l’EUIPO e l’interveniente, rimasti soccombenti, devono essere condannati a sopportare le proprie spese, nonché, ciascuno la metà delle spese sostenute dalla ricorrente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione della prima commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) del 5 ottobre 2016 (procedimento R 2087/20151) è annullata.

2)      L’EUIPO sopporterà le proprie spese oltre alla metà di quelle sostenute dalla John Mills Ltd.

3)      La Jerome Alexander Consulting Corp. sopporterà le proprie spese oltre alla metà di quelle sostenute dalla John Mills.

Prek

Buttigieg

Berke

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 ottobre 2018.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.