Language of document : ECLI:EU:T:2008:415

Causa T‑69/04

Schunk GmbH e Schunk Kohlenstoff-Technik GmbH

contro

Commissione delle Comunità europee

«Concorrenza — Intese — Mercato dei prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche — Eccezione di illegittimità — Art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 — Imputabilità del comportamento illecito — Orientamenti per il calcolo dell’importo delle ammende — Gravità ed effetto dell’infrazione — Effetto dissuasivo — Cooperazione nel corso del procedimento amministrativo — Principio di proporzionalità — Principio della parità di trattamento — Domanda riconvenzionale di maggiorazione dell’ammenda»

Massime della sentenza

1.      Diritto comunitario — Principi generali del diritto — Certezza del diritto — Legalità delle pene

2.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Potere discrezionale conferito alla Commissione dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 — Violazione del principio di legalità delle pene — Insussistenza

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

3.      Concorrenza — Ammende — Competenza propria della Commissione derivante dal Trattato

[Artt. 81 CE, 82 CE, 83, nn. 1 e 2, lett. a) e d), CE, 202, terzo trattino, CE e 211, primo trattino, CE; regolamento del Consiglio n. 17]

4.      Concorrenza — Regole comunitarie — Infrazioni — Imputazione — Società capogruppo e controllate — Unità economica — Criteri di valutazione

(Art. 81, n. 1, CE)

5.      Ricorso di annullamento — Motivi di ricorso — Contestazione della realtà dei fatti posti a fondamento di una decisione che sanziona la violazione delle regole di concorrenza — Ricevibilità — Presupposto — Mancato riconoscimento della realtà dei fatti nel corso del procedimento amministrativo

(Art. 230 CE)

6.      Concorrenza — Intese — Pratica concordata — Nozione

(Art. 81, n. 1, CE)

7.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

8.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Fissazione dei prezzi — Obbligo per la Commissione di far riferimento, per valutare l’impatto di un’infrazione, al gioco della concorrenza in assenza di infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

9.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Ripartizione delle imprese interessate in categorie aventi un punto di partenza specifico

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

10.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Carattere dissuasivo — Principio generale cui la Commissione deve attenersi per tutta la fase del calcolo delle ammende

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

11.    Concorrenza — Regole comunitarie — Applicazione da parte della Commissione — Autonomia rispetto alle valutazioni operate dalle autorità di Stati terzi

[Artt. 3, n. 1, lett. g), CE e 81 CE]

12.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Riduzione dell’importo dell’ammenda come corrispettivo di una cooperazione dell’impresa incriminata

(Regolamento del Consiglio n. 17; comunicazione della Commissione 96/C 207/04)

13.    Concorrenza — Ammende — Importo — Potere discrezionale della Commissione — Sindacato giurisdizionale — Competenza a conoscere della legittimità e del merito

(Artt. 229 CE, 230 CE, e 231 CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 17; regolamento di procedura del Tribunale)

1.      Il principio di legalità delle pene è un corollario del principio di certezza del diritto, che costituisce un principio generale del diritto comunitario ed esige, in particolare, che ogni disciplina comunitaria, in particolare quando impone o permette di imporre sanzioni, sia chiara e precisa, affinché le persone interessate possano conoscere con certezza i loro diritti ed obblighi e possano regolarsi di conseguenza. Questo principio, che appartiene alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e che è stato sancito da diversi trattati internazionali, in particolare dall’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, si impone sia alle norme di carattere penale che agli strumenti amministrativi specifici che impongono o permettono di imporre sanzioni amministrative. Esso si applica non soltanto alle norme che stabiliscono gli elementi costitutivi di un’infrazione, ma altresì a quelle che definiscono le conseguenze derivanti da una violazione delle prime. A tale riguardo, dall’art. 7, n. 1, di tale convenzione, risulta che la legge deve definire chiaramente i reati e le pene che li reprimono. Tale condizione è soddisfatta quando il singolo può conoscere, sulla base del testo della disposizione rilevante e, se necessario, mediante l’aiuto della sua interpretazione da parte dei giudici, quali atti o omissioni fanno sorgere la sua responsabilità penale.

Come emerge dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, al fine di soddisfare le prescrizioni della disposizione in esame, non si esige che i termini delle disposizioni in forza delle quali vengono inflitte tali sanzioni siano a tal punto precisi da rendere prevedibili con assoluta certezza le conseguenze che possono derivare dalla loro violazione. Infatti, secondo quella Corte, l’esistenza di termini vaghi nella disposizione non comporta necessariamente una violazione dell’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il fatto che una legge attribuisca un potere discrezionale non è di per sé in contraddizione con l’esigenza di prevedibilità, a condizione che l’estensione e le modalità di esercizio di un siffatto potere siano definite con chiarezza sufficiente, alla luce del fine legittimo in gioco, per fornire al singolo adeguata tutela contro l’arbitrio. Al riguardo, oltre al testo normativo stesso, la Corte europea dei diritti dell’uomo tiene conto del fatto se le nozioni indeterminate utilizzate siano state precisate da una giurisprudenza costante e pubblicata. Peraltro, la considerazione delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri non porta a fornire un’interpretazione diversa del principio di legalità delle pene.

(v. punti 28-29, 32-34)

2.      L’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, relativo all’irrogazione di ammende alle imprese che hanno violato le regole comunitarie di concorrenza, non viola il principio di legalità delle pene.

Infatti, la Commissione non dispone di un potere discrezionale illimitato per la fissazione delle ammende, dovendo rispettare il tetto stabilito in funzione del fatturato delle imprese interessate e dovendo prendere in considerazione la gravità e la durata dell’infrazione. Inoltre, il tetto determinato nel 10% del fatturato dell’impresa interessata è ragionevole, tenuto conto degli interessi difesi dalla Commissione nell’ambito del perseguimento e sanzionamento delle infrazioni alle regole della concorrenza e della circostanza che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 consente la realizzazione di un regime rispondente agli scopi fondamentali della Comunità. Parimenti la Commissione, quando fissa le ammende, è tenuta a rispettare i principi generali del diritto, in particolar modo i principi della parità di trattamento e di proporzionalità. Peraltro la Commissione, sotto il controllo anche di merito del giudice comunitario, ha sviluppato una prassi amministrativa nota ed accessibile che, pur non rappresentando il contesto giuridico delle ammende, può comunque fungere da riferimento per quanto riguarda il rispetto del principio di parità di trattamento, fermo restando che risulta sempre possibile elevare il livello delle ammende, nei limiti stabiliti dal suddetto art. 15, n. 2, qualora l’applicazione efficace delle regole di concorrenza lo esiga. La Commissione ha inoltre adottato degli orientamenti relativi alla fissazione delle ammende, in modo da autolimitarsi nell’esercizio del suo potere discrezionale, contribuendo così a garantire la certezza del diritto, e deve rispettare i principi di parità di trattamento e di tutela del legittimo affidamento. Inoltre, l’adozione di tali orientamenti da parte della Commissione, dal momento che rientra nell’ambito legale imposto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, ha soltanto contribuito a precisare i limiti dell’esercizio del potere discrezionale della Commissione già risultante da tale disposizione, senza che se ne possa dedurre l’insufficiente determinazione iniziale, da parte del legislatore comunitario, dei limiti della competenza della Commissione nel settore in parola. Infine, la Commissione è tenuta, in base all’art. 253 CE, a motivare le decisioni che infliggono un’ammenda.

(v. punti 35-36, 38-44, 46)

3.      Il potere di infliggere ammende in caso di violazione degli artt. 81 CE e 82 CE non può essere considerato originariamente appartenente al Consiglio, che l’avrebbe trasferito o ne avrebbe delegato l’esercizio alla Commissione, ai sensi dell’art. 202, terzo trattino, CE. In conformità agli artt. 83, nn. 1 e 2, lett. a) e d), CE e 211, primo trattino, CE, tale potere è infatti connaturato al ruolo, proprio della Commissione, di vigilare sull’applicazione del diritto comunitario, ruolo che è stato precisato, delimitato e formalizzato, relativamente all’applicazione degli artt. 81 CE e 82 CE, dal regolamento n. 17. Il potere di infliggere ammende che tale regolamento attribuisce alla Commissione deriva quindi dalle previsioni del Trattato stesso ed è volto a consentire l’applicazione effettiva dei divieti previsti nei detti articoli.

(v. punti 48-49)

4.      Il comportamento anticoncorrenziale di un’impresa può essere imputato ad un’altra allorché essa non decide in modo autonomo quale debba essere il suo comportamento sul mercato, ma applica in sostanza le direttive impartitele da quest’ultima, alla luce, in particolare, dei vincoli economici e giuridici che intercorrono tra loro. Pertanto, il comportamento di una controllata può essere imputato alla società controllante allorché la controllata non decide in modo autonomo quale debba essere il suo comportamento sul mercato, ma applica in sostanza le direttive impartitele dalla società controllante, in modo che queste due imprese costituiscono un’unità economica.

Nell’ipotesi particolare in cui una società controllante detenga il 100% del capitale della sua controllata, autrice del comportamento infrazionale, sussiste una presunzione semplice secondo la quale detta società controllante esercita un influsso determinante sul comportamento della sua controllata e secondo la quale esse costituiscono quindi una sola impresa ai sensi dell’art. 81 CE. Spetta, quindi, alla società controllante che impugna dinanzi al giudice comunitario una decisione della Commissione di infliggerle un’ammenda per un comportamento commesso dalla sua controllata invertire tale presunzione fornendo elementi di prova idonei a dimostrare l’autonomia di quest’ultima.

La circostanza che la società controllante che detiene il 100% del capitale della controllata sia una holding non basta a caratterizzare l’indipendenza funzionale ed organica della controllata. La nozione di holding include infatti diverse fattispecie. In linea generale, una holding può essere definita come una società detentrice di partecipazioni in una o più società ai fini del loro controllo. Una società holding che ha per oggetto l’acquisto, la vendita, l’amministrazione, in particolare la gestione strategica di partecipazioni industriali, può essere una holding finanziaria che non esercita alcuna attività industriale o commerciale, oppure una società che svolge un’attività di gestione e di direzione delle controllate. Nel contesto di un gruppo di società, una società holding è volta a raggruppare partecipazioni in diverse società ed ha la funzione di assicurarne l’unità di direzione. Può anche esistere un’unità di direzione e di coordinamento tra la società holding e la sua controllata, che può rivelare una presa in considerazione degli interessi del gruppo. Il fatto che una società sia una holding, il cui ruolo è gestire le sue partecipazioni nel capitale di altre società, non è quindi di per sé sufficiente ad invertire la presunzione derivante dalla detenzione dell’intero capitale sociale della controllata.

(v. punti 55-56, 59-64, 66, 70)

5.      La comunicazione degli addebiti, che è volta a garantire alle imprese che ne sono destinatarie l’efficace esercizio dei diritti della difesa, ha l’effetto di circoscrivere l’oggetto del procedimento avviato contro un’impresa, in quanto determina la posizione della Commissione nei confronti di detta impresa, e l’istituzione non può inserire nella sua decisione addebiti che non figurino nella comunicazione.

È, segnatamente, in base alle risposte alla comunicazione degli addebiti fornite dalle imprese destinatarie di quest’ultima che la Commissione deve stabilire la sua posizione circa il seguito del procedimento amministrativo.

In tale contesto, in mancanza di un espresso riconoscimento da parte dell’impresa di cui trattasi nell’ambito di una violazione delle regole di concorrenza, la Commissione deve ancora dimostrare i fatti, mentre l’impresa resterebbe libera, al momento opportuno e in particolare nell’ambito del procedimento contenzioso, di produrre tutti i mezzi di difesa che ritenga utili. Per contro, ciò non avverrebbe in presenza di un riconoscimento dei fatti da parte dell’impresa in questione.

Una simile soluzione non è volta a limitare la possibilità di proporre ricorsi contenziosi di un’impresa sanzionata dalla Commissione, ma a delimitare l’ambito della contestazione che può essere presentata dinanzi al giudice comunitario, al fine di evitare qualsiasi spostamento dell’accertamento dei fatti alla base dell’infrazione di cui trattasi dalla Commissione verso quest’ultimo, il quale, investito di un ricorso fondato sull’art. 230 CE, è competente a controllare la legittimità della decisione.

(v. punti 80-81, 84-85)

6.      Come risulta dalla lettera stessa dell’art. 81, n. 1, CE, la nozione di pratica concordata implica, oltre alla concertazione fra le imprese, un comportamento sul mercato successivo alla concertazione stessa e un nesso causale fra questi due elementi. Bisogna presumere, fatta salva la prova contraria il cui onere incombe agli operatori interessati, che le imprese partecipanti alla concertazione e che rimangono presenti sul mercato tengano conto degli scambi di informazioni con i loro concorrenti per decidere il proprio comportamento sul mercato.

(v. punto 118)

7.      In sede di determinazione dell’importo di un’ammenda per violazione delle regole di concorrenza, la gravità dell’infrazione è determinata tenendo conto di numerosi elementi quali le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, rispetto ai quali la Commissione dispone di un potere discrezionale. Al fine di determinare la gravità dell’infrazione, la Commissione può dunque prendere in considerazione il fatto che le imprese interessate abbiano adottato molte precauzioni per evitare che l’intesa sia scoperta nonché il danno subito dal grande pubblico.

Riguardo a quest’ultimo, non tutte le infrazioni al diritto della concorrenza danneggiano, allo stesso modo, la concorrenza e i consumatori. La presa in considerazione del danno arrecato al pubblico in sede di determinazione della gravità di un’infrazione si distingue da quella relativa alla capacità economica di un membro dell’intesa di causare un danno alla concorrenza e ai consumatori, che interviene nell’ambito di una fase del calcolo dell’importo dell’ammenda previsto dagli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA, volto ad operare un trattamento differenziato in particolare nell’ipotesi in cui l’infrazione coinvolge più imprese.

(v. punti 153-154, 156)

8.      Per valutare l’impatto concreto di un’infrazione sul mercato, la Commissione si deve riferire al gioco della concorrenza che avrebbe normalmente avuto luogo in assenza dell’infrazione.

Per quel che riguarda un’intesa sui prezzi, è legittimo che la Commissione desuma che l’infrazione abbia prodotto effetti dal fatto che i membri dell’intesa hanno adottato provvedimenti per applicare i prezzi concordati, per esempio annunciandoli ai clienti, dando ai propri dipendenti istruzione di utilizzarli come base delle trattative e vigilando sull’applicazione degli stessi da parte dei propri concorrenti e dei propri servizi di vendita. Infatti, per concludere nel senso dell’esistenza di un impatto sul mercato, è sufficiente che i prezzi concordati siano serviti come base per la fissazione dei prezzi di transazione individuali, limitando in tal modo il margine di negoziazione dei clienti.

Per contro, non si può pretendere che la Commissione, una volta provata l’attuazione di un’intesa, dimostri sistematicamente che gli accordi hanno effettivamente consentito alle imprese interessate di raggiungere un livello di prezzi di transazione superiore a quello che sarebbe prevalso in assenza dell’intesa. Al riguardo, non può essere accolta la tesi secondo la quale, al fine di determinare la gravità dell’infrazione, può essere preso in considerazione soltanto il fatto che il livello dei prezzi di transazione sarebbe stato diverso in mancanza di collusione. Sarebbe peraltro sproporzionato esigere una siffatta dimostrazione che assorbirebbe risorse considerevoli, tenuto conto che essa renderebbe necessario il ricorso a calcoli ipotetici, basati su modelli economici la cui esattezza solo difficilmente potrebbe essere verificata dal giudice e la cui infallibilità non è affatto dimostrata.

Per valutare la gravità dell’infrazione, è decisivo sapere che i membri dell’intesa hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per dare un effetto concreto alle proprie intenzioni. Tali membri non possono addurre a proprio vantaggio, presentandoli come elementi atti a giustificare una riduzione dell’ammenda, fattori esterni che hanno controbilanciato gli sforzi da essi profusi.

Pertanto, la Commissione può legittimamente basarsi sull’attuazione dell’intesa per affermare l’esistenza di un impatto sul mercato, senza che sia necessario misurare con precisione l’importanza di tale impatto.

Anche ammesso che la Commissione non abbia sufficientemente dimostrato l’impatto concreto dell’intesa, la qualificazione di un’infrazione come «molto grave» resterebbe nondimeno appropriata. Infatti, i tre aspetti da prendere in considerazione nella valutazione della gravità dell’infrazione ai sensi degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA, e cioè la natura dell’infrazione, il suo impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante, non hanno lo stesso rilievo nell’ambito dell’esame globale. La natura dell’infrazione ha un ruolo di primaria importanza, in particolare, nel caratterizzare le infrazioni «molto gravi». Al riguardo, dalla descrizione delle infrazioni molto gravi fornita dai detti orientamenti emerge che gli accordi o le pratiche concordate dirette in particolare alla fissazione dei prezzi possono comportare, solo per la loro stessa natura, la qualifica di «molto gravi», senza che occorra valutare tali comportamenti in funzione di un’incidenza o di un’estensione geografica particolare. Tale conclusione è avvalorata dal fatto che, se nella descrizione delle infrazioni gravi si menzionano espressamente l’incidenza sul mercato e gli effetti su zone estese del mercato comune, in quella delle infrazioni molto gravi, invece, non è menzionata alcuna condizione relativa all’impatto concreto sul mercato o alla produzione di effetti su una determinata zona geografica.

(v. punti 165-169, 171)

9.      Gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA prevedono la presa in considerazione di un gran numero di elementi per determinare la gravità dell’infrazione al fine di fissare l’importo dell’ammenda, tra i quali figurano in particolare la natura propria dell’infrazione, l’impatto concreto di quest’ultima, l’estensione del mercato geografico rilevante e la necessaria portata dissuasiva dell’ammenda. Sebbene non prevedano che le ammende siano calcolate in funzione del fatturato complessivo o del fatturato rilevante, detti orientamenti non ostano a che tali dati siano presi in considerazione in sede di determinazione dell’ammenda allo scopo di rispettare i principi generali di diritto comunitario e qualora le circostanze lo richiedano.

In conformità al punto 1 A, commi quarto e sesto, degli orientamenti, nel caso di un’intesa illecita, considerata la grande diversità di dimensioni tra le imprese interessate e al fine di tener conto del peso specifico di ognuna di esse e, pertanto, della concreta incidenza del loro comportamento abusivo sulla concorrenza, la Commissione può operare un trattamento differenziato delle imprese che hanno partecipato all’infrazione. A tal fine essa può ripartire le imprese interessate in più categorie, in base al fatturato realizzato da ciascuna di esse per i prodotti interessati dal procedimento, includendovi in particolare il valore del consumo vincolato di ogni impresa. Ne risulta un fatturato per quota di mercato che rappresenta il peso relativo di ciascuna impresa nell’infrazione e la sua effettiva capacità economica di causare un danno rilevante alla concorrenza.

(v. punti 176‑177)

10.    Le sanzioni previste all’art. 15 del regolamento n. 17 hanno lo scopo di reprimere comportamenti illeciti come pure di prevenire il loro ripetersi. Poiché la dissuasione costituisce una finalità delle ammende per violazione delle regole di concorrenza, la necessità di garantirla costituisce un’esigenza generale che deve guidare la Commissione durante tutta la fase di calcolo delle ammende e non comporta necessariamente che tale calcolo sia caratterizzato da una specifica tappa destinata ad una valutazione globale di tutte le circostanze pertinenti al fine della realizzazione di tale finalità.

In considerazione dello scopo dissuasivo, la Commissione non ha definito negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA metodi o criteri individualizzati la cui esposizione specifica potrebbe avere forza obbligatoria. Il punto 1 A, quarto comma, degli orientamenti, nel contesto delle indicazioni riguardanti la valutazione della gravità dell’infrazione, menziona soltanto la necessità di fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo.

(v. punti 191-193)

11.    L’esercizio dei poteri da parte delle autorità degli Stati terzi incaricate della tutela della libera concorrenza, nel contesto della loro competenza territoriale, risponde ad esigenze proprie dei detti Stati. Gli elementi sottesi agli ordinamenti giuridici di altri Stati nel settore della concorrenza non solo comportano finalità e obiettivi specifici, ma sfociano ugualmente nell’adozione di norme sostanziali particolari nonché in conseguenze giuridiche estremamente differenziate nel settore amministrativo, penale o civile, quando le autorità dei detti Stati abbiano accertato l’esistenza di infrazioni alle norme applicabili in materia di concorrenza. Per contro, del tutto diversa è la situazione giuridica in cui un’impresa sia interessata, in materia di concorrenza, esclusivamente dall’applicazione del diritto comunitario e dal diritto di uno o più Stati membri, vale a dire la situazione in cui un’intesa riguarda esclusivamente l’ambito della sfera di applicazione territoriale dell’ordinamento giuridico della Comunità europea.

Ne consegue che la Commissione, quando sanziona il comportamento illegittimo di un’impresa – ancorché esso tragga origine da un’intesa di carattere internazionale –, intende salvaguardare la libera concorrenza all’interno del mercato comune che costituisce, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. g), CE, un obiettivo fondamentale della Comunità. A causa della specificità del bene giuridico tutelato a livello comunitario, le valutazioni effettuate dalla Commissione, in forza delle sue competenze in materia, possono divergere considerevolmente da quelle effettuate dalle autorità di Stati terzi.

Si può tener conto di qualsiasi considerazione attinente all’esistenza di ammende inflitte dalle autorità di uno Stato terzo solo nel contesto del potere discrezionale di cui dispone la Commissione in materia di fissazione di ammende per le infrazioni al diritto comunitario della concorrenza. Di conseguenza, anche se non può escludersi che la Commissione tenga conto di ammende anteriormente inflitte dalle autorità di Stati terzi, essa non può esservi tuttavia obbligata.

Infatti, l’obiettivo di dissuasione che la Commissione può legittimamente perseguire nel determinare l’importo di un’ammenda è volto ad assicurare il rispetto, da parte delle imprese, di norme sulla concorrenza fissate dal Trattato CE ai fini dello svolgimento delle loro attività nell’ambito del mercato comune. Di conseguenza, nel valutare il carattere dissuasivo di un’ammenda da infliggere per una violazione di dette norme, la Commissione non ha l’obbligo di tener conto di eventuali sanzioni inflitte ad un’impresa in ragione della violazione delle norme di concorrenza da parte di Stati terzi.

(v. punti 205-209)

12.    La Commissione gode di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda il metodo di calcolo delle ammende per violazione della normativa comunitaria sulla concorrenza e può, a questo proposito, tener conto di molteplici elementi, tra i quali figura la cooperazione delle imprese interessate in occasione dell’indagine condotta dai servizi di detta istituzione. Essa dispone altresì di un ampio potere discrezionale per valutare la qualità e l’utilità della cooperazione fornita da un’impresa, segnatamente in rapporto ai contributi offerti da altre imprese.

La riduzione delle ammende in caso di cooperazione delle imprese trova il suo fondamento nella considerazione secondo la quale una siffatta operazione facilita il compito della Commissione consistente nell’accertamento di un’infrazione e, eventualmente, nel porvi fine.

Nell’ambito di una valutazione complessiva, la Commissione può tener conto del fatto che un’impresa le abbia inviato documenti soltanto dopo aver ricevuto una domanda di informazioni, senza tuttavia poter considerare tale circostanza determinante per sminuire la cooperazione fornita da un’impresa ai sensi del punto D, n. 2, primo trattino, della comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese.

(v. punti 211-212, 225, 234)

13.    Il Tribunale ha il potere di valutare, nell’ambito della competenza anche di merito riconosciutagli dagli artt. 229 CE e 17 del regolamento n. 17, l’adeguatezza dell’importo delle ammende per violazione della normativa comunitaria della concorrenza. Infatti, nell’ambito della sua competenza giurisdizionale anche di merito, i poteri del giudice comunitario non si limitano, come previsto dall’art. 231 CE, all’annullamento della decisione impugnata, bensì gli consentono di modificare la sanzione comminata da quest’ultima. Il giudice comunitario è quindi abilitato, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta.

Anche se l’esercizio della competenza anche di merito è il più delle volte chiesto dalle ricorrenti nel senso di una riduzione dell’ammontare dell’ammenda, la Commissione può altresì sottoporre al giudice comunitario la questione dell’importo dell’ammenda e formulare una domanda di maggiorazione del detto importo; siffatta possibilità è del resto espressamente prevista al punto E, n. 4, della comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese.

L’esercizio della competenza giurisdizionale anche di merito da parte dei giudici comunitari s’inscrive necessariamente nell’ambito del controllo degli atti delle istituzioni comunitarie, in particolare nell’ambito del ricorso d’annullamento, poiché l’art. 229 CE ha l’unico effetto di ampliare i poteri di cui dispone il giudice comunitario nell’ambito del ricorso previsto dall’art. 230 CE. Una domanda di aumento dell’ammontare dell’ammenda formulata dalla Commissione non è quindi incompatibile con l’art. 230 CE.

Tenuto conto del potere conferito al giudice comunitario di maggiorare l’importo di una ammenda, deve essere dichiarata ricevibile una domanda riconvenzionale della Commissione diretta alla soppressione della riduzione di ammenda concessa ad un’impresa sulla base della sua cooperazione nel corso del procedimento amministrativo, in ragione del fatto che tale impresa ha contestato per la prima volta dinanzi al giudice fatti esposti nella comunicazione degli addebiti.

Una simile domanda deve tuttavia essere respinta in particolare perché, dal momento che l’ammontare dell’ammenda può essere determinato soltanto in funzione della gravità e della durata di un’infrazione, il fatto che la Commissione sia costretta a difendersi in merito a fatti che giustamente essa ha considerato non sarebbero più stati rimessi in discussione non può giustificare una maggiorazione dell’importo dell’ammenda. Le spese sopportate dalla Commissione relativamente al procedimento dinanzi al Tribunale non rappresentano un criterio per determinare l’importo dell’ammenda e devono essere prese in considerazione esclusivamente nell’ambito dell’applicazione delle disposizioni del regolamento di procedura del Tribunale relative al rimborso delle spese.

(v. punti 242-247, 251, 259, 262)