Language of document : ECLI:EU:C:2017:313

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 27 aprile 2017 (1)

Causa C186/16

Ruxandra Paula Andriciuc e altri

contro

Banca Românească SA

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Curtea de Apel Oradea (Corte d’appello di Oradea, Romania)]

«Rinvio pregiudiziale – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Articolo 3, paragrafo 1, e articolo 4, paragrafo 2 – Contratti di credito espressi in una valuta estera – Clausole sottratte alla valutazione del loro carattere abusivo – Clausole contrattuali che vertono sulla definizione dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione del prezzo formulate in modo chiaro e comprensibile – Momento della valutazione della sussistenza di un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto – Portata e livello di informazione che la banca deve fornire»






1.        Con la presente causa, la Curtea de Appel Oradea (Corte d’appello di Oradea, Romania) interroga la Corte, nel contesto di una controversia che oppone un istituto di credito a diversi singoli mutuatari, sull’interpretazione da dare all’articolo 3, paragrafo 1, e all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE (2). Tale controversia fa seguito a domande di nullità di talune clausole asseritamente abusive, inserite in contratti di credito al consumo espressi in valute estere, segnatamente quelle relative al «rischio di cambio» e all’obbligo di rimborsare il credito nella valuta estera in cui quest’ultimo è stato contratto.

2.        Se è pur vero che la Corte è già stata chiamata a fornire alcuni chiarimenti sull’interpretazione delle disposizioni della direttiva 93/13 nel contesto molto particolare dei contratti di credito espressi in valute estere, la domanda di pronuncia pregiudiziale in esame invita tuttavia la Corte a fornire ulteriori precisazioni, principalmente, in relazione al momento in cui è opportuno valutare la sussistenza di un «significativo squilibrio» a danno del consumatore ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva e, secondariamente, sulla portata dell’articolo 4, paragrafo 2, della medesima direttiva, che esclude in particolare le clausole che definiscono «l’oggetto principale» di un contratto dalla valutazione del carattere abusivo. Fatto ancora più importante, la causa offre l’occasione di pronunciarsi sulla conformità stessa del ricorso ai prestiti in valute estere (3) in un contesto particolarmente delicato (4).

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

3.        L’articolo 1 della direttiva 93/13 prevede quanto segue:

«1.      La presente direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore.

2.      Le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative e disposizioni o principi di convenzioni internazionali, in particolare nel settore dei trasporti, delle quali gli Stati membri o la Comunità sono parte, non sono soggette alle disposizioni della presente direttiva».

4.        Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della predetta direttiva, «[u]na clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».

5.        L’articolo 4 della direttiva 93/13 così recita:

«1.      Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.

2.      La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

6.        L’articolo 5 di tale direttiva dispone:

«Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. (…)».

 Diritto rumeno

 La legge n. 193/2000

7.        La Legea nr. 193/2000 privind clauzele abuzive din contractele încheiate între comercianţi şi consumatori (legge n. 193/2000 sulle clausole abusive nei contratti stipulati tra operatori commerciali e consumatori), del 10 novembre 2000, nella sua versione ripubblicata (5), è volta a trasporre la direttiva 93/13.

8.        Ai sensi dell’articolo 4 di questa legge:

«1.      Una clausola contrattuale che non sia stata negoziata direttamente con il consumatore è ritenuta abusiva se, di per sé o insieme ad altre disposizioni del contratto, crea, a danno del consumatore e in contrasto con il requisito della buona fede, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti.

(…)

6.      La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sull’idoneità a soddisfare le esigenze di prezzo e di pagamento, da un lato, né sui servizi o sui beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

9.        Il punto 1, lettera p), dell’allegato alla legge n. 193/2000 dispone che sono considerate abusive le clausole contrattuali che prevedono che «il prezzo dei prodotti sia determinato al momento della consegna, o consentono ai venditori di prodotti o ai fornitori di servizi di aumentare i prezzi, senza che, in entrambi i casi, il consumatore possa annullare il contratto qualora il prezzo finale sia eccessivamente elevato rispetto a quello convenuto al momento della stipula del contratto». Si precisa che «[l]e disposizioni della presente lettera non ostano a clausole di indicizzazione dei prezzi, ove consentite dalla legge, a condizione che le modalità di variazione siano esplicitamente descritte».

10.      Il punto 2 di detto allegato prevede quanto segue:

«Le disposizioni di cui al paragrafo 1, lettere a), p) e t) non si applicano:

a)      alle transazioni relative a valori mobiliari, strumenti finanziari e altri prodotti o servizi il cui prezzo è collegato alle fluttuazioni di un corso e di un indice di borsa o di un tasso di mercato finanziario non controllato dal professionista,

b)      ai contratti per l’acquisto o la vendita di valuta estera, di assegni di viaggio, di vaglia internazionali emessi in valuta estera o di altri strumenti di pagamento internazionali».

11.      Il giudice del rinvio indica che l’articolo 4, paragrafo 6, e il punto 2 del predetto allegato sono stati introdotti dalla legge n. 363/2007, entrata in vigore il 31 dicembre 2007, e che, prima dell’entrata in vigore della legge n. 363/2007, il punto 1, lettera p), dell’allegato era formulato come segue:

«Sono considerate clausole abusive le disposizioni contrattuali che consentono di determinare il prezzo al momento della consegna o di aumentare il prezzo al momento della consegna rispetto a quello pattuito al momento della stipula del contratto, se il consumatore non ha il diritto di risolvere il contratto qualora egli consideri il prezzo troppo elevato rispetto a quello inizialmente convenuto».

 Il codice civile

12.      L’articolo 1578 del codice civile, nella sua versione in vigore alla data della stipula dei contratti, così disponeva:

«L’obbligazione derivante da un mutuo si limita sempre alla medesima somma numerica espressa nel contratto.

Verificandosi un aumento o una diminuzione del prezzo delle valute prima che scada il termine del pagamento, il debitore deve restituire la somma prestata ed è obbligato a restituirla solo nella valuta in corso al tempo del pagamento».

13.      L’articolo 970 del codice civile, nella sua versione in vigore alla data della stipula dei contratti, era così formulato:

«I contratti devono essere eseguiti secondo buona fede.

Essi obbligano non solo a quanto ivi espressamente previsto, ma anche a tutte le conseguenze obbligatorie, per loro natura, secondo equità, consuetudine o legge».

 La legge n. 190/1999

14.      L’articolo 8 della legge n. 190/1999 sul credito ipotecario per gli investimenti immobiliari (in prosieguo: la «legge n. 190/1999»), nella sua versione in vigore alla data della stipula dei contratti di cui trattasi, prevedeva quanto segue:

«Prima della sottoscrizione del contratto di credito ipotecario per investimento immobiliare, l’istituto autorizzato mette a disposizione del mutuatario un’offerta scritta contenente tutte le condizioni del contratto e la durata di validità dell’offerta, che non può essere inferiore a 10 giorni a partire dalla ricezione dell’offerta da parte del potenziale debitore».

15.      L’articolo 14, paragrafo 1, della legge n. 190/1999 è formulato come segue:

«Nel contratto di credito ipotecario per investimento immobiliare, la somma del credito concesso può essere formulata in lei o in una valuta convertibile ed è messa a disposizione del mutuatario in uno o più versamenti».

 Il regolamento n. 3

16.      Il giudice del rinvio indica che l’articolo 4 del regolamento n. 3 della Banca Naţională a Romaniei (Banca Nazionale di Romania), del 12 marzo 2007, relativo alla limitazione del rischio di credito nei prestiti destinati alle persone fisiche, è entrato in vigore il 22 agosto 2008 e prevede quanto segue:

«I mutuanti sono obbligati a informare i clienti menzionando nell’ambito dei piani di ammortamento del credito relativi ai contratti di credito oppure, se non si elaborano piani di ammortamento del credito, mediante menzione distinta nei contratti di credito circa la possibilità di modificare, rivedendoli al rialzo, gli importi dovuti, qualora si materializzi il rischio di cambio, il rischio di tasso di interesse oppure qualora cresca il costo del credito per commissioni e altri oneri sull’amministrazione del credito previsti nel contratto».

 Fatti all’origine del procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

17.      Emerge dall’esposizione dei fatti all’origine del procedimento principale effettuata dal giudice del rinvio che, tra il mese di aprile 2007 e il mese di ottobre 2008, la sig.ra Ruxandra Paula Andriciuc e altre 68 persone (in prosieguo: i «mutuatari») hanno stipulato con la banca Banca Românească SA (in prosieguo: la «banca») contratti di credito in franchi svizzeri finalizzati all’acquisto di beni immobili, al rifinanziamento di altri crediti oppure al soddisfacimento di esigenze personali.

18.      Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, del contratto sottoscritto da ciascuno dei mutuatari, questi ultimi erano tenuti a rimborsare le rate del credito in franchi svizzeri. L’articolo 8, paragrafo 2, di tale contratto prevedeva che: «[q]ualsiasi pagamento effettuato dal mutuatario per rimborsare il credito dovrà essere effettuato nella valuta in cui è stato concesso il credito». Inoltre, gli articoli, 9.1 e 10.3.9 del suddetto contratto prevedevano due clausole che, alla scadenza delle rate o in caso di inadempimento da parte del mutuatario degli obblighi derivanti da tali contratti, consentivano alla banca di effettuare l’addebito sul conto del mutuatario e, se necessario, di procedere a qualsiasi conversione delle liquidità disponibili sul suo conto nella valuta del contratto, al tasso di cambio praticato dalla banca nel giorno di tale operazione. In applicazione di tali clausole, qualsiasi differenza nel tasso di cambio rimaneva a carico esclusivo del mutuatario.

19.      Secondo i mutuatari, la banca era in grado di prevedere l’evoluzione e le fluttuazioni del tasso di cambio del franco svizzero. Essi sostengono che, non essendo stati informati in modo trasparente sulle suddette fluttuazioni, la banca ha agito violando i suoi obblighi di informazione, avvertenza e consulenza nonché il dovere di formulare delle clausole contrattuali chiare e comprensibili affinché il mutuatario potesse valutare la portata degli obblighi derivanti dal contratto che ha stipulato.

20.      Ritenendo che le clausole che stabilivano il rimborso del credito in franchi svizzeri e che addossavano il rischio di cambio sui mutuatari costituissero clausole abusive, i mutuatari hanno pertanto adito, il 2 aprile 2014, il Tribunalul Bihor (Tribunale di primo grado di Bihor, Romania) con un’azione diretta, in sostanza, a dichiarare la nullità assoluta delle suddette clausole nonché a condannare la banca a fissare, per ciascun contratto di credito, un nuovo piano di ammortamento che prevedesse la conversione del prestito in lei rumeni, al tasso di cambio in vigore al momento della conclusione del contratto di credito.

21.      Con sentenza n. 280/COM del 30 aprile 2015, il Tribunalul Bihor (Tribunale di primo grado di Bihor) ha rigettato il ricorso.

22.      I mutuatari hanno interposto appello avverso tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio, che, nutrendo dubbi sull’interpretazione di talune disposizioni della direttiva 93/13, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.      Se l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che il significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto debba essere valutato con riferimento rigorosamente al momento della stipula del contratto oppure se esso comprenda anche il caso in cui, durante l’esecuzione di un contratto ad esecuzione periodica o continuata, la prestazione del consumatore sia divenuta eccessivamente onerosa rispetto al momento della stipula del contratto a causa di variazioni significative del tasso di cambio.

2.      Se con chiarezza e comprensibilità di una clausola contrattuale, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, debba intendersi che tale clausola contrattuale debba prevedere soltanto i motivi alla base dell’inserimento nel contratto della clausola suddetta e il suo meccanismo di funzionamento oppure se debba prevedere anche tutte le sue possibili conseguenze in funzione delle quali può variare il prezzo pagato dal consumatore, ad esempio il rischio di cambio, e se alla luce della direttiva 93/13 si possa ritenere che l’obbligo della banca di informare il cliente al momento della concessione del credito riguardi esclusivamente le condizioni del credito, ossia gli interessi, le commissioni, le garanzie poste a carico del mutuatario, non potendo far rientrare in tale obbligo la possibile sopravvalutazione o svalutazione di una valuta estera.

3.      Se l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 CEE debba essere interpretato nel senso che le espressioni “oggetto principale del contratto” e “perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro” comprendono una clausola integrata in un contratto di credito stipulato in una valuta estera concluso tra un professionista e un consumatore e che non è stato oggetto di una trattativa individuale, in forza della quale il credito dovrà essere restituito nella medesima valuta».

23.      Hanno depositato osservazioni i mutuatari, la banca, i governi rumeno e polacco nonché la Commissione europea.

24.      Hanno partecipato all’udienza, tenutasi il 9 febbraio 2017, i mutuatari, la banca, il governo rumeno e la Commissione.

 Analisi

25.      Prima di esaminare singolarmente le questioni poste dal giudice del rinvio, vorrei, innanzitutto, formulare alcune osservazioni sulla ricevibilità del presente rinvio, ricevibilità contestata dalla banca.

26.      La banca, infatti, ha espresso dubbi sulla ricevibilità delle questioni poste. Essa ritiene che le questioni pregiudiziali non fossero né necessarie – tenuto conto della giurisprudenza esistente in materia – né pertinenti – data la natura della controversia nel procedimento principale. Il rinvio pregiudiziale tenderebbe, in realtà, ad ottenere una soluzione individuale al fine di risolvere in concreto la controversia oggetto del procedimento principale.

27.      A tale riguardo, è sufficiente ricordare che, da una parte, le domande di pronuncia pregiudiziale godono di una presunzione di rilevanza e, dall’altra, che non appare in modo manifesto che le questioni poste nella fattispecie non presentino alcuna utilità per il giudice del rinvio, che è nella migliore posizione per giudicare l’opportunità del rinvio pregiudiziale (6).

28.      A tal proposito, secondo giurisprudenza consolidata, il rigetto, da parte della Corte, di una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia nel procedimento principale, qualora la questione sia di natura ipotetica o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi in fatto e in diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (7).

29.      In relazione, poi, al tenore delle questioni poste nella fattispecie, esse riguardano, in primo luogo, il modo di considerare, alla luce della direttiva 93/13, gli sviluppi successivi alla conclusione del contratto, in secondo luogo, la valutazione del carattere chiaro e comprensibile delle clausole contrattuali in un tale contesto e, in terzo luogo, la definizione di ciò che rientra nell’«oggetto principale del contratto» o nella «perequazione del prezzo» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, di tale direttiva.

30.      Come è stato suggerito dal governo rumeno, mi sembra che sia opportuno esaminare tali questioni nell’ordine inverso rispetto alla loro presentazione. La questione dell’applicabilità dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, che esclude determinate clausole contrattuali dalla valutazione del carattere abusivo, nonché la questione se le clausole in questione siano state formulate in modo «chiaro e comprensibile» vanno anteposte a qualsiasi valutazione nel merito del carattere abusivo di tali clausole (8).

31.      In questo ambito, occorre ricordare che, se è vero che spetta unicamente al giudice del rinvio pronunciarsi sulla qualificazione delle suddette clausole in funzione delle circostanze proprie del caso di specie, ciò non toglie che la Corte è competente a desumere dalle disposizioni della direttiva 93/13, nella specie quelle dell’articolo 3, paragrafo 1, e dell’articolo 4, paragrafo 2, i criteri che il giudice nazionale può o deve applicare in sede di esame di una clausola contrattuale alla luce di tali disposizioni (9).

 Sulla terza questione: applicabilità dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13

32.      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio intende sapere, in sostanza, se la clausola contrattuale in virtù della quale il credito è rimborsato nella stessa valuta in cui è stato concesso – e che, secondo il parere dei mutuatari, addosserebbe dunque il «rischio di cambio» sul consumatore – rientri nell’ambito dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

33.      Dopo aver proceduto a taluni richiami preliminari sulla portata di tale disposizione alla luce degli insegnamenti della giurisprudenza, esaminerò il caso dei contratti di credito come quelli oggetto del procedimento principale.

 Richiami preliminari sulla portata dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13

34.      Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, sono sottratte alla valutazione del loro carattere abusivo le clausole che vertono sull’«oggetto principale del contratto» e sulla «perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro». Tale disposizione si basa sull’idea che il nucleo centrale del rapporto contrattuale (essentialia negotii) non deve, in linea di principio, essere influenzato da un intervento esterno (10), e in particolare dall’intervento del giudice.

35.      Nella sua giurisprudenza più recente, la Corte ha avuto l’occasione di fornire taluni chiarimenti importanti sulla portata di questa disposizione e sui criteri che il giudice nazionale può o deve applicare durante l’esame delle clausole contrattuali alla luce di tali chiarimenti.

36.      Innanzitutto, essa ha dichiarato che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 doveva necessariamente essere oggetto di una interpretazione restrittiva, poiché sancisce un’eccezione al meccanismo di controllo nel merito delle clausole abusive previsto dalla direttiva 93/13 (11).

37.      Essa ha poi sottolineato che le nozioni utilizzate all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 dovevano ricevere un’interpretazione autonoma e uniforme da effettuarsi tenendo conto del contesto di tale disposizione e della finalità perseguita dalla normativa di cui trattasi (12).

38.      In primo luogo, a proposito della nozione di «oggetto principale del contratto», essa fa riferimento alle clausole che fissano le prestazioni essenziali dello stesso contratto e che, come tali, lo caratterizzano. Le clausole che rivestono un carattere accessorio rispetto a quelle che definiscono l’essenza stessa del rapporto contrattuale non possono rientrare nella nozione di «oggetto principale». È importante sottolineare che, per distinguere ciò che è «essenziale» da ciò che è «accessorio»in un dato contratto, è opportuno tenere conto della natura, dell’impianto sistematico generale e delle stipulazioni del contrattodi credito in questione nonché del suo contesto giuridico e fattuale (13).

39.      In secondo luogo, è stato precisato che le clausole relative al prezzo e alla remunerazione hanno una portata ridotta, poiché esse non vertono sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione. Dato che non esiste un tariffario o criterio che possa orientare il giudice nella sua valutazione, non si può infatti escludere la valutazione del carattere abusivo (14).

 Le clausole che richiedono il rimborso di un prestito in una determinata valuta si riferiscono all’oggetto principale del contratto o alla perequazione del prezzo e della remunerazione?

40.      Nella fattispecie, si tratta di determinare se una clausola inserita in un contratto di credito stipulato in una valuta estera tra un professionista e un consumatore che non sia stata oggetto di negoziato individuale e ai sensi della quale il credito deve essere rimborsato in questa stessa valuta rientri in una delle due ipotesi di esclusione enunciate all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

41.      Tenuto conto della portata ridotta dell’esclusione relativa alle clausole sul prezzo e sulla remunerazione, richiamata al paragrafo 39 supra, mi sembra escluso che la clausola che impone il rimborso del prestito nella valuta in cui è stato concesso possa ricollegarsi alla seconda causa di esclusione.

42.      Invece, sono del parere che tale clausola si riferisca all’oggetto principale del contratto. Mi sembra, infatti, che la clausola che impone il rimborso di un prestito nella valuta in cui è stato concesso costituisca un elemento essenziale della prestazione del debitore che consiste nel rimborso dell’importo messo a sua disposizione dal mutuante.

43.      Generalmente, è opportuno sottolineare che, nel caso dei contratti di credito, da una parte, la prestazione essenziale della banca consiste nella messa a disposizione della somma prestata e, dell’altra, quella del mutuatario consiste nella restituzione del capitale e degli interessi (che rappresentano il prezzo del credito). Orbene, tali prestazioni sono inscindibilmente connesse alla moneta di concessione del credito, e si potrebbe ritenere che solo gli importi indicati, escludendo la moneta di riferimento, rientrano nell’oggetto principale del contratto (15).

44.      Il fatto che un credito debba essere rimborsato in una certa moneta costituisce, ovviamente, uno dei pilastri di un contratto di mutuo, in particolare di un mutuo espresso in valuta estera. Con un contratto di credito, il mutuante si impegna, principalmente, a mettere a disposizione del mutuatario una determinata somma di denaro. Quest’ultimo si impegna, da parte sua, principalmente a rimborsare tale somma, generalmente con gli interessi, secondo le scadenze previste. Queste prestazioni essenziali si riferiscono dunque ad una somma di denaro che deve necessariamente essere definita in relazione a una misura di valore precisa, vale a dire la moneta di pagamento e di rimborso pattuita nel contratto di credito.

45.      Tale conclusione a mio parere, trova conferma nella circostanza che, mancando l’indicazione della valuta in cui un prestito è rimborsato, si presume che detto rimborso debba essere effettuato nella stessa moneta in cui il prestito è stato concesso. Infatti, secondo il principio del nominalismo monetario, che è una norma di diritto largamente diffusa in particolare nei sistemi giuridici di tradizione civilistica, è necessario che l’estinzione di un’obbligazione pecuniaria si faccia con il pagamento della somma numerica menzionata nella convenzione delle parti, senza pregiudicare tale importo con considerazioni di valore. Tale norma, che è stata sancita dall’articolo 1578 del codice civile rumeno (v. paragrafo 12 supra), vieta in linea di principio di intervenire al fine di tenere conto delle fluttuazioni del valore monetario, in aumento o in diminuzione, per modificare l’importo dovuto al momento del pagamento. Interrogato in udienza a tal proposito, il governo rumeno ha confermato che, in mancanza di indicazione in un contratto di mutuo quanto alla valuta nella quale il prestito deve essere rimborsato, si deve concludere che tale rimborso deve essere effettuato nella stessa valuta in cui il prestito è stato erogato.

46.      A proposito, inoltre, dei prestiti controversi nel procedimento principale, se ci si attiene alla natura, all’impianto sistematico generale e alle disposizioni del contratto, l’obbligo di rimborso in franchi svizzeri riveste, a mio avviso, carattere essenziale.

47.      Tale conclusione s’impone sia rispetto al testo delle clausole contrattuali in questione (v. paragrafo 18 supra) sia rispetto al contesto di fatto e di diritto nel quale i contratti di mutuo controversi sono stati stipulati.

48.      Due elementi contestuali, peculiari del procedimento principale, mi sembrano a tal proposito determinanti.

49.      Il primo è che ai contratti di mutuo in valuta estera in questione nel procedimento principale si applica generalmente un tasso di interesse più basso di quelli in valuta nazionale, a fronte proprio del «rischio di cambio» che essi possono comportare in caso di svalutazione della moneta nazionale (16).

50.      Il secondo elemento che merita di essere menzionato è che la banca ha concretamente concesso i prestiti in franchi svizzeri e che ha il diritto di ottenere i rimborsi di tali prestiti nella stessa valuta. Essa non procede in alcun momento, come la Commissione sembra suggerire, ad un’operazione di cambio, restando liberi i mutuatari di versare le mensilità di rimborso in franchi svizzeri da qualsiasi fonte. L’obbligo di rimborso delle mensilità in franchi svizzeri è ben lungi dal costituire un elemento accessorio del contratto. Essa non riguarda una modalità accessoria di pagamento, ma la natura stessa dell’obbligo del debitore.

51.      A tal proposito, è opportuno notare che le circostanze che hanno dato luogo alla presente causa differiscono da quelle all’origine della causa che ha dato luogo alla sentenza Kásler e Káslerné Rábai (17). In quest’ultima causa, non solo il prestito era stato espresso in franchi svizzeri e doveva essere rimborsato nella valuta nazionale (fiorino ungherese), ma le mensilità del rimborso erano calcolate in funzione del corso di vendita di questa valuta praticata dall’istituto bancario in questione. Contrariamente all’approccio sostenuto dal governo polacco, sono del parere che esiste una differenza tra i contratti di credito in valute estere e i crediti indicizzati alle valute estere. Infatti, in quest’ultimo caso, il rimborso è sempre effettuato in moneta nazionale. A mio parere, è inesatto assimilare la clausola di rimborso in una valuta estera ad una clausola detta «monetaria». Una riqualificazione del contratto in questione in contratto di credito semplicemente «indicizzato a una valuta estera» disconoscerebbe il fatto che il riferimento alla valuta estera è un elemento centrale degli obblighi reciproci delle parti nella conclusione del contratto di mutuo.

52.      Inoltre, contrariamente a una clausola avente ad oggetto un meccanismo di modifica delle spese dei servizi da prestare al consumatore (come quello di cui trattasi nella causa Invitel (18)) o delle prestazioni offerte dal professionista, il «rischio di cambio» fa parte degli elementi essenziali del contratto di mutuo in valute estere. Parimenti, se, come ha statuito la Corte nella causa Matei (19), la nozione di «costo totale del credito», ai sensi dell’articolo 3, lettera g), della direttiva 2008/48/CE (20), non può essere assimilata a quella di «oggetto principale del contratto», la moneta nella quale deve essere rimborsato un prestito è una prestazione essenziale che caratterizza il contratto di mutuo.

53.      Infine, prima di concludere sulla terza questione posta dal giudice del rinvio, mi sembra opportuno affrontare brevemente la questione se, nel contesto particolare della presente causa, sia possibile far valere l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

54.      Tale disposizione prevede che non sono soggette alle disposizioni di tale direttiva «[l]e clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative e disposizioni o principi di convenzioni internazionali (…) delle quali gli Stati membri o [l’Unione] sono parte». Tale esclusione trova la sua giustificazione nel fatto che si può legittimamente muovere dal presupposto che il legislatore nazionale abbia stabilito un equilibrio tra l’insieme dei diritti e degli obblighi delle parti di determinati contratti (21).

55.      A tal proposito, la circostanza che formalmente il giudice nazionale abbia formulato una questione pregiudiziale facendo riferimento a talune disposizioni del diritto dell’Unione non osta a che la Corte fornisca a detto giudice tutti gli elementi di interpretazione che possono essere utili per la soluzione della causa di cui è investito, indipendentemente dal fatto che esso vi abbia fatto o meno riferimento nella formulazione delle sue questioni. Spetta alla Corte trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio gli elementi di diritto dell’Unione che richiedono un’interpretazione tenuto conto dell’oggetto della controversia(22).

56.      Orbene, nel contesto della presente causa, è stato fatto osservare, in particolare dal governo rumeno e dalla banca, che si poneva la questione di sapere se le clausole in questione fossero soltanto il riflesso del principio del nominalismo monetario sancito dall’articolo 1578 del codice civile rumeno (v. paragrafo 12 supra).

57.      La Corte ha confermato che l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale, inserita in un contratto concluso da un professionista con un consumatore, è esclusa dall’ambito di applicazione di tale direttiva solamente se detta clausola contrattuale richiama il contenuto di una disposizione legislativa o regolamentare imperativa, il che deve essere verificato dal giudice del rinvio (23).

58.      Nella fattispecie, è lecito nutrire dubbi, da una parte, sul fatto che il principio del nominalismo monetario trovasse applicazione in modo generalizzato alla data della conclusione dei contratti di cui trattasi e, dall’altra, nel determinare se il presunto effetto abusivo risulti unicamente dal diritto nazionale o dall’effetto combinato di quest’ultimo e delle clausole in questione. Tenuto conto della portata restrittiva dell’esclusione prevista dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, non è certo che quest’ultima sia applicabile, poiché l’articolo 1578 del codice civile può essere considerato una norma di natura suppletiva. In ogni caso, spetta unicamente al giudice nazionale effettuare le verifiche a tale riguardo.

59.      Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si propone alla Corte di rispondere che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che spetta al giudice del rinvio valutare, rispetto alla natura, all’impianto sistematico generale e alle clausole dei contratti di mutuo di cui trattasi nonché al contesto di diritto e di fatto nel quale questi ultimi si iscrivono, se la clausola di cui trattasi, ai sensi della quale il credito deve essere rimborsato nella stessa valuta nella quale è stato concesso, riproduca disposizioni legislative del diritto nazionale, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, di detta direttiva. In caso contrario, il giudice nazionale deve considerare che tale clausola rientri nella nozione di «oggetto principale del contratto», il che esclude detta clausola dall’esame del suo carattere potenzialmente abusivo. Tale può essere il caso di una clausola inserita in un contratto di mutuo ai sensi della quale il mutuatario deve rimborsare l’importo nella stessa valuta in cui è stato concesso.

 Sulla seconda questione pregiudiziale: nozione di carattere «chiaro e comprensibile» delle clausole contrattuali

60.      Il giudice del rinvio chiede alla Corte di determinare se l’inserimento di una clausola contrattuale, nella fattispecie quella che prevede l’obbligo per il consumatore di rimborsare il credito che gli è stato concesso nella stessa valuta, debba essere accompagnata da un’informazione esaustiva circa le conseguenze economiche che possono derivare da questa clausola.

61.      A tal proposito, è opportuno, innanzitutto, sottolineare che l’obbligo di redazione chiara e comprensibile delle clausole contrattuali che vincolano un consumatore ad un professionista deve essere osservato anche quando una clausola rientra nell’ambito dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 (24). Le clausole previste da tale disposizione, pur rientrando nel settore disciplinato dalla direttiva, esulano dalla valutazione del loro carattere abusivo soltanto qualora il giudice nazionale competente dovesse considerare, in seguito ad un esame caso per caso, che esse sono state formulate dal professionista in modo chiaro e comprensibile (25). In altri termini, qualunque sia la conclusione alla quale giungerà il giudice a quo riguardo all’applicabilità dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 alle clausole controverse, s’impone l’obbligo della redazione «chiara e comprensibile» di queste ultime.

62.      Inoltre, è ormai acquisito che l’obbligo della redazione chiara e comprensibile delle clausole dei contratti stipulati con i consumatori, che deve essere analizzato alla luce del ventesimo considerando della direttiva 93/13 (26) e che ha la stessa portata di quello previsto all’articolo 5 di tale direttiva, riveste un’importanza fondamentale e implica che il consumatore abbia effettivamente conoscenza di tutte le clausole. È infatti sulla base dell’informazione fornita dal professionista che il consumatore deciderà di vincolarsi contrattualmente a quest’ultimo (27).

63.      Infine, è accertato che tale obbligo deve essere inteso in maniera estensiva: non può essere limitato unicamente al carattere formale e grammaticale, ma implica che il consumatore possa prevedere, in base a criteri chiari e comprensibili, le conseguenze economiche che gliene derivano, come l’eventuale modifica dei costi che dovrebbe sostenere (28). In questo contesto, è opportuno tenere conto del livello di attenzione che ci si può aspettare da un consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (29).

64.      A tal proposito, mi sembra cruciale, in particolare in presenza di obblighi finanziari particolarmente gravosi, come quelli che possono caratterizzare i mutui sottoscritti per una lunga durata, che i professionisti forniscano ai consumatori informazioni sufficienti per consentire loro di obbligarsi consapevolmente.

65.      Più precisamente, dal momento che è chiamato a proporre ad un consumatore una formula di un contratto di mutuo, il professionista deve esporne, per mezzo di un’informazione facilmente comprensibile, le conseguenze potenziali sulla situazione economica di tale consumatore. Quest’ultimo deve, segnatamente, essere in grado di comprendere che si sta impegnando, in cambio di determinati vantaggi finanziari (come per esempio un tasso di interesse basso), ad assumere un certo livello di rischio. Occorre precisare che, nel caso di crediti non immobiliari, si aggiungono all’obbligo generale d’informazione che discende dalla direttiva 93/13 degli obblighi più precisi previsti dalle direttive sui contratti di credito ai consumatori (30).

66.      Per ritornare al caso di specie, sebbene il consumatore medio, ragionevolmente attento e avveduto, in linea di principio, sia in grado di comprendere che un tasso di cambio monetario è soggetto a fluttuazione, esso deve, invece, essere chiaramente informato del fatto che, sottoscrivendo un contratto di mutuo formulato in una valuta estera, si espone a un determinato rischio di cambio che gli sarà, eventualmente, economicamente difficile sostenere in caso di svalutazione della moneta nella quale egli percepisce il proprio reddito (31).

67.      In un tale contesto, deve essere richiesto al professionista, nella fattispecie la banca, che esponga, sulla base della sua esperienza e delle sue conoscenze in materia, le possibili variazioni dei tassi di cambio e i rischi inerenti alla sottoscrizione di un prestito in valuta estera, segnatamente nell’ipotesi in cui il consumatore mutuatario non percepisca il proprio reddito in tale valuta.

68.      Tuttavia, mi sembra irragionevole che sia richiesto al professionista di informare il consumatore, al momento della conclusione del contratto di credito, della sopravvenienza di avvenimenti o evoluzioni successive alla conclusione del contratto che non poteva essere in grado di prevedere. Non si può chiedere a professionisti di fornire ai consumatori informazioni diverse da quelle di cui essi hanno o dovrebbero avere oggettivamente conoscenza al momento della conclusione di tale contratto.

69.      Nella fattispecie, in mancanza di elementi attestanti che la banca sia stata in grado di prevedere un’evoluzione, tutto sommato storica, del tasso di cambio tra il leu rumeno e il franco svizzero della portata di quella osservata dall’anno 2007 e che abbia deliberatamente omesso di informarne i mutuatari, mi sembra chiaramente irragionevole che sia richiesto al professionista di sopportare da solo il rischio di cambio. Tuttavia, spetta al giudice nazionale verificare che il professionista si sia effettivamente assicurato che i consumatori di cui trattasi avessero ben compreso il contenuto delle clausole del contratto di mutuo e che essi erano stati pienamente in grado di valutarne le conseguenze economiche.

70.      A tal proposito, la problematica qui sollevata deve essere distinta da quella oggetto della causa che ha dato luogo alla sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai(C‑26/13, EU:C:2014:282).

71.      In quest’ultima causa, era determinante sapere se, considerato l’insieme dei pertinenti elementi di fatto, tra cui la pubblicità e l’informazione fornite dal mutuante nell’ambito della negoziazione di un contratto di mutuo, un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, potesse non soltanto conoscere l’esistenza della differenza, generalmente osservata sul mercato dei valori mobiliari, tra il corso di vendita ed il corso di acquisto di una valuta estera, ma anche valutare le conseguenze economiche, per esso potenzialmente significative, dovute all’applicazione del corso di vendita ai fini del calcolo dei rimborsi di cui in definitiva sarebbe stato debitore e, pertanto, il costo totale del suo mutuo (32). Ricordo che, nella suddetta causa, non era la fluttuazione dei tassi di cambio ad essere direttamente in questione, ma il fatto che le rate di rimborso dei mutui erano calcolate in funzione del corso di vendita della valuta praticato dalla banca.

72.      In conclusione, l’obbligo in base al quale una clausola contrattuale deve essere formulata in modo chiaro e comprensibile presuppone che la clausola relativa al rimborso del credito nella stessa moneta sia compresa dal consumatore sia sul piano formale e grammaticale, ma altresì in relazione alla sua portata concreta, nel senso che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, poteva non solo conoscere la possibilità di aumento o di deprezzamento della valuta estera nella quale il prestito è stato contratto, ma anche valutare le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sui suoi obblighi finanziari. Tale obbligo non si estende tuttavia fino ad imporre al professionista di prevedere e informare il consumatore di evoluzioni posteriori non prevedibili, come quelle che caratterizzano le fluttuazioni dei tassi di cambio delle valute di cui trattasi nel procedimento principale, e di assumersene le conseguenze.

 Sulla prima questione: momento della valutazione della sussistenza di un «significativo squilibrio»

73.      Il giudice del rinvio vuole sapere se il «significativo squilibrio» dei diritti e degli obblighi delle parti del contratto, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, debba essere analizzato con riferimento unicamente alla situazione al momento della conclusione del contratto o se si possa tenere conto di un’evoluzione successiva alla conclusione di tale contratto che ha reso gli obblighi finanziari del consumatore eccessivamente onerosi rispetto a quelli al momento della conclusione del contratto.

74.      In via preliminare, mi sembra opportuno sottolineare che, come risulta dall’impianto sistematico della direttiva 93/13 e dal sistema di tutela che essa prevede, tale questione ha senso solo se si conclude che la clausola in questione non rientra nell’articolo 4, paragrafo 2, di tale direttiva – in quanto non si riferisce né all’oggetto né al prezzo del servizio o perché non è formulata in modo chiaro e comprensibile – e che si presta dunque ad un esame, nel merito, del suo carattere abusivo. Nel caso contrario, tale questione appare irrilevante.

75.      Nell’ipotesi in cui la Corte sia invitata a fornire precisazioni sul momento nel quale è opportuno valutare la sussistenza di un «significativo squilibrio» dei diritti e degli obblighi delle parti ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 (33), sono del parere che risulti in modo chiaro sia dal testo delle disposizioni di tale direttiva sia dalla natura della tutela che essa conferisce al consumatore che la valutazione dell’esistenza di un tale squilibrio deve essere effettuata in funzione delle circostanze e degli elementi di informazione disponibili alla data della conclusione del contratto di cui trattasi.

76.      In primo luogo, in relazione al testo delle disposizioni pertinenti di tale direttiva, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di quest’ultima, il carattere abusivo di una clausola contrattuale deve essere valutato con riferimento alla sussistenza di un «significativo squilibrio dei diritti e degli obblighidelle parti derivanti dal contratto» Tale disposizione esclude a priori qualsiasi riferimento ad avvenimenti o sviluppi successivi alla conclusione del contratto oggetto di causa.

77.      Inoltre, conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della suddetta direttiva, «il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende» (34).

78.      Tali disposizioni indicano molto chiaramente che la valutazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale deve essere fatta con riferimento al momento della conclusione del contratto in questione.

79.      Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’obiettivo perseguito dalla direttiva 93/13, esso tende a garantire al consumatore una tutela contro l’inserimento da parte dei professionisti di clausole contrattuali riguardo alle quali è accertato, considerate le circostanze ricorrenti al momento della stipula nonché le altre clausole di tale contratto (35), che potevano avere l’effetto di creare uno squilibrio significativo tra le parti del contratto. Occorre in tale contesto verificare se il professionista, qualora avesse trattato in modo leale ed equo con il consumatore, avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi che quest’ultimo aderisse alla stipula del contratto (36).

80.      Se è pur vero che, in applicazione alla direttiva 93/13, è evidente che la valutazione del carattere abusivo di una clausola – e dunque dell’esistenza di un significativo squilibrio tra le parti a danno del consumatore – deve tener conto dell’insieme delle circostanze di cui il professionista poteva essere a conoscenza al momento della conclusione del contratto e che erano idonee a incidere sull’ulteriore esecuzione di quest’ultimo, tuttavia tale valutazione non può in nessun caso dipendere dalla sopravvenienza di avvenimenti successivi alla conclusione del contratto indipendenti dalla volontà delle parti.

81.      A mio avviso, pur dovendo essere censurate dal punto di vista della direttiva 93/13 clausole contrattuali che instaurano uno squilibrio a vantaggio del professionista, quest’ultimo non potrebbe, invece, essere considerato responsabile di avvenimenti successivi alla conclusione del contratto che sono indipendenti dalla sua volontà. Se fosse altrimenti, non solo sarebbero addossati al professionista obblighi sproporzionati, ma sarebbe ugualmente compromesso il principio della certezza del diritto.

82.      A tal proposito, occorre distinguere il caso nel quale una clausola contrattuale è portatrice di uno squilibrio tra le parti che si manifesta solo durante l’esecuzione del contratto da quello in cui, pur non esistendo una clausola abusiva, gli obblighi che gravano sul consumatore, per una modifica delle circostanze successiva alla conclusione del contratto e indipendente dalla volontà delle parti, sono percepiti da quest’ultimo come più onerosi.

83.      La prima ipotesi, che corrisponde segnatamente a quella sottoposta al vaglio della Corte nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb (C‑92/11, EU:C:2013:180), e che riguardava la possibilità per il professionista di modificare unilateralmente, grazie all’inserimento di una clausola standardizzata, il prezzo di una prestazione di servizi (fornitura di gas), l’«evoluzione successiva» al contratto di cui si trattava riguardava effettivamente l’applicazione di un clausola contrattuale che era fin dall’inizio abusiva perché comportava un significativo squilibrio tra le parti.

84.      La seconda ipotesi, vale a dire quella in cui non esiste una clausola abusiva ma in cui, a causa dell’evoluzione delle circostanze, gli obblighi che gravano sul consumatore sono percepiti da quest’ultimo come eccessivi, non è invece prevista dalla tutela conferita dalla direttiva 93/13 (37).

85.      Questo mi sembra essere il caso della clausola che, nel caso di un contratto di mutuo in una valuta estera, impone che il pagamento delle rate di rimborso del prestito debba essere effettuato in questa stessa valuta e pertanto «addossa», in caso di svalutazione della moneta nazionale rispetto a questa stessa valuta, il rischio di cambio sul consumatore.

86.      Non risulta che una siffatta clausola sia in quanto tale portatrice di uno squilibrio. Infatti, si deve necessariamente constatare che la variazione del tasso di cambio che, lo ricordo, può essere considerato sia in aumento sia in diminuzione, è una circostanza che non dipende dalla volontà di una delle parti del contratto di mutuo. Il fatto che la prestazione di cui il mutuatario è debitore, per l’evoluzione dei tassi di cambio, sia diventata onerosa quando è convertita in moneta nazionale non potrebbe indurre a spostare il rischio di cambio sul mutuante.

87.      Inoltre, affinché sia constatata l’esistenza di un significativo squilibrio, bisognerebbe constatare una differenza tra l’importo erogato e l’importo rimborsato. Orbene, una tale differenza non esiste: l’istituto bancario ha prestato un determinato numero di unità monetarie e ha diritto di ottenere la restituzione dello stesso numero di unità.

88.      In altri termini, il fatto di far gravare sul consumatore un rischio di cambio non crea, di per sé, un significativo squilibrio, dato che il professionista (nella fattispecie la banca) non ha il controllo sul tasso di cambio che sarà in vigore successivamente alla conclusione del contratto.

89.      Mentre l’esistenza di un significativo squilibrio doveva valutarsi anche rispetto a eventi che il professionista creditore conosceva o poteva prevedere al momento della conclusione del contratto, lo stesso non può dirsi nel caso di avvenimenti sopraggiunti durante la vigenza del contratto in questione, e ciò indipendentemente dalla volontà delle parti.

90.      In conclusione e per l’eventualità in cui si giudichi necessario rispondere alla prima questione, propongo alla Corte di rispondere che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che il significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto deve essere valutato con riferimento a tutte le circostanze che il professionista avrebbe potuto ragionevolmente prevedere al momento della conclusione del contratto. Tale squilibrio non può, invece, essere valutato in funzione di evoluzioni successive alla conclusione del contratto, come le variazioni del tasso di cambio, che sfuggono al controllo del professionista e che quest’ultimo non poteva prevedere.

 Conclusione

91.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni poste dalla Curtea de Apel Oradea (Corte d’appello di Oradea, Romania) nel seguente modo:

1)      L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori deve essere interpretato nel senso che spetta al giudice del rinvio valutare, rispetto alla natura, all’impianto sistematico generale e alle clausole dei contratti di mutuo di cui trattasi nonché al contesto di diritto e di fatto nel quale quest’ultimi si iscrivono, se la clausola in questione, ai sensi della quale il credito deve essere rimborsato nella stessa valuta nella quale esso è stato concesso, riproduca disposizioni legislative del diritto nazionale, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, di detta direttiva. In caso contrario, il giudice nazionale deve considerare che tale clausola rientra nella nozione di «oggetto principale del contratto», il che esclude detta clausola dall’esame del suo carattere potenzialmente abusivo. Tale può essere il caso di una clausola inserita in un contratto di mutuo ai sensi della quale il mutuatario deve rimborsare l’importo nella stessa valuta in cui è stato concesso.

2)      L’obbligo in base al quale una clausola contrattuale deve essere formulata in modo chiaro e comprensibile presuppone che la clausola relativa al rimborso del credito nella stessa moneta sia compresa dal consumatore sia sul piano formale e grammaticale, ma altresì in relazione alla sua portata concreta, nel senso che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, poteva non solo conoscere la possibilità di aumento o di deprezzamento della valuta estera nella quale il prestito è stato contratto, ma anche valutare le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di tale clausola sui suoi obblighi finanziari. Tale obbligo non si estende tuttavia fino ad imporre al professionista di prevedere e informare il consumatore di evoluzioni successive non prevedibili, come quelle che caratterizzano le fluttuazioni dei tassi di cambio delle valute di cui trattasi nel procedimento principale, e di assumersene le conseguenze.

3)      L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che il significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto deve essere valutato con riferimento a tutte le circostanze che il professionista avrebbe potuto ragionevolmente prevedere al momento della conclusione del contratto. Tale squilibrio non può, invece, essere valutato in funzione di evoluzioni successive alla conclusione del contratto, come le variazioni del tasso di cambio, che sfuggono al controllo del professionista e che quest’ultimo non poteva prevedere.


1      Lingua originale: il francese.


2      Direttiva del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).


3      La presente causa si distingue infatti sia dalla causa che ha dato luogo alla sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282), che riguardava le clausole contrattuali che determinavano i corsi applicabili rispettivamente all’erogazione e al rimborso del prestito, sia da quella che è all’origine della sentenza del 26 febbraio 2015, Matei (C‑143/13, EU:C:2015:127), che verteva sulle clausole che, da un lato, permettevano, in certe condizioni, al mutuante di modificare il tasso di interesse e, dall’altro, prevedevano la riscossione da parte di quest’ultimo di una commissione di rischio.


4      V. paragrafo 1 delle conclusioni da me presentate nella causa Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:85). Secondo le informazioni di cui ho potuto disporre, i mutui in franchi svizzeri sarebbero stati sottoscritti da più di 50 000 famiglie in Romania. Risulta inoltre dalle informazioni comunicate nell’ambito della presente causa che il tasso di cambio tra il franco svizzero e il leu rumeno, tra il 2007 e il 2014, sarebbe più o meno raddoppiato. È importante notare altresì che, con decisione del 7 febbraio 2017, la Curtea Constituțională (Corte costituzionale, Romania), in seduta plenaria, ha annullato una normativa rumena che aveva rivisto al ribasso il tasso di cambio che doveva essere applicato all’atto del rimborso dei mutui in franchi svizzeri, al fine, con ogni probabilità, di prevenire e di rimediare alle situazioni di sovraindebitamento. Detto giudice ha in particolare dichiarato che, in tal modo, il legislatore aveva violato il principio di certezza del diritto e, quindi, aveva agito violando le norme di rango costituzionale. Infine, si osserva che altre cause, attualmente pendenti (v., segnatamente, cause C‑627/15, Gavrilescu; C‑483/16, Sziber; C‑38/17, GT, C‑51/17, Ilyés e Kiss, C‑118/17, Dunai, C‑119/17, Lupean e Lupean nonché C‑126/17, Czakó), si riferiscono anch’esse alla prassi dei mutui in valute estere.


5      Ripubblicata da ultimo nel Monitorul Oficial al României, parte I, n. 543 del 3 agosto 2012.


6      Anche in presenza di una giurisprudenza della Corte che risolve il punto di diritto considerato, i giudici nazionali mantengono la completa libertà di adire la Corte qualora lo ritengano opportuno (v., segnatamente, sentenza del 17 luglio 2014, Torresi (C‑58/13 e C‑59/13, EU:C:2014:2088, punto 32 e giurisprudenza citata).


7      Per un’applicazione recente di questi principi, si rinvia in particolare alla sentenza del 26 gennaio 2017, Banco Primus (C‑421/14, EU:C:2017:60, punti da 29 a 34).


8      V., per un approccio simile, sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punti 41 e 42).


9      V., segnatamente, sentenze del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb (C‑92/11, EU:C:2013:180, punto 48); del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 45), e del 26 febbraio 2015, Matei (C‑143/13, EU:C:2015:127, punto 53).


10      V. le conclusioni che ho presentato nella causa Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:85, paragrafo 33).


11      V., segnatamente, sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 42); del 26 febbraio 2015, Matei (C‑143/13, EU:C:2015:127, punto 49), e del 23 aprile 2015, Van Hove (C‑96/14, EU:C:2015:262, punto 31).


12      V. sentenza del 26 febbraio 2015, Matei (C‑143/13, EU:C:2015:127, punto 50 e giurisprudenza citata).


13      V., segnatamente, sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punti 49 e 50); del 26 febbraio 2015, Matei (C‑143/13, EU:C:2015:127, punti 53 e 54), e del 23 aprile 2015, Van Hove (C‑96/14, EU:C:2015:262, punto 33).


14      V. sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punti 54 e 55), e del 26 febbraio 2015, Matei (C‑143/13, EU:C:2015:127, punti 55 e 56).


15      Per un esame più dettagliato delle «prestazioni essenziali» che caratterizzano un contratto di credito, mi permetto di rinviare alle mie conclusioni nella causa Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:85, paragrafi da 56 a 65).


16      V., segnatamente, decisione n. 2/2014 PJE della Kúria (Corte suprema, Ungheria), resa nell’interesse di un’interpretazione uniforme delle disposizioni di diritto civile, alla quale fa esplicitamente riferimento la sentenza del 3 dicembre 2015, Banif Plus Bank (C‑312/14, EU:C:2015:794, punti da 43 a 45). In detta decisione, la Kúria (Corte suprema) ha dichiarato che, in linea di principio, le clausole di un contratto di mutuo espresso in valuta, che hanno l’effetto che, in cambio di un tasso di interesse più favorevole a quello offerto per i mutui espressi in moneta nazionale, il rischio di un apprezzamento della valuta incombe interamente sul consumatore, vertono sull’oggetto principale del contratto.


17      V. sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282).


18      V. sentenza del 26 aprile 2012, Invitel (C‑472/10, EU:C:2012:242).


19      Sentenza del 26 febbraio 2015, Matei (C‑143/13, EU:C:2015:127).


20      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE (GU 2008, L 133, pag. 66).


21      V., segnatamente, sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb (C‑92/11, EU:C:2013:180, punto 28) e tredicesimo considerando della direttiva 93/13.


22      V., segnatamente, sentenze del 27 ottobre 2009, ČEZ (C‑115/08, EU:C:2009:660, punto 81 e giurisprudenza citata), e del 10 settembre 2014, Kušionová (C‑34/13, EU:C:2014:2189, punto 71 e giurisprudenza citata).


23      V., in particolare, sentenza del 10 settembre 2014, Kušionová (C‑34/13, EU:C:2014:2189, punto 80).


24      Sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 68).


25      V. sentenza del 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid (C‑484/08, EU:C:2010:309, punto 32).


26      Tale considerando prevede «che i contratti devono essere redatti in termini chiari e comprensibili, che il consumatore deve avere la possibilità effettiva di prendere conoscenza di tutte le clausole e che, in caso di dubbio, deve prevalere l’interpretazione più favorevole al consumatore».


27      V. sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punti da 66 a 70 e giurisprudenza citata).


28      V. sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punti 71 e 72); del 26 febbraio 2015, Matei (C‑143/13, EU:C:2015:127, punto 73), e del 9 luglio 2015, Bucura (C‑348/14, non pubblicata, EU:C:2015:447, punti 51, 52, 55 e 60).


29      V., in tal senso, sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 74), e del 26 febbraio 2015, Matei (C‑143/13, EU:C:2015:127, punto 75).


30      V., segnatamente, articoli da 4 a 6 della direttiva 2008/48.


31      V., a tal proposito, la Raccomandazione del Comitato europeo per il rischio sistemico, del 21 settembre 2011, sui prestiti in valuta estera (CERS/2011/1) (GU 2011, C 342, pag. 1), Raccomandazione A – Consapevolezza dei rischi da parte dei prenditori, punto 1.


32      V. sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 74).


33      V., segnatamente, sentenze del 14 marzo 2013, Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164), e del 16 gennaio 2014, Constructora Principado (C‑226/12, EU:C:2014:10).


34      Il corsivo è mio.


35      V., segnatamente, sentenza del 16 gennaio 2014, Constructora Principado (C‑226/12, EU:C:2014:10, punto 24 e giurisprudenza citata).


36      V., segnatamente, sentenza del 14 marzo 2013, Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 69).


37      La direttiva 93/13 mira unicamente a dissuadere e a sanzionare l’impiego da parte dei professionisti di clausole che comportano un significativo squilibrio e non a regolare situazioni giuridiche di «imprevisto», che possono eventualmente essere prese in considerazione dal diritto nazionale.