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Edizione provvisoria

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

17 luglio 2024 (*)

«Accesso agli atti – Regolamento (CE) n. 1049/2001 – Accordi preliminari di acquisto e contratti di acquisto stipulati tra la Commissione e talune società farmaceutiche per l’acquisto di vaccini contro la COVID-19 – Diniego parziale di accesso – Eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali di un terzo – Obbligo di motivazione – Esistenza di un rischio prevedibile e non puramente ipotetico di pregiudizio all’interesse fatto valere – Principio di buona amministrazione – Libertà d’espressione»

Nella causa T‑689/21,

Margrete Auken,

Tilly Metz,

Jutta Paulus,

Emilie Mosnier, in qualità di erede di Michèle Rivasi,

Kimberly van Sparrentak,

rappresentate da B. Kloostra, avvocata,

ricorrenti,

contro

Commissione europea, rappresentata da G. Gattinara e A. Spina, in qualità di agenti,

convenuta,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione),

composto da J. Svenningsen, presidente, C. Mac Eochaidh (relatore) e J. Martín y Pérez de Nanclares, giudici,

cancelliere: S. Spyropoulos, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento, in particolare:

–        l’atto introduttivo del ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 22 ottobre 2021;

–        la domanda di non luogo a statuire presentata dalla Commissione e depositata presso la cancelleria del Tribunale il 22 febbraio 2022;

–        l’ordinanza del 2 marzo 2022 con la quale il Tribunale, a titolo di misura istruttoria, ha ordinato alla Commissione di produrre integralmente i contratti ai quali essa aveva parzialmente negato l’accesso;

–        le osservazioni delle ricorrenti sulla domanda di non luogo a statuire e la memoria di adattamento depositate presso la cancelleria del Tribunale, rispettivamente, il 22 marzo e il 21 aprile 2022;

–        l’ordinanza del 31 maggio 2022 con la quale il Tribunale ha deciso di riunire l’esame della domanda di non luogo a statuire al merito;

–        il controricorso della Commissione, nel quale erano incluse le sue osservazioni sulla memoria di adattamento, depositato presso la cancelleria del Tribunale il 22 luglio 2022;

–        la replica e la controreplica depositate presso la cancelleria del Tribunale, rispettivamente, il 21 ottobre e il 16 dicembre 2022,

in seguito all’udienza del 17 ottobre 2023, nel corso della quale le ricorrenti hanno rinunciato alla domanda diretta all’annullamento della decisione implicita,

visto il decesso della sig.ra Rivasi, avvenuto il 29 novembre 2023;

vista la riassunzione del processo da parte della sig.ra Mosnier, in qualità di erede della sig.ra Rivasi, depositata presso la cancelleria del Tribunale il 26 febbraio 2024,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il loro ricorso fondato sull’articolo 263 TFUE, le ricorrenti, le sig.re Margrete Auken, Tilly Metz, Jutta Paulus e Kimberly van Sparrentak, membri del Parlamento europeo, nonché la sig.ra Emilie Mosnier, succeduta alla madre, la sig.ra Michèle Rivasi, membro del Parlamento europeo (deceduta), chiedono l’annullamento della decisione C(2022) 1038 final della Commissione europea, del 15 febbraio 2022, adottata in applicazione dell’articolo 4 del regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU 2001, L 145, pag. 43), che accordano loro un accesso parziale agli accordi preliminari di acquisto e ai contratti di acquisto conclusi tra la Commissione e le imprese farmaceutiche interessate per la fornitura di vaccini contro la COVID-19 (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

I.      Fatti

2        Il 14 aprile 2020 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento (UE) 2020/521 che attiva il sostegno di emergenza a norma del regolamento (UE) 2016/369 e che ne modifica disposizioni in considerazione dell’epidemia di COVID-19 (GU 2020, L 117, pag. 3). Mediante tale regolamento, il Consiglio ha attivato il sostegno di emergenza istituito dal regolamento (UE) 2016/369 del Consiglio, del 15 marzo 2016, sulla fornitura di sostegno di emergenza all’interno dell’Unione (GU 2016, L 70, pag. 1), trattandosi di una delle misure volte a consentire all’Unione europea nel suo insieme di affrontare la crisi legata alla pandemia di COVID-19, in uno spirito di solidarietà, alla luce delle difficili condizioni provocate dalla rapida diffusione del virus e poiché la portata e il carattere transnazionale di tale propagazione e dei suoi effetti rendevano necessaria una risposta globale.

3        Il 17 giugno 2020 la Commissione ha pubblicato la comunicazione intitolata «Strategia dell’Unione europea per i vaccini contro la COVID-19» [COM(2020)245 final]. Tale strategia, volta ad accelerare la messa a punto, la fabbricazione e la diffusione di vaccini contro la COVID-19, si basava su due pilastri. Il primo consisteva nel garantire una produzione sufficiente di vaccini nell’Unione e, quindi, forniture sufficienti ai suoi Stati membri grazie ad accordi preliminari di acquisto conclusi con produttori di vaccini tramite lo strumento per il sostegno di emergenza, quale attivato dal regolamento 2020/521. Il secondo consisteva nell’adattare il quadro normativo dell’Unione alla situazione di emergenza in quel momento attuale e nel ricorrere alla flessibilità normativa allora esistente per accelerare lo sviluppo, l’autorizzazione e la disponibilità dei vaccini, salvaguardando al contempo gli standard relativi alla loro qualità, sicurezza ed efficacia.

4        Secondo la Commissione, il quadro proposto doveva essere inteso come una «polizza assicurativa» consistente nel trasferire una parte del rischio incombente sull’industria farmaceutica in capo alle autorità pubbliche, in cambio della garanzia per gli Stati membri di un accesso equo e ad un prezzo abbordabile al vaccino, una volta disponibile.

5        Con lettera del 20 gennaio 2021 indirizzata alla presidente e al segretario generale della Commissione, registrata il giorno seguente con il riferimento GESTDEM 2021/0389, sei membri del Parlamento (in prosieguo: i «sei deputati»), fra cui le cinque ricorrenti iniziali, hanno richiesto, ai sensi del regolamento n. 1049/2001, l’accesso «ai vari contratti – accordi preliminari di acquisto – conclusi tra la Commissione e le società farmaceutiche per l’acquisto di vaccini anti-COVID-19» (in prosieguo: la «domanda iniziale»). Vi si precisava che, a conoscenza dei sei deputati, erano già stati sottoscritti taluni contratti con le società AstraZeneca, Sanofi-GSK, Johnson and Johnson, BioNTech-Pfizer, CureVac e Moderna, cosicché la domanda verteva su detti contratti nonché su quelli che avrebbero potuto essere conclusi dopo la data della domanda, come quello previsto con Novavax.

6        Con lettera dell’11 marzo 2021, la direttrice generale della direzione generale (DG) della Salute e della sicurezza alimentare della Commissione (in prosieguo: la «DG Salute») ha informato i sei deputati di aver individuato otto documenti corrispondenti alla domanda iniziale, ovverosia sei accordi preliminari di acquisto e due contratti di acquisto. Ella ha indicato di aver reso pubblica, su talune pagine Internet, una versione oscurata di tre di detti accordi preliminari di acquisto, ossia quelli conclusi con AstraZeneca, Sanofi-GSK e CureVac, e di proseguire la sua valutazione dei restanti documenti e le consultazioni con i terzi interessati ai fini dell’adozione di decisioni relative alla loro divulgazione.

7        Con lettera del 9 giugno 2021, la direttrice generale della DG Salute ha informato i sei deputati che, in risposta alla domanda iniziale, era stato accordato un accesso parziale a nove documenti identificati come rientranti in quest’ultima, vale a dire gli otto documenti menzionati al precedente punto 6 nonché un contratto di acquisto supplementare concluso con Pfizer-BioNTech. Essa ha indicato che le versioni parzialmente oscurate di detti documenti erano state rese pubbliche su una pagina Internet e che i passaggi erano stati oscurati sulla base delle eccezioni relative alla tutela della vita privata e dell’integrità dell’individuo, alla tutela degli interessi commerciali e alla tutela del processo decisionale delle istituzioni previste, rispettivamente, all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, e all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001.

8        Con lettera del 30 giugno 2021, registrata il giorno seguente, i sei deputati hanno presentato, sulla base dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001, una domanda di conferma diretta ad ottenere che la Commissione rivedesse la sua posizione riguardo ai nove documenti identificati e li divulgasse integralmente, ad esclusione dei passaggi rientranti nell’eccezione relativa alla tutela della vita privata e dell’integrità dell’individuo prevista all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), di detto regolamento (in prosieguo: la «domanda di conferma»). Le parti ricorrenti vi hanno fatto valere, in particolare, la circostanza che i prezzi indicati in tutti gli accordi preliminari di acquisto conclusi nonché le versioni integrali degli accordi preliminari di acquisto conclusi con AstraZeneca, Pfizer-BioNTech e Moderna fossero trapelati su un social network e nei media, tra il dicembre 2020 e l’aprile 2021.

9        Il 13 agosto 2021 il segretariato generale della Commissione ha informato i sei deputati di non essere ancora in grado di rispondere alla loro domanda di conferma. A tale data, la mancata risposta data alla domanda di conferma ha fatto sorgere una decisione implicita di rigetto di detta domanda, conformemente all’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001.

10      Il 15 febbraio 2022, previa consultazione delle imprese farmaceutiche interessate, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 4, del regolamento n. 1049/2001 (in prosieguo: le «imprese interessate»), la Commissione ha adottato la decisione impugnata. In tale decisione si afferma che, in occasione della valutazione della domanda di conferma, il segretariato generale della Commissione ha proceduto ad un nuovo esame della risposta fornita dalla DG Salute alla domanda iniziale e che, a seguito di tale nuovo esame, tredici documenti sono stati identificati come rientranti nella domanda di accesso ai documenti, vale a dire i nove documenti menzionati al precedente punto 7 nonché quattro documenti ulteriori.

11      Con la decisione impugnata, la Commissione ha quindi accordato un accesso parziale ai seguenti documenti (in prosieguo, congiuntamente: i «contratti in questione»):

–        l’accordo preliminare di acquisto concluso tra la Commissione e AstraZeneca [riferimento ARES(2020)4849918, documento 1];

–        l’accordo preliminare di acquisto tra la Commissione e Sanofi-GSK [riferimento ARES(2020)5034184, documento 2];

–        l’accordo preliminare di acquisto concluso tra la Commissione e Janssen Pharmaceutica [riferimento ARES(2020)5806059, documento 3];

–        l’accordo preliminare di acquisto concluso tra la Commissione e Pfizer-BioNTech [riferimento ARES(2021)256798, documento 4];

–        l’accordo preliminare di acquisto concluso tra la Commissione e CureVac [riferimento ARES(2021)256728, documento 5];

–        l’accordo preliminare di acquisto concluso tra la Commissione e Moderna [riferimento ARES(2021)256592, documento 6];

–        il contratto di acquisto stipulato tra la Commissione e Pfizer-BioNTech [riferimento ARES(2021)1601544, documento 7];

–        il contratto di acquisto stipulato tra la Commissione e Moderna [riferimento ARES(2021)1601566, documento 8];

–        l’atto integrativo I del contratto di acquisto stipulato tra la Commissione e Moderna [riferimento ARES(2021)7098313, documento 9];

–        l’atto integrativo I del contratto di acquisto stipulato tra la Commissione e Moderna [riferimento ARES(2021)5602046, documento 10];

–        il secondo contratto di acquisto stipulato tra la Commissione e Pfizer- BioNTech, parti 1 e 2 [riferimento ARES(2021)3404228, documento 11];

–        l’accordo preliminare di acquisto concluso tra la Commissione e Novavax [riferimento ARES(2021)6475411, documento 12];

–        l’accordo preliminare di acquisto concluso tra la Commissione e Valneva [riferimento ARES(2021)7403909, documento 13].

12      Più precisamente, la Commissione ha accordato un accesso parziale più ampio ai documenti da 1 a 8 e 11, precedentemente divulgati, nonché un accesso parziale, in forma oscurata, ai documenti 9, 10, 12 e 13, i quali fino ad allora non erano stati divulgati pubblicamente. Le versioni oscurate di tali documenti sono state allegate alla decisione impugnata.

13      Nella decisione impugnata, la Commissione ha invocato l’eccezione relativa alla tutela della vita privata e dell’integrità dell’individuo e l’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali delle imprese interessate per giustificare un accesso solo parziale ai contratti in questione.

II.    Conclusioni delle parti

14      Nella risposta alla memoria di adattamento del ricorso, la Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese, ivi incluse quelle relative all’atto di ricorso nella sua versione iniziale.

15      Nel controricorso, nel quale erano incluse, su richiesta del Tribunale, le sue osservazioni sulla memoria di adattamento, la Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso, così come adattato;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

III. In diritto

16      A sostegno del loro ricorso, così come adattato, le ricorrenti deducono sei motivi di ricorso, vertenti:

–        il primo, sull’errata applicazione dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali ad informazioni non coperte da tale eccezione, su un difetto di motivazione a tale riguardo nonché su un’applicazione incoerente di tale eccezione;

–        il secondo, sull’assenza di giustificazione per l’applicazione dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali a sette categorie di clausole;

–        il terzo, su un’applicazione incoerente del regolamento n. 1049/2001 che ha comportato una violazione di quest’ultimo e una violazione del principio di buona amministrazione, in quanto la Commissione non ha oscurato, nella stessa misura, clausole o informazioni della stessa natura, nonché un difetto di motivazione al riguardo;

–        il quarto, su una violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001, in quanto la Commissione non ha preso in considerazione l’interesse pubblico prevalente alla divulgazione delle informazioni richieste, nonché su un difetto di motivazione al riguardo;

–        il quinto, sulla violazione dell’articolo 42 e dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e dell’articolo 10, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»);

–        il sesto, sulla violazione degli articoli 7 e 8 del regolamento n. 1049/2001, in quanto, con la decisione impugnata, la Commissione ha oscurato talune informazioni da essa in precedenza divulgate, nonché un difetto di motivazione al riguardo.

A.      Sul primo motivo di ricorso e sulla prima parte del secondo motivo di ricorso, vertenti sull’errata applicazione dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali ad informazioni non coperte da tale eccezione, su un difetto di motivazione a tale riguardo nonché su un’applicazione incoerente di tale eccezione

17      Con il primo motivo di ricorso e con la prima parte del secondo motivo di ricorso, così come adattati, le ricorrenti fanno valere che la Commissione ha erroneamente applicato l’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali a informazioni che non rientrerebbero in detta eccezione, in quanto ha oscurato, integralmente o parzialmente, i seguenti elementi:

–        le definizioni e, in particolare, quelle delle espressioni «dolo» (wilful misconduct) nel documento 1 e «ogni ragionevole sforzo» (best reasonable efforts) nei documenti 4 e 7;

–        le disposizioni relative ai calendari degli audit e alla conservazione dei dati;

–        le clausole relative alle spese riguardanti gli studi sulla sicurezza dopo il lancio e la gestione dei rischi;

–        le clausole relative alle donazioni e alle rivendite;

–        le clausole relative al regime di responsabilità in caso di violazione della protezione dei dati personali.

18      Le ricorrenti sostengono che le informazioni elencate al precedente punto 17 non presentano alcun interesse commerciale, cosicché esse non rientrerebbero nell’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

19      Le ricorrenti sostengono che la Commissione non ha indicato né le ragioni per le quali l’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali si applicava alle informazioni elencate al precedente punto 17, né in che modo l’accesso a dette informazioni potesse arrecare, in modo ragionevolmente prevedibile, concretamente ed effettivamente pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate. Peraltro, la Commissione avrebbe applicato detta eccezione in modo incoerente, oscurando in taluni contratti informazioni peraltro accessibili in altri.

20      Inoltre, le ricorrenti affermano che, tenuto conto, da un lato, del contesto della pandemia di COVID-19 nel quale i contratti in questione, ed in particolare gli accordi preliminari di acquisto, sono stati conclusi e, dall’altro, del finanziamento mediante fondi pubblici di importanti attività di ricerca e sviluppo per la messa a punto, dai risultati in quel momento incerti, di una gamma di vaccini mediante pagamenti anticipati versati alle imprese interessate nell’ambito degli accordi preliminari di acquisto, non esisteva un mercato commerciale per i vaccini contro la COVID-19. La natura dei contratti in questione sarebbe, dunque, diversa da quella di una relazione commerciale comune. Pertanto, la Commissione avrebbe erroneamente applicato, nella decisione impugnata, l’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali e avrebbe oscurato le definizioni e le altre informazioni.

21      La Commissione contesta tale argomento.

22      La Commissione sostiene che tutti i contratti in questione sono stati oggetto, nella loro interezza, di negoziati individuali, cosicché la formulazione specifica delle diverse definizioni e delle altre clausole contrattuali rifletterebbe i complessi compromessi trovati nell’ambito di dette trattative individuali. Essa afferma che il criterio pertinente per valutare se la divulgazione di clausole contrattuali sia idonea a compromettere l’interesse tutelato dall’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001 consiste nel verificare se il contenuto delle clausole in questione metta in gioco gli interessi commerciali delle parti contraenti. Orbene, le definizioni preciserebbero l’ambito di applicazione delle obbligazioni pattuite e determinerebbero, da un punto di vista sostanziale, il contenuto del contratto, di modo che esse sarebbero «normative». Inoltre, nel caso di specie, talune definizioni chiave, quali le espressioni «ogni ragionevole sforzo» o «dolo», e altre reciproche obbligazioni metterebbero in gioco gli interessi commerciali delle imprese interessate, poiché potrebbero far sorgere la loro responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

23      La Commissione afferma di aver indicato, nella decisione impugnata, il contesto e il carattere eccezionale della procedura di aggiudicazione dell’appalto per i vaccini contro la COVID-19 al fine di spiegare la rilevanza di talune informazioni contenute nei documenti richiesti dal punto di vista economico e commerciale. Tali informazioni contestuali chiarirebbero le ragioni sottese al processo di negoziazione individuale dei contratti di acquisto di vaccini contro la COVID-19 e la dimensione mondiale dell’acquisto di detti vaccini, sottolineando la sensibilità, sotto il profilo commerciale, di talune informazioni contenute nei contratti conclusi tra la Commissione e le imprese interessate.

24      Peraltro, la Commissione ritiene che l’applicazione dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali non sia subordinata all’esistenza di un mercato aperto alla libera concorrenza per un prodotto. Inoltre, le circostanze particolari in cui è avvenuto l’acquisto di vaccini suffragherebbero il fatto che le imprese interessate si trovavano di fronte ad una pressione concorrenziale accresciuta per consegnare quantità molto elevate di vaccini in tempi molto brevi. Peraltro, essa sottolinea che tutte le imprese interessate sono innegabilmente imprese attive su scala mondiale e soggette alle forze concorrenziali del mercato, i cui interessi possono rientrare nell’ambito di applicazione dell’eccezione di cui trattasi. La natura commerciale delle loro attività, in particolare di fornitura di vaccini contro la COVID-19, non sarebbe alterata dalla sovvenzione pubblica parziale della ricerca e dello sviluppo al fine di aumentare le possibilità di disporre di più vaccini e di ottenerli più rapidamente.

1.      Osservazioni preliminari

25      Il Tribunale rileva che le censure sollevate nell’ambito del primo motivo e della prima parte del secondo motivo per quanto riguarda le clausole relative alle donazioni e alle rivendite coincidono con quelle sollevate nell’ambito della settima parte del secondo motivo. Pertanto, le suddette censure saranno trattate nell’ambito di tale parte del secondo motivo (v. punti da 179 a 184 infra).

26      Per quanto riguarda le clausole relative ai calendari degli audit e alla conservazione dei dati, alle spese riguardanti gli studi sulla sicurezza dopo il lancio e la gestione dei rischi e al regime di responsabilità in caso di violazione della protezione dei dati personali, si deve constatare che le ricorrenti vi fanno riferimento solo sommariamente ai punti 32 e 43 dell’atto di ricorso nonché ai punti 25 e 33 della memoria di adattamento.

27      Orbene, la decisione impugnata non menziona esplicitamente un diniego di accesso a tali clausole. Inoltre, in mancanza di precisazioni quanto agli oscuramenti interessati da tale argomentazione delle ricorrenti, neppure il Tribunale è riuscito ad individuare siffatte clausole nei documenti prodotti dalla Commissione in risposta alla misura istruttoria adottata ai sensi dell’articolo 91, lettera c), e dell’articolo 104 del regolamento di procedura del Tribunale. Del resto, il Tribunale osserva che le clausole sulle «verifiche e audit» (checks and audit) sono interamente divulgate nei documenti 1, 2, 3, 5, 6, 8, 12 e 13. Peraltro, il periodo durante il quale tali «verifiche e audit» possono essere avviate è stato divulgato nei documenti 4, 7 e 11. Quanto ai documenti 9 e 10, essi non menzionano tali «verifiche e audit».

28      Alla luce di quanto precede, l’esame della fondatezza del primo motivo e della prima parte del secondo motivo può riguardare soltanto il diniego di accesso alle definizioni delle espressioni «dolo» e «ogni ragionevole sforzo».

29      Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, le istituzioni dell’Unione rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela degli interessi commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresa la proprietà intellettuale, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione del documento di cui trattasi.

30      In tale contesto, occorre ricordare che risulta dalla formulazione stessa dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001 che un semplice pregiudizio agli interessi perseguiti può giustificare l’applicazione, se del caso, di una delle eccezioni ivi elencate, senza che tale ingerenza debba raggiungere una soglia di gravità particolare (sentenza del 22 gennaio 2020, PTC Therapeutics International/EMA, C‑175/18 P, EU:C:2020:23, punto 90).

31      Per quanto riguarda la nozione di interessi commerciali, occorre rilevare che il regolamento n. 1049/2001 non definisce tale nozione, salvo nella parte in cui precisa che tali interessi possono comprendere la proprietà intellettuale di una determinata persona fisica o giuridica. Inoltre, occorre ricordare che, per giustificare il diniego di accesso a un documento di cui è stata chiesta la divulgazione, non è sufficiente, in linea di principio, che tale documento rientri nell’ambito di un’attività commerciale, ma l’istituzione interessata è tenuta a fornire spiegazioni sulle modalità in cui l’accesso a tale documento potrebbe arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio agli interessi commerciali e a dimostrare che tale rischio di pregiudizio è ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico (v., in tal senso, sentenze del 3 luglio 2014, Consiglio/in’t Veld, C‑350/12 P, EU:C:2014:2039, punto 52 e giurisprudenza ivi citata, e del 27 febbraio 2018, CEE Bankwatch Network/Commissione, T‑307/16, EU:T:2018:97, punti da 103 a 105 e giurisprudenza ivi citata).

32      Di conseguenza, l’esame al quale deve procedere l’istituzione per applicare un’eccezione deve essere effettuato in concreto e deve emergere dalla motivazione della decisione (v. sentenza del 30 gennaio 2008, Terezakis/Commissione, T‑380/04, non pubblicata, EU:T:2008:19, punto 86 e giurisprudenza citata).

33      Dalla giurisprudenza emerge che non si può ritenere che tutte le informazioni relative ad una società e ai suoi rapporti commerciali ricadano sotto la tutela che deve essere garantita agli interessi commerciali conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, salvo vanificare l’applicazione del principio generale che consiste nel conferire al pubblico il più ampio accesso possibile ai documenti detenuti dalle istituzioni (v. sentenza del 9 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, T‑516/11, non pubblicata, EU:T:2014:759, punto 81 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, tale protezione può riguardare informazioni sensibili sotto il profilo commerciale, quali informazioni relative alle strategie commerciali delle imprese, agli importi delle loro vendite, alle loro quote di mercato o ai loro rapporti commerciali (v., in tal senso, sentenze del 28 giugno 2012, Commissione/Agrofert Holding, C‑477/10 P, EU:C:2012:394, punti da 54 a 56, e del 9 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, T‑516/11, non pubblicata, EU:T:2014:759, punti 82 e 83).

34      Nell’ambito dell’applicazione delle disposizioni del regolamento n. 1049/2001, l’obbligo per l’istituzione di motivare la propria decisione di diniego dell’accesso a un documento persegue lo scopo, da un lato, di fornire all’interessato un’indicazione sufficiente per sapere se la decisione sia fondata o se sia eventualmente inficiata da un vizio che consente di contestarne la validità e, dall’altro, di consentire al giudice dell’Unione di esercitare il proprio controllo sulla legittimità della decisione. La portata di tale obbligo dipende dalla natura dell’atto di cui trattasi e dal contesto nel quale è stato adottato (v. sentenza del 6 febbraio 2020, Compañía de Tranvías de la Coruña/Commissione, T‑485/18, EU:T:2020:35, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).

35      Secondo la giurisprudenza, l’obbligo di motivazione non impone tuttavia all’istituzione interessata di rispondere a ciascuno degli argomenti dedotti nel corso del procedimento precedente l’adozione della decisione finale impugnata (v., in tal senso, sentenza del 25 settembre 2018, Psara e a./Parlamento, da T‑639/15 a T‑666/15 e T‑94/16, EU:T:2018:602, punto 134 e giurisprudenza ivi citata).

36      Tuttavia, se il contesto in cui si inserisce l’adozione della decisione può alleviare gli obblighi di motivazione che sono a carico dell’istituzione interessata, esso può anche, per contro, aggravarli in circostanze particolari. Ciò si verifica quando, durante il procedimento di domanda di accesso a documenti, il richiedente adduce elementi idonei a mettere in discussione la fondatezza del primo diniego. In tali circostanze, i requisiti di motivazione impongono all’istituzione l’obbligo di rispondere a una domanda di conferma indicando i motivi per i quali tali elementi non sono tali da consentirle di modificare la sua posizione. In caso contrario, il richiedente non sarebbe in grado di comprendere le ragioni per le quali l’autore della risposta alla domanda di conferma abbia deciso di mantenere gli stessi motivi per confermare il diniego (sentenza del 6 aprile 2000, Kuijer/Consiglio, T‑188/98, EU:T:2000:101, punti 45 e 46).

37      È alla luce di tali considerazioni che devono essere analizzati gli argomenti delle ricorrenti secondo i quali, da un lato, la Commissione ha erroneamente applicato l’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali ai contratti in questione, in particolare alle definizioni e più precisamente alle definizioni delle espressioni «dolo» di cui al documento 1 e «ogni ragionevole sforzo» nei documenti 4 e 7.

2.      Sulla motivazione della decisione impugnata per quanto riguarda loscuramento parziale delle definizioni

38      Le ricorrenti fanno valere che le definizioni nei contratti in questione non rientrano nell’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001 e contestano l’adeguatezza della motivazione della decisione impugnata per giustificare il loro parziale oscuramento.

39      Il Tribunale rileva che la sola lettura dei contratti in questione così come divulgati dalla decisione impugnata dimostra che, sebbene talune definizioni siano identiche, altre, comprese le definizioni che appaiono di natura tecnica e probabilmente poco controverse, sono state oggetto di negoziati individuali e specifici, come indicato dalla Commissione e come risulta in particolare da varie aggiunte o precisazioni supplementari.

40      Ne consegue che, anche se la presenza di definizioni nei contratti in questione può essere considerata usuale, la loro formulazione specifica non può essere considerata, in ogni caso, «generale e usuale» ai sensi del punto 98 della sentenza del 30 gennaio 2008, Terezakis/Commissione (T‑380/04, non pubblicata, EU:T:2008:19). Peraltro, nella causa che ha dato luogo a detta sentenza, l’istituzione aveva opposto un diniego totale all’accesso al contratto in questione, cosicché la sua rilevanza per il caso di specie, in cui la Commissione ha giustamente optato per la possibilità di accordare un accesso parziale ai contratti in questione, deve essere relativizzata.

41      Più specificamente, per quanto riguarda l’oscuramento delle definizioni delle espressioni «dolo» nel documento 1 e «ogni ragionevole sforzo» nei documenti 4 e 7, il Tribunale constata che, nella domanda di conferma, i sei deputati hanno espressamente fatto riferimento a detti termini.

42      Ciò premesso, la decisione impugnata, che espone le ragioni che giustificherebbero la non divulgazione, totale o parziale, di tutta una serie di categorie di informazioni nei contratti in questione, tra cui, a titolo esemplificativo, le definizioni di «vaccino» (vaccine) e di «vaccino adattato» (adapted vaccine), nonché le clausole relative alla responsabilità e all’indennizzo, non lascia apparire espressamente, neppure in maniera sintetica, i motivi per i quali altre definizioni, ed in particolare le definizioni delle espressioni «dolo» nel documento 1 e «ogni ragionevole sforzo» nei documenti 4 e 7, espressamente menzionate dai sei deputati nella loro domanda di conferma, sono state oscurate.

43      Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall’argomento, sviluppato dalla Commissione nelle sue memorie e in udienza, secondo il quale le definizioni preciserebbero l’ambito di applicazione delle obbligazioni pattuite e determinerebbero, da un punto di vista sostanziale, il contenuto del contratto, così che esse sarebbero «normative», e secondo il quale le definizioni di «dolo» di cui al documento 1 e «ogni ragionevole sforzo» di cui ai documenti 4 e 7 metterebbero in discussione gli interessi commerciali delle imprese interessate in quanto potrebbero far sorgere la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale di queste ultime.

44      Infatti, tali spiegazioni non sono state invocate nella decisione impugnata e non possono essere inferite da quelle in essa figuranti, ivi incluso al punto 2.1.4 di detta decisione, che verte proprio sull’insorgere della responsabilità delle imprese interessate. Orbene, il giudice dell’Unione non è tenuto a prendere in considerazione spiegazioni supplementari fornite solo nel corso del procedimento dall’autore dell’atto in questione al fine di valutare l’osservanza dell’obbligo di motivazione, altrimenti la ripartizione delle competenze tra l’amministrazione e il giudice dell’Unione sarebbe pregiudicata e il controllo di legittimità dei provvedimenti amministrativi sarebbe indebolito (v. sentenza del 6 luglio 2023, BEI e Commissione/ClientEarth, C‑212/21 P e C‑223/21 P, EU:C:2023:546, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

45      Ne consegue che la motivazione della decisione impugnata non consente alle ricorrenti di comprendere le ragioni specifiche che hanno condotto a tali oscuramenti, né al giudice dell’Unione di esercitare il suo controllo sulla legittimità di siffatti oscuramenti, ai sensi della giurisprudenza richiamata ai precedenti punti 31, 34 e 36.

46      Pertanto, le ricorrenti fanno giustamente valere che la Commissione ha violato l’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001 in quanto non ha fornito spiegazioni sufficienti che consentissero di sapere in che modo l’accesso alle definizioni in questione avrebbe potuto arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio agli interessi commerciali, rispettivamente, di AstraZeneca e di Pfizer-BioNTech.

47      Per quanto riguarda la censura secondo cui la Commissione ha applicato alle definizioni l’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali in modo incoerente, tale censura coincide con il terzo motivo di ricorso, cosicché occorre esaminarla nell’ambito di detto motivo.

B.      Sul secondo motivo di ricorso, vertente sull’assenza di giustificazione dell’applicazione dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali e sulla violazione del regolamento n. 1049/2001 in quanto la Commissione non si sarebbe attenuta all’interpretazione restrittiva e all’applicazione della summenzionata eccezione

48      Con il loro secondo motivo di ricorso, le ricorrenti criticano il modo in cui la Commissione ha applicato l’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali al fine di oscurare nei contratti in questione alcune parti riguardanti sei categorie di informazioni, tra cui:

–        l’ubicazione dei siti di produzione;

–        i diritti di proprietà intellettuale;

–        gli acconti o pagamenti anticipati;

–        le clausole relative alla responsabilità e all’indennizzo;

–        i calendari delle consegne;

–        le clausole relative alle donazioni ed alle rivendite.

49      Le ricorrenti addebitano altresì alla Commissione di non aver adeguatamente giustificato, nella decisione impugnata, l’applicazione di detta eccezione.

50      La Commissione si oppone a tale argomento.

1.      Sul diniego di accesso allubicazione dei siti di produzione

51      Con la seconda parte del secondo motivo di ricorso, come adattato, le ricorrenti sostengono che l’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali non preclude la divulgazione di informazioni relative all’ubicazione dei siti di produzione e dei subappaltatori delle imprese interessate.

52      Inoltre, le ricorrenti negano l’adeguatezza della motivazione esposta nella decisione impugnata a tal riguardo e la sua fondatezza. Quest’ultima non menzionerebbe la circostanza che le informazioni di cui trattasi fossero già di pubblico dominio. Essa non esporrebbe neppure i motivi per i quali tali informazioni, altre informazioni o più ampie informazioni riguardanti l’ubicazione dei siti di produzione dovrebbero essere considerate riservate, né in che modo e come la divulgazione di tali informazioni, riguardanti comunque i primi 18 mesi della pandemia, avrebbe potuto arrecare pregiudizio agli interessi commerciali attuali delle imprese interessate.

53      Le ricorrenti aggiungono di avere un interesse alla divulgazione dei siti menzionati nei contratti in questione che sarebbero già di pubblico dominio ai fini del confronto con quelli figuranti nei contratti in questione. Inoltre, la loro divulgazione sarebbe importante affinché il pubblico possa verificare dove sono stati investiti i fondi pubblici e a quali condizioni i primi vaccini sono stati sviluppati, prodotti, immagazzinati e trasportati.

54      La Commissione si oppone a tale argomentazione.

55      Nel caso di specie, si deve anzitutto respingere, in quanto inconferente, l’argomento delle ricorrenti secondo cui, in sostanza, la divulgazione delle informazioni relative all’ubicazione dei siti di produzione delle imprese interessate e ai loro rapporti commerciali con i loro subappaltatori non sarebbe idonea ad arrecare pregiudizio agli interessi commerciali attuali delle imprese interessate.

56      In effetti, la valutazione della fondatezza dell’applicazione di una delle eccezioni previste all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001 deve essere effettuata con riferimento ai fatti esistenti alla data di adozione della decisione che nega l’accesso ai documenti sulla base di tale eccezione (v. sentenze dell’11 maggio 2017, Svezia/Commissione, C‑562/14 P, EU:C:2017:356, punto 63 e giurisprudenza ivi citata, e del 6 febbraio 2020, Compañía de Tranvías de la Coruña/Commissione, T‑485/18, EU:T:2020:35, punto 36 e giurisprudenza ivi citata) nonché agli elementi di informazione di cui l’istituzione autrice dell’atto poteva disporre al momento in cui lo ha emanato (v., in tal senso, sentenza del 27 febbraio 2018, CEE Bankwatch Network/Commissione, T‑307/16, EU:T:2018:97, punto 133 e giurisprudenza ivi citata), vale a dire, nel caso di specie, il 15 febbraio 2022.

57      Le ricorrenti sostengono poi, in sostanza, che talune informazioni relative ai siti di produzione e dei subappaltatori delle imprese interessate sono già di dominio pubblico grazie a una mappa interattiva pubblicata sul sito Internet della Commissione e in relazioni pubbliche dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA), cosicché più ampie informazioni relative a tali siti e ai rapporti commerciali di dette imprese con i loro subappaltatori, oscurate nel caso di specie, non sarebbero informazioni sensibili sotto il profilo commerciale. Esse contestano alla Commissione di non aver affrontato tali considerazioni nella decisione impugnata.

58      A tal riguardo, occorre rilevare che, nella decisione impugnata, la Commissione ha indicato che la scelta di avere un sito di produzione in un determinato luogo o di fare ricorso a un determinato subappaltatore rientrava nella strategia commerciale interna delle imprese interessate e risultava da una scelta economica precisa. L’identità dei detti siti e il loro rapporto economico o industriale con l’impresa interessata non sarebbero di pubblico dominio. Essa ha concluso che la divulgazione di informazioni relative ai siti di produzione delle imprese interessate, in particolare l’articolo I.6.3 del documento 4 e gli allegati di tutti i contratti in questione riguardanti i subappaltatori di dette imprese, avrebbe rivelato ai concorrenti di dette imprese significativi elementi circa le loro capacità industriali e avrebbe potuto arrecare pregiudizio alle loro capacità industriali di produrre il vaccino o addirittura, a termine, ostacolare per ragioni economiche l’esecuzione integrale dei contratti conclusi.

59      Dopo aver consultato le versioni integrali dei contratti in questione, il Tribunale constata che essi espongono, con un livello di dettaglio variabile, l’identità e l’ubicazione dei siti di produzione delle imprese interessate e dei loro diversi subappaltatori o partner, nonché, a seconda dei casi, l’attribuzione di compiti tra le suddette entità. Inoltre, in alcuni casi, nella fase del contratto di acquisto sono state apportate modifiche, quali aggiunte o cambiamenti di siti o di partner, rispetto all’accordo preliminare di acquisto.

60      Pertanto, la Commissione ha giustamente ritenuto, nella decisione impugnata, che le informazioni sulla ubicazione dei siti di produzione e dei subappaltatori delle imprese interessate oscurate nei contratti in questione rientrassero nell’ambito dei loro rapporti commerciali e, in definitiva, della loro capacità e della loro strategia industriale e commerciale.

61      Orbene, come ricordato al precedente punto 33, la tutela che deve essere garantita agli interessi commerciali conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001 può riguardare siffatte informazioni.

62      Inoltre, le informazioni che appaiono nei contratti in questione non possono essere considerate storiche (v., in tal senso, sentenza del 7 luglio 2015, Axa Versicherung/Commissione, T‑677/13, EU:T:2015:473, punto 154 e giurisprudenza ivi citata, e ordinanza del 12 luglio 2018, RATP/Commissione, T‑250/18 R, non pubblicata, EU:T:2018:458, punti 55 e 57). Infatti, tali dati risalivano a meno di due anni prima e, come risulta dalla risposta della Commissione a un quesito posto a titolo di misura di organizzazione del procedimento, la maggior parte dei contratti in questione erano ancora in corso di esecuzione al momento dell’adozione della decisione impugnata.

63      La conclusione di cui al precedente punto 60 non è inficiata neppure dalla pubblicazione, sul sito Internet della Commissione, di una mappa interattiva che illustra le «capacità di produzione di vaccini contro la COVID-19 nell’ [Unione]» (interactive map showing the production capacities of COVID-19 vaccines in the EU).

64      Infatti, come confermato dalla Commissione in risposta a un quesito posto dal Tribunale a titolo di misura di organizzazione del procedimento, la mappa interattiva non contiene informazioni sull’ubicazione nel territorio dell’Unione dei siti di produzione di vaccini contro la COVID-19 che appaiono nei contratti in questione. Tutt’al più, come la Commissione ha concesso, l’applicazione del filtro «contracted by APA manufacturer» (subappalto con un produttore che ha stipulato un accordo preliminare di acquisto) mostra un unico stabilimento di produzione, situato in Germania, che non figura nei contratti ai quali le ricorrenti hanno chiesto l’accesso.

65      Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, la mappa interattiva non indica né il luogo esatto dei siti di produzione dei vaccini contro la COVID-19 oggetto dei contratti in questione, né i nomi degli eventuali subappaltatori interessati.

66      Inoltre, sebbene le relazioni pubbliche dell’EMA sui diversi vaccini contro la COVID-19 contengano informazioni su siti di produzione, siffatta circostanza non è, in quanto tale, idonea ad obbligare la Commissione a comunicare tutte le informazioni sull’ubicazione dei siti di produzione e dei subappaltatori delle imprese interessate [v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2019, BCE/Espírito Santo Financial (Portugal), C‑442/18 P, EU:C:2019:1117, punto 56].

67      Ne consegue che la Commissione non ha commesso un errore di diritto quando ha oscurato informazioni sull’ubicazione dei siti di produzione e dei subappaltatori delle imprese interessate.

68      Infine, dato che le informazioni sull’ubicazione dei siti di produzione e dei subappaltatori delle imprese interessate non sono state divulgate dalla Commissione mediante la mappa interattiva, la decisione impugnata non è viziata da alcuna insufficienza di motivazione con riferimento a detta carta.

69      Alla luce di quanto precede, occorre respingere la seconda parte del secondo motivo di ricorso.

70      Infine, nella misura in cui l’argomentazione delle ricorrenti vertente sull’interesse alla divulgazione delle informazioni relative alla ubicazione dei siti di produzione oscurate si sovrappone a quella dedotta nell’ambito del quarto motivo di ricorso, tale argomento sarà trattato nell’ambito di detto motivo (v. infra, punto 210).

2.      Sul diniego parziale di accesso alle clausole in materia di diritto della proprietà intellettuale

71      Con la terza parte del loro secondo motivo di ricorso, le ricorrenti contestano l’adeguatezza della motivazione della decisione impugnata e la sua fondatezza al fine di giustificare l’oscuramento parziale delle clausole in materia di proprietà intellettuale sulla base dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

72      Le ricorrenti reputano ipotetiche le considerazioni esposte nella decisione impugnata secondo le quali la divulgazione delle informazioni oscurate metterebbe a rischio di pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate, in quanto aumenterebbe la pressione esercitata su dette imprese affinché esse mettano a disposizione una parte del loro know-how e avrebbe effetti negativi sulla loro capacità industriale. Inoltre, esse sostengono che la Commissione non ha indicato gli elementi delle clausole in materia di diritto della proprietà intellettuale che spiegherebbero i motivi concreti e specifici della loro non divulgazione.

73      La Commissione si oppone a tale argomentazione.

a)      Sulla motivazione della decisione impugnata

74      Il Tribunale rileva che, nella domanda di conferma, i sei deputati hanno espressamente rivendicato la divulgazione delle clausole in materia di diritto della proprietà intellettuale.

75      Nel caso di specie, con la decisione impugnata, la Commissione ha parzialmente oscurato le clausole in materia di diritti di proprietà intellettuale nei documenti 1, 4, 6, 7, 8, 11, 12 e 13.

76      Nella decisione impugnata, la Commissione ha indicato che le informazioni oscurate a titolo dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali contenevano elementi sensibili sotto il profilo commerciale, quali la proprietà intellettuale. Essa ha altresì indicato, nella parte di tale decisione dedicata ai rischi relativi all’organizzazione e alla capacità industriale delle imprese interessate, che la divulgazione della descrizione delle reciproche obbligazioni delle parti dei contratti in questione in materia di proprietà intellettuale avrebbe rivelato ai concorrenti delle imprese interessate elementi importanti delle loro capacità industriali e avrebbe potuto arrecare pregiudizio alle loro capacità industriali di produrre il vaccino, o addirittura, a termine, ostacolare per ragioni economiche l’esecuzione integrale dei contratti conclusi. Dette clausole prevedrebbero o il diritto esclusivo per l’impresa interessata di beneficiare dei diritti di proprietà intellettuale derivanti dalla produzione del vaccino, o la concessione di una licenza su una parte di tali diritti. All’impresa interessata potrebbero essere rivolte richieste di concedere o deroghe all’esclusiva in vista di ulteriori test clinici o licenze supplementari, e la medesima potrebbe essere così sottoposta ad una pressione crescente da parte dei suoi concorrenti per rendere pubblica una parte del suo know-how. Tali richieste diventerebbero più frequenti tenuto conto del crescente fabbisogno di vaccini connesso alla crescita mondiale della pandemia.

77      Da tali considerazioni risulta che la Commissione ha fornito spiegazioni succinte, senza divulgare il contenuto delle frasi o delle parti di frase oscurate in modo da privare l’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali della sua finalità essenziale quanto alla natura delle clausole in materia di diritti di proprietà intellettuale parzialmente oscurate. Parimenti, essa ha fornito spiegazioni circostanziate sul modo in cui la loro divulgazione poteva arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate.

78      Peraltro, sebbene la Commissione sia tenuta ad esporre i motivi che giustificano l’applicazione alla fattispecie di una delle eccezioni previste dal regolamento n. 1049/2001, essa non ha l’obbligo di fornire informazioni che vanno al di là di quanto necessario alla comprensione, da parte del richiedente l’accesso, delle ragioni all’origine della sua decisione e al controllo, da parte del Tribunale, della legittimità della stessa (sentenza del 30 gennaio 2008, Terzakis/Commissione, T‑380/04, non pubblicata, EU:T:2008:19, punto 119).

79      Ne deriva che la motivazione della decisione impugnata consente alle ricorrenti di comprendere le ragioni specifiche che hanno indotto la Commissione ad oscurare, in parte, nei contratti in questione, le clausole in materia di diritti di proprietà intellettuale e al giudice dell’Unione di esercitare il suo controllo sulla legittimità di detti oscuramenti, ai sensi della giurisprudenza richiamata ai precedenti punti 34, 35 e 78.

80      Pertanto, la censura relativa all’insufficienza della motivazione della decisione impugnata deve essere respinta.

b)      Sulla fondatezza della motivazione della decisione impugnata

81      Per quanto riguarda la fondatezza dei motivi dedotti dalla Commissione nella decisione impugnata per giustificare l’oscuramento parziale delle clausole in materia di proprietà intellettuale, occorre stabilire se la Commissione abbia fornito spiegazioni plausibili in ordine al modo in cui l’accesso alle informazioni oscurate avrebbe potuto arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio alla tutela degli interessi commerciali delle imprese interessate e se l’asserito pregiudizio possa essere considerato ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico (v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2020, Bronckers/Commissione, T‑166/19, EU:T:2020:557, punto 58).

82      Conformemente alla giurisprudenza citata ai precedenti punti 30 e 31, la Commissione non è tenuta a dimostrare l’esistenza di un rischio certo di pregiudizio alla tutela degli interessi commerciali delle imprese interessate.

83      È sufficiente che la decisione impugnata contenga elementi tangibili che consentano di concludere che il rischio di pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate era, alla data della sua adozione, ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico e menzioni l’esistenza, a tale data, di ragioni oggettive che consentivano di ragionevolmente prevedere che siffatti pregiudizi si sarebbero verificati in caso di divulgazione delle informazioni richieste dalle ricorrenti (v., in tal senso, sentenza del 7 giugno 2011, Toland/Parlamento, T‑471/08, EU:T:2011:252, punti 78 e 79).

84      Nel caso di specie, come indicato al precedente punto 76, dalla decisione impugnata risulta che la Commissione ha negato l’accesso integrale alle clausole in questione, al fine di non rischiare di perturbare le eventuali prese di posizione strategiche delle imprese interessate quanto allo sfruttamento dei loro diritti, in un’epoca caratterizzata da una forte domanda per i vaccini contro la COVID-19 e durante la quale era ipotizzabile che fossero presentate domande di concessione di licenze da parte di società terze.

85      Dopo aver consultato le versioni integrali dei contratti in questione, il Tribunale constata che, sebbene le clausole in materia di proprietà intellettuale, che figurano sotto il titolo «Esercizio dei risultati» del contratto e/o sotto il titolo «Diritti di proprietà intellettuale», presentino analogie, esse non sono identiche, come risulta, all’occorrenza, da diverse aggiunte. Inoltre, le ricorrenti non negano né il contesto di forte domanda di vaccini contro la COVID-19, né la circostanza che fossero ipotizzabili domande di concessione di licenze. Esse non negano neppure il fatto che il rischio di pregiudizio agli interessi commerciali di una determinata impresa sussisterebbe individualmente nei confronti di essa.

86      Peraltro, le spiegazioni della Commissione nella decisione impugnata dimostrano che essa ha effettuato un esame concreto e individuale della domanda di accesso ai contratti in questione e di essersi basata su circostanze proprie del caso di specie e specifiche delle imprese interessate per quanto riguardava le clausole in materia di diritti di proprietà intellettuale per accreditare l’esistenza di un rischio ragionevolmente prevedibile e non ipotetico di pregiudizio alla tutela degli interessi commerciali di dette imprese.

87      Da quanto precede risulta che le spiegazioni della Commissione nella decisione impugnata relative all’esistenza di un rischio ragionevolmente prevedibile e non ipotetico di pregiudizio alla tutela degli interessi commerciali delle imprese interessate relativo alla divulgazione integrale delle clausole in materia di proprietà intellettuale sono fondate.

88      Per quanto riguarda la censura secondo cui la Commissione ha applicato l’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali in modo incoerente, tale censura coincide con il terzo motivo di ricorso, cosicché occorre esaminarla nell’ambito di detto motivo.

89      Alla luce di quanto precede, occorre respingere la terza parte del secondo motivo di ricorso.

3.      Sul diniego parziale di accesso alle clausole relative agli acconti o ai pagamenti anticipati

90      Con la quarta parte del secondo motivo di ricorso, le ricorrenti contestano l’adeguatezza della motivazione della decisione impugnata e la sua fondatezza al fine di giustificare l’oscuramento parziale delle clausole relative agli acconti (down payments) o ai pagamenti anticipati (advance payments) di «taluni» dei contratti in questione sulla base dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

91      Le ricorrenti contestano le considerazioni addotte nella decisione impugnata secondo le quali la divulgazione delle informazioni oscurate avrebbe presentato un rischio di pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate in quanto avrebbe consentito di determinare il valore totale del contratto in questione e il prezzo per dose e rivelato le strategie e le strutture tariffarie di dette imprese, il che avrebbe potuto compromettere i loro negoziati sul mercato mondiale ed essere sfruttato a loro danno dai loro concorrenti. Esse rilevano che la Commissione ha divulgato l’importo degli acconti o pagamenti anticipati di «taluni» contratti in questione e che «alcuni» di detti importi sarebbero noti a causa delle fughe di informazioni su una rete sociale e nei media (v. precedente punto 8). Orbene, la Commissione non avrebbe confermato che fosse effettivamente possibile calcolare il prezzo per dose o trarre altre conclusioni sensibili sotto il profilo commerciale, in particolare, in ordine alle strategie tariffarie delle imprese interessate, a partire dalle informazioni sugli acconti o sui pagamenti anticipati oscurati. In tale contesto, esse sottolineano che il prezzo lasciato a carico degli Stati membri non è stato divulgato. In ogni caso, la Commissione non ha spiegato in che senso il rischio di danneggiare gli interessi commerciali delle imprese interessate fosse prevedibile e non ipotetico.

92      Le ricorrenti addebitano alla Commissione di non aver spiegato in che modo la divulgazione degli acconti o dei pagamenti anticipati potesse rivelare informazioni sulla situazione attuale delle imprese interessate e sul mercato per i vaccini contro la COVID-19.

93      Le ricorrenti sostengono che il rischio di pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate relativo ai loro negoziati con acquirenti di paesi terzi non rientrerebbe nell’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001 e sarebbe ipotetico.

94      Le ricorrenti contestano le considerazioni addotte nella decisione impugnata secondo le quali la divulgazione integrale delle clausole degli accordi preliminari di acquisto sugli acconti o sui pagamenti anticipati avrebbe posto in situazione di svantaggio l’impresa interessata nei confronti dei suoi concorrenti, rivelando il grado di rischio finanziario dalla medesima accettato concludendo il contratto in questione e fornendo indicazioni sulla sua strategia tariffaria. A loro avviso, tali elementi non preciserebbero in che modo la divulgazione di tali informazioni avrebbe potuto arrecare concretamente pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate o rivelare informazioni sensibili sulle loro strutture dei costi.

95      In tale contesto, le ricorrenti sostengono che, anche se esistesse una qualsivoglia giustificazione per l’oscuramento delle clausole relative agli acconti o ai pagamenti anticipati negli accordi preliminari di acquisto quando tali accordi erano in vigore, quest’ultima non sarebbe più esistita al momento dell’adozione della decisione impugnata. Peraltro, tali informazioni non potrebbero essere pertinenti per futuri negoziati. Esse sottolineano di non aver chiesto l’accesso ai contratti in questione prima che questi ultimi fossero firmati e che i contratti di acquisto fossero già stati firmati alla data di adozione della decisione impugnata.

96      Infine, le ricorrenti addebitano alla Commissione di non aver ponderato l’interesse delle imprese interessate al mantenimento della riservatezza delle clausole relative agli acconti o ai pagamenti anticipati e l’interesse pubblico alla trasparenza e di non aver dimostrato che il primo prevaleva sul secondo.

97      La Commissione si oppone a tale argomentazione.

a)      Sulla motivazione della decisione impugnata

98      Il Tribunale rileva che, nella domanda di conferma, i sei deputati hanno contestato i motivi del diniego parziale di accesso alle informazioni sui prezzi contenuti nei contratti in questione esposti nella risposta del 9 giugno 2021 alla loro domanda iniziale.

99      Nel caso di specie, con la decisione impugnata, la Commissione ha parzialmente oscurato le clausole relative ai prezzi e alle modalità di pagamento in tutti i contratti in questione, ad eccezione del documento 10, dato che tale documento non affronta i prezzi. Così, essa ha oscurato l’importo degli acconti o dei pagamenti anticipati nei documenti 2, 3, 4, 12 e 13, ma l’ha divulgato nei documenti 1, 5 e 6. Inoltre, essa ha oscurato diverse informazioni nei contratti in questione vertenti, a seconda dei casi, in particolare, sul prezzo per dose, sul prezzo alla consegna, sul prezzo o sul costo totale, sull’importo lasciato a carico degli Stati membri e sui calendari di pagamento.

100    Nella decisione impugnata, anzitutto, la Commissione ha indicato che le informazioni oscurate a titolo dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali contenevano elementi sensibili sul piano commerciale relativi, in particolare, ai prezzi e ai prezzi individuali per dose, ai costi totali stimati dei prodotti e alla metodologia relativa ai costi. Essa ha indicato che la divulgazione delle informazioni oscurate avrebbe potuto nuocere alla situazione concorrenziale delle imprese interessate sul mercato mondiale per la produzione e la commercializzazione dei vaccini contro la COVID-19.

101    Poi, in una parte dedicata proprio ai rischi finanziari, la Commissione ha indicato che le clausole relative ai prezzi e alle condizioni di acquisto contenute negli accordi preliminari di acquisto rimanevano pertinenti per i contratti di acquisto successivi. Essa ha spiegato che le informazioni sui prezzi erano state oscurate, in quanto la loro divulgazione avrebbe consentito ai terzi di trarre conclusioni quanto alle strategie commerciali e tariffarie delle imprese interessate, le quali avrebbero potuto essere utilizzate dai concorrenti di queste ultime per pianificare le proprie strategie, il che avrebbe pregiudicato gravemente i negoziati in corso e futuri delle imprese interessate con altri acquirenti a livello internazionale.

102    Per quanto riguarda, più in particolare, gli acconti o i pagamenti anticipati negli accordi preliminari di acquisto, vale a dire il contributo proveniente dalle risorse per il sostegno di emergenza (v. punti 2 e 3 supra), la Commissione ha affermato di aver utilizzato detto contributo per quasi tutti i contratti interessati. L’importo totale di tali acconti ammontava a circa EUR 2,7 miliardi. Essa ha osservato che, nel caso dei contratti nei quali l’acconto era stato oscurato, le imprese interessate avevano indicato motivi concreti per giustificare il carattere commerciale riservato di detto importo. In particolare, disponendo dell’importo dell’acconto, sarebbe stato possibile valutare, in funzione delle pratiche di mercato, e determinare il valore totale del contratto e, infine, il prezzo per dose, costituenti, per tutte le imprese, informazioni sensibili sotto il profilo commerciale. Ciò avrebbe potuto avere un impatto negativo sui negoziati delle imprese interessate con altri acquirenti e avrebbe potuto arrecare pregiudizio a tutte le operazioni di dette imprese nella misura in cui le loro strategie e strutture tariffarie fossero rivelate. Tali difficoltà per le imprese interessate avrebbero potuto, a loro volta, arrecare pregiudizio all’esecuzione dei contratti in questione.

103    Inoltre, la Commissione ha esposto i motivi di taluni oscuramenti specifici relativi agli acconti, vale a dire nei documenti 3 e 6. Tali oscuramenti sarebbero collegati ad aspetti particolari dei contratti relativi ai costi connessi al processo di produzione dell’impresa interessata o alla circostanza che alla data di adozione della decisione impugnata erano in corso talune forniture e talune discussioni con l’impresa interessata. Tali oscuramenti avrebbero avuto l’obiettivo di consentire la corretta esecuzione del contratto in questione.

104    La Commissione ha poi rilevato che, secondo la giurisprudenza, informazioni sensibili sotto il profilo commerciale relative, in particolare, alle strategie commerciali delle imprese interessate o ai loro rapporti commerciali erano protette dall’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001. Inoltre, i rischi commerciali potenziali, i prezzi applicati e le soglie degli impegni finanziari convenuti nell’ambito di un contratto di natura sensibile potrebbero anch’essi costituire elementi sensibili sotto il profilo commerciale, in particolare per contratti ancora in corso di esecuzione. Nel caso di specie, la divulgazione di tali passaggi degli accordi preliminari di acquisto avrebbe sensibilmente svantaggiato l’impresa interessata nei confronti dei suoi concorrenti, poiché il livello di rischio finanziario accettato da quest’ultima nonché informazioni sulla sua strategia tariffaria sarebbero stati in tal modo portati a loro conoscenza. In tali circostanze, la Commissione ha ritenuto che taluni aspetti finanziari dei contratti dovessero rimanere tutelati in virtù dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali.

105    Infine, la Commissione ha escluso la rilevanza della circostanza che tre accordi preliminari di acquisto fossero stati oggetto di fughe di notizie nei media.

106    Da tali considerazioni risulta che la Commissione ha fornito spiegazioni dettagliate sulla natura delle informazioni relative agli acconti e ai pagamenti anticipati oscurati e sul modo in cui la divulgazione di dette informazioni avrebbe potuto arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate, sia tra loro che tra esse e le società farmaceutiche terze loro concorrenti. Inoltre, queste spiegazioni hanno tenuto conto degli scambi tra la Commissione e i sei deputati. Infatti, la Commissione ha indicato i motivi per i quali gli accordi preliminari di acquisto sarebbero stati pertinenti per i contratti di acquisto successivi nonché nell’ambito di trattative con acquirenti di paesi terzi e i motivi per i quali le informazioni che erano state oggetto di fughe di notizie nei media non potevano giustificare una deroga alla riservatezza di dette informazioni.

107    Ne deriva che la motivazione della decisione impugnata consente alle ricorrenti di comprendere le ragioni specifiche che hanno indotto la Commissione ad oscurare, in parte, nei contratti in questione, le clausole riguardanti gli acconti o i pagamenti anticipati e al giudice dell’Unione di esercitare il suo controllo sulla legittimità di questi oscuramenti, ai sensi della giurisprudenza richiamata ai precedenti punti 34, 35 e 78.

108    Pertanto, occorre respingere la censura relativa all’insufficienza della motivazione della decisione impugnata a tal riguardo.

b)      Sulla fondatezza della motivazione della decisione impugnata

109    Per quanto riguarda la fondatezza dei motivi addotti dalla Commissione per giustificare l’oscuramento parziale delle clausole relative agli acconti o ai pagamenti anticipati, occorre stabilire se, conformemente alla giurisprudenza richiamata ai precedenti punti 30, 31, 81 e 83, essa abbia fornito spiegazioni plausibili in ordine al fatto che l’accesso alle informazioni oscurate avrebbe potuto arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio alla tutela degli interessi commerciali delle imprese interessate e al fatto che l’asserito pregiudizio avrebbe potuto essere considerato ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico.

110    Nel caso di specie, come indicato ai precedenti punti da 100 a 105, dalla decisione impugnata risulta che la Commissione ha negato l’accesso integrale alle clausole in questione, compresi i calendari e le modalità di pagamento, al fine di non rischiare di rivelare elementi sensibili sotto il profilo finanziario contenuti nei contratti in questione e, in definitiva, relativi alle strategie commerciali e tariffarie delle imprese interessate in un’epoca caratterizzata da una forte domanda per i vaccini contro la COVID-19 e durante la quale erano in corso o, quanto meno, possibili trattative con acquirenti di paesi terzi.

111    Dopo aver consultato le versioni integrali dei contratti in questione, il Tribunale constata che le clausole relative agli acconti o ai pagamenti anticipati nonché le modalità e i calendari di pagamento sono differenti. Inoltre, le ricorrenti non negano né il contesto di forte domanda di vaccini contro la COVID-19, né la circostanza che le trattative con acquirenti di paesi terzi fossero in corso o, quanto meno, possibili alla data di adozione della decisione impugnata.

112    Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, la circostanza che le imprese interessate abbiano potuto beneficiare di acconti provenienti da fondi pubblici al fine di sviluppare vaccini contro la COVID-19 non è idonea, in quanto tale, ad escludere il carattere commercialmente sensibile delle clausole relative agli acconti o ai pagamenti anticipati o a far ritenere che i loro interessi commerciali non potessero essere tutelati.

113    A tal riguardo, secondo la giurisprudenza, se un’impresa a capitale pubblico può detenere interessi commerciali che possono essere tutelati allo stesso titolo di quelli di un’impresa privata (v., in tal senso, sentenza del 27 febbraio 2018, CEE Bankwatch Network/Commissione, T‑307/16, EU:T:2018:97, punto 108), lo stesso deve valere, a maggior ragione, per un’impresa privata, quand’anche essa contribuisca alla realizzazione di compiti di interesse pubblico (sentenza del 5 dicembre 2018, Falcon Technologies International/Commissione, T‑875/16, non pubblicata, EU:T:2018:877, punto 49).

114    Del pari, come sostiene la Commissione, deve essere respinto l’argomento delle ricorrenti vertente sulla circostanza che talune informazioni relative ai prezzi dei vaccini erano state oggetto di fughe nei media.

115    Infatti, la divulgazione non autorizzata di un documento non può avere la conseguenza di rendere accessibile al pubblico un documento oggetto di una delle eccezioni previste all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001 (sentenza del 25 ottobre 2013, Beninca/Commissione, T‑561/12, non pubblicata, EU:T:2013:558, punto 55).

116    Inoltre, non può essere accolto l’argomento delle ricorrenti vertente sulla circostanza che, nel settembre e nell’ottobre 2022, vale a dire più di sei mesi dopo l’adozione della decisione impugnata, due imprese (AstraZeneca e CureVac) avrebbero rispettivamente dichiarato di non avere difficoltà con la divulgazione pubblica dei loro accordi preliminari di acquisto o avrebbero rivelato «tutti i dettagli relativi ai prezzi e all’acconto ricevuto», il che, secondo le ricorrenti, dimostrerebbe che la divulgazione delle informazioni sugli acconti non avrebbe presentato rischi per gli interessi commerciali dell’impresa interessata.

117    Infatti, come esposto al precedente punto 56, la valutazione della fondatezza dell’applicazione dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali deve essere effettuata alla luce dei fatti esistenti alla data di adozione della decisione impugnata, e non alla luce di eventuali dichiarazioni di un numero limitato di imprese interessate rese più di sei mesi dopo la data di adozione di tale decisione e il cui importo dei rispettivi acconti è stato, in ogni caso, divulgato dalla Commissione.

118    Ne consegue che la Commissione ha giustamente considerato, nella decisione impugnata, che la divulgazione integrale delle clausole relative agli acconti o ai pagamenti anticipati avrebbe potuto fornire ai concorrenti delle imprese interessate nonché ad acquirenti terzi informazioni commercialmente sensibili vertenti sulle strategie commerciali e tariffarie delle imprese interessate.

119    Da quanto precede risulta che le spiegazioni della Commissione nella decisione impugnata sull’esistenza di un rischio ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico di pregiudizio alla tutela degli interessi commerciali delle imprese interessate per quanto riguarda la divulgazione integrale delle clausole relative agli acconti e ai pagamenti anticipati sono fondate.

120    Per quanto riguarda la censura secondo cui la Commissione ha applicato l’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali in modo incoerente, tale censura coincide con il terzo motivo di ricorso, cosicché occorre esaminarla nell’ambito di detto motivo.

121    Alla luce di quanto precede, occorre respingere la quarta parte del secondo motivo di ricorso.

4.      Sul diniego parziale di accesso alle clausole relative alla responsabilità e allindennizzo

122    Con la quinta parte del loro secondo motivo di ricorso, le ricorrenti contestano l’adeguatezza della motivazione della decisione impugnata e la sua fondatezza al fine di giustificare il diniego parziale di accesso alle clausole relative alla responsabilità e all’indennizzo sulla base dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

123    In primo luogo, le ricorrenti fanno valere che l’ipotesi secondo cui la divulgazione integrale delle clausole relative alla responsabilità e all’indennizzo avrebbe potuto dar luogo a molteplici azioni giudiziarie abusive e ingiustificate non è stata spiegata e che la Commissione non ha precisato né dimostrato in che modo la loro divulgazione arrecherebbe pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate.

124    In secondo luogo, le ricorrenti contestano le considerazioni addotte nella decisione impugnata secondo le quali la divulgazione integrale delle clausole in questione avrebbe rivelato ai concorrenti dell’impresa interessata i «punti deboli» della copertura della sua responsabilità e avrebbe fornito a detti concorrenti un vantaggio concorrenziale che essi avrebbero potuto sfruttare.

125    In terzo luogo, le ricorrenti negano che la divulgazione integrale delle clausole in questione avrebbe un impatto sulla reputazione generale delle imprese interessate. La ragione per cui la loro divulgazione avrebbe un simile impatto non sarebbe spiegata in nessuna parte dalla Commissione. Infatti, se una società è ritenuta responsabile di un danno connesso a un prodotto difettoso, la lesione della reputazione risulterebbe da tale danno e non dalle clausole negoziate con la Commissione.

126    In quarto luogo, le ricorrenti ritengono che non siano neppure suffragate tre considerazioni supplementari invocate nella decisione impugnata, secondo le quali la divulgazione delle informazioni oscurate avrebbe rivelato ai concorrenti dell’impresa interessata i potenziali costi di una violazione del contratto in questione nonché i benefici reali di detto contratto, e avrebbe arrecato pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate, principalmente compromettendo la loro competitività sui mercati mondiali. A loro avviso, la Commissione non ha fornito elementi sufficienti a dimostrare che la divulgazione delle informazioni in questione avrebbe consentito di rivelare il contenuto della strategia commerciale delle imprese interessate o avrebbe indebolito la loro posizione concorrenziale sui mercati mondiali. Inoltre, gli esempi menzionati nella decisione impugnata non illustrerebbero il carattere sensibile delle informazioni oscurate.

127    Peraltro, le ricorrenti sostengono che l’argomento della Commissione, secondo cui le trattative sulle clausole relative alla responsabilità e all’indennizzo sarebbero state individuali, è fuorviante. Secondo le ricorrenti, dal punto 76 della relazione speciale 19/2022 della Corte dei conti europea, intitolato «Approvvigionamento di vaccini anti-COVID-19 nell’UE», risulterebbe che tali clausole sarebbero identiche nei contratti in questione, cosicché la loro divulgazione non avrebbe potuto pregiudicare gli interessi commerciali delle imprese interessate.

128    In sede di replica, le ricorrenti fanno valere che, anche nell’ipotesi in cui la Commissione avesse dimostrato che la divulgazione delle informazioni oscurate avrebbe arrecato un pregiudizio concreto ed effettivo agli interessi commerciali delle imprese interessate, l’interesse pubblico che presenta la loro divulgazione prevarrebbe su detti interessi commerciali.

129    La Commissione si oppone a tale argomentazione.

130    La Commissione sostiene che le clausole in questione hanno la stessa rilevanza economica e finanziaria di qualsiasi altro elemento di costo per l’impresa interessata e sono state oggetto di trattative individuali.

131    In primo luogo, la Commissione ritiene che sia errato affermare che la divulgazione di dette clausole non comporterebbe un rischio di ricorso per il risarcimento di danni strategici e speculativi nei confronti delle imprese interessate.

132    Pertanto, secondo la Commissione, la divulgazione integrale delle clausole in questione aumenterebbe il numero di ricorsi per risarcimento, che siano fondati o meno, contro l’impresa interessata, in quanto essa fornirebbe alla parte ricorrente più argomenti sulla cui base tentare di dimostrare il carattere difettoso del vaccino. Peraltro, tale rischio sarebbe tanto più concreto quanto più la definizione dei danni per i quali l’impresa interessata potrebbe essere risarcita è già stata divulgata in taluni contratti, vale a dire nel documento 5. Inoltre, la divulgazione dei dettagli dell’indennizzo a carico dello Stato membro interessato avrebbe potuto incidere sull’onere della prova per quanto riguarda il carattere difettoso del prodotto. Infatti, la conoscenza di tali dettagli avrebbe potuto avere l’effetto di semplificare o di rendere più complesso il compito consistente nel dimostrare la responsabilità del fabbricante del vaccino. Essa ritiene quindi che il rischio di un’azione legale collettiva (class action) e di conseguenze finanziarie molto importanti per una sola impresa non sia teorico.

133    In secondo luogo, la Commissione sostiene che la decisione impugnata spiega, in modo giuridicamente adeguato, le ragioni per le quali la divulgazione integrale delle clausole in questione avrebbe avuto ripercussioni commerciali negative per le imprese interessate. Infatti, dette clausole non sarebbero «clausole standard», ma sarebbero state oggetto di trattative individuali, la cui redazione finale rappresenterebbe l’accettazione, da parte dell’impresa, di un rischio finanziario fra vari altri nell’ambito di un accordo complesso. Se divulgate nella loro interezza, una valutazione comparativa avrebbe potuto dare origine a un’ingiustificata percezione negativa di alcuni prodotti. Inoltre, la giurisprudenza ammetterebbe l’invocazione dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali da parte della Commissione a causa del pregiudizio alla reputazione di un operatore attivo su un mercato. Inoltre, la Commissione sostiene che anche una clausola di indennizzo pienamente applicabile non risarcisce tutti i danni causati da una condanna al risarcimento dei danni a una vittima, in particolare all’immagine e alla reputazione dell’impresa condannata. Pertanto, la divulgazione integrale delle clausole relative alla responsabilità e all’indennizzo, vale a dire delle situazioni in cui un’impresa sia o meno risarcita, avrebbe innegabilmente un’incidenza sui suoi interessi commerciali.

134    In terzo luogo, la Commissione rileva che le ricorrenti sostengono che, nel caso di specie, il pregiudizio effettivo e concreto agli interessi commerciali risultante dalla divulgazione di dette clausole non è stato dimostrato e che, anche se essa avesse giustificato un siffatto pregiudizio, sussisterebbe un interesse pubblico prevalente che giustifica la loro divulgazione. Secondo la Commissione, la decisione impugnata spiega le conseguenze negative che la divulgazione di tali informazioni comporterebbe nel caso di specie per le imprese interessate. Orbene, la circostanza che la decisione impugnata invochi l’esistenza di un rischio di pregiudizio effettivo e concreto agli interessi commerciali non significherebbe che tale rischio non sia comprovato o che sia speculativo. Peraltro, l’argomentazione delle ricorrenti sarebbe contraddittoria in quanto esse affermano che sarebbe essenziale sapere se le imprese interessate saranno ritenute responsabili dei danni in caso di effetti nefasti dei vaccini, pur sostenendo che le conseguenze della divulgazione delle clausole in questione per dette imprese, quali invocate dalla Commissione, sarebbero speculative e ipotetiche.

a)      Sulla motivazione della decisione impugnata

135    Nel caso di specie, al punto 2.1.1 della decisione impugnata, la Commissione ha indicato che le informazioni oscurate a titolo dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali, prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, contenevano elementi sensibili sotto il profilo commerciale relativi, in particolare, alla responsabilità e all’indennizzo. Essa ha affermato che la divulgazione integrale di tali informazioni avrebbe potuto rivelare ai concorrenti dell’impresa interessata il beneficio preciso derivante dalla negoziazione per detta impresa.

136    Successivamente, al punto 2.1.4, anzitutto, la Commissione ha affrontato, in sostanza, la responsabilità extracontrattuale delle imprese interessate nei confronti di terzi, in particolare per gli effetti indesiderati derivanti dall’utilizzo del vaccino, e le clausole relative all’eventuale indennizzo, ossia il rimborso, da parte degli Stati membri delle imprese interessate, nell’ipotesi in cui queste ultime fossero condannate a versare un risarcimento danni a terzi a titolo della loro responsabilità extracontrattuale. Essa ha poi affrontato diversi aspetti della responsabilità contrattuale delle imprese interessate.

137    In tal senso, la Commissione ha precisato che la divulgazione integrale delle clausole in questione rischiava di arrecare pregiudizio agli interessi commerciali di dette imprese sotto tre profili.

138    In primo luogo, una conoscenza precisa dei limiti della responsabilità dell’impresa interessata avrebbe consentito un comportamento strategico nei suoi confronti, in quanto essa avrebbe potuto trovarsi di fronte alle conseguenze economiche di molteplici azioni giudiziarie, intentate in modo abusivo e ingiustificato, al solo scopo di ricevere un indennizzo correlato all’utilizzo del suo vaccino. In secondo luogo, la divulgazione integrale delle clausole relative all’indennizzo delle imprese interessate da parte degli Stati membri, in particolare quelle che definiscono le condizioni esatte in cui è escluso un indennizzo da parte dello Stato membro, avrebbe rivelato inevitabilmente ai concorrenti dell’impresa interessata, compresi quelli che non producono vaccini, i «punti deboli» della copertura della sua responsabilità e fornito loro un vantaggio concorrenziale che avrebbero potuto sfruttare. In terzo luogo, una conoscenza precisa dei limiti della responsabilità dell’impresa interessata avrebbe altresì avuto un impatto sulla sua reputazione generale presso i consumatori e i suoi potenziali partner commerciali. Secondo la Commissione, tali motivi spiegherebbero le ragioni dell’impossibilità di divulgare taluni passaggi relativi alla deroga alla clausola relativa all’indennizzo, vale a dire le condizioni in cui una determinata impresa interessata non sarà indennizzata. In tale contesto, essa ha fatto riferimento, a titolo di esempio, agli oscuramenti nella clausola I.12 del documento 4.

139    La Commissione ha poi indicato che talune clausole relative alla responsabilità contrattuale avrebbero una dimensione commerciale valutata e negoziata con l’impresa interessata, la cui divulgazione avrebbe rivelato ai concorrenti di quest’ultima informazioni riguardanti la sua capacità e la sua strategia interne, in particolare laddove tali informazioni fossero tali da consentire di conoscere con precisione i costi che un’interruzione del contratto potrebbe comportare per tale impresa. La Commissione ha illustrato le sue affermazioni con esempi di clausole precise.

140    La Commissione ha precisato che le informazioni oscurate erano sensibili sotto il profilo commerciale. Da un lato, la divulgazione di tali informazioni avrebbe consentito di conoscere con precisione i costi che una violazione del contratto potrebbe comportare per le imprese interessate. Dall’altro lato, la divulgazione di tali informazioni avrebbe potuto rivelarsi pregiudizievole per le imprese interessate, in quanto esse avrebbero fornito ai concorrenti di quest’ultima un’idea molto realistica dei benefici reali ottenuti in forza del contratto in questione, mentre, al momento dell’adozione della decisione impugnata, queste stesse imprese negoziavano contratti per la fornitura di vaccini contro la COVID-19 con acquirenti di paesi terzi, mentre la concorrenza al riguardo si esercita su un mercato mondiale. La Commissione ha inoltre precisato che tale potenziale conflitto con gli interessi commerciali delle imprese interessate sarebbe stato tanto più pregiudizievole in quanto l’esecuzione di taluni contratti era sul punto di iniziare, come si verificava, al momento dell’adozione della decisione impugnata, in particolare, per i documenti 7 e 11.

141    Infine, la Commissione ha sottolineato che, in tale contesto, il mercato mondiale sul quale le imprese interessate svolgevano le loro attività doveva essere preso in considerazione nella valutazione degli effetti della divulgazione delle clausole in questione ai sensi del regolamento n. 1049/2001. Essa ha indicato che, in sede di valutazione dell’applicabilità dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali, erano stati presi in considerazione diversi fattori, segnatamente la situazione particolare di ciascun produttore di vaccini sul mercato, le sue caratteristiche, le sue relazioni con altri operatori commerciali, le sue strategie di mercato e d’impresa e l’uso che i suoi concorrenti avrebbero potuto fare delle informazioni divulgate. Essa ne ha concluso che la divulgazione integrale dei contratti conclusi con le imprese interessate costituirebbe un pregiudizio agli interessi commerciali di queste ultime, compromettendo essenzialmente la loro competitività sui mercati mondiali.

142    Da tali considerazioni risulta che la Commissione ha fornito spiegazioni quanto al carattere commercialmente sensibile delle informazioni contenute nelle clausole relative alla responsabilità e all’indennizzo. Parimenti, la Commissione ha spiegato, in modo giuridicamente adeguato, come, a suo avviso, la divulgazione integrale di dette clausole avrebbe potuto arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate, sia tra loro che tra esse e terzi concorrenti.

143    Ne consegue che la motivazione della decisione impugnata consente alle ricorrenti di comprendere le ragioni specifiche che hanno indotto la Commissione a oscurare, parzialmente, nei contratti in questione, le clausole relative alla responsabilità delle imprese interessate, tanto contrattuale quanto extracontrattuale, nonché le clausole relative all’eventuale risarcimento da parte degli Stati membri di eventuali obbligazioni assunte dalle imprese interessate in caso di contestazione della loro responsabilità extracontrattuale e al giudice dell’Unione di esercitare il suo controllo sulla legittimità di detti oscuramenti, ai sensi della giurisprudenza richiamata ai precedenti punti 34, 35 e 78.

144    Pertanto, la censura relativa all’insufficienza della motivazione della decisione impugnata deve essere respinta.

b)      Sulla fondatezza della motivazione della decisione impugnata

145    Per quanto riguarda la fondatezza dei motivi addotti dalla Commissione per giustificare l’oscuramento parziale delle clausole relative alla responsabilità e all’indennizzo, occorre stabilire se, conformemente alla giurisprudenza richiamata ai precedenti punti 30, 31, 81 e 83, essa abbia fornito spiegazioni plausibili in ordine al fatto che l’accesso alle informazioni oscurate avrebbe potuto arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio alla tutela degli interessi commerciali delle imprese interessate e al fatto che l’asserito pregiudizio avrebbe potuto essere considerato ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico.

1)      Sulle clausole relative alla responsabilità contrattuale

146    Nel caso di specie, come indicato ai precedenti punti da 139 a 141, dalla decisione impugnata risulta che la Commissione ha negato l’accesso integrale alle clausole relative alla responsabilità contrattuale delle imprese interessate al fine di non rischiare di rivelare informazioni asseritamente sensibili sotto il profilo commerciale riguardanti i rischi identificati in ordine all’esecuzione dei contratti in questione e alle soglie finanziarie accettate rispetto a detti rischi da parte di tali imprese, in un periodo caratterizzato da una forte domanda per i vaccini contro la COVID-19 e durante il quale erano in corso o, quantomeno, possibili trattative con acquirenti di paesi terzi.

147    Dopo aver consultato le versioni integrali dei contratti in questione, la Corte osserva che le clausole relative alla responsabilità delle imprese interessate in caso di violazione, risoluzione o sospensione di tali contratti, in particolare in relazione a consegne tardive o mancate, sono diverse. Inoltre, le ricorrenti non negano né il contesto di forte domanda di vaccini contro la COVID-19, né la circostanza che le trattative con acquirenti di paesi terzi fossero in corso o, quanto meno, possibili.

148    Ne consegue che la Commissione ha giustamente considerato, nella decisione impugnata, che la divulgazione integrale di dette clausole avrebbe potuto fornire ai concorrenti delle imprese interessate nonché ad acquirenti terzi informazioni sensibili sotto il profilo commerciale vertenti su elementi di costo, sulle loro capacità e sulle loro strategie interne e sulle soglie finanziarie accettate (v., in tal senso, sentenza del 12 ottobre 2022, Saure/Commissione, T‑524/21, EU:T:2022:632, punti da 99 a 102).

149    Da quanto precede risulta che le spiegazioni della Commissione nella decisione impugnata sull’esistenza di un rischio ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico di pregiudizio alla tutela degli interessi commerciali delle imprese interessate per quanto riguarda la divulgazione integrale delle clausole relative alla responsabilità contrattuale di dette imprese sono fondate.

150    Per quanto riguarda la censura secondo cui la Commissione ha applicato l’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali in modo incoerente, tale censura coincide con il terzo motivo di ricorso, cosicché è opportuno esaminarla nell’ambito di detto motivo.

2)      Sulle clausole relative all’indennizzo

151    In via preliminare, occorre rilevare che, ai sensi degli articoli 1 e 12 della direttiva 85/374/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1985, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati Membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi (GU 1985, L 210, pag. 29), il produttore è responsabile del danno causato da un difetto del suo prodotto e la sua responsabilità non può essere soppressa o limitata, nei confronti del danneggiato, da una clausola esonerativa o limitativa di responsabilità. Pertanto, come riconosciuto dalla Commissione in udienza, in assenza di modifica della direttiva 85/374, né la Commissione né gli Stati membri avevano la possibilità di derogare alle disposizioni di detta direttiva.

152    Inoltre, nessuna disposizione della direttiva 85/374 vieta a un terzo, in questo caso uno Stato membro, di rimborsare i danni pagati da un produttore a causa della difettosità del suo prodotto.

153    Inoltre, il Tribunale osserva che l’articolo 6, terzo comma, dell’accordo del 16 giugno 2020 sull’acquisto di vaccini contro la COVID-19, concluso tra la Commissione e gli Stati membri, è stato pubblicato sul sito Internet della Commissione il 7 settembre 2020 e interamente divulgato come allegato ai contratti in questione, ad eccezione del documento 1. Tale disposizione prevede un meccanismo di indennizzo delle imprese interessate dagli Stati membri dei costi economici, vale a dire di eventuali danni, che incomberebbero normalmente a dette imprese a titolo della loro responsabilità per i loro vaccini. Analogamente, la comunicazione COM (2020) 245 final, menzionata al precedente punto 3, enuncia che tale meccanismo doveva essere considerato come una «polizza assicurativa», consistente nel trasferire una parte del rischio economico che gravava sull’industria farmaceutica verso le autorità pubbliche, in cambio della quale agli Stati membri era garantito di beneficiare di un accesso equo e a prezzi accessibili a un vaccino, qualora fosse stato trovato.

154    Da quanto precede risulta che, da un lato, il meccanismo di indennizzo delle imprese interessate da parte degli Stati membri non incide affatto sul regime della responsabilità giuridica di dette imprese ai sensi della direttiva 85/374 e, dall’altro, che tale informazione era già di dominio pubblico al momento della presentazione della domanda iniziale di accesso e dell’adozione della decisione impugnata.

155    Dopo aver consultato le versioni integrali dei contratti in questione, il Tribunale constata che, sebbene gli accordi preliminari di acquisto e i contratti di acquisto contengano tutti una clausola relativa all’indennizzo, come era stato previsto dall’articolo 6 dell’accordo del 16 giugno 2020 sull’acquisto di vaccini contro la COVID-19 concluso tra la Commissione e gli Stati membri, il contenuto dettagliato di dette clausole non è identico. In tale contesto, il Tribunale rileva l’esistenza di differenze per quanto riguarda, in primo luogo, le situazioni precise nelle quali è stato convenuto che il risarcimento da parte dello Stato membro non sarebbe applicabile, in quanto la maggior parte di dette situazioni resta tuttavia globalmente simile nei contratti in questione, in secondo luogo, l’ambito di applicazione temporale o materiale dell’eventuale indennizzo e, in terzo luogo, le modalità di gestione della difesa di eventuali ricorsi per risarcimento e di attuazione di un eventuale risarcimento.

156    Ciò precisato, rimane da stabilire se la Commissione abbia a giusto titolo negato la divulgazione più ampia, se non integrale, delle clausole relative all’indennizzo.

157    A tal riguardo, non può essere accolto il primo motivo dedotto nella decisione impugnata, vale a dire che una conoscenza precisa dei limiti della responsabilità dell’impresa interessata avrebbe consentito un comportamento strategico nei suoi confronti, in quanto essa avrebbe potuto trovarsi di fronte alle conseguenze economiche di molteplici azioni giudiziarie, intentate in modo abusivo e ingiustificato, al solo scopo di ricevere un risarcimento legato all’utilizzo del suo vaccino.

158    Infatti, anche se il fatto che una società sia esposta ad azioni risarcitorie può indubbiamente comportare costi elevati, in termini di risorse economiche, di tempo o di personale, anche nell’ipotesi in cui tali azioni siano successivamente respinte in quanto infondate, il diritto dei terzi eventualmente lesi da un vaccino difettoso di proporre ricorsi per responsabilità contro le imprese interessate si basa sulla normativa nazionale che recepisce la direttiva 85/374. Tale diritto di ricorso è indipendente dall’esistenza e dal contenuto delle clausole relative all’indennizzo.

159    Inoltre, l’interesse delle imprese interessate ad evitare siffatte azioni risarcitorie, nell’ipotesi in cui esse avessero effettivamente prodotto e messo in circolazione un vaccino difettoso, non può essere qualificato come interesse commerciale e, in ogni caso, non costituisce un interesse degno di tutela, segnatamente alla luce del diritto che spetta a chiunque di chiedere il risarcimento del danno causatogli da un prodotto difettoso (v., per analogia, sentenza del 15 dicembre 2011, CDC Hydrogene Peroxide/Commissione, T‑437/08, EU:T:2011:752, punto 49 e giurisprudenza ivi citata). Analogamente, l’auspicio di evitare di sostenere costi superiori correlati a un procedimento giudiziario non costituisce un interesse protetto ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001 (v., in tal senso, sentenza del 28 giugno 2019, Intercept Pharma e Intercept Pharmaceuticals/EMA, T‑377/18, non pubblicata, EU:T:2019:456, punti 55 e 56).

160    Inoltre, la decisione impugnata non contiene alcun elemento che consenta di concludere che la divulgazione più ampia del meccanismo di indennizzo delle imprese interessate avrebbe potuto essere all’origine di ricorsi proposti contro queste ultime. Infatti, simili ricorsi avrebbero sempre ad oggetto la condanna del produttore di vaccini al risarcimento del danno subito, indipendentemente dall’identità dell’entità che, in definitiva, sopporterà il risarcimento dei danni versati.

161    In tali circostanze, il Tribunale considera che il secondo motivo addotto nella decisione impugnata per negare la divulgazione più ampia della clausola relativa all’indennizzo non dimostra, come richiesto dalla giurisprudenza citata al precedente punto 31, l’esistenza di un rischio prevedibile e non puramente ipotetico per gli interessi commerciali delle imprese interessate.

162    Il secondo motivo dedotto nella decisione impugnata per negare la divulgazione integrale delle clausole relative all’indennizzo, in particolare quelle che definiscono le condizioni esatte in cui è escluso un indennizzo da parte dello Stato membro, consiste nell’affermazione che tale divulgazione avrebbe rivelato inevitabilmente ai concorrenti dell’impresa interessata, compresi quelli che non producono vaccini, i «punti deboli» della copertura della sua responsabilità e fornito loro un vantaggio concorrenziale che essi avrebbero potuto sfruttare, ad esempio, in annunci pubblicitari ed in pubblicità comparative.

163    A tal riguardo, occorre ricordare che la ragione per la quale le clausole relative all’indennizzo sono state integrate nei contratti in questione, vale a dire compensare i rischi corsi dalle imprese interessate connessi all’abbreviazione del termine di messa a punto dei vaccini, era di dominio pubblico prima dell’adozione della decisione impugnata.

164    Inoltre, tutti i contratti in questione contengono una clausola relativa all’indennizzo che, peraltro, elenca, in modo complessivamente analogo, le situazioni specifiche principali in cui l’indennizzo dell’impresa interessata da parte dello Stato membro è escluso.

165    Poiché tutte le imprese interessate beneficiavano, per un motivo identificato e legittimo, di una clausola relativa all’indennizzo, la decisione impugnata non contiene alcun elemento in base al quale si possa concludere che, in caso di divulgazione più ampia della clausola relativa all’indennizzo, il rischio di pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate, in particolare procurando un vantaggio concorrenziale a dette imprese tra di loro, era, alla data della sua adozione, ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico.

166    In tali circostanze, il Tribunale considera che il secondo motivo addotto nella decisione impugnata per negare la divulgazione più ampia della clausola relativa all’indennizzo non dimostra, come richiesto dalla giurisprudenza citata al precedente punto 31, l’esistenza di un rischio prevedibile e non puramente ipotetico per gli interessi commerciali delle imprese interessate.

167    Per quanto riguarda il terzo motivo addotto nella decisione impugnata per negare la divulgazione integrale della clausola relativa all’indennizzo, in particolare delle condizioni in cui è escluso l’indennizzo da parte dello Stato membro, vale a dire che una conoscenza precisa dei limiti della responsabilità delle imprese interessate avrebbe ripercussioni sulla loro reputazione presso consumatori e sulle loro eventuali controparti commerciali, occorre rilevare che, contrariamente a quanto affermano le ricorrenti, un pregiudizio alla reputazione di un’impresa costituisce chiaramente un pregiudizio ai suoi interessi commerciali, nella misura in cui la reputazione di un qualsiasi operatore attivo su un mercato è fondamentale per la realizzazione delle sue attività economiche sul mercato (v., in tal senso, sentenza del 5 dicembre 2018, Falcon Technologies International/Commissione, T‑875/16, non pubblicata, EU:T:2018:877, punti 51 e 53).

168    Tuttavia, per gli stessi motivi esposti ai precedenti punti da 163 a 165, la decisione impugnata non contiene alcun elemento che consenta ragionevolmente di concludere che, in caso di divulgazione più ampia della clausola relativa all’indennizzo, il rischio di pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate, in particolare alla loro reputazione, era, alla data della sua adozione, ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico.

169    In tali circostanze, il Tribunale considera che il terzo motivo addotto nella decisione impugnata per negare la divulgazione più ampia della clausola relativa all’indennizzo non dimostra, come richiesto dalla giurisprudenza citata al precedente punto 31, l’esistenza di un rischio prevedibile e non puramente ipotetico per gli interessi commerciali delle imprese interessate.

170    Alla luce di quanto precede, la quinta parte del secondo motivo di ricorso è fondata per quanto riguarda le clausole relative all’indennizzo dei contratti in questione.

171    Ne consegue che occorre accogliere parzialmente la quinta parte del secondo motivo di ricorso per quanto riguarda le clausole relative all’indennizzo e respingerla in parte per quanto riguarda le clausole relative alla responsabilità contrattuale delle imprese interessate.

5.      Sul diniego parziale di accesso ai calendari di consegna

172    Con la sesta parte del secondo motivo di ricorso, le ricorrenti addebitano alla Commissione di aver oscurato i calendari di consegna dei vaccini delle imprese interessate e di non aver adeguatamente giustificato l’applicazione dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali al riguardo. A loro avviso, dette informazioni non costituirebbero informazioni sensibili sotto il profilo commerciale e il rischio di pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate sarebbe ipotetico.

173    La Commissione si oppone a tale argomentazione.

174    Nel caso di specie, con la decisione impugnata, la Commissione ha oscurato i calendari di consegna, in senso stretto, vale a dire il volume delle dosi e la periodicità delle consegne, nei documenti 3 e da 8 a 13.

175    Nella decisione impugnata, la Commissione ha indicato che i calendari di consegna nonché le obbligazioni contrattuali ad esse collegate costituivano informazioni sensibili sotto il profilo commerciale per le imprese interessate, la cui divulgazione avrebbe rivelato ai loro eventuali concorrenti informazioni riguardanti le loro capacità e le loro strategie commerciali interne. In tale categoria rientrerebbero, ad esempio, gli articoli I.4.7.1 e seguenti del documento 12, l’articolo II.14 del documento 13 e l’articolo I.4.7 del documento 8. Essa ha altresì indicato che tali informazioni avrebbero rivelato con precisione i costi che una violazione del contratto potrebbe comportare per l’impresa interessata, dal momento che esse contengono, all’occorrenza, norme relative a risarcimenti forfettari in caso di ritardo nella consegna o di consegna mancante. Tali informazioni sarebbero tanto più sensibili tenuto conto del contesto molto concorrenziale in cui operano le imprese interessate, in quanto tali imprese negoziano e si fanno concorrenza a livello mondiale al fine di fornire vaccini contro la COVID-19 anche ad acquirenti situati al di fuori dell’Unione. Tale potenziale conflitto con gli interessi commerciali delle imprese interessate sarebbe stato tanto più pregiudizievole in quanto l’esecuzione dei contratti era sul punto di iniziare, come si verificava, al momento dell’adozione della decisione impugnata, in particolare, per i documenti 7 e 11. Inoltre, la Commissione ha precisato che, nel valutare l’applicabilità dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali, essa aveva preso in considerazione la situazione particolare delle imprese interessate nonché la fase di esecuzione del contratto in questione.

176    A tal riguardo, il Tribunale considera che gli elementi addotti dalla Commissione giustificano il fatto di considerare le informazioni sui calendari di consegna oscurate come informazioni sensibili sotto il profilo commerciale e sono sufficienti per consentire di concludere nel senso dell’esistenza di un rischio ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico che la divulgazione di tali informazioni arrechi pregiudizio alla tutela degli interessi commerciali delle imprese interessate (v., in tal senso, sentenza del 3 luglio 2014, Consiglio/in’t Veld, C‑350/12 P, EU:C:2014:2039, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

177    Infatti, dopo aver consultato le versioni integrali dei contratti in questione, il Tribunale constata che le informazioni sui calendari di consegna oscurati forniscono una panoramica di elementi pertinenti e recenti relativi alle capacità e alle strategie commerciali interne delle imprese interessate, alle condizioni delle forniture e alle modalità, volumi e periodicità di consegna, nonché alle conseguenze per dette imprese in caso di consegne mancanti o tardive. Pertanto, al momento dell’adozione della decisione impugnata, la possibile esistenza di un rischio ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico di pregiudizio alle strategie commerciali interne delle imprese interessate non poteva essere esclusa.

178    Alla luce di quanto precede, occorre respingere la sesta parte del secondo motivo di ricorso.

6.      Sul diniego parziale di accesso alle clausole relative alle donazioni e alle rivendite

179    Con la settima parte del secondo motivo di ricorso, ed analogamente al primo motivo di ricorso (v. punti 17 e 25 supra), le ricorrenti addebitano alla Commissione di aver ampiamente oscurato le clausole relative alle donazioni e alle rivendite di vaccini nei contratti in questione e di non aver adeguatamente giustificato l’applicazione dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali al riguardo. A loro avviso, un rischio di pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate sarebbe ipotetico. Peraltro, tali informazioni sarebbero di grande interesse per la salute pubblica di paesi terzi. La Commissione avrebbe dovuto ponderare l’ipotetico pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese di cui trattasi con l’interesse pubblico alla trasparenza, dal momento che la vaccinazione su scala mondiale sarebbe stata della massima importanza per la protezione della salute umana all’interno dell’Unione e nei paesi terzi.

180    La Commissione si oppone a tale argomentazione.

181    Secondo la Commissione, tenuto conto del contesto nel quale i contratti in questione sono stati negoziati, le clausole relative alle donazioni e alle rivendite riguarderebbero il nucleo centrale delle transazioni commerciali e la loro divulgazione arrecherebbe pregiudizio agli interessi commerciali legittimi delle imprese interessate, in particolare per quanto riguarda le loro capacità e le loro strategie commerciali interne, come invocato nella decisione impugnata. Essa sostiene che la loro non divulgazione mira a conservare il potere discrezionale dello Stato membro e dell’impresa interessata per quanto riguarda la valutazione di un’eventuale rivendita o donazione e nell’ambito di eventuali accordi trilaterali con paesi terzi. Orbene, una divulgazione integrale di dette clausole avrebbe subordinato tali decisioni ad elementi estranei agli interessi commerciali e avrebbe potuto avere conseguenze finanziarie importanti per l’impresa interessata, in particolare in materia di indennizzo, e fornito ai concorrenti di quest’ultima informazioni commerciali utili che essi avrebbero potuto utilizzare contro l’impresa nei paesi terzi. Tali clausole rivestirebbero quindi una dimensione commerciale. Essa contesta l’argomento delle ricorrenti secondo il quale dette clausole non possono essere considerate riservate sotto un profilo commerciale a causa dell’interesse superiore per la salute pubblica al di fuori dell’Unione, poiché considerazioni legate alla sanità pubblica non possono essere l’elemento determinante al riguardo.

182    Nel caso di specie, con la decisione impugnata, la Commissione ha integralmente oscurato le clausole relative alle donazioni e alle rivendite nei documenti 7 e 11. Essa ha parzialmente oscurato i documenti 3, 4, 6, 8, 9, 12 e 13 di tali clausole.

183    Tuttavia, la decisione impugnata, che espone i motivi che giustificherebbero la non divulgazione, integrale o parziale, di tutta una serie di categorie di informazioni nei contratti in questione, non lascia apparire in modo espresso, quand’anche in modo succinto, i motivi per i quali le clausole relative alle donazioni e alle rivendite sono state oscurate.

184    Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall’argomentazione sviluppata dalla Commissione nelle sue memorie, secondo cui le clausole relative alle donazioni e alle rivendite rivestirebbero una dimensione commerciale sensibile per le imprese interessate in relazione ad eventuali accordi trilaterali, in particolare in materia tariffaria, di indennizzo e di copertura dei costi, e, di conseguenza, con i loro potenziali rapporti commerciali futuri. Infatti, tali spiegazioni non sono state invocate nella decisione impugnata e non possono essere dedotte da quelle che vi figurano.

185    Del pari, tale conclusione non può essere rimessa in discussione neppure dall’affermazione della Commissione, in udienza, secondo cui il punto 2.1.1 della decisione impugnata conterrebbe un principio di motivazione riguardo alle clausole relative alle donazioni e alle rivendite. È vero che tale punto espone che «i passaggi oscurati dei contratti ai quali [le ricorrenti] chied[ono] l’accesso contengono informazioni che, se divulgate, potrebbero nuocere alla competitività delle imprese interessate sul mercato mondiale della produzione e della commercializzazione dei prodotti farmaceutici in questione». Tuttavia, questa frase è talmente generica che potrebbe riferirsi a quasi tutte le clausole dei contratti in questione e non fornisce alcuna indicazione sulle preoccupazioni concrete delle imprese interessate, o anche degli Stati membri, in merito alla valutazione di possibili donazioni o rivendite in caso di divulgazione più ampia delle clausole in questione.

186    Ne deriva che la Commissione non ha fornito spiegazioni sufficienti che consentissero di sapere in che modo l’accesso alle clausole relative alle donazioni e alle rivendite avrebbe potuto arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate.

187    Alla luce di quanto precede, le ricorrenti fanno giustamente valere che la Commissione ha violato l’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001 negando l’accesso alle clausole relative alle donazioni e alle rivendite.

188    Ne consegue che la settima parte del secondo motivo di ricorso dev’essere respinta.

7.      Conclusioni sul secondo motivo di ricoso

189    Per le ragioni esposte ai precedenti punti da 151 a 171 e da 182 a 187, la quinta e la settima parte del secondo motivo di ricorso devono essere accolte e la decisione impugnata annullata nella parte in cui essa riguarda le clausole relative all’indennizzo nonché alle donazioni e alle rivendite, e il secondo motivo deve essere respinto quanto al resto.

C.      Sul terzo motivo di ricorso, vertente sull’applicazione incoerente del regolamento n. 1049/2001 che ha condotto a una violazione di quest’ultimo e su una violazione del principio di buona amministrazione, in quanto la Commissione non ha oscurato, nella stessa misura, clausole o informazioni della stessa natura

190    Con il loro terzo motivo di ricorso, le ricorrenti addebitano alla Commissione di aver oscurato in modo incoerente talune disposizioni e informazioni della stessa natura, se non addirittura identiche, in alcuni dei contratti in questione e non in altri. Peraltro, la Commissione non avrebbe spiegato né la ragione di tali divergenze, né in che modo la divulgazione delle informazioni oscurate avrebbe arrecato pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate. Le ricorrenti ritengono che le incoerenze negli oscuramenti mostrerebbero che la Commissione avrebbe semplicemente seguito il parere dell’impresa interessata e sostengono, in fase di replica, che tali incoerenze costituirebbero una violazione del principio di buona amministrazione.

191    In tale contesto, le ricorrenti mettono in evidenza, da un lato, le clausole relative ai diritti di proprietà intellettuale e le clausole relative agli acconti o ai pagamenti anticipati.

192    Le ricorrenti deducono censure analoghe nell’ambito del primo motivo di ricorso riguardante le definizioni nonché nell’ambito delle parti dalla terza alla quinta del secondo motivo di ricorso, relative alle clausole in materia di proprietà intellettuale, agli acconti e ai pagamenti anticipati nonché alle clausole relative alla responsabilità e all’indennizzo

193    La Commissione si oppone a tale argomentazione.

194    A tal riguardo, il Tribunale ricorda che, a termini dell’articolo 41, paragrafo 2, lettera c), della Carta, il diritto fondamentale ad una buona amministrazione comporta l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni.

195    Nel caso di documenti provenienti da terzi, l’articolo 4, paragrafo 4, del regolamento n. 1049/2001 precisa che l’istituzione dell’Unione consulta il terzo al fine di valutare se sia applicabile una delle eccezioni di cui all’articolo 4, paragrafo 1 o 2, a meno che non sia chiaro che il documento può o non deve essere divulgato. Se l’istituzione interessata ritiene che sia evidente che l’accesso a un documento proveniente da terzi debba essere rifiutato sulla base delle eccezioni di cui al paragrafo 1 o 2 dello stesso articolo, essa rifiuta l’accesso al richiedente senza neppure dover consultare il terzo da cui proviene il documento, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo si sia o meno precedentemente opposto a una domanda di accesso agli stessi documenti presentata sulla base del presente regolamento.

196    Per quanto riguarda il margine di discrezionalità delle istituzioni dell’Unione nell’ambito del trattamento delle domande di accesso ai documenti provenienti da terzi, occorre precisare che le disposizioni del regolamento n. 1049/2001 che sanciscono, con riserva delle eccezioni da esso enunciate, il diritto d’accesso a tutti i documenti detenuti da un’istituzione, devono essere effettivamente attuate dall’istituzione alla quale è rivolta la domanda d’accesso (sentenza del 14 febbraio 2012, Germania/Commissione, T‑59/09, EU:T:2012:75, punto 48).

197    Di conseguenza, nel caso di documenti provenienti da un terzo, se è vero che la consultazione di detto terzo è obbligatoria prima di divulgare il documento che proviene da esso, spetta alla Commissione valutare i rischi che possono risultare dalla divulgazione di tali documenti. In particolare, essa non può ritenere che l’opposizione di tale terzo significhi automaticamente che non può esservi divulgazione in ragione di un rischio di pregiudizio alla tutela degli interessi commerciali, ma deve analizzare in modo indipendente tutte le circostanze rilevanti ed adottare una decisione nell’ambito del proprio margine di discrezionalità.

198    Così, ai sensi dell’articolo 8 del regolamento n. 1049/2001, la responsabilità finale della corretta applicazione di tale regolamento incombe all’istituzione dell’Unione, e ad essa spetta altresì difendere dinanzi al giudice dell’Unione o al Mediatore europeo la validità della decisione che rifiuta l’accesso ai documenti provenienti da un terzo. Se, nel caso di documenti provenienti da terzi, l’istituzione dovesse automaticamente conformarsi alla motivazione presentata dal terzo interessato, essa si vedrebbe costretta a difendere nei confronti della persona che ha formulato la domanda d’accesso e, se del caso, dinanzi a dette istanze di controllo, posizioni che essa stessa non considera difendibili (v., in tal senso, sentenza del 14 febbraio 2012, Germania/Commissione, T‑59/09, EU:T:2012:75, punto 47).

199    Nel caso di specie, la decisione impugnata indica che, conformemente all’articolo 4, paragrafo 4, del regolamento n. 1049/2001, la Commissione ha condotto presso le imprese interessate nuove consultazioni, qualificate come «ampie», vertenti sulla possibilità di una divulgazione più ampia dei contratti in questione a seguito della domanda di conferma. Tale decisione spiega che da dette consultazioni era risultato che alcune parti dei contratti in questione necessitavano ancora di una tutela, in quanto esse erano sensibili sotto il profilo commerciale e la loro divulgazione poteva pregiudicare gli interessi commerciali legittimi delle imprese interessate. La decisione impugnata precisa che un accesso parziale più ampio ai contratti in questione è stato concesso dopo che l’istituzione aveva preso in considerazione le risposte delle imprese interessate e la valutazione da essa stessa effettuata. La decisione impugnata espone altresì che la portata degli oscuramenti variava, in particolare, in funzione della situazione specifica di ciascuna impresa interessata, delle sue caratteristiche, delle sue relazioni con altri operatori commerciali, delle sue strategie di mercato e d’impresa, dell’uso che i suoi concorrenti avrebbero potuto fare dell’informazione divulgata e della fase di esecuzione del contratto in questione.

200    Ne deriva che le ricorrenti sono state pienamente messe in grado di comprendere le ragioni che spiegano le divergenze relative agli occultamenti nei contratti in questione e in che modo, secondo la Commissione, la divulgazione integrale delle diverse parti oscurate di tali documenti avrebbe rischiato di avere un impatto diverso sugli interessi commerciali delle imprese interessate. La decisione impugnata, pertanto, non è inficiata da difetto di motivazione sotto questo profilo.

201    Inoltre, dalla decisione impugnata e dalla lettura dei contratti in questione risulta che, se è pur vero che tali documenti riguardano tutti uno stesso oggetto materiale, ossia l’acquisto di vaccini contro la COVID-19, e contengono clausole relative alle reciproche obbligazioni delle parti contraenti a tal fine, l’oggetto giuridico di ciascuno dei contratti in questione è diverso, in quanto l’impresa interessata e il vaccino particolare sono diversi. Pertanto, ogni contratto in questione è un documento autonomo.

202    Orbene, le ricorrenti si sono limitate, in sostanza, a considerare poco credibile il fatto che una determinata informazione sia sensibile per una determinata impresa e non per un’altra. Nondimeno, esse non hanno fornito alcun indizio pertinente idoneo a confutare le spiegazioni fornite dalla Commissione nella decisione impugnata, secondo le quali essa si è basata, per negare l’accesso alle informazioni oscurate, su un’analisi degli elementi relativi al contenuto specifico di ciascun contratto in questione e della situazione individuale di ciascuna impresa interessata.

203    Tenuto conto delle considerazioni che precedono, si deve respingere il terzo motivo in quanto infondato.

D.      Sul quarto motivo di ricorso, vertente su una violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001, in quanto la Commissione non ha preso in considerazione l’interesse pubblico prevalente alla divulgazione delle informazioni richieste

204    Con il loro quarto motivo di ricorso, come adattato, le ricorrenti contestano, in sostanza, la fondatezza e il carattere sufficiente dei motivi dedotti dalla Commissione nella decisione impugnata quanto all’assenza di un interesse pubblico prevalente alla divulgazione integrale dei contratti in questione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, ultima parte di frase, del regolamento n. 1049/2001.

205    Secondo le ricorrenti, sussiste un interesse pubblico prevalente alla divulgazione integrale dei contratti in questione al fine di instaurare la fiducia del pubblico nel ruolo svolto dalla Commissione riguardo all’aggiudicazione congiunta di appalti per l’acquisto dei vaccini contro la COVID-19 e all’utilizzo di fondi pubblici a tal riguardo, nonché al fine di instaurare la fiducia del pubblico nei vaccini stessi, e ciò al fine di lottare contro un fenomeno di reticenza vaccinale e la disinformazione.

206    Parimenti, le ricorrenti sostengono che esisterebbe un nesso tra il fenomeno della reticenza vaccinale e la diffidenza del pubblico nelle istituzioni e la mancata divulgazione di talune informazioni contenute nei contratti in questione, vale a dire la struttura dei costi della produzione dei diversi vaccini, i prezzi, i luoghi di produzione, gli accordi in materia di proprietà intellettuale, le clausole relative alla responsabilità e all’indennizzo e le clausole relative all’accesso al vaccino.

207    Le ricorrenti negano di aver dedotto soltanto argomenti di natura generale per giustificare la divulgazione delle informazioni oscurate. Esse contestano alla Commissione di non aver ponderato gli interessi commerciali delle imprese interessate e l’interesse pubblico superiore della salute favorito dalla trasparenza. La Commissione avrebbe semplicemente respinto gli argomenti delle ricorrenti senza precisare chiaramente le ragioni per le quali non vi era un interesse pubblico prevalente alla divulgazione delle informazioni di cui trattasi.

208    Infine, nella loro memoria di adattamento, le ricorrenti elencano le ragioni per le quali sarebbe necessaria la divulgazione di talune informazioni specifiche oscurate nei contratti in questione. In primo luogo, esse sostengono che la divulgazione delle definizioni sarebbe una condizione preliminare per la comprensione dei contratti in questione e, di conseguenza, per la trasparenza e la fiducia, così da presentare un interesse pubblico prevalente. In secondo luogo, la divulgazione dell’ubicazione dei siti di produzione dei vaccini sarebbe necessaria per l’organizzazione delle campagne di vaccinazione negli Stati membri e affinché il pubblico possa valutare se ci si debba attendere un eventuale ritardo nella consegna e verificare se le capacità siano sufficienti per fornire tempestivamente i vaccini. In terzo luogo, la divulgazione delle clausole relative alle donazioni e alle rivendite sarebbe necessaria per sapere come l’Unione e gli Stati membri contribuiscano a combattere la COVID-19 su scala mondiale. In quarto luogo, la divulgazione dei prezzi per dosi e dei calendari di consegna sarebbe necessaria al fine di ridare fiducia al pubblico nell’aggiudicazione congiunta di appalti per i vaccini e di spiegare le diverse scelte di vaccini degli Stati membri e le difficoltà di consegna incontrate, in particolare dall’AstraZeneca. In quinto luogo, la divulgazione delle clausole relative agli acconti e ai pagamenti anticipati sarebbe importante affinché il pubblico abbia fiducia nei vaccini e negli investimenti di fondi pubblici da parte della Commissione e possa analizzarli e trarne conclusioni sull’aggiudicazione congiunta degli appalti per i vaccini e gli eventuali utili realizzati dalle imprese interessate. In sesto luogo, la divulgazione delle clausole relative alla responsabilità e all’indennizzo sarebbe essenziale al fine di accrescere la fiducia nei vaccini, di lottare contro la disinformazione e di sapere chi è responsabile e che sarà risarcito in caso di effetti secondari connessi alla vaccinazione.

209    La Commissione si oppone a tale argomentazione.

210    Sotto tale profilo, in via preliminare, il Tribunale ricorda che il primo motivo di ricorso e la prima parte del secondo motivo di ricorso nonché la quinta e la settima parte del secondo motivo di ricorso devono essere accolti in quanto la Commissione non ha fornito spiegazioni sufficienti che consentissero di capire in che modo l’accesso alle definizioni delle espressioni «dolo» di cui al documento 1 e «ogni ragionevole sforzo» nei documenti 4 e 7 e alle clausole relative alle donazioni e alle rivendite avrebbe potuto arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate, e in quanto i motivi per negare la divulgazione più ampia delle clausole relative all’indennizzo non dimostrano l’esistenza di un rischio prevedibile e non puramente ipotetico di pregiudizio agli interessi commerciali delle imprese interessate, in violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001. Ne consegue che l’esame del quarto motivo non riguarda detti aspetti della decisione impugnata.

211    Conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, ultima parte di frase, del regolamento n. 1049/2001, le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio, in particolare, alla tutela degli interessi commerciali di una persona fisica o giuridica, «a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione del documento di cui trattasi». Ne consegue che le istituzioni dell’Unione non possono rifiutare l’accesso a un documento quando la sua divulgazione è giustificata da un interesse pubblico prevalente, anche se quest’ultima potrebbe arrecare pregiudizio alla tutela degli interessi commerciali di una determinata persona fisica o giuridica.

212    In tale contesto, occorre bilanciare, da un lato, l’interesse specifico che deve essere tutelato mediante la non divulgazione del documento in questione e, dall’altro, in particolare, l’interesse generale all’accessibilità a tale documento, alla luce dei vantaggi che derivano, come precisa il considerando 2 del regolamento n. 1049/2001, da una maggiore trasparenza, consistenti in una migliore partecipazione dei cittadini al processo decisionale e in una maggiore legittimità, efficienza e responsabilità dell’amministrazione nei confronti dei cittadini in un sistema democratico (sentenza del 21 ottobre 2010, Agapiou Joséphidès/Commissione e EACEA, T‑439/08, non pubblicata, EU:T:2010:442, punto 136 e giurisprudenza ivi citata; sentenza del 5 febbraio 2018, PTC Therapeutics International/EMA, T‑718/15, EU:T:2018:66, punto 107).

213    Spetta tuttavia al richiedente dedurre concretamente le circostanze su cui si fonda l’interesse pubblico prevalente che giustifica la divulgazione dei documenti in questione (v. sentenze del 14 novembre 2013, LPN e Finlande/Commission, C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punto 94 e giurisprudenza ivi citata, e del 16 luglio 2015, ClientEarth/Commissione, C‑612/13 P, EU:C:2015:486, punto 90 e giurisprudenza ivi citata). Infatti, spetta a coloro che sostengono l’esistenza di un interesse pubblico prevalente ai sensi dell’ultima parte di frase dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001 dimostrarlo (sentenza del 25 settembre 2014, Spirlea/Commissione, T‑306/12, EU:T:2014:816, punto 97).

214    L’interesse pubblico prevalente che può giustificare la divulgazione di un documento non deve necessariamente essere distinto dai principi soggiacenti al regolamento n. 1049/2001. Tuttavia, considerazioni generiche non possono essere idonee a giustificare l’accesso ai documenti richiesti, il quale esige che il principio di trasparenza presenti, in una data situazione, una rilevanza particolare, che possa prevalere sulle ragioni che giustificano il diniego di divulgazione dei documenti in questione (v., in tal senso, sentenze del 14 novembre 2013, LPN e Finlandia/Commissione, C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punti 92 e 93 e giurisprudenza ivi citata, e del 16 luglio 2015, ClientEarth/Commissione, C‑612/13 P, EU:C:2015:486, punti 92 et 93).

215    Nel caso di specie, nella domanda di conferma, i sei deputati hanno invocato un interesse pubblico prevalente che giustifica, a loro avviso, la divulgazione dei contratti in questione articolato, in sostanza, in cinque parti, vale a dire: in primo luogo, la trasparenza al fine di instaurare la fiducia del pubblico nelle azioni della Commissione relative all’approvvigionamento di vaccini contro la COVID-19 e a causa dell’utilizzo di fondi pubblici a tal riguardo; in secondo luogo, la trasparenza ai fini della fiducia del pubblico nei vaccini stessi e per contrastare un fenomeno di reticenza vaccinale; in terzo luogo, diverse dichiarazioni del Parlamento reclamano una maggiore trasparenza; in quarto luogo, la dimensione mondiale della pandemia e, in quinto luogo, la Carta e la loro duplice funzione in quanto cittadini dell’Unione e membri del Parlamento.

216    Nella decisione impugnata, con la quale la Commissione ha concesso un accesso parziale più ampio ai documenti da 1 a 8 e 11, precedentemente divulgati, nonché un accesso parziale ai documenti 9, 10, 12 e 13, i quali fino ad allora non erano stati divulgati pubblicamente in forma oscurata, la Commissione ha dichiarato di condividere l’importanza della fiducia del pubblico nelle sue azioni per quanto riguardava l’acquisto dei vaccini e di riconoscere l’elevato grado di trasparenza richiesto. Essa ha ricordato di aver comunicato regolarmente informazioni sullo stato di avanzamento dei negoziati con le imprese interessate e sulle varie iniziative intraprese, anche presso il Parlamento, al fine di garantire la trasparenza. Essa ha dichiarato di aver consultato le imprese interessate al fine di concedere il più ampio accesso possibile ai contratti in questione. Essa ha sottolineato tuttavia che, alla data della decisione impugnata, la crisi sanitaria proseguiva e che il diritto di accesso ai documenti non era un diritto generale e assoluto. Essa ha poi rilevato la natura generale dell’argomentazione contenuta nella domanda di conferma vertente su un’eventuale reticenza vaccinale, le diverse dichiarazioni del Parlamento, la Carta e la dimensione mondiale della pandemia e ha ricordato che considerazioni generali, anche sulla protezione della salute umana, non erano sufficienti a giustificare un interesse pubblico prevalente, senza precisazioni sui motivi concreti che giustificavano in quale misura la divulgazione sarebbe servita a tale interesse pubblico. Essa ha precisato di non essere stata in grado di individuare un qualsivoglia interesse pubblico idoneo a prevalere sull’interesse pubblico e privato tutelato dall’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001. Essa ha respinto la pertinenza di considerazioni fondate sulla circostanza che tre degli accordi preliminari di acquisto conclusi fossero stati oggetto di fughe di notizie sui media. Infine, essa ha considerato che il fatto che i contratti in questione si riferissero a un procedimento amministrativo e non ad atti legislativi rafforzava la conclusione secondo cui nessun interesse pubblico prevalente avrebbe giustificato la divulgazione dei passaggi oscurati.

217    Da tali considerazioni risulta che la Commissione ha fornito spiegazioni succinte che consentono alle ricorrenti di comprendere le ragioni che l’avevano indotta ad escludere l’esistenza di un interesse pubblico prevalente alla divulgazione integrale dei contratti in questione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, ultima parte di frase, del regolamento n. 1049/2001.

218    Pertanto, occorre respingere la censura relativa all’insufficienza della motivazione della decisione impugnata.

219    Per quanto riguarda la fondatezza della motivazione della decisione impugnata, la valutazione della Commissione non è viziata da alcun errore di diritto alla luce dell’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

220    Infatti, nel caso di specie, la circostanza che le imprese interessate abbiano contribuito alla realizzazione di compiti di interesse pubblico, in particolare lo sviluppo di vaccini contro la COVID-19 mediante acconti o pagamenti anticipati provenienti da fondi pubblici e versati a titolo dei contratti in questione negoziati dalla Commissione a nome degli Stati membri, è idonea, in linea di principio, a rivelare l’esistenza di un interesse reale del pubblico all’accesso a informazioni relative a detti vaccini e contratti (v., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2023, Breyer/REA, C‑135/22 P, EU:C:2023:640, punto 77).

221    Inoltre, la trasparenza del processo seguito dalla Commissione durante le trattative con i produttori di vaccini contro la COVID-19 e la conclusione dei contratti in questione in nome degli Stati membri può contribuire ad aumentare la fiducia dei cittadini dell’Unione nei confronti della strategia vaccinale promossa da tale istituzione e, di conseguenza, a lottare segnatamente contro la diffusione di false informazioni per quanto riguarda le condizioni per la negoziazione e la conclusione di detti contratti (v., in tal senso, sentenze del 7 settembre 2022, Saure/Commissione, T‑448/21, non pubblicata, EU:T:2022:525, punto 45, e del 7 settembre 2022, Saure/Commissione, T‑651/21, non pubblicata, EU:T:2022:526, punto 46).

222    In tale contesto, occorre constatare che la Commissione non ha negato l’esistenza di un interesse del pubblico a ricevere informazioni relative all’acquisto dei vaccini e ai contratti in questione, ma ha ritenuto, nella decisione impugnata, che tale interesse fosse soddisfatto dai diversi passi intrapresi per garantire la trasparenza, tra cui la pubblicazione di informazioni aggiornate sullo stato di avanzamento dei negoziati e la comunicazione di informazioni al Parlamento con viva voce e per iscritto. Occorre inoltre constatare che le informazioni oscurate non contengono indicazioni scientifiche relative all’efficacia e alla sicurezza dei vaccini che portino sulle eventuali preoccupazioni del pubblico per quanto riguarda l’utilizzo dei vaccini.

223    Tuttavia, considerazioni tanto generiche come quelle fatte valere dalle ricorrenti, ossia la necessità di instaurare la fiducia del pubblico nei confronti delle azioni della Commissione relative all’acquisto di vaccini contro la COVID-19 e la necessità di instaurare la fiducia nei vaccini stessi per contrastare un fenomeno di reticenza vaccinale, non possono essere idonee a dimostrare che l’interesse alla trasparenza presentasse, nel caso di specie, una rilevanza particolare che avrebbe potuto prevalere sulle ragioni che giustificavano il diniego di divulgazione delle parti oscurate dei contratti in questione.

224    Tale conclusione non è rimessa in discussione dagli argomenti più dettagliati delle ricorrenti contenuti nella loro memoria di adattamento.

225    In primo luogo, le ricorrenti non hanno in alcun modo dimostrato perché la divulgazione a loro stessi e, in ultima analisi, al pubblico delle informazioni sull’ubicazione dei siti di produzione delle imprese interessate sarebbe stata necessaria per l’organizzazione delle campagne di vaccinazione negli Stati membri, campagne che vengono attuate dalle autorità nazionali competenti. Parimenti, esse non hanno spiegato in che modo la divulgazione di tali informazioni avrebbe consentito al pubblico di formarsi un parere informato quanto al rischio di eventuali ritardi di consegna e alla capacità di produzione di detti siti.

226    In secondo luogo, nella parte in cui le ricorrenti fanno valere che la divulgazione dei prezzi per dosi e dei calendari di consegna avrebbe consentito di ridare fiducia alla maggior parte del pubblico nell’acquisto dei vaccini e di spiegare le diverse scelte di vaccini operate dagli Stati membri e le difficoltà di consegna incontrate, è giocoforza constatare che esse non suffragano le loro affermazioni. In particolare, esse non spiegano in che modo la fiducia del pubblico nell’aggiudicazione congiunta degli appalti per i vaccini contro la COVID-19 sarebbe rafforzata dalla divulgazione di elementi dei contratti in questione sensibili dal punto di vista finanziario, che possono essere utilizzati nei confronti delle imprese interessate nei loro negoziati con acquirenti di paesi terzi, o addirittura nei confronti della Commissione e degli Stati membri nell’ambito di successivi contratti di acquisto. Esse non spiegano neppure come i prezzi per dosi possano rivelare i motivi alla base delle decisioni degli Stati membri in merito ai vaccini utilizzati nelle loro campagne di vaccinazione contro la COVID-19. Orbene, dette decisioni possono essere influenzate, oltre che dalla scelta dello Stato membro di partecipare o meno al contratto di cui trattasi e dal prezzo, da varie considerazioni, quali le caratteristiche del vaccino, la sua disponibilità e il termine di consegna. Peraltro, come fa valere la Commissione, la divulgazione dei calendari di consegna non chiarirebbe affatto le cause di eventuali difficoltà di consegna incontrate.

227    In terzo luogo, nella parte in cui le ricorrenti sostengono che la divulgazione delle clausole relative agli acconti e ai pagamenti anticipati avrebbe consentito di rafforzare la fiducia del pubblico nei vaccini e negli investimenti di fondi pubblici effettuati consentendogli di analizzare e di trarre conclusioni sui negoziati e sugli investimenti della Commissione e sugli eventuali benefici delle imprese interessate, occorre rilevare che gli elementi dei contratti in questione che sono sensibili dal punto di vista finanziario non hanno alcun nesso con l’efficacia o la sicurezza dei vaccini contro la COVID-19. Inoltre, anche supponendo che la divulgazione più ampia delle clausole oscurate nei documenti da 2 a 4, 12 e 13 effettivamente permetta di trarre conclusioni sulla negoziazione di detti contratti, sull’utilizzo di fondi pubblici e sugli utili delle imprese interessate, al pari di quanto constatato al precedente punto 226, le ricorrenti non spiegano in che modo la fiducia del pubblico sarebbe rafforzata dalla divulgazione degli elementi oscurati mentre essi potrebbero incidere negativamente su negoziati in corso o successivi.

228    In quarto luogo, poiché il meccanismo di indennizzo delle imprese interessate dagli Stati membri non incide affatto sul regime della responsabilità giuridica di dette imprese ai sensi della direttiva 85/374 e poiché tale informazione è già di dominio pubblico al momento del deposito della domanda iniziale di accesso, le ricorrenti non hanno spiegato in che modo la divulgazione delle clausole relative alla responsabilità contrattuale delle imprese interessate in caso di violazione, risoluzione o sospensione dei contratti in questione, in particolare in relazione a ritardi di consegna o a consegne mancanti, consentirebbe di accrescere la fiducia nei vaccini e di lottare contro la disinformazione.

229    Infine, e come indicato dalla Commissione nella decisione impugnata, la sua attività amministrativa non richiede la stessa estensione dell’accesso ai documenti rispetto a quella richiesta dall’attività legislativa di un’istituzione dell’Unione (v., per analogia, sentenze del 29 giugno 2010, Commissione/Technische Glaswerke Ilmenau, C‑139/07 P, EU:C:2010:376, punto 60, e del 27 febbraio 2014, Commissione/EnBW, C‑365/12 P, EU:C:2014:112, punto 91).

230    Orbene, nel caso di specie, i contratti in questione rientrano nell’ambito di un’attività amministrativa.

231    In tali circostanze, è senza commettere errori di diritto che, alla data di adozione della decisione impugnata, la Commissione si è avvalsa dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali delle imprese interessate, fermo restando, tuttavia, che, come risulta dall’articolo 4, paragrafo 7, del regolamento n. 1049/2001, tale eccezione non è destinata ad applicarsi per un periodo illimitato, ma solo fintantoché tale protezione sia giustificata alla luce del contenuto del documento in questione (v., in tal senso, sentenza del 26 gennaio 2010, Internationaler Hilfsfonds/Commissione, C‑362/08 P, EU:C:2010:40, punti 56 e 57).

232    Ne consegue che il quarto motivo di ricorso deve essere respinto in quanto infondato.

E.      Sul quinto motivo di ricorso, vertente sulla violazione dell’articolo 42 e dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta nonché dell’articolo 10, paragrafo 1, della CEDU

233    Con il loro quinto motivo di ricorso, le ricorrenti ricordano che la Commissione è tenuta a prendere in considerazione sia il diritto alla libertà di espressione, garantito dall’articolo 11, paragrafo 1, della Carta, sia il diritto di accesso ai documenti, tutelato dall’articolo 42 di quest’ultima. Esse contestano alla Commissione di non aver esaminato se e in quale misura l’accesso unicamente parziale concesso ai contratti in questione costituisse un’ingerenza nell’esercizio del loro diritto alla libertà di espressione, previsto all’articolo 11, paragrafo 1, della Carta, e che comprende la libertà di ricevere informazioni, in violazione dell’articolo 52, paragrafo 3, di detta Carta e dell’articolo 10, paragrafo 1, della CEDU. In sede di replica, esse aggiungono che, non rispettando i limiti posti all’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali, la Commissione ha altresì violato l’articolo 42 della Carta.

234    La Commissione si oppone a tale argomentazione.

235    Da un lato, l’affermazione relativa all’articolo 42 della Carta, sollevata in fase di replica, sarebbe nuova e irricevibile in assenza di qualsiasi argomento presentato a suo sostegno e, in ogni caso, infondata. Dall’altro lato, il diritto di accesso ai documenti sancito dall’articolo 42 della Carta non sarebbe incondizionato, ma si eserciterebbe, conformemente all’articolo 52, paragrafo 2, della Carta, alle condizioni e nei limiti definiti dai Trattati. Pertanto, rifiutando di concedere l’accesso a talune parti dei contratti in questione in applicazione delle eccezioni previste all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001, la Commissione non avrebbe violato la libertà di espressione delle ricorrenti.

236    Il quinto motivo di ricorso delle ricorrenti deve essere inteso come diretto essenzialmente ad addebitare alla Commissione di aver violato sia l’articolo 11, paragrafo 1, sia l’articolo 42 della Carta in quanto, come risulterebbe dall’esame degli altri motivi dedotti a sostegno del presente ricorso, la Commissione non ha adeguatamente esaminato se e in quale misura il diniego parziale di accesso ai contratti in questione avrebbe potuto costituire un’ingerenza nel loro diritto di accesso ai documenti e alla loro libertà di espressione e di informazione.

237    Inoltre, occorre rilevare che le ricorrenti non presentano argomenti specifici diretti a dimostrare come, concretamente, il diniego parziale di accesso violi i loro diritti e libertà fondamentali, ma fanno essenzialmente dipendere la constatazione di una siffatta violazione dall’accoglimento dei motivi esaminati in precedenza.

238    In tali circostanze, per gli stessi motivi esposti ai precedenti punti da 39 a 46, da 151 a 171 e da 182 a 188, occorre constatare una violazione dell’articolo 11, paragrafo 1, e dell’articolo 42 della Carta, per quanto riguarda l’oscuramento delle definizioni delle espressioni «dolo» e «ogni ragionevole sforzo» nei documenti 4 e 7 e delle clausole relative alle donazioni e alle rivendite nonché alle clausole relative all’indennizzo nei contratti in questione.

239    Per contro, poiché le ricorrenti non hanno presentato alcun argomento autonomo rispetto a quelli dedotti nei motivi di ricorso dal primo al quarto esaminati in precedenza al fine di contestare il diniego di accesso alle informazioni diverse da quelle menzionate al precedente punto 238, occorre respingere il quinto motivo per quanto riguarda siffatte informazioni.

240    Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre accogliere, in parte, il quinto motivo di ricorso.

F.      Sul sesto motivo di ricorso, vertente sulla violazione degli articoli 7 e 8 del regolamento n. 1049/2001, in quanto con la decisione impugnata la Commissione ha oscurato talune informazioni da essa in precedenza divulgate

241    Con il loro sesto motivo di ricorso, le ricorrenti sostengono che la Commissione ha violato gli articoli 7 e 8 del regolamento n. 1049/2001 oscurando nei documenti 7 e 11 talune informazioni che essa aveva tuttavia divulgato in risposta alla domanda iniziale. A loro avviso, la Commissione non può validamente divulgare meno informazioni in risposta alla domanda di conferma.

242    La Commissione si oppone a tale argomentazione.

243    A questo proposito, senza che occorra prendere posizione sulla questione se la Commissione, in risposta ad una domanda di conferma, possa revocare l’accesso a talune informazioni divulgate nella sua presa di posizione iniziale, è sufficiente constatare che, nel caso di specie, essa non ha inteso revocare l’accesso alle informazioni contenute nei documenti 7 e 11 divulgate nella sua presa di posizione iniziale.

244    Infatti, da un lato, è vero che la Commissione ha oscurato talune informazioni dei documenti 7 e 11 che essa aveva nondimeno divulgato in risposta alla domanda iniziale. Tuttavia, la decisione impugnata non dà affatto conto di una simile revoca. Dall’altro lato, dinanzi al Tribunale, la Commissione si è esplicitamente avvalsa del fatto che le ricorrenti non avessero un interesse a sollevare un siffatto motivo in quanto esse «[avevano] già ottenuto legittimamente (...) un accesso alle parti dei documenti che sono stati divulgati nella fase iniziale». Infine, la Commissione non ha rivolto alle ricorrenti alcuna richiesta diretta a far sì che esse si impegnassero a cancellare i dati che erano stati loro comunicati.

245    In tali circostanze, si deve ritenere che le ricorrenti abbiano conservato l’accesso a talune informazioni dei documenti 7 e 11 ottenute in risposta alla loro domanda iniziale.

246    Pertanto, il sesto motivo di ricorso deve essere respinto in quanto inoperante.

247    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre annullare la decisione impugnata nella parte in cui nega l’accesso più ampio, in primo luogo, alle definizioni delle espressioni «dolo» di cui al documento 1 e «ogni ragionevole sforzo» di cui ai documenti 4 e 7, in secondo luogo, alle clausole relative alle donazioni e alle rivendite e, in terzo luogo, alle clausole relative all’indennizzo.

248    In tale contesto, occorre ricordare che non spetta al Tribunale sostituirsi alla Commissione e indicare le parti di documenti cui si sarebbe dovuto accordare un accesso totale o parziale, mentre l’istituzione è tenuta, in occasione dell’esecuzione della presente sentenza e conformemente all’articolo 266 TFUE, a prendere in considerazione i motivi esposti al riguardo in quest’ultima (v., in tal senso, sentenza del 6 luglio 2006, Franchet et Byk/Commissione, T‑391/03 e T‑70/04, EU:T:2006:190, punto 133).

IV.    Sulle spese

249    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La Commissione, rimasta sostanzialmente soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda delle ricorrenti.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione C(2022) 1038 final della Commissione europea, del 15 febbraio 2022, è annullata nella parte in cui la Commissione ha negato un più ampio accesso, in primo luogo, alle definizioni delle espressioni «dolo» (wilful misconduct) nell’accordo preliminare di acquisto stipulato tra essa e AstraZeneca e «ogni ragionevole sforzo» nell’accordo preliminare di acquisto stipulato tra la Commissione e Pfizer-BioNTech e nel contratto di acquisto stipulato tra la Commissione e Pfizer-BioNTech, in secondo luogo, alle clausole relative alle donazioni e alle rivendite e, in terzo luogo, alle clausole relative all’indennizzo negli accordi preliminari di acquisto e nei contratti di acquisto stipulati tra essa e le società farmaceutiche interessate per l’acquisto di vaccini contro la COVID-19 sulla base dell’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione.

2)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)      La Commissione è condannata alle spese, ivi incluse quelle relative al ricorso nella sua versione iniziale.

Svenningsen

Mac Eochaidh

Martín y Pérez de Nanclares

Così deciso e pronunciato in udienza pubblica a Lussemburgo il 17 luglio 2024.

Firme


Indice


I. Fatti

II. Conclusioni delle parti

III. In diritto

A. Sul primo motivo di ricorso e sulla prima parte del secondo motivo di ricorso, vertenti sull’errata applicazione dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali ad informazioni non coperte da tale eccezione, su un difetto di motivazione a tale riguardo nonché su un’applicazione incoerente di tale eccezione

1. Osservazioni preliminari

2. Sulla motivazione della decisione impugnata per quanto riguarda l’oscuramento parziale delle definizioni

B. Sul secondo motivo di ricorso, vertente sull’assenza di giustificazione dell’applicazione dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali e sulla violazione del regolamento n. 1049/2001 in quanto la Commissione non si sarebbe attenuta all’interpretazione restrittiva e all’applicazione della summenzionata eccezione

1. Sul diniego di accesso all’ubicazione dei siti di produzione

2. Sul diniego parziale di accesso alle clausole in materia di diritto della proprietà intellettuale

a) Sulla motivazione della decisione impugnata

b) Sulla fondatezza della motivazione della decisione impugnata

3. Sul diniego parziale di accesso alle clausole relative agli acconti o ai pagamenti anticipati

a) Sulla motivazione della decisione impugnata

b) Sulla fondatezza della motivazione della decisione impugnata

4. Sul diniego parziale di accesso alle clausole relative alla responsabilità e all’indennizzo

a) Sulla motivazione della decisione impugnata

b) Sulla fondatezza della motivazione della decisione impugnata

1) Sulle clausole relative alla responsabilità contrattuale

2) Sulle clausole relative all’indennizzo

5. Sul diniego parziale di accesso ai calendari di consegna

6. Sul diniego parziale di accesso alle clausole relative alle donazioni e alle rivendite

7. Conclusioni sul secondo motivo di ricoso

C. Sul terzo motivo di ricorso, vertente sull’applicazione incoerente del regolamento n. 1049/2001 che ha condotto a una violazione di quest’ultimo e su una violazione del principio di buona amministrazione, in quanto la Commissione non ha oscurato, nella stessa misura, clausole o informazioni della stessa natura

D. Sul quarto motivo di ricorso, vertente su una violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001, in quanto la Commissione non ha preso in considerazione l’interesse pubblico prevalente alla divulgazione delle informazioni richieste

E. Sul quinto motivo di ricorso, vertente sulla violazione dell’articolo 42 e dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta nonché dell’articolo 10, paragrafo 1, della CEDU

F. Sul sesto motivo di ricorso, vertente sulla violazione degli articoli 7 e 8 del regolamento n. 1049/2001, in quanto con la decisione impugnata la Commissione ha oscurato talune informazioni da essa in precedenza divulgate

IV. Sulle spese



*      Lingua processuale: l’inglese.