Language of document : ECLI:EU:C:2013:441

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 27 giugno 2013 (1)

Causa C‑137/12

Commissione europea

contro

Consiglio dell’Unione europea

«Ricorso di annullamento – Decisione del Consiglio 2011/853/UE – Convenzione europea sulla protezione giuridica dei servizi ad accesso condizionato e di accesso condizionato – Scelta del corretto fondamento giuridico – Politica commerciale comune (articolo 207, paragrafo 4, TFUE) – Mercato interno (articolo 114 TFUE) – Competenza esterna esclusiva dell’Unione (articolo 2, paragrafo 1, TFUE, nonché articolo 3, paragrafi 1 e 2, TFUE)»





I –    Introduzione

1.        La questione della portata dei poteri degli organi dell’Unione per quanto riguarda l’azione esterna non riveste solo una rilevante importanza pratica, ma è di natura costituzionale (2). Non sorprende pertanto che una tale problematica costituisca spesso fonte di controversie.

2.        Nel presente caso la Corte deve pronunciarsi sulla questione se l’Unione europea debba concludere un accordo internazionale sulla protezione dei fornitori di determinati servizi audiovisivi e di determinati servizi della società dell’informazione nell’ambito della sua politica commerciale comune o piuttosto nel quadro delle sue politiche in materia di mercato interno. A tal riguardo, è opportuno distinguere correttamente tra loro gli ambiti di applicazione degli articoli 207 TFUE e 114 TFUE. Occorre, inoltre, stabilire se la competenza dell’Unione per la conclusione di detto accordo abbia natura esclusiva ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, TFUE in combinato disposto con l’articolo 3 TFUE; se, dunque, l’Unione poteva concludere l’accordo da sola oppure necessariamente di concerto con i suoi Stati membri in quanto accordo misto.

3.        Tali questioni sono sollevate con riguardo alla convenzione europea sulla protezione giuridica dei servizi ad accesso condizionato e di accesso condizionato (3) (in prosieguo anche: la «convenzione»), che mira a contribuire alla protezione da accessi illeciti dei servizi audiovisivi e dei servizi della società dell’informazione, forniti a pagamento e ad accesso condizionato (come le trasmissioni codificate della tv a pagamento).

4.        Il Consiglio ha autorizzato la firma di detta convenzione con la decisione 2011/853/UE (4) (in prosieguo anche: la «decisione impugnata»). Se, da un lato, ad avviso della Commissione, la convenzione doveva essere conclusa dall’Unione sul fondamento dell’articolo 207 TFUE e in base ad una competenza esclusiva, il Consiglio invocava l’articolo 114 TFUE (5) e la natura di accordo misto dell’Unione e dei suoi Stati membri (6).

5.        Stabilire quale di tali tesi meriti di essere accolta richiede, non da ultimo, che si accerti se e in quale misura la convenzione controversa ricalchi la direttiva 98/84/CE (7) (nel prosieguo anche: la «direttiva»), la quale enuncia le disposizioni applicabili all’interno dell’Unione in materia di tutela dei servizi ad accesso condizionato e dei servizi di accesso condizionato.

6.        La sentenza della Corte nella presente causa sarà determinante per la delimitazione delle competenze esterne dell’Unione e dei suoi Stati membri a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Inoltre, essa potrebbe contribuire in maniera significativa all’ulteriore sviluppo della «dottrina AETS» (8) nell’ambito degli attuali articoli 3, paragrafo 2, TFUE e 216, paragrafo 1, TFUE.

II – Contesto normativo

7.        Nella Parte prima del trattato FUE («Principi»), titolo I («Categorie e settori di competenza dell’Unione»), si trova l’articolo 3 TFUE che recita per estratto come segue:

«1. L’Unione ha competenza esclusiva nei seguenti settori:

(…)

e) politica commerciale comune.

2.      L’Unione ha inoltre competenza esclusiva per la conclusione di accordi internazionali allorché tale conclusione è prevista in un atto legislativo dell’Unione o è necessaria per consentirle di esercitare le sue competenze a livello interno o nella misura in cui può incidere su norme comuni o modificarne la portata».

8.        La Parte terza del trattato FUE («Politiche e azioni interne dell’Unione»), titolo I («Mercato interno»), contiene, quale disposizione introduttiva, l’articolo 26 TFUE, il cui primo paragrafo così recita:

«L’Unione adotta le misure destinate all’instaurazione o al funzionamento del mercato interno, conformemente alle disposizioni pertinenti dei trattati».

9.        Nella stessa Parte terza del trattato FUE, al titolo VII, capo 3, sotto la rubrica «Ravvicinamento delle legislazioni», è contenuto l’articolo 114 TFUE (ex articolo 100 bis TCE), il cui primo paragrafo è redatto nel modo seguente:

«Salvo che i trattati non dispongano diversamente, si applicano le disposizioni seguenti per la realizzazione degli obiettivi dell’articolo 26. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adottano le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno».

10.      Occorre infine fare riferimento all’articolo 216, paragrafo 1, TFUE, che si trova nella Parte quinta del trattato FUE («Azione esterna dell’Unione»), titolo V («Accordi internazionali»), e prevede quanto segue:

«L’Unione può concludere un accordo con uno o più paesi terzi o organizzazioni internazionali qualora i trattati lo prevedano o qualora la conclusione di un accordo sia necessaria per realizzare, nell’ambito delle politiche dell’Unione, uno degli obiettivi fissati dai trattati, o sia prevista in un atto giuridico vincolante dell’Unione, oppure possa incidere su norme comuni o alterarne la portata».

III – Contesto della controversia

11.      I «servizi ad accesso condizionato» da proteggere nel caso di specie sono costituiti, in sostanza, da trasmissioni televisive e radiofoniche, nonché da servizi della società dell’informazione, non a libera disposizione. Al fine di proteggere le suddette prestazioni di servizi da accessi illeciti vengono impiegati misure e dispositivi tecnici che consentano un «accesso condizionato», ad esempio la criptazione di trasmissioni e l’offerta di decodificatori o di password a pagamento per la ricezione.

12.      La convenzione europea sulla protezione giuridica dei servizi ad accesso condizionato e di accesso condizionato è un accordo internazionale negoziato più di dieci anni fa nell’ambito del Consiglio d’Europa con il concorso dell’allora Comunità europea.

13.      La convenzione veniva approvata il 6 ottobre 2000 dal comitato dei ministri del Consiglio d’Europa e aperta alla firma il 24 gennaio 2001, entrando in vigore il 1° luglio 2003.

14.      Attualmente cinque Stati membri dell’Unione europea sono parti contraenti della convenzione: la Repubblica di Bulgaria, la Repubblica francese, la Repubblica di Cipro, il Regno dei Paesi Bassi e la Romania. La Croazia, che aderirà all’Unione tra pochi giorni – il 1° luglio 2013 –, ha anch’essa già ratificato la convenzione. Il Granducato di Lussemburgo ha invero firmato la convenzione, ma ancora non l’ha ratificata.

15.      Nel 2008 la Commissione esprimeva il proprio convincimento che una ratifica della convenzione da parte della Comunità europea fosse auspicabile, in quanto «[avrebbe] consenti[to] di rilanciare un’azione internazionale tra i membri del Consiglio d’Europa»; la convenzione offrirebbe «un potenziale importante per l’estensione della tutela dei servizi di accesso condizionato oltre il territorio dell’Unione europea a livello internazionale» (9).

16.      Il 15 dicembre 2010, la Commissione proponeva al Consiglio, da un lato, la firma (10) e, dall’altro, la conclusione (11) della convenzione, fondando entrambe le proposte sull’articolo 207, paragrafo 4, TFUE.

17.      Successivamente, il 29 novembre 2011, il Consiglio adottava la decisione 2011/853, ora impugnata, relativa alla firma, a nome dell’Unione, della convenzione. Diversamente dalla proposta della Commissione, tuttavia, il Consiglio basava detta decisione non sull’articolo 207, paragrafo 4, TFUE, ma sull’articolo 114 TFUE. Contrariamente alla Commissione, il Consiglio riteneva che la convenzione dovesse essere firmata sia dall’Unione europea sia dai suoi Stati membri (12) e avesse pertanto la natura di accordo misto.

18.      La Commissione insisteva nella sua posizione, per la quale l’Unione avrebbe avuto competenza esclusiva per la conclusione della convenzione in forza dell’articolo 3 TFUE e l’articolo 207 TFUE ne avrebbe costituito il corretto fondamento giuridico. Essa esponeva la sua tesi al riguardo in una dichiarazione da iscrivere nel processo verbale del Consiglio, riservandosi tutte le azioni giuridiche (13).

IV – Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

19.      Con atto del 12 marzo 2012, pervenuto alla cancelleria della Corte il 14 marzo 2012, la Commissione ha proposto il presente ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263, paragrafo 2, TFUE.

20.      Con ordinanza del 6 agosto 2012, il presidente della Corte ammetteva gli interventi del Parlamento europeo a sostegno della Commissione, nonché della Repubblica francese, del Regno dei Paesi Bassi, della Repubblica di Polonia, del Regno di Svezia e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord a sostegno del Consiglio.

21.      La Commissione, sostenuta dal Parlamento, conclude che la Corte voglia:

–        annullare la decisione del Consiglio 2011/853/UE, del 29 novembre 2011, e

–        condannare il Consiglio dell’Unione europea alle spese.

22.      Il Consiglio, da parte sua, ugualmente sostenuto dalle parti intervenute a suo favore, conclude che la Corte voglia:

–        respingere il ricorso in quanto infondato e

–        condannare la Commissione alle spese (14).

23.      Il ricorso è stato oggetto di procedimento scritto e, il 30 aprile 2013, di udienza dinanzi alla Corte (15).

V –    Disposizioni pertinenti della direttiva 98/84 e della convenzione

24.      Ai fini dell’interpretazione della presente controversia sono rilevanti le seguenti disposizioni della direttiva 98/84 e della convenzione.

A –    Disposizioni della direttiva 98/84

25.      Ai sensi del suo articolo 1, rubricato «Campo di applicazione», la direttiva 98/84 ha per oggetto «il ravvicinamento delle disposizioni degli Stati membri riguardanti misure contro i dispositivi illeciti che forniscono l’accesso non autorizzato a servizi protetti».

26.      L’articolo 2 della direttiva 98/84 contiene numerose definizioni. Ai fini della direttiva «si intende per:

a)       servizio protetto, uno dei servizi seguenti laddove sia fornito a pagamento e mediante un sistema di accesso condizionato:

–        trasmissioni televisive, ai sensi dell’articolo 1, lettera a), della direttiva 89/552/CEE;

–        trasmissioni radiofoniche, cioè la trasmissione via cavo o via etere, anche via satellite, di programmi radiofonici destinati al pubblico;

–        servizi della società dell’informazione, ai sensi dell’articolo 1, punto 2, della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (...);

o la prestazione di un accesso condizionato ai servizi suesposti, considerato servizio in quanto tale;

b)      accesso condizionato, misure e/o sistemi tecnici in base ai quali l’accesso in forma intelligibile al servizio protetto sia subordinato a preventiva autorizzazione individuale;

(…)

e)      dispositivo illecito, apparecchiature o programmi per elaboratori elettronici concepiti o adattati al fine di rendere possibile l’accesso ad un servizio protetto in forma intelligibile senza l’autorizzazione del prestatore del servizio;

(…)».

27.      L’articolo 4 della direttiva 98/84 («Attività illecite») prescrive:

«Gli Stati membri vietano sul loro territorio le seguenti attività:

a)      la fabbricazione, l’importazione, la distribuzione, la vendita, il noleggio o il possesso a fini commerciali di dispositivi illeciti;

b)      l’installazione, la manutenzione o la sostituzione a fini commerciali di dispositivi illeciti;

c)      l’impiego di comunicazioni commerciali per promuovere dispositivi illeciti».

28.      Infine, sotto la rubrica «Sanzioni e mezzi di tutela», l’articolo 5 della direttiva 98/84 dispone quanto segue:

«1.      Le sanzioni sono efficaci, dissuasive e proporzionate al potenziale impatto dell’attività illecita.

2.      Gli Stati membri adottano le misure necessarie per provvedere a che i prestatori di servizi protetti i cui interessi vengano pregiudicati da un’attività illecita, quale specificata all’articolo 4, svolta sul loro territorio abbiano accesso a mezzi di tutela adeguati, compresa la possibilità di promuovere un’azione per il risarcimento del danno e ottenere un’ingiunzione o altro provvedimento cautelare e, ove opportuno, chiedere che i dispositivi illeciti siano eliminati dai circuiti commerciali».

B –    La convenzione europea sulla protezione giuridica dei servizi ad accesso condizionato e di accesso condizionato

29.      L’articolo 1 della convenzione, che fa parte delle «Disposizioni generali» di cui alla sezione I, sotto la rubrica «Oggetto e scopo» dispone quanto segue:

«La presente convenzione concerne i servizi di radiodiffusione e i servizi della società dell’informazione forniti a pagamento e ad accesso condizionato o di accesso condizionato. Lo scopo della presente convenzione è rendere illecito sul territorio delle parti una serie di attività che permettono l’accesso non autorizzato a servizi protetti e di ravvicinare le legislazioni delle parti in questo settore».

30.      Come parte della sua sezione II «Attività illecite», la convenzione contiene, all’articolo 4, una serie di definizioni relative ai «reati», che corrisponde in sostanza a quella di cui all’articolo 4 della direttiva 98/84.

31.      Inoltre, nella sezione III della convenzione, intitolata «Sanzioni e mezzi di tutela», sono contemplate le seguenti disposizioni:

«Articolo 5

Sanzioni per le attività illecite

Le parti adottano misure per rendere le attività illecite di cui all’articolo 4 passibili di sanzioni penali, amministrative o di altro tipo. Tali misure sono effettive, dissuasive e proporzionate al potenziale impatto dell’attività illecita.

Articolo 6

Misure di confisca

Le parti adottano le misure appropriate che potrebbero rendersi necessarie per permettere il sequestro e la confisca dei dispositivi illeciti o di materiale promozionale, di marketing o pubblicitario utilizzato per commettere un delitto, nonché la confisca di tutti i profitti o guadagni finanziari derivanti dall’attività illecita.

Articolo 7

Procedimenti civili

Le parti adottano le misure necessarie per assicurare che i fornitori di servizi protetti i cui interessi sono pregiudicati da un’attività illecita di cui all’articolo 4, abbiano accesso a mezzi di tutela adeguati, compresa la possibilità di promuovere un’azione per il risarcimento del danno e ottenere un’ingiunzione o altro provvedimento cautelare e, ove opportuno, chiedere che i dispositivi illeciti siano eliminati dai circuiti commerciali».

32.      Nella sezione IV della convenzione, intitolata «Attuazione e modifiche», si trova il seguente articolo 8, relativo alla «[c]ooperazione internazionale»:

«Le parti si impegnano ad assistersi reciprocamente per l’attuazione della presente convenzione. Conformemente alle disposizioni degli strumenti internazionali pertinenti in materia di cooperazione internazionale nell’ambito penale o amministrativo e al loro diritto interno, le parti si accordano reciprocamente sulle più ampie misure di cooperazione nelle inchieste e nei procedimenti giudiziari relativi agli illeciti penali o amministrativi stabiliti conformemente alla presente convenzione».

33.      Infine, occorre tener conto dell’articolo 11, paragrafo 4, della convenzione, che fa anch’esso parte della sezione IV «Attuazione e modifiche» e dispone, a proposito delle «[r]elazioni con altre convenzioni o accordi», quanto segue:

«Nei loro rapporti reciproci, le parti che sono membri della Comunità europea applicano le regole della Comunità e applicano pertanto le regole derivanti dalla presente convenzione solo nella misura in cui non sussiste alcuna regola comunitaria che disciplina il tema particolare in questione».

VI – Valutazione giuridica

34.      La Commissione considera la decisione impugnata illegittima sotto due aspetti. Da un lato, essa ritiene che il Consiglio abbia basato detta decisione su un fondamento giuridico erroneo (primo motivo di ricorso, v. infra, sezione A). Dall’altro, essa fa valere che l’Unione ha competenza esclusiva per la conclusione della convenzione a prescindere da quale dei due fondamenti giuridici discussi sia quello pertinente (secondo motivo di ricorso, v. infra, sezione B). Essa ipotizza che il Consiglio, con il suo modus procedendi, abbia voluto creare artificiosamente un accordo misto in modo da consentire agli Stati membri di agire a livello internazionale a fianco dell’Unione.

A –    Scelta del corretto fondamento giuridico della decisione impugnata (primo motivo di ricorso)

35.      Con il primo motivo di ricorso viene contestato al Consiglio di essere incorso in un errore di diritto nella scelta del fondamento giuridico della decisione impugnata. Ad avviso della Commissione e del Parlamento, la competenza per la firma della convenzione da parte dell’Unione deriva dall’articolo 207 TFUE e non dall’articolo 114 TFUE, come invece affermato dal Consiglio e dagli Stati membri intervenuti a suo sostegno.

36.      Nel presente caso è controversa solo la scelta del fondamento giuridico sostanziale della firma della convenzione da parte dell’Unione. Le parti del procedimento sono invece d’accordo sul fatto che, dal punto di vista procedurale, possa trovare applicazione l’articolo 218, paragrafo 5, TFUE, come risulta chiaramente anche dalla decisione impugnata (16).

37.      Secondo giurisprudenza costante, la scelta del fondamento giuridico di un atto comunitario deve basarsi su elementi oggettivi e suscettibili di controllo giurisdizionale, tra i quali lo scopo e il contenuto dell’atto medesimo (17).

38.      Con la decisione impugnata vengono soddisfatte, in sostanza, due esigenze: da un lato, si mira ad estendere le regole sulla tutela dei servizi ad accesso condizionato e di accesso condizionato introdotte dalla direttiva 98/84 e vigenti nel mercato unico europeo al di là delle frontiere dell’Unione (18). Dall’altro, le parti contraenti della convenzione devono prevedere, nell’ambito delle sanzioni e dei mezzi di tutela da esse stabiliti per le attività illecite, anche il sequestro e la confisca di determinati oggetti (articolo 6 della convenzione) (19).

39.      È vero che, ai fini del raggiungimento di tali obiettivi, inter alia, devono essere ravvicinate le legislazioni delle parti della convenzione (articolo 1 della convenzione). Non è però pacifico tra le parti del procedimento se si tratti a tal riguardo – dal punto di vista dell’Unione – di un’armonizzazione strumentale in primo luogo all’instaurazione e al funzionamento del mercato unico europeo, che possa essere basata pertanto sull’articolo 114 TFUE (v., in proposito, subito infra, sezione 1), oppure di un’armonizzazione riguardante sostanzialmente le relazioni commerciali esterne dell’Unione con gli Stati terzi, da operare, conseguentemente, sul fondamento dell’articolo 207 TFUE (v., in proposito, infra, sezione 2).

1.      Sull’inidoneità dell’articolo 114 TFUE come fondamento giuridico sostanziale

40.      In primo luogo, occorre esaminare se la firma della convenzione potesse essere basata sull’articolo 114 TFUE in quanto misura destinata all’instaurazione del mercato interno, come ritenuto dal Consiglio nella decisione impugnata.

–       Assenza di un rigido parallelismo tra competenze interne ed esterne

41.      A tal riguardo, occorre anzitutto osservare che l’articolo 114 TFUE non può costituire la corretta norma sulla competenza relativamente alla firma della convenzione per il solo fatto che l’Unione abbia già adottato al suo interno una direttiva – precisamente la direttiva 98/84 – sulla base di detto fondamento giuridico. Infatti, diversamente da quanto mostra di ritenere la Polonia, non è in alcun modo necessario che la conclusione di una convenzione internazionale si basi esattamente sugli stessi fondamenti giuridici sostanziali di un atto legislativo che enunci la disciplina di diritto interno dell’Unione di un oggetto sostanzialmente identico. Un siffatto rigido parallelismo di fondamenti giuridici per l’azione interna ed esterna è estraneo ai trattati.

42.      Anzi, nel sistema dei trattati si distingue tra competenze interne ed esterne dell’Unione. Dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le competenze esterne dell’Unione sono definite e sistematizzate nei trattati più chiaramente, come si può rilevare, inter alia, dalle nuove disposizioni introdotte dagli articoli 216, paragrafo 1, TFUE e 3, paragrafo 2, TFUE.

–       L’articolo 114 TFUE non costituisce un fondamento giuridico dell’azione esterna

43.      Possono sussistere perplessità di fondo in relazione all’idoneità dell’articolo 114 TFUE come fondamento giuridico della conclusione di una convenzione internazionale da parte dell’Unione. Sebbene l’articolo 114, paragrafo 1, TFUE sia redatto in termini ampi e, alla seconda frase, consenta in via del tutto generale l’adozione di «misure», tra le quali teoricamente anche la conclusione di convenzioni internazionali, una siffatta lettura tradirebbe lo scopo dell’articolo 114 TFUE: tale disposizione è volta all’attuazione degli obiettivi di cui all’articolo 26 TFUE, è dunque concepita per la realizzazione del mercato interno e la garanzia del suo funzionamento. Essa mira a rendere possibile l’azione di Parlamento e Consiglio all’interno dell’Unione (20). Conferma se ne trae dalla stessa collocazione sistematica dell’articolo 114 TFUE: la disposizione si trova nella Parte terza del trattato FUE, che è dedicata alle «[p]olitiche e [alle] azioni interne dell’Unione», mentre l’«azione esterna dell’Unione» costituisce oggetto di specifiche disposizioni nella Parte quinta del trattato FUE.

44.      Certamente, l’Unione può acquisire una competenza esterna ad hoc anche nel contesto di tali politiche interne, segnatamente quando ciò sia necessario all’attuazione di uno degli obiettivi sanciti nei trattati, quali, nel caso di specie, l’instaurazione e la garanzia di funzionamento del mercato interno ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 1, TFUE. Una siffatta competenza esterna deriva, però, non dall’articolo 114 TFUE, come sembrano ritenere il Consiglio e le parti intervenute a suo sostegno, ma dall’articolo 216, paragrafo 1, TFUE, che codifica la precedente giurisprudenza a partire dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (21).

45.      Ciò premesso, si deve ritenere che il Consiglio in ogni caso abbia commesso un errore di diritto laddove ha fatto ricorso all’articolo 114 TFUE quale fondamento giuridico sostanziale della firma della convenzione, invece di basarsi – quantomeno in via integrativa – sull’articolo 216, paragrafo 1, TFUE.

46.      Preso di per sé solo, tale errore di diritto potrebbe però ancora essere considerato puramente formale, inidoneo, come tale, a giustificare l’annullamento della decisione impugnata (22). Resta pertanto da approfondire se la firma della convenzione possa essere considerata dal punto di vista del contenuto come una misura destinata all’instaurazione del mercato interno ai sensi dell’articolo 114, paragrafo 1, TFUE in combinato disposto con l’articolo 26, paragrafo 1, TFUE, come affermato ripetutamente dal Consiglio e dagli Stati membri intervenuti a suo sostegno.

–       La convenzione non mira all’armonizzazione interna, ma a quella esterna

47.      Ad un esame superficiale si potrebbe effettivamente avere l’impressione che la convenzione miri, all’interno dell’Unione, al ravvicinamento delle legislazioni nel mercato interno. Ai sensi del suo articolo 1, lo scopo della convenzione è, infatti, inter alia, «ravvicinare le legislazioni delle parti (...)». La convenzione sembra dunque riferirsi a misure adottate molto frequentemente anche all’interno dell’Unione ai fini dell’instaurazione del mercato interno e a garanzia del suo funzionamento.

48.      A ben vedere, però, l’Unione conclude la convenzione non tanto perché vuole instaurare o rafforzare il proprio mercato interno nel campo della tutela dei servizi ad accesso condizionato e di accesso condizionato, ma piuttosto in quanto vuole estendere le legislazioni già esistenti all’interno dell’Unione in detto settore oltre i confini del mercato interno, agli Stati terzi nei quali la tutela dei servizi ad accesso condizionato e di accesso condizionato è in parte ancora lacunosa (23). La firma della convenzione consentirebbe esplicitamente di «contribuire ad estendere l’applicazione di disposizioni simili a quelle della direttiva 98/84/CE al di là delle frontiere dell’Unione e di istituire un diritto dei servizi ad accesso condizionato che sarebbe applicabile in tutto il continente europeo» (24).

49.      Pertanto, l’istituzione di regole uniformi nel mercato unico europeo non è prioritaria quanto la preoccupazione di «esportare» in Stati terzi l’acquis raggiunto all’interno dell’Unione. In altre parole, la firma della convenzione non si presenta come una misura di «armonizzazione interna» in seno all’Unione, bensì come un contributo ad un’«armonizzazione esterna» rispetto a Stati terzi.

–       Sulla clausola di disgiunzione contenuta nell’articolo 11, paragrafo 4, della convenzione

50.      Tale impressione viene confermata se si osserva la clausola di disgiunzione contenuta nell’articolo 11, paragrafo 4, della convenzione, la quale prevede che, nelle loro relazioni reciproche, le parti che sono membri dell’Unione europea non applichino la convenzione, ma le «regole della Comunità».

51.      Contrariamente alla tesi del Consiglio, una siffatta clausola di disgiunzione può essere senz’altro rilevante nella valutazione delle competenze a concludere un accordo internazionale (25).

52.      Nel presente caso, la clausola di disgiunzione di cui all’articolo 11, paragrafo 4, della convenzione comporta che la maggior parte delle disposizioni di quest’ultima non saranno applicate all’interno dell’Unione in quanto esistono già «regole della Comunità», di cui alla direttiva 98/84, le quali corrispondono nel contenuto a quelle della convenzione (26). Tale conclusione è avallata non da ultimo dalla Francia.

53.      Tanto premesso, la conclusione della convenzione da parte dell’Unione non può essere considerata come una misura in primo luogo di ravvicinamento delle legislazioni dei suoi Stati membri nell’ambito del mercato unico europeo.

54.      Vero è che l’articolo 11, paragrafo 4, della convenzione dispone che gli Stati membri dell’Unione europea applichino reciprocamente le regole derivanti dalla convenzione se non sussiste «alcuna regola comunitaria» che disciplini un tema specifico. Tuttavia, ciò vale, come ammesso dal Consiglio, esclusivamente per le «misure di confisca» ai sensi dell’articolo 6 della convenzione (vale a dire per il sequestro e la confisca di determinati oggetti), nonché per la cooperazione internazionale di cui all’articolo 8 di detta convenzione, ove essa riguardi misure di confisca ai sensi dell’articolo 6. Infatti, è solo su detti aspetti che la direttiva 98/84 risulta carente di specifiche disposizioni.

55.      Laddove dunque si tratti di misure di confisca e della cooperazione tra gli Stati membri ad esse relativa, la conclusione della convenzione da parte dell’Unione avrà indubbiamente anche determinate ripercussioni sul mercato unico europeo e integrerà le «regole della Comunità» ivi già vigenti in forza della direttiva 98/84 ovvero, in ogni caso, le preciserà.

56.      Tuttavia, difficilmente si può sostenere che le misure di confisca e la relativa cooperazione internazionale rappresentino l’oggetto principale della convenzione. Di conseguenza, il fatto che la convenzione contenga le ulteriori regole previste dagli articoli 6 e 8 non è idoneo a trasformare la sua firma da parte dell’Unione in una misura destinata all’instaurazione del mercato interno che trovi il suo fondamento nell’articolo 114 TFUE in combinato disposto con l’articolo 216, paragrafo 1, TFUE. Infatti, la scelta del fondamento giuridico di un atto dell’Unione deve basarsi sull’essenza del suo contenuto normativo (27). Nel caso di specie, tale essenza non risiede, come già specificato (28), nell’instaurazione del mercato unico europeo o nella garanzia del suo funzionamento.

–       Sugli asseriti effetti della convenzione sul mercato interno

57.      Indipendentemente dagli articoli 6 e 8 della convenzione, non è affatto da escludere che l’istituzione, connessa alla convenzione, di un diritto uniforme dei servizi ad accesso condizionato applicabile in tutto il continente europeo possa incidere, in ultima analisi, in maniera positiva anche sulla fornitura di siffatti servizi all’interno dell’Unione, cioè sul mercato unico europeo. Infatti, se ovunque in Europa sono vietate le attività illecite relative ai servizi ad accesso condizionato, il contesto delle condizioni giuridiche ed economiche della fornitura di siffatti servizi potrebbe migliorare anche all’interno dell’Unione.

58.      Una siffatta generale incidenza positiva della convenzione sul mercato interno è però esclusivamente di tipo indiretto. Si tratta di meri effetti riflessi della convenzione, i quali non sono sufficienti a qualificare la firma della convenzione da parte dell’Unione come misura destinata all’instaurazione o alla garanzia del funzionamento del mercato interno ai sensi dell’articolo 114 TFUE (in combinato disposto con l’articolo 216, paragrafo 1, TFUE). Misure del genere dovrebbero essere effettivamente volte a migliorare le condizioni di instaurazione e di funzionamento del mercato interno (29) ed essere in grado di incidere direttamente sul funzionamento del mercato interno (30). Non è quanto si è verificato nel caso di specie.

–       Sull’asserita istituzione di un contesto normativo uniforme («level playing field»)

59.      Va respinto anche l’argomento del Consiglio secondo il quale la convenzione sarebbe finalizzata all’instaurazione del mercato interno in quanto, riducendo le divergenze tra gli ordinamenti giuridici nazionali, contribuirebbe all’istituzione di un contesto normativo uniforme («level playing field»).

60.      Sebbene possano essere adottate, ai sensi dell’articolo 114 TFUE, misure di armonizzazione volte all’eliminazione di divergenze sul piano normativo tra gli Stati membri allorché siffatte divergenze siano tali da ostacolare e quindi da incidere direttamente sul funzionamento del mercato interno (31), l’obiettivo deve tuttavia essere sempre l’eliminazione delle divergenze sul piano normativo tra gli Stati membri dell’Unione europea e non tra gli Stati membri dell’Unione europea e gli Stati terzi. Nel presente caso, però, come si è sopra precisato, la convenzione non mira in primo luogo all’armonizzazione interna, ma principalmente all’armonizzazione esterna (32).

–       Conclusione intermedia

61.      Nel complesso, l’instaurazione e il funzionamento del mercato unico europeo non sono dunque prioritari in relazione alla firma della convenzione da parte dell’Unione. Di conseguenza, il Consiglio non ha scelto nell’articolo 114 TFUE un pertinente fondamento giuridico per la decisione impugnata.

2.      Sull’idoneità dell’articolo 207 TFUE come fondamento giuridico sostanziale

62.      Dato che da quanto sopra (33) si evince che l’articolo 114 TFUE non costituiva un idoneo fondamento giuridico per la decisione impugnata, occorre approfondire, in secondo luogo, se tale decisione, potesse essere basata sull’articolo 207 TFUE in quanto parte della politica commerciale comune, come sostenuto dalla Commissione e dal Parlamento.

63.      L’articolo 207, paragrafo 1, TFUE chiarisce che la politica commerciale comune non è limitata agli scambi di merci, ma comprende, inter alia, anche gli scambi di servizi. L’articolo 207, paragrafo 4, TFUE autorizza il Consiglio alla conclusione di accordi di politica commerciale che – elemento non trascurabile – possono avere ad oggetto anche gli scambi di servizi audiovisivi.

–       L’articolo 207 TFUE non esclude, in generale, misure di armonizzazione

64.      Contro l’applicazione dell’articolo 207 TFUE il Consiglio e le parti intervenute a suo sostegno fanno valere, in primo luogo, che oggetto e scopo della convenzione non sarebbe la disciplina delle relazioni commerciali esterne dell’Unione, ma – come risulterebbe dall’articolo 1 della stessa convenzione – esclusivamente il ravvicinamento delle legislazioni nazionali nel settore dei servizi ad accesso condizionato e di accesso condizionato.

65.      Siffatta obiezione non mi pare convincente.

66.      Nell’ambito della politica commerciale comune non sono affatto escluse misure destinate all’armonizzazione delle legislazioni nazionali. Sebbene l’articolo 207, paragrafo 6, TFUE impedisca un’armonizzazione delle disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri nell’ambito della politica commerciale comune «se i trattati escludono tale armonizzazione», tuttavia, ragionando a contrario, dal suo testo si evince che, in tutti gli altri casi, l’esercizio delle competenze dell’Unione nel settore della politica commerciale comune può comportare senz’altro un’armonizzazione delle disposizioni legislative o regolamentari. Anche il Consiglio ha dovuto convenire con detta interpretazione nel procedimento dinanzi alla Corte.

67.      L’articolo 207 TFUE può costituire, a maggior ragione, un fondamento giuridico di misure che non comportino un’armonizzazione delle disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri all’interno dell’Unione (armonizzazione interna), ma, come nel presente caso, contribuiscano nei rapporti esterni ad un ravvicinamento delle legislazioni vigenti nell’Unione e negli Stati terzi (armonizzazione esterna). Un gran numero di accordi commerciali attuali ha ad oggetto proprio una siffatta armonizzazione: tali accordi prevedono l’istituzione di norme legislative uniformi – eventualmente norme minime – per determinati prodotti, attività o settori al fine di facilitare gli scambi transfrontalieri (34).

–       Un contesto uniforme facilita gli scambi di servizi

68.      Il Consiglio e le parti intervenute a suo sostegno contestano nondimeno che l’armonizzazione della normativa nazionale perseguita con l’articolo 1 della convenzione abbia carattere di politica commerciale ai sensi dell’articolo 207 TFUE.

69.      Infatti, per consolidata giurisprudenza, un atto giuridico rientra nel campo di applicazione della politica commerciale comune prevista dall’articolo 207 TFUE solo se verte specificamente sugli scambi internazionali di merci o servizi, «in quanto sia sostanzialmente destinato a promuovere, facilitare o disciplinare gli scambi commerciali ed abbia effetti diretti ed immediati sul commercio o gli scambi dei prodotti interessati» (35).

70.      Va riconosciuto al Consiglio e alle parti intervenute a suo sostegno che la convenzione contiene in un solo luogo, precisamente all’articolo 4, lettera b), una regola che si riferisca esplicitamente agli scambi, prescrivendo il divieto dell’importazione a fini commerciali di dispositivi illeciti.

71.      Diversamente da quanto ritengono il Consiglio e gli Stati membri intervenuti a suo sostegno, ciò non significa però che la convenzione non riguardi per il resto gli scambi tra l’Unione e gli Stati terzi. Infatti, come ha giustamente osservato la Commissione, la convenzione nel suo complesso ha l’obiettivo di facilitare la fornitura di servizi nel settore dei servizi ad accesso condizionato e di accesso condizionato, soprattutto nei rapporti tra l’Unione e gli Stati terzi.

72.      La convenzione si presenta come un tassello di una politica comune di tutte le sue parti contraenti, volta a proteggere i servizi ad accesso condizionato e di accesso condizionato (36). Come già precisato, con la convenzione si mira ad estendere a Stati terzi le norme sulla tutela dei menzionati servizi già vigenti all’interno dell’Unione, in modo da istituire un diritto dei servizi ad accesso condizionato che sia applicabile in tutto il continente europeo (37).

73.      In tal modo si istituisce in tutta Europa – sia all’interno sia all’esterno del mercato unico europeo – un contesto normativo più uniforme («level playing field») in relazione alla fornitura dei suddetti servizi.

74.      Così, da un lato, nel settore dei servizi ad accesso condizionato e di accesso condizionato un’impresa avente sede nell’Unione europea sarà facilitata nella fornitura dei suoi servizi al di fuori del mercato unico europeo, in altri Stati membri del Consiglio d’Europa. Dall’altro, sarà più difficile per imprese e persone residenti nei suddetti Stati esterni all’Unione europea ostacolare o rendere meno attraente attraverso accessi illegali la fornitura di siffatti servizi. Ove l’azione di contrasto alle attività illecite si svolga in tutto il continente europeo in base a norme giuridiche uniformi diventa più difficile di quanto non lo sia stato in passato per gli autori di siffatti illeciti trovare ancora «rifugi» in Europa, come sembrano esistere tutt’oggi in alcuni Stati membri del Consiglio d’Europa esterni all’Unione europea (38).

75.      La convenzione, dunque, non solo facilita alle imprese aventi sede nel mercato unico europeo la fornitura legale dei servizi nei paesi terzi, ma comporta altresì che le pratiche illegali dirette contro tali servizi (la cosiddetta «pirateria») originarie dei paesi terzi possano essere contrastate più efficacemente rispetto al passato.

76.      In tal modo, nei rapporti dell’Unione con gli Stati terzi vengono eliminati gli ostacoli agli scambi che si basano sulle divergenze tra gli ordinamenti giuridici nazionali delle parti contraenti. Il fatto che si tratti di ostacoli agli scambi che non hanno nulla a che fare con la fornitura come tale dei servizi in questione, ma sono piuttosto in relazione con la tutela (finora insufficiente) degli stessi in alcuni Stati terzi non osta all’applicazione dell’articolo 207 TFUE, come invece ritiene la Svezia. Infatti, anche gli ostacoli agli scambi dipendenti da una carente tutela di merci o servizi in Stati terzi rientrano nell’ambito di applicazione di una moderna politica commerciale e possono pertanto costituire oggetto di misure ex articolo 207 TFUE (39).

77.      Diversamente da quanto ritengono il Consiglio e le parti intervenute a suo sostegno, un rafforzamento della tutela giuridica di detti servizi per gli scambi internazionali non è affatto una misura secondaria o indiretta. Piuttosto, un contesto normativo per quanto possibile uniforme e sicuro è oggi, in molti settori, di importanza decisiva per il commercio estero, tanto più nel caso di merci o servizi complessi o costosi per la cui produzione o distribuzione entrano in gioco in misura rilevante questioni di proprietà intellettuale o prestazioni d’ingegno.

78.      È proprio questo il caso dei servizi audiovisivi e dei servizi della società dell’informazione in questione. Infatti, come viene esplicitamente riconosciuto nel preambolo della convenzione, l’accesso illecito minaccia la vitalità economica degli organismi che forniscono servizi di radiodiffusione e servizi della società dell’informazione e può addirittura pregiudicare la diversità dei programmi e dei servizi offerti al pubblico (40).

79.      In detto contesto non si può negare che l’esportazione in Stati terzi europei, realizzata attraverso la convenzione, di norme giuridiche applicate nel mercato unico europeo rappresenti, dal punto di vista dell’Unione, proprio una misura di politica commerciale.

–       L’articolo 207 TFUE può trovare applicazione anche quando è interessata marginalmente la cooperazione giudiziaria in materia civile o penale

80.      Il Consiglio e alcune parti intervenute a suo sostegno, vale a dire la Svezia e la Polonia, sono inoltre dell’avviso che le regole di cui agli articoli 6 e 8 della convenzione sulle misure di confisca e sulla cooperazione internazionale ad esse relativa rientrino, per materia, non nella politica commerciale comune, bensì nella cooperazione giudiziaria e pertanto nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ragion per cui la firma della convenzione non potrebbe essere basata sull’articolo 207 TFUE.

81.      Siffatta obiezione non mi pare convincente.

82.      Le misure di confisca e la cooperazione internazionale che esse implicano possono sì rientrare di per sé nell’ambito della politica di cooperazione giudiziaria in materia civile o penale, tuttavia, nel caso di specie, non costituiscono, come si è già osservato (41), l’oggetto principale della convenzione. Dal momento che l’essenza della convenzione verte sul settore della politica commerciale, la firma dell’intera convenzione deve essere basata sull’articolo 207 TFUE (42). Il ricorso a fondamenti giuridici diversi, come ad esempio l’articolo 83, paragrafo 2, TFUE, non è consentito.

83.      Tale analisi non è messa in discussione neanche dai protocolli n. 21 (43) e n. 22 (44) allegati al trattato UE e al trattato FUE. In tali due protocolli sono contenute disposizioni relative alla posizione del Regno Unito, dell’Irlanda e della Danimarca rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, le quali concedono determinati diritti speciali ai tre suddetti Stati membri.

84.      L’ambito di applicazione ratione materiae di tali deroghe è espressamente limitato allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. In quanto deroghe, inoltre, devono essere interpretate in senso stretto. La ratio dei protocolli n. 21 e n. 22 non consiste nel rimettere alla discrezionalità del Regno Unito, dell’Irlanda e della Danimarca la partecipazione alle misure deliberate dalle istituzioni europee in altri ambiti del diritto dell’Unione, specialmente nella politica commerciale comune (o anche nel mercato unico), né il loro carattere vincolante (45).

85.      I protocolli n. 21 e n. 22 non possono derogare alle regole generalmente accolte in materia di scelta del corretto fondamento giuridico di un atto dell’Unione. Tali regole, basate, in ultima analisi, interamente sulla sistematica dei trattati, comportano, in particolare, che la scelta del fondamento giuridico di un atto dell’Unione si orienti verso l’essenza del suo contenuto normativo, perfino quando esso contenga a margine disposizioni in grado di incidere sullo spazio di libertà, sicurezza e giustizia (46).

86.      Tanto meno possono essere applicate le particolarità procedurali previste dai protocolli n. 21 e n. 22 (47) in altri ambiti del diritto dell’Unione che lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Infatti, non sono le procedure a definire il fondamento normativo di un atto, ma è il fondamento normativo di un atto che determina le procedure da seguire per la sua adozione (48).

87.      Di conseguenza, rispetto ad un atto rientrante essenzialmente nella politica commerciale comune, il Regno Unito, l’Irlanda e la Danimarca non possono invocare i diritti speciali loro conferiti dai protocolli n. 21 e n. 22, né il Consiglio deve tener conto degli stessi nell’adottare un tale atto, neanche riguardo a suoi singoli aspetti o parti.

3.      Conclusione intermedia

88.      In conclusione, il corretto fondamento giuridico della decisione impugnata non sarebbe, dunque, l’articolo 114 TFUE, ma l’articolo 207 TFUE. La firma dell’intera convenzione da parte dell’Unione può essere fondata sull’articolo 207 TFUE. Conseguentemente, va accolto il primo motivo di ricorso dedotto dalla Commissione.

B –    Competenza esclusiva dell’Unione per la conclusione della convenzione (secondo motivo di ricorso)

89.      Con il suo secondo motivo di ricorso la Commissione contesta la tesi del Consiglio secondo cui la convenzione «dovrebbe essere firmata sia dall’Unione che dai suoi Stati membri» (49) in quanto accordo misto. Con un siffatto modus procedendi, ad avviso della Commissione e del Parlamento, viene violata la competenza esclusiva dell’Unione per la conclusione della convenzione. Il Consiglio e gli Stati membri intervenuti a suo sostegno sono di parere opposto.

1.      Questione preliminare: il secondo motivo è inoperante («inopérant»)?

90.      Nell’udienza dinanzi alla Corte, il Consiglio ha fatto valere che il secondo motivo addotto dalla Commissione sarebbe inoperante (in francese: «inopérant»). Ad avviso del Consiglio, la decisione impugnata disciplina solo la firma della convenzione da parte dell’Unione e non contiene alcuna affermazione vincolante in riferimento alla questione se, oltre all’Unione, anche gli Stati membri debbano o possano essere parti della convenzione. La deduzione del Consiglio è che il secondo motivo addotto dalla Commissione, quand’anche fondato, non potrebbe comportare l’annullamento della decisione impugnata.

91.      L’obiezione è priva di fondamento.

92.      Sebbene il dispositivo della decisione impugnata, nel presente caso, si limiti effettivamente ad autorizzare la firma della convenzione a nome dell’Unione (v. articolo 1 della decisione), la portata giuridica e pratica di una siffatta autorizzazione è, tuttavia, completamente diversa a seconda che la convenzione debba essere firmata esclusivamente dall’Unione oppure contestualmente dall’Unione e dai suoi Stati membri in quanto accordo misto.

93.      Nel presente caso, nel preambolo della decisione impugnata il Consiglio ha precisato la sua tesi secondo la quale l’articolo 6 della convenzione e parti dell’articolo 8 della stessa non rientrerebbero nella competenza esterna dell’Unione, per cui la convenzione doveva essere conclusa come accordo misto (50). Ciò significa che l’autorizzazione interna all’Unione alla firma della convenzione, quale impartita dal Consiglio nell’articolo 1 della decisione impugnata, non si estende agli articoli 6 e 8 della convenzione, per i quali, oltre a quella dell’Unione, è necessaria sotto la convenzione la firma anche di tutti i suoi Stati membri (51).

94.      Con il secondo motivo viene allora sollevata sostanzialmente la questione se la decisione impugnata sia illegittima avendo il Consiglio rilasciato con essa un’autorizzazione insufficiente. Trattasi, ebbene, di una questione di diritto che può essere esaminata dalla Corte nell’ambito di un ricorso di annullamento. Ove emerga che la convenzione rientra nella competenza esclusiva dell’Unione, la decisione impugnata va annullata, poiché il Consiglio vi ha disposto un’autorizzazione di portata e ambito applicativo insufficienti rispetto a quanto sarebbe stato giuridicamente necessario.

2.      Valutazione nel merito del secondo motivo

95.      Il secondo motivo è fondato qualora l’Unione abbia la competenza esclusiva per la conclusione della convenzione.

96.      Una siffatta competenza esclusiva può discendere, da un lato, dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), TFUE (v., a tal riguardo, infra, sezione a) e, dall’altro, dall’articolo 3, paragrafo 2, TFUE (v., a tal riguardo, infra, sezione b). Se la competenza è esclusiva, non possono darsi competenze parallele degli Stati membri (52). Piuttosto, dalla competenza esclusiva dell’Unione discende un divieto generale dell’azione degli Stati membri (articolo 2, paragrafo 1, seconda frase, TFUE). È esclusa, pertanto, anche un’eventuale cooperazione volontaria degli Stati membri al fianco dell’Unione come parti di un accordo internazionale (53). Infatti, a livello internazionale, l’intervento di Stati membri in proprio nome a fianco dell’Unione può incidere sull’esito delle trattative e mette inoltre in discussione la competenza esclusiva dell’Unione per la conclusione dell’accordo.

a)      Competenza esclusiva in forza dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), TFUE

97.      Come si è detto (54), la convenzione va basata interamente sull’articolo 207 TFUE e rientra, dunque, nell’ambito di applicazione della politica commerciale comune. Pertanto, sussiste una competenza esclusiva dell’Unione per la sua conclusione [articolo 3, paragrafo 1, lettera e), TFUE].

98.      Già per tale ragione va accolto il secondo motivo dedotto dalla Commissione.

b)      In via subordinata: competenza esclusiva in forza dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE

99.      Nel caso in cui la Corte, contrariamente alla mia proposta, non dovesse far rientrare la convenzione nella politica commerciale comune (articolo 207 TFUE), ma dovesse considerarla una misura di armonizzazione diretta all’instaurazione del mercato unico europeo (articolo 114 TFUE), resta da esaminare, in via subordinata, se nondimeno sussista una competenza esterna esclusiva dell’Unione per la sua conclusione. La Commissione e il Parlamento ritengono che una siffatta competenza esclusiva deriverebbe dall’articolo 3, paragrafo 2, TFUE, mentre il Consiglio e gli Stati membri intervenuti a suo sostegno contestano in maniera molto decisa che siano soddisfatte le condizioni di applicazione di detta disposizione.

i)      Premessa

100. Nel caso di specie, viene presa in considerazione solo la terza variante dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE, secondo la quale l’Unione dispone di una competenza esclusiva per la conclusione di un accordo internazionale «nella misura in cui può incidere su norme comuni o modificarne la portata». Il verbo «può», presente nell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE, sottolinea che non è necessario che si realizzi un’effettiva lesione o modifica della portata di norme comuni, mentre è sufficiente che un accordo internazionale sia idoneo a produrre tali effetti, vale a dire che dall’accordo deve derivare il rischio concreto di una siffatta lesione o modifica della portata di norme comuni.

101. A tal proposito va anzitutto osservato che il rischio di una lesione di norme comuni non è escluso per il solo fatto che le disposizioni di un accordo internazionale e le prescrizioni esistenti all’interno dell’Unione – come nel caso di specie (55) – coincidano in gran parte quanto a contenuto (56). Infatti, anche in caso di contenuti coincidenti di tali atti, si riduce il margine operativo del legislatore dell’Unione allorché siano assunti obblighi internazionali nei confronti di Stati terzi. Tale constatazione non è messa in discussione neanche da una clausola di disgiunzione come quella di cui all’articolo 11, paragrafo 4, della convenzione; anzi, una tale clausola può addirittura essere considerata come un indizio del rischio di lesione di norme comuni (57).

102. Conseguentemente, anche il Consiglio riconosce nel presente caso che sussiste un rischio di lesione di norme comuni ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE – e quindi una competenza esclusiva dell’Unione – in ogni punto in cui la convenzione e la direttiva 98/84 sostanzialmente coincidono. Ciò riguarda anzitutto le disposizioni nelle quali sono definiti «servizio protetto», «accesso condizionato», «dispositivo di accesso condizionato» e «dispositivo illecito» (58). Lo stesso vale per la determinazione degli atti che devono essere vietati in quanto «attività illecite» (59).

103. Tra le parti in causa è fortemente controversa la questione se sussista una siffatta competenza esclusiva dell’Unione per la conclusione di trattati ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE anche riguardo alle misure di confisca di cui all’articolo 6 della convenzione nonché alla cooperazione internazionale, di cui all’articolo 8 della convenzione, che esse implicano. Secondo il Consiglio, in particolare tali due aspetti determinano la necessità di considerare la convenzione come un accordo misto (60).

104. In tale contesto, va analizzato, da un lato, se gli articoli 6 e 8 della convenzione comportino un concreto rischio di lesione dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 98/84 (v., al riguardo, infra, sezione ii) e, dall’altro, se la convenzione nel suo insieme riguardi un settore già in gran parte disciplinato da norme comunitarie (v., al riguardo, infra, sezione iii).

ii)    Assenza del rischio di lesione dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva da parte degli articoli 6 e 8 della convenzione

105. La Commissione e il Parlamento ritengono che le misure di confisca menzionate nell’articolo 6 della convenzione siano previste come sanzioni già dall’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 98/84. Pertanto, anche per tale parte della convenzione sussisterebbe una competenza esclusiva dell’Unione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE.

106. Siffatto argomento non è fondato.

107. Come hanno dedotto persuasivamente il Consiglio e gli Stati membri intervenuti a suo sostegno, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 98/84 prevede solo un obbligo del tutto generale ed elementare a carico degli Stati membri di stabilire sanzioni «efficaci, dissuasive e proporzionate al potenziale impatto dell’attività illecita». A tal riguardo, resta dunque agli Stati membri un ampio potere discrezionale di determinare, nei loro ordinamenti nazionali, le sanzioni di volta in volta adeguate, nel cui novero possono rientrare il sequestro e la confisca di oggetti (61), senza però che dalla direttiva risulti un obbligo in tal senso (62).

108. In ultima analisi, gli Stati membri non fanno che adottare insieme una misura di adempimento dell’obbligo loro incombente, in forza dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 98/84, di stabilire sanzioni efficaci, dissuasive e proporzionate, quando concludono – da soli o con la partecipazione di Stati terzi – un accordo internazionale che prescriva misure obbligatorie di confisca come fa l’articolo 6 della convenzione. Gli Stati membri esercitano, dunque, semplicemente il potere discrezionale che residua loro in base all’attuale stato del diritto dell’Unione e contribuiscono, inoltre, all’attuazione degli obiettivi della direttiva 98/84.

109. Non si capisce pertanto in quale misura gli articoli 6 e 8 della convenzione sarebbero in concreto idonei ad incidere sulla norma sanzionatoria di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 98/84 o a modificarne la portata.

iii) Un settore già in gran parte disciplinato da norme comunitarie

110. Anche se gli articoli 6 e 8 della convenzione non determinano di per sé alcun rischio di lesione dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 98/84, la convenzione nel suo insieme può nondimeno rientrare nella competenza esclusiva dell’Unione. Infatti, si deve sempre ammettere una competenza esclusiva dell’Unione per la conclusione dei trattati, secondo costante giurisprudenza (63), quando è interessato un settore già in gran parte disciplinato da norme comunitarie.

–       Pertinenza dell’orientamento giurisprudenziale finora sviluppato nell’ambito dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE

111. Il Consiglio e alcune parti intervenute a suo sostegno obiettano, in modo del tutto generico, che tale giurisprudenza non sarebbe più pertinente dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, in quanto per effetto dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE si sarebbero ridimensionate le competenze esclusive dell’Unione nel settore degli scambi con l’estero. Quest’obiezione va però respinta. Nessun elemento suggerisce che gli autori del Trattato di Lisbona intendessero stabilire una siffatta limitazione. Anche all’udienza dinanzi alla Corte, in risposta ad un mio quesito, il Consiglio non ha fornito alcuna prova concreta a supporto della sua tesi – tratta, ad esempio, dai lavori preparatori della Convenzione europea relativa al Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa o da quelli relativi al Trattato di Lisbona.

112. Sono dell’avviso che la terza variante dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE rappresenti una codificazione della giurisprudenza della Corte finora sviluppata in relazione alle competenze esclusive dell’Unione a concludere trattati nell’ambito della «dottrina AETS» (64). Ciò è stato ammesso esplicitamente anche dalla Francia all’udienza dinanzi alla Corte.

113. Di conseguenza, l’interpretazione e l’applicazione della terza variante dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE dovrebbero basarsi sulla giurisprudenza finora sviluppata. A favore del riconoscimento di una competenza esclusiva dell’Unione per la conclusione di un accordo internazionale ai sensi della terza variante dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE continua, pertanto, ad essere sufficiente il fatto che si tratti di un settore già in gran parte disciplinato da norme comunitarie.

–       Il protocollo n. 25 non osta ad un’applicazione della giurisprudenza finora sviluppata

114. Nulla in senso contrario si evince dal protocollo n. 25 allegato al trattato UE e al trattato FUE (65), il quale prevede che l’esercizio di una competenza concorrente da parte dell’Unione «copre unicamente gli elementi disciplinati dall’atto dell’Unione in questione e non copre pertanto l’intero settore».

115. Infatti, secondo il suo tenore letterale, il protocollo n. 25 riguarda solo l’esercizio della competenza concorrente dell’Unione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, TFUE, ma non la portata della sua competenza esclusiva ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, TFUE. A maggior ragione mancano elementi per sostenere che gli autori del Trattato di Lisbona intendessero, con detto protocollo, delimitare in modo specifico direttamente o indirettamente, ai sensi della terza variante dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE, la portata della competenza esclusiva dell’Unione per la conclusione di trattati. Contro una siffatta delimitazione depone non da ultimo il fatto che nel protocollo n. 25 è assente qualsiasi riferimento all’articolo 3, paragrafo 2, TFUE.

116. Va inoltre rilevato che una competenza esclusiva ai sensi della terza variante dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE non dipende in primo luogo dalla mera sussistenza o meno di norme comuni in uno specifico settore, ma è collegata al rischio di lesione di dette norme comuni o alla modifica della loro portata. Un siffatto rischio può manifestarsi già quando un accordo internazionale contenga disposizioni che si trovino in stretta connessione sostanziale con norme comunitarie dalle quali il settore interessato sia già in gran parte disciplinato a livello dell’Unione. Infatti, su tali norme comunitarie possono riverberarsi effetti negativi di un accordo internazionale anche qualora le une e l’altro non disciplinino esattamente gli stessi «elementi» (ai sensi del protocollo n. 25).

117. In detto contesto, anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il criterio del settore già in gran parte disciplinato da norme comunitarie, sviluppato dalla giurisprudenza, non ha perso nulla della sua importanza in ordine alla determinazione di competenze esclusive dell’Unione per la conclusione di trattati ai sensi della terza variante dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE.

–       Settore già in gran parte disciplinato da norme comunitarie

118. Resta da esaminare se, nel presente caso, quello disciplinato dall’accordo costituisca un settore già in gran parte disciplinato da norme comunitarie. A tal riguardo, l’analisi deve basarsi non solo sulla portata, ma anche sulla natura e sul contenuto delle disposizioni in questione. Occorre inoltre prendere in considerazione non soltanto lo stato attuale del diritto dell’Unione nel settore interessato, ma anche le sue prospettive di evoluzione, qualora esse siano prevedibili al momento dell’analisi (66).

119. Il settore interessato dall’accordo è la protezione giuridica dei servizi ad accesso condizionato e di accesso condizionato.

120. Tale settore è stato già in gran parte armonizzato dal legislatore dell’Unione, all’interno dell’Unione, con l’adozione della direttiva 98/84. In tale occasione, il legislatore non ha adottato solo norme minime, ma ha sottoposto numerosi aspetti del suddetto settore ad una completa armonizzazione. In particolare, ha introdotto definizioni uniformi per tutta l’Unione (articolo 2 della direttiva) e stabilito uniformemente nel territorio dell’Unione quali attività debbano essere vietate nel mercato interno (articolo 4 della direttiva). Ha previsto altresì una disciplina comunitaria – certamente molto generale – relativa a sanzioni e mezzi di tutela (articolo 5 della direttiva).

121. Il fatto che il legislatore dell’Unione, nell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 98/84, abbia lasciato agli Stati membri un ampio potere discrezionale nella scelta delle sanzioni non toglie che il settore della tutela dei servizi ad accesso condizionato e di accesso condizionato considerato nel suo insieme sia già in gran parte determinato dal diritto dell’Unione.

122. In tale prospettiva risultano pertanto soddisfatte le condizioni di cui alla terza variante dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE, come precisate dalla giurisprudenza (67).

123. Di conseguenza, l’Unione gode di una competenza esclusiva per la conclusione della convenzione in forza della terza variante dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE, in quanto la convenzione riguarda un settore che è già in gran parte disciplinato da norme comunitarie. Anche per tale ragione il secondo motivo dedotto dalla Commissione è fondato.

C –    Sintesi

124. Entrambi i motivi dedotti dalla Commissione vanno pertanto accolti e ognuno di essi giustifica già di per sé l’annullamento della decisione impugnata (articolo 263, paragrafi 1 e 2, TFUE in combinato disposto con l’articolo 264, paragrafo 1, TFUE).

D –    Mantenimento degli effetti della decisione impugnata

125. La Corte, nell’annullare la decisione impugnata, dovrebbe mantenerne, a termini dell’articolo 264, paragrafo 2, TFUE, gli effetti fino all’adozione di una nuova decisione basata sul corretto fondamento giuridico, in modo che non sorgano dubbi, a livello internazionale, circa il mandato dei soggetti legittimati alla firma della convenzione a nome dell’Unione, gli effetti giuridici di una firma eventualmente già apposta non siano messi in discussione e non si determini nessun ritardo nella procedura di ratifica.

126. Inoltre, gli Stati membri sono tenuti, in ragione del loro obbligo di leale cooperazione con l’Unione (articolo 4, paragrafo 3, TUE), ad astenersi dall’adottare misure che possano incidere sulla competenza esclusiva dell’Unione (68). Ne consegue che gli Stati membri i quali non abbiano ancora firmato la convenzione se ne dovranno astenere, mentre quelli che l’hanno già firmata non procederanno alla sua ratifica.

VII – Spese

127. A norma dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura del 25 settembre 2012, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Conformemente alla soluzione da me proposta, il Consiglio, rimasto soccombente, deve essere condannato alle spese, come richiesto dalla Commissione. Invece la Francia, i Paesi Bassi, la Polonia, la Svezia, il Regno Unito e il Parlamento europeo, in qualità di intervenienti, dovranno sopportare ciascuno le loro proprie spese, in forza dell’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura.

VIII – Conclusione

128. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo pertanto alla Corte di statuire come segue:

1)      La decisione del Consiglio 2011/853/UE, del 29 novembre 2011, è annullata.

2)      La decisione annullata mantiene i suoi effetti fino all’adozione di una nuova decisione basata sul corretto fondamento giuridico.

3)      Il Consiglio dell’Unione europea sopporterà le proprie spese e quelle della Commissione europea.

4)      La Repubblica francese, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica di Polonia, il Regno di Svezia, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord nonché il Parlamento europeo sopporteranno ciascuno le proprie spese.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – V. parere 2/00 del 6 dicembre 2001 (Racc. pag. I‑9713, punto 5); parere 1/08 del 30 novembre 2009 (Racc. pag. I‑11129, punto 110), e sentenza del 1° ottobre 2009, Commissione/Consiglio (C‑370/07, Racc. pag. I‑8917, punto 47).


3 – GU 2011, L 336, pag. 2 (pubblicata dal Consiglio d’Europa in STE n. 178).


4 – Decisione del Consiglio 2011/853/UE, del 29 novembre 2011, relativa alla firma, a nome dell’Unione, della convenzione europea sulla protezione giuridica dei servizi ad accesso condizionato e di accesso condizionato (GU L 336, pag. 1).


5 – È pacifico tra le parti che la decisione impugnata doveva essere adottata, com’è stato, sul fondamento procedurale dell’articolo 218, paragrafo 5, TFUE.


6 – Punto 6 della decisione impugnata.


7 – Direttiva 98/84/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 1998, sulla tutela dei servizi ad accesso condizionato e dei servizi di accesso condizionato (GU L 320, pag. 54).


8 – La dottrina AETS risale alla sentenza del 31 marzo 1971, Commissione/Consiglio («AETS», 22/70, Racc. pag. 263, punti da 15 a 19); una sintesi più recente è offerta, per esempio, nel parere 1/03 del 7 febbraio 2006 (Racc. pag. I‑1145, punti da 114 a 133).


9 – Relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Seconda relazione sull’attuazione della direttiva 98/84/CE, COM(2008) 593 def., presentata il 30 settembre 2008 (punto 4.2.4).


10 – Proposta di decisione del Consiglio relativa alla firma della Convenzione europea sulla tutela dei servizi ad accesso condizionato e dei servizi di accesso condizionato, COM(2010) 753 def.


11 – Proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione della Convenzione europea sulla tutela dei servizi ad accesso condizionato e dei servizi di accesso condizionato, COM(2010) 755 def.


12 – Punto 6 della decisione impugnata.


13 – Verbale della 3128a sessione del Consiglio dell’Unione europea, tenutasi a Bruxelles il 28 e 29 novembre 2011 (11° punto dell’ordine del giorno con allegati).


14 – La Polonia e la Svezia non hanno presentato conclusioni sulle spese.


15 – I Paesi Bassi e la Polonia non hanno preso parte all’udienza.


16 – V. il primo trattino nel preambolo della decisione impugnata.


17 – Sentenze dell’11 giugno 1991, Commissione/Consiglio (C‑300/89, Racc. pag. I‑2867, punto 10); del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, Racc. pag. I‑6351, punto 182), e del 19 luglio 2012, Parlamento/Consiglio (C‑130/10, punto 42).


18 – Punto 5 della decisione impugnata.


19 – V., a tal riguardo, anche il punto 6 della decisione impugnata.


20 – Nello stesso senso, in relazione all’articolo 48 TFUE, v. le mie conclusioni presentate il 21 marzo 2013 nella causa Regno Unito/Consiglio (C‑431/11, pendente davanti alla Corte, paragrafi 47 e 48).


21 – V., in particolare, parere 1/76 del 26 aprile 1977 (Racc. pag. 741, specialmente punti da 3 a 7); parere 1/94 del 15 novembre 1994 (Racc. pag. I‑5267, punti 85, 88 e 89); sentenza del 5 novembre 2002, Commissione/Danimarca (C‑467/98, Racc. pag. I‑9519, punto 57), e parere 1/03 (cit. alla nota 8, punto 115).


22 – Sentenze del 27 settembre 1988, Commissione/Consiglio (165/87, Racc. pag. 5545, punti da 18 a 21); del 9 settembre 2004, Spagna e Finlandia/Parlamento e Consiglio (C‑184/02 e C‑223/02, Racc. pag. I‑7789, punti da 42 a 44), e del 14 dicembre 2004, Swedish Match (C‑210/03, Racc. pag. I‑11893, punto 44); v. inoltre le mie conclusioni presentate il 26 maggio 2005 nella causa Commissione/Consiglio (C‑94/03, Racc. pag. I‑1, paragrafo 53), e il 21 marzo 2013 nella causa Regno Unito/Consiglio (cit. alla nota 20, paragrafi da 79 a 81).


23 – Relazione esplicativa della convenzione (consultabile in lingua francese e inglese sulla pagina internet dell’Ufficio Trattati del Consiglio d’Europa: http://www.conventions.coe.int, nella rubrica STE n. 178), punti da 9 a 11.


24 – Punto 5 della decisione impugnata.


25 – Parere 1/03 (cit. alla nota 8, punto 130); nello stesso senso sentenza Commissione/Danimarca (cit. alla nota 21, punto 101).


26 – Sulla corrispondenza tra le disposizioni della convenzione e quelle della direttiva, v. punti 3 e 5 della decisione impugnata.


27 – Se l’esame di un atto dimostra che esso persegue un duplice scopo o che possiede una doppia componente e se uno di questi scopi o di queste componenti è identificabile come principale, mentre l’altro è solo accessorio, l’atto deve fondarsi su un solo fondamento giuridico, ossia quello richiesto dallo scopo o dalla componente principale o preponderante (sentenze del 6 novembre 2008, Parlamento/Consiglio, C‑155/07, Racc. pag. I‑8103, punto 35, e Parlamento/Consiglio, cit. alla nota 17, punto 43; nello stesso senso già la sentenza del 17 marzo 1993, Commissione/Consiglio, C‑155/91, Racc. pag. I‑939, punti 19 e 21).


28 –      V. paragrafo 49 delle presenti conclusioni.


29 – Sentenza dell’8 giugno 2010, Vodafone e a. (C‑58/08, Racc. pag. I‑4999, punto 32); nello stesso senso già le sentenze del 10 dicembre 2002, British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco (C‑491/01, Racc. pag. I‑11453, punto 60), e del 2 maggio 2006, Regno Unito/Parlamento e Consiglio (C‑217/04, Racc. pag. I‑3771, punto 42).


30 – Sentenza Vodafone e a. (cit. alla nota 29, punto 32, in fine); v. inoltre sentenze del 12 luglio 2005, Alliance for Natural Health e a. (C‑154/04 e C‑155/04, Racc. pag. I‑6451, punto 28), e del 12 dicembre 2006, Germania/Parlamento e Consiglio (C‑380/03, Racc. pag. I‑11573, punto 37).


31 – V., a tal riguardo, ancora la giurisprudenza citata alla nota 30.


32 –      V. paragrafo 49 delle presenti conclusioni.


33 –      V. paragrafi da 40 a 61 delle presenti conclusioni.


34 – È il caso, per esempio, dell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio («accordo TRIPS», GU 1994, L 336, pag. 214) vigente nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC); v. in particolare la parte II di detto accordo.


35 – Sentenze del 12 dicembre 2002, Commissione/Consiglio (C-281/01, Racc. pag. I‑12049, punti 40 e 41, in fine); del 12 maggio 2005, Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e ERSA (C‑347/03, Racc. pag. I‑3785, punto 75), e dell’8 settembre 2009, Commissione/Parlamento e Consiglio (C‑411/06, Racc. pag. I‑7585, punto 71).


36 – Punto 7 della convenzione.


37 – Punto 5 della decisione impugnata.


38 – Come sottolinea la Commissione al punto 9 delle sue due proposte di decisioni del Consiglio (cit. alle note 10 e 11), numerosi Stati europei non membri dell’Unione europea possono costituire rifugi per il perfezionamento e la diffusione di dispositivi di pirateria di servizi ad accesso condizionato, dal momento che il loro ordinamento giuridico non prevede sanzioni per detta attività di pirateria molto specifica.


39 – V., a tal proposito, ancora l’accordo TRIPS, in particolare la parte II.


40 – Punto 6 della convenzione; v. inoltre punti 2 e 3 della relazione esplicativa della convenzione.


41 –      V. paragrafo 56 delle presenti conclusioni.


42 – V., a tal riguardo, la giurisprudenza citata alla nota 27.


43 –      Protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.


44 – Protocollo sulla posizione della Danimarca.


45 – V. le mie conclusioni presentate nella causa Regno Unito/Consiglio (cit. alla nota 20, paragrafi 73 e 74).


46 – V., a tal riguardo, la giurisprudenza citata alla nota 27.


47 – Nel protocollo n. 21 si tratta del necessario esplicito «opt in» da parte del Regno Unito e dell’Irlanda, nel protocollo n. 22 della necessaria dichiarazione della Danimarca di voler recepire una misura dell’Unione nel diritto interno.


48 – Sentenza Parlamento/Consiglio (cit. alla nota 17, punto 80).


49 – Punto 6 della decisione impugnata.


50 – Punto 6 della decisione impugnata.


51 – A prescindere da ciò, dal diritto internazionale può risultare che tanto l’Unione quanto i suoi Stati membri siano vincolati all’intera convenzione, dunque anche a quelle sue parti che non rientrano nelle loro rispettive competenze interne all’Unione.


52 – Pareri 1/75 dell’11 novembre 1975 (Racc. pagg. 1355, 1363 e seg.), e 2/91 del 19 marzo 1993 (Racc. pag. I‑1061, punto 8).


53 – V., a tal proposito, anche le mie conclusioni presentate il 26 marzo 2009 nella causa Commissione/Consiglio («Vietnam», C‑13/07, paragrafo 53).


54 – V. le mie osservazioni in merito al primo motivo di ricorso ai paragrafi da 35 a 88 delle presenti conclusioni.


55 – Nel preambolo della decisione impugnata, il Consiglio sottolinea il fatto che le disposizioni della convenzione e della direttiva sono «quasi identic[he]» (punto 3) o quantomeno «simili» (punto 5).


56 – Parere 2/91 (cit. alla nota 52, punto 26) e sentenza Commissione/Danimarca (cit. alla nota 21, punto 82).


57 – Parere 1/03 (cit. alla nota 8, punto 130).


58 – V., da un lato, l’articolo 2 della direttiva e, dall’altro, l’articolo 2 della convenzione.


59 – V., da un lato, l’articolo 4 della direttiva e, dall’altro, l’articolo 4 della convenzione.


60 – In tal senso il punto 6 della decisione impugnata.


61 – Sentenza del 24 novembre 1992, Poulsen e Diva Navigation (C‑286/90, Racc. pag. I‑6019, punto 31); analogamente sentenza del 27 febbraio 1997, Ebony Maritime e Loten Navigation (C‑177/95, Racc. pag. I‑1111, punti 32 e 33).


62 – V. anche il considerando 23 della direttiva 98/84, in cui il sequestro di dispositivi illeciti viene fatto rientrare addirittura nella categoria delle «altre sanzioni» che restano «impregiudicate» dalla direttiva.


63 – Parere 2/91 (cit. alla nota 52, punti 25 e 26); sentenza Commissione/Danimarca (cit. alla nota 21, punti 81 e 82), e parere 1/03 (cit. alla nota 8, punto 126).


64 – V., a tal proposito, la giurisprudenza citata alla nota 8.


65 –      Protocollo sull’esercizio della competenza concorrente.


66 – Parere 1/03 (cit. alla nota 8, punto 126).


67 – V., a tal riguardo, i testi citati alla nota 63.


68 – In tal senso, sentenze del 2 giugno 2005, Commissione/Lussemburgo (C‑266/03, Racc. pag. I‑4805, punti da 57 a 67 nonché da 41 a 43), e del 14 luglio 2005, Commissione/Germania (C‑433/03, Racc. pag. I‑6985, punti da 60 a 73 nonché da 43 a 45).