Language of document : ECLI:EU:C:2020:267

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

2 aprile 2020 (*)

[Testo rettificato con ordinanza del 15 giugno 2020]

«Rinvio pregiudiziale – Marchio dell’Unione europea – Regolamento (CE) n. 207/2009 – Articolo 9 – Regolamento (UE) 2017/1001 – Articolo 9 – Diritti conferiti dal marchio – Uso – Stoccaggio di prodotti al fine di offrirli o di immetterli in commercio – Magazzinaggio in vista della spedizione di prodotti, venduti su un sito per il commercio on-line, che violano un diritto di marchio»

Nella causa C‑567/18,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania), con decisione del 26 luglio 2018, pervenuta in cancelleria il 7 settembre 2018, nel procedimento

Coty Germany GmbH

contro

Amazon Services Europe Sàrl,

Amazon Europe Core Sàrl,

Amazon FC Graben GmbH,

Amazon EU Sàrl,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da E. Regan, presidente di sezione, I. Jarukaitis, E. Juhász, M. Ilešič (relatore) e C. Lycourgos, giudici,

avvocato generale: M. Campos Sánchez-Bordona

cancelliere: D. Dittert, capo unità

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 19 settembre 2019,

considerate le osservazioni presentate:

–        [Come rettificato con ordinanza del 15 giugno 2020] per Coty Germany GmbH, da M. Fiebig, B. Weichhaus e A. Lubberger, Rechtsanwälte;

–        per Amazon Services Europe Sàrl e Amazon FC Graben GmbH, da V. von Bomhard, C. Elkemann e A. Lambrecht, Rechtsanwälte;

–        [Come rettificato con ordinanza del 15 giugno 2020] per il governo tedesco, da J. Möller, M. Hellmann e U. Bartl, en qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da G. Braun, É. Gippini Fournier e S.L. Kalėda, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 28 novembre 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio [dell’Unione europea] (GU 2009, L 78, pag. 1), nella versione anteriore alle modifiche ad opera del regolamento (UE) 2015/2424 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015 (GU 2015, L 341, pag. 21), nonché dell’articolo 9, paragrafo 3, lettera b), del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1).

2        Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra Coty Germany GmbH (in prosieguo: «Coty»), da un lato, e Amazon Services Europe Sàrl, Amazon Europe Core Sàrl, Amazon FC Graben GmbH e Amazon EU Sàrl, dall’altro, in merito alla vendita, in uno spazio di mercato del sito Internet www.amazon.de, da parte di un venditore terzo, senza l’autorizzazione di Coty, di flaconi di profumo per i quali i diritti conferiti dal marchio non sono esauriti.

 Contesto normativo

 Regolamento n. 207/2009

3        L’articolo 9 del regolamento n. 207/2009, intitolato «Diritti conferiti dal marchio [dell’Unione europea]», nella versione anteriore alle modifiche ad opera del regolamento 2015/2424, prevedeva, ai paragrafi 1 e 2, quanto segue:

«1.      Il marchio [dell’Unione europea] conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)      un segno identico al marchio [dell’Unione europea] per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b)      un segno che[,] a motivo della sua identità o somiglianza col marchio [dell’Unione europea] e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio [dell’Unione europea] e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra segno e marchio;

c)      un segno identico o simile al marchio [dell’Unione europea] per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato, se il marchio [dell’Unione europea] gode di notorietà nell’[Unione] e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio [dell’Unione europea] o reca pregiudizio agli stessi.

2.      Possono essere in particolare vietati, a norma del paragrafo 1:

(...)

b)      l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali fini oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno;

(...)».

4        Il regolamento n. 207/2009, come modificato dal regolamento 2015/2424, è stato abrogato e sostituito, con effetto dal 1º ottobre 2017, dal regolamento 2017/1001.

 Regolamento 2017/1001

5        L’articolo 9 del regolamento 2017/1001 così recita:

«1.      La registrazione del marchio UE conferisce al titolare un diritto esclusivo.

2.      Fatti salvi i diritti dei titolari acquisiti prima della data di deposito o della data di priorità del marchio UE, il titolare del marchio UE ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio, in relazione a prodotti o servizi, qualsiasi segno quando:

a)      il segno è identico al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e servizi identici ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato;

b)      il segno è identico o simile al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e a servizi identici o simili ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato, se vi è rischio di confusione da parte del pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra segno e marchio;

c)      il segno è identico o simile al marchio UE, a prescindere dal fatto che sia usato per prodotti o servizi identici, simili o non simili a quelli per i quali il marchio UE è stato registrato, se il marchio UE gode di notorietà nell’Unione e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio UE o reca pregiudizio agli stessi.

3.      Possono essere in particolare vietati, a norma del paragrafo 2:

(...)

b)      l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali fini oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno;

(...)».

 Direttiva 2000/31/CE

6        L’articolo 14 della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») (GU 2000, L 178, pag. 1), intitolato «“Hosting”», al paragrafo 1 così dispone:

«Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore:

a)      non sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione, o

b)      non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso».

 Direttiva 2004/48/CE

7        L’articolo 11 della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (GU 2004, L 157, pag. 45, e, per rettifica, GU 2004, L 195, pag. 16), intitolato «Ingiunzioni», prevede, alla prima frase, quanto segue:

«Gli Stati membri assicurano che, in presenza di una decisione giudiziaria che ha accertato una violazione di un diritto di proprietà intellettuale, le autorità giudiziarie possano emettere nei confronti dell’autore della violazione un’ingiunzione diretta a vietare il proseguimento della violazione».

 Procedimento principale e questione pregiudiziale

8        Coty, azienda che distribuisce profumi, è titolare di una licenza sul marchio dell’Unione europea DAVIDOFF registrato con il numero 876 874 (in prosieguo: il «marchio controverso»), tutelato per i prodotti «profumeria, oli essenziali, cosmetici».

9        Amazon Services Europe offre a venditori terzi la possibilità di pubblicare, per i loro prodotti, offerte di vendita sul sito Internet www.amazon.de, all’interno dello spazio «Amazon-Marketplace». In caso di vendita, i contratti aventi ad oggetto tali prodotti sono stipulati tra i venditori terzi e gli acquirenti. Detti venditori terzi hanno, peraltro, la possibilità di partecipare al programma «Logistica di Amazon», nell’ambito del quale i prodotti sono conservati da società del gruppo Amazon, tra cui Amazon FC Graben, che gestisce un deposito. La spedizione di tali prodotti è effettuata da prestatori esterni.

10      L’8 maggio 2014 un acquirente-test di Coty ordinava, tramite il sito Internet www.amazon.de, un flacone di profumo «Davidoff Hot Water EdT 60 ml» offerto in vendita da una venditrice terza (in prosieguo: la «venditrice») e spedito dal gruppo Amazon nell’ambito del programma summenzionato. Su diffida di Coty, in quanto in relazione ai prodotti affidati dalla venditrice ad Amazon FC Graben nell’ambito di detto programma i diritti conferiti dal marchio controverso non erano esauriti, non trattandosi di prodotti immessi in commercio nell’Unione con detto marchio dal titolare o con il suo consenso, la venditrice medesima assumeva un impegno di astensione corredato da una clausola penale.

11      Con lettera del 2 giugno 2014, Coty invitava Amazon Services Europe a rimetterle tutti i flaconi di profumo recanti il marchio controverso stoccati per conto della venditrice. Amazon Services Europe inviava a Coty un pacco contenente 30 flaconi di profumo. Informata da un’altra società appartenente al gruppo Amazon che 11 dei 30 flaconi inviati provenivano dalle scorte di un altro venditore, Coty invitava Amazon Services Europe a indicarle il nome e l’indirizzo di tale altro venditore, giacché in relazione a 29 flaconi su 30 non si sarebbe verificato alcun esaurimento dei diritti conferiti dal marchio. Amazon Services Europe rispondeva di non essere in grado di soddisfare la richiesta.

12      Ritenendo che il comportamento di Amazon Services Europe, da un lato, e quello di Amazon FC Graben, dall’altro, violassero il diritto sul marchio controverso, Coty chiedeva in particolare, in sostanza, che tali due società fossero condannate, a pena di sanzioni, ad astenersi dallo stoccare o spedire, o far stoccare o far spedire, in Germania, nel commercio, profumi recanti il marchio Davidoff Hot Water, se tali prodotti non fossero stati immessi in commercio nell’Unione con il suo consenso. Chiedeva, in subordine, che le medesime società fossero condannate, negli stessi termini, per quanto riguarda i profumi del marchio Davidoff Hot Water EdT 60 ml e, in ulteriore subordine, che fossero condannate, negli stessi termini, per quanto riguarda i profumi del marchio Davidoff Hot Water EdT 60 ml in deposito per conto della venditrice o che non potessero essere collegati ad alcun altro venditore.

13      Il Landgericht (Tribunale del Land, Germania) respingeva l’azione proposta da Coty. Quest’ultima risultava soccombente anche in secondo grado, ritenendo il giudice d’appello, in particolare, che Amazon Services Europe non avesse né stoccato né spedito i prodotti in questione e che Amazon FC Graben avesse conservato tali prodotti per conto della venditrice e di altri venditori terzi.

14      Coty ha proposto ricorso per cassazione («Revision») dinanzi al giudice del rinvio. Solo Amazon Services Europe e Amazon FC Graben sono state citate in giudizio.

15      Il giudice del rinvio rileva che l’esito dell’impugnazione, là dove Coty contesta la valutazione del giudice d’appello secondo cui Amazon FC Graben non è responsabile come autore della violazione di un diritto di marchio, dipende dall’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 207/2009 e dell’articolo 9, paragrafo 3, lettera b), del regolamento 2017/1001.

16      In particolare, l’esito del ricorso per cassazione («Revision») dipenderebbe da se tali disposizioni debbano essere interpretate nel senso che una persona che conservi per conto di un terzo prodotti che violano un diritto di marchio, e non sia a conoscenza della violazione del diritto di marchio, effettua lo stoccaggio di tali prodotti ai fini della loro offerta o della loro immissione in commercio ai sensi di dette disposizioni, anche se solo il terzo intende offrire detti prodotti o immetterli in commercio.

17      Il giudice del rinvio precisa altresì che, poiché Coty basa una delle sue domande sul rischio di recidiva, la sua azione è fondata solo se l’illegittimità del comportamento delle società in causa del gruppo Amazon è accertata sia alla data dei fatti del procedimento principale sia a quella della pronuncia della decisione sul ricorso per cassazione («Revision»).

18      In tali circostanze il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se una persona che conserva per conto di un terzo prodotti che violano un diritto di marchio, senza essere a conoscenza di tale violazione, effettui lo stoccaggio di tali prodotti ai fini dell’offerta o dell’immissione in commercio, nel caso in cui solo il terzo, e non anche essa stessa, intenda offrire o immettere in commercio detti prodotti».

 Sulla questione pregiudiziale

 Sulla ricevibilità

19      Coty fa valere, da un lato, che la questione pregiudiziale, come sollevata dal giudice del rinvio, riguarda essenzialmente un depositario che non fornisce alcuna assistenza all’offerta di vendita, alla vendita e all’immissione in commercio dei prodotti che ha in deposito. Orbene, Amazon FC Graben non presenterebbe caratteristiche del genere, tenuto conto dei servizi proposti da altre società del gruppo Amazon nell’ambito dell’immissione in commercio dei prodotti di cui trattasi, cosicché non si può escludere che la questione pregiudiziale verta su un problema di natura ipotetica o che non presenti un rapporto sufficiente con la realtà o con l’oggetto della controversia nel procedimento principale.

20      Dall’altro lato, Coty rileva che la descrizione delle resistenti nel procedimento principale contenuta nella decisione di rinvio non riflette sufficientemente il ruolo svolto da Amazon Services Europe e da Amazon FC Graben per quanto riguarda l’immissione in commercio dei prodotti di cui trattasi. Essa afferma, in tale contesto, che, nella comunicazione ai fini della vendita e al momento dell’esecuzione del contratto di vendita, tali società si sostituiscono interamente al venditore. Inoltre, su ordine di Amazon Services Europe e di Amazon EU, Amazon Europe Core promuoverebbe in modo continuativo i prodotti sul sito Internet www.amazon.de mediante annunci pubblicitari nel motore di ricerca Google che rinvierebbero a offerte tanto di Amazon EU a proprio nome quanto di terzi, gestite da Amazon Services Europe. Pertanto, considerata nel suo insieme, l’attività delle resistenti nel procedimento principale andrebbe ben oltre il ruolo svolto dalla società eBay nella causa all’origine della sentenza del 12 luglio 2011, L’Oréal e a. (C‑324/09, EU:C:2011:474).

21      Al riguardo è sufficiente ricordare che, quando risponde a questioni pregiudiziali, la Corte deve prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione delle competenze con i giudici nazionali, il contesto fattuale e normativo nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali medesime come definito dal giudice del rinvio (sentenze del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B., C‑42/17, EU:C:2017:936, punto 24, nonché del 14 novembre 2019, Spedidam, C‑484/18, EU:C:2019:970, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

22      Poiché il giudice del rinvio è il solo competente ad accertare e valutare i fatti della controversia di cui è investito, la Corte deve, in linea di principio, limitare il proprio esame agli elementi di valutazione che il giudice del rinvio ha deciso di sottoporle e attenersi alla situazione che tale giudice ritenga accertata e non può essere vincolata dalle ipotesi formulate da una delle parti nel procedimento principale (sentenza dell’8 giugno 2016, Hünnebeck, C‑479/14, EU:C:2016:412, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

23      Spetta esclusivamente al giudice nazionale cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, allorché le questioni sollevate riguardano l’interpretazione di una norma giuridica dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (sentenza del 19 dicembre 2019, Dobersberger, C‑16/18, EU:C:2019:1110, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).

24      Ne consegue che le questioni vertenti sul diritto dell’Unione sono assistite da una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione richiesta relativamente ad una norma dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia nel procedimento principale, oppure qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza del 19 dicembre 2019, Dobersberger, C‑16/18, EU:C:2019:1110, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).

25      Ebbene, tale ipotesi non ricorre nel caso in esame.

26      Per un verso, come risulta inequivocabilmente dalla decisione di rinvio e come ricordato al punto 15 della presente sentenza, l’esito del ricorso per cassazione («Revision») dipende, secondo il giudice del rinvio, dall’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 207/2009 e dell’articolo 9, paragrafo 3, lettera b), del regolamento 2017/1001, richiesta da tale giudice al fine di accertare l’eventuale responsabilità di Amazon FC Graben per la violazione del diritto di marchio di Coty.

27      Per altro verso, la Corte dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alla questione sottopostale. Dalla decisione di rinvio risulta infatti chiaramente, da un lato, che Amazon Services Europe offre a venditori terzi la possibilità di pubblicare, per i loro prodotti, offerte di vendita nello spazio «Amazon-Marketplace» del sito Internet www.amazon.de e, dall’altro, che Amazon FC Graben gestisce un deposito nel quale i prodotti in questione sono stati conservati.

28      Per il resto, per quanto riguarda l’assenza, nella decisione di rinvio, di descrizioni di Amazon EU e di Amazon Europe Core, è giocoforza constatare che l’eventuale responsabilità di tali società non è oggetto del ricorso per cassazione («Revision») pendente dinanzi al giudice del rinvio né, pertanto, della domanda di pronuncia pregiudiziale.

29      La questione pregiudiziale è, di conseguenza, ricevibile.

 Nel merito

30      Con la sua questione il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se l’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 207/2009 e l’articolo 9, paragrafo 3, lettera b), del regolamento 2017/1001 debbano essere interpretati nel senso che occorre ritenere che una persona che conservi per conto di un terzo prodotti che violano un diritto di marchio, senza essere a conoscenza di tale violazione, stocchi tali prodotti ai fini della loro offerta o immissione in commercio ai sensi delle citate disposizioni, anche quando non persegue essa stessa dette finalità.

31      Occorre ricordare, in via preliminare, che, ai termini dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009, la cui sostanza è ripresa all’articolo 9, paragrafi 1 e 2, del regolamento 2017/1001, il marchio dell’Unione europea conferisce al suo titolare il diritto esclusivo di vietare a qualsiasi terzo di usare nel commercio un segno identico a tale marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato, o un segno che, a motivo della sua identità o somiglianza con il marchio dell’Unione europea e dell’identità o somiglianza dei prodotti e dei servizi contraddistinti da tale marchio e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, oppure un segno identico o simile al marchio dell’Unione europea per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, se quest’ultimo gode di notorietà nell’Unione e l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio oppure rechi pregiudizio agli stessi.

32      L’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009, la cui sostanza è ripresa all’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento 2017/1001, fa un elenco non tassativo dei tipi di uso che possono essere vietati dal titolare di un marchio ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009 e dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001 (v., in tal senso, sentenza del 23 marzo 2010, Google France e Google, da C‑236/08 a C‑238/08, EU:C:2010:159, punto 65).

33      Tra questi ultimi figurano, all’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 207/2009, la cui sostanza è ripresa all’articolo 9, paragrafo 3, lettera b), del regolamento 2017/1001, l’offerta dei prodotti, la loro immissione in commercio oppure il loro stoccaggio a tali fini.

34      Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta, da un lato, che le resistenti nel procedimento principale si sono limitate al magazzinaggio dei prodotti di cui trattasi, senza averli offerti in vendita o averli immessi in commercio esse stesse, e, dall’altro, che esse tantomeno intendevano offrire tali prodotti in vendita o immetterli in commercio.

35      Occorre pertanto stabilire se una siffatta operazione di magazzinaggio possa essere considerata un «uso» del marchio ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009 e dell’articolo 9, paragrafi 1 e 2, del regolamento 2017/1001 e, in particolare, se configuri uno «stoccaggio» dei prodotti ai fini della loro offerta o della loro immissione in commercio ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 207/2009, la cui sostanza è ripresa all’articolo 9, paragrafo 3, lettera b), del regolamento 2017/1001.

36      A tal riguardo occorre ricordare, in primo luogo, che né il regolamento n. 207/2009 né il regolamento 2017/1001 definiscono la nozione di «usare» ai sensi dell’articolo 9 di tali regolamenti.

37      La Corte ha tuttavia già avuto occasione di sottolineare che, nella sua accezione abituale, il verbo «usare» implica un comportamento attivo e un controllo, diretto o indiretto, sull’atto che costituisce l’uso. In proposito essa ha rilevato che l’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009, la cui sostanza è ripresa all’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento 2017/1001, che fa un elenco non tassativo dei tipi di uso che il titolare del marchio può vietare, menziona esclusivamente comportamenti attivi da parte del terzo (v., in tal senso, sentenze del 3 marzo 2016, Daimler, C‑179/15, EU:C:2016:134, punti 39 e 40, nonché del 25 luglio 2018, Mitsubishi Shoji Kaisha e Mitsubishi Caterpillar Forklift Europe, C‑129/17, EU:C:2018:594, punto 38).

38      La Corte ha altresì ricordato che tali disposizioni hanno lo scopo di fornire al titolare di un marchio uno strumento legale che gli consenta di vietare, e quindi di far cessare, ogni uso del suo marchio fatto da un terzo senza il suo consenso. Ebbene, solo un terzo che abbia il controllo, diretto o indiretto, sull’atto che costituisce l’uso è effettivamente in grado di cessare tale uso e quindi di conformarsi a detto divieto (v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2016, Daimler, C‑179/15, EU:C:2016:134, punto 41).

39      La Corte ha peraltro ripetutamente dichiarato che l’uso di un segno identico o simile al marchio del titolare da parte di un terzo implica, quanto meno, che quest’ultimo utilizzi il segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale. Una persona può così permettere ai propri clienti di fare uso di segni identici o simili a marchi senza utilizzare essa stessa tali segni (v., in tal senso, sentenza del 23 marzo 2010, Google France e Google, da C‑236/08 a C‑238/08, EU:C:2010:159, punto 56).

40      Per esempio, la Corte ha considerato, trattandosi della gestione  di una piattaforma di commercio on-line, che l’uso di segni identici o simili a marchi in offerte di vendita che compaiono in un mercato on-line ha luogo ad opera dei clienti-venditori del gestore di tale mercato e non ad opera del gestore stesso (v., in tal senso, sentenza del 12 luglio 2011, L’Oréal e a., C‑324/09, EU:C:2011:474, punto 103).

41      Essa ha altresì rilevato, nel caso di un’impresa la cui attività principale consisteva nel riempimento di lattine con bevande prodotte da essa stessa o da terzi, che un prestatore di servizi che si limiti a riempire, su incarico e su istruzioni di un terzo, lattine già provviste di segni simili a marchi e quindi ad eseguire semplicemente una parte tecnica del processo di produzione del prodotto finale, senza avere il minimo interesse nella presentazione esterna di dette lattine e in particolare nei segni che vi figurano, non «usa» esso stesso tali segni, bensì crea unicamente le condizioni tecniche necessarie perché il terzo possa usarli (v., in tal senso, sentenza del 15 dicembre 2011, Frisdranken Industrie Winters, C‑119/10, EU:C:2011:837, punto 30).

42      Parimenti, la Corte ha dichiarato che, se è vero che fa «uso» di un segno identico al marchio l’operatore economico che, in vista della loro commercializzazione, importi o rimetta ad un depositario merci recanti un marchio di cui non è titolare, non è necessariamente così nel caso del depositario che fornisce un servizio di deposito per le merci recanti il marchio altrui (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2015, TOP Logistics e a., C‑379/14, EU:C:2015:497, punti 42 e 45).

43      Invero, il fatto di creare le condizioni tecniche necessarie per l’uso di un segno e di essere remunerati per tale servizio non significa che chi rende tale servizio usi egli stesso il segno (v., in tal senso, sentenze del 23 marzo 2010, Google France e Google, da C‑236/08 a C‑238/08, EU:C:2010:159, punto 57, e del 15 dicembre 2011, Frisdranken Industrie Winters, C‑119/10, EU:C:2011:837, punto 29).

44      In secondo luogo, dalla formulazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 207/2009, la cui sostanza è ripresa all’articolo 9, paragrafo 3, lettera b), del regolamento 2017/1001, risulta che tale disposizione riguarda specificamente l’offerta di prodotti, la loro immissione in commercio, il loro stoccaggio «a tali fini» oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno in questione.

45      Ne consegue che, affinché il magazzinaggio di prodotti rivestiti di segni identici o simili a marchi possa essere qualificato come «uso» di tali segni, occorre pure, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 67 delle sue conclusioni, che l’operatore economico che effettua tale magazzinaggio persegua in prima persona le finalità cui si riferiscono tali disposizioni, che consistono nell’offerta dei prodotti o nella loro immissione in commercio.

46      Diversamente, non si può ritenere che l’atto che costituisce l’uso del marchio lo compia tale persona né che il segno sia utilizzato nell’ambito della sua comunicazione commerciale.

47      Orbene, nel caso di specie, per quanto riguarda le resistenti nel procedimento principale, come rilevato al punto 34 della presente sentenza, il giudice del rinvio indica senza ambiguità che non hanno esse stesse offerto in vendita i prodotti di cui trattasi né li hanno immessi in commercio, precisando, anzi, nel testo della sua questione, che è solo il terzo che intende offrire i prodotti o immetterli in commercio. Ne consegue che esse non fanno, di per sé, uso del segno nell’ambito della loro comunicazione commerciale.

48      Tale conclusione, ciò detto, fa salva la possibilità di considerare che le suddette parti utilizzino esse stesse il segno per quanto riguarda i flaconi di profumo che stocchino non per venditori terzi, bensì per proprio conto, o che, non potendo esse identificare il venditore terzo, sarebbero offerti o immessi in commercio dalle medesime in prima persona.

49      Infine, nonostante le considerazioni svolte al punto 47 della presente sentenza, si deve ricordare come risulti da una giurisprudenza consolidata che, quando un operatore economico ha permesso a un altro operatore di fare uso di un marchio, il suo ruolo deve, all’occorrenza, essere esaminato con riferimento a norme giuridiche diverse dall’articolo 9 del regolamento n. 207/2009 o dall’articolo 9 del regolamento 2017/1001 (v., in tal senso, sentenze del 23 marzo 2010, Google France e Google, da C‑236/08 a C‑238/08, EU:C:2010:159, punto 57, e del 15 dicembre 2011, Frisdranken Industrie Winters, C‑119/10, EU:C:2011:837, punto 35), quali l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 o l’articolo 11, prima frase, della direttiva 2004/48.

50      A tal riguardo Coty chiede alla Corte, in caso di risposta in senso negativo alla questione sollevata dal giudice del rinvio, di stabilire se l’attività del gestore di uno spazio di mercato on-line in circostanze come quelle di cui al procedimento principale rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2000/31 e, se non vi rientrasse, se un tale gestore debba essere considerato un «autore della violazione» ai sensi dell’articolo 11, prima frase, della direttiva 2004/48.

51      Occorre tuttavia ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, si devono esaminare, delle questioni sottoposte alla Corte dalle parti del procedimento principale, solo quelle che hanno costituito oggetto della decisione di rinvio del giudice nazionale (sentenza del 3 settembre 2015, A2A, C‑89/14, EU:C:2015:537, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

52      Orbene, è pacifico che, nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio non ha sollevato tale questione, sicché non occorre rispondervi.

53      Tutto ciò considerato, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 207/2009 e l’articolo 9, paragrafo 3, lettera b), del regolamento 2017/1001 devono essere interpretati nel senso che una persona che conservi per conto di un terzo prodotti che violano un diritto di marchio, senza essere a conoscenza di tale violazione, si deve ritenere che non stocchi tali prodotti ai fini della loro offerta o della loro immissione in commercio ai sensi delle succitate disposizioni, qualora non persegua essa stessa dette finalità.

 Sulle spese

54      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

L’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio [dell’Unione europea], e l’articolo 9, paragrafo 3, lettera b), del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che una persona che conservi per conto di un terzo prodotti che violano un diritto di marchio, senza essere a conoscenza di tale violazione, si deve ritenere che non stocchi tali prodotti ai fini della loro offerta o della loro immissione in commercio ai sensi delle succitate disposizioni, qualora non persegua essa stessa dette finalità.

Firme


*      Lingua processuale: il tedesco.