CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
TAMARA ĆAPETA
presentate il 6 luglio 2023(1)
Causa C‑122/22 P
Dyson Ltd,
Dyson Technology Ltd,
Dyson Operations Pte Ltd,
Dyson Manufacturing Sdn Bhd,
Dyson Spain, SLU,
Dyson Austria GmbH,
Dyson sp. z o.o.,
Dyson Ireland Ltd,
Dyson GmbH,
Dyson SAS,
Dyson Srl,
Dyson Sweden AB,
Dyson Denmark ApS,
Dyson Finland Oy,
Dyson BV
contro
Commissione europea
«Impugnazione – Energia – Direttiva 2010/30/UE – Indicazione del consumo di energia e di altre risorse dei prodotti connessi all’energia mediante l’etichettatura ed informazioni uniformi relative ai prodotti – Regolamento delegato (UE) n. 665/2013 della Commissione – Etichettatura indicante il consumo di energia degli aspirapolvere – Metodo di prova – Responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea – Violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione europea»
I. Introduzione
1. La presente causa è l’ultimo atto della saga giudiziaria tra il fabbricante di aspirapolvere Dyson Ltd, insieme alle altre ricorrenti facenti parte dello stesso gruppo di società (in seguito denominate congiuntamente: la «Dyson»), e la Commissione europea, relativamente ai metodi di prova per l’etichettatura indicante il consumo d’energia degli aspirapolvere ai sensi del diritto dell’Unione (2).
2. Essa riguarda un’impugnazione proposta dalla Dyson avverso la sentenza del Tribunale dell’8 dicembre 2021, Dyson e a./Commissione (T‑127/19, EU:T:2021:870; in prosieguo: la «sentenza impugnata»).
3. Con tale sentenza, il Tribunale ha respinto il ricorso della Dyson per responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea, proposto ai sensi dell’articolo 268 TFUE e dell’articolo 340, secondo comma, TFUE. La Dyson ha lamentato di avere subito un danno a seguito dell’adozione da parte della Commissione del regolamento delegato (UE) n. 665/2013, relativo all’etichettatura indicante il consumo d’energia degli aspirapolvere (3). Il Tribunale ha affermato che la condizione relativa alla sussistenza di una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione non è stata soddisfatta.
4. La presente causa verte quindi sulla nozione di violazione sufficientemente qualificata, che è una condizione per l’insorgere della responsabilità per danni sia dell’Unione europea sia degli Stati membri in caso di violazione del diritto dell’Unione. Essa richiede un chiarimento della Corte circa il metodo di valutazione della gravità dell’infrazione. Più precisamente, la presente causa solleva le importanti questioni indicate di seguito. Se sia effettivamente rilevante che l’istituzione dell’Unione interessata – nel caso di specie, la Commissione – disponesse di discrezionalità ad agire nel settore rilevante o se disponesse di un margine di discrezionalità assai ridotto o addirittura inesistente al riguardo. Come si può determinare se l’istituzione dell’Unione disponesse di discrezionalità? Come la Corte dovrebbe utilizzare gli elementi risultanti dalla giurisprudenza idonei a giustificare la violazione in parola?
II. Antefatti
A. Sintesi dei fatti della presente causa
5. Prima di addentrarci con maggiore dettaglio nel complesso retroscena della presente causa, si rende necessaria una breve spiegazione introduttiva. Con il regolamento delegato 665/2013, la Commissione ha determinato, segnatamente, il metodo di prova dell’efficienza energetica degli aspirapolvere necessario per assegnare un’etichetta di efficienza energetica a tali apparecchi. Il metodo scelto era basato su una prova degli aspirapolvere all’inizio dell’utilizzo, quando i contenitori cominciano appena a riempirsi di polvere. Farò riferimento a tale metodo come «prova a contenitore vuoto».
6. Nella causa Dyson/Commissione (4), la Dyson ha proposto un ricorso di annullamento dinanzi al Tribunale, contestando tale metodo in quanto non sarebbe rappresentativo dell’efficienza energetica degli aspirapolvere «durante l’uso», come previsto dalla normativa di base (direttiva 2010/30/UE (5)) integrata dal regolamento delegato 665/2013. Dopo che la prima sentenza del Tribunale è stata annullata su impugnazione dalla Corte (6), che poi ha rinviato la causa al Tribunale, quest’ultimo ha annullato il regolamento delegato 665/2013 (7). Il Tribunale ha ritenuto che la prova a contenitore vuoto non potesse dimostrare l’efficienza energetica degli aspirapolvere «durante l’uso». A tal fine, era necessario che i contenitori fossero già riempiti a un certo livello.
7. Occorre inoltre spiegare perché la Dyson avesse interesse a contestare la prova a contenitore vuoto. La Dyson produce e vende aspirapolvere ciclonici, o senza sacco (8). A differenza dei tradizionali aspirapolvere con sacco (9), che generano aspirazione per rimuovere polvere e sporcizia dal pavimento, convogliandole in un sacchetto monouso, gli aspirapolvere senza sacco, come suggerisce il loro nome, non richiedono l’uso di sacchetti. Un aspirapolvere ciclonico utilizza la forza centrifuga per separare la polvere e i detriti dall’aria, eliminando così la necessità di sacchetti usa e getta.
8. Questa distinzione è importante nel contesto dei metodi di prova del rendimento energetico degli aspirapolvere al centro della presente causa. Mi risulta che il problema consiste nel fatto che quando un aspirapolvere con sacco utilizza l’aspirazione per rimuovere la polvere, ciò incide sul suo rendimento; quando il sacco, o il contenitore, è vuoto, l’aria fluisce relativamente facilmente attraverso il filtro dell’apparecchio e i pori nel sacco, per cui l’aspirazione è mantenuta; tuttavia, con l’uso dell’aspirapolvere, il sacco e il filtro vengono ostruiti dalla polvere e il flusso d’aria è ridotto. Di conseguenza, la potenza di aspirazione dell’aspirapolvere, l’efficacia pulente e l’efficienza energetica si deteriorano e l’aspirapolvere consuma più energia per contrastare l’ostruzione e compensare la perdita di aspirazione. Gli aspirapolvere ciclonici, invece, non hanno sacchetti e quindi non si ostruiscono. La potenza di aspirazione può essere mantenuta indipendentemente dal fatto che il contenitore sia pieno o meno. In altre parole, gli aspirapolvere ciclonici funzionano altrettanto bene sia pieni che vuoti. Questo punto non è contestato da nessuna delle parti nel presente procedimento.
9. In sintesi, il nocciolo del problema risiede nel fatto che, come sostiene la Dyson nel caso di specie, la prova effettuata a contenitore vuoto rappresenta il massimo rendimento possibile di un aspirapolvere in termini di aspirazione della polvere, nascondendo così il fatto che, quando il consumatore utilizza l’aspirapolvere, nel caso della maggior parte degli aspirapolvere tradizionali il sacco si intasa e l’aspirazione diminuisce. Di conseguenza, l’efficacia pulente e il consumo energetico degli aspirapolvere variano a seconda che la prova sia effettuata a sacco vuoto o quando il sacco per la raccolta della polvere è «pieno».
10. Anche se, dopo la sentenza di annullamento del Tribunale, la prova a contenitore vuoto come base per l’etichettatura energetica è stata abbandonata, la Dyson ritiene di avere subito danni durante il periodo in cui il regolamento delegato 665/2013 era in vigore, prima del suo annullamento. Essa ha quindi presentato un ricorso per risarcimento danni dinanzi al Tribunale.
11. Prima di esaminare il procedimento dinanzi al Tribunale (D) e il procedimento dinanzi alla Corte (E), spiegherò, nella misura necessaria all’analisi degli argomenti della Dyson, la normativa pertinente nel caso di specie (B), nonché le precedenti sentenze della Corte e del Tribunale in questa saga (C).
B. L’etichettatura energetica dell’Unione europea e il regolamento delegato 665/2013
1. Panoramica della legislazione dell’Unione europea in materia di etichettatura energetica e progettazione ecocompatibile
12. In generale, la legislazione dell’Unione europea in materia di etichettatura energetica fornisce ai consumatori informazioni sul consumo energetico e le prestazioni ambientali dei prodotti, al fine di aiutarli a prendere decisioni informate. Essa va di pari passo con la legislazione dell’Unione (10) in materia di progettazione ecocompatibile, che stabilisce requisiti minimi di efficienza energetica di progettazione dei prodotti per migliorare le prestazioni ambientali. Insieme, la legislazione dell’Unione in materia di etichettatura energetica e di progettazione ecocompatibile contribuiscono a conseguire l’obiettivo dell’Unione europea di prevenire e mitigare il cambiamento climatico (11) e si stima che tale legislazione consenta ai consumatori di risparmiare oltre EUR 250 miliardi all’anno (12).
13. Le norme dell’Unione in materia di etichettatura energetica e di progettazione ecocompatibile sono attualmente in vigore per numerosi prodotti (13), quali televisori, lavastoviglie, forni, frigoriferi, lavatrici ed essiccatori. L’etichettatura energetica dell’Unione europea fornisce ai consumatori informazioni sull’efficienza energetica di un prodotto specifico, utilizzando una scala cromatica comparativa da A (più efficiente) a G (meno efficiente). Pare che circa l’85% dei consumatori sappia riconoscere l’etichetta energetica dell’Unione europea e la utilizzi nelle decisioni di acquisto (14).
2. Il contesto normativo della direttiva 2010/30 e del regolamento delegato 665/2013
14. L’etichettatura energetica dell’Unione europea risale alla direttiva 79/530/CEE (15), successivamente sostituita dalla direttiva 92/75/CEE (16). Tuttavia, gli aspirapolvere sono stati inseriti in tale quadro quasi 20 anni dopo, con l’adozione della direttiva 2010/30.
15. Come indicato dal suo articolo 1, paragrafo 1, la direttiva 2010/30, ha istituito un quadro per l’armonizzazione delle misure nazionali sull’informazione degli utilizzatori finali, realizzata in particolare mediante etichettatura e informazioni uniformi sul prodotto, sul consumo di energia e, se del caso, di altre risorse essenziali durante l’uso, in modo che gli utilizzatori finali possano scegliere prodotti più efficienti (17).
16. Come sottolineato dal fatto che l’espressione «durante l’uso» è menzionata 15 volte nella direttiva 2010/30 (18), detta direttiva riguarda l’etichettatura energetica per riflettere il consumo energetico durante l’uso dei prodotti. In effetti, tale questione è stata discussa nell’ambito del processo decisionale che ha portato all’adozione di tale direttiva (19), ed è stata proprio la Commissione, nella sua proposta di direttiva, a introdurre una formulazione in tal senso in numerose disposizioni (20).
17. È importante notare, ai fini della presente causa, che, all’epoca, la direttiva 2010/30, ha stabilito un quadro generale che definiva gli obiettivi strategici nonché i ruoli e le responsabilità, segnatamente, della Commissione, degli Stati membri, dei fabbricanti e degli operatori commerciali. Ai sensi dell’articolo 10 di tale direttiva, alla Commissione era conferito il potere di adottare atti delegati (ai sensi dell’articolo 290 TFUE), per elaborare le specifiche in materia di etichettatura energetica per determinati gruppi di prodotti, compresi gli aspirapolvere.
18. L’articolo 10, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2010/30 era così formulato:
«Le disposizioni previste negli atti delegati relativamente alle informazioni contenute sull’etichetta e nella scheda in merito al consumo di energia e di altre risorse essenziali durante l’uso devono consentire agli utilizzatori finali di prendere decisioni [di acquisto] in maniera più informata e alle autorità di sorveglianza del mercato di verificare se i prodotti sono conformi alle informazioni fornite» (21).
19. La direttiva 2010/30 è stata successivamente sostituita dal regolamento (UE) 2017/1369 (22). Tale regolamento mantiene nella sostanza il medesimo ambito di applicazione della direttiva 2010/30, ma modifica e rafforza alcune disposizioni per chiarirne e aggiornarne il contenuto, tenendo conto del progresso tecnologico conseguito negli ultimi anni in materia di efficienza energetica dei prodotti. (23) Esso sottolinea che i metodi di prova dovrebbero riflettere condizioni di utilizzo quanto più reali possibile (24).
20. A differenza di altri prodotti, gli aspirapolvere non erano soggetti alle norme dell’Unione europea in materia di etichettatura energetica fino all’adozione della direttiva 2010/30 né alle norme dell’Unione europea sulla progettazione ecocompatibile, fino all’adozione della direttiva 2009/125/CE (25); sulla base di una valutazione d’impatto approfondita, è stato deciso che la Commissione adottasse i pertinenti regolamenti in parallelo (26).
21. Il regolamento delegato 665/2013 fissava requisiti di etichettatura per la maggior parte dei tipi di aspirapolvere standard (27). Esso imponeva ai fornitori e ai rivenditori di provvedere affinché gli aspirapolvere fossero corredati di una tale etichettatura a decorrere dal 1° settembre 2014 (28). Le informazioni da riportare su tali etichette dovevano essere ottenute utilizzando metodi di prova; affidabili, accurati e riproducibili, come definiti all’allegato VI del regolamento delegato 665/2013 (29). Il paragrafo 1 di tale allegato rinviava a tal fine alle norme armonizzate pubblicate nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.
22. A tal riguardo, la Commissione ha pubblicato riferimenti alla norma EN 60312-1:2013 (in prosieguo: la «norma Cenelec») del Comitato europeo di normalizzazione elettrotecnica (in prosieguo: il «Cenelec»), che riguarda i metodi per la verifica delle prestazioni degli aspirapolvere per uso domestico. La clausola 5.9 della norma Cenelec, riguardante un metodo di prova a contenitore pieno, non è tuttavia stata inclusa (30). Farò riferimento a tale metodo come la «prova con contenitore per la polvere pieno di cui alla clausola 5.9».
23. Come conseguenza di tale esclusione, ai fini dell’applicazione dell’allegato VI del regolamento delegato n. 665/2013, la norma armonizzata per il calcolo del consumo energetico annuo degli aspirapolvere si basava su un metodo di prova eseguito con un contenitore vuoto (conformemente alle clausole 4.5 e 5.3 della norma Cenelec) e non su un metodo di prova con contenitore per la raccolta della polvere pieno (conformemente alla clausola 5.9 della norma Cenelec).
24. Di conseguenza, per misurare l’efficienza energetica degli aspirapolvere ai sensi del regolamento delegato 665/2013 poteva essere utilizzato solo il metodo di prova con contenitore per la raccolta della polvere vuoto (31).
C. Fatti che hanno condotto al procedimento dinanzi al Tribunale
1. Ricorso di annullamento avverso il regolamento delegato 665/2013
25. Il 7 ottobre 2013 la Dyson Ltd. ha proposto, dinanzi al Tribunale, un ricorso diretto all’annullamento del regolamento delegato 665/2013, sulla base dell’articolo 263 TFUE. A sostegno del proprio ricorso, essa ha dedotto tre motivi vertenti, in primo luogo, sul difetto di competenza della Commissione, in secondo luogo, su una carenza di motivazione di detto regolamento e, in terzo luogo, su una violazione del principio della parità di trattamento.
26. Con sentenza dell’11 novembre 2015, Dyson/Commissione (T‑544/13, EU:T:2015:836), il Tribunale ha rigettato il ricorso, respingendo tali motivi in quanto infondati. La Dyson ha proposto impugnazione avverso tale sentenza.
27. Con sentenza dell’11 maggio 2017, Dyson/Commissione (C‑44/16 P, EU:C:2017:357, in prosieguo: la «sentenza di annullamento della Corte»), la Corte di giustizia ha annullato la succitata sentenza nella parte in cui il Tribunale aveva respinto i motivi relativi al difetto di competenza della Commissione e alla violazione del principio della parità di trattamento.
28. È importante notare che la Corte ha affermato che il requisito, quale risulta dall’articolo 1 e dall’articolo 10, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2010/30, secondo cui le informazioni fornite ai consumatori devono riflettere il consumo energetico durante l’uso del dispositivo, costituisce un elemento essenziale di detta direttiva (32), ai sensi dell’articolo 290 TFUE. Esso deve, pertanto, essere stabilito nella normativa di base e non può costituire oggetto di una delega. Inoltre, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, secondo la Corte intendere l’espressione «durante l’uso», figurante all’articolo 10, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2010/30, nel senso che essa fa riferimento alle condizioni effettive di utilizzo, costituisce non già un’interpretazione «troppo estensiva» di tale disposizione, ma il significato stesso di detta precisazione (33).
29. Di conseguenza, la Corte ha stabilito, al punto 68 di tale sentenza, che la Commissione «aveva quindi l’obbligo, al fine di non violare un elemento essenziale della direttiva 2010/30, di adottare [nel regolamento delegato 665/2013] un metodo di calcolo che permetta di misurare il rendimento energetico degli aspirapolvere in condizioni più vicine possibile alle condizioni effettive di utilizzo, che richieda che il contenitore per la raccolta della polvere dell’aspirapolvere sia pieno a un certo livello, tenuto conto tuttavia delle esigenze connesse alla validità scientifica dei risultati ottenuti e all’esattezza delle informazioni fornite ai consumatori quali quelle contemplate, in particolare al considerando 5 e all’articolo 5, lettera b), di tale direttiva» (34).
30. In sede di rinvio, con sentenza dell’8 novembre 2018, Dyson/Commissione (T‑544/13 RENV, EU:T:2018:761; in prosieguo: la «sentenza di annullamento del Tribunale su rinvio»), il Tribunale ha annullato il regolamento delegato n. 665/2013.
31. In tale sentenza (35), il Tribunale ha considerato il fatto che dal punto 68 della sentenza di annullamento della Corte risultava che, affinché il metodo adottato dalla Commissione fosse conforme agli elementi essenziali della direttiva 2010/30, dovevano essere soddisfatte due condizioni cumulative. In primo luogo, per misurare il rendimento energetico degli aspirapolvere in condizioni più vicine possibile alle condizioni effettive di utilizzo, il contenitore per la raccolta della polvere dell’aspirapolvere doveva essere riempito a un certo livello. In secondo luogo, il metodo adottato doveva soddisfare determinate condizioni connesse alla validità scientifica dei risultati ottenuti e all’esattezza delle informazioni fornite ai consumatori. Dall’articolo 7 del regolamento delegato 665/2013 e dall’insieme del fascicolo risultava che la Commissione aveva adottato un metodo di calcolo del rendimento energetico degli aspirapolvere basato su contenitori per la raccolta della polvere vuoti. La prima condizione non era pertanto soddisfatta, il che per il Tribunale era sufficiente per dichiarare che la Commissione aveva violato un elemento essenziale della direttiva 2010/30, senza che esso dovesse pronunciarsi sulla questione se tale metodo soddisfacesse o meno la seconda condizione.
32. Per di più, il Tribunale ha messo in evidenza che, se nessun metodo di calcolo utilizzato con il contenitore per la raccolta della polvere riempito fino a un certo livello avesse soddisfatto le esigenze connesse alla validità scientifica dei risultati ottenuti e all’esattezza delle informazioni fornite ai consumatori, la Commissione sarebbe restata in grado di esercitare il suo diritto di iniziativa legislativa, al fine di proporre una modifica della direttiva 2010/30 (36).
33. Il Tribunale ha quindi annullato il regolamento delegato 665/2013 nella sua integralità, non ritenendo necessario pronunciarsi sul terzo motivo, vertente sulla violazione del principio della parità di trattamento (37).
2. Procedimento pregiudiziale vertente sull’interpretazione del regolamento delegato 665/2013
34. Nel frattempo, con sentenza del 25 luglio 2018, Dyson (C‑632/16, EU:C:2018:599), la Corte si è pronunciata in via pregiudiziale sul rinvio da parte di un tribunale belga di questioni relative all’interpretazione del regolamento delegato 665/2013 e della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori (38). Tale domanda era stata sollevata nell’ambito di una controversia tra la Dyson Ltd e la Dyson BV, da un lato, e la BSH Home Appliances NV (in prosieguo: la «BSH»), dall’altro, riguardante varie etichette che descrivono il consumo di energia degli aspirapolvere tradizionali («con sacco») commercializzati dalla BSH con i marchi Siemens e Bosch, compresa l’etichetta di consumo richiesta dal regolamento delegato 665/2013. La Dyson Ltd e la Dyson BV hanno sostenuto, in particolare, che l’uso di tali etichette da parte della BSH senza precisare che esse riflettono i risultati di prove effettuate con un sacchetto vuoto costituiva una pratica commerciale sleale in grado di indurre i consumatori in errore.
35. Nella sua sentenza (39), la Corte ha dichiarato, in particolare, che la direttiva 2010/30 e il regolamento delegato 665/2013 devono essere interpretati nel senso che nessuna informazione relativa alle condizioni in cui è stata valutata l’efficienza energetica degli aspirapolvere può essere aggiunta sull’etichetta energetica dell’Unione europea.
D. Il procedimento dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata
36. Il 21 febbraio 2019 la Dyson ha proposto dinanzi al Tribunale un ricorso per risarcimento danni basato sulla responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 268 TFUE e dell’articolo 340, secondo comma, TFUE.
37. La Dyson ha reclamato un importo pari a EUR 176,1 milioni, interessi compresi o, in subordine, un importo pari a EUR 127,1 milioni, interessi compresi, e ha chiesto la condanna della Commissione alle spese. La Commissione ha chiesto il rigetto di tale ricorso e la condanna della Dyson alle spese.
38. Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che la Dyson non aveva soddisfatto una delle condizioni principali per determinare la responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea, ossia l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata, in relazione a quattro asserite violazioni del diritto dell’Unione da parte della Commissione. Pertanto, esso ha respinto il ricorso.
39. In primo luogo, per quanto riguarda la violazione dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2010/30, il Tribunale ha constatato che la Commissione non disponeva di alcun margine di discrezionalità che le consentisse di eccedere il mandato ad essa conferito dalla direttiva 2010/30 (punto 36 della sentenza impugnata). Nondimeno, il Tribunale ha dichiarato che l’assenza di potere discrezionale non bastava per poter affermare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata e che si rendeva necessario prendere in considerazione altri fattori determinati, come risulta dalla giurisprudenza (punti 37 e 38 della sentenza impugnata).
40. Il Tribunale ha osservato che, alla luce della sentenza di annullamento della Corte e della sentenza di annullamento del Tribunale su rinvio, l’applicazione dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2010/30 al caso specifico degli aspirapolvere suscitava divergenze di valutazione indicative di difficoltà interpretative quanto alla chiarezza e alla precisione di tale disposizione e, più in generale, della direttiva 2010/30 nel suo complesso (punti da 40 a 45 della sentenza impugnata).
41. Il Tribunale ha altresì affermato, con riferimento alla complessità della situazione da disciplinare e all’eventuale intenzionalità o inescusabilità dell’errore, che la Commissione era legittimata a ritenere, senza disattendere in modo manifesto e grave i limiti del proprio potere discrezionale, che il metodo di prova con contenitore per la polvere, pieno di cui alla clausola 5.9, non fosse in grado di garantire la validità scientifica e l’accuratezza delle informazioni fornite ai consumatori e a optare invece per la prova a contenitore vuoto, scientificamente valida. Il Tribunale ha inoltre osservato che l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2010/30 limitava la delega di poteri alla Commissione per cinque anni, con la conseguenza che quest’ultima non poteva posporre l’adozione delle norme in materia di etichettatura energetica fino all’adozione da parte del Cenelec di un metodo di prova a contenitore di polvere pieno. Per di più, né il Parlamento europeo né il Consiglio si sono opposti all’adozione del regolamento delegato n. 665/2013. Secondo il Tribunale, tali circostanze sono servite a confermare il carattere scusabile della violazione da parte della Commissione dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2010/30 (punti da 94 a 97 della sentenza impugnata).
42. Il Tribunale è giunto alla conclusione che, in considerazione di tali fattori, nonché della complessità tecnica dei problemi da risolvere e delle difficoltà di applicazione e di interpretazione dei testi pertinenti, un’amministrazione normalmente prudente e diligente poteva ritenere di esporsi ad un rischio decidendo di utilizzare il metodo di prova a contenitore di polvere pieno piuttosto che quello con contenitore vuoto. Pertanto, la Commissione ha dato prova di un comportamento che ci si può attendere da una tale autorità amministrativa e non ha violato in modo grave e manifesto i limiti posti all’esercizio dei suoi poteri discrezionali (punto 97 della sentenza impugnata).
43. Inoltre, basandosi su tali constatazioni, il Tribunale ha affermato che la Commissione, adottando il metodo di prova a contenitore vuoto, non ha trasgredito in modo manifesto e grave i limiti imposti al proprio potere discrezionale né ha commesso una violazione sufficientemente qualificata con riferimento alle tre altre asserite violazioni del diritto dell’Unione, vale a dire il principio della parità di trattamento (punti da 105 a 112 della sentenza impugnata), il principio di buona amministrazione e l’obbligo di diligenza (punti da 116 a 119 della sentenza impugnata) e il diritto all’esercizio di un’attività commerciale o d’impresa (punti da 123 a 131 della sentenza impugnata).
E. Il procedimento dinanzi alla Corte di giustizia
44. Con impugnazione proposta il 18 febbraio 2022, la Dyson chiede alla Corte di annullare integralmente la sentenza impugnata, dichiarare che la Commissione è incorsa in una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione e rinviare la causa al Tribunale. La Dyson chiede inoltre alla Corte di condannare la Commissione alle spese.
45. Nella sua comparsa di risposta, datata 22 giugno 2022, la Commissione chiede alla Corte di respingere l’impugnazione e di condannare la Dyson alle spese.
46. La Dyson e la Commissione hanno anche presentato una replica e una controreplica, rispettivamente il 22 agosto 2022 e il 30 settembre 2022.
47. Il 20 aprile 2023 si è tenuta un’udienza, nel corso della quale la Dyson e la Commissione hanno svolto difese orali.
III. Analisi
48. La Dyson deduce sette motivi di impugnazione. I primi quattro vertono sull’asserita violazione, da parte della Commissione, dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2010/30, ove il primo motivo riguarda il travisamento dei motivi di ricorso dedotti dalla Dyson dinanzi al Tribunale e il secondo, il terzo e il quarto motivo lamentano l’erronea applicazione del criterio giuridico per stabilire l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata come segue: il secondo motivo verte sull’erronea applicazione del metodo per valutare la gravità dell’infrazione quanto all’assenza di un margine di discrezionalità della Commissione; il terzo motivo si fonda sull’erronea valutazione del criterio giuridico per stabilire l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata con riferimento a difficoltà interpretative e alla chiarezza e precisione della norma violata; il quarto motivo si fonda sull’erronea valutazione del criterio giuridico per quanto riguarda la complessità normativa. Il quinto, sesto e settimo motivo vertono, rispettivamente, sull’erronea applicazione del criterio giuridico per stabilire l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata in relazione alle asserite violazioni del principio della parità di trattamento, del principio di buona amministrazione e del diritto al libero esercizio di un’attività commerciale o d’impresa.
49. Comincerò con l’affrontare il primo motivo d’impugnazione. A mio avviso, il resto della valutazione dipende dalla determinazione di quale fosse esattamente la violazione che la Dyson contestava alla Commissione. La questione di stabilire se il Tribunale abbia commesso un errore di diritto nel valutare se tale violazione fosse sufficientemente qualificata dipende quindi da tale problema. Poiché ritengo che il Tribunale abbia travisato le censure mosse dalla Dyson, gran parte degli argomenti con cui esso è giunto alla conclusione che la violazione non fosse sufficientemente qualificata è irrilevante. Procederò nondimeno alla valutazione degli altri sei motivi d’impugnazione, vertenti sull’erronea applicazione del metodo per valutare la gravità dell’infrazione.
A. Sul primo motivo di impugnazione
50. Con il primo motivo d’impugnazione, la Dyson contesta in sostanza al Tribunale di aver travisato il suo motivo di ricorso. Mentre essa ha affermato che la Commissione ha commesso una violazione sufficientemente qualificata adottando il metodo di prova a contenitore vuoto, ai punti da 52 a 82 della sentenza impugnata il Tribunale ha invece erroneamente esaminato la questione se la Commissione fosse legittimata a respingere la prova con contenitore per la polvere pieno di cui alla clausola 5.9 (40).
51. È vero che, nella sentenza impugnata, il Tribunale ha dedicato particolare attenzione alla valutazione della questione se la Commissione avesse correttamente escluso il criterio della prova con contenitore per la polvere pieno di cui alla clausola 5.9. Tale valutazione è rilevante solo se l’argomento da esaminare sia il fatto che la Commissione abbia erroneamente respinto tale metodo. Tuttavia, non era questo che la Dyson intendeva dedurre. La Dyson non ha affermato che la Commissione aveva erroneamente escluso un possibile metodo di prova con contenitore pieno, ma piuttosto che la Commissione aveva commesso una violazione sufficientemente qualificata scegliendo la prova a contenitore vuoto.
52. Tale distinzione è importante, dal momento che determina il livello di discrezionalità di cui disponeva la Commissione, il che è a sua volta rilevante per rispondere agli altri motivi dedotti dalla Dyson dinanzi al Tribunale. Essa non contesta il potere discrezionale della Commissione di decidere quale tipo di metodo di prova a contenitore pieno adottare. Al contrario, secondo la Dyson, la scelta della prova a contenitore vuoto non rientrava nel margine di discrezionalità di cui la Commissione disponeva in virtù della normativa di base.
53. La Commissione sostiene che per il Tribunale era giuridicamente rilevante valutare se l’unico altro metodo di prova riconosciuto e disponibile al momento dell’adozione del regolamento delegato 665/2013, segnatamente la prova con contenitore per la polvere pieno di cui alla clausola 5.9, fosse un’alternativa scientificamente accurata. In sede di elaborazione di tale regolamento, la scelta, quale determinata dalla Commissione nell’ambito del suo potere discrezionale in materia di definizione di politiche complesse, era tra il metodo con contenitore vuoto e quello con contenitore parzialmente riempito e null’altro; nessun metodo di prova con contenitore parzialmente riempito era scientificamente affidabile, compresa la prova con contenitore per la polvere pieno di cui alla clausola 5.9. Di conseguenza, la Commissione adduce che potrebbe essere scusata per avere adottato quello che quindi era l’unico metodo di prova scientificamente affidabile, vale a dire la prova a contenitore vuoto.
54. Non posso concordare con la Commissione. L’indisponibilità di un metodo di prova scientificamente valido con contenitore parzialmente riempito non conferisce alla Commissione la libertà di adottare la prova a contenitore vuoto. Di conseguenza, non sarebbe stato possibile scegliere tra la prova a contenitore vuoto e quella a contenitore parzialmente riempito. La scelta era unicamente tra diversi metodi di prova con contenitore parzialmente riempito o nessuna prova.
55. Nella sua sentenza di annullamento su rinvio, il Tribunale ha considerato che l’utilizzo della prova a contenitore vuoto richiedesse la modifica della legislazione di base (41). In udienza, tuttavia, la Commissione ha spiegato che proporre una modifica legislativa dell’articolo 10 della direttiva 2010/30 sarebbe stato un approccio illogico e difficile. Non solo una modica di questo tipo avrebbe richiesto tempi molto lunghi, ma avrebbe anche disallineato il regolamento delegato 665/2013 rispetto alle norme sulla progettazione ecocompatibile, dal momento che i quadri giuridici dell’Unione europea in materia di etichettatura energetica e di progettazione ecocompatibile operano normalmente di pari passo, rafforzandosi a vicenda per quanto riguarda i prodotti connessi all’energia.
56. Per quanto possa essere vero, ciò non può giustificare la scelta di un metodo di prova che non è ai sensi del diritto dell’Unione, quale la prova a contenitore vuoto.
57. Pertanto, considero fondato il primo motivo d’impugnazione, secondo cui il Tribunale avrebbe travisato il motivo di ricorso della Dyson.
B. Sul secondo motivo di impugnazione
58. Con il secondo motivo d’impugnazione, la Dyson contesta in sostanza al Tribunale di avere erroneamente affermato, ai punti 37 e 38 della sentenza impugnata, che la violazione di un requisito non discrezionale non era di per sé sufficientemente qualificata, dato il particolare contesto del caso di specie. Secondo la Dyson, il requisito «durante l’uso» era un elemento essenziale della direttiva 2010/30, con cui il legislatore dell’Unione intendeva limitare il potere discrezionale della Commissione. La Commissione era consapevole della natura fuorviante della prova a contenitore vuoto, in base alla relazione del proprio esperto e alle risposte alle consultazioni con gli interessati, e del fatto che tale prova rischiava di nuocere all’ambiente e precludeva ai produttori la possibilità di informare i consumatori di tali rischi. Come sottolineato dalla Dyson in udienza, il Tribunale ha constatato che la Commissione non disponeva di alcun margine di discrezionalità e che, pertanto, la questione avrebbe dovuto essere chiusa (42).
59. La Commissione sostiene che il Tribunale ha applicato correttamente il criterio giuridico della violazione sufficientemente qualificata in relazione al potere discrezionale della Commissione (43). Come sostenuto da quest’ultima in udienza, la Corte dovrebbe confermare la giurisprudenza del Tribunale secondo cui non esiste un nesso automatico tra la mancanza di potere discrezionale e la constatazione relativa all’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata e che occorre prendere in considerazione gli altri fattori indicati nella giurisprudenza. La Commissione ha inoltre sostenuto in udienza che, se un margine di discrezionalità ridotto o inesistente porta a concludere per l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata in presenza di un obbligo chiaro e preciso ai sensi del diritto dell’Unione, non è questo il caso nella fattispecie.
60. Si pone la questione se la semplice violazione di una norma del diritto dell’Unione che non lascia alcun margine di discrezionalità all’istituzione dell’Unione interessata sia sufficiente affinché la violazione di tale norma possa essere considerata sufficientemente qualificata o se la Corte debba comunque tener conto di altri fattori che possano giustificare tale violazione.
61. A mio avviso, la risposta a tale questione non risulta chiaramente dalla giurisprudenza. Altrettanta importanza riveste il fatto che la giurisprudenza non fornisce alcuna indicazione circa le modalità con cui determinare se un’istituzione disponga di potere discrezionale. Nel corso degli anni, alcuni avvocati generali (44) e la letteratura accademica (45) hanno sottolineato la natura non concludente della giurisprudenza e messo in dubbio la pertinenza del potere discrezionale quale criterio, giacché valutare se una violazione sia sufficientemente qualificata dipende in ogni caso da altri fattori.
62. La mia analisi della giurisprudenza esistente suggerisce che il potere discrezionale riveste un ruolo nel determinare se una violazione del diritto dell’Unione possa essere definita sufficientemente qualificata, ma che tale ruolo non è decisivo. In tale ottica, il Tribunale non è incorso in un errore di diritto affermando, ai punti 37 e 38 della sentenza impugnata, che l’assenza di discrezionalità non è sufficiente per giungere alla conclusione che sussiste una violazione sufficientemente qualificata e che rimane necessario verificare l’eventuale presenza di elementi che possano giustificare la violazione.
63. Nelle considerazioni che seguono, esaminerò brevemente la giurisprudenza pertinente relativa alla responsabilità dell’Unione europea e alla responsabilità degli Stati membri (46).
1. Giurisprudenza pertinente in materia di responsabilità dell’Unione europea e degli Stati membri
64. Come è noto, dopo la sentenza Bergaderm (47), la giurisprudenza relativa alla responsabilità dell’Unione e degli Stati membri per i danni derivanti dalla violazione del diritto dell’Unione si è evoluta in modo armonioso. Basandosi sulla sua precedente sentenza relativa alla responsabilità dello Stato nella causa Brasserie (48), la Corte ha ricordato nella sentenza Bergaderm, che i presupposti del sorgere della responsabilità dell’Unione europea e degli Stati membri per danni cagionati ai singoli in conseguenza della violazione del diritto dell’Unione non devono essere diversi. Questo perché la tutela dei diritti attribuiti ai singoli dal diritto dell’Unione non può variare in funzione della natura, nazionale o dell’Unione, dell’organo che ha cagionato il danno (49).
65. Ciò significa che la giurisprudenza relativa alle condizioni per stabilire la responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea, compresa una violazione sufficientemente qualificata, si è evoluta in linea con quella relativa alla responsabilità degli Stati. Così, nella sentenza Bergaderm, la Corte ha ripreso la formula che sembrava chiaramente stabilita nella precedente giurisprudenza in materia di responsabilità dello Stato, secondo la quale la valutazione della gravità della violazione dipende dalla questione se lo Stato membro, o l’istituzione dell’Unione, disponesse o meno di potere discrezionale quando ha asseritamente agito in violazione del diritto dell’Unione. Quando l’istituzione di cui trattasi dispone solo di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non inesistente, la semplice trasgressione del diritto dell’Unione può essere sufficiente per accertare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata (50).
66. Tale distinzione tra l’esistenza e l’assenza di potere discrezionale traeva origine da due cause che sono state determinanti in materia di responsabilità degli Stati. Nella prima causa in cui la Corte ha stabilito il principio della responsabilità degli Stati, ossia la causa Francovich (51), essa non ha neppure menzionato una violazione sufficientemente qualificata quale presupposto per la responsabilità (52). Tuttavia, le circostanze di tale causa riguardavano una situazione in cui uno Stato membro aveva agito in un ambito del diritto dell’Unione in cui non disponeva di alcun margine di discrezionalità. In tale causa, la violazione consisteva nel mancato recepimento di una direttiva da parte di uno Stato membro nei tempi previsti. Se è vero che gli Stati membri possono, in linea di principio, scegliere le misure con cui recepire una direttiva nel diritto nazionale, essi non possono scegliere se recepire o meno una direttiva. In tal caso, è evidente che la semplice violazione del diritto dell’Unione (il mancato recepimento di una direttiva) comporta la responsabilità di uno Stato membro nei confronti di un singolo che abbia subito un danno a causa di tale mancato recepimento.
67. La situazione sarebbe diversa se lo Stato membro avesse recepito una direttiva, ma lo avesse fatto in modo errato. Infatti, gli Stati membri dispongono di una scelta quanto alle modalità con cui recepire una direttiva, per cui tale errore potrebbe, in talune circostanze, essere qualificato come scusabile e non comportare alcuna responsabilità. La prima causa, nella quale la Corte ha avuto occasione di pronunciarsi sul sorgere della responsabilità in una situazione in cui uno Stato membro aveva libertà di scelta, non riguardava tuttavia il recepimento di una direttiva, bensì la violazione di una disposizione del Trattato. Nella causa Brasserie (53), i due Stati membri interessati avevano commesso una violazione del diritto dell’Unione scegliendo di adottare misure legislative nazionali (riguardanti, rispettivamente, la definizione di birra e l’immatricolazione di pescherecci) che violavano comunque le regole del mercato interno previste dal Trattato. Tali Stati membri si trovavano in una situazione in cui godevano di potere discrezionale quanto alle modalità normative. Tuttavia, il loro potere discrezionale nella scelta delle misure appropriate era limitato da tali regole del Trattato. Tali circostanze hanno portato la Corte a concludere che, quando uno Stato membro agisce in un ambito in cui ha un’ampia discrezionalità, la responsabilità può sorgere solo se la violazione è sufficientemente qualificata.
68. Il motivo per cui l’Unione europea o gli Stati membri non incorrono in responsabilità per qualsiasi violazione del diritto dell’Unione, ma solo per una violazione che sia sufficientemente qualificata, discende dalla necessità di una ponderazione tra, da un lato, la tutela dei singoli contro gli atti illeciti delle istituzioni (dell’Unione europea o dello Stato membro) e, dall’altro, il margine di discrezionalità che occorre riconoscere alle stesse per non paralizzarne l’azione (54).
69. Nella sentenza Brasserie (55), la Corte ha affermato che il criterio decisivo per considerare sufficientemente qualificata una violazione in una situazione in cui uno Stato membro gode di potere discrezionale è quello della violazione manifesta e grave dei limiti posti al suo potere discrezionale. Dopo la sentenza Bergaderm, lo stesso criterio è stato utilizzato anche per determinare la gravità di una violazione commessa dalle istituzioni dell’Unione europea (56).
70. Nella sentenza Brasserie (57) la Corte ha elencato alcuni elementi che possono essere presi in considerazione per valutare se uno Stato membro abbia violato in maniera manifesta e grave i limiti posti al suo potere discrezionale (58). Così, ad esempio, da un lato, la natura oscura o imprecisa della norma violata, o il fatto che la posizione assunta da un’istituzione dell’Unione possa aver contribuito all’omissione, avrebbero potuto rendere la violazione scusabile. D’altro canto, il fatto che la violazione fosse deliberata, o che persistesse nonostante la pronuncia di una sentenza di accertamento dell’inadempimento contestato o una giurisprudenza consolidata della Corte in materia, costituivano elementi che potevano portare a concludere che una violazione fosse sufficientemente qualificata. In ogni caso, come sembra suggerire la giurisprudenza, elementi quali quelli elencati nella sentenza Brasserie non hanno carattere esaustivo (59).
71. È importante osservare che, nella sentenza Brasserie, gli elementi che potrebbero giustificare la violazione sono stati considerati in relazione a una situazione in cui gli Stati membri interessati disponevano di un ampio potere discrezionale.
72. Pertanto, quando la Corte ha scelto di allineare la responsabilità dell’Unione europea e degli Stati nella sentenza Bergaderm, sembrava che ci fossero regole chiare per determinare la gravità della violazione. Se un’istituzione dell’Unione non aveva discrezionalità o ne aveva in misura molto limitata, la semplice violazione del diritto dell’Unione era di per sé sufficientemente qualificata. Se, al contrario, l’istituzione dell’Unione disponeva di potere discrezionale, la violazione sarebbe stata sufficientemente qualificata solo se tale istituzione avesse vilato in modo grave e manifesto i limiti posti al suo potere discrezionale. A seconda delle circostanze del caso specifico, i giudici dell’Unione dovevano considerare diversi elementi per determinare se la violazione fosse o meno scusabile.
73. Per quanto riguarda la controversia in esame, se le regole stabilite dalla giurisprudenza in merito alla valutazione dell’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata fossero effettivamente così chiare, ciò porterebbe a concludere che il Tribunale ha commesso un errore di diritto avendo preso in considerazione svariati elementi, pur avendo constatato che la Commissione non disponeva di alcun margine di discrezionalità nella scelta della prova a contenitore vuoto.
74. Tuttavia, la giurisprudenza sviluppatasi dopo la sentenza Bergaderm non consente di concludere che la distinzione tra l’esistenza e l’assenza di discrezionalità e il rapporto tra il potere discrezionale e la gravità della violazione sia così netta.
75. Nella sezione che segue, proporrò una classificazione e una breve analisi di tale giurisprudenza.
2. Classificazione della giurisprudenza dopo la sentenza nella causa Bergaderm
76. Ai fini della presente controversia, la giurisprudenza che ha seguito la sentenza Bergaderm può essere classificata in quattro gruppi: nel primo gruppo rientrano le cause in cui i giudici dell’Unione hanno accertato l’assenza di un potere discrezionale ed hanno quindi concluso per l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata; il secondo gruppo include le cause in cui i giudici dell’Unione hanno stabilito l’esistenza di un potere discrezionale considerevolmente ridotto, se non inesistente, ma dopo aver considerato diversi elementi, hanno ritenuto la violazione non sufficientemente qualificata; il terzo gruppo comprende le cause in cui i giudici dell’Unione hanno stabilito l’esistenza di un potere discrezionale, ma dopo aver esaminato differenti fattore, hanno ritenuto che la violazione fosse sufficientemente qualificata; nel quarto gruppo rientrano le cause in cui i giudici dell’Unione hanno stabilito l’esistenza di un potere discrezionale e, dopo aver considerato differenti fattori, hanno ritenuto che la violazione non fosse sufficientemente qualificata.
a) Il primo gruppo di cause
77. In primo luogo, esiste una giurisprudenza secondo cui i giudici dell’Unione hanno ritenuto che l’istituzione che aveva commesso la violazione non disponesse di alcun margine di discrezionalità e che la responsabilità conseguisse quindi automaticamente. Casi simili esistono in relazione alla responsabilità sia dell’Unione (60), sia dello Stato(61).
78. È interessante notare che alcuni di tali cause riguardanti la responsabilità dello Stato non erano cause in cui gli Stati membri non avevano recepito una direttiva nei tempi previsti, ma piuttosto cause riguardanti l’erroneo recepimento di una direttiva, situazione nella quale gli Stati membri dispongono generalmente di una scelta. Nondimeno, la Corte ha considerato che, in tali casi, gli Stati membri non disponevano di alcun margine di discrezionalità. L’elemento rilevante per la Corte erano la chiarezza e la precisione della norma violata, fatto che non lasciava dubbi quanto al risultato che doveva essere conseguito dagli Stati membri.
79. Applicando tale ragionamento al caso di specie, sarebbe possibile concludere, come ha fatto il Tribunale, che la Commissione non aveva alcuna discrezionalità per adottare il metodo di prova a contenitore vuoto, poiché la regola nella normativa di base che imponeva di verificare gli aspirapolvere «durante l’uso» era chiara. Tuttavia, la giurisprudenza relativa al primo gruppo suggerisce che, contrariamente a quanto concluso dal Tribunale, la responsabilità dovrebbe conseguire automaticamente.
b) Il secondo gruppo di cause
80. Vi è altra giurisprudenza che depone in senso diverso. Il secondo gruppo di cause riguarda situazioni in cui i giudici dell’Unione hanno stabilito che non vi era alcuna discrezionalità o soltanto una discrezionalità limitata in relazione alla norma dell’Unione che era stata violata, ma hanno nondimeno considerato altri fattori e concluso che la violazione poteva essere qualificata come scusabile. Pertanto, non sarebbe sorta alcuna responsabilità. Se tali esempi sono difficili da trovare per quanto riguarda la responsabilità dello Stato (62), essi non sono rari nella giurisprudenza relativa alla responsabilità dell’Unione (63).
81. Ad esempio, la sentenza nella causa Holcim (Deutschland)/Commissione (64) riguardava il rimborso di spese di garanzia bancaria sostenute dalla ricorrente in luogo di ammende imposte con decisione della Commissione in materia di diritto della concorrenza, successivamente annullata. Il Tribunale ha stabilito che, nella specie, il potere discrezionale della Commissione era ridotto e che quindi la violazione, cioè l’insufficienza delle prove dedotte a sostegno delle pratiche incriminate della ricorrente, era tale da dimostrare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata. Tuttavia, tenuto conto della complessità della causa e delle difficoltà di applicazione delle disposizioni del Trattato in materia di intese, il Tribunale ha stabilito che la violazione non era sufficientemente qualificata. In sede di impugnazione (65), la Corte ha confermato l’approccio del Tribunale (66).
82. Applicando questo ragionamento al caso di specie, si può concludere che il Tribunale non è incorso in un errore di diritto quando ha considerato di poter valutare fattori aggiuntivi, anche dopo aver constatato che la Commissione non disponeva di potere discrezionale nell’adottare il metodo della prova a contenitore vuoto. Tali elementi aggiuntivi potrebbero scusare la violazione della Commissione, nel qual caso, la violazione non sarebbe considerata sufficientemente qualificata per far sorgere la responsabilità della Commissione.
c) Il terzo e il quarto gruppo di cause
83. Il terzo gruppo riguarda le cause in cui i giudici dell’Unione europea hanno stabilito che l’istituzione disponeva di un potere discrezionale in relazione alla norma dell’Unione che era stata violata e, dopo avere considerato diversi elementi, hanno concluso che la violazione era sufficientemente qualificata. Esempi possono essere reperiti sia nel contesto della responsabilità dell’Unione (67) che in quello della responsabilità dello Stato (68).
84. Ad esempio, la sentenza nella causa Mediatore/Staelen (69) riguardava asserite violazioni, da parte del Mediatore europeo, dell’obbligo di diligenza nell’ambito del trattamento di una denuncia. La Corte ha dichiarato che il Tribunale era incorso in un errore di diritto per aver stabilito in termini generali che una semplice violazione dell’obbligo di diligenza costituiva una violazione sufficientemente qualificata; come risulta dalla giurisprudenza, il Mediatore dispone di un ampio potere discrezionale. La Corte ha stabilito, comunque, che il Mediatore aveva commesso errori inescusabili e che aveva palesemente e gravemente violato i limiti posti al suo potere discrezionale nello svolgimento della sua indagine, incorrendo così in tre violazioni sufficientemente qualificate del diritto dell’Unione (70).
85. Nel quarto gruppo di cause, l’esistenza di un potere discrezionale e la valutazione dei diversi elementi hanno portato i giudici dell’Unione a concludere che la violazione non era sufficientemente qualificata. Anche in questo caso la giurisprudenza contiene esempi relativi alla responsabilità dell’Unione (71) e alla responsabilità dello Stato (72).
86. Ad esempio, la sentenza nella causa SGL Carbon e a./Commissione (73) riguardava l’asserita illegittima classificazione da parte della Commissione di una determinata sostanza ai sensi del pertinente regolamento dell’Unione. La Corte ha confermato la valutazione del Tribunale, che concludeva per il carattere scusabile del comportamento della Commissione, date la complessità dell’operazione di classificazione di una sostanza e la difficoltà di interpretare la regola del metodo della somma.
87. Applicando tale ragionamento al caso di specie, si potrebbe concludere che il Tribunale non è incorso in un errore di diritto nel valutare elementi aggiuntivi per determinare se la Commissione disponesse di potere discrezionale.
88. La Commissione disponeva di tale potere discrezionale?
89. Se mettiamo a confronto la presente causa con la causa Brasserie, la risposta a tale domanda sembrerebbe affermativa. Tale causa riguardava un settore del diritto dell’Unione in cui gli Stati membri interessati potevano operare scelte normative, ma una norma superiore di diritto dell’Unione imponeva limiti a tali scelte. Più specificamente, il diritto dell’Unione escludeva norme discriminatorie dalle scelte a disposizione del legislatore nazionale di tali Stati membri. Nel caso in esame, la Commissione ha adottato un regolamento sull’efficienza energetica degli aspirapolvere come atto delegato, e quindi in un settore del diritto dell’Unione in cui il legislatore dell’Unione ha lasciato alla Commissione la facoltà di effettuare scelte normative. Tali scelte sarebbero tuttavia state limitate dall’impossibilità di adottare metodi di prova diversi da quelli «durante l’uso». Di conseguenza, ciò potrebbe portare a concludere che la Commissione ha superato i limiti del proprio potere discrezionale e che il Tribunale ha giustamente valutato altri elementi per determinare se tale violazione fosse grave e manifesta.
90. Tuttavia, la stessa situazione potrebbe altresì essere descritta nel senso che non implica alcun margine di discrezionalità. Da questa prospettiva, la Commissione stava infatti dando attuazione a un mandato imposto dalla normativa di base (analogamente a quando gli Stati membri recepiscono le direttive) ed ha quindi violato una norma chiara, che non le lasciava alcun margine di discrezionalità.
91. Dato che la stessa situazione può essere valutata nel senso dell’esistenza o dell’inesistenza di un potere discrezionale, a mio avviso sembra preferibile adottare l’approccio suggerito da alcuni avvocati generali (come menzionato al precedente paragrafo 61 delle presenti conclusioni), secondo cui il margine discrezionale costituisce un elemento importante per stabilire se la violazione sia sufficientemente qualificata, ma non è decisivo. In ogni caso, occorre verificare se l’istituzione di cui trattasi disponesse di un margine di discrezionalità. In assenza di un potere discrezionale, tuttavia, non consegue automaticamente che la violazione fosse sufficientemente qualificata. A seconda delle circostanze di ciascun caso specifico, possono essere considerati altri elementi, che potrebbero portare all’esclusione della responsabilità. Sulla base di tali considerazioni, a prescindere dal fatto che la situazione nel caso di specie sia qualificata come una situazione in cui sussisteva un potere discrezionale i cui limiti sono stati superati o come una situazione non implicante un potere discrezionale, gli elementi aggiuntivi possono essere considerati al fine di determinare se la violazione fosse sufficientemente qualificata.
92. Di conseguenza, ritengo che il Tribunale non sia incorso in un errore di diritto per aver dichiarato, ai punti 37 e 38 della sentenza impugnata, che era necessario prendere in considerazione gli elementi aggiuntivi. Il secondo motivo d’impugnazione deve, pertanto, essere respinto.
93. A mio avviso, il Tribunale ha tuttavia commesso un errore di diritto nel valutare tali fattori aggiuntivi. Ciò mi porta al terzo e al quarto motivo d’impugnazione.
C. Sul terzo e quarto motivo di impugnazione
94. Come indicato in precedenza (v. paragrafi 41 e 42 delle presenti conclusioni), il Tribunale ha stabilito che la violazione da parte della Commissione dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2010/30 era scusabile. Esso ha tenuto conto della complessità della situazione da disciplinare e delle difficoltà di interpretazione e di applicazione dei testi rilevanti. Il Tribunale ha stabilito che la Commissione non aveva trasgredito in modo grave e manifesto i limiti del suo potere discrezionale per aver scelto la prova a contenitore vuoto, anziché la prova con contenitore per la polvere pieno di cui alla clausola 5.9.
95. Con il terzo e il quarto motivo d’impugnazione, la Dyson sostiene, in sostanza, che il Tribunale non poteva legittimamente concludere che la violazione dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2010/30 da parte della Commissione poteva essere giustificata da difficoltà interpretative e dalla complessità normativa. Era chiaro che la prova da svolgere doveva dimostrare l’efficienza energetica «durante l’uso» e che lo scopo di tale disposizione era quello di garantire che i consumatori ricevessero informazioni affidabili sull’efficienza energetica degli aspirapolvere. Se è vero che la scelta di una prova scientifica appropriata può essere tecnicamente complessa, così non era nel caso della norma che dispone che la Commissione non poteva utilizzare una prova che non misurasse il rendimento degli aspirapolvere «durante l’uso».
96. La Commissione sostiene in sostanza che, adottando il metodo di prova a contenitore vuoto, essa ha ritenuto di utilizzare un metodo di prova in condizioni più vicine possibile alle condizioni effettive di utilizzo e al contempo affidabile, accurato e riproducibile, al fine di consentire agli utilizzatori finali di prendere decisioni di acquisto in maniera più informata. Secondo la Commissione, era del tutto ragionevole che essa esercitasse un certo grado di cautela nel definire i metodi di prova e nella scelta di considerare la validità scientifica di tali metodi come fattore decisivo nell’adozione di decisioni sulle politiche da adottare. Pertanto, anche se la Corte e il Tribunale hanno successivamente stabilito, nell’ambito del procedimento di annullamento, che la Commissione aveva errato per aver adottato tale approccio (si vedano i paragrafi da 27 a 33 delle presenti conclusioni), la sua violazione può essere scusata e per tale motivo non è sufficientemente qualificata.
1. Ricevibilità
97. In udienza, la Commissione ha sostenuto che il terzo e il quarto motivo di impugnazione sono irricevibili, in quanto contestano la valutazione dei fatti da parte del Tribunale.
98. Non concordo con la Commissione.
99. Secondo la giurisprudenza, mentre la valutazione dei fatti e della loro complessità nell’ambito di un’azione per responsabilità extracontrattuale dell’Unione spetta in linea di principio al Tribunale (74), la Corte è competente ad effettuare un controllo sulla qualificazione giuridica dei fatti e sulle conseguenze di diritto tratte nel determinare se ci sia stata una violazione sufficientemente qualificata(75).
100. Nella causa in esame, come sostenuto dalla Dyson in udienza, il terzo e il quarto motivo non mirano a ottenere un riesame delle valutazioni fattuali effettuate dal Tribunale, bensì sono sostanzialmente volti a contestare le operazioni di qualificazione giuridica in base alle quali tale giudice ha deciso che la Commissione non aveva commesso una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione. La Dyson intende precisamente contestare il ragionamento giuridico del Tribunale, secondo il quale la violazione commessa dalla Commissione era associata a difficoltà di interpretazione e complessità normativa, le quali hanno indotto il Tribunale a dichiarare che la Commissione non aveva violato in modo grave e manifesto i limiti del proprio potere discrezionale. Si tratta di una questione di diritto soggetta al controllo della Corte in sede di impugnazione.
101. Di conseguenza, ritengo che il terzo e il quarto motivo siano ricevibili.
2. Nel merito
102. A mio avviso, il Tribunale ha commesso un errore di diritto per aver dichiarato che la violazione, da parte della Commissione, dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2010/30 poteva essere scusata da difficoltà interpretative o dalla complessità normativa.
103. La questione se una violazione di una norma del diritto dell’Unione possa essere scusabile deve essere valutata prendendo in considerazione le circostanze esistenti al momento dell’adozione della decisione con cui è stata commessa la violazione (76). Occorre quindi valutare se il Tribunale si INCORSO IN ERRORE PER AVER valutato che difficoltà interpretative e la complessità normativa avrebbero potuto scusare la Commissione al momento dell’adozione del regolamento delegato n. 665/2013.
104. A mio avviso, nelle circostanze della causa in esame non è accettabile che la Commissione, in qualità di «buona» amministrazione normalmente prudente e diligente (77), possa ritenersi giustificata nell’adottare un metodo di prova che induce i consumatori in errore in merito all’efficienza energetica degli aspirapolvere, semplicemente perché era l’unico metodo di prova disponibile all’epoca.
105. In primo luogo, la Commissione non ha affermato che non era chiaro che il metodo di prova da adottare dovesse misurare il rendimento degli aspirapolvere «durante l’uso». Tuttavia, il problema era che, all’epoca, non esisteva una prova scientificamente valida con contenitore per la polvere pieno (78). La Commissione ha quindi deciso di utilizzare la prova a contenitore vuoto.
106. In udienza, la Commissione ha precisato che, quantomeno all’epoca dei fatti, era ancora possibile ritenere che valutare gli aspirapolvere all’inizio del loro utilizzo (con sacchetto vuoto) significasse valutarli «durante l’uso». Solo in un momento successivo, nella sentenza di annullamento della Corte, che quest’ultima ha spiegato che «durante l’uso» significa misurare il rendimento energetico degli aspirapolvere in condizioni più vicine possibile alle condizioni effettive di utilizzo, richiedendo che il contenitore per la raccolta della polvere dell’aspirapolvere sia pieno a un certo livello (79).
107. Si pone la questione se tale scusa sia accettabile.
108. In effetti, ricorrendo ad un’interpretazione puramente testuale e concentrandosi esclusivamente su queste due parole, si potrebbe concludere che l’inizio dell’uso sia anche «durante l’uso».
109. Tuttavia, all’epoca dei fatti, la Commissione era consapevole, come ha dichiarato in udienza, del deterioramento del rendimento energetico degli aspirapolvere a sacchetto. In particolare, come indicato dalla Dyson, ciò è dimostrato dalla relazione dell’esperto della Commissione (80), e dalle informazioni fornite dalle organizzazioni dei consumatori (81) e dalla stessa Dyson (82) in occasione delle consultazioni con gli interessati, che hanno portato all’adozione del regolamento delegato 665/2013.
110. La Commissione era quindi consapevole, all’epoca dei fatti, che la prova a contenitore vuoto non poteva conseguire l’obiettivo della direttiva 2010/30 di informare i consumatori sull’efficienza energetica degli aspirapolvere e consentire loro di scegliere apparecchi più efficienti dal punto di vista energetico. Piuttosto al contrario, la Commissione non avrebbe potuto ignorare che una siffatta prova fosse ingannevole per i consumatori.
111. A nessun buon amministratore dovrebbe essere consentito ignorare la finalità delle disposizioni giuridiche che sta attuando. Secondo le informazioni a disposizione della Commissione, l’espressione «durante l’uso», se interpretata nel contesto delle finalità della direttiva 2010/30, non poteva essere intesa nel senso che autorizzava l’effettuazione di prove a contenitore vuoto.
112. A mio avviso, il fatto che, all’epoca dei fatti, il Parlamento o il Consiglio non si siano opposti al regolamento delegato 665/2013, come avrebbero potuto fare ai sensi dell’articolo 12 della direttiva 2010/30, non può essere utilizzato come prova di un mandato poco chiaro.
113. Non ritengo quindi che le difficoltà interpretative possano scusare la violazione commessa dalla Commissione.
114. Per quanto riguarda la complessità normativa, la Commissione ha spiegato che doveva trovare un equilibrio tra la necessità di applicare un metodo di prova che riflettesse le effettive condizioni di utilizzo e l’esigenza che tale metodo fosse scientificamente accurato e affidabile. Tuttavia, la Commissione non poteva includere nella ponderazione una prova che fornisse risultati fuorvianti ai consumatori. All’argomentazione logica secondo cui la prova a contenitore vuoto non costituiva un’opzione non era associata alcuna complessità normativa.
115. Ciò è sufficiente per giungere alla conclusione che, a prescindere dalle possibili complessità tecniche di individuazione della prova appropriata, all’epoca dei fatti era evidente che la prova scelta dalla Commissione non avrebbe potuto essere utilizzata. È quindi difficile capire come la Commissione, agendo in qualità di buon amministratore, possa essere scusata per non averlo riconosciuto.
116. Infine, la Commissione ha sostenuto che, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2010/30, essa era tenuta ad adottare un regolamento delegato entro un termine di cinque anni. La Commissione ha quindi giustamente ritenuto che fosse preferibile adottare il metodo della prova a contenitore vuoto, piuttosto che nessuna prova.
117. In risposta a tale argomento, occorre innanzitutto rilevare che l’interpretazione della Commissione del periodo di cinque anni di cui all’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2010/30 è errata. Tale disposizione non imponeva un termine ultimo entro il quale la Commissione doveva a tutti i costi adottare un metodo di prova. Essa determinava unicamente il periodo iniziale di esercizio della delega, alla scadenza del quale la Commissione era tenuta a presentare una relazione. Tale termine doveva essere automaticamente prorogato per un ulteriore periodo di cinque anni se il Parlamento o il Consiglio non avessero revocato la delega. Inoltre, se anche il termine di cinque anni avesse costituito una scadenza per la Commissione, ciò non potrebbe giustificare la sua scelta di una prova non conforme alla delega, in quanto fuorviante per i consumatori.
118. In sintesi, se la censura della Dyson è adeguatamente caratterizzata (si veda la mia analisi del primo motivo d’impugnazione), nel senso che, adottando il metodo della prova a contenitore vuoto, la Commissione ha commesso una violazione sufficientemente qualificata, è evidente che né le difficoltà interpretative né la complessità normativa potrebbero scusare la Commissione per aver adottato tale metodo di prova a contenitore vuoto.
119. Di conseguenza, ritengo che il terzo e il quarto motivo siano fondati e che la Commissione abbia commesso una violazione sufficientemente qualificata dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2010/30.
D. Sul quinto, sesto e settimo motivo di impugnazione
120. Con i restanti tre motivi di impugnazione, la Dyson contesta al Tribunale di avere commesso un errore di diritto per aver dichiarato che la violazione commessa dalla Commissione non era sufficientemente qualificata in relazione alle asserite violazioni del principio della parità di trattamento (quinto motivo), del principio di buona amministrazione e dell’obbligo di diligenza (sesto motivo) e del diritto all’esercizio di un’attività commerciale o d’impresa (settimo motivo).
121. Come visto al paragrafo 43 delle presenti conclusioni, il Tribunale si è basato sul suo ragionamento per quanto riguarda l’asserita violazione dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2010/30 quando ha dichiarato che non vi era una violazione sufficientemente qualificata quanto alle altre asserite violazioni del diritto dell’Unione. Poiché ho già ritenuto, nella mia analisi del primo, terzo e quarto motivo di impugnazione, che il Tribunale abbia frainteso l’argomento della Dyson e abbia errato in diritto nel dichiarare che la violazione, da parte della Commissione, dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2010/30 non era sufficientemente qualificata, le statuizioni del Tribunale sulla questione se tali altre asserite violazioni del diritto dell’Unione fossero sufficientemente qualificati sono anch’esse viziate dagli stessi errori di diritto.
122. Di conseguenza, ritengo che il quinto, il sesto e il settimo motivo siano fondati.
IV. Conclusione
123. Alla luce di quanto sopra esposto suggerisco che la Corte di giustizia voglia:
– considerare fondati il primo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto e il settimo motivo d’impugnazione;
– annullare la sentenza del Tribunale dell’8 dicembre 2021, Dyson e a./Commissione (T‑127/19, EU:T:2021:870);
– dichiarare che la violazione dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2010/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 2010, concernente l’indicazione del consumo di energia e di altre risorse dei prodotti connessi all’energia, mediante l’etichettatura ed informazioni uniformi relative ai prodotti commessa dalla Commissione è sufficientemente qualificata;
– rinviare la causa al Tribunale, riservando le spese;
– riservare la decisione sulle spese.