Language of document : ECLI:EU:C:2015:729

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 28 ottobre 2015 (1)

Causa C‑263/14

Parlamento europeo

contro

Consiglio dell’Unione europea

«Ricorso di annullamento – Decisione 2014/198/PESC del Consiglio – Operazione ATALANTA – Accordo tra l’Unione europea e la Repubblica unita della Tanzania – Trasferimento delle persone sospettate di atti di pirateria e dei beni sequestrati da parte della forza navale diretta dall’Unione europea alla Tanzania – Scelta della base giuridica appropriata – Politica estera e di sicurezza comune (PESC, articolo 37 TUE) – Cooperazione giudiziaria in materia penale e cooperazione di polizia (articoli 82 TFUE e 87 TFUE) – Prerogative codecisorie del Parlamento europeo in caso di “accord[i] [internazionali] riguarda[nti] esclusivamente la politica estera e di sicurezza comune” (articolo 218, paragrafo 6, TFUE) – Informazione immediata e piena del Parlamento (articolo 218, paragrafo 10, TFUE) – Mantenimento in vigore degli effetti della decisione»





I –    Introduzione

1.        Il trasferimento di una persona responsabile di atti di pirateria da parte dell’Unione europea alle autorità della Repubblica unita della Tanzania costituisce essenzialmente un atto della politica estera e di sicurezza? Oppure una misura siffatta non presenta, piuttosto, una componente altrettanto significativa di cooperazione internazionale tra la polizia e gli altri servizi incaricati dell’applicazione della legge? Queste sono, in sostanza, le questioni che la Corte è chiamata a dirimere nella presente fattispecie. Nel farlo, si baserà sui principi da essa stessa fissati nella causa C‑658/11 (2).

2.        Come nella causa C‑658/11, anche nel caso di specie si discute dell’operazione militare nell’ambito della quale l’Unione europea, ormai già da qualche tempo, collabora alla lotta contro la pirateria al largo della Somalia mediante una forza navale da essa diretta. Le persone arrestate dalle navi da guerra degli Stati membri dell’UE e i beni da esse sequestrati sono, in molti casi, trasferiti a Stati terzi di tale area, per l’esercizio di azioni giudiziarie. Per fissare i dettagli di tali trasferimenti, l’Unione ha concluso accordi internazionali con i suddetti paesi – nella causa C‑685/11 con le Mauritius, nel caso di specie con la Tanzania.

3.        Nell’ambito della presente controversia, il Parlamento europeo discute nuovamente con il Consiglio dell’Unione europea della scelta della base giuridica sostanziale per la conclusione di siffatti accordi. Mentre il Consiglio ha basato la propria decisione 2014/198/PESC (3) relativa all’approvazione dell’accordo con la Tanzania (4)soltanto sulle disposizioni in materia di politica estera e di sicurezza comune (PESC), ossia l’articolo 37 TUE, il Parlamento ritiene che sarebbe stato necessario prendere in considerazione anche le disposizioni sulla cooperazione giudiziaria in materia penale e sulla cooperazione di polizia, più precisamente gli articoli 82 TFUE e 87 TFUE.

4.        Di primo acchito, tutto ciò può sembrare una questione tecnica di dettaglio, che non crea neppure lontanamente la stessa suspense di certe rielaborazioni letterarie del tema della pirateria (5). Tuttavia, la problematica qui controversa ha una grande portata politica e presenta addirittura risvolti di carattere costituzionale, in quanto si tratta di precisare i contorni della politica estera e di sicurezza comune e di delimitarla rispetto alle altre politiche dell’Unione (6). Mediante la scelta della base giuridica sostanziale sono, in ampia misura, predeterminati i poteri riconosciuti al Parlamento europeo. Ove emerga che l’accordo controverso – come accaduto nel caso di specie – deve essere ricondotto esclusivamente in seno alla PESC e poteva, pertanto, essere concluso solo sulla base dell’articolo 37 TUE, allora il Parlamento non avrebbe avuto, a norma dell’articolo 218, paragrafo 6, secondo comma, prima parte, TFUE, nessuna prerogativa codecisoria, e nemmeno un diritto a essere consultato. Se fosse stato, invece, corretto prendere in considerazione, quale base giuridica, una combinazione dell’articolo 37 TUE e degli articoli 82, paragrafi 1 e 2, TFUE e 87, paragrafo 2, TFUE, allora l’accordo controverso avrebbe necessitato, a norma dell’articolo 218, paragrafo 6, secondo comma, lettera a), v), TFUE, dell’approvazione del Parlamento. La portata dei poteri della Commissione europea nel procedimento per la conclusione di un siffatto accordo internazionale dipende anch’essa in misura non trascurabile dalla scelta della base giuridica.

5.        Il confronto sulla scelta della base giuridica appropriata costituisce, quindi, l’oggetto principale anche del presente ricorso di annullamento proposto dal Parlamento contro il Consiglio. Tuttavia, le parti discutono, a latere, anche della portata dell’obbligo gravante sul Consiglio, a norma dell’articolo 218, paragrafo 10, TFUE, di informare il Parlamento immediatamente e pienamente in tutte le fasi della procedura per la conclusione di un accordo internazionale.

II – Contesto normativo

6.        Il contesto normativo della presente controversia è dato dagli articoli 216 TFUE e 218 TFUE, contenuti entrambi nel titolo V del TFUE, dedicato agli «Accordi internazionali».

7.        L’articolo 216, paragrafo 1, TFUE riepiloga su quali basi giuridiche sostanziali l’Unione può, a seguito del Trattato di Lisbona, concludere accordi internazionali:

«L’Unione può concludere un accordo con uno o più paesi terzi o organizzazioni internazionali qualora i trattati lo prevedano o qualora la conclusione di un accordo sia necessaria per realizzare, nell’ambito delle politiche dell’Unione, uno degli obiettivi fissati dai trattati, o sia prevista in un atto giuridico vincolante dell’Unione, oppure possa incidere su norme comuni o alterarne la portata».

8.        L’articolo 218 TFUE disciplina la procedura di negoziazione e di conclusione degli accordi internazionali e dispone, per estratto, quanto segue:

«(…)

4.      Il Consiglio può impartire direttive al negoziatore e designare un comitato speciale che deve essere consultato nella conduzione dei negoziati.

5.      Il Consiglio, su proposta del negoziatore, adotta una decisione che autorizza la firma dell’accordo e, se del caso, la sua applicazione provvisoria prima dell’entrata in vigore.

6.      Il Consiglio, su proposta del negoziatore, adotta una decisione relativa alla conclusione dell’accordo.

Tranne quando l’accordo riguarda esclusivamente la politica estera e di sicurezza comune, il Consiglio adotta la decisione di conclusione dell’accordo

a)      previa approvazione del Parlamento europeo nei casi seguenti:

(…)

v)      accordi che riguardano settori ai quali si applica la procedura legislativa ordinaria oppure la procedura legislativa speciale qualora sia necessaria l’approvazione del Parlamento europeo.

In caso d’urgenza, il Parlamento europeo e il Consiglio possono concordare un termine per l’approvazione;

b)      previa consultazione del Parlamento europeo, negli altri casi. (…)

(…)

10.      Il Parlamento europeo è immediatamente e pienamente informato in tutte le fasi della procedura.

(…)».

9.        Sotto il profilo del diritto sostanziale assume rilievo, inoltre, l’articolo 37 TUE, che rientra, all’interno del Trattato UE, nel titolo V, capo 2, rubricato «Disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune» e, ivi, nella sezione 1 «Disposizioni comuni». La disposizione in parola così recita:

«L’Unione può concludere accordi con uno o più Stati o organizzazioni internazionali nei settori di pertinenza del presente capo».

10.      Occorre, inoltre, ricordare gli articoli 82 TFUE e 87 TFUE, contenuti nel titolo V del TFUE sullo «Spazio di libertà, sicurezza e giustizia».

11.      L’articolo 82 TFUE riguarda la cooperazione giudiziaria in materia penale. A norma del paragrafo 1, secondo comma, di detta disposizione, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le «misure» intese, in particolare, a

–        «sostenere la formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari» [lettera c)] e

–        «facilitare la cooperazione tra le autorità giudiziarie o autorità omologhe degli Stati membri in relazione all’azione penale e all’esecuzione delle decisioni» [lettera d)].

12.      Inoltre, ai sensi dell’articolo 82, paragrafo 2, secondo comma, TFUE, il Parlamento europeo e il Consiglio possono stabilire norme minime in materia penale deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria che riguardino, segnatamente:

–        l’ammissibilità reciproca delle prove tra gli Stati membri [lettera a)] e

–        i diritti della persona nella procedura penale [lettera b)].

13.      L’articolo 87 TFUE verte sulla cooperazione di polizia. A norma del paragrafo 2, lettera a), di detta disposizione, il Parlamento europeo e il Consiglio possono, al fine di sviluppare tale collaborazione, stabilire, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, misure riguardanti la raccolta, l’archiviazione, il trattamento, l’analisi e lo scambio delle pertinenti informazioni.

III – Contesto della controversia

14.      Alla fine del 2008, il Consiglio, alla luce dei sempre più frequenti episodi di pirateria al largo delle coste somale, deliberava, nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione, un’azione comune (7) che ha portato all’avvio di un’operazione militare comune, denominata «Operazione ATALANTA». Oggetto dell’operazione in parola era l’impiego di una forza navale diretta dall’UE (EUNAVFOR) al fine di proteggere le navi che transitano al largo delle coste somale, ovvero di dissuadere, prevenire e reprimere gli atti di pirateria e le rapine a mano armata al largo di dette coste.

15.      In base all’articolo 1, paragrafo 1, dell’azione comune, con l’operazione militare di cui trattasi – deliberata all’epoca sulla base degli articoli 14 TUE, 25, terzo comma, TUE e 28, paragrafo 3, TUE (8) – l’Unione sostiene gli obiettivi fissati dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nelle sue risoluzioni 1814, 1816, 1838, 1846 e 1851 del 2008, richiamandosi inoltre agli articoli 100 e seguenti della convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (9).

16.      Tra i compiti dell’EUNAVFOR rientrano, a norma dell’articolo 2, lettera e), dell’azione comune, in particolare, quello di «arrestare, fermare e trasferire le persone che si sospetta intendano, ai sensi degli articoli 101 e 103 della convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, commettere, che commettono o che hanno commesso atti di pirateria o rapine a mano armata», come pure quello di «sequestrare le navi di pirati o di rapinatori o le navi catturate a seguito di un atto di pirateria o di rapina a mano armata e che sono sotto il controllo dei pirati o dei rapinatori, nonché requisire i beni che si trovano a bordo (…)», e ciò «al fine dell’eventuale esercizio di azioni giudiziarie da parte degli Stati competenti».

17.      A norma dell’articolo 10, paragrafo 3, primo periodo, dell’azione comune, le «modalità particolareggiate della partecipazione di Stati terzi» all’attività dell’EUNAVFOR sono oggetto «di accordi conclusi secondo la procedura di cui all’articolo 37 [TUE]». L’articolo 10, paragrafo 6, dell’azione comune stabilisce poi quanto segue:

«Le condizioni di trasferimento delle persone arrestate e fermate al fine dell’esercizio della competenza giurisdizionale di tale Stato sono stabilite in occasione della conclusione o dell’attuazione degli accordi di partecipazione di cui al paragrafo 3».

18.      Ricollegandosi a quanto precede, l’articolo 12 dell’azione comune fissa le condizioni generali in presenza delle quali l’EUNAVFOR trasferisce le persone arrestate agli Stati membri dell’Unione europea o a Stati terzi nel caso in cui lo Stato membro o lo Stato terzo di cui la nave EUNAVFOR in questione batte bandiera non possa o non intenda esercitare la propria giurisdizione. Obiettivo è l’esercizio delle azioni giudiziarie nel rispetto di determinati requisiti minimi. Il trasferimento di persone a uno Stato terzo presuppone, a norma dell’articolo 12, paragrafo 3, dell’azione comune, che «le condizioni del trasferimento [siano] state stabilite con tale Stato terzo in conformità del diritto internazionale applicabile, compreso il diritto internazionale dei diritti umani, al fine di garantire in particolare che nessuno sia sottoposto alla pena di morte, alla tortura o a qualsiasi altro trattamento crudele, inumano o degradante».

19.      In tale contesto, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, in forza di un’autorizzazione del Consiglio del 22 marzo 2010, ha negoziato con la Tanzania l’accordo controverso sulle condizioni del trasferimento delle persone sospettate di atti di pirateria e dei relativi beni sequestrati da parte della forza navale diretta dall’UE alla Tanzania (10).

20.      Con la decisione impugnata, che si fonda sull’articolo 37 TUE, quale unica base giuridica sostanziale, e sull’articolo 218, paragrafi 5 e 6, TFUE, quale base giuridica formale (11), il Consiglio ha approvato il suddetto accordo in nome dell’Unione senza previa approvazione o consultazione del Parlamento e ne ha autorizzato la firma. L’accordo è stato poi sottoscritto il 1° aprile 2014.

21.      Il Parlamento ritiene che la decisione impugnata avrebbe dovuto richiamare, quale base giuridica sostanziale, accanto all’articolo 37 TUE, anche gli articoli 82 TFUE e 87 TFUE, con la conseguenza che la decisione in parola avrebbe necessitato della sua approvazione a norma dell’articolo 218, paragrafo 6, lettera a), v), TFUE.

22.      Per quanto attiene all’informazione del Parlamento, con comunicazione del 22 marzo 2010 il Consiglio ha informato detta istituzione di aver autorizzato la conduzione di negoziati nell’ottica di un accordo ai sensi dell’articolo 37 TUE. Il Consiglio non forniva al Parlamento nessuna informazione sui successivi sviluppi dei negoziati. Solo dopo la conclusione della procedura, il Consiglio informava il Parlamento, con comunicazione del 19 marzo 2014, di aver approvato l’accordo controverso e di averne autorizzato la firma, senza tuttavia mettere il Parlamento a conoscenza del tenore della decisione impugnata e del testo dell’accordo controverso. Il Parlamento poteva venire a conoscenza del loro contenuto soltanto grazie alla pubblicazione della decisione e dell’accordo nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, avvenuta l’11 aprile 2014.

23.      Il Parlamento ritiene che, così facendo, il Consiglio non abbia sufficientemente adempiuto l’obbligo a suo carico di informarlo immediatamente e pienamente a norma dell’articolo 218, paragrafo 10, TFUE.

IV – Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

24.      Con memoria del 28 maggio 2014, il Parlamento ha proposto il presente ricorso di annullamento, ai sensi dell’articolo 263, secondo comma, TFUE.

25.      A norma dell’articolo 131, paragrafo 2, del regolamento di procedura, il presidente della Corte ha autorizzato l’intervento della Commissione europea a sostegno del Parlamento e quello della Repubblica ceca, del Regno di Svezia nonché del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord a sostegno del Consiglio.

26.      Il Parlamento, con il sostegno della Commissione, chiede alla Corte di:

–        annullare la decisione 2014/198/PESC del Consiglio, del 10 marzo 2014;

–        disporre che gli effetti della decisione in parola siano mantenuti fino al momento in cui sarà sostituita, e

–        condannare il Consiglio alle spese.

27.      Il Consiglio chiede, dal canto suo, ugualmente sostenuto dalle parti intervenute a suo favore, che il ricorso sia respinto come infondato. Inoltre, come la Repubblica ceca, chiede la condanna del Parlamento alle spese.

28.      Nel caso in cui la decisione impugnata dovesse essere annullata, il Consiglio chiede inoltre alla Corte di mantenerne gli effetti

–        sino al momento in cui essa sarà sostituita, qualora l’annullamento si fondi sull’accertamento dell’intervenuta scelta di una base giuridica inappropriata ai sensi del primo motivo di ricorso,

–        oppure senza limiti di tempo, qualora l’annullamento si fondi soltanto sull’accertamento di un’insufficiente informazione del Parlamento ai sensi del secondo motivo di ricorso.

29.      Anche la Repubblica ceca e il Regno Unito chiedono espressamente (12) che, in caso di annullamento della decisione impugnata, i suoi effetti siano mantenuti, fermo restando che la Repubblica ceca si limita a chiedere alla Corte di fare ricorso ai suoi poteri ai sensi dell’articolo 264, secondo comma, TFUE, mentre il Regno Unito chiede che essa proceda come nella sentenza da essa pronunciata nella causa C‑658/11.

30.      Dinanzi alla Corte, il ricorso del Parlamento è stato trattato prima nella fase del procedimento scritto (13), poi, il 22 settembre 2015, in udienza.

V –    Disposizioni applicabili dell’accordo controverso

31.      L’accordo controverso è diretto, conformemente al suo articolo 1, a definire le condizioni e le modalità del trasferimento delle persone fermate dall’EUNAVFOR sospettate di atti di pirateria e del trasferimento dei relativi beni sequestrati dall’EUNAVFOR alla Tanzania, oltre alle condizioni del trattamento delle persone interessate dopo il loro trasferimento.

32.      L’articolo 3, paragrafo 1, secondo periodo, dell’accordo stabilisce che la Tanzania decide caso per caso se accettare una consegna proposta dall’EUNAVFOR, tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti, compreso il luogo dell’incidente.

33.      A norma degli articoli 3, paragrafo 3, e 4, paragrafo 1, dell’accordo, le parti trattano le persone interessate, sia prima che dopo il trasferimento, in modo umano e in conformità agli obblighi internazionali in materia di diritti umani, inclusi il divieto della tortura e di qualsiasi altro trattamento o pena crudele, inumano o degradante e il divieto della detenzione illegale, nonché nell’osservanza del diritto a un processo equo. Dall’articolo 4, paragrafo 1, seconda parte, dell’accordo si evince inoltre che le persone trasferite ricevono vitto e alloggio adeguati, hanno accesso alle cure mediche e possono praticare la propria religione.

34.      Ulteriori diritti delle persone trasferite si evincono dall’articolo 4, paragrafi da 2 a 7, dell’accordo, in particolare il diritto a un processo equo da tenersi entro un ragionevole periodo di tempo o al rilascio.

35.      In base all’articolo 5 dell’accordo, nessuna persona trasferita è giudicata per un reato la cui pena massima sia più severa della pena dell’ergastolo.

36.      Nell’articolo 6 dell’accordo sono disciplinati gli obblighi di documentazione che l’EUNAVFOR è tenuta ad adempiere rispetto alle persone e ai beni interessati e le relative modalità di invio alle autorità della Tanzania.

37.      L’articolo 7 dell’accordo riguarda l’obbligo dell’Unione e dell’EUNAVFOR di agevolare le indagini e l’azione giudiziaria della giustizia tanzaniana.

38.      Occorre, da ultimo, richiamare il preambolo dell’accordo, nel quale è fatto espresso riferimento all’azione comune. Ivi sono inoltre richiamati vari strumenti di diritto internazionale, in particolare le pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e la convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.

VI – Analisi

39.      Il ricorso di annullamento del Parlamento si fonda su due motivi, dei quali, il primo, ha ad oggetto la scelta della base giuridica appropriata per la decisione impugnata (v., sul punto, infra, sezione B), mentre il secondo riguarda l’obbligo del Consiglio di informare pienamente e immediatamente il Parlamento in tutte le fasi della procedura per la conclusione di un accordo internazionale (v., sul punto, infra, sezione C).

40.      Prima di procedere all’analisi del contenuto di entrambi i suddetti motivi di ricorso, occorre esaminare brevemente la questione della competenza della Corte nel presente procedimento (v., qui di seguito, sezione A).

A –    Sulla competenza della Corte

41.      In linea di principio, la competenza giurisdizionale della Corte di giustizia dell’Unione europea si estende, a partire dal Trattato di Lisbona, a tutti gli ambiti del diritto dell’Unione; i giudici dell’Unione sono chiamati a interpretare tutte le disposizioni del diritto dell’Unione e a vigilare sulla validità di tutti gli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione (articolo 19, paragrafo 1, primo comma, TUE nonché articoli 263, primo comma, TFUE e 267, primo comma, TFUE).

42.      In deroga a tale principio, la Corte di giustizia dell’Unione europea non è competente per quanto riguarda le disposizioni di diritto primario in materia di PESC né per quanto riguarda gli atti adottati in base a dette disposizioni (v. articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, sesto periodo, TUE, in combinato disposto con l’articolo 275, primo comma, TFUE). Fa eccezione tuttavia, a sua volta, l’articolo 275, secondo comma, TFUE, in quanto sancisce la competenza dei giudici dell’Unione a controllare, in particolare, il rispetto dell’articolo 40 TUE.

43.      Proprio quest’ultima deroga all’eccezione è oggetto del primo motivo di ricorso del Parlamento, con il quale viene messa in discussione la scelta della base giuridica appropriata. Il Parlamento, infatti, pur non facendo purtroppo mai espresso riferimento all’articolo 40 TUE, si riferisce chiaramente nel contenuto alla problematica ivi disciplinata della delimitazione tra la PESC, da un lato, e le politiche «trasferite a livello comunitario», dall’altro. Qualora il Consiglio abbia, come sostenuto dal Parlamento, errato nel fondare la decisione impugnata solo sulla PESC, invece di ricorrere in aggiunta anche alle disposizioni sulla cooperazione giudiziaria in materia penale e sulla cooperazione di polizia, esso avrebbe leso le attribuzioni delle altre istituzioni nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, il che è vietato dall’articolo 40, primo comma, TUE e può essere oggetto di controllo da parte della Corte ai sensi dell’articolo 275, secondo comma, TFUE.

44.      Il secondo motivo di ricorso del Parlamento si fonda sull’obbligo generale di informazione previsto dall’articolo 218, paragrafo 10, TFUE e, quindi, su una disposizione che – come già statuito dalla Corte nella causa C‑658/11 (14) – non rientra di per sé nelle disposizioni di diritto primario sulla PESC di cui al titolo V, capo 2, del Trattato UE, ma vale a livello intersettoriale per tutte le procedure dell’Unione dirette alla conclusione di accordi internazionali. La disposizione in parola non è quindi intaccata dalla limitazione delle competenze giurisdizionali scaturente, per la PESC, dall’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, sesto periodo, TUE, in combinato disposto con l’articolo 275, primo comma, TFUE.

45.      La Repubblica ceca chiede alla Corte di rivedere, ed eventualmente precisare, nel caso di specie, la giurisprudenza formulata nella sentenza C‑658/11 sull’articolo 218, paragrafo 10, TFUE.

46.      Contrariamente a quanto ritenuto dalla Repubblica ceca, dall’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, sesto periodo, TUE, in combinato disposto con l’articolo 275, primo comma, TFUE, non si può tuttavia in nessun modo desumere che la Corte abbia, rispetto a un ricorso fondato sull’articolo 218, paragrafo 10, TFUE, una competenza solo limitata, nel senso cioè che essa si dovrebbe limitare soltanto ad accertare una violazione dell’obbligo di informazione del Parlamento, senza annullare la decisione impugnata.

47.      La Corte o è competente o non lo è. Le eccezioni alla sua competenza necessitano di una disciplina esplicita e devono essere interpretate in maniera restrittiva. Gradi diversi di competenza dei giudici dell’Unione rispetto alla trattazione dei ricorsi di annullamento fondati sull’articolo 40 TUE o sull’articolo 218, paragrafo 10, TFUE non sono previsti né nell’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, sesto periodo, TUE né nell’articolo 275, primo comma, TFUE (15).

48.      A prescindere da ciò, l’emanazione di una sentenza di accertamento, come sembra ipotizzare la Repubblica ceca, sarebbe incompatibile con l’essenza del ricorso di annullamento. Essa contrasterebbe con l’articolo 264 TFUE, che disciplina gli effetti giuridici dell’accoglimento del ricorso e riconosce il carattere cassatorio del ricorso di annullamento. Né nell’articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, sesto periodo, TUE né nell’articolo 275, primo comma, TFUE si rinvengono elementi a favore di una deroga al suddetto articolo 264 TFUE.

49.      Nel complesso, la Corte è quindi pienamente competente a pronunciarsi sul ricorso in esame, fino all’eventuale annullamento della decisione impugnata (16).

B –    Sulla scelta della base giuridica appropriata (primo motivo di ricorso)

50.      Con il suo primo motivo di ricorso, che costituisce l’aspetto centrale del presente procedimento, il Parlamento mette in dubbio la base giuridica scelta dal Consiglio per la decisione impugnata.

51.      Il Parlamento afferma che la scelta di fondare la decisione in parola soltanto sulla PESC o, meglio, sull’articolo 37 TUE avrebbe costituito un errore di diritto. A suo avviso, sarebbe stato necessario servirsi, quale ulteriore base giuridica, degli articoli 82 TFUE e 87 TFUE, ossia di due disposizioni tratte dai settori della cooperazione giudiziaria in materia penale e della cooperazione di polizia. Il Parlamento si esprime così, in definitiva, a favore di una doppia base giuridica sostanziale, che collega poteri derivanti dalla PESC a poteri tratti dallo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Ove una combinazione di basi giuridiche delle suddette due politiche dovesse risultare impossibile in ragione dell’inconciliabilità delle rispettive procedure, il Parlamento ritiene – come chiarito in occasione dell’udienza – che siano applicabili i soli articoli 82 TFUE e 87 TFUE (17).

–       Osservazione preliminare

52.      In giurisprudenza è già stato precisato che un atto di diritto dell’Unione – anche la decisione sull’approvazione di un accordo internazionale (18) – può basarsi su un doppio fondamento giuridico sostanziale. Ciò è sempre opportuno quando risulta che l’atto giuridico interessato persegue contemporaneamente più finalità oppure ha più componenti legate tra loro in modo inscindibile, senza che una sia accessoria rispetto all’altra, cosicché siano parimenti applicabili diverse disposizioni dei Trattati (19).

53.      Contrariamente a quanto affermato dal Consiglio e dagli intervenienti a suo sostegno, la Corte non ha ancora in alcun modo escluso la possibilità di una doppia base giuridica per un caso come quello in esame. In particolare, la sentenza nella causa C‑658/11 non ha fornito al riguardo nessuna decisione preliminare.

54.      È vero che la suddetta sentenza riguardava un accordo internazionale – l’accordo con le Mauritius – il cui contenuto era essenzialmente equiparabile a quello dell’accordo qui controverso. La Corte non ha però ivi preso posizione definitiva sulla questione della base giuridica sostanziale appropriata, in quanto il Parlamento ricorrente all’epoca – diversamente che nel caso di specie – non aveva messo in dubbio l’applicabilità esclusiva dell’articolo 37 TUE e aveva addirittura riconosciuto che l’autorizzazione dell’accordo UE/Mauritius «poteva validamente fondarsi soltanto sull’articolo 37 TUE, ad esclusione di qualsiasi altra base giuridica sostanziale» (20). Nella causa C‑658/11, la Corte, muovendo dalle eccezioni allora sollevate dal Parlamento, si è logicamente concentrata sull’interpretazione delle particolari disposizioni processuali contenute nell’articolo 218, paragrafo 6, secondo comma, prima parte, TFUE.

55.      Anche se si volesse presumere, in linea con il Consiglio e con le parti intervenute a suo sostegno, che la Corte, nella causa C‑658/11, si sia pronunciata in modo quantomeno implicito anche sulla questione della base giuridica sostanziale appropriata (21), ciò non permetterebbe ancora, nel caso di specie, di valutare definitivamente l’eccezione sollevata dal Parlamento. Conformemente a una giurisprudenza consolidata, infatti, ai fini dell’esame della base giuridica della decisione qui impugnata, è privo di rilievo il fondamento giuridico accolto per l’adozione di altri atti dell’Unione recanti, eventualmente, caratteristiche simili (22).

56.      Nel caso di specie, occorre pertanto sottoporre la scelta della base giuridica sostanziale per la decisione impugnata – compresa la possibilità di fondare eventualmente tale decisione su una doppia base giuridica – a un esame autonomo.

57.      Non è in alcun modo escluso che, per l’azione esterna dell’Unione, si possa ricorrere a basi giuridiche al di fuori della PESC, come sostengono qui il Parlamento e la Commissione. L’articolo 21, paragrafo 3, TUE riconosce, infatti, espressamente che, accanto alla PESC, anche le altre politiche dell’Unione possono comprendere «aspetti esterni». È quindi, in linea di principio, del tutto possibile ricorrere, per l’autorizzazione di un accordo internazionale dell’Unione, a competenze dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia o fondarla, richiamando tali competenze, su una doppia base giuridica sostanziale.

58.      A ciò non osta il fatto che le disposizioni di diritto primario sullo spazio di libertà, sicurezza e giustizia – in particolare quelle contenute nei due capi del TFUE qui in esame sulla cooperazione giudiziaria in materia penale e sulla cooperazione di polizia – non contengano espresse disposizioni attributive di facoltà per l’azione esterna (23). Com’è noto, alle istituzioni dell’Unione possono essere riconosciute, a determinate condizioni, anche competenze esterne implicite. Inizialmente, tali poteri erano fatti derivare, in conformità con la cosiddetta dottrina AETS, da preesistenti competenze per l’azione interna (24). Attualmente, con l’articolo 216, paragrafo 1, TFUE, tali competenze esterne sono addirittura esplicitamente sancite nei Trattati. Ove oggi si evochi la dottrina AETS, occorre anche citare espressamente, nel relativo atto dell’Unione, l’articolo 216, paragrafo 1, TFUE (25).

59.      La valutazione della questione se, nel caso di specie, fosse stato necessario ricorrere a basi giuridiche tratte dai settori della cooperazione giudiziaria in materia penale (articolo 82 TFUE) e della cooperazione di polizia (articolo 87 TFUE) deve orientarsi, in linea con una giurisprudenza costante, a elementi oggettivi, suscettibili di sindacato giurisdizionale, tra i quali figurano, in particolare, lo scopo e il contenuto della decisione impugnata (26), ma anche il contesto in cui la stessa s’inserisce (27).

–       Sulla mancanza di un nesso sufficiente con lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia

60.      Se si osserva soltanto il contenuto dell’accordo controverso, occorre riconoscere al Parlamento e alla Commissione che esso contiene numerose disposizioni tipiche di una cooperazione giudiziaria in materia penale e di una cooperazione di polizia transfrontaliere. Si discute ivi del trasferimento di persone e beni ai fini dell’azione giudiziaria (28) e dei diritti delle persone interessate nell’ottica di un trattamento umano e conforme a uno Stato di diritto (29). L’accordo disciplina, inoltre, gli obblighi di documentazione e notifiche gravanti sull’Unione e sull’EUNAVFOR (30) e in che modo esse forniscano alle autorità competenti della Tanzania assistenza in vista delle indagini e dell’azione giudiziaria riguardo alle persone trasferite (31).

61.      In tale contesto, il contenuto dell’accordo controverso presenta indubbiamente una certa affinità con le materie disciplinate nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in particolare per quanto riguarda la cooperazione tra le autorità in relazione all’azione penale [articolo 82, paragrafo 1, secondo comma, lettera d), TFUE], la raccolta, l’archiviazione, il trattamento, l’analisi e lo scambio delle pertinenti informazioni [articolo 87, paragrafo 2, lettera a), TFUE], il riconoscimento reciproco delle prove [articolo 82, paragrafo 2, secondo comma, lettera a), TFUE], i diritti della persona nella procedura penale [articolo 82, paragrafo 2, secondo comma, lettera b), TFUE], nonché la formazione del personale degli organi competenti [articolo 82, paragrafo 1, secondo comma, lettera c), TFUE].

62.      Sarebbe tuttavia riduttivo inferire dalla sola suddetta affinità contenutistica la necessità di ricorrere qui agli articoli 82 TFUE e 87 TFUE quale base giuridica aggiuntiva per la decisione impugnata. Infatti, non sempre, quando devono essere emanate misure che presentano un certo collegamento con l’oggetto della cooperazione giudiziaria in materia penale e con la cooperazione di polizia, le disposizioni in materia di spazio di libertà, sicurezza e giustizia sono necessariamente sedes materiae (32).

63.      Dirimente è, come molto opportunamente osservato dal Consiglio e dal Regno di Svezia, il fatto che le disposizioni in parola di cui agli articoli 82 TFUE e 87 TFUE trattano soltanto della cooperazione all’interno dell’Unione. Ciò emerge, da un lato, già dall’esame della formulazione di entrambe le disposizioni (33) e, dall’altro, dalla stessa nozione di spazio di libertà, sicurezza e giustizia alla cui realizzazione esse sono dirette: è l’Unione a offrire ai propri cittadini un tale spazio ed è l’Unione a realizzarlo (articolo 67, paragrafo 1, TFUE), fermo restando che l’accento è posto su uno spazio senza frontiere interne (articoli 3, paragrafo 2, TUE e 67, paragrafo 2, TFUE).

64.      Di contro, la decisione impugnata – o l’accordo controverso che la autorizza – non disciplina nello specifico la cooperazione giudiziaria o di polizia interna all’Unione. Inoltre, non incide sulla stessa e neppure la altera ai sensi dell’ultima ipotesi di cui all’articolo 216, paragrafo 1, TFUE. Contrariamente a quanto sostenuto dal Parlamento e dalla Commissione, la competenza penale degli Stati membri rispetto ai crimini internazionali, come gli atti di pirateria, non è minimamente intaccata dall’accordo. Oggetto dell’accordo è soltanto la cooperazione con le autorità della Tanzania, uno Stato terzo, e, si badi, solo nel caso in cui le autorità degli Stati membri non intendano esercitare in proprio l’azione giudiziaria (34).

65.      È vero che possono sussistere casi in cui anche la cooperazione con uno Stato terzo risulta idonea a contribuire al raggiungimento degli obiettivi dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia all’interno dell’Unione (v. seconda variante dell’articolo 216, paragrafo 1, TFUE) e ad attribuire, così, a tale spazio una «dimensione esterna» nel vero senso della parola. Si pensi all’inclusione della Norvegia, dell’Islanda, del Liechtenstein e della Svizzera nell’area Schengen o alla convenzione di Lugano sull’inclusione di taluni di detti Stati in determinati aspetti della cooperazione giudiziaria in materia civile. Nel caso di una cooperazione come quella con la Tanzania, la cui base giuridica è stata posta nella decisione impugnata e nell’accordo controverso, non sono però ravvisabili ripercussioni siffatte dell’azione esterna sul settore interno all’Unione.

66.      La suddetta cooperazione tra l’Unione e la Tanzania è diretta unicamente a incrementare la sicurezza internazionale al di fuori del territorio dell’Unione: il fatto di sottoporre efficacemente le persone sospettate di essere responsabili di atti di pirateria a un corretto esercizio delle azioni giudiziarie, secondo i principi di uno Stato di diritto, integra un contributo significativo al contrasto efficace e duraturo alla pirateria sugli oceani e, così, al miglioramento della sicurezza a livello globale.

67.      Invece, non è ravvisabile alcuno specifico collegamento con la sicurezza all’interno dell’Unione europea o con la sicurezza nazionale dei suoi Stati membri. Si tratterebbe tutt’al più di un collegamento oltremodo indiretto. La cooperazione con la Tanzania non si riferisce, infatti, alla lotta e alla persecuzione penale della pirateria al largo delle coste europee, bensì in un luogo molto più distante, il Corno d’Africa, al largo delle coste somale.

68.      Una dimensione interna all’Unione europea non può tantomeno essere desunta dalla mera circostanza che le persone potenzialmente responsabili di atti di pirateria, che l’EUNAVFOR è chiamata a trasferire alle autorità della Tanzania, si trovino temporaneamente a bordo di navi da guerra degli Stati membri dell’Unione e siano ivi arrestate. Infatti, benché le persone interessate possano, in tal modo, essere provvisoriamente sottoposte alla sovranità degli Stati membri e beneficiare di conseguenza anche delle garanzie sancite dal diritto dell’Unione – in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali (35) –, esse non si trovano nel territorio dell’Unione e, quindi, nell’ambito di applicazione ratione loci dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

69.      Per lo stesso motivo, del resto, il caso in esame non è nemmeno comparabile con la situazione di un accordo ai fini della riammissione ai sensi dell’articolo 79, paragrafo 3, TFUE. Ivi si discute, infatti, diversamente che nella fattispecie qui in esame, proprio del trasferimento a Stati terzi di persone che si trovino illegalmente all’interno del territorio dell’Unione.

 Sul radicamento dell’accordo controverso nella PESC

70.      La cooperazione con la Tanzania s’inserisce, infine, in un autentico contesto di politica estera e di sicurezza. Si tratta di una «missione al di fuori dell’Unione» diretta al «rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite», di cui l’Unione si è prefissa il compimento nell’ambito della PESC o, più precisamente, nell’ambito della sua politica di sicurezza e di difesa comune (articoli 42, paragrafo 1, secondo periodo, TUE e 43, paragrafo 1, TUE).

71.      In base al suo preambolo nonché al preambolo della decisione impugnata, l’accordo controverso è diretto all’attuazione di più risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e concretizza le condizioni giuridiche per l’attività dell’EUNAVFOR nell’ambito dell’«operazione ATALANTA» (36), un’azione militare comune inserita nell’ambito di applicazione ratione materiae della PESC.

72.      Il fatto che l’accordo controverso prescriva, tra le condizioni quadro per la cooperazione con la Tanzania, anche un trattamento umano delle persone arrestate, oltre a determinati principi dello Stato di diritto, non depone in alcun modo contro una sua riconduzione in seno alla PESC. Lo Stato di diritto e la protezione dei diritti dell’uomo rientrano infatti, in termini generali, tra i principi dell’azione esterna dell’Unione che devono essere rispettati e attuati non soltanto, ma anche, nell’ambito della PESC [articolo 21, paragrafi 1, primo comma, 2, lettera b), e 3, TUE] (37).

73.      Nel complesso, il Consiglio si è quindi correttamente fondato sulla PESC, per la precisione sull’articolo 37 TUE, quale base giuridica unica per la decisione impugnata (38). Il primo motivo di ricorso azionato dal Parlamento è pertanto infondato.

C –    Sull’informazione del Parlamento (secondo motivo di ricorso)

74.      Con il secondo motivo di ricorso, si afferma che, in violazione dell’articolo 218, paragrafo 10, TFUE, il Parlamento non sarebbe stato informato immediatamente e pienamente in tutte le fasi della procedura per la conclusione dell’accordo controverso.

75.      Come già constatato dalla Corte, l’articolo 218, paragrafo 10, TFUE si applica a tutti gli accordi internazionali dell’Unione, quindi anche a quelli che – come l’accordo controverso – riguardano esclusivamente la PESC (39). Tuttavia, continua ad essere fortemente controversa la portata degli obblighi nei confronti del Parlamento gravanti sul Consiglio in ragione della disposizione in parola.

 Considerazioni generali

76.      Le formulazioni utilizzate nell’articolo 218, paragrafo 10, TFUE rimandano a un obbligo di informazione molto ampio del Consiglio: il Parlamento deve essere «immediatamente» e «pienamente» informato «in tutte le fasi della procedura». Ivi si riflette un principio democratico fondamentale che dovrebbe essere applicato a ogni processo decisionale a livello dell’Unione (40) (v. articolo 2 TUE), anche nell’ambito della politica estera e di sicurezza.

77.      Diversamente da quanto sostenuto dall’avvocato generale Bot (41) e da alcune delle parti del presente procedimento, non ritengo assolutamente che l’informazione del Parlamento ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 10, TFUE debba soddisfare requisiti di rigore di volta in volta differente a seconda se il Parlamento debba, a norma dell’articolo 218, paragrafo 6, TFUE, approvare un accordo internazionale, essere consultato su di esso o – come nel caso di specie – non disponga di nessuna prerogativa codecisoria formale rispetto all’accordo in parola.

78.      Il controllo democratico non si esaurisce nell’esercizio di prerogative codecisorie formali e l’informazione del Parlamento non è finalizzata soltanto a preparare l’esercizio di siffatte prerogative. Piuttosto, già la stessa trasparenza creata da un’informazione immediata e piena del Parlamento in tutte le fasi della procedura costituisce un elemento di controllo democratico da non sottovalutare e dotato, quindi, di un valore intrinseco.

79.      Tale trasparenza è espressione del principio fondamentale secondo cui le decisioni dell’Unione europea sono prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini (articolo 1, secondo comma, TUE). Essa contribuisce a vincolare tutti i soggetti coinvolti nell’azione esterna dell’Unione a un’azione responsabile. Inoltre, garantisce che i rappresentanti scelti dei cittadini dell’Unione abbiano la possibilità di discutere pubblicamente, nella piena conoscenza delle circostanze di fatto, di una questione di politica estera d’interesse generale europeo, oltre a poter seguire, mediante osservazioni spontanee, in modo critico tutta la procedura che porta alla conclusione di un accordo internazionale (42). In questo modo, essi possono peraltro tentare, in maniera del tutto legittima, di prendere posizione sul contenuto del previsto accordo anche quando la conclusione dell’accordo considerato non richieda una loro approvazione o consultazione formale. Numerosi esempi controversi del recente passato mostrano molto chiaramente quanto il controllo democratico sia importante nell’ambito dell’azione esterna dell’Unione e quanto esso dipenda da un’adeguata informazione del Parlamento (43).

80.      Una siffatta lettura dell’articolo 218, paragrafo 10, TFUE non implica un «accrescimento del ruolo del Parlamento europeo» incompatibile con la dichiarazione relativa alla politica estera e di sicurezza comune (44). Gli stessi principi del controllo democratico e della trasparenza cui ora l’articolo 218, paragrafo 10, TFUE dà espressione erano, infatti, già saldamente ancorati nel sistema dei Trattati europei (45) prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona per tutte le politiche, anche per la politica estera e di sicurezza comune.

81.      A prescindere da ciò, solo l’informazione piena e immediata in tutte le fasi della procedura, prevista nell’articolo 218, paragrafo 10, TFUE, garantisce che il Parlamento possa analizzare criticamente la scelta della base giuridica formale e sostanziale compiuta dal Consiglio ed esporre, eventualmente, il proprio punto di vista (46). Solo disponendo di informazioni sufficienti sull’oggetto e sull’evoluzione dei negoziati relativi a un previsto accordo internazionale, il Parlamento può valutare tempestivamente la scelta della base giuridica appropriata e difendere efficacemente le sue eventuali prerogative codecisorie. Quanto minori sono le informazioni fornite al Parlamento dal Consiglio, tanto più quest’ultimo può scegliere una base giuridica di suo gradimento, senza grosse resistenze politiche.

82.      In tale contesto, occorre ora verificare se, nel caso di specie, il Parlamento sia stato informato come richiesto dall’articolo 218, paragrafo 10, TFUE, ossia in tutte le fasi della procedura, pienamente e immediatamente.

 Sull’obbligo di informare il Parlamento in tutte le fasi della procedura

83.      Per quanto attiene, in primis, all’obbligo di informare il Parlamento in tutte le fasi della procedura, esso comprende indubbiamente l’informazione sull’avvio e sulla conclusione della procedura. A tal riguardo, il Consiglio ha adempiuto l’obbligo che gli deriva dall’articolo 218, paragrafo 10, TFUE, avendo dapprima informato il Parlamento, con lettera del 22 marzo 2010, dell’imminente avvio dei negoziati con la Tanzania e poi, con lettera del 19 marzo 2014, dell’autorizzazione dell’accordo integralmente negoziato.

84.      Gli obblighi del Consiglio nei confronti del Parlamento sono però lungi dall’essere così esauriti. Come si evince agevolmente già dal tenore dell’articolo 218, paragrafo 10, TFUE, con la formulazione «in tutte le fasi della procedura», il Parlamento non deve essere informato soltanto all’inizio e alla fine della procedura per la conclusione di un accordo internazionale, bensì anche – e con una certa regolarità – in pendenza della procedura sul suo svolgimento. Lo ha essenzialmente ammesso lo stesso Consiglio in occasione dell’udienza dinanzi alla Corte.

85.      Di certo, in proposito l’informazione del Parlamento, come prevista dall’articolo 218, paragrafo 10, TFUE, non può essere della stessa qualità e intensità di quella di un comitato speciale a norma dell’articolo 218, paragrafo 4, TFUE, che il negoziatore dell’Unione deve «consultare» durante gli interi negoziati con uno Stato terzo. Il Parlamento non deve neppure essere messo a conoscenza di procedure preparatorie interne alle altre istituzioni dell’Unione, come le discussioni nei gruppi di lavoro del Consiglio o nel comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri.

86.      Diversamente da quanto ritenuto dal Consiglio, l’informazione del Parlamento non può, tuttavia, neppure limitarsi a quelle tappe della procedura in cui il Consiglio adotti una decisione formale – in particolare, l’attribuzione di un mandato negoziale e la previsione di direttive per il negoziatore. Il Parlamento deve essere invece informato anche, ad esempio, dei risultati intermedi raggiunti e dei progressi fondamentali nei negoziati, nonché delle difficoltà rilevanti che possono essersi presentate nel loro corso. L’informativa deve avvenire – tenuto conto di tutte le circostanze del singolo caso e, eventualmente, mediante adozione di appropriate misure per la trattazione riservata dei dati sensibili – sempre con modalità tali da riconoscere al Parlamento spazio sufficiente per esercitare in modo efficace la sua funzione di controllo.

87.      Solo mediante una siffatta informazione continua il Parlamento può rispondere alla sua funzione di controllo democratico e verificare, altresì, che la base giuridica inizialmente scelta dal Consiglio continui ad essere quella appropriata. Tale funzione del Parlamento assume non da ultimo particolare significato nell’ambito della PESC, in quanto il controllo giurisdizionale – come già ricordato – è ivi fortemente limitato (articolo 24, paragrafo 1, secondo comma, sesto periodo, TUE, in combinato disposto con l’articolo 275 TFUE). Se il Parlamento potesse svolgere il proprio ruolo solo alla fine della procedura, sulla base di un accordo internazionale integralmente negoziato o già autorizzato, il suo controllo democratico sarebbe molto meno efficace.

88.      Dato che, nel caso di specie, nel corso della procedura il Parlamento non ha ricevuto alcuna informazione sui progressi compiuti, sussiste al riguardo una chiara violazione dell’articolo 218, paragrafo 10, TFUE.

89.      Non si può obiettare che non fosse il Consiglio, bensì l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ad avere il controllo della procedura. Infatti, da un lato, il Consiglio, quale istituzione chiamata a adottare la decisione, è responsabile del regolare svolgimento della procedura nel suo complesso. Dall’altro, il Consiglio deve rispondere di eventuali negligenze dell’Alto rappresentante, posto che quest’ultimo non soltanto presiede il Consiglio degli Affari esteri (articolo 18, paragrafo 3, TUE), ma altresì guida l’attuazione della politica estera e di sicurezza comune su incarico del Consiglio (articolo 18, paragrafo 2, secondo periodo, TUE); soprattutto, nel caso di specie, l’Alto rappresentante era stato concretamente autorizzato dal Consiglio ad avviare i negoziati con la Tanzania (47) (articolo 218, paragrafo 3, TFUE).

 Sull’obbligo di piena informazione del Parlamento

90.      Per quanto attiene ora all’obbligo di piena informazione, entrambe le comunicazioni inviate, nel caso di specie, dal Consiglio al Parlamento lasciano a desiderare.

91.      In primo luogo, la comunicazione del 22 marzo 2010, con cui il Parlamento è stato informato dell’imminente avvio dei negoziati con la Tanzania, non conteneva alcuna indicazione su eventuali direttive di negoziato ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 4, TFUE.

92.      Ciò non è compatibile con l’articolo 218, paragrafo 10, TFUE. Una piena informazione del Parlamento presuppone, infatti, necessariamente che, accanto alla mera comunicazione dell’avvio dei negoziati, siano forniti anche i dettagli sul contenuto che l’Unione si propone di dare al previsto accordo internazionale. Solo così è possibile un efficace controllo democratico.

93.      Come ammesso dallo stesso Consiglio richiamando casi precedenti, non sussiste alcun ostacolo insuperabile alla trasmissione delle direttive di negoziato al Parlamento. In particolare, possono essere adottate, ove necessarie, misure adeguate per garantire il trattamento riservato di dati sensibili quali sono, ad esempio, le indicazioni sulla strategia di negoziato dell’Unione o le informazioni riguardanti gli interessi in materia di politica estera o di sicurezza dell’Unione e dei suoi Stati membri.

94.      In secondo luogo, alla comunicazione del 19 marzo 2014, con cui il Parlamento è stato informato della conclusione della procedura, non erano allegati né la decisione impugnata né l’accordo controverso. Nemmeno in un momento successivo il Consiglio ha trasmesso al Parlamento entrambi i suddetti testi in via ufficiale.

95.      Anche tale condotta non risponde ai requisiti posti dall’articolo 218, paragrafo 10, TFUE (48).

96.      Non si può obiettare che il Parlamento conoscesse il contesto nel quale si collocava il previsto accordo con la Tanzania, essendo stati, in particolare, già conclusi due accordi analoghi con altri Stati terzi. Come sottolinea del tutto correttamente il Parlamento, non è possibile che i rappresentanti scelti dei cittadini dell’Unione siano chiamati a esercitare il loro controllo democratico sulla base di presunzioni circa il verosimile contenuto dell’accordo internazionale voluto.

97.      Diversamente da quanto sostenuto dal Consiglio, il Parlamento non è neppure tenuto a richiedere in proprio ulteriori informazioni. Infatti, contrariamente ad altre disposizioni, quali ad esempio l’articolo 319, paragrafo 2, TFUE, l’articolo 218, paragrafo 10, TFUE non prevede in capo al Parlamento nessun obbligo di attivarsi al riguardo. Un tale obbligo danneggerebbe gravemente il Parlamento già in ragione della mancata conoscenza dei dettagli e dell’evoluzione dei negoziati e renderebbe molto più difficile l’esercizio da parte sua del controllo democratico. In base all’articolo 218, paragrafo 10, TFUE, il Consiglio deve informare il Parlamento di propria iniziativa. Lo richiedono, in definitiva, l’equilibrio istituzionale e il principio di leale cooperazione tra le istituzioni (articolo 13, paragrafo 2, TUE).

98.      Tantomeno il Parlamento può, come nel caso di specie, dover conoscere il contenuto di una decisione del Consiglio e dell’accordo da esso autorizzato solamente dalla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Come già osservato dalla Corte, infatti, la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale ai sensi dell’articolo 297 TFUE non persegue il medesimo obiettivo dell’informazione del Parlamento prevista dall’articolo 218, paragrafo 10, TFUE (49).

99.      È vero che la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale ha lasciato al Parlamento ancora tempo sufficiente per far esaminare la legittimità della decisione e così, indirettamente, anche dell’accordo controverso nell’ambito del ricorso di annullamento (articolo 263, secondo comma, TFUE). Si tratta però di un controllo giurisdizionale da parte di una diversa istituzione dell’Unione, limitato peraltro alle questioni di diritto. Da esso va rigorosamente distinto il controllo democratico, compiuto dal Parlamento stesso e collocato nell’ambito di valutazioni politiche e di opportunità. Un controllo democratico esercitabile solo ex post è necessariamente molto meno efficace rispetto a quanto lo sarebbe in pendenza della procedura per la conclusione di un accordo internazionale. Se, invece, viene reso possibile tempestivamente, tale controllo può forse addirittura prevenire l’insorgere di successive controversie tra le istituzioni.

 Sull’obbligo di comunicazione immediata

100. Da ultimo, il Parlamento deve essere, a norma dell’articolo 218, paragrafo 10, TFUE, informato anche immediatamente. Come mostra, in particolare, un esame delle altre versioni linguistiche (francese: «immédiatement», inglese: «immediately»), la formulazione in parola mira a garantire un’informazione immediata o quantomeno più rapida possibile del Parlamento (50).

101. Con l’informazione da esso inviata circa l’imminente avvio dei negoziati, il Consiglio ha indubbiamente adempiuto al suddetto obbligo, avendo inoltrato la sua comunicazione il 22 marzo 2010, ossia lo stesso giorno in cui ha autorizzato l’avvio dei negoziati con la Tanzania.

102. Diverso però è il caso dell’informazione sulla conclusione della procedura: l’approvazione da parte del Consiglio, con la decisione impugnata, dell’accordo controverso è stata comunicata al Parlamento solo con oltre una settimana di ritardo, con lettera del 19 marzo 2014. Si tratta, è vero, di un ritardo relativamente breve rispetto a quello considerato nella causa C‑658/11, in cui il Consiglio ha lasciato passare tre mesi (51). Ma è comunque un ritardo significativo, tanto più nell’era delle moderne comunicazioni. Il Consiglio non ha fornito la benché minima giustificazione per tale ritardo, né in sede stragiudiziale né nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte (52). Ebbene, un ritardo come quello di specie, di oltre una settimana, testimonia una mancanza di rispetto nei confronti del Parlamento, che non è compatibile né con il tenore e lo spirito dell’articolo 218, paragrafo 10, TFUE né con la leale cooperazione tra le istituzioni (articolo 13, paragrafo 2, secondo periodo, TUE).

 Conclusione intermedia

103. Tutto ciò considerato, il Consiglio ha quindi, nel caso di specie, violato sotto vari profili il proprio obbligo – ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 10, TFUE – di informare pienamente e immediatamente il Parlamento in tutte le fasi della procedura. Il secondo motivo di ricorso del Parlamento è, quindi, fondato.

D –    Sintesi

104. Nel complesso si può quindi affermare che solo il secondo motivo di ricorso del Parlamento ha prospettive di successo. Posto però che il Consiglio, con l’articolo 218, paragrafo 10, TFUE, ha violato un requisito di forma sostanziale, tale secondo motivo di ricorso giustifica già da solo l’annullamento della decisione impugnata (53) (articolo 263, primo e secondo comma, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 264, primo comma, TFUE).

E –    Sul mantenimento degli effetti della decisione impugnata

105. La Corte, ove, in linea con quanto da me proposto, annulli la decisione impugnata sulla sola base del secondo motivo di ricorso, dovrebbe, in conformità con l’opinione unanime di tutte le parti del procedimento, mantenerne gli effetti a norma dell’articolo 264, secondo comma, TFUE.

106. Tale mantenimento degli effetti della decisione impugnata s’impone per ragioni di certezza del diritto, al fine di non pregiudicare la piena efficacia delle azioni giudiziarie e dei processi a carico delle persone sospettate di atti di pirateria. In tal modo, avuto riguardo agli articoli 10, paragrafo 6, e 12, paragrafo 3, dell’azione comune (54), è a priori delegittimato ogni tentativo di mettere in dubbio il mandato dell’EUNAVFOR quando si tratta di trasferire alla Tanzania le persone arrestate al largo della Somalia e sospettate di pirateria. Così facendo, non possono neppure essere messi in discussione gli effetti giuridici delle azioni già compiute in applicazione dell’accordo controverso. In termini generali, il mantenimento degli effetti della decisione impugnata elimina inoltre, a livello internazionale, ogni incertezza quanto allo stato degli obblighi internazionali assunti dall’Unione con l’autorizzazione e la firma dell’accordo controverso.

107. Dato che la decisione impugnata è annullata nell’ambito del secondo motivo di ricorso, non in ragione di un’inappropriata base giuridica sostanziale o formale, ma solo per violazione dell’obbligo di informazione del Parlamento, gli effetti della decisione in parola dovrebbero essere mantenuti non provvisoriamente, ma a tempo indeterminato (55). Infatti, in base all’articolo 218, paragrafo 6, secondo comma, prima parte, TFUE, la mancata informazione da parte del Consiglio, in quanto tale, anche se fosse correttamente recuperata, non comporterebbe per il Parlamento alcuna prerogativa codecisoria, né sussisterebbe un diritto di consultazione. Date le circostanze, sarebbe eccessivamente formalistico pretendere comunque dal Consiglio che adotti nuovamente la sua decisione entro un termine adeguato.

108. La situazione sarebbe diversa solamente se la Corte accogliesse (anche) il primo motivo di ricorso del Parlamento e accertasse che, nella scelta della base giuridica per la decisione impugnata, è stato commesso un errore di diritto. Un siffatto procedere avrebbe effetti sulle prerogative codecisorie del Parlamento. In tal caso, il mantenimento degli effetti della decisione impugnata potrebbe essere disposto, in linea con la recente giurisprudenza della Corte (56), non per un periodo indeterminato, ma solo per il tempo che il Consiglio possa ragionevolmente richiedere per rimuovere l’accertata illegittimità rispetto alla scelta della base giuridica, con il regolare coinvolgimento del Parlamento. Nel caso di specie, un termine di dieci mesi risulterebbe adeguato per permettere al Consiglio di ottenere l’approvazione del Parlamento a norma dell’articolo 218, paragrafo 6, secondo comma, lettera a), v), TFUE e per adottare una nuova decisione fondata sulla corretta base giuridica.

VII – Spese

109. In applicazione dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Conformemente alla soluzione da me proposta, il Consiglio, rimasto soccombente, deve essere condannato alle spese, come richiesto dal Parlamento. La Repubblica ceca, il Regno di Svezia, il Regno Unito e la Commissione europea, in qualità di intervenienti, dovranno invece sopportare ciascuno le proprie spese, in forza dell’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura.

VIII – Conclusione

110. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di statuire come segue:

1)      La decisione 2014/198/PESC del Consiglio, del 10 marzo 2014, è annullata.

2)      Gli effetti della decisione annullata sono mantenuti in vigore.

3)      Il Consiglio dell’Unione europea sopporterà le proprie spese e quelle del Parlamento europeo.

4)      La Repubblica ceca, il Regno di Svezia, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e la Commissione europea sopporteranno ciascuno le proprie spese.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – Sentenza Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025).


3 – Decisione 2014/198/PESC del Consiglio, del 10 marzo 2014, relativa alla firma e alla conclusione dell’accordo tra l’Unione europea e la Repubblica unita della Tanzania sulle condizioni del trasferimento delle persone sospettate di atti di pirateria e dei relativi beni sequestrati da parte della forza navale diretta dall’Unione europea alla Repubblica unita della Tanzania (GU L 108, pag. 1); in prosieguo anche: la «decisione impugnata».


4 – GU L 108, pag. 3; in prosieguo anche: l’«accordo controverso».


5 – Penso, in particolare, ai racconti incentrati sulla figura di Long John Silver nell’«Isola del tesoro» (Robert Louis Stevenson) e ai «Tratos de Argel» (Miguel de Cervantes), ma anche a storie per bambini come «Pippi Calzelunghe e i pirati di Taka‑Tuka» (Astrid Lindgren) e «La terribile banda dei tredici pirati» (Michael Ende).


6 – In tal senso si è espresso anche l’avvocato generale Bot nelle sue conclusioni per la causa Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:41, paragrafi 4 e 5).


7 – Azione comune 2008/851/PESC del Consiglio, del 10 novembre 2008, relativa all’operazione militare dell’Unione europea volta a contribuire alla dissuasione, alla prevenzione e alla repressione degli atti di pirateria e delle rapine a mano armata al largo della Somalia (GU L 301, pag. 33), come modificata dall’azione comune 2010/766/PESC (GU L 327, pag. 49) e dall’azione comune 2012/174/PESC (GU L 89, pag. 69); in prosieguo: l’«azione comune».


8 – Trattato sull’Unione europea nella versione del Trattato di Nizza.


9 – La convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare è stata firmata a Montego Bay il 10 dicembre 1982. Parte della convenzione in parola sono tanto l’Unione europea quanto tutti i suoi Stati membri. A norma dell’articolo 100 della convenzione sul diritto del mare, tutti gli Stati esercitano la massima collaborazione per reprimere la pirateria nell’alto mare o in qualunque altra area che si trovi fuori della giurisdizione di qualunque Stato. L’articolo 105 della convenzione sul diritto del mare autorizza il sequestro di navi o aeromobili pirata, l’arresto delle persone a bordo e la requisizione dei loro beni; la norma ammette inoltre l’adozione di misure penali da parte degli organi giurisdizionali dello Stato che ha disposto il sequestro di una nave o di un aeromobile pirata. L’articolo 107 della convenzione sul diritto del mare disciplina, infine, quali navi e aeromobili degli Stati siano autorizzati a procedere al sequestro per atti di pirateria di navi e aeromobili.


10 – In parallelo ai negoziati con la Tanzania sono stati avviati anche negoziati con le Mauritius, il Mozambico, il Sudafrica e l’Uganda.


11 – V. il primo trattino nel preambolo della decisione impugnata.


12 – Per quanto riguarda il Regno di Svezia, esso non richiede esplicitamente il mantenimento degli effetti della decisione impugnata; dalle sue considerazioni si può, però, desumere che esso sostenga la richiesta in tal senso del Consiglio.


13 – Mentre le parti del procedimento prendono posizione, nelle proprie memorie, per lo più su entrambi i motivi di ricorso, la Repubblica ceca limita le proprie considerazioni al secondo motivo di ricorso, mentre il Regno di Svezia e la Commissione al primo.


14 – Sentenza Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025, punti 72 e 73); v., in aggiunta, anche le conclusioni dell’avvocato generale Bot in tale causa (EU:C:2014:41, paragrafi 137 e 138).


15 – Solo rispetto al controllo della legittimità delle decisioni che prevedono misure restrittive la competenza della Corte è limitata, in base alla seconda alternativa dell’articolo 275, secondo comma, TFUE, espressamente ai ricorsi a norma dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.


16 – In tal senso anche la sentenza Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025, in particolare punto 87).


17 – La Commissione va oltre, sostenendo che la decisione impugnata ricadrebbe unicamente nell’ambito di applicazione della cooperazione giudiziaria in materia penale, con la conseguenza che, per essa, avrebbe potuto essere preso in considerazione, quale norma attributiva di facoltà, soltanto l’articolo 82 TFUE.


18 – V. sul punto, in particolare, sentenze Commissione/Consiglio (C‑94/03, EU:C:2006:2, punti 55 e 56) e Regno Unito/Consiglio (C‑81/13, EU:C:2014:2449, punto 35).


19 – Sentenze Parlamento/Consiglio (C‑130/10, EU:C:2012:472, punti 43 e 44); Commissione/Consiglio (C‑377/12, EU:C:2014:1903, punto 34), e Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025, punto 43).


20 – In tal senso, v. considerazioni della Corte sulle argomentazioni delle parti nella sentenza Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025, punti 44 e 45).


21 – Il Consiglio e le parti intervenute a suo sostegno si richiamano a questo proposito, in particolare, ai punti 58, 59 e 62 della sentenza Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025).


22 – Sentenze Commissione/Consiglio (C‑94/03, EU:C:2006:2, punto 50); Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025, punto 48), e Regno Unito/Consiglio (C‑81/13, EU:C:2014:2449, punto 36); v. anche sentenza Regno Unito/Consiglio (C‑431/11, EU:C:2013:589, punto 66).


23 – Un’eccezione – qui non applicabile – è data dall’articolo 79, paragrafo 3, TFUE, nel quale è prevista un’espressa base giuridica per la conclusione di accordi sulla riammissione, nei paesi di origine o di provenienza, di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare.


24 – La dottrina AETS trae origine dalla sentenza Commissione/Consiglio («AETS», 22/70, EU:C:1971:32, punti da 15 a 19); per un riepilogo delle pronunce più recenti, v., ad esempio, il parere 1/03 (EU:C:2006:81, punti da 114 a 133).


25 – V., sul punto, le mie conclusioni nella causa Regno Unito/Consiglio (C‑81/13, EU:C:2014:2114, paragrafo 104); nello stesso senso, già in precedenza, le mie conclusioni nella causa Regno Unito/Consiglio (C‑431/11, EU:C:2013:187, paragrafi da 64 a 70).


26 – Sentenze Commissione/Consiglio (C‑300/89, EU:C:1991:244, punto 10); Parlamento/Consiglio (C‑130/10, EU:C:2012:472, punto 42), e Regno Unito/Consiglio (C‑81/13, EU:C:2014:2449, punto 35).


27 – Sentenze Regno Unito/Consiglio (C‑431/11, EU:C:2013:589, punto 48); Regno Unito/Consiglio (C‑656/11, EU:C:2014:97, punto 50), e Regno Unito/Consiglio (C‑81/13, EU:C:2014:2449, punto 38).


28 – Articolo 3, paragrafi 1 e 2, dell’accordo controverso.


29 – Articoli 3, paragrafo 3, 4 e 5 dell’accordo controverso.


30 – Articolo 6 dell’accordo controverso.


31 – Articolo 7 dell’accordo controverso.


32 – V., sul punto, sentenza Commissione/Parlamento e Consiglio (C‑43/12, EU:C:2014:298, punti da 45 a 50); nello stesso senso – con riferimento alla definizione dei diritti dei cittadini di paesi terzi all’interno dell’Unione – sentenze Regno Unito/Consiglio (C‑431/11, EU:C:2013:589, punti da 62 a 67), e Regno Unito/Consiglio (C‑81/13, EU:C:2014:2449, punti da 40 a 46).


33 – Ivi si parla di «cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unione» (articolo 82, paragrafo 1, TFUE) e di «cooperazione di polizia che associa tutte le autorità competenti degli Stati membri» (articolo 87, paragrafo 1, TFUE); il corsivo è mio.


34 – Articolo 12, paragrafo 1, secondo trattino, dell’azione comune.


35 – V., nello stesso senso, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare sentenze del 4 dicembre 2014, Samatar e a./Francia (ricorso n. 17110/10 e a., ECLI:CE:ECHR:2014:1204JUD001711010, punti da 41 a 59), nonché Hassan e a./Francia (ricorso n. 46695/10 e a., ECLI:CE:ECHR:2014:1204JUD004669510, punti da 60 a 72 e da 86 a 104), entrambe sull’articolo 5 CEDU.


36 – V. sul punto, in particolare, articoli 10, paragrafo 6, e 12, paragrafo 3, dell’azione comune.


37 – In senso analogo, v. conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Parlamento/Consiglio (C‑130/10, EU:C:2012:50, paragrafo 64), riferite all’obiettivo di salvaguardare la pace e la sicurezza a livello internazionale.


38 – V., in aggiunta, l’analisi dettagliata dell’avvocato generale Bot sull’accordo UE/Mauritius nelle sue conclusioni per la causa Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:41, paragrafi da 68 a 121), che perviene con argomentazioni essenzialmente analoghe al medesimo risultato (in particolare, paragrafi 83 e da 109 a 115).


39 – Sentenza Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025, in particolare punto 85).


40 – Sentenze Roquette Frères/Consiglio (138/79, EU:C:1980:249, punto 33); Parlamento/Consiglio (C‑130/10, EU:C:2012:472, punto 81), e Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025, punto 81).


41 – Conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:41, in particolare paragrafi da 142 a 144).


42 – In un caso come quello in esame, il Parlamento potrebbe, ad esempio, essere interessato a sapere se sia stato adeguatamente preso in considerazione il divieto di pena di morte vigente nell’Unione (articolo 2, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali). Cosa accadrebbe se il Consiglio avesse omesso, nell’accordo controverso, di adottare misure appropriate in tal senso? Ed è sufficiente prevedere, nell’accordo controverso, solo un divieto condizionato e nessun divieto esplicito di pena di morte? Ricordo che l’azione comune, nel suo articolo 12, paragrafo 3, individua esplicitamente nel pericolo di essere punito con la pena di morte un impedimento al trasferimento delle persone sospettate di atti di pirateria in Stati terzi, mentre l’articolo 5 dell’accordo controverso affronta tale punto soltanto in modo indiretto e con forza simbolica inferiore, ossia prevedendo che nessuna persona trasferita sia «giudicata per un reato la cui pena massima sia più severa della pena dell’ergastolo».


43 – Penso, in particolare, al previsto trattato di libero scambio «TTIP» con gli Stati Uniti d’America, all’accordo Swift e all’accordo sulla trasmissione dei dati relativi ai passeggeri («Passenger Name Records»), ma anche all’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, prevista all’articolo 6, paragrafo 2, TUE e all’articolo 218, paragrafi 6 e 8, TFUE.


44 – La dichiarazione n. 14 allegata all’atto finale della Conferenza intergovernativa che ha adottato il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 (GU 2008, C 115, pag. 343), sottolinea, nel suo secondo comma, che le disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune del suddetto Trattato «[non] accrescono il ruolo del Parlamento europeo».


45 – V., in particolare, articoli 1, secondo comma, e 21 TUE.


46 – Sentenza Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025, punto 86).


47 – In tal senso, espressamente, la comunicazione del 22 marzo 2010.


48 – In tal senso si è espresso anche l’avvocato generale Bot nelle sue conclusioni per la causa Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:41, paragrafo 155).


49 – Sentenza Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025, punto 79).


50 – Nel diritto tedesco l’espressione «immediatamente» richiede un’azione «senza ritardo colposo» (v. articolo 121, paragrafo 1, primo periodo, del Bürgerliches Gesetzbuch [codice civile tedesco]).


51      V., sul punto, sentenza Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025, punti 77 e da 15 a 17).


52 – Il Consiglio non si è appellato qui, in particolare, a problemi di traduzione. Se un accordo internazionale o la decisione del Consiglio che lo autorizza non sono disponibili immediatamente in tutte le lingue ufficiali dell’Unione, il Consiglio deve trasmettere al Parlamento in un primo momento tutte le versioni linguistiche disponibili e consegnargli in seguito, prontamente, le traduzioni eventualmente mancanti.


53 – Nello stesso senso, sentenza Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025, in particolare punti 80, 86 e 87).


54 – È noto che il trasferimento di persone a uno Stato terzo presuppone, in conformità ad entrambe le suddette disposizioni, la previa conclusione con lo Stato terzo in parola di un accordo che regoli le condizioni del trasferimento.


55 – Sentenza Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025, in particolare punto 91).


56 – Sentenze Parlamento/Consiglio (C‑355/10, EU:C:2012:516, punto 90); Commissione/Consiglio (C‑137/12, EU:C:2013:675, in particolare punto 81), e Commissione/Parlamento e Consiglio (C‑43/12, EU:C:2014:298, punto 56).