Language of document : ECLI:EU:C:2023:738

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ATHANASIOS RANTOS

presentate il 5 ottobre 2023 (1)

Causa C298/22

Banco BPN/BIC Português, SA,

Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, SA, succursale in Portogallo,

Banco Português de Investimento SA (BPI),

Banco Espírito Santo SA, in stato di liquidazione,

Banco Santander Totta SA,

Barclays Bank plc,

Caixa Económica Montepio Geral - Caixa Económica Bancária, SA,

Caixa Geral de Depósitos, SA,

Unión de Créditos Inmobiliários, SA, Establecimiento Financiero de Crédito, Sucursal em Portugal,

Caixa Central de Crédito Agrícola Mútuo CRL,

Banco Comercial Português SA

contro

Autoridade da Concorrência,

con l’intervento di:

Ministério Público

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal da Concorrência, Regulação e Supervisão (Tribunale della concorrenza, regolamentazione e vigilanza, Portogallo)]

«Rinvio pregiudiziale – Concorrenza – Intese – Articolo 101 TFUE – Accordi tra imprese – Restrizione della concorrenza per oggetto – Scambi di informazioni tra enti di credito – Informazioni sulle condizioni commerciali e sui valori di produzione»






I.      Introduzione

1.        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e sulle condizioni alle quali uno scambio di informazioni tra imprese concorrenti può essere qualificato come «restrizione della concorrenza per oggetto».

2.        Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra alcuni istituti bancari e l’Autoridade da Concorrência (Autorità garante della concorrenza, Portogallo, in prosieguo: l’«AdC»), resistente nel procedimento principale, in merito alla decisione di quest’ultima di infliggere a detti istituti un’ammenda per una violazione delle disposizioni nazionali di diritto della concorrenza e dell’articolo 101 TFUE, consistente nella partecipazione a una pratica concordata, la quale ha assunto la forma di un coordinamento informale tra concorrenti attraverso lo scambio di informazioni sensibili e strategiche.

3.        La particolarità del presente procedimento attiene al fatto che l’AdC ha adottato la qualificazione di restrizione della concorrenza per oggetto in relazione ad uno scambio di informazioni «autonomo» senza avere constatato l’esistenza di un’intesa, una qualificazione giuridica contestata dagli istituti bancari, i quali sostengono che lo scambio di informazioni in parola non presentava il grado di dannosità richiesto per una qualificazione siffatta e che occorrerebbe quindi tenere conto non solo dell’oggetto di detto scambio, ma anche dei suoi effetti. Ritenendo che la giurisprudenza della Corte non contenga precedenti idonei a fornire indicazioni utili per esaminare il caso di specie, il giudice del rinvio ha interpellato la Corte a tale proposito.

4.        La presente causa offre alla Corte l’opportunità di approfondire la sua giurisprudenza per quanto riguarda l’analisi degli scambi di informazioni tra concorrenti alla luce dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. La Corte avrà quindi modo di esaminare, ancora una volta, la nozione di restrizione della concorrenza per oggetto, la quale, pur essendo stata a lungo dibattuta, presenta tuttora notevoli ambiguità concettuali e solleva questioni di interpretazione.

II.    Contesto normativo

5.        Il giudice del rinvio richiama la Lei n.º 19/2012, que aprova o novo regime da concorrência (legge n. 19/2012 che stabilisce il nuovo regime della concorrenza), dell’8 maggio 2012 (in prosieguo: la «legge sulla concorrenza») (2), la quale ha sostituito la Lei n.º 18/2003 (che stabilisce il regime giuridico della concorrenza) dell’11 giugno 2003 (3). L’articolo 9 della legge sulla concorrenza, sotto il titolo «Accordi, pratiche concordate e decisioni di associazioni di imprese» (nonché l’ex articolo 4 della legge n. 18/2003, sotto il titolo «Pratiche vietate»), riprende, in sostanza, il contenuto dell’articolo 101 TFUE.

III. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

6.        Il 9 settembre 2019 l’AdC ha adottato una decisione con cui ha inflitto un’ammenda alle ricorrenti nel procedimento principale per aver partecipato ad uno scambio di informazioni autonomo («standalone») (4) in violazione dell’articolo 101 TFUE e delle disposizioni nazionali equivalenti.

7.        Per giungere a questa conclusione, tale autorità ha considerato che lo scambio di informazioni in questione costituiva una restrizione della concorrenza per oggetto, il che la dispensava dall’accertarne gli eventuali effetti sul mercato. Inoltre, detta autorità non ha addebitato alle imprese interessate di avere partecipato ad un’altra forma di pratica restrittiva della concorrenza cui lo scambio di informazioni potesse essere collegato, come un accordo sui prezzi o sulla ripartizione dei mercati.

8.        Le ricorrenti nel procedimento principale hanno proposto un ricorso avverso tale decisione dinanzi al Tribunal da Concorrência, Regulação e Supervisão (Tribunale della concorrenza, regolamentazione e vigilanza, Portogallo), giudice del rinvio, per il motivo che lo scambio di informazioni in questione non potrebbe essere considerato, di per sé, sufficientemente dannoso affinché non sia necessario esaminarne gli effetti. A questo proposito, l’AdC non avrebbe, in particolare, preso in considerazione il contesto economico, giuridico e normativo in cui tale scambio è stato attuato, mentre sarebbe stato necessario tenerne conto prima di poter concludere nel senso dell’esistenza di una restrizione della concorrenza per oggetto.

9.        Il 28 aprile 2022 il giudice del rinvio ha emesso una sentenza interlocutoria di quasi 2 000 pagine nella quale ha indicato i fatti, tra quelli contenuti nella decisione dell’AdC, che dovevano essere considerati accertati. Nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, detto giudice ha sintetizzato la menzionata sentenza suddividendone la descrizione in cinque sottopunti dedicati, rispettivamente, alla natura delle informazioni trasmesse, alla forma di coordinamento, all’obiettivo perseguito, al contesto giuridico ed economico e all’asserita esistenza di effetti favorevoli alla concorrenza.

10.      In primo luogo, per quanto riguarda la natura delle informazioni trasmesse, esse avrebbero riguardato il mercato dei prestiti immobiliari, il mercato del credito al consumo e il mercato del credito alle imprese. In merito a tali mercati sarebbero stati scambiati due tipi di informazioni, vale a dire:

–        le «condizioni» commerciali, attuali e future, ossia le griglie complete di spread, le capacità di credito dei clienti e le variabili di rischio che, al momento dello scambio, non erano disponibili al pubblico con lo stesso grado di completezza e sistematizzazione delle informazioni trasmesse;

–        i «volumi di produzione», vale a dire gli importi, individualizzati da parte delle entità interessate, dei crediti concessi nel mese precedente. Questi dati sarebbero stati comunicati in maniera disaggregata e non sarebbero stati resi disponibili in tale formato al momento dello scambio, né in un momento successivo, tramite altra fonte.

11.      In secondo luogo, per quanto riguarda la durata e la forma dello scambio di informazioni, il giudice del rinvio indica che quest’ultimo è avvenuto tra maggio 2002 e marzo 2013. Esso si sarebbe manifestato con contatti istituzionalizzati di carattere bilaterale o multilaterale, realizzati tramite comunicazioni telefoniche o messaggi di posta elettronica, di cui le rispettive gerarchie erano a conoscenza.

12.      In terzo luogo, per quanto riguarda l’obiettivo perseguito da tale scambio, dal momento che quest’ultimo garantiva alle banche interessate informazioni dettagliate, sistematizzate, aggiornate e rigorose sull’offerta dei concorrenti, detto giudice ne deduce che lo scambio in parola era inteso a ridurre l’incertezza intrinseca al rispettivo comportamento strategico al fine di mitigare il rischio di concorrenza commerciale.

13.      In quarto luogo, per quanto riguarda il contesto giuridico ed economico di detto scambio, nel 2013 i sei maggiori enti di credito in Portogallo, i quali avrebbero tutti partecipato allo scambio di informazioni, gestivano l’83% del totale degli attivi bancari di tutto il settore a livello nazionale. Inoltre, a partire dalla metà del 2008, in senso contrario all’evoluzione dell’Euribor, l’indice che riflette i tassi di interesse interbancari nella zona euro, il quale aveva registrato all’epoca un forte ribasso, gli spread applicati dalle istituzioni finanziarie alle nuove operazioni di prestito immobiliare avrebbero registrato un aumento significativo, il che avrebbe attenuato la riduzione dei tassi d’interesse per i clienti finali (5). La sintesi della sentenza interlocutoria precisa, sempre sotto il titolo «contesto giuridico ed economico», che gli scambi di informazioni controversi erano regolari ed organizzati all’interno di un «circuito chiuso». Oltre a ciò, essi avrebbero avuto ad oggetto informazioni strategiche di natura confidenziale o di difficile accesso o sistematizzazione. Infatti, dette informazioni sarebbero state distinte dall’informazione ufficiale prestata dagli enti di credito in adempimento dei rispettivi doveri d’informazione dei consumatori.

14.      In quinto luogo, per quanto riguarda l’esistenza di effetti potenzialmente favorevoli alla concorrenza, o quanto meno ambivalenti, la suddetta sintesi indica che le banche in questione non sarebbero riuscite a dimostrare né ad identificare i) efficienze generate dagli scambi di informazioni, ii) la creazione di vantaggi economici in capo ai consumatori, né iii) la prova che le restrizioni alla concorrenza fossero indispensabili.

15.      Infine, sebbene lo stesso giudice del rinvio constati che lo scambio in questione può contribuire a ridurre la concorrenza commerciale e l’incertezza associata al comportamento strategico dei concorrenti sul mercato, sfociando in un coordinamento informale che restringe la concorrenza, esso ritiene che il presente rinvio pregiudiziale si giustifichi in ragione dell’assenza di precedenti nella giurisprudenza della Corte pertinente al caso di specie.

16.      In tale contesto, il Tribunal da Concorrência, Regulação e Supervisão (Tribunale della concorrenza, regolamentazione e vigilanza) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 101 TFUE (...) osti alla qualificazione di restrizione della concorrenza per oggetto di uno scambio, tra soggetti concorrenti, di informazioni sulle condizioni commerciali (ad esempio, spreads e variabili di rischio, attuali e future) e sui risultati di produzione (mensili, individualizzati e disaggregati), con ambito di applicazione ampio e frequenza mensile, nel quadro dell’offerta di prestiti immobiliari, a imprese e al consumo, trasmessi in modo regolare e su base di reciprocità, nel settore dei prodotti bancari al dettaglio, nell’ambito di un mercato concentrato e con barriere all’entrata, che, in questo modo, ha artificialmente incrementato la trasparenza e ridotto l’incertezza associata a un comportamento strategico dei soggetti concorrenti.

2)      In caso affermativo, se la medesima normativa osti alla summenzionata qualificazione nel caso in cui non si sono accertati, né si è cercato di individuare efficienze, effetti ambivalenti o favorevoli alla concorrenza risultanti da tale scambio d’informazioni».

17.      Hanno presentato osservazioni scritte alla Corte le ricorrenti, l’AdC e il Ministério Público (Pubblico Ministero, Portogallo). Hanno inoltre presentato osservazioni scritte i governi portoghese, greco, italiano e ungherese, la Commissione europea nonché l’Autorità di vigilanza EFTA. All’udienza di discussione tenutasi il 22 giugno 2023 hanno svolto osservazioni orali le ricorrenti, i governi portoghese e greco nonché l’Autorità di vigilanza EFTA e la Commissione.

IV.    Analisi

A.      Osservazioni preliminari

18.      In limine, si deve rilevare che quasi tutte le ricorrenti hanno dedicato una parte significativa delle loro osservazioni scritte a contestare la descrizione, effettuata dal giudice del rinvio, dei fatti in discussione nel procedimento principale, arrivando a sostenere che la Corte sarebbe tenuta a modificare l’ipotesi di fatto descritta da tale giudice al fine di fornirgli una risposta utile (6).

19.      A tale proposito, occorre rammentare che da una giurisprudenza costante della Corte risulta che, nell’ambito di un procedimento ai sensi dell’articolo 267 TFUE, basato su una netta separazione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, non spetta alla Corte, ma al giudice nazionale, accertare i fatti che hanno dato origine alla controversia (7). Ne consegue che la Corte, potendosi pronunciare unicamente sull’interpretazione o sulla validità di un testo dell’Unione, non può verificare l’esattezza del quadro fattuale esposto da detto giudice né statuire sulla fondatezza delle affermazioni di alcune delle parti che contestano la pertinenza dell’ipotesi di fatto descritta dal giudice del rinvio nella sua domanda.

20.      Ciò premesso, l’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione che la Corte è chiamata a fornire nel contesto fattuale descritto dal giudice del rinvio non comporta alcuna presunzione che tale ipotesi sia effettivamente quella in discussione nel procedimento principale. Spetta quindi in definitiva sempre al giudice del rinvio verificare che gli elementi di fatto da esso comunicati alla Corte corrispondano effettivamente alla situazione oggetto della causa principale.

21.      Tale conclusione non può essere messa in discussione dall’obbligo, gravante sui giudici nazionali e al quale le ricorrenti fanno riferimento, di descrivere con precisione il contesto fattuale in cui si collocano le questioni pregiudiziali. Infatti, sebbene detto obbligo sia inteso a permettere alla Corte di assicurarsi che la domanda pregiudiziale non sia irricevibile, resta il fatto che, secondo costante giurisprudenza, affinché una domanda sia irricevibile, l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non deve avere alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale, il problema deve essere di natura ipotetica o la Corte non deve disporre degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (8), il che non si verifica nel presente procedimento.

22.      Di conseguenza, non è necessario pronunciarsi sulle critiche formulate dalle ricorrenti riguardo alla pertinenza dell’ipotesi di fatto prospettata dal giudice del rinvio. Lo stesso vale per le richieste di riformulazione delle questioni pregiudiziali presentate dalle suddette parti, con le quali esse invitano la Corte a (ri)esaminare la descrizione dei fatti operata dal giudice del rinvio e a riqualificare tali fatti, compito che spetta esclusivamente a detto giudice.

23.      Si deve osservare, infine, che la formulazione delle questioni da parte del giudice del rinvio sembra suggerire che sarebbe necessario rispondere alla seconda questione pregiudiziale solo qualora la risposta alla prima questione pregiudiziale fosse affermativa. Ritengo che, in una controversia come quella di cui al procedimento principale, nella quale il problema fondamentale è accertare se uno scambio di informazioni che presenta le caratteristiche constatate nel caso di specie costituisca una restrizione della concorrenza per oggetto, occorra esaminare congiuntamente gli aspetti evocati dalle due questioni pregiudiziali. Pertanto, le efficienze o gli effetti proconcorrenziali asseriti e ai quali fa riferimento la seconda questione pregiudiziale saranno pertinenti per l’analisi del contesto giuridico ed economico in cui deve essere valutato lo scambio di informazioni al fine di stabilire se esso costituisca una restrizione della concorrenza per oggetto.

B.      Sulle questioni pregiudiziali prima e seconda

24.      Le due questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio vertono sulla qualificazione giuridica come restrizione della concorrenza per oggetto di uno scambio di informazioni che presenta le caratteristiche descritte ai paragrafi da 10 a 14 delle presenti conclusioni.

25.      A questo proposito, occorre ricordare che, nell’ambito del procedimento previsto dall’articolo 267 TFUE, il ruolo della Corte è limitato all’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione sulle quali viene interpellata, nella fattispecie l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. Pertanto non spetta alla Corte, bensì al giudice del rinvio, valutare in definitiva se, alla luce dell’insieme degli elementi pertinenti che caratterizzano la situazione oggetto del procedimento principale, nonché del contesto economico e giuridico nel quale quest’ultima si colloca, l’accordo in questione abbia per oggetto una restrizione della concorrenza (9). Tuttavia, la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può, in base agli elementi del fascicolo a sua disposizione, fornire precisazioni dirette a guidare il giudice del rinvio nella sua interpretazione, affinché quest’ultimo possa risolvere la controversia (10).

26.      In tal senso, prima di procedere all’esame di tali questioni, mi sembra utile ricordare i contorni della nozione di «restrizione per oggetto» e fornire alcuni chiarimenti sul suo quadro di applicazione agli scambi di informazioni.

1.      Sulla nozione di restrizione della concorrenza per oggetto

a)      Sui principi generali enunciati dalla giurisprudenza della Corte

27.      Per ricadere nel divieto di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, un accordo, una decisione di un’associazione di imprese o una pratica concordata deve avere «per oggetto o per effetto» di impedire, restringere o falsare sensibilmente la concorrenza nel mercato interno (11). Occorre ricordare, a tal riguardo, che l’oggetto e l’effetto anticoncorrenziale di un accordo sono condizioni non cumulative, bensì alternative per valutare se un simile accordo ricada nel divieto enunciato all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. Pertanto, l’alternatività di tale condizione, espressa dalla disgiunzione «o», rende necessario innanzitutto considerare l’oggetto stesso dell’accordo (12).

28.      Conformemente ad una giurisprudenza costante della Corte, taluni tipi di coordinamento tra imprese rivelano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente affinché l’esame dei loro effetti non sia necessario. Tale giurisprudenza si fonda sulla circostanza che talune forme di coordinamento tra imprese possono essere considerate, per loro stessa natura, dannose per il buon funzionamento del gioco della concorrenza (13).

29.      Per valutare se un accordo tra imprese o una decisione di un’associazione di imprese presenti un grado di dannosità sufficiente per essere considerato una restrizione della concorrenza per oggetto ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, occorre riferirsi al tenore delle sue disposizioni, agli obiettivi che mira a raggiungere, nonché al contesto economico e giuridico nel quale si colloca (14).

30.      Occorre sottolineare, tuttavia, che la nozione di restrizione della concorrenza per oggetto deve essere interpretata restrittivamente. Ne consegue che, nel caso in cui l’analisi di un coordinamento tra imprese non presenti un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza, occorrerà esaminarne gli effetti e, per vietarlo, dovranno sussistere tutti gli elementi che comprovano la restrizione del gioco della concorrenza (15).

31.      Occorre rammentare infine che, da un punto di vista sostanziale, non c’è differenza tra i comportamenti delle imprese a seconda che essi siano qualificati come restrittivi della concorrenza in esito all’esame dei loro effetti o del loro oggetto, in quanto entrambi i tipi sono vietati ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. Infatti, la dicotomia restrizione della concorrenza per oggetto/restrizione della concorrenza per oggetto è anzitutto un meccanismo procedurale inteso a guidare l’autorità garante della concorrenza riguardo all’analisi da effettuare ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e alle risorse che essa deve impiegare in funzione delle circostanze di ciascun caso (16).

b)      Sulla necessità di disporre di un’«esperienza solida e affidabile» affinché una pratica sia qualificata come restrizione della concorrenza per oggetto

32.      Tra le problematiche sollevate dal giudice del rinvio, nell’ambito della sua prima questione pregiudiziale, vi è quella della necessità di disporre di un’esperienza solida e affidabile, ai sensi della giurisprudenza della Corte, per poter qualificare uno scambio di informazioni «autonomo», quale quello in discussione nel procedimento principale, come restrizione della concorrenza per oggetto. In altri termini, il giudice del rinvio chiede se debba necessariamente esistere un precedente per constatare che un certo tipo di comportamento costituisce una restrizione della concorrenza per oggetto.

33.      Occorre rispondere a tale questione in senso negativo.

34.      Si deve ricordare, in primo luogo, che dalla formulazione stessa dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e, segnatamente, dall’espressione «in particolare» risulta che tale disposizione non contiene un elenco esaustivo di accordi aventi per «oggetto» o per «effetto» di restringere la concorrenza. Può essere riconosciuta ad altri tipi di accordi la qualificazione di restrizione «per oggetto» qualora una siffatta qualificazione possa essere effettuata conformemente ai requisiti derivanti dalla giurisprudenza della Corte (17).

35.      È giocoforza constatare, in secondo luogo, che sebbene in alcune delle sue sentenze – tra cui in particolare le sentenze dell’11 settembre 2014, CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, in prosieguo: la «sentenza CB/Commissione»), e del 2 aprile 2020, Budapest Bank e a. (C‑228/18, EU:C:2020:265; in prosieguo: la «sentenza Budapest Bank») – la Corte abbia effettivamente sottolineato la necessità di disporre di un’esperienza sufficientemente solida e affidabile affinché un accordo possa essere considerato, per sua stessa natura, dannoso per il buon funzionamento del gioco della concorrenza, e possa quindi essere qualificato come restrizione della concorrenza per oggetto (18), essa ha tuttavia riconosciuto chiaramente che il fatto che la Commissione non abbia constatato che un accordo di un certo tipo era, per il suo stesso oggetto, restrittivo della concorrenza non è tale, di per sé, da impedirle di farlo in futuro all’esito di un esame individuale e dettagliato delle pratiche controverse (19). Qualsiasi altra interpretazione equivarrebbe ad impedire l’applicazione di una disposizione del Trattato formulata in modo da coprire nuove categorie di restrizioni della concorrenza che potrebbero apparire in futuro.

36.      Occorre quindi respingere l’argomento di alcune delle ricorrenti secondo il quale l’esistenza di un’esperienza solida e affidabile sarebbe una condizione preliminare affinché una pratica possa essere considerata una restrizione per oggetto e, pertanto, i giudici o le autorità nazionali garanti della concorrenza dovrebbero necessariamente dimostrare l’esistenza di un precedente al fine di qualificare un comportamento sul mercato come restrizione della concorrenza per oggetto (20).

37.      Occorre rammentare, in terzo luogo, che il criterio giuridico essenziale per determinare se un accordo o una pratica concordata comporti una restrizione della concorrenza per oggetto, ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, risiede nel rilievo che un simile accordo o una simile pratica presenta, di per sé, un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente per ritenere che non sia necessario individuarne gli effetti (21).

38.      Accordi o pratiche che siano assimilabili a comportamenti o a categorie di comportamenti la cui dannosità per la concorrenza sia indubbia alla luce dell’esperienza acquisita risponderanno, in linea di principio, più facilmente a tale criterio.  Infatti, l’esistenza di un’esperienza solida e affidabile riguardo alla dannosità di una pratica anticoncorrenziale «rafforza» la probabilità che una pratica che presenti le stesse caratteristiche di un’altra, precedentemente qualificata come restrizione della concorrenza per oggetto, lo sia a sua volta (22). Tuttavia, come ho indicato al paragrafo 34 delle presenti conclusioni, la mancanza di precedenti non impedisce alle autorità garanti della concorrenza di attribuire la qualificazione di restrizione della concorrenza per oggetto ad accordi che risultino, all’esito di un esame individuale e dettagliato, dannosi per la concorrenza.

39.      Peraltro, il fatto che non tutte le caratteristiche di un accordo perseguito da un’autorità garante della concorrenza siano identiche a quelle di una pratica precedentemente qualificata come restrizione della concorrenza per oggetto non significa che non esista un’esperienza sufficientemente solida e affidabile in relazione ad essa. Infatti, esigere una concordanza assoluta di tutte le caratteristiche di tali accordi (anche per quanto riguarda i mercati rilevanti), come sembrano rivendicare alcune delle ricorrenti, limiterebbe immotivatamente la portata della nozione di restrizione per oggetto e renderebbe quest’ultima particolarmente difficile da applicare per le autorità garanti della concorrenza.

40.      Tuttavia, tenuto conto dell’imperativo di interpretare restrittivamente la nozione di restrizione della concorrenza per oggetto, se è vero che alcune pratiche per le quali non esistono precedenti possono essere considerate restrizioni per oggetto, tale qualificazione dovrebbe essere limitata ai soli casi nei quali il carattere anticoncorrenziale di un accordo o di una pratica risulti in modo manifesto o quando le pratiche in questione non abbiano una spiegazione credibile diversa dalla restrizione della concorrenza sul mercato (23).

c)      Sulla presa in considerazione del contesto giuridico ed economico nella valutazione di una restrizione della concorrenza per oggetto e la sua distinzione dall’analisi degli effetti restrittivi della concorrenza

41.      Una seconda problematica fondamentale nel presente procedimento è la presa in considerazione del contesto giuridico ed economico nella valutazione di una restrizione della concorrenza per oggetto nonché la distinzione tra la presa in considerazione del contesto e l’esame degli effetti nell’ambito della valutazione di una restrizione della concorrenza.

42.      Occorre rammentare, in primo luogo, che la presa in considerazione del contesto giuridico ed economico nell’analisi di una restrizione della concorrenza per oggetto mira principalmente a confermare o a confutare la constatazione iniziale dell’oggetto anticoncorrenziale di una determinata pratica, effettuata sulla base di altri elementi propri della stessa.

43.      Si deve rilevare, a tale riguardo, che la Corte ha fatto riferimento, nella sentenza Budapest Bank, alle conclusioni dell’avvocato generale Bobek, secondo le quali la constatazione di una restrizione della concorrenza per oggetto richiede un’analisi in due fasi (24). Le autorità garanti della concorrenza devono stabilire, in una prima fase, se, dati il contenuto e gli obiettivi dell’accordo, quest’ultimo rientri in una categoria di accordi che risultano dannosi per la concorrenza alla luce dell’esperienza solida ed affidabile acquisita (o, in mancanza, rispetto ai quali è manifesto che lo siano) (25). In una seconda fase, dette autorità devono operare una «verifica di base della realtà» al fine di accertare se circostanze specifiche del contesto giuridico ed economico dell’accordo in questione possano mettere in dubbio la sua presunta natura dannosa (26).

44.      L’esame del contesto giuridico ed economico è inteso ad evitare il rischio di «falsi positivi» che possono risultare da un’analisi formale di un accordo, avulsa dalla «realtà economica» e dal panorama giuridico e normativo in cui esso si inserisce. Infatti, l’oggetto di un accordo non deve essere valutato astrattamente bensì concretamente alla luce delle reali condizioni di funzionamento del mercato, tenendo conto di tutti gli elementi rilevanti (27). Tale approccio rispecchia, più precisamente, l’evoluzione della giurisprudenza della Corte e il passaggio da un’interpretazione ampia e formalistica della nozione di restrizione della concorrenza per oggetto ad un’interpretazione di detta nozione più restrittiva e basata sull’economia e sull’esperienza (28).

45.      In secondo luogo, l’analisi del contesto economico in cui si inserisce la pratica non deve essere confusa con un’analisi degli effetti, la quale comporta un onere della prova supplementare ed un esame più dettagliato degli effetti dell’accordo sul mercato al fine di accertare l’esistenza di una restrizione della concorrenza. Se così non fosse, la dicotomia tra restrizione «per oggetto» e restrizione «per effetto» non avrebbe più alcun senso.

46.      Sebbene tale distinzione possa sembrare relativamente semplice in teoria, la sua attuazione pratica risulta tuttavia più complessa. Infatti, la presa inconsiderazione del contesto economico e giuridico in cui si inserisce un accordo può, in alcuni casi, rendere particolarmente oscura la questione di sapere dove termini l’esame dell’accordo sotto il profilo del suo oggetto e dove inizi l’esame dell’accordo con riguardo ai suoi effetti. Inoltre, il fatto che, nella sua giurisprudenza, la Corte consideri che la valutazione degli effetti degli accordi o delle pratiche alla luce dell’articolo 101 TFUE implica, proprio come per la constatazione di una restrizione per oggetto, la necessità di prendere in considerazione la situazione concreta in cui essi si inquadrano e in particolare il contesto economico e giuridico nel quale operano le imprese interessate, la natura dei beni o servizi coinvolti e le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato (29) può anche dare adito a confusione.

47.      In sostanza, le due categorie di restrizione della concorrenza si differenziano per l’intensità del loro esame. Nel caso in cui l’oggetto anticoncorrenziale sia facilmente rilevabile, l’analisi del contesto economico e giuridico in cui si colloca la pratica dovrebbe quindi essere limitato a quanto risulti strettamente necessario per confermare o confutare la dannosità e l’oggetto anticoncorrenziale che emergono dall’analisi del contenuto e degli obiettivi della pratica in questione (30). Ne consegue che un’analisi siffatta non può, in linea di principio, assolutamente sopperire alla mancanza dell’effettiva individuazione di un oggetto anticoncorrenziale tramite la dimostrazione degli effetti potenziali delle misure considerate (31).

48.      Come ho ricordato al paragrafo 28 delle presenti conclusioni, per accertare l’oggetto anticoncorrenziale di un accordo, deve essere possibile stabilire che se esso è concretamente atto a restringere la concorrenza senza dover esaminarne gli effetti. Pertanto, l’analisi dell’oggetto anticoncorrenziale di un accordo dovrebbe «divenire» un’analisi degli effetti anticoncorrenziali di detto accordo solo allorché risulti che è impossibile determinare, malgrado un’analisi degli elementi intrinseci e contestuali rilevanti, che tale accordo è idoneo a restringere la concorrenza (32). Ciò avverrebbe, ad esempio, qualora l’analisi del contesto giuridico ed economico facesse sorgere dubbi riguardo al carattere particolarmente dannoso di un accordo accertato (nella prima fase del test) o rivelasse perlomeno effetti ambigui.

49.      In terzo luogo, come la Corte ha recentemente ricordato nella sentenza HSBC (33), quando le parti di un accordo fanno valere effetti favorevoli alla concorrenza promananti da quest’ultimo, in quanto elementi del contesto di tale accordo, essi vanno debitamente presi in considerazione ai fini della sua qualificazione come restrizione per oggetto, nei limiti in cui possono rimettere in discussione la valutazione globale del grado sufficientemente dannoso della pratica collusiva di cui trattasi e, di conseguenza, della sua qualificazione come restrizione per oggetto (34). Tuttavia, la semplice affermazione non suffragata circa gli effetti favorevoli per la concorrenza di un accordo controverso non può essere sufficiente a escludere la qualificazione di quest’ultimo come restrizione per oggetto (35). Pertanto, anche supponendo che siano dimostrati, pertinenti e propri dell’accordo di cui trattasi, tali effetti proconcorrenziali devono essere sufficientemente rilevanti, di modo che essi consentono di dubitare ragionevolmente del carattere sufficientemente dannoso per la concorrenza dell’accordo di cui trattasi e, pertanto, del suo oggetto anticoncorrenziale (36).

50.      In quarto luogo, se è vero che la presa in considerazione delle efficienze o degli asseriti effetti proconcorrenziali fa parte del contesto giuridico ed economico in cui deve essere valutato lo scambio di informazioni, occorre chiarire che tale fase dell’analisi è diversa da quella effettuata sulla base dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE, la quale è intesa ad esaminare, una volta accertata una restrizione della concorrenza, se siano soddisfatti i criteri di esenzione (37). Infatti, la presa in considerazione degli effetti proconcorrenziali mira non ad escludere la qualificazione come restrizione della concorrenza, ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, ma a valutare la gravità oggettiva della pratica in questione e, di conseguenza, a definire i metodi probatori della stessa (38).

2.      Sull’applicazione della nozione di restrizione della concorrenza per oggetto agli scambi di informazioni

51.      In limine, occorre rilevare che da una giurisprudenza costante della Corte risulta che le nozioni di «accordo», di «decisioni di associazioni di imprese» e di «pratica concordata», di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, ricomprendono, dal punto di vista soggettivo, forme di collusione aventi la medesima natura e che si distinguono unicamente per la loro intensità e per le forme in cui si manifestano (39). Ne consegue che i criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte per valutare se un comportamento abbia per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza sono applicabili quando si tratti di un accordo, di una decisione o di una pratica concordata(40).

52.      Inoltre, per quanto riguarda la definizione di pratica concordata, la Corte ha affermato che quest’ultima implica una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce consapevolmente una collaborazione pratica fra le stesse ai rischi della concorrenza (41). È inoltre pacifico, fin dalla sentenza del 16 dicembre 1975, Suiker Unie e a./Commissione (da 40/73 a 48/73, 50/73, da 54/73 a 56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, EU:C:1975:174, punto 288), che gli scambi di informazioni possono costituire una violazione autonoma rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE .

53.      Dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE risulta che la nozione di pratica concordata implica, oltre alla concertazione tra le imprese interessate, un comportamento sul mercato che dia seguito a tale concertazione e un nesso causale tra questi due elementi. Tuttavia, la Corte ha dichiarato che si deve presumere, salvo prova contraria, che spetta agli operatori interessati segnalare che le imprese partecipanti alla concertazione e che restano attive sul mercato tengano conto delle informazioni scambiate con i loro concorrenti nel determinare il proprio comportamento su tale mercato (42).

54.      Sono pertanto considerati contrari all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE gli scambi di informazioni che riducano o annullino il grado di incertezza in ordine al funzionamento del mercato di cui trattasi, con conseguente restrizione della concorrenza tra le imprese (43). Infatti, le disposizioni del Trattato FUE in materia di concorrenza implicano un’esigenza di autonomia degli operatori economici. Orbene, se è vero che non esclude il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei concorrenti, la suddetta esigenza di autonomia vieta però rigorosamente che fra gli operatori stessi abbiano luogo contatti diretti o indiretti aventi lo scopo o l’effetto d’influire sul comportamento tenuto sul mercato da un concorrente attuale o potenziale, ovvero di rivelare ad un concorrente il comportamento che l’interessato ha deciso, o prevede, di tenere egli stesso sul mercato (44).

55.      Tuttavia, sebbene sia stata chiamata, a più riprese, ad esaminare la compatibilità di scambi di informazioni con l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, la Corte non ha ancora precisato, con chiarezza, se i criteri ai quali fa riferimento e in particolare quello della riduzione o all’annullamento del grado di incertezza in ordine al funzionamento del mercato riguardino la nozione di restrizione in generale e se essi si riferiscano unicamente alle restrizioni per effetto oppure consentano anche di accertare un oggetto anticoncorrenziale (45). Il fatto che il suddetto criterio venga applicato per identificare tanto una restrizione della concorrenza per oggetto quanto una restrizione della concorrenza per effetto non è però sorprendente. Come ho indicato al paragrafo 31 delle presenti conclusioni, l’interesse della distinzione tra restrizione della concorrenza per oggetto e restrizione della concorrenza per effetto è anzitutto probatorio.

56.      Occorre tuttavia precisare che, in alcune sentenze nelle quali è stata evocata la nozione di restrizione per oggetto nel contesto di uno scambio di informazioni, la Corte ha cercato di chiarire ulteriormente le circostanze nelle quali dovrebbe essere adottata la qualificazione di restrizione della concorrenza per oggetto. In particolare, la Corte ha dichiarato che si deve ritenere che abbia un oggetto anticoncorrenziale uno scambio di informazioni che sia idoneo ad eliminare talune incertezze nei soggetti coinvolti in relazione al momento, alla portata e alle modalità dell’adeguamento che l’impresa interessata deve effettuare (46) – e, di conseguenza, idoneo ad influire direttamente sulla strategia commerciale dei concorrenti o ad incidere sul normale gioco della concorrenza sul mercato (47). Ciò si verifica segnatamente quando lo scambio di informazioni verte su elementi particolarmente sensibili dal punto di vista della concorrenza, come i prezzi futuri o una delle componenti di tali prezzi, come accadeva nelle sentenze T‑Mobile e Dole, o più recentemente nella sentenza HSBC.

57.      Quando invece lo scambio di informazioni riguarda questioni meno sensibili dal punto di vista del diritto del diritto della concorrenza o l’oggetto anticoncorrenziale non emerge chiaramente dall’analisi del contenuto, degli obiettivi e del contesto giuridico ed economico in cui si collocano tali scambi, la Corte ha ritenuto che occorra procedere ad un’analisi degli effetti. È questa la soluzione adottata, ad esempio, nella causa ASNEF, in cui la Corte ha ritenuto che, tenuto conto delle sue caratteristiche, lo scambio di determinati dati tra istituti bancari che era finalizzato alla creazione di un registro bancario non aveva come oggetto la limitazione della concorrenza e sarebbe opportuno, di conseguenza, analizzarne gli effetti(48). Nella stessa sentenza la Corte ha peraltro statuito che, in considerazione di talune misure di non divulgazione di dati sensibili adottate dalle banche in questione, i registri scambiati tra le stesse non potessero svelare né la rispettiva posizione di mercato delle imprese né la loro strategia commerciale (49).

58.      Alla luce di quanto precede, si impongono le seguenti osservazioni.

59.      Occorre sottolineare, in primo luogo, che non ogni scambio di informazioni tra concorrenti può essere considerato restrittivo della concorrenza. Gli scambi di informazioni sono infatti una caratteristica comune di molti mercati concorrenziali. Inoltre, dalla teoria economica risulta che la trasparenza tra operatori economici può concorrere all’intensificazione della concorrenza e permettere di risolvere problemi di asimmetria delle informazioni nonché determinare vari tipi di incrementi di efficienza, rendendo quindi i mercati più efficienti (50).

60.      In secondo luogo, dalla giurisprudenza della Corte citata al paragrafo 54 delle presenti conclusioni risulta che, per quanto riguarda gli scambi di informazioni tra concorrenti, la riduzione o l’eliminazione dell’incertezza in ordine al comportamento strategico di un concorrente sul mercato costituisce il criterio decisivo di valutazione della sussistenza di una violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

61.      Orbene, la valutazione alla luce del criterio summenzionato dipende strettamente dalla natura delle informazioni scambiate tra concorrenti. Infatti, solo lo scambio di informazioni strategiche (o commercialmente sensibili) può ridurre l’incertezza sul mercato e incidere sull’autonomia decisionale delle parti, riducendo quindi la concorrenza. Sebbene non esista una definizione precisa della nozione di informazioni strategiche (o commercialmente sensibili), si ammette, in linea di principio, che le informazioni relative ai prezzi ed alle quantità sono le più strategiche, seguite da quelle sui costi e sulla domanda (51). Inoltre, l’utilità strategica dei dati può anche dipendere da una serie di fattori quali il grado di concentrazione del mercato di cui trattasi, dal fatto che le informazioni siano aggregate o disaggregate e più o meno recenti, nonché dalla frequenza degli scambi in questione (52).

62.      In terzo luogo, sebbene uno scambio di informazioni possa rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, il fatto che uno scambio siffatto verta su dati strategici tali da ridurre l’incertezza sul mercato non comporta automaticamente la qualificazione come restrizione della concorrenza per oggetto.

63.      Tenuto conto dell’imperativo di interpretare restrittivamente la nozione di restrizione della concorrenza per oggetto, tale qualificazione può essere adottata solo per gli scambi di informazioni per i quali risulti in modo chiaro e inequivocabile che, alla luce delle loro caratteristiche e senza che sia necessario esaminarne gli effetti, il criterio della riduzione o dell’annullamento dell’incertezza sul mercato è soddisfatto, in modo che tale scambi possono influire direttamente sulla strategia commerciale dei concorrenti consentendo loro di adattare il proprio comportamento sul mercato. Come ho indicato al paragrafo 56 delle presenti conclusioni, tale criterio sarà considerato soddisfatto quando lo scambio di informazioni verta su elementi cruciali per la concorrenza, come le capacità e i prezzi futuri.

64.      Alla luce di quanto precede, si deve constatare che uno scambio di informazioni può costituire una pratica restrittiva della concorrenza per oggetto quando dall’analisi del suo contenuto, dei suoi obiettivi e del contesto giuridico ed economico in cui detto scambio si colloca risulti che esso presenta un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza. Inoltre, la circostanza che tale scambio sia «autonomo», nel senso che non è associato alla constatazione di un’intesa, non è idonea a mettere in discussione la constatazione di una restrizione della concorrenza per oggetto, purché lo scambio in parola presenti un grado sufficiente di dannosità (53).

3.      Sulla valutazione della qualificazione della restrizione della concorrenza per oggetto nel caso di specie

a)      Osservazioni preliminari

65.      Occorre ricordare, preliminarmente, che dalla decisione di rinvio risulta che, tenuto conto delle loro caratteristiche descritte ai paragrafi da 10 a 14 delle presenti conclusioni, gli scambi in questione avevano ad oggetto dati attuali e futuri che erano strategici sotto il profilo del diritto della concorrenza e avrebbero permesso alle ricorrenti di ottenere informazioni precise sulle offerte dei loro concorrenti, consentendo quindi alle stesse di ridurre l’incertezza associata al comportamento strategico e di allinearsi mediante un coordinamento informale.

66.      Tale descrizione è però contestata dalle ricorrenti, le quali sostengono che, contrariamente alle constatazioni operate dall’AdC e dal giudice del rinvio, le caratteristiche delle informazioni scambiate non consentivano un simile coordinamento sul mercato (54).

67.      Occorre tuttavia ricordare, da un lato, che non spetta alla Corte verificare l’esattezza del contesto fattuale esposto dal giudice del rinvio (55) e, dall’altro, che incombe al giudice del rinvio valutare in definitiva, tenuto conto di tutti gli elementi pertinenti che caratterizzano la situazione di cui al procedimento principale e del contesto economico e giuridico in cui essa si colloca, se lo scambio di informazioni in questione avesse per oggetto di restringere la concorrenza (56).

68.      Una volta apportati siffatti chiarimenti, propongo di esaminare, in un primo momento, la parte dello scambio di informazioni sulle condizioni commerciali dei prestiti sottoscritti (in particolare, quelle relative agli spread) prima di esaminare, in un secondo momento, gli scambi relativi ai volumi di produzione e, in un terzo e ultimo momento, le condizioni alle quali uno stesso scambio avente ad oggetto questi due tipi di informazioni, analizzati congiuntamente, può essere considerato come avente un oggetto anticoncorrenziale.

b)      Sulle informazioni relative alle «condizioni commerciali»

1)      Sul contenuto delle informazioni scambiate

69.      In limine, si deve ricordare che dalla decisione di rinvio risulta che gli «spread» sui quali le banche hanno scambiato informazioni costituiscono un elemento essenziale del prezzo (57). Inoltre, dalla medesima decisione risulta che, comunicando tra concorrenti una delle componenti del prezzo che esse avrebbero adottato, le ricorrenti hanno contribuito ad incrementare la trasparenza sul mercato riducendo l’incertezza associata alla loro strategia attuale o futura, il che consentiva a ciascuna delle banche partecipanti di sfruttare tali informazioni per definire la sua strategia commerciale e di allinearsi costantemente mediante un coordinamento informale.

70.      Orbene, si deve osservare anzitutto che dalla giurisprudenza della Corte ricordata al paragrafo 56 delle presenti conclusioni risulta che uno scambio che presenti siffatte caratteristiche può essere qualificato come restrizione della concorrenza per oggetto. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto da alcune ricorrenti, si deve constatare che sussiste un’esperienza sufficientemente affidabile e solida la quale consente di ritenere che simili scambi vertenti su prezzi futuri (o su alcuni dei loro fattori) siano intrinsecamente anticoncorrenziali, tenuto conto segnatamente del rischio di collusione particolarmente elevato che essi comportano, e possano quindi essere qualificati come restrizione della concorrenza per oggetto.

71.      Occorre inoltre rammentare che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, uno scambio di informazioni tra concorrenti deve essere valutato alla luce della concezione inerente alle disposizioni del Trattato relative alla concorrenza, secondo la quale ogni operatore economico deve determinare autonomamente la politica commerciale che intende adottare sul mercato (58). Orbene, lo scambio di informazioni tra concorrenti su fattori rilevanti per i prezzi contravviene in maniera eclatante a tale esigenza di autonomia, in particolare quando dette informazioni vertono su intenzioni future in materia di prezzi, il che consente alle imprese di prevedere la strategia commerciale di un concorrente e di adattarvisi riducendo la pressione concorrenziale sul mercato.

72.      Peraltro, è giocoforza constatare che, oltre al loro carattere confidenziale al momento dello scambio, le informazioni relative agli spread sono particolarmente rilevanti per determinare le offerte di prestito proposte dalle banche ai loro clienti. Pertanto, sebbene il mercato bancario sia fortemente regolamentato, gli istituti bancari dispongono di un margine di libertà decisionale per quanto riguarda la fissazione degli spread che garantisce una differenziazione strategica di ciascuna banca e costituisce quindi un fattore chiave della concorrenza fra tali istituti (59).

73.      Il contenuto di detto scambio presenta dunque di per sé un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza e può essere considerato, per sua stessa natura, nocivo per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza, il che sarebbe sufficiente per concludere nel senso dell’esistenza di un comportamento rientrante nell’alterazione stessa del processo concorrenziale nei mercati rilevanti (60).

74.      Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto da alcune ricorrenti, non è necessario che una pratica concordata si estenda a tutti i fattori di concorrenza. Una pratica siffatta può avere un oggetto anticoncorrenziale anche se riguarda solo singoli fattori, come lo spread (61). Il fatto che il prezzo finale comprenda altre componenti che possono non essere (tutte) oggetto di uno scambio di informazioni non è tale da mettere in discussione la constatazione dell’esistenza di una restrizione della concorrenza per oggetto.

75.      La natura strategica e commercialmente sensibile dei dati scambiati non potrebbe, peraltro, essere rimessa in discussione nemmeno qualora risultasse, come sostengono alcune ricorrenti, che taluni degli scambi in questione non vertevano né sui prezzi finali praticati dalle banche né sugli spread effettivamente concessi ai clienti, ma riguardavano piuttosto una forchetta di tassi indicativi che venivano utilizzati come punto di partenza delle trattative individuali con ciascun cliente in funzione del suo specifico profilo di rischio. Infatti, la divulgazione di tali dati può essere sufficiente a rivelare le intenzioni strategiche relative a un comportamento futuro in materia di prezzi e agevolare quindi comportamenti collusivi tra imprese concorrenti (62).

2)      Sull’obiettivo perseguito dallo scambio di informazioni

76.      Da una giurisprudenza costante della Corte risulta che, per determinare se un accordo o uno scambio di informazioni rientri nel divieto enunciato all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, ci si deve basare sugli obiettivi che persegue (63). Inoltre, questi obiettivi specifici, che devono distinguersi chiaramente dalle pratiche in esame, non si confondono per nulla con le intenzioni soggettive di restringere o meno la concorrenza o ancora con gli obiettivi legittimi eventualmente perseguiti dalle imprese interessate. È peraltro consolidato che un accordo può essere considerato come avente un oggetto restrittivo della concorrenza anche se persegue altri obiettivi legittimi (64).

77.      A questo proposito, si deve ricordare che l’AdC ha ritenuto che, tenuto conto della natura delle informazioni scambiate sulle quali verteva lo scambio, quest’ultimo non potesse avere alcun obiettivo diverso dalla restrizione della concorrenza. Tale constatazione è contestata dalle ricorrenti, le quali sostengono che lo scambio di informazioni era un mezzo informale per facilitare l’attività di benchmarking delle banche, consentendo loro di confrontare le rispettive offerte (65) e riducendo nel contempo i costi associati a siffatto esercizio di comparazione, il che poteva avere effetti favorevoli sulla concorrenza (66), cosicché lo scopo dello scambio non era intrinsecamente anticoncorrenziale.

78.      Tale argomento appare poco credibile e deve pertanto essere respinto.

79.      Infatti, se è vero che uno scambio di informazioni può determinare efficienze e rendere le imprese più performanti, in particolare consentendo loro di confrontare le rispettive pratiche e di migliorare quindi sia la loro efficienza interna sia la loro posizione sul mercato, è evidente che iniziative come il benchmarking non giustificano il ricorso a pratiche di per sé anticoncorrenziali, quale lo scambio di informazioni riservate e strategiche dal punto di vista del diritto della concorrenza, come quelle vertenti sulle azioni previste dalle imprese in materia di prezzi.

80.      Inoltre, trovo difficile seguire il ragionamento delle banche relativamente agli obiettivi perseguiti dallo scambio di informazioni in questione. Occorre infatti interrogarsi sull’utilità di un simile scambio in quanto, secondo le ricorrenti, le informazioni scambiate, da un lato, sarebbero state rese pubbliche dalle banche contemporaneamente allo scambio di cui trattasi (o immediatamente dopo) e, dall’altro, tenuto conto delle procedure interne applicabili nelle banche, dette informazioni non avrebbero potuto essere prese in considerazione ai fini della modifica degli spread. Oltre al fatto che tale constatazione è contestata dall’AdC e non risulta dalla decisione di rinvio, uno scambio di informazioni siffatto sarebbe privo di qualsiasi logica commerciale. Ci si deve quindi interrogare sui motivi che potrebbero avere indotto le ricorrenti ad esporsi a un rischio non trascurabile sotto il profilo del diritto della concorrenza per ottenere informazioni che, secondo loro, non presenterebbero alcun reale interesse commerciale.

3)      Sul contesto giuridico ed economico

81.      In limine, si deve rilevare che le ricorrenti addebitano all’AdC di non avere tenuto conto del contesto economico, giuridico e normativo del settore bancario nel periodo dell’infrazione. Valutati nel contesto giuridico ed economico pertinente, gli scambi in questione sarebbero, secondo tali parti, effettivamente proconcorrenziali o, quanto meno, una simile valutazione avrebbe dovuto suscitare dubbi sulla loro dannosità, il che avrebbe messo in discussione la constatazione di una restrizione della concorrenza per oggetto (67).

82.      Inoltre, occorre ricordare, come ho precisato al paragrafo 47 delle presenti conclusioni, che, quando l’oggetto anticoncorrenziale è facilmente rilevabile, come sembra accadere per gli scambi relativi agli spread, l’analisi del contesto economico e giuridico in cui si colloca la pratica dovrebbe limitarsi a quanto risulti strettamente necessario per verificare se circostanze particolari possano suscitare dubbi sulla dannosità constatata di tale pratica. Ne consegue che solo gli elementi realmente rilevanti per l’analisi del contesto giuridico ed economico devono essere esaminati da un’autorità garante della concorrenza e che quest’ultima non è tenuta ad esaminare argomenti puramente ipotetici o avulsi dal contesto giuridico ed economico in cui si colloca lo scambio di informazioni o il comportamento in questione (68).

83.      Le ricorrenti contestano, in primo luogo, le valutazioni effettuate dall’AdC e dal giudice del rinvio in ordine al grado di concentrazione (e alle quote di mercato) dei vari partecipanti nel periodo interessato da detto scambio e al fatto che quest’ultimo sia avvenuto all’interno di un «circuito chiuso».

84.      Sebbene non spetti alla Corte sostituirsi al giudice del rinvio per valutare il metodo seguito dall’AdC e la fondatezza dell’analisi da essa svolta, occorre rilevare, anzitutto, che il grado di concentrazione è idoneo a costituire uno degli elementi che possono risultare rilevanti nel contesto dell’analisi di una restrizione della concorrenza (69). In tal senso, la Corte ha già considerato che, in un mercato fortemente concentrato, lo scambio di talune informazioni può, in particolare a seconda del tipo di informazioni che sono scambiate, consentire alle imprese di conoscere la posizione e la strategia commerciale dei loro concorrenti sul mercato, falsando in tal modo la rivalità sullo stesso e accrescendo la probabilità di una collusione, o comunque agevolando quest’ultima (70).

85.      Oltre al potenziale collusivo di tale scambio, il fatto che esso avvenga all’interno di un circuito chiuso presenta inoltre un rischio di esclusione delle banche che non partecipino a detto scambio e che, pertanto, non dispongano degli stessi dati per valutare le condizioni attuali e future sul mercato rilevante. Uno scambio siffatto all’interno di un gruppo ristretto di partecipanti potrebbe rendere più difficile l’ingresso di nuovi operatori sul mercato (71), in particolare quando esso presenti le caratteristiche rilevate dal giudice nazionale (72).

86.      Peraltro, il fatto che, a differenza degli scambi regolari di informazioni sui volumi di produzione, gli scambi relativi alle tabelle degli spread fossero sporadici, come sostenuto dalle ricorrenti, non esclude, di per sé, l’oggetto anticoncorrenziale di uno scambio di informazioni. La Corte ha infatti considerato che una sola presa di contatto possa, tenuto conto della struttura del mercato, essere sufficiente perché le imprese interessate concordino i rispettivi comportamenti (73).

87.      Le ricorrenti sostengono, in secondo luogo, che, tenuto conto delle caratteristiche del mercato bancario portoghese, il comportamento in questione non poteva avere alcun effetto sulla concorrenza né, pertanto, determinare un comportamento collusivo (74). Più precisamente, date le procedure interne che dovevano seguire gli enti di credito per modificare la loro offerta, questi ultimi non potevano reagire immediatamente a informazioni di tal genere.

88.      Occorre rilevare, a questo proposito, che dalla giurisprudenza della Corte risulta che si deve presumere, salvo prova contraria che spetta alle parti fornire (75), che le imprese tengano conto delle informazioni scambiate con i loro concorrenti per determinare il proprio comportamento sul mercato quando restino attive sullo stesso (76) e che ciò vale, a maggior ragione, quando la concertazione ha luogo su base regolare nel corso di un lungo periodo (77).

89.      Orbene, mi sembra che le ricorrenti tentino di rovesciare tale presunzione invocando un’«impossibilità di fatto» di prendere in considerazione dette informazioni per adeguare e modificare il loro comportamento sul mercato. Tuttavia, quand’anche fosse dimostrato (il che non emerge dalla decisione di rinvio), siffatto argomento non sarebbe sufficiente di per sé ad escludere la constatazione di una restrizione della concorrenza per oggetto.

90.      Occorre infatti rammentare, in primo luogo, che l’articolo 101 TFUE, come le altre regole in materia di concorrenza enunciate nel Trattato, non è destinato a tutelare soltanto gli interessi immediati di concorrenti o consumatori, bensì la struttura del mercato e, in tal modo, la concorrenza in quanto tale. Pertanto, l’accertamento della sussistenza dell’oggetto anticoncorrenziale di una pratica concordata non può essere subordinato all’accertamento di un legame diretto di quest’ultima con i prezzi pagati dai consumatori finali (78). Anche un comportamento idoneo a determinare una certa riduzione del prezzo dei prodotti o dei servizi di cui trattasi (o ad avere un impatto neutro sulla concorrenza) può quindi, in determinate circostanze, essere considerato intrinsecamente anticoncorrenziale (79).

91.      In secondo luogo, la circostanza che gli spread fossero resi pubblici poco dopo gli scambi in questione non modifica in alcun modo il fatto che tali informazioni erano riservate e non accessibili al pubblico nel momento in cui sono state effettivamente scambiate. Inoltre, dalla decisione di rinvio risulta che dette informazioni vertevano sulle intenzioni future delle banche interessate in materia di prezzi ed erano quindi strategiche e particolarmente sensibili dal punto di vista del diritto della concorrenza.

92.      Anche supponendo che l’argomento addotto dalle ricorrenti sia stato dimostrato, ritengo che esso non sia sufficiente a mettere in discussione la constatazione dell’esistenza della violazione consistente in una restrizione per oggetto, ma possa essere preso in considerazione nel calcolo dell’ammenda e condurre, se del caso, a una riduzione dell’ammenda inflitta.

93.      Per quanto riguarda, in terzo luogo, gli argomenti relativi alla specificità del settore bancario, le ricorrenti sostengono che, riducendo l’incertezza sul mercato, lo scambio di informazioni in questione poteva comportare efficienze ed avere effetti proconcorrenziali a vantaggio dei consumatori.

94.      A tale proposito, occorre rilevare che, come ho ricordato al paragrafo 49 delle presenti conclusioni, l’eventuale esistenza di effetti proconcorrenziali addotta dalle ricorrenti non mette in discussione la conclusione secondo cui un determinato accordo costituisce una restrizione della concorrenza per oggetto, a meno che gli effetti in questione siano dimostrati, rilevanti, specifici e talmente significativi da essere idonei a mettere in discussione la conclusione secondo cui lo scambio di informazioni è intrinsecamente dannoso per la concorrenza.

95.      Orbene, benché le ricorrenti identifichino in modo generico e piuttosto teorico alcuni aspetti asseritamente proconcorrenziali che deriverebbero dagli scambi controversi, esse non sembrano essere in grado di fornirne la prova. Non risulta infatti da alcun elemento del fascicolo che detti scambi consentissero di migliorare il funzionamento del mercato o di correggere i suoi fallimenti (80). Tuttavia, anche supponendo che le banche in questione abbiano trasferito taluni vantaggi ai loro clienti, il che peraltro non emerge dalla decisione di rinvio, ciò non escluderebbe il carattere anticoncorrenziale del comportamento di cui trattasi (81).

96.      Inoltre, data la natura particolarmente sensibile delle informazioni relative agli spread descritte ai paragrafi da 71 a 74 delle presenti conclusioni, è improbabile che gli aspetti proconcorrenziali fatti valere dalle ricorrenti consentano di dubitare ragionevolmente del carattere dannoso degli scambi di cui trattasi nei confronti della concorrenza (82).

97.      Le ricorrenti sostengono, in quarto luogo, che, contrariamente a quanto constatato dal giudice del rinvio, l’aumento dei tassi di interesse non era dovuto allo scambio di informazioni in questione, ma si spiegava con altri fattori legati alla crisi finanziaria mondiale del 2008 e alle misure di risanamento del bilancio attuate dal Portogallo in seguito a detta crisi.

98.      Per ragioni analoghe a quelle già esposte al paragrafo 90 delle presenti conclusioni, ritengo che tale argomento debba essere parimenti respinto (83). Inoltre, è giocoforza constatare che, sebbene dalla decisione di rinvio risulti che lo scambio in questione si è intensificato durante il periodo della crisi economica, resta il fatto che detto scambio era iniziato nel 2002, ossia ben prima dell’inizio della crisi finanziaria e dei successivi interventi degli organi di regolamentazione associati a detta crisi.

99.      Per quanto riguarda, in quinto luogo, il contesto normativo in cui ha avuto luogo lo scambio di informazioni, le ricorrenti contestano al giudice del rinvio di non avere tenuto conto del fatto che il quadro legislativo applicabile al settore bancario in Portogallo comprende una serie di norme volte a garantire un certo livello di trasparenza sul mercato al fine di prevenire le crisi sistemiche. Secondo le ricorrenti, dette norme sarebbero peraltro state introdotte dal diritto dell’Unione in materia di protezione dei consumatori.

100. A mio avviso, tale argomento non può essere accolto, in quanto dalla decisione di rinvio emerge chiaramente che le informazioni scambiate dalle ricorrenti erano diverse e andavano oltre quelle comunicate dalle stesse nell’ambito dei loro obblighi normativi. Occorre inoltre rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto da alcune ricorrenti, nessuna norma del diritto dell’Unione potrebbe imporre lo scambio tra banche di informazioni come gli spread (84).

c)      Sulle informazioni relative ai «volumi di produzione»

101. Senza che occorra riprodurre la «griglia di analisi classica» di una restrizione della concorrenza per oggetto, che comprende l’esame del contenuto, degli obiettivi e del contesto giuridico ed economico in cui si colloca un accordo, mi pare importante fornire alcune precisazioni sugli scambi relativi ai volumi di produzione, in quanto alcune delle parti nel procedimento principale sembrano ritenere che tali scambi possano di per sé (e indipendentemente dall’analisi riguardante gli scambi sugli spread) avere un oggetto anticoncorrenziale.

102. Si deve rilevare, in primo luogo, che i dati relativi ai volumi di produzione possono, in linea di principio, costituire informazioni strategiche e sensibili dal punto di vista del diritto della concorrenza, purché le caratteristiche delle informazioni scambiate e il contesto di tale scambio consentano di ridurre l’incertezza associata al comportamento strategico di un concorrente sul mercato (85).

103. È giocoforza constatare, in secondo luogo, che, a differenza degli scambi di informazioni relative agli spread, lo scambio in questione non ha ad oggetto pratiche future, bensì dati del mese precedente. Sebbene spetti al giudice del rinvio la valutazione definitiva sulle caratteristiche temporali di dette informazioni, alla luce delle circostanze specifiche del mercato bancario in questione, occorre ricordare che, in linea di principio, è improbabile che lo scambio di dati passati (o storici) porti ad un esito collusivo ed esso è meno dannoso dal punto di vista del diritto della concorrenza, perché è improbabile che sia indicativo del futuro comportamento dei concorrenti o che determini un’intesa sul mercato (86).

104. Si deve rilevare, a tale proposito, che non esiste una soglia predeterminata, passata la quale i dati diventano storici, cioè abbastanza vecchi da non rappresentare più un rischio in termini di concorrenza. Infatti, la circostanza che i dati siano effettivamente storici dipende dalle caratteristiche specifiche del mercato rilevante, in particolare dalla frequenza delle rinegoziazioni dei prezzi (87). Ne consegue che, sebbene sia improbabile, non è escluso che scambi relativi a fatti passati possano del pari costituire restrizioni per oggetto, ai sensi dell’articolo 10 TFUE. Ciò avverrebbe qualora lo scambio di informazioni recenti individualizzate su variabili strategiche rivelasse tendenze la cui conoscenza fosse tale da ridurre o annullare l’incertezza delle parti in ordine alle loro intenzioni future sul mercato, nel qual caso uno scambio siffatto potrebbe essere equivalente allo scambio di informazioni aventi ad oggetto dati futuri.

105. In terzo luogo, si ammette che è molto meno probabile che gli scambi di dati effettivamente aggregati (ossia quelli per i quali il riconoscimento delle informazioni individualizzate a livello della singola impresa è sufficientemente arduo) determinino effetti restrittivi sulla concorrenza rispetto agli scambi di dati al livello della singola impresa. Pertanto, il rischio che lo scambio di informazioni strategiche riduca l’incertezza sul mercato e limiti quindi la concorrenza è maggiore quando tali informazioni sono disaggregate (88).

106. In quarto luogo, la circostanza che le informazioni scambiate andassero oltre gli obblighi normativi delle banche interessate e si riferissero a dati non disponibili al pubblico non è sufficiente di per sé per attribuire a tali scambi un carattere anticoncorrenziale. Occorre ancora accertare che le informazioni scambiate abbiano permesso di ridurre o di annullare l’incertezza sul mercato (e ciò in modo chiaro e inequivocabile per poter concludere nel senso di una restrizione della concorrenza per oggetto).

107. Ne consegue che, sebbene non sia escluso che lo scambio di dati recenti e disaggregati sui volumi di produzione possa avere carattere strategico e sensibile dal punto di vista del diritto della concorrenza, in particolare quando tale scambio abbia luogo in un mercato fortemente concentrato e la frequenza degli scambi sia elevata, la decisione di rinvio non contiene alcun elemento che consenta di accertare chiaramente, come richiesto dall’interpretazione restrittiva della nozione di restrizione per oggetto, che detto scambio rivestiva un carattere particolarmente dannoso nei confronti della concorrenza e avrebbe consentito (di per sé) di ridurre l’incertezza strategica circa il futuro comportamento dei partecipanti sul mercato (89).

d)      Sull’analisi congiunta delle informazioni scambiate

108. Dall’analisi che precede risulta che, se è vero che la parte dello scambio di informazioni descritta dal giudice del rinvio avente ad oggetto gli spread può rientrare in una delle categorie di accordi o di pratiche concordate ricomprese nella nozione di restrizione per oggetto, questa constatazione non si impone in maniera così evidente per quanto riguarda i dati relativi alla produzione se tali scambi vengono analizzati singolarmente e separatamente.

109. Tuttavia, tanto dalla decisione iniziale dell’AdC quanto dalla decisione di rinvio risulta che, sebbene il giudice del rinvio abbia operato una distinzione tra i due tipi di informazioni scambiate, esso non ha ritenuto che ciascuno di tali scambi fosse di per sé restrittivo per oggetto, bensì che essi facessero parte di un unico e medesimo scambio per il quale è stata adottata la qualificazione di restrizione della concorrenza per oggetto. Occorre inoltre rilevare che, sulla base delle constatazioni effettuate dallo stesso giudice del rinvio in merito all’intrinseca dannosità di uno scambio siffatto nei confronti della concorrenza (90), quest’ultimo è idoneo a costituire una restrizione della concorrenza per oggetto. Tuttavia, affinché tale qualificazione giuridica sia comunque accolta, devono essere soddisfatte anche altre due condizioni, che non risultano chiaramente dal fascicolo della presente causa.

110. Infatti, da un lato, occorre, sotto il profilo della certezza del diritto, assicurarsi che la teoria del pregiudizio sulla base del quale una pratica anticoncorrenziale viene condannata da un’autorità garante della concorrenza risulti chiaramente, in particolare quando si tratti di accertare l’oggetto anticoncorrenziale di una pratica siffatta (91).

111. Dall’altro, l’interazione tra gli scambi aventi ad oggetto questi due tipi di informazioni che consente di suffragare la teoria del pregiudizio assunta da un’autorità garante della concorrenza deve emergere in modo inequivocabile dall’analisi effettuata da tale autorità. Quest’ultima deve quindi stabilire un nesso sufficientemente chiaro tra gli scambi riguardanti questi due tipi di informazioni e spiegare perché degli scambi che presentano siffatte caratteristiche rivestano un carattere sufficientemente dannoso nei confronti della concorrenza per giustificare la qualificazione come restrizione della concorrenza per oggetto. In altre parole, l’autorità garante della concorrenza dovrà dimostrare perché detti scambi, considerati congiuntamente, facciano parte di un «piano» manifestamente anticoncorrenziale e siano tali da consentire la convergenza di comportamento tra le banche interessate (92).

V.      Conclusione

112. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunal da Concorrência, Regulação e Supervisão (Tribunale della concorrenza, regolamentazione e vigilanza, Portogallo) nel modo seguente:

1)      L’articolo 101 TFUE deve essere interpretato nel senso che non osta alla qualificazione di restrizione della concorrenza per oggetto di uno scambio, tra soggetti concorrenti, di informazioni sulle condizioni commerciali applicabili alle operazioni (segnatamente, spread e variabili di rischio, attuali e future) e sui risultati di produzione, nel quadro dell’offerta di prestiti immobiliari, a imprese e al consumo, nel settore dei prodotti bancari, se tale pratica ha artificialmente incrementato la trasparenza e ridotto l’incertezza sul funzionamento del mercato.

2)      L’articolo 101 TFUE non osta alla summenzionata qualificazione nel caso in cui non si sono accertati né si è cercato di individuare efficienze, effetti ambivalenti o favorevoli alla concorrenza risultanti da tale scambio d’informazioni.


1      Lingua originale: il francese.


2      Diário da República, serie I, n. 89, dell’8 maggio 2012, pagg. da 2404 a 2427.


3      Diário da República, serie I‑A, n. 134, dell’11 giugno 2003, pagg. da 3450 a 3461.


4      Il termine «autonomo» è utilizzato dall’AdC per indicare che lo scambio in questione costituisce l’oggetto dell’indagine e che esso non è accessorio ad un altro comportamento che si presume problematico, come un’intesa.


5      Gli spread sono tuttavia tornati a livelli più elevati rispetto ai periodi precedenti al 2012.


6      Tali parti sostengono, più precisamente, che gli scambi relativi agli spread non comprendevano informazioni che potessero essere qualificate future, in quanto: 1) le decisioni in materia di prezzi in questione erano già state adottate e si trovavano in fase di esecuzione; ii) le informazioni venivano comunicate un giorno lavorativo prima della loro entrata in vigore e iii) una tale anteriorità rispetto alla data di entrata in vigore rendeva impossibile, tenuto conto delle procedure interne applicabili nelle banche per la modifica degli spread, qualsiasi forma di adeguamento alle informazioni ricevute. Dette parti contestano inoltre la qualificazione come «attuali» delle informazioni relative ai volumi di produzione, che, a loro avviso, dovrebbero essere considerate «passate» o «storiche».


7      V. sentenze del 12 maggio 2022, Servizio Elettrico Nazionale e a. (C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 35), e del 12 febbraio 2009, Cobelfret (C‑138/07, EU:C:2009:82, punto 23).


8      Sentenza del 19 aprile 2007, Asemfo (C‑295/05, EU:C:2007:227, punto 31).


9      V. sentenza del 18 novembre 2021, Visma Enterprise (C‑306/20, EU:C:2021:935, punto 51 e giurisprudenza ivi citata; in prosieguo la: «sentenza Visma»).


10      V. sentenza Visma (punto 52 e giurisprudenza ivi citata).


11      V. sentenza Visma (punto 54 e giurisprudenza ivi citata).


12      V. sentenza Visma (punto 55 e giurisprudenza ivi citata).


13      V. sentenza Visma (punto 57 e giurisprudenza ivi citata).


14      Sentenza del 16 luglio 2015, ING Pensii (C‑172/14, EU:C:2015:484, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).


15      V., in tal senso, sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a. (C‑307/18, EU:C:2020:52, punto 66 e giurisprudenza ivi citata).


16      V. conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:1958, paragrafo 30).


17      Sentenza Budapest Bank (punto 63).


18      V. sentenza Budapest Bank (punto 76) e conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa Budapest Bank e a. (C‑228/18, EU:C:2019:678, paragrafi da 63 a 73).


19      V. sentenze del 25 marzo 2021, Sun Pharmaceutical Industries e Ranbaxy (UK)/Commissione (C‑586/16 P, non pubblicata, EU:C:2021:241, punto 86), e del 25 marzo 2021, Lundbeck/Commissione (C‑591/16 P, EU:C:2021:243, punto 130).


20      Si deve osservare, a tale proposito, che, al punto 86 della sentenza del 25 marzo 2021, Sun Pharmaceuticals Industries e Ranbaxy (UK)/Commissione (C‑586/16 P, EU:C:2021:241), la Corte ha espressamente respinto l’argomento addotto da alcune delle ricorrenti nel presente procedimento, secondo il quale il punto 51 della sentenza CB/Commissione impone ai giudici o alle autorità di dimostrare un’«esperienza» specifica di divieto di pratiche particolari in quanto restrizioni «per oggetto». V., in tal senso, anche il punto 66 della sentenza del 25 marzo 2021, Sun Pharmaceutical Industries e Ranbaxy (UK)/Commissione (C‑586/16 P, EU:C:2021:241).


21      V. §§ 28 e 30 delle presenti conclusioni.


22      Purché nessun altro elemento specifico di detta pratica e, in particolare, il contesto economico e giuridico nel quale essa si colloca, possa mettere in discussione tale constatazione. V., in tal senso, paragrafi 43 e 44 delle presenti conclusioni.


23      V. sentenza del 25 marzo 2021, Lundbeck/Commissione (C‑591/16 P, EU:C:2021:243, punto 131).


24      Sentenza Budapest Bank (punto 76) e conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa Budapest Bank e a. (C‑228/18, EU:C:2019:678, paragrafi da 41 a 43). Tale approccio è stato parimenti seguito dall’avvocato generale Emiliou in relazione alla qualificazione di uno scambio di informazioni commerciali sensibili come restrizione della concorrenza per oggetto [v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Emiliou nella causa HSBC Holdings e a./Commissione (C‑883/19 P, EU:C:2022:384, paragrafi 83 e 84)].


25      V. conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa Budapest Bank e a. (C‑228/18, EU:C:2019:678, paragrafo 42).


26      V. conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa Budapest Bank e a. (C‑228/18, EU:C:2019:678, paragrafi 43, 48 e 49).


27      V. conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Generics (UK) e a. (C‑307/18, EU:C:2020:28, paragrafo 158), conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:1958, paragrafo 41) e conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa Budapest Bank e a. (C‑228/18, EU:C:2019:678, paragrafo 46).


28      Giurisprudenza instaurata con la causa CB/Commissione, successivamente confermata ed affinata in una serie di sentenze rese dalla Corte, in particolare nelle sentenze del 26 novembre 2015, Maxima Latvija (C‑345/14, EU:C:2015:784), Budapest Bank e del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a. (C‑307/18, EU:C:2020:52).


29      V. sentenza Visma (punto 72 e giurisprudenza ivi citata).


30      V. sentenza del 20 gennaio 2016, Toshiba Corporation/Commissione (C‑373/14 P, EU:C:2016:26, punto 29).


31      Conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:1958, paragrafo 44).


32      V. conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Generics (UK) e a. (C‑307/18, EU:C:2020:28, paragrafo 164).


33      Sentenza del 12 gennaio 2023, HSBC Holdings e a./Commissione (C‑883/19 P, EU:C:2023:11, in prosieguo: la «sentenza HSBC»).


34      Sentenza HSBC (punto 139 e giurisprudenza ivi citata).


35      Sentenza del 25 marzo 2021, Lundbeck/Commissione (C‑591/16 P, EU:C:2021:243, punto 137).


36      Sentenza HSBC (punto 197 e giurisprudenza ivi citata).


37      V. mie conclusioni nella causa International Skating Union/Commissione (C‑124/21 P, EU:C:2022:988, paragrafo 93).


38      V. sentenza HSBC (punto 140 e giurisprudenza ivi citata).


39      Sentenza del 4 giugno 2009, T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:343, in prosieguo: la «sentenza T‑Mobile», punto 23 e giurisprudenza ivi citata,).


40      Sentenza T-Mobile (punto 24),


41      V. sentenza T‑Mobile (punto 26 e giurisprudenza ivi citata).


42      Sentenza del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione (C‑286/13 P, EU:C:2015:184, in prosieguo: la «sentenza Dole», punti 126 e 127).


43      Sentenze del 28 maggio 1998, Deere/Commissione (C‑7/95 P, EU:C:1998:256, punto 90); del 23 novembre 2006, Asnef‑Equifax e Administración del Estado (C‑238/05, EU:C:2006:734, punto 51; in prosieguo: la «sentenza ASNEF»); T‑Mobile (punto 35) e Dole (punto 121).


44      Sentenza Dole (punto 120 e giurisprudenza citata).


45      Questo punto viene peraltro addotto dalle ricorrenti per contestare la qualificazione, da parte dell’AdC, dello scambio di informazioni controverso come restrizione della concorrenza per oggetto, in quanto dette parti sostengono che il criterio in parola può essere utilizzato solo per constatare una restrizione per effetto.


46      Sentenza Dole (punto 122 e giurisprudenza ivi citata).


47      Sentenza del 26 settembre 2018, Philips e Philips France/Commissione (C‑98/17 P, non pubblicata, EU:C:2018:774, punto 37).


48      Sentenza ASNEF (punto 48).


49      Sentenza ASNEF (punto 59).


50      V. punto 57 delle linee direttrici della Commissione sull’applicabilità dell’articolo 101 TFUE agli accordi di cooperazione orizzontale (GU 2011, C 11, pag. 1) (in prosieguo: le «linee direttrici sugli accordi di cooperazione orizzontale»).


51      V. punto 86 delle linee direttrici sugli accordi di cooperazione orizzontale.


52      V. punti 86 e 91 delle linee direttrici sugli accordi di cooperazione orizzontale.


53      Infatti, sebbene la giurisprudenza della Corte abbia adottato la qualificazione di restrizione della concorrenza per oggetto principalmente in relazione a scambi di informazioni che hanno avuto luogo nel contesto di un’intesa, tale giurisprudenza non implica affatto che solo detti scambi possano essere qualificati come restrizione della concorrenza per oggetto.


54      V. paragrafo 18 delle presenti conclusioni.


55      V. paragrafi da 19 a 21 delle presenti conclusioni.


56      V. paragrafo 25 delle presenti conclusioni.


57      Gli spread rappresentano infatti una componente del prezzo che il cliente pagherà alla banca per il finanziamento e il margine di guadagno che la banca otterrà concedendo il credito.


58      V. paragrafo 54 delle presenti conclusioni.


59      Infatti, una banca che sia consapevole dello spread dei suoi concorrenti si trova in una posizione migliore per determinare più accuratamente i prezzi finali di acquisto e di vendita di tali concorrenti.


60      Lo stesso vale, a mio avviso, per gli scambi di informazioni aventi ad oggetto le altre condizioni commerciali, quali le capacità di credito dei clienti e i parametri di rischio, nella misura in cui vertono su elementi essenziali del contratto e hanno un ruolo determinante nella formazione del prezzo. Infatti, lo scambio di tali informazioni è idoneo ad agevolare e incentivare comportamenti collusivi tra le imprese interessate.


61      V. sentenza HSBC (punto 204).


62      V. anche paragrafo 90 delle presenti conclusioni sull’obiettivo di tutela della struttura del mercato perseguito dal diritto dell’Unione in materia di concorrenza.


63      Conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:1958, paragrafo 116 e giurisprudenza ivi citata).


64      Conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:1958, paragrafo 117).


65      Le suddette parti sostengono, a tale proposito, che le informazioni ottenute servivano per confrontare le offerte e supportare le reti commerciali di ciascuna delle banche per la commercializzazione dei loro prodotti, giacché ciascuna di esse evidenziava i vantaggi dei suoi prodotti e gli svantaggi di quelli dei concorrenti.


66      Tale argomento sarà esaminato ai paragrafi da 93 a 96 delle presenti conclusioni, dedicati all’analisi del contesto giuridico ed economico.


67      V., a tale proposito, paragrafo 25 delle presenti conclusioni.


68      Di conseguenza, non si può addebitare ad un’autorità garante della concorrenza di non avere esaminato elementi che non presentano alcuna utilità ai fini dell’esame di detto contesto.


69      Occorre precisare che il grado di concentrazione costituisce solo uno degli elementi da prendere in considerazione al fine di accertare l’esistenza di una restrizione della concorrenza e non consente, di per sé, di constatare l’oggetto anticoncorrenziale di uno scambio di informazioni. Ciò precisato, dal fascicolo non risulta che l’AdC o il giudice del rinvio si siano basati esclusivamente su tale elemento per adottare la qualificazione di restrizione della concorrenza per oggetto in relazione allo scambio di cui trattasi.


70      Nella presa in considerazione del grado di concentrazione, la giurisprudenza della Corte non sembra distinguere gli scambi di informazioni che sono stati qualificati come restrizioni per oggetto o per effetto. Il grado di concentrazione viene quindi tenuto in conto come uno degli elementi aggiuntivi che consentono di accertare una restrizione della concorrenza, allo stesso modo indipendentemente dalla qualificazione adottata della restrizione della concorrenza. V., in tal senso, sentenze ASNEF (punto 58) e T‑Mobile (punto 34).


71      Sentenza ASNEF (punto 60).


72      Infatti, tale mercato è descritto come «concentrato e con barriere all’entrata» dal giudice del rinvio nel contesto della sua prima questione pregiudiziale.


73      V. sentenza T‑Mobile (punti 59 e 62).


74      V. nota 6 delle presenti conclusioni.


75      Ciò varrebbe, ad esempio, in caso dichiarazione chiara di un’impresa che rifiuti di ricevere siffatte informazioni. V., in tal senso, sentenza dell’8 luglio 1999, Hüls/Commissione (C‑199/92 P, EU:C:1999:358, punto 162 e giurisprudenza ivi citata).


76      V. sentenza Dole (punto 127 e giurisprudenza ivi citata).


77      V. sentenza T‑Mobile (punto 51).


78      V. sentenze Dole (punti da 123 a 125) e HSBC (punti 120 e 121).


79      V. sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a. (C‑307/18, EU:C:2020:52, punti 109 e 110).


80      Nella sua seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio rileva che «non si sono accertati, né si è cercato di individuare efficienze, effetti ambivalenti o favorevoli alla concorrenza risultanti da tale scambio d’informazioni».


81      Infatti, dalla giurisprudenza citata al paragrafo 90 delle presenti conclusioni risulta che il diritto dell’Unione in materia di concorrenza mira a tutelare non soltanto gli interessi immediati dei consumatori, ma anche la struttura del mercato.


82      V., in tal senso, sentenza HSBC (punti da 199 a 205).


83      Infatti, anche supponendo che l’aumento dei tassi di interesse non fosse dovuto allo scambio di informazioni in questione, ma a fattori esogeni (come la crisi finanziaria), da una giurisprudenza costante ricordata al paragrafo 90 delle presenti conclusioni risulta che, per constatare che un determinato comportamento ha un oggetto anticoncorrenziale, non è necessario un collegamento immediato e diretto fra tale comportamento e un aumento dei prezzi finali.


84      Qualsiasi altra interpretazione equivarrebbe ad ammettere che, in linea di principio, le norme del diritto della concorrenza si applicano al settore bancario in un modo diverso da quello in cui si applicano ad altri settori, il che evidentemente non accade, come dimostrano i numerosi casi recentemente perseguiti dalle autorità nazionali garanti della concorrenza e dalla Commissione.


85      Anche supponendo che così fosse, tale elemento non comporterebbe automaticamente la qualificazione di restrizione della concorrenza per oggetto, come ho spiegato al paragrafo 62 delle presenti conclusioni.


86      V. punto 90 delle linee direttrici sugli accordi di cooperazione orizzontale.


87      V. punto 90 delle linee direttrici sugli accordi di cooperazione orizzontale.


88      V. punto 89 delle linee direttrici sugli accordi di cooperazione orizzontale.


89      V. paragrafo 56 delle presenti conclusioni.


90      V. paragrafo 15 delle presenti conclusioni.


91      V. sentenza Budapest Bank (punto 80 e giurisprudenza ivi citata).


92      Fatti salvi gli accertamenti che spetta al giudice del rinvio effettuare al riguardo, sembrerebbe che tale collegamento sia stato constatato nel presente procedimento, in quanto dagli elementi presi in considerazione dall’AdC nella sua decisione risulta che gli scambi sui volumi di produzione miravano ad agevolare l’individuazione dei comportamenti devianti e a rafforzare la collusione tra le ricorrenti.