Language of document : ECLI:EU:C:2013:340

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

30 maggio 2013 (*)

«Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori – Esame d’ufficio, da parte del giudice nazionale, del carattere abusivo di una clausola contrattuale – Conseguenze che il giudice nazionale deve trarre dall’accertamento del carattere abusivo della clausola»

Nella causa C‑397/11,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Fővárosi Bíróság (Ungheria) con decisione del 12 luglio 2011, pervenuta in cancelleria il 27 luglio 2011, nel procedimento

Erika Jőrös

contro

Aegon Magyarország Hitel Zrt.,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da A. Tizzano, presidente di sezione, M. Ilešič, E. Levits, M. Safjan e M. Berger (relatore), giudici,

avvocato generale: P. Mengozzi

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il governo ungherese, da K. Szíjjártó e Z. Fehér, in qualità di agenti;

–        per il governo spagnolo, da A. Rubio González, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da M. Owsiany‑Hornung, M. van Beek e V. Kreuschitz, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29), in particolare del suo articolo 6, paragrafo 1.

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Jőrös e la Aegon Magyarország Hitel Zrt. (in prosieguo: la «Aegon»), a proposito di somme dovute in esecuzione di un contratto di credito stipulato fra tali parti.

 Contesto normativo

 Il diritto dell’Unione

3        L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 definisce la clausola abusiva nei termini seguenti:

«Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».

4        L’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva così precisa:

«(...) il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende».

5        Ai sensi dell’articolo 5 della citata direttiva:

«Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile (...)».

6        Quanto agli effetti legati all’accertamento del carattere abusivo di una clausola, l’articolo 6, paragrafo 1, della stessa direttiva così dispone:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore e un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

 Il diritto nazionale

 Il diritto sostanziale

7        Ai sensi dell’articolo 209, paragrafo 1, della legge IV del 1959, che istituisce il codice civile (a Polgári Törvénykönyvről szóló 1959. évi IV. törvény; in prosieguo: il «codice civile»), in vigore alla data della stipulazione del contratto di credito controverso nel procedimento principale, «una condizione contrattuale generale o una clausola di un contratto stipulato con un consumatore che non sia stata oggetto di negoziato individuale è abusiva se, in violazione dei requisiti di buona fede e di lealtà, determina i diritti e gli obblighi delle parti derivanti dal contratto, in modo unilaterale e ingiustificato, a detrimento della parte contraente che non è l’autore della clausola».

8        L’articolo 209/A, paragrafo 2, del codice civile prevede che siffatte clausole siano nulle.

9        Ai sensi dell’articolo 2, lettera d), del decreto governativo 18/1999 (II.5.) sulle clausole considerate abusive nei contratti stipulati con i consumatori (a fogyasztóval kötött szerződésben tisztességtelennek minősülő feltételekről szóló 18/1999 (II. 5.) kormányrendelet) del 5 febbraio 1999 (Magyar Közlöny 1999/8), si presumono abusive in particolare, salvo prova contraria, le clausole che permettono alla controparte contrattuale di un consumatore di modificare il contratto unilateralmente, senza dover fornire alcuna giustificazione, e, segnatamente, di aumentare il corrispettivo economico fissato nel contratto, o che consentono a detta controparte contrattuale di modificare il contratto unilateralmente a motivo di una giusta causa definita nel contratto se, in tale caso, il consumatore non ha il diritto di recedere o risolvere il contratto con effetto immediato.

 Il diritto processuale

10      Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della legge III del 1952, che istituisce il codice di procedura civile (a polgári perrendtartásról szóló 1952. évi III. törveny; in prosieguo: il «codice di procedura civile»), il giudice, salvo disposizioni di legge diverse, è vincolato alle conclusioni e agli argomenti di diritto presentati dalle parti.

11      In conformità dell’articolo 23, paragrafo 1, lettera k), del codice di procedura civile, i tribunali provinciali sono competenti a pronunciarsi sui ricorsi finalizzati alla dichiarazione di invalidità di clausole contrattuali abusive a titolo, segnatamente, dell’articolo 209/A, paragrafo 2, del codice civile.

12      Il parere 2/2010/VI.28./PK delle Sezioni Unite civili della Legfelsőbb Bíróság (Corte suprema d’Ungheria) del 28 giugno 2010, relativo ad alcune questioni procedurali sollevate nei procedimenti di dichiarazione di nullità, precisa quanto segue:

«4.      a)     Il giudice deve dichiarare d’ufficio la nullità solamente allorché questa risulta manifesta ed è possibile constatarla in modo inequivocabile sulla base del materiale probatorio a disposizione (...).

      b)      Il giudice è obbligato a dichiarare d’ufficio la nullità in un procedimento di secondo grado se l’esistenza di una causa di nullità risulta chiaramente dalle informazioni disponibili nel procedimento di primo grado (...).

5.      a)     (...) In un procedimento civile, il giudice è in via generale vincolato dall’esposizione delle circostanze di fatto contenuta nel ricorso, dall’oggetto di quest’ultimo e, quindi, dal diritto di cui la parte intende avvalersi. In conformità dell’articolo 121, paragrafo 1, lettera c), del codice di procedura civile, il ricorso deve menzionare il diritto invocato, ma non un fondamento giuridico concreto. Il fatto di essere vincolato dal ricorso non comporta, quindi, che il giudice sia vincolato dal fondamento giuridico invocato erroneamente dalla parte. Se i fatti esposti dalla parte attribuiscono al ricorso o alla domanda riconvenzionale un altro fondamento, il giudice può restituire al rapporto giuridico la sua vera qualificazione.

(...)».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

13      Il 4 luglio 2007 la sig.ra Jőrös stipulava un contratto di credito con la Aegon, istituto di credito ungherese, per una somma di circa 160 000 franchi svizzeri (CHF), versata in fiorini ungheresi (HUF), la cui scadenza veniva fissata al 15 agosto 2024.

14      Tale contratto, stipulato sulla base di un formulario preventivamente redatto dall’istituto di credito, prevedeva il pagamento di interessi, il cui tasso era del 4,5% annuo al momento della stipulazione del contratto, e di costi di gestione, al tasso annuo del 2,2% alla medesima data. Al momento della liquidazione era dovuta una commissione di utilizzo pari all’1,5% dell’importo complessivo del prestito, per una somma non inferiore a CHF 250 né superiore a CHF 1759. Il tasso annuo effettivo globale del credito ammontava, quindi, al 7,658%.

15      La clausola 3.2 della Parte generale II del contratto di credito stipulato tra la sig.ra Jőrös e la Aegon disponeva che, alla chiusura di ciascun esercizio economico, il creditore avesse la facoltà di modificare l’importo dei costi di gestione per l’esercizio successivo in funzione di un’aliquota e con le modalità indicate dalla regolamentazione interna permanente di detto istituto di credito.

16      La clausola 8.2 di tale contratto stabiliva che il creditore avesse la facoltà di modificare unilateralmente il tasso d’interesse o l’importo degli altri costi previsti da detto contratto, oltre che di introdurre nuove categorie di commissioni e spese, nell’ipotesi di modifica dei costi collegati al finanziamento dell’operazione.

17      La clausola 12.2 del contratto in parola prevedeva che laddove, in seguito alla modifica di una qualunque disposizione di legge o amministrativa oppure di variazioni nell’interpretazione delle suddette disposizioni, fossero emersi a carico della Aegon nuovi costi che non aveva potuto prevedere al momento della stipulazione del contratto, il debitore avrebbe dovuto pagare, su richiesta di tale istituto di credito, la somma necessaria a coprire tali costi o, in alternativa, detto istituto avrebbe avuto il diritto di modificare unilateralmente il tasso del prestito o l’importo delle commissioni.

18      Nel caso di modifiche apportate unilateralmente dall’istituto di credito, il contratto di credito non prevedeva il diritto di recesso del debitore con effetto immediato.

19      La sig.ra Jőrös proponeva ricorso contro la Aegon, l’istituto creditore, dinanzi al Pesti Központi kerületi bíróság (tribunale centrale circoscrizionale del centro di Pest). Nel corso di tale procedimento ella deduceva la parziale invalidità del contratto di credito, lamentando il carattere usurario e fittizio, nonché contrario alla morale, delle disposizioni del contratto stesso. Tuttavia non chiedeva al giudice di dichiarare l’invalidità parziale di tale contratto a motivo del carattere abusivo di tali disposizioni.

20      Il Pesti Központi kerületi bíróság respingeva il ricorso della sig.ra Jőrös con sentenza del 2 dicembre 2010. Secondo la motivazione di tale sentenza, la sig.ra Jőrös non era riuscita a dimostrare il carattere usurario e fittizio, nonché contrario alla morale, delle disposizioni controverse del contratto di credito.

21      La sig.ra Jőrös proponeva appello avverso tale sentenza dinanzi al Fővárosi Bíróság (divenuto il Fővárosi Törvényszék). Ella faceva valere la nullità delle clausole 3.2, 8.1, 8.2, e 12.2 del contratto di credito, in quanto queste ultime sarebbero manifestamente contrarie alla morale, poiché consentono al creditore di modificare unilateralmente le clausole del contratto e fanno ricadere sul debitore le conseguenze di cambiamenti ulteriori introdotti dal creditore, ma sui quali il debitore non ha alcuna influenza. Ella ha sostenuto che, a seguito di modifiche intervenute in applicazione delle citate clausole, l’importo del prestito e quello della relativa rata di rimborso sono aumentati in misura tale che per la ricorrente risulta impossibile farvi fronte.

22      È in tale contesto che il Fővárosi Bíróság ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se un giudice nazionale agisca conformemente all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva [93/13], qualora, dopo aver constatato che una delle condizioni generali del contratto oggetto di un ricorso risulta abusiva, per questo motivo esamini d’ufficio la questione della nullità di tale condizione, in assenza di specifica richiesta delle parti a tal fine.

2)      Se, in un ricorso promosso dal consumatore, il giudice nazionale abbia l’obbligo di agire secondo l’iter descritto nella prima questione, benché, di regola, quando la parte lesa promuove un’azione per la dichiarazione di nullità derivante dal carattere abusivo delle condizioni generali del contratto, la competenza non spetti ad un tribunale locale, bensì ad una giurisdizione superiore.

3)      In caso di soluzione affermativa alla seconda questione, se un giudice nazionale, che si pronuncia in sede d’appello, possa esaminare il carattere abusivo delle condizioni generali di contratto qualora nel procedimento di primo grado tale punto non sia stato considerato e benché, secondo la normativa nazionale, nel procedimento di appello non sia di regola possibile prendere in considerazione fatti nuovi o ammettere nuovi elementi probatori».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla terza questione

23      Con la terza questione, che occorre esaminare in primo luogo, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 93/13 debba essere interpretata nel senso che un giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi in sede di appello su una controversia vertente sulla validità di clausole incluse in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore sulla base di un formulario preventivamente redatto dal professionista, abbia il diritto di esaminare il carattere abusivo delle clausole controverse qualora tale causa di invalidità non sia stata fatta valere in primo grado, benché, secondo il diritto nazionale, nel procedimento di appello non sia di norma possibile prendere in considerazione fatti nuovi o nuovi elementi di prova.

24      In via preliminare occorre rilevare che, come sottolineato dalla Commissione europea, la decisione di rinvio non contiene alcuna indicazione quanto alla produzione in sede di appello, ad opera delle parti del procedimento principale, di fatti o elementi di prova nuovi. Nei limiti in cui la terza questione debba essere interpretata nel senso che verte, in parte, sul punto se un giudice d’appello, chiamato a pronunciarsi su una controversia relativa alla validità di clausole contenute in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, debba accettare la produzione di fatti o elementi di prova nuovi, tale parte della questione sarebbe, quindi, ipotetica e, in quanto tale, irricevibile (v., segnatamente, per analogia, sentenza del 29 gennaio 2013, Radu, C‑396/11, punto 24).

25      Per rispondere alla parte ricevibile della questione, occorre ricordare che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, ai sensi del quale le clausole abusive non vincolano i consumatori, costituisce una disposizione imperativa tesa a sostituire all’equilibrio formale, che il contratto instaura fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime (v., segnatamente, sentenze del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C‑618/10, punto 40, e del 21 febbraio 2013, Banif Plus Bank, C‑472/11, punto 20).

26      Per garantire la tutela voluta dalla direttiva 93/13, la Corte ha già più volte sottolineato che la disuguaglianza esistente tra il consumatore e il professionista può essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale (v., in particolare, citate sentenze Banco Español de Crédito, punto 41, e Banif Plus Bank, punto 21 nonché giurisprudenza ivi citata).

27      Sulla base di tale considerazione la Corte ha dichiarato che il giudice nazionale è tenuto, dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto a tal fine necessari, a valutare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e, in tal modo, a porre un argine allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista (v., in particolare, citate sentenze Banco Español de Crédito, punti da 42 a 44, e Banif Plus Bank, punti da 22 a 24).

28      Di conseguenza, il ruolo così attribuito al giudice nazionale dal diritto dell’Unione nell’ambito di cui trattasi non si limita alla semplice facoltà di pronunciarsi sull’eventuale natura abusiva di una clausola contrattuale, ma comporta anche l’obbligo di esaminare d’ufficio tale questione, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine (v., in particolare, citate sentenze Banco Español de Crédito, punto 43, e Banif Plus Bank, punto 23).

29      Quanto all’attuazione di tali obblighi da parte di un giudice nazionale che si pronuncia in sede di appello, occorre ricordare che, in assenza di disposizioni nel diritto dell’Unione, le modalità dei procedimenti d’appello volte a garantire la tutela dei diritti spettanti ai soggetti in forza del diritto dell’Unione rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in forza del principio dell’autonomia processuale di questi ultimi. Tali modalità non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (v., in tal senso, citate sentenze Banco Español de Crédito, punto 46, e Banif Plus Bank, punto 26).

30      Per quanto concerne il principio di equivalenza, occorre rilevare che deriva dal menzionato principio che, dal momento che il giudice nazionale che si pronuncia in sede di appello dispone della facoltà o dell’obbligo di valutare d’ufficio la validità di un atto giuridico rispetto alle regole nazionali di ordine pubblico, nonostante tale contrarietà non sia stata sollevata in primo grado, esso deve ugualmente esercitare siffatta competenza al fine di valutare d’ufficio, rispetto ai criteri della direttiva 93/13, il carattere abusivo di una clausola contrattuale rientrante nell’ambito di applicazione di quest’ultima. Qualora il giudice del rinvio affermasse che, in situazioni di natura interna, esso dispone di tale competenza, dovrebbe esercitare siffatta competenza in una situazione come quella del procedimento principale, che mette in discussione la salvaguardia dei diritti che il consumatore trae dal diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, C‑40/08, Racc. pag. I‑9579, punti 53 e 54, nonché del 30 maggio 2013, Asbeek Brusse e de Man Garabito, C-488/11, punti 45 e 46).

31      In ogni caso, occorre rilevare che, sulla base del fascicolo ad essa sottoposto, la Corte non dispone di alcun elemento che possa mettere in dubbio la conformità a detto principio della normativa controversa nel procedimento principale.

32      Per quanto riguarda il principio di effettività, si deve rammentare che, per giurisprudenza costante della Corte, ogni caso in cui si pone la questione se una disposizione processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta disposizione nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali (v. sentenza Banco Español de Crédito, cit., punto 49 e giurisprudenza ivi citata). Il giudice nazionale deve interpretare e applicare il complesso delle disposizioni nazionali di cui trattasi quanto più possibile al fine di assicurare l’attuazione effettiva dei diritti garantiti dalle disposizioni del diritto dell’Unione.

33      Nel caso di specie, risulta dal fascicolo sottoposto alla Corte che, ai sensi del punto 4, lettera b), del parere 2/2010/VI.28./PK delle Sezioni Unite civili della Legfelsőbb Bíróság del 28 giugno 2010, il giudice che si pronuncia in sede di appello deve valutare d’ufficio un caso di nullità se l’esistenza della causa di detta nullità risulta chiaramente dagli elementi del procedimento di primo grado.

34      Detto parere precisa anche, al suo punto 5, lettera a), che, se i fatti esposti dal ricorrente forniscono al ricorso un fondamento giuridico diverso da quello da lui invocato, il giudice adito può procedere alla riqualificazione adeguata in diritto del fondamento della domanda che gli è sottoposta.

35      Come sostenuto dal governo ungherese nelle osservazioni presentate alla Corte, da tale parere si può desumere che, nel sistema giurisdizionale ungherese, il giudice che si pronuncia in sede di appello è competente, qualora disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari a tal fine, a valutare, d’ufficio o mediante la riqualificazione del fondamento giuridico della domanda l’esistenza di una causa di nullità di una clausola contrattuale derivante da tali elementi, anche quando la parte litigiosa che avrebbe potuto avvalersene non abbia invocato tale causa di nullità.

36      Come rammentato al punto 30 della presente sentenza, poiché il giudice nazionale che si pronuncia in sede di appello dispone di tale competenza nelle situazioni di natura interna, deve esercitarla in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, che mette in discussione la salvaguardia dei diritti che il consumatore trae dalla direttiva 93/13.

37      Nelle suesposte condizioni occorre considerare che le norme nazionali di procedura applicabili nella controversia principale non appaiono, di per sé, tali da rendere impossibile o eccessivamente difficile la salvaguardia dei diritti che la direttiva 93/13 attribuisce al consumatore.

38      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che la direttiva 93/13 dev’essere interpretata nel senso che, qualora un giudice nazionale, chiamato in sede di appello a pronunciarsi su una controversia sulla validità di clausole incluse in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore sulla base di un formulario preventivamente redatto da detto professionista, abbia il potere, ai sensi delle norme interne di procedura, di esaminare ogni causa di nullità risultante chiaramente dagli elementi presentati in primo grado e, eventualmente, di riqualificare, in funzione dei fatti dimostrati, il fondamento giuridico invocato per dichiarare l’invalidità di tali clausole, detto giudice deve valutare, d’ufficio o riqualificando il fondamento giuridico della domanda, il carattere abusivo di dette clausole rispetto ai criteri della direttiva in parola.

 Sulla prima questione

39      Con tale questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 7 della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che il giudice nazionale che ha accertato il carattere abusivo di una clausola contrattuale può valutare d’ufficio se si debba annullare il contratto per tale motivo, anche qualora le parti non abbiano presentato alcuna domanda al riguardo.

40      Per quanto concerne le azioni che riguardano un singolo consumatore, l’articolo 6, paragrafo 1, prima parte della frase, della direttiva 93/13 impone agli Stati membri di disporre che le clausole abusive «non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali».

41      La Corte ha interpretato la predetta disposizione nel senso che il giudice nazionale deve trarre tutte le conseguenze che, secondo il diritto nazionale, derivano dall’accertamento del carattere abusivo della clausola in esame affinché il consumatore non sia vincolato da quest’ultima (v., in particolare, citate sentenze Banco español de Crédito, punto 63, e Banif Plus Bank, punto 27). Al riguardo la Corte ha precisato che, quando il giudice nazionale considera una clausola contrattuale come abusiva, egli è tenuto a non applicarla, tranne nel caso in cui il consumatore, dopo essere stato informato da detto giudice, vi si opponga (v., in tal senso, sentenza del 4 giugno 2009, Pannon GSM, C‑243/08, Racc. pag. I‑4713, punto 35).

42      Da detta giurisprudenza deriva che la piena efficacia della tutela prevista dalla direttiva 93/13 esige che il giudice nazionale che ha accertato d’ufficio il carattere abusivo di una clausola possa trarre tutte le conseguenze derivanti da tale accertamento, senza attendere che il consumatore, informato dei suoi diritti, presenti una dichiarazione diretta ad ottenere l’annullamento di detta clausola (v., in tal senso, citate sentenze Banif Plus Bank, punto 28, nonché Asbeek Brusse e de Man Garabito, punto 50).

43      Come già dichiarato dalla Corte, una normativa nazionale come quella in esame nel procedimento principale, che prevede che le clausole dichiarate abusive siano nulle, soddisfa le esigenze dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 (v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2012, Invitel, C‑472/10, punti 39 e 40).

44      Il giudice nazionale deve inoltre valutare l’incidenza dell’accertamento del carattere abusivo della clausola in parola sulla validità di detto contratto e determinare se tale contratto possa sussistere senza siffatta clausola (v., in tal senso, ordinanza del 16 novembre 2010, Pohotovost’, C‑76/10, Racc. pag. I‑11557, punto 61).

45      Al riguardo, l’articolo 6, paragrafo 1, in fine, della direttiva 93/13 prevede che «il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole» (sentenza del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič, C‑453/10, punto 29).

46      Come è stato rilevato dalla Corte, la finalità perseguita dal legislatore dell’Unione attraverso la direttiva 93/13 consiste infatti non nell’annullamento di qualsiasi contratto contenente clausole abusive, bensì nel ripristinare l’equilibrio tra le parti, salvaguardando al contempo, in linea di principio, la validità del contratto nel suo complesso (v., in tal senso, sentenza Pereničová e Perenič, cit., punto 31).

47      Con riferimento ai criteri che consentono di valutare se un contratto possa effettivamente sussistere in assenza delle clausole abusive, la Corte ha giudicato che sia il tenore letterale dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 sia le esigenze riconducibili alla certezza giuridica delle attività economiche depongono a favore di un approccio obiettivo in sede di interpretazione di detta disposizione (sentenza Pereničová e Perenič, cit., punto 32). Tuttavia, tale direttiva avendo effettuato soltanto un’armonizzazione parziale e minima delle legislazioni nazionali relative alle clausole abusive, essa non si oppone alla possibilità, nel rispetto del diritto dell’Unione, di dichiarare nullo nel suo complesso un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore contenente una o più clausole abusive, qualora ciò risulti garantire una tutela migliore del consumatore (v., in tal senso, sentenza Pereničová e Perenič, cit., punto 35).

48      Occorre, quindi, rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che il giudice nazionale che constati il carattere abusivo di una clausola contrattuale deve, da un lato, senza attendere che il consumatore presenti una domanda a tal fine, trarre tutte le conseguenze che derivano, secondo il diritto nazionale, da tale accertamento affinché il consumatore di cui trattasi non sia vincolato da tale clausola e, dall’altro, valutare, in linea di principio sulla base di criteri oggettivi, se il contratto di cui trattasi possa sussistere senza detta clausola.

 Sulla seconda questione

49      Con tale questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 93/13 debba essere interpretata nel senso che un giudice nazionale che abbia accertato d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale può esaminare se si debba annullare il contratto per tale ragione, benché, secondo le norme interne di procedura, i ricorsi volti all’accertamento dell’invalidità di clausole contrattuali abusive rientrino nella competenza di un altro organo giurisdizionale.

50      Al riguardo occorre rilevare che spetta all’ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro designare il giudice competente a risolvere liti vertenti sui diritti soggettivi, scaturenti dall’ordinamento dell’Unione, fermo restando, tuttavia, che gli Stati membri sono tenuti a garantire, in ogni caso, la tutela effettiva di detti diritti. Con questa riserva, non spetta alla Corte intervenire nella soluzione dei problemi di competenza che può sollevare, nell’ambito dell’ordinamento giudiziario nazionale, la definizione di determinate situazioni giuridiche fondate sul diritto dell’Unione (v., segnatamente, sentenze del 17 settembre 1997, Dorsch Consult, C‑54/96, Racc. pag. I‑4961, punto 40, e del 22 maggio 2003, Connect Austria, C‑462/99, Racc. pag. I‑5197, punto 35).

51      Tuttavia, come rammentato ai punti 43 e 44 della presente sentenza, la Corte ha interpretato l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 nel senso che il giudice nazionale deve trarre tutte le conseguenze che, secondo il diritto nazionale, derivano dall’accertamento del carattere abusivo della clausola in parola affinché il consumatore non sia vincolato da quest’ultima.

52      Nelle suesposte condizioni, dalle esigenze di un’interpretazione del diritto nazionale conforme alla direttiva 93/13 e di una tutela effettiva dei diritti dei consumatori deriva che spetta al giudice nazionale applicare, per quanto possibile, le sue norme interne di procedura in modo da raggiungere l’obiettivo stabilito dall’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva.

53      Occorre, quindi, risolvere la seconda questione dichiarando che la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che il giudice nazionale che abbia constatato d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale deve applicare, per quanto possibile, le sue norme interne di procedura in modo da trarre tutte le conseguenze che, secondo il diritto nazionale, derivano dall’accertamento del carattere abusivo della clausola in parola affinché il consumatore non sia vincolato da quest’ultima.

 Sulle spese

54      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1)      La direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, dev’essere interpretata nel senso che, qualora un giudice nazionale, chiamato in sede di appello a pronunciarsi su una controversia vertente sulla validità di clausole incluse in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore sulla base di un formulario preventivamente redatto da tale professionista, abbia il potere, secondo le sue norme interne di procedura, di esaminare qualsiasi causa di nullità che risulti chiaramente dagli elementi presentati in primo grado e, eventualmente, di riqualificare, in funzione dei fatti dimostrati, il fondamento giuridico invocato per dichiarare l’invalidità di tali clausole, detto giudice deve valutare, d’ufficio o riqualificando il fondamento giuridico della domanda, il carattere abusivo di dette clausole rispetto ai criteri di tale direttiva.

2)      L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che il giudice nazionale che constati il carattere abusivo di una clausola contrattuale deve, da un lato, senza attendere che il consumatore presenti una domanda a tal fine, trarre tutte le conseguenze che derivano, secondo il diritto nazionale, da tale constatazione affinché il consumatore di cui trattasi non sia vincolato da tale clausola e, dall’altro, valutare, in linea di principio sulla base di criteri oggettivi, se il contratto di cui trattasi possa essere mantenuto senza detta clausola.

3)      La direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che il giudice nazionale che abbia constatato d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale deve applicare, per quanto possibile, le sue norme interne di procedura in modo da trarre tutte le conseguenze che, secondo il diritto nazionale, derivano dalla constatazione del carattere abusivo della clausola in parola affinché il consumatore non sia vincolato da quest’ultima.

Firme


* Lingua processuale: l’ungherese.