Language of document : ECLI:EU:C:2021:198

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GERARD HOGAN

presentate l’11 marzo 2021 (1)

Procedimento di parere 1/19

instaurato su domanda del Parlamento europeo

«Domanda di parere ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE – Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul) – Adesione dell’Unione – Competenze esterne dell’Unione – Basi giuridiche adeguate – Articolo 78, paragrafo 2, TFUE – Articolo 82, paragrafo 2, TFUE – Articolo 83, paragrafo 1, TFUE – Articolo 84 TFUE – Scissione in due delle decisioni relative alla firma e alla conclusione, conformemente alle basi giuridiche applicabili – Compatibilità con i Trattati UE e FUE – Prassi del “comune accordo” – Compatibilità con i Trattati UE e FUE – Ricevibilità della domanda di parere»






I.      Introduzione

1.        La recente giurisprudenza della Corte offre abbondanti prove del fatto che le relazioni tra gli Stati membri e l’Unione in materia di conclusione di accordi internazionali vincolanti per entrambe le parti sono idonee a proporre talune fra le più difficili e complesse questioni di diritto dell’Unione. La delimitazione delle rispettive competenze degli Stati membri e dell’Unione (e la loro interazione reciproca) implica, immancabilmente, complesse questioni di qualificazione, che sovente esigono un’analisi dettagliata e minuziosa di un accordo internazionale, che non sempre è redatto tenendo conto delle sottili complessità dell’architettura istituzionale dell’Unione europea (nonché della ripartizione delle competenze al suo interno).

2.        Ciò accade, purtroppo, anche nel caso dell’accordo internazionale oggetto della presente domanda di parere ai sensi delle disposizioni di cui all’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, vale a dire la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, adottato dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 (in prosieguo: la «Convenzione di Istanbul»). Detta Convenzione mira a promuovere l’obiettivo lodevole e auspicabile di contrastare la violenza nei confronti delle donne e dei bambini, ma la questione se la conclusione di tale particolare convenzione sia compatibile con i Trattati dell’Unione solleva problematiche giuridiche complesse e, in certa misura, inedite, che, naturalmente, devono essere esaminate da un punto di vista giuridico in modo distaccato e neutro. La questione si pone nei termini di seguito esposti.

II.    Origine della Convenzione di Istanbul

3.        Nel 1979, le Nazioni Unite hanno adottato la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (in prosieguo: la «CEDAW»). Tale convenzione è stata integrata da raccomandazioni elaborate dal comitato CEDAW, fra le quali la raccomandazione generale n. 19 (1992) sulla violenza contro le donne, a sua volta aggiornata dalla raccomandazione generale n. 35 sulla violenza di genere contro le donne (2017). Tali raccomandazioni chiariscono che la violenza di genere costituisce una discriminazione ai sensi della CEDAW.

4.        Il Consiglio d’Europa, in una raccomandazione rivolta ai membri di tale organizzazione, ha proposto, per la prima volta in Europa, una strategia globale per la prevenzione della violenza nei confronti delle donne e la protezione delle vittime in tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa.

5.        Nel dicembre 2008 il Consiglio d’Europa ha istituito un comitato di esperti, denominato Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (in prosieguo: il «Grevio»). Tale organo, composto da rappresentanti dei governi degli Stati membri del Consiglio d’Europa, è stato incaricato di elaborare uno o più strumenti giuridici vincolanti al fine di «prevenire e combattere la violenza domestica, ivi comprese forme specifiche di violenza nei confronti delle donne, nonché altre forme di violenza nei confronti delle donne, di proteggere e sostenere le vittime di tali violenze e perseguire gli autori».

6.        Il Grevio si è riunito nove volte e ha ultimato il testo della bozza di convenzione nel dicembre 2010. L’Unione non ha preso parte ai negoziati (2).

7.        La Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (in prosieguo: la «Convenzione di Istanbul») è stata adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011. Essa è stata aperta alla firma l’11 maggio 2011, in occasione della 121a sessione del Comitato dei Ministri, a Istanbul (3).

8.        Il 5 e il 6 giugno 2014 il Consiglio dell’Unione europea, nella formazione Giustizia e Affari interni, ha adottato conclusioni che invitavano gli Stati membri a firmare, ratificare e attuare detta Convenzione.

9.        Successivamente, il 4 marzo 2016, la Commissione ha sottoposto al Consiglio dell’Unione europea una proposta di decisione del Consiglio relativa alla firma, a nome dell’Unione europea, della Convenzione di Istanbul. Tale proposta precisa che la conclusione di detta Convenzione rientra sia nelle competenze dell’Unione, sia in quelle degli Stati membri. Per quanto riguarda l’Unione, la proposta della Commissione prevedeva la firma della Convenzione di Istanbul attraverso un’unica decisione fondata sugli articoli 82, paragrafo 2, e 84 TFUE.

10.      Unitamente a tale proposta di decisione del Consiglio che autorizza la firma, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul, la Commissione ha presentato al Consiglio una proposta di decisione unica del Consiglio che autorizza la conclusione, a nome dell’Unione, di tale Convenzione. Le basi giuridiche proposte dalla Commissione erano identiche a quelle che figuravano nella proposta della Commissione relativa alla firma, ossia gli articoli 82, paragrafo 2, e 84 TFUE.

11.      Nel corso della discussione sul progetto di decisione in seno agli organi preparatori del Consiglio è emerso che la conclusione della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione in taluni settori proposti dalla Commissione non avrebbe ottenuto il sostegno della necessaria maggioranza qualificata dei membri del Consiglio. È stato quindi deciso di ridurre la portata della conclusione della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione alle sole competenze che tali organi preparatori consideravano rientranti nella competenza esclusiva dell’Unione. Di conseguenza, le basi giuridiche della proposta sono state modificate, sopprimendo il riferimento all’articolo 84 TFUE e aggiungendo all’articolo 82, paragrafo 2, TFUE gli articoli 83, paragrafo 1, e 78, paragrafo 2, TFUE. È stato inoltre deciso di scindere la proposta della Commissione di decisione del Consiglio relativa alla firma della Convenzione di Istanbul in due parti e di adottare due decisioni al fine di tener conto della particolare posizione dell’Irlanda e del Regno Unito, come previsto dal Protocollo (n. 21) allegato al TUE e al TFUE.

12.      Tali modifiche, apportate nel corso della riunione del Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) del 26 aprile 2017, sono state approvate dalla Commissione.

13.      L’11 maggio 2017 il Consiglio ha adottato due decisioni separate concernenti la firma della Convenzione di Istanbul, vale a dire:

–        la decisione (UE) 2017/865 del Consiglio, dell’11 maggio 2017, relativa alla firma, a nome dell’Unione europea, della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica per quanto riguarda la cooperazione giudiziaria in materia penale (GU 2017, L 131, pag. 11). Tale decisione indica come basi giuridiche sostanziali gli articoli 82, paragrafo 2, e 83, paragrafo 1, TFUE;

–        la decisione (UE) 2017/866 del Consiglio, dell’11 maggio 2017, relativa alla firma, a nome dell’Unione europea, della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica per quanto riguarda l’asilo e il non-respingimento (GU 2017, L 131, pag. 13). Tale decisione indica come base giuridica sostanziale l’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.

14.      I considerando da 5 a 7 di entrambe le decisioni prevedono quanto segue:

«(5)      Sia l’Unione che i suoi Stati membri hanno competenze nei settori contemplati dalla Convenzione [di Istanbul].

(6)      È opportuno firmare la Convenzione [di Istanbul] a nome dell’Unione per quanto riguarda le materie ricadenti nella competenza dell’Unione nella misura in cui la Convenzione può incidere su norme comuni o modificarne la portata. Ciò riguarda, in particolare, determinate disposizioni della Convenzione relative alla cooperazione giudiziaria in materia penale e le disposizioni della Convenzione relativa all’asilo e al non respingimento. Gli Stati membri mantengono le rispettive competenze nella misura in cui la Convenzione [di Istanbul] non incide sulle norme comuni o ne modifica la portata.

(7)      L’Unione ha altresì competenza esclusiva per accettare gli obblighi stabiliti dalla Convenzione [di Istanbul] per quanto riguarda le proprie istituzioni e l’amministrazione pubblica».

15.      Ai sensi del considerando 10 della decisione 2017/865, «[l]’Irlanda e il Regno Unito sono vincolati [dalla direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI (GU 2011, L 101, pag. 1) e dalla direttiva 2011/93/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, e che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio (GU 2011, L 335, pag. 1)] e partecipano quindi all’adozione della presente decisione».

16.      Conformemente al considerando 10 della decisione 2017/866, «[a] norma degli articoli 1 e 2 del protocollo n. 21 sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, allegato al TUE e al TFUE, e fatto salvo l’articolo 4 del suddetto protocollo, detti Stati membri non partecipano all’adozione della presente decisione, non sono da essa vincolati, né sono soggetti alla sua applicazione».

17.      Il considerando 11 di entrambe le decisioni prevede che, «[a] norma degli articoli 1 e 2 del protocollo n. 22 sulla posizione della Danimarca, allegato al TUE e al TFUE, la Danimarca non partecipa all’adozione della presente decisione, non è da essa vincolata, né è soggetta alla sua applicazione».

18.      Conformemente alle due succitate decisioni relative alla firma della Convenzione di Istanbul, tale Convenzione è stata firmata a nome dell’Unione il 13 giugno 2017 (4). Tuttavia, non è stata adottata alcuna decisione relativa alla conclusione della Convenzione di Istanbul.

19.      Il 9 luglio 2019 il Parlamento europeo ha richiesto, ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, il parere della Corte di giustizia sull’adesione dell’Unione europea alla Convenzione di Istanbul. La domanda di parere è formulata nei seguenti termini (5):

«[1 a)]      Gli articoli 82, paragrafo 2, e 84 TFUE costituiscono le basi giuridiche appropriate per l’atto del Consiglio relativo alla conclusione a nome dell’Unione della Convenzione di Istanbul o tale atto deve basarsi sugli articoli 78, paragrafo 2, 82, paragrafo 2, e 83, paragrafo 1, TFUE[?]

[1 b)]      [È] necessario o possibile scindere in due le decisioni relative alla firma e alla conclusione della Convenzione, in virtù di tale scelta della base giuridica?

[2)]      La conclusione della Convenzione di Istanbul, da parte dell’Unione, a norma dell’articolo 218, paragrafo 6, TFUE, risulta compatibile con i trattati in mancanza di un comune accordo di tutti gli Stati membri sul loro consenso ad essere vincolati da detta Convenzione?».

III. Ricevibilità della domanda di parere del Parlamento europeo

20.      Vi sono principalmente due modi in cui gli accordi internazionali conclusi dall’Unione possono essere sottoposti all’attenzione della Corte. In primo luogo, la Corte può esaminare un accordo internazionale nell’ambito delle sue competenze giurisdizionali generali, ad esempio in sede di sindacato giurisdizionale o nel quadro di un procedimento per inadempimento o di rinvio pregiudiziale. In secondo luogo, come nel caso di specie, essa può pronunciarsi nel quadro del procedimento previsto dall’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, ai sensi del quale alla Corte è specificamente attribuita la competenza a fornire un parere circa la compatibilità con i Trattati di un accordo internazionale di cui è prevista la conclusione, su domanda di uno Stato membro, del Parlamento europeo, del Consiglio o della Commissione (6).

21.      L’articolo 218 TFUE prevede una procedura di applicazione generale riguardante la negoziazione e la conclusione degli accordi internazionali che l’Unione è competente a concludere nei suoi settori d’azione (7). L’ultimo paragrafo, il paragrafo 11 dell’articolo 218 TFUE, prevede un importante meccanismo di controllo costituzionale ex ante della proposta di accordo. Tale meccanismo è importante da un punto di vista giuridico poiché, ai sensi dell’articolo 216, paragrafo 2, TFUE, gli accordi internazionali conclusi dall’Unione vincolano le istituzioni dell’Unione e i suoi Stati membri e possono quindi, in linea di principio, incidere sulla legittimità degli atti adottati da tali istituzioni. Sul piano politico, siffatto meccanismo è altresì importante poiché la presentazione della domanda di parere comporta essa stessa possibili ostacoli alla conclusione formale dell’accordo (8).

22.      Sebbene il ricorso al procedimento di cui all’articolo 218, paragrafo 11, TFUE sia relativamente raro, i pareri della Corte fondati su tale disposizione hanno rivestito, di regola, un’importanza pratica considerevole, non foss’altro per i chiarimenti da essi forniti per quanto concerne la portata delle competenze dell’Unione nel settore del diritto internazionale, degli accordi internazionali e delle materie affini. Conseguentemente, nei pareri della Corte sono stati enunciati principi fondamentali del diritto delle relazioni esterne, che vanno dall’esclusività delle competenze dell’Unione al principio di autonomia e alla sua applicazione, in particolare, nella risoluzione delle controversie internazionali. In alcuni pareri della Corte sono stati stabiliti principi costituzionali dotati di un’importanza che va al di là delle questioni concrete sollevate o, persino, dei confini del diritto delle relazioni esterne dell’Unione (9).

23.      La ragion d’essere del procedimento è stata chiaramente spiegata dalla Corte nel suo parere 1/75 (10), ossia:

«evitare le complicazioni derivanti da ricorsi originati da una presunta incompatibilità con il trattato degli accordi internazionali che vincolano [l’Unione]. Una sentenza che dichiarasse un accordo (sia per il contenuto, sia per la procedura seguita nella stipulazione) incompatibile con le disposizioni del trattato susciterebbe vespai sia in sede [dell’Unione europea] che in sede internazionale e potrebbe arrecare pregiudizio a tutte le parti interessate, ivi compresi i paesi terzi.

Onde evitare dette complicazioni, il trattato ha preferito prescrivere che venga interpellata la Corte in via preliminare, onde chiarire, prima della stipulazione, se l’accordo è compatibile con il trattato».

24.      Come sottolineato dalla Corte (11), una eventuale decisione giurisdizionale che constatasse, dopo la conclusione di un accordo internazionale vincolante per l’Unione, che quest’ultimo è, per il suo contenuto o per la procedura seguita ai fini della sua conclusione, incompatibile con le disposizioni dei trattati farebbe, infatti, inevitabilmente sorgere serie difficoltà giuridiche e pratiche non solo all’interno dell’Unione, ma anche sul piano delle relazioni internazionali, e rischierebbe di provocare conseguenze negative per tutte le parti interessate, ivi compresi gli Stati terzi.

25.      Il parere richiesto alla Corte nella fattispecie esige che essa esamini importanti questioni preliminari concernenti la ricevibilità dei quesiti a essa sottoposti nell’ambito di tale procedimento eccezionale.

A.      Eccezioni di irricevibilità sollevata dalle parti

26.      La ricevibilità della domanda di parere è stata contestata, sotto vari profili, da diverse parti.

27.      Anzitutto, per quanto riguarda la prima questione, lettera a), il Consiglio, unitamente all’Irlanda e al governo ungherese, sostiene che essa sia irricevibile in quanto tardiva. Essi affermano che, poiché il Parlamento poteva contestare le decisioni di firmare la Convenzione di Istanbul e, contestualmente, la validità delle basi giuridiche utilizzate, esso non può più adire la Corte, poiché ciò equivarrebbe a eludere le norme relative ai termini per proporre un ricorso di annullamento e, in tal modo, snaturare l’oggetto del procedimento di parere.

28.      Per quanto concerne la prima questione, lettera b), il Consiglio contesta la sua ricevibilità, nei limiti in cui essa verte sulla firma della Convenzione di Istanbul sulla base del rilievo che le decisioni relative alla firma sono divenute definitive.

29.      Il Consiglio eccepisce altresì l’irricevibilità della seconda questione, in quanto ipotetica. Oltre al fatto che tale questione sarebbe formulata in termini generali, essa si fonderebbe sul presupposto che il Consiglio abbia agito conformemente a una regola che esso stesso si sarebbe imposto, consistente nell’attendere, nel caso di un accordo misto, che tutti gli Stati membri abbiano concluso detto accordo prima della sua conclusione da parte dell’Unione, senza che il Parlamento abbia dimostrato l’esistenza di una siffatta regola di condotta.

30.      Più in generale, il Consiglio e i governi spagnolo e ungherese contestano la ricevibilità della domanda nel suo complesso. Essi sottolineano, anzitutto, che il processo decisionale si trova ancora in una fase preparatoria e, in particolare, che esso non ha raggiunto la fase in cui il Consiglio deve ricercare l’accordo del Parlamento. Poiché quindi il Parlamento disporrebbe ancora della possibilità di presentare le sue osservazioni sul progetto di decisione relativa alla conclusione della Convenzione di Istanbul, la domanda di parere sarebbe irricevibile in quanto prematura.

31.      Inoltre, il Consiglio ritiene che il Parlamento contesti, in realtà, il fatto che la procedura di conclusione dell’accordo sia stata lenta. Il Parlamento avrebbe quindi dovuto proporre un ricorso per carenza ai sensi dell’articolo 265 TFUE. Poiché il procedimento di parere ha una finalità diversa e non può essere utilizzato per obbligare un’altra istituzione ad agire, la domanda dovrebbe essere respinta in quanto irricevibile anche per questo motivo. I governi spagnolo, ungherese e slovacco condividono tale tesi.

32.      Infine, il Consiglio, unitamente al governo bulgaro, all’Irlanda e ai governi ellenico, spagnolo, ungherese e polacco, sostiene che, con la sua domanda di parere, il Parlamento miri, in realtà, a contestare la decisione del Consiglio di limitare la portata della conclusione della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione alle disposizioni rientranti nelle competenze esclusive dell’Unione e, di conseguenza, a contestare l’esatta ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri. Poiché il procedimento di parere può vertere soltanto sulla validità di una decisione relativa alla conclusione di un accordo, la domanda di parere dovrebbe essere respinta in quanto irricevibile.

B.      Analisi

33.      In via preliminare, occorre rilevare che, tenuto conto dell’importanza giuridica e politica del procedimento previsto all’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, come sopra descritto, al procedimento di parere dovrebbe essere riconosciuta, in linea di principio, una portata relativamente ampia (12).

34.      Le questioni che possono essere sottoposte all’attenzione della Corte nell’ambito di tale procedimento possono riguardare, quindi, sia la validità sostanziale, sia la validità formale della decisione relativa alla conclusione dell’accordo (13), fatti salvi, a mio avviso, tre limiti che mirano, in sostanza, a garantire che la Corte non risponda a questioni prive di interesse concreto ai fini della conclusione di un determinato accordo (14).

35.      In primo luogo, le questioni proposte devono necessariamente riguardare un accordo internazionale la cui conclusione, se non fosse per l’avvio del procedimento di cui all’articolo 218, paragrafo 11, è imminente e ragionevolmente prevedibile (15). Ciò risulta dal linguaggio stesso dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, che fa riferimento alla questione se l’«accordo previsto» sia compatibile con i Trattati. Di conseguenza, il Parlamento (o, parimenti, qualsiasi altro richiedente abilitato di cui all’articolo 218, paragrafo 11, TFUE) non sarebbe, ad esempio, legittimato a utilizzare il procedimento di cui all’articolo 218, paragrafo 11, TFUE per chiedere alla Corte di pronunciarsi, su una base puramente astratta o completamente ipotetica, sulla questione se la conclusione di un determinato accordo internazionale possa violare il diritto dell’Unione, qualora la conclusione di tale accordo non sia mai stata presa in considerazione o l’Unione abbia precisato che non concluderà tale accordo.

36.      In linea di principio, tuttavia, le questioni sollevate possono riguardare qualsiasi possibile quadro ipotetico relativo alla conclusione dell’accordo previsto, a condizione che il procedimento miri ad evitare le complicazioni che potrebbero derivare dall’annullamento dell’atto di conclusione di un accordo internazionale (16). Infatti, poiché tale procedimento non è contraddittorio e si svolge prima della conclusione, da parte dell’Unione, dell’accordo previsto, la giurisprudenza ai sensi della quale la Corte dovrebbe astenersi dal pronunciare pareri consultivi su questioni generali o ipotetiche non è evidentemente applicabile in quanto tale (17). Poiché tale forma di controllo ex ante implica necessariamente alcuni elementi ipotetici, una conclusione in senso contrario equivarrebbe a privare l’articolo 218, paragrafo 11, TFUE del suo effetto utile generale. A mio avviso, soltanto nella particolare situazione in cui taluni elementi necessari per rispondere alla questione posta non siano ancora noti sarebbe possibile dichiarare irricevibile una questione proposta in una domanda di parere, non per il fatto che è ipotetica, bensì, piuttosto, poiché sarebbe materialmente impossibile per la Corte fornire una risposta, tenuto conto dello stato dei negoziati o della procedura.

37.      In secondo luogo, la domanda deve concernere la compatibilità della conclusione di siffatto accordo con i Trattati (18). Tenuto conto dell’importanza dell’obiettivo perseguito da tale procedimento, vale a dire evitare le complicazioni che potrebbero derivare dall’annullamento dell’atto di conclusione di un accordo internazionale, ai fini dell’interpretazione della disposizione stessa (19) la questione proposta può riguardare, quindi, soltanto elementi che possano incidere sulla validità dell’atto di conclusione (20). Come statuito dalla Corte nel parere 1/75, (Accordo OCSE riguardante una norma sulle spese locali) dell’11 novembre 1975 (EU:C:1975:145), è necessario «allargare [il procedimento di parere] a tutti i problemi che possono venir sottoposti (…) purché detti problemi diano adito ad incertezze sulla validità formale o sostanziale [della decisione che autorizza la conclusione, a nome dell’Unione dell’accordo internazionale], oppure sulla compatibilità tra accordo e trattato» (21). Tuttavia, pur se una domanda di parere può riguardare la questione se un accordo debba essere concluso in via esclusiva dagli Stati membri, dall’Unione o da entrambi, non spetta alla Corte, nell’ambito di un procedimento di parere, pronunciarsi sull’esatta delimitazione delle competenze detenute da ciascuno di essi. Infatti, nel parere 2/00 (Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza) del 6 dicembre 2001 (EU:C:2001:664), la Corte ha statuito che, allorché sia accertata l’esistenza di competenze appartenenti tanto all’Unione quanto agli Stati membri nello stesso settore, la loro portata non può, di per sé, incidere sulla competenza stessa dell’Unione a stipulare un accordo internazionale né, in generale, sulla validità sostanziale o sulla regolarità formale di quest’ultimo con riguardo ai Trattati dell’Unione (22).

38.      Oltre a queste due condizioni sostanziali, occorre anche tener conto dell’esistenza di una condizione formale. Nei casi in cui vi sia un progetto di accordo e la Corte debba pronunciarsi sulla compatibilità delle disposizioni dell’accordo previsto con le norme del Trattato, è necessario che quest’ultima abbia a disposizione elementi sufficienti riguardo al contenuto stesso di detto accordo per poter svolgere il suo ruolo in modo efficace (23). Pertanto, se la domanda non contiene il grado di informazioni richiesto quanto alla natura e al contenuto dell’accordo internazionale, essa deve essere dichiarata irricevibile (24).

39.      Le diverse eccezioni di irricevibilità sollevate dalle parti possono ora essere esaminate alla luce di tali principi.

40.      Per quanto riguarda le prime due eccezioni di irricevibilità, vertenti rispettivamente, da un lato, sulla mancata contestazione da parte del Parlamento, nella fase della firma, della scelta degli articoli 78, paragrafo 2, 82, paragrafo 2, e 83, paragrafo 1, TFUE come basi giuridiche e, dall’altro, sulla possibilità di interpellare la Corte in merito alla validità delle decisioni di autorizzare la firma, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul, sono, a mio avviso, pienamente applicabili in via analogica al procedimento di parere le considerazioni sottese alla pronuncia della sentenza del 9 marzo 1994, TWD (C‑188/92, EU:C:1994:90), nella misura in cui concernono il principio generale della certezza del diritto (25). Di conseguenza, poiché il Parlamento, pur potendo farlo, non ha contestato la validità delle decisioni di firma, che sono quindi divenute definitive, tale istituzione non può utilizzare il procedimento di parere per eludere i termini che disciplinano il ricorso di annullamento. Pertanto, a mio avviso, la prima questione, lettera b), dovrebbe essere dichiarata irricevibile, ma solo limitatamente alla parte in cui concerne le decisioni relative alla firma della Convenzione di Istanbul.

41.      Nell’esprimere tale posizione, non ignoro il fatto che, nel parere 2/92 (Terza decisione modificata dell’OCSE relativa al trattamento nazionale) del 24 marzo 1995 (EU:C:1995:83), la Corte ha statuito che «il fatto che talune questioni possano essere affrontate nell’ambito di procedimenti di altra natura, e in particolare in un ricorso di annullamento (…), non costituisce un valido argomento per escludere che esse possano essere previamente sottoposte alla Corte in via consultiva ai sensi [dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE]» (26). Ciò non significa, tuttavia, che il procedimento previsto all’articolo 218, paragrafo 11, TFUE possa essere utilizzato in sostituzione del ricorso di annullamento per quanto riguarda le decisioni relative alla firma, poiché tali decisioni sono divenute definitive e, di conseguenza, qualsiasi ricorso giurisdizionale ordinario sarebbe ampiamente tardivo.

42.      Tuttavia, come ho già rilevato, per quanto riguarda la presente domanda di parere, è la decisione relativa alla firma – distinta dalla decisione relativa alla conclusione dell’accordo – ad essere tardiva. La Corte ha già osservato che la decisione che autorizza la firma dell’accordo internazionale e quella che ne pronuncia la stipulazione costituiscono due atti giuridici distinti che comportano obblighi essenzialmente distinti per le parti interessate, in quanto il secondo non costituisce assolutamente la conferma del primo (27). In ogni caso, questo è ciò che prevedono i principi ordinari del diritto internazionale dei trattati. Ne consegue, pertanto, che qualsiasi decisione di autorizzare la conclusione della Convenzione di Istanbul a nome dell’Unione rimane impugnabile.

43.      La terza eccezione sollevata consiste nel fatto che la seconda questione si fonderebbe sulla premessa implicita che il Consiglio abbia ritenuto, a torto, di essere obbligato ad attendere la conclusione della Convenzione di Istanbul da parte di tutti gli Stati membri prima di essere autorizzato a procedere. Si sostiene che il ricorso al procedimento di cui all’articolo 218, paragrafo 11, TFUE a tal fine sarebbe, quindi, fondato su un’ipotesi non dimostrata e, pertanto, la domanda dovrebbe essere respinta in quanto irricevibile.

44.      A tal riguardo, come precisato supra, occorre sottolineare che le questioni sottoposte alla Corte nell’ambito di una domanda di parere possono riferirsi a qualsiasi possibile quadro ipotetico concernente la conclusione dell’accordo previsto, purché il procedimento miri ad evitare le complicazioni che potrebbero derivare dall’annullamento dell’atto di conclusione di un accordo internazionale.

45.      È vero che, nell’ambito di un ricorso di annullamento, un motivo vertente sulla violazione dei Trattati risultante da una prassi può comportare l’annullamento della decisione impugnata soltanto qualora il ricorrente sia in grado di dimostrare che l’autore di tale decisione si riteneva vincolato da tale prassi o, in alternativa, la considerava cogente e, pertanto, che detta prassi costituiva il motivo o il fondamento di tale decisione (28). Tuttavia, nell’ambito di una domanda di parere, in capo allo Stato membro o all’istituzione che richieda tale parere non è posto alcun onere probatorio, e può essere sollevata qualsiasi questione, purché connessa a situazioni che possano essersi verificate (29). Infatti, il procedimento di parere mira, per sua stessa natura, ad accertare la posizione della Corte su situazioni ipotetiche, dato che esso può riguardare, in linea di principio, soltanto una decisione relativa alla conclusione di un accordo che non è ancora stato concluso. Di conseguenza, il fatto che il Parlamento non abbia dimostrato che il Consiglio si ritenesse vincolato dalla prassi in questione non costituisce un motivo per dichiarare irricevibile la seconda questione.

46.      Per quanto riguarda la quarta eccezione, concernente il carattere prematuro della domanda di parere, occorre ricordare che l’articolo 218, paragrafo 11, TFUE non prevede, al riguardo, alcun termine (30). La sola condizione temporale enunciata in tale disposizione consiste nel fatto che deve essere prevista la conclusione di un accordo. Ne consegue che uno Stato membro, il Parlamento, il Consiglio o la Commissione possono domandare il parere della Corte su qualsiasi questione concernente la compatibilità con i Trattati della decisione da adottare ai fini della conclusione di un accordo internazionale, nella misura in cui sia prevista la sua conclusione da parte dell’Unione (31) e fintantoché tale accordo non sia stato ancora concluso dall’Unione. Poiché una domanda di parere deve essere considerata ricevibile anche qualora il procedimento che conduce all’adozione della decisione relativa alla conclusione di tale accordo si trovi ancora in una fase preparatoria, tale eccezione di irricevibilità non può essere accolta.

47.      Per quanto riguarda la quinta eccezione, l’argomento del Consiglio secondo cui il Parlamento avrebbe dovuto proporre un ricorso per carenza anziché una domanda di parere, occorre sottolineare che il procedimento previsto all’articolo 265 TFUE è diretto a ottenere la condanna di un’istituzione europea per un’omissione illegittima alla luce del diritto dell’Unione. Nella fattispecie, anche se dal fascicolo della Corte emergono, effettivamente, elementi che denotano il tentativo del Parlamento di accelerare il procedimento relativo alla conclusione della Convenzione di Istanbul, resta il fatto che nessuna delle questioni proposte dal Parlamento concerne una possibile omissione. Pertanto, la presente domanda di parere non può essere dichiarata irricevibile per tale motivo (32).

48.      Per quanto riguarda la sesta eccezione di irricevibilità, dedotta in ragione del fatto che le questioni proposte riguarderebbero, di fatto, la delimitazione delle competenze dell’Unione e degli Stati membri, occorre rilevare che tale specifica eccezione si riferisce, tutt’al più, alla prima questione, lettera a). Essa è fondata sulla premessa secondo cui, poiché la risposta che sarà fornita dalla Corte a tale prima questione non potrà riguardare la validità della decisione relativa alla conclusione della Convenzione, essa mira, in realtà, all’accertamento dell’esatta ripartizione delle competenze tra gli Stati membri e l’Unione.

49.      A tal riguardo, occorre ricordare che, come la Corte ha ripetutamente sottolineato, talune irregolarità quanto alla scelta della base giuridica pertinente non comportano necessariamente l’invalidità dell’atto di cui trattasi. Occorre invece dimostrare che tali irregolarità siano idonee a incidere sulla procedura legislativa applicabile (33) o sulla competenza dell’Unione (34).

50.      Ad esempio, nella sua sentenza del 18 dicembre 2014, Regno Unito/Consiglio (C‑81/13, EU:C:2014:2449, punto 67), la Corte ha statuito che un «errore commesso nel preambolo della decisione impugnata» (l’omessa menzione di una base giuridica accanto alle altre citate) costituiva un vizio puramente formale, che non incideva sulla validità della decisione impugnata. Analogamente, nella sentenza del 25 ottobre 2017, Commissione/Consiglio (WRC‑15) (C‑687/15, EU:C:2017:803) dopo aver sottolineato l’importanza di natura costituzionale della base giuridica (35), la Corte ha altresì avuto cura di verificare che, nelle circostanze del caso di specie, l’irregolarità in questione poteva incidere sulle competenze della Commissione e del Consiglio nonché sui loro rispettivi ruoli nella procedura di adozione dell’atto impugnato (36). In particolare, ai punti 55 e 56 di tale sentenza, dopo aver dichiarato che l’assenza di qualsiasi riferimento a una base giuridica è sufficiente per giustificare l’annullamento dell’atto di cui trattasi per difetto di motivazione, la Corte ha tuttavia rilevato che l’omissione del riferimento a una precisa disposizione del Trattato, qualora altre siano state menzionate, può, in taluni casi, non costituire un vizio sostanziale.

51.      Nella fattispecie, è indubbio che le diverse basi giuridiche di cui alla prima questione, lettera a), ossia gli articoli 78, paragrafo 2, 82, paragrafo 2, 83, paragrafo 1 e 84 TFUE, prevedono l’applicazione della procedura legislativa ordinaria e conducono tutte all’adozione di una decisione relativa alla conclusione dell’accordo sulla base della medesima procedura, ossia quella prevista all’articolo 218, paragrafo 6, lettera a), punto v), e paragrafo 8, TFUE.

52.      È vero che, da un lato, gli articoli 82, paragrafo 3, e 83, paragrafo 3, TFUE prevedono la possibilità, per uno Stato membro, il quale ritenga che un atto rientrante in tali basi giuridiche incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico, di investire il Consiglio europeo della questione. Dall’altro lato, tali basi rientrano in un settore nel quale è probabile l’applicazione dei protocolli (n. 21) e (n. 22) allegati al TUE e al TFUE.

53.      Tuttavia, in primo luogo, poiché la scelta di investire il Consiglio europeo della questione si limita a produrre un effetto sospensivo della procedura legislativa, tale facoltà offerta agli Stati membri di sottoporre la questione al Consiglio europeo non sembra essere di natura tale da renderla inconciliabile con le procedure previste agli articoli 78 e 84 TFUE. In secondo luogo, la Corte ha già statuito che i protocolli (n. 21) e (n. 22) non sono in grado di incidere in alcun modo sulla questione delle corrette basi giuridiche da utilizzare (37). Tale posizione è stata recentemente ribadita dalla Corte, per quanto concerne il protocollo (n. 22), nel parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada) del 26 luglio 2017 (EU:C:2017:592) (38).

54.      In sostanza, dunque, sebbene tali protocolli possano certamente incidere sulle regole di voto da seguire in seno al Consiglio per quanto riguarda l’adozione dell’atto in questione, essi non incidono sulla scelta delle sue basi giuridiche (39). Infatti, la circostanza che una parte di un atto rientri nella parte terza, titolo V, TFUE produce indubbiamente la conseguenza che le disposizioni pertinenti di tale atto non siano vincolanti, salvo casi particolari, nei confronti dell’Irlanda o del Regno di Danimarca. Ciò non significa tuttavia, di per sé, che il settore interessato dalle disposizioni di tale atto rientranti nell’ambito di applicazione della parte terza, titolo V, TFUE debba essere considerato preponderante, con l’effetto di rendere obbligatoria la menzione delle corrispondenti basi giuridiche. Ciò significa soltanto che, al momento dell’adozione delle disposizioni di cui trattasi, dovranno essere rispettate le regole di voto in seno al Consiglio previste in tali protocolli, anche nel caso in cui non sia menzionata alcuna base giuridica relativa alla parte terza, titolo V, TFUE.

55.      In tale contesto, ci si può quindi legittimamente chiedere se la prima questione, lettera a), sia realmente diretta a determinare l’esatta linea di demarcazione tra le competenze dell’Unione e quelle degli Stati membri. Se la risposta a tale questione fosse affermativa, ciò significherebbe che una parte della questione si collocherebbe al di fuori dell’ambito di applicazione del procedimento di parere fondato sull’articolo 218, paragrafo 11, TFUE.

56.      Si può tuttavia osservare che, per rispondere alla lettera a) della prima questione, dovranno essere esaminate non soltanto le basi giuridiche indicate dal Parlamento nella sua domanda, ma anche la questione se nella decisione relativa alla conclusione dell’accordo debba essere inclusa un’altra base giuridica. Non potendosi escludere la rilevanza di basi giuridiche diverse da quelle menzionate dal Parlamento, non si può escludere neppure che la risposta della Corte alle questioni proposte possa avere un impatto sulla validità della decisione di autorizzare l’Unione a concludere la Convenzione di Istanbul (40). Pertanto, a mio parere, non c’è ragione per dichiarare irricevibile la lettera a) della prima questione per il motivo che riguarda aspetti non collegati alla validità della decisione di concludere la Convenzione di Istanbul.

57.      Per quanto riguarda la prima questione, lettera b), e la seconda questione, oltre al fatto che esse non hanno alcun rapporto con la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri, ritengo, in ogni caso, che, dato che la Corte non ha mai effettuato un esame approfondito della questione se tali obblighi possano incidere o meno sul contenuto della decisione relativa alla conclusione di un accordo internazionale, occorra rispondere a tali questioni, precisamente al fine di statuire su tali punti (41).

58.      Tuttavia, a differenza di quanto sostenuto da talune parti, la seconda questione non può essere reinterpretata come se si riferisse unicamente alla questione se il Consiglio sia legittimato ad attendere che tutti gli Stati membri abbiano concluso la Convenzione di Istanbul (42). Infatti, anche nel caso in cui tale prassi dovesse essere considerata incompatibile con i Trattati, tale circostanza non determinerebbe la nullità della decisione relativa alla conclusione della Convenzione, dal momento che, lo ribadisco, un ritardo in tal senso non costituisce, in linea di principio, un motivo di invalidità. Al fine di soddisfare i criteri di ricevibilità, la suddetta questione deve necessariamente essere intesa esattamente come formulata, vale a dire nel senso che è diretta a stabilire se la decisione relativa alla conclusione della Convenzione di Istanbul sia compatibile con i Trattati nel caso in cui sia adottata prima della conclusione di quest’ultima da parte di tutti gli Stati membri.

59.      Ritengo pertanto che tutte le questioni sottoposte alla Corte dal Parlamento debbano essere considerate ricevibili, ad eccezione della prima questione, lettera b), ma unicamente nella parte in cui verte sulla decisione relativa alla firma della Convenzione di Istanbul.

IV.    Sulla prima questione, lettera a): basi giuridiche adeguate ai fini della conclusione della Convenzione di Istanbul

60.      Con la prima questione, lettera a), il Parlamento chiede alla Corte se gli articoli 82, paragrafo 2, e 84 TFUE siano basi giuridiche adeguate per la decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul o se tale atto debba basarsi sugli articoli 78, paragrafo 2, 82, paragrafo 2, e 83, paragrafo 1, TFUE.

61.      Il Parlamento osserva che la proposta della Commissione di decisione relativa alla firma, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul, nonché la sua proposta di decisione di autorizzare l’Unione a concludere la Convenzione di Istanbul, menzionavano l’articolo 218 TFUE come base giuridica procedurale e gli articoli 82, paragrafo 2, e 84 TFUE come basi giuridiche sostanziali. Tuttavia, quando il Consiglio ha adottato la decisione di autorizzare la firma della Convenzione di Istanbul, esso ha modificato tali basi giuridiche sostanziali, riferendosi agli articoli 78, paragrafo 2, 82, paragrafo 2, e 83, paragrafo 1, TFUE.

62.      Tenuto conto degli obiettivi della Convenzione di Istanbul, che, come risulta dalle disposizioni di cui agli articoli 1, 5 e 7 e dai capitoli III e IV di quest’ultima, mira a proteggere le donne vittime di violenze e a prevenire tali violenze, il Parlamento chiede se la Commissione abbia correttamente individuato gli articoli 82, paragrafo 2, e 84 TFUE come i due elementi preponderanti di tale Convenzione. Il Parlamento chiede, quindi, se il Consiglio possa abbandonare l’articolo 84 TFUE come base giuridica sostanziale e aggiunga, invece, gli articoli 78, paragrafo 2, e 83, paragrafo 1, TFUE, come ha fatto all’atto di adozione della decisione di autorizzare la firma della Convenzione di Istanbul.

63.      Il Parlamento nutre dubbi, in particolare, in merito all’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, dato che tale base giuridica copre soltanto gli articoli 60 e 61 della Convenzione di Istanbul. Esso chiede se queste due disposizioni possano essere considerate un elemento autonomo e preponderante di tale Convenzione, o se gli articoli 60 e 61 della stessa non costituiscano, semplicemente, la trasposizione, al settore specifico dell’asilo, dell’intento generale di proteggere tutte le donne vittime di violenza. Se così fosse, queste due disposizioni della Convenzione di Istanbul avrebbero carattere accessorio e non esigerebbero l’aggiunta di una base giuridica specifica.

64.      Per quanto riguarda l’articolo 83, paragrafo 1, TFUE, il Parlamento osserva che tale disposizione attribuisce all’Unione competenza in materia penale soltanto in determinati settori, che non comprendono la violenza nei confronti delle donne in quanto tale. Siffatta violenza potrebbe quindi essere resa penalmente rilevante, a livello dell’Unione, quando concerne la tratta di esseri umani, lo sfruttamento sessuale di donne e bambini, nonché la criminalità organizzata, che costituiscono gli obiettivi principali della Convenzione di Istanbul in quanto tale. Inoltre, poiché gli Stati membri hanno conservato la loro competenza in relazione alla maggior parte dei settori di diritto penale sostanziale rientranti nella Convenzione di Istanbul e gli elementi per i quali l’Unione è competente appaiono di natura secondaria, l’aggiunta di una base giuridica specifica concernente il diritto penale non sarebbe necessaria.

65.      Da quanto precede discende, dunque, che la prima questione verte sulla scelta delle basi giuridiche e non, come alcuni argomenti sviluppati da talune parti possono lasciar intendere, sul carattere esclusivo o non esclusivo della competenza dell’Unione a concludere la Convenzione di Istanbul. Certamente, verrà esaminato il carattere esclusivo o non esclusivo di talune competenze, ma soltanto nella misura necessaria per rispondere a tale questione. Può essere utile, a tale riguardo, formulare alcune osservazioni sulla scelta del metodo prima di esaminare il contenuto della Convenzione di Istanbul.

A.      Osservazioni metodologiche

66.      Secondo una giurisprudenza costante della Corte, la scelta delle basi giuridiche di un atto dell’Unione, ivi compresi gli atti adottati al fine di concludere un accordo internazionale, deve fondarsi su elementi oggettivi, suscettibili di sindacato giurisdizionale, tra i quali figurano, in particolare, lo scopo e il contenuto dell’atto (43).

67.      Se l’esame di un atto dell’Unione dimostra che esso persegue una duplice finalità o che possiede una duplice componente, e se una di tali finalità o componenti è identificabile come principale mentre l’altra è solo accessoria, l’atto deve fondarsi solo su un fondamento giuridico, ossia quello richiesto dalla finalità o dalla componente principale o preponderante (44).

68.      Eccezionalmente, se è dimostrato che l’atto persegue contemporaneamente più finalità oppure ha più componenti legate tra loro in modo inscindibile, senza che una sia accessoria rispetto all’altra, cosicché siano applicabili diverse disposizioni dei Trattati, siffatto atto deve fondarsi sulle basi giuridiche corrispondenti (45). Tuttavia, il ricorso a una duplice base giuridica è escluso quando le procedure previste dalle rispettive norme siano incompatibili (46).

69.      Pertanto, sono gli obiettivi e le componenti di un atto a determinare la sua base giuridica o, in taluni casi, le sue varie basi giuridiche, e non il carattere esclusivo o concorrente delle competenze detenute dall’Unione rispetto a tale atto (47). Come mi propongo di spiegare nel prosieguo, è vero che il carattere esclusivo o concorrente di tali competenze può certamente, dal punto di vista del diritto dell’Unione, avere un’influenza sulla portata della conclusione di un accordo internazionale e, di conseguenza, limitare le basi giuridiche disponibili. Tuttavia, la scelta della base giuridica da utilizzare fra quelle che corrispondono alle competenze esercitate dipenderà unicamente dagli obiettivi e dalle componenti dell’atto in questione.

70.      Come osservato dall’avvocato generale Kokott, un approccio del genere non dovrebbe essere applicato alla ripartizione delle competenze rispettivamente detenute dall’Unione e dagli Stati membri. Infatti, «[q]ualora (…) [l’Unione] sia competente solo per alcune componenti di un’azione da essa prevista, mentre altre componenti rientrano nella competenza degli Stati membri (…), [l’Unione] non può, riferendosi alla componente preponderante, dichiararsi di punto in bianco competente per il complesso dell’azione. Essa vanificherebbe altrimenti il principio di attribuzione delle competenze (…)» (48).

71.      Preoccupazioni analoghe potrebbero emergere per quanto riguarda la determinazione, tra le competenze detenute dall’Unione, di quelle su cui deve fondarsi l’adozione dell’atto di cui trattasi e, pertanto, l’individuazione delle basi giuridiche pertinenti ai fini dell’adozione di un atto. Il criterio del centro di gravità fa sì che la procedura applicabile all’adozione di un atto sia determinata esclusivamente in forza delle basi giuridiche principali. Per definizione, quindi, tale approccio implica di avere riguardo unicamente alla competenza principale che è esercitata. Di conseguenza, è importante che non siano eluse le garanzie procedurali essenziali intrinseche all’esercizio di talune altre competenze, quale la votazione unanime in seno al Consiglio. Infatti, mentre una disposizione giuridica, se adottata da sola, potrebbe necessariamente essere adottata su una base giuridica specifica, allorché è inserita in un atto contenente altre norme, detta disposizione potrebbe essere adottata su una base giuridica diversa, che, ad esempio, potrebbe prevedere una regola di voto differente. Orbene, ciò potrebbe dare adito a strategie dirette a inserire norme a sé stanti (il cosiddetto «cavalier législatif») (49).

72.      Tuttavia, la Corte ha fatto sistematicamente riferimento al criterio delle «finalità e componenti preponderanti» (noto anche come «test del centro di gravità») nella giurisprudenza esistente. Ad esempio, nella sentenza del 4 settembre 2018, Commissione/Consiglio (Accordo con il Kazakhstan) (C‑244/17, EU:C:2018:662, punto 38) la Corte ha ribadito che se una «decisione comprende più componenti o persegue più finalità, alcune delle quali rientrano nell’ambito della [politica estera e di sicurezza comune], la regola di voto applicabile per la sua adozione deve essere determinata in relazione alla sua finalità o componente principale o preponderante». Di conseguenza, sebbene un atto possa perseguire varie finalità ed esigere la «mobilizzazione» di competenze diverse, la base giuridica su cui si fonda la sua adozione non rifletterà tutte le competenze esercitate ai fini della sua adozione, ma soltanto quella o quelle che corrispondono alla sua finalità o componente principale o alle sue finalità e componenti principali (50). Inoltre, il già menzionato rischio di elusione di talune norme procedurali è stato arginato a partire dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ha notevolmente ridotto le specificità di talune procedure.

73.      È vero che in alcune sentenze, a cominciare da quella del 10 gennaio 2006, Commissione/Consiglio (C‑94/03, EU:C:2006:2, punto 55), la Corte ha sottolineato che una base giuridica può servire non soltanto per determinare la procedura applicabile e verificare che l’Unione sia effettivamente competente, almeno in parte, a firmare l’accordo in questione, ma anche per informare i terzi della portata della competenza dell’Unione esercitata (51) e della portata dell’atto in questione (52). Dunque, si potrebbe essere tentati di dedurre, da tale orientamento giurisprudenziale, che, per assumere un siffatto ruolo, le basi giuridiche di un atto dovrebbero riflettere tutte le competenze esercitate dall’Unione nell’adozione dell’atto di cui trattasi. In particolare, siffatto approccio può sembrare giustificato allorché un accordo internazionale ricade in diverse competenze concorrenti dell’Unione e degli Stati membri, poiché l’Unione potrebbe decidere di non esercitare alcune delle sue competenze, il che implicherebbe, di conseguenza, che spetterà agli Stati membri attuare la disposizione o le disposizioni corrispondenti di detto accordo (53).

74.      Tuttavia, tale approccio sarebbe in contrasto con quello sinora adottato dalla Corte al fine di evitare conflitti di basi giuridiche (54). Ad esempio, nel parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada) del 26 luglio 2017 (EU:C:2017:592), in cui la Corte ha statuito che la decisione di autorizzare la conclusione, da parte dell’Unione, dell’accordo internazionale in questione doveva avere due basi giuridiche, la Corte ha fatto nuovamente riferimento alla giurisprudenza summenzionata (55).

75.      Inoltre, pur se, indubbiamente, tali temi sono di fondamentale importanza per l’ordinamento interno dell’Unione (e la ripartizione delle competenze tra l’Unione e i suoi Stati membri), esse non presentano alcun interesse diretto per gli Stati terzi, dato che, in virtù dell’articolo 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, del 23 maggio 1969 (United Nations Treaty Series, vol. 1155, pag. 331) – trattato che codifica il diritto internazionale consuetudinario in materia di accordi internazionali e che vincola l’Unione europea (56) – le parti di un accordo internazionale, siano esse Stati o organizzazioni internazionali, non possono invocare le disposizioni del loro diritto interno per giustificare la mancata esecuzione di un trattato (57).

76.      Per quanto concerne gli Stati membri, sebbene essi possano avere interesse a conoscere pienamente la portata delle competenze esercitate dall’Unione al momento della conclusione di un accordo, le basi giuridiche di un atto non sono il solo mezzo per fornire tali informazioni. Infatti, secondo una giurisprudenza costante, l’obbligo di motivazione, previsto dall’articolo 296, paragrafo 2, TFUE, deve essere valutato, in particolare, alla luce del contenuto dell’atto nel suo complesso (58), specialmente dei suoi considerando (59). Di conseguenza, pur essendo importante che gli Stati membri possano determinare quali competenze siano state esercitate dall’Unione all’atto della conclusione di un determinato accordo, non appare decisivo il fatto che non sia possibile dedurre tali informazioni dalle basi giuridica effettivamente scelte come fondamento per l’adozione della decisione che autorizza la conclusione di tale accordo.

77.      In tale contesto, pur essendovi molti argomenti a favore della tesi secondo cui la base giuridica di un atto dovrebbe riflettere fedelmente le competenze esercitate dall’Unione per adottarlo, si può nondimeno osservare che un approccio siffatto non è del tutto conforme allo stato della giurisprudenza (60).

78.      Di conseguenza, nel prosieguo delle presenti conclusioni mi propongo di aderire al filone giurisprudenziale secondo cui un atto, qualora persegua più finalità o abbia più componenti, deve essere fondato, in linea di principio, su una sola base giuridica e, in via eccezionale, su più basi giuridiche. Tali basi giuridiche devono essere quelle richieste dalle finalità o dalle componenti preponderanti o, quantomeno, principali, dell’accordo internazionale. Ne consegue che è irrilevante se, al momento dell’adozione dell’atto di cui trattasi, siano state esercitate altre competenze, nei limiti in cui tali altre competenze riguardino finalità o componenti di natura secondaria o accessoria.

79.      Occorre altresì rilevare che, secondo la giurisprudenza della Corte sopra ricordata, le finalità e le componenti da prendere in considerazione sono quelle dell’atto dell’Unione di cui trattasi. Per quanto riguarda la conclusione di un accordo internazionale, quindi, le finalità e il contenuto specifico della decisione di autorizzare la conclusione di tale accordo, e non l’accordo stesso, saranno decisivi ai fini della determinazione delle basi giuridiche da utilizzare.

80.      È vero che, in concreto, la finalità e il contenuto di tale decisione saranno, nella maggior parte dei casi, gli stessi dell’accordo previsto, essendo tale atto destinato, per sua natura, a segnalare il consenso dell’Unione a essere vincolata dall’accordo (61). Tuttavia, non è sempre così. Infatti, è importante tener presente l’esistenza di una notevole differenza di prospettiva, al riguardo, tra il diritto internazionale e il diritto dell’Unione, che è decisiva ai fini del caso di specie.

81.      Dal punto di vista del diritto internazionale, nel caso degli accordi misti, si ritiene che l’Unione e gli Stati membri aderiscano ad essi congiuntamente, e non in parallelo (62). Di conseguenza, salvo che sia espressa una riserva concernente la ripartizione delle competenze – il che presuppone che l’accordo non escluda siffatta possibilità – la conclusione di un accordo da parte dell’Unione comporta, per quest’ultima, l’obbligo di applicarlo nella sua interezza (63). Questioni quali le basi giuridiche scelte per concludere siffatto accordo o la natura mista di quest’ultimo sono considerate questioni interne all’ordinamento giuridico dell’Unione (64), che, di per sé, non possono ostare al sorgere di una responsabilità sul piano internazionale in caso di ingiustificata mancata esecuzione (65).

82.      Tuttavia, dal punto di vista del diritto dell’Unione, quando l’Unione aderisce a una Convenzione internazionale, vi aderisce nei limiti delle competenze esercitate per adottare la decisione relativa alla conclusione di tale accordo (66). È vero che, quando conclude un accordo, l’Unione è tenuta a esercitare la sua competenza esterna esclusiva, ma, secondo una giurisprudenza costante della Corte, non è obbligata a esercitare le sue competenze concorrenti (67). Di conseguenza, a seconda delle competenze concorrenti che l’Unione sceglierà di esercitare in tale occasione, il «centro di gravità» della decisione relativa alla conclusione di un accordo potrebbe spostarsi, con l’effetto di modificare le basi giuridiche applicabili. L’importanza di una base giuridica che rifletta, ad esempio, una competenza esclusiva, può quindi risultare superata, in una certa misura, da quella di un’altra base giuridica che rifletta una competenza concorrente che l’Unione abbia scelto di esercitare.

83.      Poiché la decisione che autorizza la conclusione di un accordo internazionale a nome dell’Unione potrebbe avere una finalità e un contenuto meno ampi rispetto a quelli dell’accordo, detta decisione potrebbe dover essere adottata su un’unica base giuridica mentre se, ad esempio, l’Unione avesse esercitato tutte le competenze fino a quel momento concorrenti con quelle degli Stati membri, avrebbe potuto essere necessario l’utilizzo di due o più basi giuridiche, poiché, in tal caso, detta decisione avrebbe potuto comprendere altre finalità e componenti importanti.

84.      Inoltre, laddove l’Unione scelga di non esercitare la competenza che avrebbe coperto le finalità e le componenti principali dell’accordo internazionale in questione, talune finalità e componenti che dal punto di vista della decisione di autorizzare tale conclusione sarebbero state considerate accessorie, diverranno preponderanti. Questo è il motivo per cui, a mio avviso, è importante distinguere le finalità e le componenti dell’accordo internazionale da quelle della decisione di autorizzare la conclusione di un accordo internazionale, che potrebbero essere più limitate.

85.      Questo è il punto centrale del caso di specie, poiché è chiaro che l’intenzione del Consiglio è che l’Unione proceda soltanto a una conclusione parziale della Convenzione di Istanbul. È dunque opportuno esaminare non l’intera Convenzione di Istanbul, bensì unicamente le parti della Convenzione che, dal punto di vista del diritto dell’Unione, vincoleranno l’Unione.

86.      Nell’ambito di un ricorso di annullamento, tale questione non solleva particolari difficoltà, poiché la Corte eserciterà il suo controllo ex post, una volta adottato l’atto legislativo di cui trattasi e, pertanto, una volta che le competenze esercitate sono note.

87.      Tuttavia, nell’ambito di una domanda di parere, qualora, come nel caso di specie, non vi sia ancora un progetto di decisione, il fatto che il Consiglio possa esercitare un numero maggiore o minore di competenze concorrenti potrebbe rendere assai più complessa, o addirittura impossibile, la determinazione delle basi giuridiche, poiché si chiede alla Corte di affrontare tale questione in prospettiva.

88.      Certamente, potrebbe sembrare opportuno iniziare esaminando, per ciascuna parte dell’accordo, se essa rientri o meno nella competenza esclusiva dell’Unione, poiché tali competenze dovranno necessariamente essere esercitate dall’Unione. Tuttavia, una volta effettuata detta analisi, in che modo può essere determinato quale sarà il centro di gravità della decisione relativa alla conclusione di tale accordo, dal momento che, come precisato supra, il centro di gravità dipenderà anche dalle competenze concorrenti modificate che l’Unione sceglierà volontariamente di esercitare? Infatti, salvo che il Consiglio abbia già votato su un progetto di decisione e la Corte sia stata interpellata parallelamente alla trasmissione di tale progetto al Parlamento, la portata delle competenze concorrenti che saranno esercitate non può essere data per scontata (68).

89.      A mio avviso, in tale situazione molto specifica – che pone una questione che non è stata mai stata esaminata dalla Corte – è necessario evincere dalla domanda (o, quantomeno, dalle circostanze del caso di specie) quali siano le specifiche competenze concorrenti che, con maggiore probabilità, saranno esercitate dall’Unione. Altrimenti, come ho precisato nella parte delle presenti conclusioni dedicata alla ricevibilità, non vedo in che modo la Corte potrebbe pronunciarsi, come richiesto dal Parlamento, sulla questione concernente la base giuridica da utilizzare per adottare la decisione relativa alla conclusione della Convenzione di Istanbul (69). In tali circostanze, tuttavia, la risposta fornita dalla Corte sarà valida soltanto qualora si realizzi effettivamente la situazione ipotizzata.

90.      Nel caso di specie, dalla formulazione della questione proposta dal Parlamento risulta chiaramente che essa si fonda sulla premessa che, ai fini dell’adozione della decisione che autorizza la conclusione, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul, l’Unione eserciterà, quantomeno, le competenze di cui dispone, da un lato, nel settore della cooperazione giudiziaria in materia penale e, dall’altro, in materia di asilo e immigrazione. La rilevanza di tale premessa è inoltre confermata dal contenuto delle decisioni che autorizzano la firma, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul, che possono essere considerate, nonostante la giurisprudenza menzionata al paragrafo 42 delle presenti conclusioni, un’anticipazione, in qualche modo, delle competenze che saranno esercitate al momento della conclusione.

91.      Tuttavia, una premessa siffatta dev’essere, quantomeno, compatibile con l’attuale ripartizione delle competenze. Ciò richiede di valutare se, al di là di tali competenze, l’accordo riguardi altre competenze dell’Unione che devono essere esercitate, in quanto esclusive. Come ho spiegato, ciò implica che si tenga conto non soltanto delle competenze che l’Unione intende esercitare, ma anche delle competenze che, appartenendo esclusivamente all’Unione, dovranno necessariamente essere esercitate qualora l’Unione desideri concludere l’accordo.

92.      A tal riguardo, occorre ricordare che l’articolo 3, paragrafo 1, TFUE espone l’elenco delle competenze che, per loro natura, sono esclusive. In aggiunta a tale elenco, l’articolo 3, paragrafo 2, TFUE precisa che l’«Unione ha inoltre competenza esclusiva per la conclusione di accordi internazionali allorché tale conclusione è prevista in un atto legislativo dell’Unione o è necessaria per consentirle di esercitare le sue competenze a livello interno o nella misura in cui può incidere su norme comuni o modificarne la portata» (70).

93.      Come chiarito dalla giurisprudenza della Corte, esiste un rischio di incidere sulle norme comuni dell’Unione da parte degli impegni internazionali, o di modificare la portata di tali norme, che può giustificare una competenza esterna esclusiva dell’Unione, quando tali impegni rientrano nell’ambito di applicazione di dette norme (71).

94.      La constatazione di tale rischio non presuppone una concordanza completa tra il settore disciplinato dagli impegni internazionali e quello disciplinato dalla normativa dell’Unione (72). In particolare, impegni internazionali di tal genere possono incidere sulle norme dell’Unione o modificarne la portata quando essi rientrano in un ambito già disciplinato in gran parte da norme siffatte (73).

95.      Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, dalla giurisprudenza della Corte non si può dedurre che sia necessario adottare un approccio complessivo per determinare se, nei settori coperti da un accordo, l’Unione disponga di una competenza esclusiva o concorrente. Al contrario, dato che l’Unione dispone solo di competenze di attribuzione, l’esistenza di una competenza, per giunta di natura esclusiva, deve basarsi su conclusioni tratte da un’analisi complessiva e concreta del rapporto esistente tra l’accordo internazionale previsto e il diritto dell’Unione in vigore (74).

96.      Al fine di stabilire se l’accordo sia idoneo a pregiudicare l’applicazione uniforme e coerente di talune norme comuni dell’Unione e il corretto funzionamento del sistema che esse istituiscono, tale analisi deve prendere in considerazione i settori disciplinati dalle norme dell’Unione e dalle disposizioni dell’accordo previsto che saranno vincolanti nei confronti dell’Unione, poiché corrispondono a competenze che l’Unione ha scelto di esercitare al momento dell’adozione della decisione di concludere detta convenzione, nonché le prospettive prevedibili di evoluzione di tali norme e disposizioni (75).

97.      Per quanto riguarda tali questioni, l’Irlanda sostiene che il Parlamento non abbia condotto, nella sua domanda, un’analisi completa e dettagliata dell’impatto della Convenzione di Istanbul sul diritto derivato dell’Unione (76). Infatti, la Corte ha dichiarato che, ai fini di tale analisi, spetta alla parte interessata fornire gli elementi atti a dimostrare la natura esclusiva della competenza esterna dell’Unione di cui essa intende avvalersi (77).

98.      È tuttavia significativo che la motivazione di tale filone giurisprudenziale sia contenuta in sentenze pronunciate nell’ambito di ricorsi di annullamento. In tali cause, la Corte è chiamata a pronunciarsi sulla base delle memorie scambiate tra le varie parti. Tale requisito non si applica al procedimento di parere, che è caratterizzato da uno spirito di collaborazione tra la Corte, le altre istituzioni dell’Unione e gli Stati membri e che mira a evitare il sorgere di complicazioni in un momento successivo (78). Infatti, poiché tale procedimento è al contempo ex ante e non contraddittorio, argomenti fondati sul sistema di controllo contraddittorio ex post, connaturato al ricorso di annullamento, sono poco pertinenti in tale contesto. Ritengo quindi che il fatto che il Parlamento non abbia svolto un’analisi completa e dettagliata dell’impatto della Convenzione sul diritto derivato dell’Unione non sia, di per sé, rilevante, e che spetti alla Corte effettuare siffatta analisi.

99.      Va tuttavia ricordato che, secondo la giurisprudenza della Corte, l’adozione di un accordo internazionale non incide sulle norme comuni qualora sia le disposizioni del diritto dell’Unione, sia quelle dell’accordo in questione contengano prescrizioni minime (79). Di conseguenza, tale giurisprudenza indica che, anche qualora un accordo internazionale riguardi gli stessi settori coperti da norme comuni dell’Unione, la Corte non considererà che sussista un’incidenza sulle norme dell’Unione – e, quindi, sulla competenza concorrente – se i due corpi di norme prevedano prescrizioni minime (80).

100. Nel caso della Convenzione di Istanbul, l’articolo 73 prevede che «[l]e disposizioni della presente Convenzione non pregiudicano le disposizioni di diritto interno e di altri strumenti internazionali vincolanti già in vigore o che possono entrare in vigore, in base ai quali sono o sarebbero riconosciuti dei diritti più favorevoli per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica».

101. In tale contesto, affinché una competenza concorrente dell’Unione e degli Stati membri possa essere considerata esclusiva (vale a dire una competenza che il Consiglio sarà tenuto a esercitare), occorrerebbe dimostrare che l’Unione ha già adottato norme comuni in tale settore che, in primo luogo, non prevedono prescrizioni minime e, in secondo luogo, possono essere pregiudicate dalla conclusione della Convenzione di Istanbul.

102. Per quanto concerne le due decisioni che autorizzano la firma, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul, è legittimo nutrire dubbi sulla questione se il Consiglio abbia correttamente ritenuto che l’Unione sarà tenuta ad esercitare tali competenze in forza della terza ipotesi di cui all’articolo 3, paragrafo 2, TFUE.

103. Da un lato, come sottolineato dalla Repubblica di Polonia, gli articoli 82, paragrafo 2, e 83, paragrafo 1, TFUE, che riguardano la cooperazione giudiziaria in materia penale, si limitano a prevedere l’adozione di norme minime. Pertanto, le norme comuni adottate in tale settore possono validamente prevedere soltanto norme minime.

104. Dall’altro lato, per quanto riguarda l’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, che conferisce all’Unione una competenza in materia di asilo e di immigrazione, a prima vista, sembra che le norme comuni adottate dall’Unione nel settore della politica in materia di asilo e immigrazione si limitino a dettare norme minime o, nei casi in cui ciò non avviene, a mio avviso, le disposizioni della Convenzione di Istanbul non sono idonee a incidere su tali norme.

105. A tal riguardo, occorre, infatti, osservare che la Convenzione di Istanbul contiene tre disposizioni che possono essere pertinenti per la politica in materia di politica di asilo e di immigrazione, vale a dire gli articoli da 59 a 61 di quest’ultima, che costituiscono il capo VII di tale Convenzione.

106. Per quanto concerne l’articolo 59 della Convenzione di Istanbul, relativo allo status di residente delle donne vittime di violenza, le regole previste dall’Unione in materia di soggiorno prevedono soltanto norme minime (81). In particolare, come osservato dall’avvocato generale Bot nella causa Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:174, paragrafo 64), la direttiva 2004/38 (82) introduce un grado minimo di armonizzazione, poiché mira, in particolare, a riconoscere, in talune situazioni, un diritto di soggiorno ai familiari di un residente nell’Unione, senza escludere che tale diritto possa essere concesso in altre situazioni.

107. È altresì vero che talune sentenze concernenti la direttiva 2004/38, quali la sentenza NA (83) o Diallo (84) possono aver dato adito a dubbi per quanto concerne il carattere di norme minime di alcuni requisiti contenuti in tale direttiva. Tuttavia, tali decisioni devono essere interpretate nel rispettivo contesto. Infatti, poiché nell’ambito di un procedimento di rinvio pregiudiziale la Corte non è competente a interpretare il diritto nazionale né ad applicare il diritto dell’Unione a un caso concreto, quando essa statuisce, lo fa sempre in riferimento alla situazione considerata nella questione o nelle questioni proposte, che possono riguardare soltanto alcuni aspetti della controversia. Di conseguenza, quando la Corte è interpellata in merito all’interpretazione di una determinata disposizione di una direttiva, anche qualora tale direttiva dichiari di prevedere soltanto norme minime, la Corte spesso prenderà posizione, a seconda del modo in cui la questione è stata proposta, sull’interpretazione da dare alla disposizione di cui trattasi indipendentemente dalla possibilità per gli Stati membri di adottare standard più elevati (85). Pertanto, la risposta fornita in questo tipo di situazioni non pregiudica la possibilità per gli Stati di concedere, sulla sola base del loro diritto nazionale, un diritto di ingresso e di soggiorno a condizioni più favorevoli (86). Di conseguenza, una volta collocate nel contesto del meccanismo del rinvio pregiudiziale, le soluzioni adottate nelle sentenze NA (87) o Diallo (88) devono essere intese non nel senso che vietano agli Stati membri di rilasciare un permesso di soggiorno nei casi considerati, bensì, piuttosto, nel senso che non impongono agli Stati membri di farlo (89).

108. Per quanto riguarda l’articolo 60 della Convenzione di Istanbul, esso prevede che le parti firmatarie debbano, in sostanza, riconoscere la violenza contro le donne basata sul genere come una forma di persecuzione ai sensi della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e come una forma di grave pregiudizio che dà luogo a una protezione complementare o sussidiaria.

109. In proposito, talune direttive, in particolare quelle note come «direttive di prima generazione», indicano che esse si limitano a prevedere norme minime (90). È vero che, nelle direttive più recenti, si precisa che gli Stati membri hanno facoltà di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli «purché siano compatibili con le disposizioni [della] direttiva [in questione]», il che potrebbe suggerire che non possano essere adottate disposizioni più favorevoli per quanto concerne talune norme (91). Tuttavia, tali direttive attribuiscono diritti o garanzie procedurali o, in alternativa, obbligano gli Stati membri a prendere in considerazione determinate circostanze, senza escludere la possibilità che siano concessi altri diritti o garanzie o siano prese in considerazione altre circostanze. In particolare, nessuno dei motivi di esclusione dallo status di rifugiato o di cessazione o revoca della protezione sussidiaria previsti in tali strumenti sembra idoneo a contravvenire alle disposizioni della Convenzione di Istanbul.

110. Certamente, il diritto dell’Unione armonizza, in una certa misura, le condizioni alle quali i cittadini di paesi terzi o gli apolidi possono ottenere lo status di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché il contenuto di tale status (92). Tuttavia, siffatte condizioni sono tali che sembra possibile applicarle conformemente all’articolo 60 della Convenzione di Istanbul. In particolare, per quanto riguarda lo status di rifugiato, osservo che l’articolo 2, lettera d), della direttiva 2011/95 (93) stabilisce che per rifugiato si intende il cittadino di un paese terzo che si trovi al di fuori del paese di cui ha la cittadinanza e che non possa o non voglia avvalersi della protezione di detto paese per il timore fondato di essere perseguitato, in particolare, per motivi di «appartenenza a un determinato gruppo sociale», nozione definita in modo assai ampio all’articolo 10 della medesima direttiva, in particolare come gruppo i cui «membri (…) condividono una caratteristica innata» (94). Esso stabilisce altresì che «[a]i fini della determinazione dell’appartenenza a un determinato gruppo sociale o dell’individuazione delle caratteristiche proprie di tale gruppo, si tiene debito conto delle considerazioni di genere, compresa l’identità di genere».

111. Infine, per quanto concerne l’articolo 61 della Convenzione di Istanbul, si può notare che esso prevede che le parti adottino le misure necessarie per il rispetto del principio di non respingimento, un obbligo già previsto dal diritto dell’Unione (95).

112. In ogni caso, nella fattispecie non mi sembra necessario risolvere definitivamente la questione se l’Unione disponga, come sostiene il Consiglio, di una competenza esclusiva a concludere la Convenzione di Istanbul in tali due settori in forza dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE e, pertanto, se essa sia tenuta ad esercitare dette competenze. Infatti, anche nel caso in cui risultasse che, in assenza di qualsiasi rischio che la conclusione della Convenzione di Istanbul incida su norme comuni dell’Unione legate a tale settore, siffatte competenze rimangano concorrenti, il Consiglio sarebbe comunque libero di esercitarle, come, in linea di principio, avverrà (96). Come esposto in precedenza, la questione proposta dal Parlamento si fonda, infatti, implicitamente sul presupposto che l’Unione eserciterà, quantomeno, le competenze di cui dispone in materia di asilo e immigrazione e di cooperazione giudiziaria in materia penale.

B.      Analisi delle finalità e delle componenti della Convenzione di Istanbul

113. Ai sensi del suo preambolo, la Convenzione di Istanbul ha l’obiettivo di «creare un’Europa libera dalla violenza contro le donne e dalla violenza domestica». Come previsto all’articolo 1 di tale Convenzione, il raggiungimento di tale obiettivo è suddiviso in cinque sotto-obiettivi, vale a dire:

–        «proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;

–        contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, ivi compreso rafforzando l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne;

–        predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica;

–        promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;

–        sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell’applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l’eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica».

114. Per quanto concerne il contenuto della Convenzione di Istanbul, essa comprende 81 articoli suddivisi in 12 capitoli, rubricati come segue:

–        «Capitolo I – Obiettivi, definizioni, uguaglianza e non discriminazione, obblighi generali»;

–        «Capitolo II – Politiche integrate e raccolta dei dati»;

–        «Capitolo III – Prevenzione»;

–        «Capitolo IV – Protezione e sostegno»;

–        «Capitolo V – Diritto sostanziale»;

–        «Capitolo VI – Indagini, procedimenti penali, diritto procedurale e misure protettive»;

–        «Capitolo VII – Migrazione e asilo»;

–        «Capitolo VIII – Cooperazione internazionale»;

–        «Capitolo IX – Meccanismo di controllo»;

–        «Capitolo X – Relazioni con altri strumenti internazionali»;

–        «Capitolo XI – Emendamenti alla Convenzione»;

–        «Capitolo XII – Clausole finali».

115. Il capitolo I della Convenzione di Istanbul contiene disposizioni concernenti gli obiettivi, le definizioni e la relazione di tale Convenzione con gli obblighi in materia di uguaglianza, non discriminazione nonché gli obblighi generali. In particolare, essa definisce i termini chiave utilizzati nel testo (97) e impone alle parti di condannare ogni forma di discriminazione garantendo l’applicazione del principio della parità tra i sessi nei rispettivi ordinamenti giuridici e precisando che è possibile adottare azioni positive per conseguirla (98). Inoltre, a tutte le parti è fatto obbligo di garantire che i soggetti pubblici si astengano dal commettere qualsiasi atto di violenza e di esercitare la debita diligenza al fine di prevenire, indagare e punire gli atti di violenza commessi da soggetti non statali e di risarcire le vittime di tali atti (99). Infine, tale capitolo dichiara che le parti sono tenute, inter alia, a promuovere politiche in materia di parità tra le donne e gli uomini, emancipazione e autodeterminazione delle donne (100).

116. Il capitolo II obbliga le parti ad attuare una politica globale di risposta alla violenza contro le donne, istituendo una cooperazione efficace tra tutte le agenzie, istituzioni e organizzazioni pertinenti, anche mediante il coinvolgimento, ove necessario, di tutti i soggetti pertinenti, quali le agenzie governative, i parlamenti e le autorità nazionali, regionali e locali, le istituzioni nazionali deputate alla tutela dei diritti umani e le organizzazioni della società civile (101). Alle parti è richiesto altresì di raccogliere i dati statistici disaggregati pertinenti e di adoperarsi per realizzare indagini sulla popolazione, a intervalli regolari, su ogni forma di violenza che rientra nel campo di applicazione della Convenzione di Istanbul (102).

117. Il capitolo III precisa gli obblighi delle parti in materia di prevenzione. In sostanza, le parti sono tenute ad adottare un approccio articolato, che comprende azioni di sensibilizzazione, l’inclusione del tema dell’uguaglianza di genere e della violenza nell’istruzione formale di ogni ordine e grado, attraverso materiali didattici e programmi scolastici appropriati, e a estendere la promozione della non violenza e dell’uguaglianza di genere a contesti di istruzione non formale, nei centri sportivi, culturali e di svago e nei mass media (103). Le parti sono tenute a garantire la formazione adeguata delle figure professionali che si occupano delle vittime e degli autori di atti di violenza (104). È necessaria altresì l’adozione di misure per predisporre programmi di intervento di carattere preventivo e di trattamento (105) e per incoraggiare il settore privato a partecipare all’elaborazione e all’attuazione di tali politiche, nonché alla definizione di materiali e norme di autoregolazione (106).

118. Il capitolo IV definisce gli obblighi delle parti in materia di protezione e sostegno delle vittime (107). Tali obblighi includono l’obbligo di fornire alle vittime un’informazione adeguata e tempestiva sui servizi di sostegno e le misure legali disponibili in una lingua che comprendono (108), di garantire che siano disponibili servizi di supporto generale, quali servizi sanitari e sociali, consulenze legali e un sostegno psicologico, un’assistenza finanziaria, alloggio, istruzione, formazione e assistenza nella ricerca di un lavoro (109), nonché servizi specializzati, ivi compresi case rifugio, linee telefoniche gratuite di assistenza continua, supporto medico-legale specifico per le vittime di violenza sessuale e di prendere in considerazione i bisogni dei bambini testimoni di violenze (110). Inoltre, è prevista l’adozione di misure per incoraggiare qualsiasi persona che sia stata testimone di atti di violenza o che abbia ragionevoli motivi per ritenere che tali atti potrebbero essere commessi o che si possano temere nuovi atti di violenza, a segnalarlo, nonché di norme sulle condizioni alle quali la segnalazione, da parte di determinate figure professionali, della commissione o della possibile commissione futura di atti di violenza non viola i loro obblighi generali in materia di riservatezza (111).

119. Il capitolo V, concernente il diritto sostanziale, contiene disposizioni più dettagliate. In primo luogo, esso impone alle parti di fornire alle vittime adeguati ricorsi civili nei confronti degli autori di violenze fisiche e psicologiche, ivi compreso il risarcimento; di garantire la possibilità di invalidare, annullare o sciogliere i matrimoni forzati, senza che in capo alla vittima sia posto un onere finanziario o amministrativo eccessivo, e di garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione di Istanbul (112). In secondo luogo, tale capitolo prevede un elenco di condotte che devono essere penalmente sanzionate, segnatamente violenza psicologica con minacce o coercizione, atti persecutori (stalking), violenza fisica, violenza sessuale, compreso lo stupro, matrimoni forzati, mutilazioni genitali femminili, aborto forzato, sterilizzazione forzata e molestie sessuali (113). Tale capitolo impone altresì alle parti di perseguire penalmente il favoreggiamento, la complicità e il tentativo in ordine alla commissione dei reati in questione, nonché l’istigazione di terzi a commettere tali reati (114). In terzo luogo, il capitolo V prevede che le parti debbano adottare misure per garantire che l’«onore» non possa essere addotto come scusante per giustificare tali atti (115) e che i reati previsti ai sensi della Convenzione si applichino a prescindere dalla natura del rapporto tra la vittima e l’autore del reato (116). In quarto luogo, esso obbliga le parti ad adottare le misure legislative o di altro tipo necessarie per determinare la giurisdizione competente per qualsiasi reato previsto ai sensi della Convenzione quando il reato presenta un nesso con il loro territorio o con un loro cittadino (117). In quinto luogo, esso impone alle parti di prevedere sanzioni adeguate e dissuasive (118) e di considerare una serie di situazioni come circostanze aggravanti (119). Infine, il capitolo V permette alle parti di prendere in considerazione, al momento della decisione relativa alla pena, le condanne pronunciate da un’altra parte contraente in relazione ai reati previsti in base alla Convenzione (120) e vieta il ricorso obbligatorio a procedimenti di soluzione alternativa delle controversie (121).

120. Il capitolo VI si occupa del diritto procedurale e delle misure protettive nel corso delle indagini e dei procedimenti giudiziari (122). Le parti devono garantire, inter alia, che le autorità incaricate dell’applicazione della legge forniscano una tutela tempestiva alle vittime, anche per quanto concerne la raccolta delle prove (123), e conducano una valutazione del rischio di letalità e della gravità della situazione (124). Il fatto che l’autore del reato abbia accesso ad armi da fuoco deve essere oggetto di speciale attenzione. Gli ordinamenti nazionali devono prevedere la possibilità di adottare misure urgenti di allontanamento imposte dal giudice nonché ordinanze di ingiunzione o di protezione, senza oneri amministrativi o finanziari eccessivi per la vittima (125). Qualsiasi violazione di tali misure deve essere oggetto di sanzioni penali o di altre sanzioni legali efficaci, proporzionate e dissuasive. Le parti sono tenute a garantire che le prove relative agli antecedenti sessuali e alla condotta della vittima siano ammissibili unicamente quando pertinenti e necessarie (126) e che la procedibilità dei reati più gravi non dipenda interamente da una segnalazione o da una denuncia da parte della vittima (127). Le parti devono altresì prevedere la possibilità per le organizzazioni governative e non governative e per i consulenti specializzati nella lotta alla violenza domestica di assistere e/o di sostenere le vittime, su loro richiesta, nel corso delle indagini e dei procedimenti giudiziari relativi ai reati stabiliti conformemente alla Convenzione di Istanbul. In tale capitolo, la Convenzione prevede un elenco non tassativo delle misure destinate a proteggere i diritti e gli interessi delle vittime, compresi i loro bisogni in quanto testimoni in tutte le fasi delle indagini e dei procedimenti giudiziari. I bisogni specifici dei bambini, vittime e testimoni di violenza, devono essere oggetto di particolare considerazione (128). Infine, le parti devono prevedere il diritto al gratuito patrocinio (129) e disciplinare la prescrizione in modo tale da permettere che le vittime dei reati più gravi possano vedere perseguito il reato dopo avere raggiunto la maggiore età (130).

121. Il capitolo VII prevede altresì che le parti debbano adottare le misure legislative necessarie ad evitare che lo status di residente delle vittime possa essere pregiudicato dalle misure adottate al fine di combattere le violenze (131) e che la violenza contro le donne basata sul genere, in quanto forma di persecuzione e di grave pregiudizio, dia luogo a una protezione complementare/sussidiaria ai sensi della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 (132). Inoltre, le parti devono istituire procedure di asilo sensibili al genere. Tale capitolo mira altresì a garantire che il principio di non respingimento sia applicato, in ogni caso, alle donne vittime di violenza (133).

122. Il capitolo VIII si occupa di garantire la cooperazione internazionale tra le parti nell’esecuzione della Convenzione di Istanbul. In particolare, le parti sono tenute a garantire che le vittime di un reato commesso sul territorio di un’altra parte di tale Convenzione possano presentare denuncia nel loro Stato di residenza (134). Nel caso in cui una persona sia esposta in modo immediato a un rischio di violenza, le parti dovrebbero trasmettersi reciprocamente le relative informazioni, ai fini dell’adozione di misure di protezione (135). Inoltre, esso conferisce, in particolare, ai denuncianti il diritto di ricevere informazioni riguardo all’esito finale dell’azione intrapresa ai sensi dello stesso capitolo in quanto organizza uno scambio di informazioni in merito tra le parti di tale Convenzione (136).

123. Il capitolo IX istituisce un meccanismo di controllo dell’attuazione della Convenzione di Istanbul, affidato al Grevio.

124. Il capitolo X precisa che la Convenzione di Istanbul non pregiudica gli obblighi delle parti derivanti da altri strumenti internazionali e che le parti possono concludere altri accordi internazionali relativi alle questioni disciplinate dalla Convenzione, al fine di integrarne o rafforzarne le disposizioni.

125. Il capitolo XI disciplina la procedura per la modifica della Convenzione di Istanbul.

126. Il capitolo XII contiene le clausole finali. Esso dichiara specificamente che la Convenzione di Istanbul è aperta alla firma da parte dell’Unione europea (137). Tale capitolo precisa altresì che la formulazione di riserve è ammessa soltanto in casi limitati e a determinate condizioni (138).

127. Come osservato dalla Commissione nella sua proposta di decisione del Consiglio relativa alla firma, a nome dell’Unione europea, della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (139), la conclusione di tale Convenzione da parte dell’Unione può interessare un ampio numero di competenze esclusive o concorrenti con quelle degli Stati membri. Di conseguenza, teoricamente, potrebbero essere rilevanti numerose basi giuridiche ai sensi del TFUE, quali le seguenti: «articolo 16 (protezione dei dati), articolo 19, paragrafo 1 (discriminazione fondata sul sesso), articolo 23 (tutela consolare per i cittadini di un altro Stato membro), articoli 18, 21, 46, 50 (libera circolazione dei cittadini, libera circolazione dei lavoratori e libertà di stabilimento), articolo 78 (asilo e protezione sussidiaria e temporanea), articolo 79 (immigrazione), articolo 81 (cooperazione giudiziaria in materia civile), articolo 82 (cooperazione giudiziaria in materia penale), articolo 83 (definizione a livello UE dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale), articolo 84 (misure, che non perseguono armonizzazione, per la prevenzione della criminalità) e articolo 157 (parità di trattamento tra uomini e donne nei settori in materia di occupazione e impiego)». A tali basi giuridiche si potrebbero aggiungere, anche se non menzionate dalla Commissione, l’articolo 165 TFUE (sviluppo di un’istruzione di qualità), l’articolo 166 TFUE (attuazione di una politica di formazione professionale) o l’articolo 336 TFUE (regime applicabile ai funzionari e agli altri agenti dell’Unione (140)).

128. Tuttavia, come ho già spiegato, la base o le basi giuridiche di un atto non sono destinate a riflettere tutte le competenze esercitate ai fini della sua adozione. La decisione di autorizzare la conclusione della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione dovrebbe basarsi unicamente sulla base o sulle basi giuridiche che corrispondono al futuro centro di gravità di tale decisione.

C.      Determinazione delle finalità e delle componenti principali della decisione di autorizzare la conclusione, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul

129. Se la risposta alla prima questione, lettera a), dipendesse semplicemente dalle finalità e dal contenuto della Convenzione di Istanbul, sarebbe stato sufficiente sottolineare che, sebbene tale Convenzione abbia varie componenti, l’obiettivo dell’eliminazione della discriminazione di genere costituisce chiaramente la finalità e la componente principale (141). Infatti, come dichiarato nella relazione esplicativa della Convenzione, tale strumento mira, come emerge dal suo preambolo, a riconoscere l’esistenza di un «legame tra l’eliminazione della violenza nei confronti delle donne e il raggiungimento dell’uguaglianza di genere de jure e de facto» (142). Essa dichiara altresì che «la definizione di “violenza nei confronti delle donne” chiarisce che, ai fini della Convenzione, con tale espressione si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione» (143). Di conseguenza, in assenza di una base giuridica più specifica, la base giuridica pertinente sembra essere l’articolo 3, paragrafo 3, TUE, che, in combinato disposto con l’articolo 19 TFUE, attribuisce all’Unione la competenza a «prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso».

130. Come menzionato in precedenza, tuttavia, per determinare la base giuridica della decisione di autorizzare la conclusione, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul, occorre tener conto non soltanto delle finalità e delle componenti di tale Convenzione, ma anche delle finalità e delle componenti specifiche della decisione stessa.

131. Nel caso di specie, è dato più o meno per scontato che il Consiglio non desideri che l’Unione eserciti competenze diverse da quelle corrispondenti alle disposizioni menzionate nella questione del Parlamento, che, nella fattispecie, non comprendono l’articolo 3, paragrafo 3, TUE o l’articolo 19 TFUE.

132. Pertanto, la decisione di autorizzare la conclusione, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul può essere fondata su tali disposizioni soltanto qualora risulti, quantomeno, che l’Unione debba necessariamente esercitare la corrispondente competenza esterna.

133. A tal riguardo, occorre rilevare che l’eliminazione della discriminazione di genere non rientra nei settori elencati all’articolo 3, paragrafo 1, TFUE, per i quali è stata espressamente attribuita all’Unione una competenza esclusiva. Per quanto riguarda i diversi casi di competenza esterna esclusiva di cui all’articolo 3, paragrafo 2, TFUE, risulta pertinente soltanto la terza ipotesi prevista al paragrafo 2 di tale disposizione (ossia che l’Unione dispone di competenza esclusiva per la conclusione di accordi internazionali, per quanto concerne le disposizioni di un accordo che possono incidere su norme comuni dell’Unione).

134. Come già precisato, poiché la Convenzione di Istanbul prevede soltanto norme minime, affinché sia riconosciuta all’Unione una competenza esclusiva in considerazione dell’esistenza di norme comuni che possono essere pregiudicate dalla conclusione di tale Convenzione, è quindi necessario che tali norme comuni non si limitino a fissare norme minime. Tuttavia, le norme comuni adottate nel settore della lotta alla discriminazione basata sul sesso, che risultano dalla direttiva 2000/78 (144), dalla direttiva 2004/113 (145), dalla direttiva 2006/54 (146) e dalla direttiva 2010/41 (147) si limitano a prevedere norme minime, poiché esse precisano tutte che gli Stati membri possano adottare o mantenere disposizioni più favorevoli.

135. Tenuto conto del contenuto attuale delle norme comuni in materia di lotta contro la discriminazione fondata sul sesso, si deve osservare che l’Unione non possiede una competenza esterna esclusiva in tale settore. Pertanto, l’Unione non è obbligata a esercitare la sua competenza in materia di lotta contro la discriminazione sessuale al fine di concludere la Convenzione di Istanbul (148). Nei limiti in cui la questione proposta si fonda sulla premessa che l’Unione non eserciti, in linea di principio, competenze diverse da quelle in materia di asilo e cooperazione giudiziaria in materia penale, l’articolo 3, paragrafo 3, TUE e l’articolo 19 TFUE non costituiscono basi giuridiche adeguate per l’adozione della decisione relativa alla conclusione, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul.

136. Alla luce di quanto precede, mi propongo ora di esaminare se vi siano basi giuridiche che, pur non coprendo interamente detta Convenzione, possano tuttavia ricomprendere parti importanti di quest’ultima, riflettendo, al contempo, competenze di cui l’Unione disporrà o che intende esercitare al momento della conclusione di tale Convenzione. Infatti, la circostanza che l’Unione debba esercitare competenze diverse da quelle corrispondenti alle basi giuridiche menzionate dal Parlamento nelle sue questioni non è sufficiente, di per sé, a far sì che esse debbano essere prese in considerazione a tal fine; è altresì necessario che tali competenze coprano componenti della Convenzione di Istanbul di importanza almeno pari a quella delle componenti coperte dalle basi giuridiche menzionate dal Parlamento.

137. A tal fine, inizierò occupandomi della questione se vi siano competenze diverse da quelle indicate dal Parlamento nella sua questione che appaiano sufficientemente pertinenti e che l’Unione sarà obbligata a esercitare ai fini della conclusione della Convenzione di Istanbul.

D.      Sull’esistenza di basi giuridiche diverse da quelle menzionate dal Parlamento nella sua questione corrispondenti, da un lato, a competenze che l’Unione sarebbe tenuta a esercitare e, dall’altro, a finalità e componenti della Convenzione di Istanbul che possano essere considerate di importanza, quantomeno, pari rispetto a quelle coperte dalle basi giuridiche menzionate dal Parlamento

138. Tra le diverse competenze individuate al paragrafo 127 delle presenti conclusioni che possono essere interessate dalla Convenzione di Istanbul, soltanto quattro sembrano sufficientemente pertinenti da giustificare un esame più approfondito, vale a dire l’articolo 165 TFUE (sviluppo di un’istruzione di qualità), l’articolo 166 TFUE (attuazione di una politica di formazione professionale), l’articolo 81 TFUE (cooperazione giudiziaria in materia civile) e l’articolo 336 TFUE (regime applicabile ai funzionari e agli altri agenti dell’Unione).

Sugli aspetti della Convenzione di Istanbul concernenti l’istruzione e la formazione professionale

139. Ai sensi dell’articolo 6 TFUE, l’Unione dispone soltanto di una competenza di sostegno in materia di istruzione e formazione professionale. Siffatta competenza non può, per sua stessa natura, essere esercitata con effetto preclusivo dall’Unione e da ciò consegue che quest’ultima non è mai tenuta a esercitarla.

Sugli aspetti della Convenzione di Istanbul concernenti la cooperazione giudiziaria in materia civile

140. Ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, TFUE, la cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali rientra nella competenza concorrente dell’Unione e degli Stati membri. La seconda frase di detta disposizione precisa che tale cooperazione può includere l’adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri (149). L’articolo 81, paragrafo 2, TFUE contiene un elenco tassativo degli obiettivi che possono essere perseguiti dalle misure adottate dall’Unione.

141. Sulla base di tale disposizione, l’Unione ha adottato vari strumenti. Alcuni di essi, quali la direttiva 2003/8/CE del Consiglio, intesa a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere, si limitano a prevedere norme minime (150). Analogamente, l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/52 (151) precisa che tale direttiva non si applica ai diritti e agli obblighi di cui le parti non possono disporre secondo la pertinente legge applicabile. Pertanto, tale direttiva non esclude la possibilità che gli Stati membri possano vietare il ricorso alla mediazione in determinati settori (152).

142. Tuttavia, altri strumenti prevedono disposizioni che, chiaramente, non contengono soltanto prescrizioni minime (153). In particolare, la Corte ha già dichiarato, per quanto riguarda l’istituzione di meccanismi per il riconoscimento delle decisioni giudiziarie, che l’Unione ha acquisito una competenza esterna (154).

143. Poiché l’articolo 62 della Convenzione di Istanbul prevede che le parti firmatarie cooperino al fine di applicare le pertinenti sentenze civili e penali pronunciate dalle autorità giudiziarie delle parti, ivi comprese le ordinanze di protezione, l’Unione sarà tenuta a esercitare, alla fine, la sua competenza esterna esclusiva nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile riguardo a talune disposizioni della Convenzione quali l’articolo 62, paragrafo 1, lettera a).

Sugli aspetti della Convenzione relativi al regime applicabile ai funzionari e agli altri agenti dell’Unione

144. Ai sensi dell’articolo 336 TFUE, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione delle altre istituzioni interessate, stabiliscono lo statuto dei funzionari dell’Unione europea e il regime applicabile agli altri agenti dell’Unione.

145. È vero che il regime applicato dall’Unione a tutto il suo personale non riguarda i settori di cui agli articoli 3 e 6 TFUE. Di conseguenza, la competenza dell’Unione è concorrente con quella degli Stati membri, in forza dell’articolo 4, paragrafo 1, TFUE. Tuttavia, occorre rilevare che tale competenza è già stata esercitata con effetto preclusivo attraverso l’adozione del regolamento n. 31 (C.E.E.), 11 (C.E.E.A.) relativo allo statuto dei funzionari e al regime applicabile agli altri agenti della Comunità Economica Europea e della Comunità Europea dell’Energia Atomica (155) e che si deve quindi ritenere che l’Unione abbia acquisito, in forza dell’articolo 3, paragrafo 2, TUE, una competenza esterna esclusiva in materia.

146. Ne consegue che, oltre alle basi giuridiche menzionate dal Parlamento, occorre altresì esaminare gli articoli 81 e 336 TFUE per determinare su quale base o su quali basi giuridiche debba essere adottata la decisione di autorizzare la conclusione, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul.

147. Per quanto riguarda le competenze diverse dalle quattro già esaminate e da quelle indicate dal Parlamento nella sua questione, ritengo che, anche se talune disposizioni della Convenzione di Istanbul rientrano in tali competenze, dette disposizioni non siano idonee a influire sul centro di gravità di un’eventuale decisione dell’Unione relativa alla conclusione di tale Convenzione, per i motivi che ho appena esposto. Ciò poiché l’Unione non è tenuta a esercitare tali competenze o poiché le disposizioni di cui trattasi possono essere considerate, nel caso di specie, di natura accessoria.

E.      Valutazione finale: sulla pertinenza delle basi giuridiche menzionate dal Parlamento e di quelle precedentemente individuate come corrispondenti, al contempo, a competenze da esercitare e a competenze che coprono finalità e componenti della Convenzione di Istanbul sufficientemente rilevanti

148. A questo punto, mi sembra importante sottolineare ancora una volta, in via preliminare, ciò che rende la presente causa così particolare, ossia il fatto che l’Unione non eserciterà tutte le competenze che condivide con gli Stati membri. In particolare, sembra che l’Unione non sarà tenuta a esercitare la competenza che si potrebbe considerare quella che copre le finalità e le componenti preponderanti della Convenzione di Istanbul, vale a dire la competenza in materia di lotta contro la discriminazione di genere (156).

149. Di conseguenza, altre possibili basi giuridiche – che altrimenti sarebbero state accessorie – potrebbero divenire rilevanti. Tuttavia, occorre tener presente che esse coprono le finalità e le componenti della Convenzione di Istanbul in misura soltanto parziale. Pertanto, come ho già precisato, la base o le basi giuridiche pertinenti devono essere determinate mediante un confronto con le altre possibili basi, e non in modo assoluto.

150. Con la sua questione, il Parlamento chiede se la decisione di autorizzare la conclusione della Convenzione di Istanbul possa essere validamente fondata, come previsto dal Consiglio, sugli articoli 82, paragrafo 2 e 84 TFUE o se essa debba piuttosto basarsi sugli articoli 78, paragrafo 2, 82, paragrafo 2, e 83, paragrafo 1, TFUE. Oltre a tali basi giuridiche, che si deve presumere corrispondano alle competenze che l’Unione ha scelto di esercitare, occorre altresì tener conto, per le ragioni summenzionate, degli articoli 81 e 336 TFUE. Suggerisco di iniziare con gli articoli 82, paragrafo 2, 83, paragrafo 1, e 84 TFUE, contenuti tutti nel capo 4 del titolo V della parte terza del TFUE e concernenti la cooperazione giudiziaria in materia penale, nonché con l’articolo 81, paragrafo 1, TFUE.

151. Occorre anzitutto rilevare che l’articolo 82, paragrafo 2, TFUE conferisce all’Unione competenza a stabilire norme minime volte a facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e a istituire e rafforzare la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale. Tuttavia, il secondo comma di tale disposizione precisa che tali misure devono riguardare, in assenza di una decisione preliminare del Consiglio che individui in via preliminare altri elementi specifici della procedura penale, l’ammissibilità reciproca delle prove tra gli Stati membri, i diritti della persona nella procedura penale o i diritti delle vittime della criminalità (157).

152. Come ho osservato in precedenza, il capitolo VIII della Convenzione di Istanbul mira a instaurare una cooperazione giudiziaria internazionale orientata verso il settore penale. Pertanto, le disposizioni previste in tale capitolo sono idonee a rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 82, paragrafo 2, TFUE (158). Tenuto conto del fatto che gli Stati membri hanno ampiamente conservato la competenza esclusiva in materia penale, ritengo che, tra le possibili basi giuridiche, l’articolo 82, paragrafo 2, TFUE costituisca, comparativamente, e in assenza della volontà dell’Unione di esercitare la competenza di cui dispone in materia di parità di trattamento, una base giuridica idonea a coprire il centro di gravità giuridico della futura decisione che autorizza la conclusione, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul. In proposito, è forse significativo il fatto che le tre istituzioni che hanno presentato osservazioni scritte – il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione – concordino nel ritenere che l’articolo 82, paragrafo 2, TFUE costituisca una delle basi giuridiche sostanziali adeguate per l’adozione della decisione che autorizza l’Unione a concludere la Convenzione di Istanbul.

153. In tali circostanze, l’articolo 81, paragrafo 1, TFUE non può, a mio avviso, costituire una delle basi giuridiche della decisione che autorizza la conclusione, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul. Dalla struttura generale di tale Convenzione risulta, infatti, che le finalità e le componenti di quest’ultima suscettibili di rientrare nella cooperazione giudiziaria in materia civile sono accessorie all’instaurazione di una cooperazione internazionale in materia penale. Infatti, dalle disposizioni del capitolo VIII (articoli da 62 a 65), nonché dalla struttura generale della Convenzione, risulta che essa mira a dare la priorità a una risposta penale alle violenze nei confronti delle donne e che la cooperazione internazionale prevista riveste, soprattutto, carattere penale. In tali circostanze, ritengo che le disposizioni della Convenzione di Istanbul relative all’instaurazione di una cooperazione giudiziaria nel settore del diritto civile abbiano essenzialmente carattere accessorio rispetto alla cooperazione in materia penale che la stessa Convenzione intende istituire.

154. Per quanto concerne l’articolo 83, paragrafo 1, TFUE, tale disposizione attribuisce all’Unione competenza a stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni. Il secondo comma, tuttavia, prevede un elenco tassativo delle sfere in questione, ossia terrorismo, tratta degli esseri umani, sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di stupefacenti, traffico illecito di armi, riciclaggio di denaro, corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità organizzata. Sebbene il terzo comma preveda che il Consiglio possa adottare una decisione ai fini dell’ampliamento di tale elenco, non risulta che, a tutt’oggi, esso si sia avvalso di siffatta possibilità (159).

155. Alla luce dell’elenco di settori attualmente rientranti nell’articolo 83, paragrafo 1, TFUE, appare che le disposizioni di diritto penale contenute nella Convenzione di Istanbul non rientrano nella competenza dell’Unione, ma sono rimaste piuttosto nella competenza degli Stati membri. A mio avviso, il semplice fatto che, in taluni casi, gli atti di violenza rientranti in tale Convenzione possano essere inquadrati nella tratta di esseri umani o nello sfruttamento sessuale delle donne e dei minori non è, di per sé, sufficiente a consentire di concludere che talune disposizioni della Convenzione di Istanbul siano idonee a rientrare nella competenza che l’Unione trae dall’articolo 83, paragrafo 1, TFUE. Mi sembra, dunque, che il ricorso a tale base giuridica debba essere, in ogni caso, escluso.

156. Per quanto concerne l’articolo 84 TFUE, lo scopo di tale disposizione è permettere all’Unione di stabilire misure per incentivare e sostenere l’azione degli Stati membri nel campo della prevenzione della criminalità, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari. La questione, dunque, è se la Convenzione di Istanbul imporrà all’Unione, qualora essa dovesse concludere detta Convenzione, di adottare misure di sostegno.

157. A tale riguardo, la Convenzione impone vari obblighi consistenti nell’adottare una serie di misure di prevenzione e di protezione, che ricadono direttamente in capo alle parti firmatarie. Tuttavia, a mio avviso, l’articolo 84 TFUE non dovrebbe essere interpretato in modo troppo restrittivo, nel senso che esso consente soltanto l’adozione di misure i cui destinatari siano gli Stati membri, bensì nel senso che consenta altresì, come risulta dal suo tenore letterale, l’adozione di misure a sostegno di un’azione statale, vale a dire in aggiunta a quelle adottate dagli Stati, ma senza escludere che esse possano riguardare direttamente persone fisiche.

158. Quanto all’importanza delle finalità e delle componenti della Convenzione di Istanbul connesse alla prevenzione della criminalità, poiché, come ho già precisato, l’Unione non eserciterà tutte le competenze di cui dispone e, in particolare, la sua competenza in materia di lotta contro la discriminazione di genere, la valutazione del carattere principale di una base giuridica diventa una valutazione relativa. In altri termini, il carattere preponderante o principale di talune finalità e componenti interessate dev’essere valutato in comparazione con le altre finalità e componenti della Convenzione di Istanbul che, poiché l’Unione ha scelto di esercitare le competenze corrispondenti, saranno vincolanti nei suoi confronti.

159. In tali circostanze, poiché il Consiglio intende limitare la portata degli obblighi giuridici assunti dall’Unione al momento della conclusione della Convenzione di Istanbul, le finalità e le componenti della decisione di autorizzare la conclusione di tale Convenzione da parte dell’Unione suscettibili di rientrare nell’articolo 84 TFUE mi sembrano tanto preponderanti quanto quelle rientranti nell’articolo 82, paragrafo 2. TFUE. Inoltre, sia la cooperazione giudiziaria in materia penale, sia la prevenzione della violenza nei confronti delle donne sono ciascuna oggetto di un intero capitolo di tale Convenzione.

160. Per quanto riguarda l’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, quest’ultimo fa riferimento alla competenza dell’Unione ad istituire un sistema comune di asilo. È vero che, come sottolinea il Parlamento, la Convenzione di Istanbul contiene solo tre articoli in materia di migrazione e asilo. L’articolo 59 di tale Convenzione obbliga le parti a prevedere nella loro normativa nazionale la possibilità, per le donne migranti vittime di violenza, di ottenere un titolo autonomo di soggiorno, mentre i suoi articoli 60 e 61 richiedono, in sostanza, rispettivamente, che le parti riconoscano la violenza nei confronti delle donne come una forma di persecuzione, esaminino le domande volte a ottenere lo status di rifugiato sulla base di un’interpretazione sensibile al genere e rispettino il principio di non respingimento delle donne vittime di violenza.

161. Occorre tuttavia rilevare, in primo luogo, che queste tre disposizioni costituiscono un capitolo distinto, il che dimostra che la Convenzione di Istanbul riconosce a tali questioni la stessa importanza che attribuisce alla cooperazione giudiziaria o alle misure preventive. In secondo luogo, tali disposizioni, a differenza della maggior parte delle disposizioni per le quali l’Unione è competente, non corrispondono al diritto attualmente in vigore nell’Unione. Allo stato attuale, il diritto dell’Unione non prevede, in generale, che l’obbligo di tener conto della violenza nei confronti delle donne come forma di persecuzione idonea a determinare la concessione dello status di rifugiato e l’adozione di un siffatto obbligo espresso possano avere importanti implicazioni pratiche. In terzo luogo, soprattutto, occorre ricordare che, poiché il Consiglio ha previsto che la conclusione sia limitata a talune competenze, un gran numero di disposizioni della Convenzione di Istanbul non saranno, dal punto di vista del diritto dell’Unione, per essa vincolanti.

162. In tale contesto, ritengo che l’articolo 78, paragrafo 2, TFUE dovrebbe figurare tra le basi giuridiche della decisione relativa alla conclusione, a nome dell’Unione, della Convenzione di Istanbul, poiché copre finalità e componenti che, se considerate, quantomeno comparativamente, con le altre finalità e componenti di tale decisione, dovrebbero essere ritenute preponderanti. Pur se si può dire che talune finalità o componenti di tale Convenzione possono rientrare in una competenza esclusiva dell’Unione che non ho menzionato, esse potrebbero possedere, tutt’al più, carattere accessorio.

163. Infine, per quanto concerne il regime applicabile a tutto il personale dell’Unione, mi sembra evidente che, di norma, il mero fatto che un accordo internazionale possa riguardare anche il personale dell’Unione non è sufficiente a giustificare la menzione dell’articolo 336 TFUE come base giuridica: è necessario che l’applicazione di tale accordo al personale in questione costituisca la finalità o la componente principale della decisione relativa alla conclusione di detto accordo.

164. In tal caso, tuttavia, poiché l’Unione non intende esercitare la propria competenza in materia di lotta contro la discriminazione di genere, rilevo che le altre basi giuridiche indicate copriranno detto accordo soltanto in misura molto parziale. Una parte importante delle finalità e delle componenti della Convenzione di Istanbul, in particolare quelle volte a rendere penalmente rilevanti determinate condotte, rientreranno nella competenza esclusiva degli Stati membri. Gli obblighi che l’Unione dovrà assumere, qualora confermi la sua intenzione di procedere a un’adesione limitata, saranno infatti assai ridotti. In tali circostanze, mi sembra che le finalità e le componenti di tale Convenzione idonee a rientrare nell’articolo 336 TFUE saranno, dal punto di vista dell’Unione, comparativamente altrettanto importanti quanto le finalità e le componenti coperte dagli articoli 78, paragrafo 2, 82, paragrafo 2, e 84 TFUE. Infatti, per quanto concerne il personale dell’Unione, l’adesione dell’Unione alla Convenzione di Istanbul produrrà pieni effetti. Di conseguenza, gli obblighi che la ratifica di tale Convenzione comporterà per l’Unione relativamente al suo personale, saranno più ampi, ratione materiae, rispetto a quelli che sorgeranno, per quanto concerne i cittadini dell’Unione, dall’esercizio delle sue altre competenze. In tali circostanze, mi sembra che l’adesione limitata dia origine a una situazione speciale in cui la componente relativa alla funzione pubblica non può essere considerata accessoria rispetto alle altre competenze.

165. È vero che, secondo la giurisprudenza della Corte, l’adozione di un atto deve, in linea di principio, fondarsi su una sola base giuridica. Tuttavia, come spiegato supra, qualora l’Unione intenda optare per un’adesione limitata, rinunciando alla sua competenza nel settore della lotta contro la discriminazione di genere, un cumulo di basi giuridiche appare inevitabile, a causa della frammentazione delle altre competenze (160). Inoltre, tali basi giuridiche prevedono tutte la stessa procedura per l’esercizio delle competenze interne, ossia la procedura legislativa ordinaria, che, per quanto riguarda l’esercizio delle competenze esterne, conduce, conformemente all’articolo 218 TFUE, all’applicazione delle stesse regole di voto. Tali basi giuridiche e l’esercizio della competenza esterna dell’Unione sono quindi pienamente compatibili.

166. Alla luce di quanto precede, propongo quindi alla Corte di rispondere alla prima questione dichiarando che, tenuto conto della portata della conclusione prevista dal Consiglio, la decisione che autorizza l’Unione a procedere a tale conclusione deve fondarsi sugli articoli 78, paragrafo 2, 82, paragrafo 2, 84 e 336 TFUE.

V.      Sulla prima questione, lettera b): se l’autorizzazione alla conclusione della Convenzione di Istanbul possa essere concessa mediante due decisioni distinte

167. La lettera b) della prima questione proposta dal Parlamento è diretta, in sostanza, a determinare se l’autorizzazione alla conclusione della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione sarebbe invalida, qualora, per effetto, fra l’altro, della scelta delle basi giuridiche, tale autorizzazione fosse concessa mediante due decisioni distinte.

168. Il Parlamento ha osservato che la motivazione fornita per l’adozione, nella fase della firma, di due decisioni distinte consisteva nel fatto che gli articoli 60 e 61 della Convenzione di Istanbul rientravano nell’ambito della politica comune in materia di asilo, protezione sussidiaria e protezione temporanea, di cui all’articolo 78 TFUE. Ciò avrebbe creato particolari difficoltà per quanto concerne l’applicazione del protocollo n. 21, nei limiti in cui esso prevede che l’Irlanda non sia vincolata dalle misure adottate in tale settore né sia soggetta alla loro applicazione, e quindi, non partecipi alla loro adozione, salvo nel caso in cui acconsenta di parteciparvi. Il Parlamento ritiene, tuttavia, che le preoccupazioni espresse riguardo al protocollo n. 21 siano infondate, poiché, qualora l’Unione concludesse la Convenzione di Istanbul, l’Irlanda sarebbe vincolata da tale conclusione per quanto concerne tutte le competenze esercitate dall’Unione per effetto di tale Convenzione. Per quanto mi riguarda, tuttavia, non posso concordare, poiché tale argomento equivale a sostenere che, in tal caso, il potenziale impatto del protocollo n. 21 verrebbe meno, dal momento che tali disposizioni della Convenzione concernono, in larga misura, norme comuni alle quali l’Irlanda ha acconsentito.

169. Anzitutto, rilevo che la questione proposta dal Parlamento verte sulla futura validità formale della decisione relativa alla conclusione della Convenzione di Istanbul.

170. A tal riguardo, occorre ricordare che dall’articolo 263 TFUE risulta che la validità formale di un atto può essere messa in discussione soltanto in caso di violazione di forme sostanziali. Di conseguenza, ci si può chiedere che cosa si intenda, a tal fine, per forme sostanziali.

171. Come ho già chiarito in precedenza, le forme sostanziali comprendono requisiti procedurali e formali idonei a influire sul contenuto dell’atto in questione (161) o, per quanto concerne l’obbligo di motivazione, a creare confusione quanto alla natura o alla portata dell’atto impugnato (162). Pertanto, affinché l’adozione di due decisioni separate – anziché di una soltanto – sia contraria al diritto dell’Unione, occorre esaminare anzitutto se l’operazione che si potrebbe definire come «operazione di scissione» violi una norma o un principio e, in secondo luogo, se tale norma o principio possano essere considerati «essenziali», in tal senso.

172. Per quanto riguarda l’esistenza di tale norma o principio, si può osservare che nessuna delle disposizioni previste nei Trattati o nel regolamento interno del Consiglio prevede un requisito che vieti di scindere la decisione di autorizzare la conclusione di un accordo internazionale in due decisioni distinte.

173. È vero che l’articolo 218, paragrafo 6, TFUE fa riferimento, per quanto riguarda la procedura di conclusione di un accordo, all’adozione, da parte del Consiglio, di una decisione che autorizza tale conclusione. Tuttavia, è chiaro che l’impiego dell’articolo indeterminativo «una» è riferito alla nozione generale di «decisione», che designa la forma di regola assunta da un atto del Consiglio o della Commissione che non è un testo di portata generale. Di conseguenza, esso non rinvia alla nozione, utilizzata negli ordinamenti di civil law, di instrumentum (forma), in contrapposizione a negotium (sostanza). Leggendo la disposizione nel suo contesto corretto, si può pertanto dubitare che, con il mero uso dell’articolo indeterminativo, i redattori abbiano inteso escludere la possibilità che siffatta decisione possa assumere la forma di due atti distinti.

174. Può essere anche difficile comprendere in che modo il fatto di scindere la decisione di autorizzare la conclusione di un accordo internazionale in due atti distinti possa violare l’articolo 17, paragrafo 2, TUE o l’articolo 293 TFUE. Sebbene entrambe le disposizioni riguardino unicamente la procedura legislativa (163), dalla collocazione dell’articolo 218 all’interno del TFUE – tale disposizione compare nel titolo V della parte quinta (dedicata all’azione esterna dell’Unione) e non, come le procedure legislative, nel Titolo I della Parte sesta, capo 2, sezione 2 – nonché dal contenuto di tale disposizione, risulta che la procedura di conclusione di accordi internazionali è specifica e speciale. Infatti, non solo le prerogative delle varie istituzioni in ciascuna di tali procedure sono differenti, ma è diversa anche la terminologia utilizzata nei Trattati. Così, l’articolo 218, paragrafo 3, TFUE prevede che la procedura, finalizzata alla firma di un accordo internazionale, inizi con «raccomandazioni», mentre l’articolo 294, paragrafo 2, TFUE indica che la procedura legislativa è avviata con una «proposta» (164).

175. Inoltre, anche se si dovesse ritenere che una di tali disposizioni imponga una forma, non mi sembra che essa possa essere considerata «sostanziale» ai sensi dell’articolo 263 TFUE.

176. In tale contesto, la sola regola o il solo principio idonei a costituire una forma sostanziale – e che, pertanto, impedirebbe al Consiglio di scindere una decisione che autorizzi la conclusione di un accordo internazionale in due atti distinti – è la regola concernente il rispetto delle prerogative delle altre istituzioni e degli Stati membri, nonché delle regole di voto applicabili (165), in quanto tali norme non possono essere derogate dalle istituzioni (166).

177. Così, ad esempio, nella sua sentenza Commissione/Consiglio (167), comunemente conosciuta come la «sentenza sull’atto ibrido», la Corte ha statuito che il Consiglio e i rappresentanti dei governi degli Stati membri non potevano fondere in un’unica decisione l’atto che autorizzava la firma di un accordo fra l’Unione e Stati terzi o organizzazioni internazionali e l’atto concernente la provvisoria applicazione di tale accordo da parte degli Stati membri. Come sottolineato dalla Corte, il motivo consiste nel fatto che gli Stati membri non sono competenti ad adottare la prima decisione e, di converso, il Consiglio non riveste alcun ruolo, come istituzione dell’Unione, nell’adozione di un atto concernente l’applicazione provvisoria di un accordo misto da parte degli Stati membri. Tale ultimo atto costituisce una materia di competenza del diritto interno di ciascuno di tali Stati (168). Inoltre, la Corte ha osservato che detta prassi potrebbe produrre conseguenze sulle regole applicabili in materia di voto, poiché il primo atto dovrebbe essere adottato dal Consiglio, ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 8, TFUE, a maggioranza qualificata, mentre l’applicazione provvisoria di un accordo misto da parte degli Stati membri implica, in quanto materia di competenza del diritto interno di ciascuno di tali Stati, il consenso dei rappresentanti di tali Stati e, quindi, il loro accordo unanime (169).

178. Nel caso di specie, tuttavia, la conclusione della Convenzione di Istanbul mediante due decisioni anziché una non sembra essere di natura tale da suscitare preoccupazioni analoghe a quelle individuate dalla Corte nella sentenza sull’«atto ibrido».

179. In primo luogo, è pacifico che, indipendentemente dal numero di decisioni che saranno adottate, la loro adozione rientrerà, in ogni caso, nelle competenze dell’Unione.

180. In secondo luogo, per quanto concerne le regole di voto, occorre rilevare che la scissione di una decisione in due atti distinti potrebbe viziare la conclusione di un accordo internazionale se il primo atto da adottare fosse adottato secondo una determinata regola di voto e il secondo in forza di un’altra regola di voto, in circostanze in cui, se fosse stato adottato un solo atto, sarebbe stata applicata una sola regola (170). Tuttavia, nella fattispecie, per tutte le ragioni che ho precedentemente esposto nell’ambito dell’esame della ricevibilità, tutte le basi giuridiche considerate conducono all’applicazione della medesima procedura.

181. Certamente, dalla risposta alla prima questione, lettera a), discende che la firma dell’Unione – e, laddove ciò avvenga, la conclusione definitiva – della Convenzione di Istanbul implicava e implica che l’Unione eserciterà talune competenze rientranti nella parte terza, titolo V, TFUE. Ne consegue, pertanto, che l’adozione della decisione di autorizzare la conclusione di detta Convenzione da parte dell’Unione, come prevista dal Parlamento, deve essere considerata rientrante nelle competenze dell’Unione di cui ai protocolli n. 21 e n. 22. Tuttavia, contrariamente a quanto sostiene il Parlamento, la scissione della conclusione di tale Convenzione in due atti distinti avrà come effetto di rispettare – anziché violare – le regole di voto applicabili e la particolare posizione dell’Irlanda quale sancita dal protocollo n. 21 (171).

182. A tal riguardo, è evidente che si impone l’adozione di due decisioni qualora un atto persegua più finalità o abbia più componenti, nessuna delle quali sia accessoria rispetto a un’altra, e tali diverse basi siano tra loro inconciliabili, in quanto conducono all’applicazione di regole di voto diverse (172). A mio avviso, è vero altresì che l’adozione di più atti distinti sarà necessaria quando un atto comprende componenti che possono rientrare, almeno parzialmente, nell’ambito di applicazione dei protocolli n. 21 e n. 22, mentre altre non vi rientrano. Infatti, per effetto del protocollo n. 21, l’Irlanda non partecipa all’adozione, da parte del Consiglio, delle misure proposte ai sensi della parte terza, titolo V, TFUE, salvo che tale Stato membro manifesti la sua intenzione di parteciparvi (173). Conformemente al protocollo n. 22, il Regno di Danimarca non partecipa all’adozione, da parte del Consiglio, delle misure proposte ai sensi della parte terza, titolo V, TFUE e non è vincolato da queste ultime, salvo che, a seguito della loro adozione, decida di attuarle (174).

183. Poiché il Regno di Danimarca non partecipa all’adozione, da parte del Consiglio, di misure rientranti nella parte terza, titolo V, TFUE e l’Irlanda partecipa soltanto qualora manifesti la sua intenzione in tal senso, ogniqualvolta un atto dell’Unione debba essere adottato ai sensi di molteplici basi giuridiche, alcune delle quali rientrano nella parte terza, titolo V, TFUE e altre in disposizioni diverse di tale Trattato, potrebbe risultare necessario scindere tale atto in decisioni distinte.

184. Certamente, nel caso di specie, le competenze da esercitare o delle quali si prevede l’esercizio da parte dell’Unione rientrano tutte nella parte terza, titolo V, TFUE. Di conseguenza, il Regno di Danimarca non sarà vincolato da nessuna di tali decisioni e non parteciperà al voto ai fini dell’adozione di nessuna di tali decisioni. Pertanto, il protocollo n. 22 non è idoneo a modificare le regole di voto applicabili.

185. Per quanto riguarda la situazione dell’Irlanda, il Parlamento ritiene che, poiché l’accordo rientrerebbe in larga misura nell’ambito di norme comuni che l’Irlanda avrebbe accettato, tale Stato membro sarebbe necessariamente vincolato dal futuro accordo e, di conseguenza, tenuto a partecipare al voto.

186. Come ho già indicato, tuttavia, non posso essere d’accordo. Non solo dalla risposta alla prima questione risulta che il diritto derivato dell’Unione non copre interamente i settori corrispondenti alle competenze che l’Unione sarà tenuta a esercitare per concludere la Convenzione di cui trattasi e alle competenze menzionate dal Parlamento nella sua domanda, ma inoltre, a mio avviso, il fatto che l’Irlanda abbia già accettato di partecipare all’adozione di talune norme del diritto dell’Unione non la obbliga a farlo relativamente alla conclusione di un accordo internazionale che avrebbe il medesimo oggetto. Ciò discende, a mio avviso, dall’articolo 4bis del protocollo n. 21, il quale prevede che le disposizioni di detto protocollo «si applicano (…) anche alle misure proposte o adottate a norma della parte terza, titolo V del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea per modificare una misura in vigore vincolante per tali paesi» (175). Pertanto, nei limiti in cui la conclusione della Convenzione di Istanbul potrebbe incidere su talune misure esistenti nel settore dell’asilo, come osservato nell’ambito dell’esame della prima questione, lettera a), sembra evidente che, in forza del protocollo n. 21, l’Irlanda poteva decidere di non essere vincolata dalla decisione di autorizzare l’adozione della Convenzione di Istanbul e, quindi, poteva astenersi dal partecipare al voto concernente tale questione.

187. È vero che, nel parere 1/15, la Corte ha statuito che l’applicazione dei protocolli n. 21 e n. 22 non era atta incidere sulle regole di voto in seno al Consiglio (176). Tuttavia, la motivazione contenuta in tale parere deve essere interpretata con riferimento alle circostanze della fattispecie. Infatti, in tale caso, l’Irlanda e il Regno Unito avevano notificato la loro intenzione di partecipare all’adozione della relativa decisione, sicché, conformemente all’articolo 3 del protocollo n. 21, non era necessario applicare le regole in materia di voto stabilite dall’articolo 1 di detto protocollo. Per quanto concerne il protocollo n. 22, la Corte ha statuito, in sostanza che, alla luce del contenuto dell’accordo previsto, il Regno di Danimarca non sarebbe stato vincolato dalle disposizioni di tale accordo e che, di conseguenza, indipendentemente dalla base giuridica utilizzata, il Regno di Danimarca non avrebbe partecipato all’adozione di tale decisione (177).

188. Si può qui rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione in udienza, il fatto che l’Unione disponga di una competenza esclusiva in tale situazione in forza dell’articolo 3, paragrafo 2, TFUE non può avere l’effetto di escludere l’applicazione del protocollo n. 21. Infatti, se così fosse, l’articolo 4bis del protocollo n. 21 sarebbe privato di qualsiasi significato concreto, poiché, a mio avviso, tale disposizione ha proprio lo scopo di precisare che il protocollo si applica anche quando l’Unione dispone di una competenza esclusiva poiché l’atto previsto può modificare atti legislativi in vigore.

189. Anche per quanto concerne le disposizioni della Convenzione di Istanbul che non modificano atti in vigore, ritengo che sia comunque necessario il consenso dell’Irlanda. Sebbene l’articolo 4bis del protocollo n. 21 faccia riferimento a misure aventi l’effetto di modificare una misura vigore, resta il fatto che – come posto in luce dall’impiego del termine «anche» – anche quando un atto non modificherà un atto in vigore, l’articolo 1 del protocollo si applica comunque non appena la misura prevista contenga disposizioni rientranti nella parte terza, titolo V, TFUE.

190. È certamente vero che, nei limiti in cui l’Irlanda ha accettato di essere vincolata da taluni atti legislativi dell’Unione, essa non può concludere una Convenzione o un altro accordo internazionale che pregiudicherebbero l’efficacia di tale stessa normativa. Non è vero, tuttavia, l’inverso. Il fatto che essa abbia acconsentito a essere vincolata da tali strumenti legislativi dell’Unione non significa che sia tenuta a partecipare all’adozione di un atto recante conclusione di una Convenzione relativa al settore disciplinato dalla parte terza, titolo V, TFUE. Una conclusione del genere sarebbe contraria al chiaro tenore letterale del protocollo n. 21.

191. Mentre è chiaro che, qualora la Convenzione di Istanbul entri in vigore per l’Unione, essa inciderà sulla normativa dell’Unione in materia di asilo, dal punto di vista dell’Unione, per effetto del protocollo n. 21, l’Irlanda non sarà vincolata da tale Convenzione relativamente a tutte le competenze da essa esercitate al momento della conclusione di tale Convenzione, salvo che manifesti parimenti la sua intenzione di essere così vincolata. Di conseguenza, qualora l’Irlanda accetti di essere vincolata dalla decisione dell’Unione di autorizzare la conclusione della Convenzione di Istanbul soltanto con riferimento a talune disposizioni di tale Convenzione, si impone, di conseguenza, l’adozione di due decisioni distinte.

192. Peraltro, la circostanza che l’Irlanda abbia già concluso la Convenzione di Istanbul non mi sembra tale da rimettere in discussione l’analisi che precede (178). Ciò poiché le conseguenze derivanti da tale conclusione non sono le stesse che si produrrebbero se l’Irlanda accettasse di essere vincolata dalla decisione dell’Unione di concludere tale Convenzione. In particolare, qualora l’Irlanda accettasse di essere vincolata dall’adesione dell’Unione a tale Convenzione, ciò avrebbe come conseguenza, da un lato, che, anche se tale Stato membro dovesse denunciare tale Convenzione conformemente all’articolo 80 di quest’ultima, esso vi rimarrebbe vincolato per quanto concerne le materie rientranti nella competenza dell’Unione. Dall’altro lato, tale Stato membro potrebbe non voler essere vincolato dalla decisione adottata dall’Unione, in quanto, a seconda della portata dell’adesione, detta decisione potrebbe prevalere sulle riserve espresse da tale Stato membro.

193. In tali circostanze, a seconda delle intenzioni dell’Irlanda, non soltanto l’adozione di due decisioni sarebbe valida, ma tale approccio sarebbe altresì adeguato e potrebbe essere persino giuridicamente necessario.

194. In tali circostanze, suggerisco alla Corte di rispondere al Parlamento che la conclusione della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione europea mediante due atti distinti non è idonea a rendere invalidi tali atti.

VI.    Sulla seconda questione

195. Con la sua seconda questione, il Parlamento chiede se la decisione dell’Unione di concludere la Convenzione di Istanbul sarebbe valida nel caso in cui fosse adottata in mancanza di un comune accordo di tutti gli Stati membri sul loro consenso ad essere vincolati da detta Convenzione.

196. A tal riguardo, il Parlamento riconosce l’importanza di garantire una stretta cooperazione tra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione nel processo di negoziazione, conclusione e attuazione di un accordo internazionale. Esso ritiene, tuttavia, che il fatto che il Consiglio attenda che tutti gli Stati membri concludano tale accordo prima che l’Unione proceda alla sua conclusione (prassi che il Parlamento definisce come prassi del «comune accordo») si collochi al di là di tale cooperazione. Il Parlamento sostiene che ciò equivarrebbe, in pratica, a esigere l’unanimità in seno al Consiglio per adottare un accordo internazionale, nonostante l’esistenza della regola della maggioranza qualificata. Inoltre, siffatta prassi equivarrebbe a trasformare la decisione di autorizzare la conclusione di un accordo internazionale da parte dell’Unione in un atto ibrido.

197. All’udienza, il Consiglio ha ammesso che, nel caso di un accordo misto, la sua prassi generale è molto spesso di attendere che gli Stati membri abbiano concluso tale accordo (o, quantomeno, fino a che essi confermino la loro intenzione di concluderlo) prima di sottoporre a votazione la decisione che autorizza l’Unione a concludere detto accordo. Il Consiglio sostiene, tuttavia, di non considerarsi vincolato da tale prassi, ma che tale posizione di attesa è pienamente giustificata nel caso della conclusione della Convenzione di Istanbul.

198. In tale contesto, occorre anzitutto ricordare che quando l’Unione decide di esercitare le sue competenze, siffatto esercizio deve avvenire nel rispetto del diritto internazionale (179).

199. Ai sensi del diritto internazionale, la firma di un accordo internazionale da parte di un ente non dimostra, in linea di principio, il suo consenso ad essere vincolato e, di conseguenza, non lo impegna, in linea di principio, a concludere detto accordo, e neppure necessariamente ad invocare le proprie procedure costituzionali (ad esempio ricercando la necessaria approvazione legislativa o parlamentare) per autorizzare siffatta conclusione. L’unico obbligo che incombe su dette parti è quello previsto dall’articolo 18 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, del 23 maggio 1969, (180) ossia agire in buona fede e astenersi da atti che priverebbero l’accordo del suo oggetto e del suo scopo.

200. Dal punto di vista del diritto dell’Unione, salvo disposizione contraria, le istituzioni non sono tenute ad adottare un atto di portata generale. Esse non sono neppure tenute a farlo entro un determinato periodo di tempo. Nel caso della conclusione di un accordo internazionale, poiché i Trattati non prevedono alcun termine per l’adozione, da parte del Consiglio, di una decisione al riguardo e poiché detta istituzione dispone, secondo me, di un ampio margine discrezionale nell’adozione di tale decisione (181) – anche qualora l’Unione abbia già firmato tale accordo – ritengo che il Consiglio possa rinviare la sua decisione per tutto il tempo che ritiene necessario ai fini dell’adozione di una decisione informata.

201. Contrariamente a quanto sostenuto dal Parlamento, il fatto di attendere che tutti gli Stati membri abbiano concluso l’accordo misto in questione non equivale a modificare le norme che disciplinano la decisione che autorizza l’Unione a concludere tale accordo, né trasforma la decisione che sarà adottata in un atto ibrido. Infatti, siffatta condotta non implica che, qualora uno Stato membro decida, infine, di non concludere detto accordo, l’Unione non lo concluda. Pertanto, una prassi del genere non equivale affatto a fondere la procedura nazionale di conclusione di un accordo internazionale con la procedura prevista all’articolo 218 TFUE.

202. Per la verità, anche se non spetta alla Corte pronunciarsi sulla rilevanza di siffatta condotta, detta prassi appare pienamente legittima. Come ho già spiegato, quando l’Unione e gli Stati membri concludono un accordo misto, essi sono, dal punto di vista del diritto internazionale, congiuntamente responsabili di qualsiasi mancata esecuzione ingiustificata dell’accordo (182). Per quanto riguarda la Convenzione di Istanbul, di fatto, diversi Stati membri hanno indicato di aver incontrato serie difficoltà quanto alla conclusione a livello nazionale.

203. È vero che, quando l’Unione intende concludere un accordo misto, gli Stati membri hanno obblighi sia per quanto riguarda il processo di negoziazione e di conclusione sia per quanto concerne l’adempimento degli impegni assunti che discendono dalla necessità di un’unità di rappresentanza internazionale dell’Unione (183). Tuttavia, siffatti obblighi non implicano che gli Stati membri siano nondimeno tenuti a concludere l’accordo. Infatti, un approccio del genere violerebbe il principio di ripartizione delle competenze enunciato all’articolo 4, paragrafo 1, TUE.

204. In un caso del genere, esso può stabilire autonomamente, tutt’al più, un obbligo di astensione (184). In ogni caso, poiché il dovere di leale cooperazione opera anche a beneficio degli Stati membri, in quanto impone all’Unione di rispettare le loro competenze (185), l’Unione non può fondarsi su tale disposizione per obbligarli a concludere un accordo internazionale.

205. In tale contesto, la conclusione, da parte dell’Unione, di un accordo misto può avere, quindi, l’effetto di renderla responsabile, ai sensi del diritto internazionale, della condotta di taluni Stati membri, anche laddove questi ultimi agiscano, in tali circostanze, nell’ambito delle loro competenze esclusive. Ciò costituisce, tuttavia, la conseguenza inevitabile del principio della ripartizione delle competenze alla luce del diritto costituzionale interno dell’Unione.

206. Per quanto riguarda la presente fattispecie, è pacifico che, per concludere la Convenzione di Istanbul, l’Unione non eserciterà talune competenze concorrenti e, in particolare, quella relativa alla lotta contro la discriminazione di genere. Di conseguenza, un numero significativo di obblighi derivanti da tale Convenzione ricadrà nella competenza degli Stati membri. Orbene, diversi Stati membri hanno indicato di aver incontrato serie difficoltà riguardo alla conclusione a livello nazionale. Tutto ciò significa che il Consiglio è legittimato ad adottare un approccio cauto e prudente per quanto concerne la conclusione di tale accordo.

207. A tale riguardo, è stato talora sostenuto che non sarebbe giuridicamente accettabile che il Consiglio attenda il «comune accordo» degli Stati membri per concludere un accordo misto, poiché l’Unione potrebbe risolvere qualsiasi difficoltà incontrata semplicemente esprimendo una riserva concernente la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri. Nel caso specifico della Convenzione di Istanbul, tuttavia, l’articolo 78, paragrafo 1, della stessa prevede che non è ammessa alcuna riserva, salvo nei casi previsti all’articolo 78, paragrafi 2 e 3. Nessuna delle due suddette disposizioni prevede la possibilità, per l’Unione, di effettuare una dichiarazione sulla competenza mediante una riserva.

208. Diverse parti del procedimento hanno tuttavia sostenuto che, nonostante le disposizioni della Convenzione, l’Unione potrebbe effettuare una dichiarazione sulla competenza, in quanto esse argomentano che ciò non costituirebbe, in effetti, una riserva ai sensi del diritto internazionale. Ad avviso di tali parti, detta dichiarazione sulla competenza non costituirebbe una riserva, poiché perseguirebbe un obiettivo differente. Esse sostengono che una dichiarazione rispecchia meramente una situazione giuridica obiettiva, segnatamente che una parte di un accordo internazionale non dispone della piena capacità di concluderlo, mentre, di converso, una riserva indica una scelta soggettiva di tale parte di non aderire integralmente a tale accordo. Pertanto, una dichiarazione potrebbe essere effettuata anche qualora l’accordo in questione non ammetta riserve.

209. Per quanto mi riguarda non posso, tuttavia, concordare. Dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera d) della Convenzione di Vienna (186) risulta che una riserva consiste in una dichiarazione unilaterale, qualunque sia il suo tenore o la sua denominazione, fatta da uno Stato quando sottoscrive, ratifica, accetta o approva un trattato o vi aderisce, attraverso la quale esso mira ad escludere o modificare l’effetto giuridico di alcune disposizioni del trattato nella loro applicazione allo Stato medesimo (187).

210. Appare quindi che, secondo il diritto internazionale, l’obiettivo perseguito da una dichiarazione è irrilevante per determinare se essa debba essere trattata o meno come una riserva. L’unica questione che si pone è se la dichiarazione di cui trattasi abbia la funzione di escludere o modificare l’effetto giuridico di talune disposizioni del trattato (188).

211. In tale contesto, si può ricordare che uno dei principi chiave che disciplinano i trattati internazionali, come enunciato all’articolo 27 della Convenzione di Vienna – nonché all’articolo 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati tra Stati e organizzazioni internazionali o tra organizzazioni internazionali, del 21 marzo 1986 (189) – prevede che una parte non possa invocare le disposizioni del suo diritto interno per giustificare la mancata esecuzione di un trattato. Proprio questo, tuttavia, sarebbe l’obiettivo perseguito da una dichiarazione di competenze nel caso in cui tale dichiarazione fosse utilizzata per limitare il rischio che sorga la responsabilità dell’Unione a causa della mancata esecuzione di un accordo misto da parte di uno Stato membro (190). Essa dovrebbe quindi essere considerata una «riserva» così come intesa all’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), della Convenzione di Vienna.

212. Ne consegue, ai sensi del diritto internazionale, che una dichiarazione concernente la ripartizione delle competenze tra un’organizzazione internazionale e i suoi membri deve essere considerata come una riserva (191) e, conseguentemente, può essere formulata solo se è consentita da una disposizione dell’accordo in questione, come avveniva, ad esempio, nel caso dell’articolo 2 dell’Allegato IX della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, oggetto della causa MOX Plant (192).

213. In pratica, numerose convenzioni delle quali l’Unione è parte prevedono la possibilità di esprimere riserve, o esigono addirittura che le organizzazioni internazionali che concludono tali convenzioni effettuino una dichiarazione sulla competenza (193). L’esempio più noto di una Convenzione che prevede un siffatto obbligo è l’articolo 2 dell’allegato IX della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (194).

214. Tuttavia, poiché la Convenzione di Istanbul non consente alle parti di formulare riserve concernenti le norme in materia di competenza, qualsiasi dichiarazione effettuata al riguardo dall’Unione potrebbe essere considerata priva di effetti giuridici ai fini del diritto internazionale. In effetti, nel corso dell’udienza del 6 ottobre 2020, la Commissione ha inizialmente ipotizzato la possibilità di ricorrere a una dichiarazione sulla competenza. Tuttavia, allorché sottoposta a domande pressanti, essa ha infine ammesso che, dal punto di vista del diritto internazionale, una dichiarazione del genere sarebbe priva di qualsiasi valore giuridico e avrebbe mero valore informativo (195).

215. A mio avviso, tale approccio non può che essere considerato (con tutto il rispetto) insoddisfacente. Qualsiasi dichiarazione del genere sarebbe non solo irrilevante dal punto di vista del diritto internazionale, ma, esaminata da tale prospettiva, potrebbe essere considerata idonea a indurre in errore. Pertanto, a mio avviso, l’Unione dovrebbe astenersi dall’effettuare una dichiarazione sulla competenza qualora la Convenzione in questione non ammetta l’apposizione di riserve (196).

216. Nello stesso ordine di idee, si potrebbe osservare che sarebbe inutile attendere dato che l’articolo 77 della Convenzione di Istanbul prevede che ogni Stato o l’Unione europea possa, al momento della firma o del deposito del proprio strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione, indicare il territorio o i territori cui si applicherà tale Convenzione. Tuttavia, a mio avviso, vi sono sostanzialmente due ragioni per le quali non sarebbe di fatto possibile, per l’Unione, fondarsi su tale disposizione per limitare la responsabilità dell’Unione. In primo luogo, qualsiasi tentativo di limitare l’ambito di applicazione territoriale dell’accordo a specifici Stati membri sarebbe contrario all’unità essenziale del diritto dell’Unione all’interno dell’Unione e al principio della parità di trattamento. Di regola, una deroga a tale unità e coesione fondamentali del diritto dell’Unione è espressamente prevista a livello dei Trattati, come attestano ampiamente a modo loro i protocolli n. 20, n. 21 e n. 32. In secondo luogo, l’articolo 77 della Convenzione di Istanbul potrebbe essere attuato, in pratica, soltanto a partire dal momento in cui è nota la posizione di tutti gli Stati membri. Di conseguenza, anche ammettendo che il ricorso a tale disposizione fosse effettivamente possibile, vi sono forti motivi pratici e giuridici a sostegno della prassi del «comune accordo».

217. Infine, il fatto che la Convenzione in questione sia stata adottata sotto l’egida del Consiglio d’Europa – che sarebbe perfettamente al corrente del carattere complesso delle regole che disciplinano la ripartizione delle competenze tra gli Stati membri e l’Unione – non giustificherebbe l’inosservanza delle norme del diritto internazionale da parte dell’Unione nel caso in cui essa dovesse concludere la Convenzione. Da un lato, le norme di diritto internazionale si applicano a qualsiasi trattato internazionale, senza eccezioni. Dall’altro lato, dalla formulazione della Convenzione di Istanbul risulta che i suoi redattori erano ben coscienti della particolare situazione dell’Unione quando l’hanno redatta, eppure essi – deliberatamente, si può ipotizzare – hanno escluso la possibilità di formulare riserve in materia di competenza (197).

218. In tale contesto, non solo non sussiste per l’Unione un obbligo immediato di concludere la Convenzione entro un dato termine, ma, come ho appena spiegato, vi sono valide ragioni pratiche per attendere che tutti gli Stati membri l’abbiano conclusa. Infatti, se uno o più Stati membri rifiutassero di concludere la Convenzione di Istanbul, il Consiglio potrebbe decidere che l’Unione debba esercitare un numero maggiore di competenze concorrenti rispetto a quelle inizialmente previste, al fine di ridurre la portata dell’adesione rientrante nella competenza degli Stati membri (198).

219. Nel caso della Convenzione di Istanbul, siffatto approccio risulta ancora più pertinente se si considera che, dalla presenza di difficoltà in taluni Stati membri, per quanto concerne la conclusione della Convenzione, il Consiglio e il Parlamento potrebbero eventualmente dedurre l’esistenza di una necessità particolare di lottare contro determinati comportamenti ai sensi dell’articolo 83, paragrafo 1, TFUE, il che li autorizzerebbe, in forza del terzo comma dello stesso, ad estendere i settori interessati da competenze concorrenti in materia di diritto penale.

220. Tuttavia, sebbene il Parlamento abbia criticato il ritardo nella conclusione della Convenzione di Istanbul nella sua domanda ai sensi dell’articolo 218 TFUE, esso ha formulato la sua questione chiedendo se la decisione di concludere la Convenzione di Istanbul sarebbe valida se fosse adottata senza attendere il comune accordo degli Stati membri a essere vincolati da tale Convenzione.

221. A questo proposito, la Corte ha già sottolineato che le eventuali difficoltà che potrebbero sorgere nella gestione degli accordi di cui trattasi non costituiscono un criterio per la valutazione della validità della decisione di autorizzare la conclusione di un accordo (199).

222. Di conseguenza, non ritengo che il Consiglio sia tenuto ad aver ottenuto la conferma, da parte degli Stati membri, di ciò che essi intendano concludere prima di autorizzare l’Unione a concludere detto accordo (200). In primo luogo, i Trattati non menzionano un siffatto obbligo. In secondo luogo, mentre l’Unione e gli Stati membri devono assicurare un’unità nella loro rappresentanza internazionale, come già indicato, l’Unione deve altresì garantire che le competenze degli Stati membri siano rispettate. Inoltre, il fatto che uno Stato membro non abbia concluso un trattato non gli impedisce di rispettare il principio di diritto dell’Unione dell’unità nella rappresentanza internazionale, in quanto esso si limita ad imporre a tale Stato di astenersi da condotte manifestamente contrarie alle posizioni adottate dall’Unione.

223. Tutto ciò mi porta a concludere che il Consiglio non sia tenuto ad attendere il comune accordo degli Stati membri e che esso non sia neppure tenuto a concludere un accordo internazionale, quale la Convenzione di Istanbul, immediatamente dopo averlo firmato. Spetta, piuttosto, al Consiglio valutare quale sia la soluzione migliore, alla luce di fattori quali l’entità del rischio di mancata esecuzione ingiustificata dell’accordo misto di cui trattasi da parte di uno Stato membro o la possibilità di ottenere la maggioranza necessaria in seno a tale istituzione per esercitare da solo tutte le competenze concorrenti interessate da detto accordo.

224. Infine, sebbene non sia necessario farlo, mi propongo di esaminare la situazione menzionata nel corso dell’udienza, ossia cosa succederebbe se uno Stato membro denunciasse tale Convenzione, una volta che essa sia stata conclusa dagli Stati membri e dall’Unione.

225. In tali circostanze, sebbene il dovere di leale cooperazione imponga, indubbiamente, allo Stato membro interessato un obbligo di informare previamente l’Unione, esso non può spingersi fino a impedire a uno Stato membro di recedere da un accordo internazionale. Infatti, la conseguenza logica e imprescindibile del principio di attribuzione delle competenze è che uno Stato membro possa recedere da un accordo misto fintantoché una parte dell’accordo rientri ancora in una competenza degli Stati, per il fatto che l’Unione non ha ancora esercitato con effetto preclusivo tutte le competenze concorrenti, o per il fatto che talune parti dell’accordo rientrano nella competenza esclusiva degli Stati membri. Tale eventualità non obbligherebbe, tuttavia, l’Unione a recedere anch’essa dall’accordo. Anche in questo caso, a mio avviso, spetterebbe al Consiglio, se del caso, valutare il bilanciamento fra l’importanza dell’accordo in questione e i rischi causati dalla sua conclusione imperfetta da parte dell’Unione e degli Stati membri.

226. Di conseguenza, propongo di rispondere alla seconda questione dichiarando, in primo luogo, che la decisione dell’Unione di concludere la Convenzione di Istanbul sarebbe compatibile con i Trattati qualora essa fosse adottata in mancanza di un comune accordo di tutti gli Stati membri sul loro consenso ad essere vincolati da tale Convenzione. Tuttavia, essa sarebbe compatibile con i Trattati anche se fosse adottata solo dopo che sia stato raggiunto tale comune accordo. Spetta esclusivamente al Consiglio decidere quale di queste due soluzioni sia preferibile.

VII. Conclusione

227. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo quindi alla Corte di rispondere alle questioni poste dal Parlamento nel modo seguente:

Se le intenzioni del Consiglio per quanto concerne la portata delle competenze concorrenti da esercitare all’atto della conclusione della Convenzione di Istanbul rimangono invariate, la decisione che autorizza l’Unione a concludere tale Convenzione dovrebbe fondarsi sulle basi giuridiche sostanziali fornite dagli articoli 78, paragrafo 2, 82, paragrafo 2, 84 e 336 TFUE.

La conclusione della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione mediante due atti distinti non è idonea a rendere invalidi tali atti.

La decisione dell’Unione relativa alla conclusione della Convenzione di Istanbul sarebbe compatibile con i Trattati qualora essa fosse adottata in mancanza di un comune accordo di tutti gli Stati membri sul loro consenso ad essere vincolati da tale Convenzione. Inoltre, essa sarebbe tuttavia compatibile con i Trattati anche se fosse adottata solo dopo che sia stato raggiunto tale comune accordo. Spetta esclusivamente al Consiglio decidere quale di queste due soluzioni sia preferibile.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Secondo il Consiglio dell’Unione europea, il motivo di ciò è che la Commissione non ha mai sottoposto al Consiglio dell’Unione europea una raccomandazione di decisione per avviare i negoziati e autorizzare la Commissione a condurli a nome dell’Unione.


3      Per una panoramica più dettagliata del contesto in cui tale convenzione è stata adottata, v. la Relazione esplicativa della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, Council of Europe Treaty Series - n. 210.


4      Ai sensi del diritto internazionale, la firma di un accordo internazionale equivale a una sorta di approvazione preliminare. Esso non comporta un obbligo vincolante, ma indica la volontà della parte interessata di concludere l’accordo. Benché la firma non costituisca una promessa di conclusione, essa obbliga la parte firmataria ad astenersi da atti contrari agli obiettivi o alle finalità dell’accordo.


5      Al momento della proposizione della domanda di parere, 21 Stati membri dell’Unione avevano concluso la Convenzione di Istanbul. Tuttavia, in almeno due Stati membri, Bulgaria e Slovacchia, il processo di conclusione è stato sospeso. In Bulgaria, la sospensione è stata determinata da una decisione del Konstitutsionen sad (Corte costituzionale) che ha constatato un’incompatibilità tra Convenzione di Istanbul e la Costituzione di tale Stato membro. In Slovacchia, la Národná rada Slovenskej republiky (Parlamento nazionale della Repubblica slovacca) ha votato, con un’ampia maggioranza, contro la conclusione della Convenzione.


6      La procedura era già inclusa nel Trattato originario che istituisce la Comunità economica europea (1957), il che è forse sorprendente, tenuto conto delle limitate competenze a concludere accordi internazionali espressamente conferite, all’epoca, alla Comunità economica europea. V. Cremona, M., «Opinions of the Court of Justice», in Ruiz Fabri, H. (a cura di), Max Planck Encyclopaedia of International Procedural Law (MPEiPro), OUP, Oxford, disponibile su Internet, paragrafo 2.


7      V., ad esempio, sentenza del 24 giugno 2014, Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025, punto 52).


8      Cremona, M., «Opinions of the Court of Justice», in Ruiz Fabri, H. (a cura di), Max Planck Encyclopaedia of International Procedural Law (MPEiPro), OUP, Oxford, disponibile su Internet, paragrafo 3.


9      Ibidem.


10      Parere 1/75 (Accordo OCSE riguardante una norma sulle spese locali) dell’11 novembre 1975 (EU:C:1975:145, pag. 1360). V. anche, in tal senso, parere 2/94 (Adesione della Comunità alla CEDU) del 28 marzo 1996 (EU:C:1996:140, paragrafi da 3 a 6), e parere 2/13 (Adesione dell’Unione europea alla CEDU) del 18 dicembre 2014 (EU:C:2014:2454, paragrafi 145 e 146).


11      V. parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada) del 26 luglio 2017 (EU:C:2017:592, paragrafo 69).


12      V., in tal senso, parere 2/91 (Convenzione dell’OIL n. 170) del 19 marzo 1993 (EU:C:1993:106, paragrafo 3).


13      Nel diritto internazionale, un accordo è concluso attraverso lo scambio, il deposito o la notificazione di strumenti che esprimono l’impegno definitivo delle parti contraenti. Per quanto concerne l’Unione, il Consiglio adotta, su proposta del negoziatore, una decisione relativa alla conclusione dell’accordo. V. articolo 218 TFUE e Neframi E., «Accords internationaux, Compétence et conclusion», Jurisclasseur Fascicule, 192-1, LexisNexis, 2019.


14      V., in tal senso, parere 1/13 (Adesione di Stati terzi alla convenzione dell’Aia) del 14 ottobre 2014 (EU:C:2014:2303, paragrafo 54).


15      Talora, la Corte prende in considerazione atti separati dall’accordo in questione, ma ad esso direttamente connessi. V., in tal senso, parere 1/92 (Secondo parere sull’accordo SEE) del 10 aprile 1992 (EU:C:1992:189, paragrafi da 23 a 25).


16      Di conseguenza, una domanda di parere può essere sottoposta alla Corte prima dell’inizio dei negoziati internazionali, qualora l’oggetto dell’accordo previsto sia noto. V. parere 1/09 (Accordo relativo alla creazione di un sistema unico di risoluzione delle controversie in materia di brevetti), dell’8 marzo 2011 (EU:C:2011:123, paragrafo 55).


17      V., per un esempio di tale filone giurisprudenziale nel contesto di un rinvio pregiudiziale, sentenza del 10 dicembre 2018, Wightman e a. (C‑621/18, EU:C:2018:999, punto 28).


18      La Corte è competente a pronunciarsi, nel contesto di un procedimento di parere, sulla competenza dell’Unione a concludere una convenzione, sulla procedura da seguire a tal fine e sulla compatibilità di tale convenzione con i Trattati. V., in tal senso, parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada) del 26 luglio 2017 (EU:C:2017:592, paragrafi da 70 a 72).


19      Parere 1/09 (Accordo relativo alla creazione di un sistema unico di risoluzione delle controversie in materia di brevetti), dell’8 marzo 2011 (EU:C:2011:123, paragrafi 47 e 48).


20      Di conseguenza, una questione concernente il termine per l’adozione della decisione relativa alla conclusione di un accordo internazionale non sarebbe ricevibile nel quadro del procedimento di cui all’articolo 218, paragrafo 11, TFUE, poiché il tempo impiegato per l’adozione di una decisione non costituisce, salvo disposizione contraria, un motivo di annullamento. V. in tal senso, ad esempio, ordinanza del 13 dicembre 2000, SGA/Commissione (C‑39/00 P, EU:C:2000:685, punto 44).


21      Pag. 1360. Il corsivo è mio.


22      Punti da 15 a 17.


23      V. parere 1/09 (Accordo relativo alla creazione di un sistema unico di risoluzione delle controversie in materia di brevetti) dell’8 marzo 2011 (EU:C:2011:123, paragrafo 49).


24      V. parere 2/94 (Adesione della Comunità alla CEDU) del 28 marzo 1996 (EU:C:1996:140, paragrafi da 20 a 22); parere 1/09 (Accordo relativo alla creazione di un sistema unico di risoluzione delle controversie in materia di brevetti) dell’8 marzo 2011 (EU:C:2011:123, punto 49); e parere 2/13 (Adesione dell’Unione europea alla CEDU) del 18 dicembre 2014 (EU:C:2014:2454, paragrafo 147). Poiché nella presente fattispecie il contenuto della Convenzione di Istanbul e le sue «caratteristiche essenziali» sono note, non vi è motivo per dichiarare irricevibili le questioni sollevate solo per la data in cui sono state proposte nel quadro del procedimento di cui all’articolo 218, paragrafo 11, TFUE. L’unico limite temporale consiste nel fatto che il procedimento di cui all’articolo 218, paragrafo 11, TFUE deve essere instaurato prima della data di conclusione, da parte dell’Unione, dell’accordo internazionale in questione.


25      Sentenza del 9 marzo 1994, TWD (C‑188/92, EU:C:1994:90, punti 16, 17 e 25).


26      Punto 14.


27      Parere 2/00 (Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza), del 6 dicembre 2001 (EU:C:2001:664, paragrafo 11).


28      Ciò presupporrebbe che la prassi in questione abbia costituito una delle ragioni per l’adozione della decisione impugnata o sia stata cristallizzata in norme interne, oppure che il Consiglio vi abbia fatto riferimento in una presa di posizione adottata nell’ambito di un procedimento per carenza.


29      La finalità del procedimento di parere consiste, infatti, nell’evitare le complicazioni che potrebbero derivare, a livello internazionale, dall’eventuale successivo annullamento della decisione relativa alla conclusione di un accordo internazionale. Di conseguenza, tale «procedimento consultivo» dovrebbe poter vertere su qualsiasi questione atta ad incidere sulla validità di tale decisione. A mio avviso, non spetta alla Corte pronunciarsi sulla plausibilità o meno del quadro ipotetico tracciato poiché, per definizione, le scelte procedurali del Consiglio saranno note soltanto una volta adottata la decisione relativa alla conclusione.


30      V. Adam, S., La procédure d’avis devant la Cour de justice de l’Union européenne, Bruylant, Brussels, 2011, pag. 166.


31      Parere 1/09 (Accordo relativo alla creazione di un sistema unico di risoluzione delle controversie in materia di brevetti) dell’8 marzo 2011 (EU:C:2011:123, paragrafo 53). Prima dell’avvio dei negoziati per la conclusione di un accordo internazionale, una domanda di parere può vertere soltanto sulla competenza dell’Unione a concludere un accordo nel settore in questione, purché l’oggetto preciso dell’accordo previsto sia già noto prima dell’inizio delle negoziazioni. V., in tal senso, parere 2/94 (Adesione della Comunità alla CEDU) del 28 marzo 1996 (EU:C:1996:140, punti da 16 a 18).


32      In generale, nei limiti in cui una domanda di parere è stata formulata in modo tale da soddisfare le condizioni di ricevibilità emergenti dal tenore letterale e dagli obiettivi perseguiti da tale procedimento, essa non può essere dichiarata irricevibile. V., in tal senso, parere 3/94 (Accordo quadro sulle banane) del 13 dicembre 1995 (EU:C:1995:436, paragrafo 22).


33      V., in tal senso, sentenza del 1° ottobre 2009, Commissione/Consiglio (C‑370/07, EU:C:2009:590, punto 48). Più in generale, conformemente alla giurisprudenza della Corte, la violazione di una norma procedurale può condurre all’annullamento dell’atto contestato soltanto nel caso in cui tale norma possa incidere sul contenuto dell’atto. V. sentenza del 29 ottobre 1980, van Landewyck e a./Commissione (da 209/78 a 215/78 e 218/78, EU:C:1980:248, punto 47). È, tuttavia, sufficiente che tale vizio possa aver inciso sulla decisione per l’annullamento di tale decisione. V., a contrario, sentenza del 21 marzo 1990, Belgio/Commissione (C‑142/87, EU:C:1990:125, punto 48).


34      V., in tal senso, parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada) del 26 luglio 2017 (EU:C:2017:592, paragrafi 70 e 71).


35      Punto 49. Come precisato dalla Corte nel parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada) del 26 luglio 2017 (EU:C:2017:592, paragrafo 71), l’importanza di natura costituzionale dell’indicazione delle basi giuridiche di un atto discende dal fatto che, poiché l’Unione dispone soltanto di competenze di attribuzione, essa permette di ricondurre gli atti adottati dall’Unione alle disposizioni dei Trattati che l’abilitano effettivamente a tal fine.


36      V. punto 51. Tuttavia, occorre ricordare che, nella sua sentenza del 25 ottobre 2017, Commissione/Consiglio (WRC‑15) (C‑687/15, EU:C:2017:803), nonché nella sua sentenza del 1° ottobre 2009, Commissione/Consiglio (C‑370/07, EU:C:2009:590), nelle quali la Corte ha parimenti annullato un atto a causa di un problema concernente le basi giuridiche, l’atto in questione non conteneva alcuna indicazione delle basi giuridiche sulle quali era fondato.


37      Sentenze del 27 febbraio 2014, Regno Unito/Consiglio (C‑656/11, EU:C:2014:97, punto 49) e del 22 ottobre 2013, Commissione/Consiglio (C‑137/12, EU:C:2013:675, punto 73).


38      Punto 117.


39      A mio avviso, l’applicazione di tali protocolli è determinata dalla portata dell’atto in questione e non dalla scelta della sua base o delle sue basi giuridiche.


40      Anche nel contesto di un ricorso di annullamento, il carattere inconferente o meno di un motivo si riferisce esclusivamente alla capacità di tale motivo, se fondato, di determinare l’annullamento richiesto dal ricorrente, ma non incide affatto sulla ricevibilità di tale motivo.


41      Parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada) del 26 luglio 2017 (EU:C:2017:592, paragrafo 74).


42      Siffatto argomento, infatti, avrebbe rilevanza soltanto nel contesto di un ricorso per carenza.


43      Sentenza del 4 settembre 2018, Commissione/Consiglio (Accordo con il Kazakhstan) (C‑244/17, EU:C:2018:662, punto 36).


44      Sentenze del 4 settembre 2018, Commissione/Consiglio (Accordo con il Kazakhstan) (C‑244/17, EU:C:2018:662, punto 37) e del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 31). A tale approccio si fa talora riferimento come alla «dottrina dell’assorbimento». V. Maresceau, M., «Bilateral Agreements Concluded by the European Community», Recueil Des Cours De l’Academie De Droit International - Collected Courses of the Hague Academy of International Law, vol. 309, 2006,: Martinus Nijhoff, L’Aia, pag. 157. In sostanza, si ritiene che la componente o le componenti principali o preponderanti di un atto assorbano tutti gli altri obiettivi o componenti. V. sentenze del 23 febbraio 1999, Parlamento/Consiglio (C‑42/97, EU:C:1999:81, punto 43); del 30 gennaio 2001, Spagna/Consiglio (C‑36/98, EU:C:2001:64, punti 60, 62 e 63); e, in particolare, del 19 luglio 2012, Parlamento/Consiglio (C‑130/10, EU:C:2012:472, punti da 70 a 74). V. anche conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Consiglio (C‑94/03, EU:C:2005:308, paragrafo 31) e Parlamento/Consiglio (C‑155/07, EU:C:2008:368, paragrafo 66).


45      Parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada) del 26 luglio 2017 (EU:C:2017:592, paragrafo 77) e sentenza del 4 settembre 2018, Commissione/Consiglio (Accordo con il Kazakhstan (C‑244/17, EU:C:2018:662, punto 37). Dalla giurisprudenza discende che il ricorso a una duplice base giuridica presuppone l’esistenza di due condizioni, ossia, in primo luogo, che l’atto in questione persegua contemporaneamente più finalità oppure abbia più componenti, senza che una sia accessoria rispetto all’altra, cosicché siano applicabili diverse disposizioni dei Trattati e, in secondo luogo, che tali finalità o componenti siano legate tra loro in modo inscindibile (è sottinteso che, in assenza di tali condizioni, l’atto dovrà essere scisso).


46      Parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada) del 26 luglio 2017 (EU:C:2017:592, paragrafo 78).


47      V., in tal senso, nota 31 della proposta della Commissione di decisione del Consiglio relativa alla firma, a nome dell’Unione europea, della convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, COM(2016) 111 final.


48      V. conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Consiglio (C‑13/07, EU:C:2009:190, paragrafo 113).


49      Se, per ipotesi, ciò dovesse accadere, ritengo che si tratterebbe di uno sviamento di procedura che potrebbe potenzialmente condurre all’annullamento della disposizione in questione.


50      È vero che nel parere 1/08 (Accordi di modifica degli elenchi di impieghi specifici ai sensi del GATS) del 30 novembre 2009 (EU:C:2009:739) la Corte ha affermato, al punto 166, che, nella determinazione della base o delle basi giuridiche di un atto non devono essere prese in considerazione disposizioni accessorie rispetto a uno degli obiettivi dell’atto, né disposizioni di natura estremamente limitata. Analogamente, nella sua sentenza del 4 settembre 2018, Commissione/Consiglio (Accordo con il Kazakhstan) (C‑244/17, EU:C:2018:662, punti 45 e 46), la Corte ha ritenuto che le disposizioni di un accordo internazionale che si limitano a contenere dichiarazioni delle parti contraenti sugli scopi perseguiti dalla loro cooperazione, senza determinare le modalità concrete di attuazione di tali obiettivi, non devono essere prese in considerazione nella determinazione delle basi giuridiche pertinenti. Tuttavia, non è chiaro se da ciò possa desumersi che, di converso, insiemi di disposizioni che non rientrino in tale specifica situazione debbano essere considerati il riflesso della componente o della finalità principale di un atto. Infatti, la Corte ha successivamente continuato a ribadire la sua giurisprudenza sul criterio del centro di gravità. A mio avviso, il fatto che la Corte si sia preoccupata di dichiarare il punto, piuttosto evidente, che le disposizioni accessorie o molto limitate non devono essere prese in considerazione nella determinazione della base giuridica pertinente indica, piuttosto, che essa ha iniziato a effettuare una valutazione più dettagliata rispetto al passato e che ora è più disponibile ad accettare una pluralità di basi giuridiche, senza, tuttavia, rinunciare alla tesi secondo cui la base giuridica di un atto non deve necessariamente riflettere tutte le competenze esercitate per adottarlo e, dunque, tutte le sue finalità o componenti. V., ad esempio, parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada) del 26 luglio 2017 (EU:C:2017:592, punto 90).


51      Ciò, in un certo senso, è paradossale, poiché dalla giurisprudenza summenzionata discende che la base giuridica di un atto riflette soltanto una parte delle competenze esercitate. V. sentenza del 10 gennaio 2006, Commissione/Consiglio (C‑94/03, EU:C:2006:2, punti 35 e 55).


52      V. anche sentenze del 1° ottobre 2009, Commissione/Consiglio (C‑370/07, EU:C:2009:590, punto 49), e del 25 ottobre 2017, Commissione/Consiglio (WRC‑15) (C‑687/15, EU:C:2017:803, punto 58).


53      L’unica condizione per l’esercizio di una competenza concorrente da parte dell’Unione consiste nel fatto che tale esercizio deve essere compatibile con il diritto internazionale. V. sentenza del 20 novembre 2018, Commissione/Consiglio (AMP Antartico) (C‑626/15 e C‑659/16, EU:C:2018:925, punto 127).


54      V., in tal senso, sentenza del 10 gennaio 2006, Commissione/Parlamento e Consiglio (C‑178/03, EU:C:2006:4, punto 57) o sentenza del 19 luglio 2012, Parlamento/Consiglio (C‑130/10, EU:C:2012:472, punto 49).


55      Per giungere alla conclusione che la componente preponderante della decisione in questione era costituita anche dalla tutela dei dati contenuti nel codice di prenotazione (Passenger Name Record – PNR), la Corte si è fondata sul fatto che il «contenuto dell’accordo previsto (…) verte in particolare [“notamment” in lingua francese] sull’istituzione di un sistema composto da un insieme di norme intese a proteggere i dati personali». L’uso dell’espressione «in particolare» è assai significativo, giacché implica che, ad avviso della Corte, non era necessario esaminare nel dettaglio l’accordo in questione. Parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada) del 26 luglio 2017 (EU:C:2017:592, punto 89). V. anche, in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2013, Commissione/Consiglio (C‑137/12, EU:C:2013:675, punti 57 e 58).


56      Sentenza del 25 febbraio 2010, Brita (C‑386/08, EU:C:2010:91, punto 42). V. per quanto concerne, in generale l’articolazione fra diritto internazionale e diritto dell’Unione europea, Malenovský, J., «À la recherche d’une solution inter-systémique aux rapports du droit international au droit de l’Union européenne», Annuaire français de droit international, vol. LXV, CNRS Éditions, 2019, pag. 3.


57      Occorre sottolineare, inoltre, che l’Unione europea si distingue dalle classiche organizzazioni internazionali in quanto la divisione di competenze tra l’Unione e gli Stati membri è oggetto di una continua evoluzione, che può rendere complessa l’analisi di tale divisione dal punto di vista del diritto internazionale.


58      V., ad esempio, sentenza del 5 dicembre 2013, Solvay/Commissione (C‑455/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:796, punto 91).


59      V., ad esempio, sentenza del 28 luglio 2011, Agrana Zucker (C‑309/10, EU:C:2011:531, punti da 34 a 36).


60      Infatti, nelle sentenze menzionate supra, la Corte sembra aver sottolineato il fatto che la base giuridica di un atto potrebbe fornire informazioni sulle competenze esercitate, al fine di revocare gli altri due filoni giurisprudenziali. In primo luogo, l’omissione del riferimento ad una precisa disposizione del Trattato non costituisce un vizio sostanziale qualora i fondamenti giuridici di un atto possano essere determinati sulla base del suo contenuto. V. sentenza del 1° ottobre 2009, Commissione/Consiglio (C‑370/07, EU:C:2009:590, punto 56) e del 18 dicembre 2014, Regno Unito/Consiglio (C‑81/13, EU:C:2014:2449, punti da 65 a 67). In secondo luogo, come già ricordato, affinché irregolarità concernenti la scelta delle basi giuridiche pertinenti possano condurre all’annullamento dell’atto in questione, in linea di principio, occorre dimostrare che tali vizi possano aver inciso sulla procedura legislativa applicabile o sulla competenza dell’Unione. V. in tal senso, sentenze del 10 dicembre 2002, British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco (C‑491/01, EU:C:2002:741, punto 98), e dell’11 settembre 2003, Commissione/Consiglio (C‑211/01, EU:C:2003:452, punto 52). Il Tribunale rinvia frequentemente a tale giurisprudenza. V., ad esempio, sentenza del 18 ottobre 2011, Reisenthel/UAMI – Dynamic Promotion (Cassette e cestini), (T‑53/10, EU:T:2011:601, punto 41).


61      V., in tal senso, sentenza del 26 novembre 2014, Parlamento e Commissione/Consiglio (C‑103/12 e C‑165/12, EU:C:2014:2400, punto 52). A tale riguardo, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 27 della convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati, una parte di un accordo internazionale non può invocare le sue disposizioni interne per giustificare l’inosservanza di tale accordo.


62      V., in tal senso, sentenza del 2 marzo 1994, Parlamento/Consiglio (C‑316/91, EU:C:1994:76, punti 26 e 29). V., ad esempio, Marín Durán, G., «Untangling the International Responsibility of the European Union and Its Member States in the World Trade Organisation Post-Lisbon: A Competence/Remedy Model», European Journal of International Law, vol. 28, Issue 3, 2017, pagg. 703 e 704: «Dal punto di vista del diritto internazionale, nella misura in cui sia l’Unione europea, sia i suoi Stati membri sono parti dell’accordo OMC (e degli accordi conclusi nel quadro dell’OMC), si presume che ciascuno di essi sia vincolato da tutti gli obblighi ivi previsti e non possa invocare disposizioni interne per giustificarne la mancata esecuzione dell’[articolo 27, paragrafi 1 e 2, della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati tra Stati e organizzazioni internazionali o tra organizzazioni internazionali] (…) [L]’opinione dominante nella letteratura accademica è che l’Unione europea e i suoi Stati membri siano vincolati congiuntamente da tutte le disposizioni del diritto dell’OMC e (…) tale posizione è stata accolta anche dagli organi di risoluzione delle controversie dell’OMC» [traduzione libera].


63      V., ad esempio, Fry J.D., «Attribution of Responsibility» in Nollkaemper, A., e Plakokefalos, I. (a cura di) Principles of Shared Responsibility in International Law, Cambridge, CUP, 2014, pag. 99: «(…) nel quadro degli accordi misti tra l’Unione europea (UE) e i suoi Stati membri che non prevedono una chiara ripartizione delle competenze, entrambe le parti sono congiuntamente responsabili per una violazione dell’accordo, senza determinare l’attribuzione della condotta. Ciò indica che l’UE e i suoi Stati membri saranno responsabili anche se è attribuibile all’altra parte» [traduzione libera].


64      Occorre, inoltre, ricordare che, come sottolineato dalla Corte, l’articolo 344 TFUE osta a che le norme di diritto dell’Unione che disciplinano la ripartizione delle competenze tra l’Unione e i suoi Stati membri siano sottoposte all’attenzione di un giudice diverso dalla Corte di giustizia. V. parere 2/13 (Adesione dell’Unione europea alla CEDU) del 18 dicembre 2014 (EU:C:2014:2454, paragrafi 201 e segg.) e sentenza del 6 marzo 2018, Achmea (C‑284/16, EU:C:2018:158, punto 32). Ne consegue che, quando è parte di una controversia internazionale, l’Unione non può invocare il fatto che la mancata esecuzione non giustificata di cui trattasi rientri nella competenza degli Stati membri al fine di evitare la sua responsabilità di diritto internazionale a tal riguardo, dal momento che siffatto argomento potrebbe condurre il giudice internazionale adito a pronunciarsi sulle norme del diritto dell’Unione che disciplinano la ripartizione delle competenze tra l’Unione e i suoi Stati membri.


65      L’unica eccezione a quanto precede ricorre, a mio avviso, proprio quando è stata espressa una riserva al riguardo o quando il trattato prevede l’obbligo, per ogni organizzazione internazionale, di dichiarare la portata delle sue competenze. Infatti, in tal caso, il giudice internazionale applicherà detta riserva o detta dichiarazione, senza valutare se sia conforme o meno alle norme del diritto dell’Unione che disciplinano la ripartizione delle competenze tra l’Unione e i suoi Stati membri e sarà, pertanto, rispettato il requisito di una rigida separazione fra le competenze della Corte di giustizia e quelle del giudice internazionale, aspetto sottolineato nel parere 1/17 (Accordo ECG UE-Canada), del 30 aprile 2019 (EU:C:2019:341, paragrafo 111). È esattamente per tali ragioni che sarebbe generalmente auspicabile che l’Unione, al momento della negoziazione di tali accordi misti, insista affinché l’accordo internazionale di cui trattasi preveda la possibilità di siffatta riserva. Una parte delle difficoltà che si pone nella presente fattispecie è dovuta al fatto che la Convenzione di Istanbul è stata negoziata dai singoli Stati membri a livello del Consiglio d’Europa, senza coinvolgere affatto, inizialmente, l’Unione. Ciò sembra aver avuto la conseguenza che la possibilità di esprimere riserve semplicemente non è stata prevista dai redattori di detta convenzione.


66      V., ad esempio, Olson P.M., «Mixity from the Outside: The Perspective of a Treaty Partner», in Hillion, C., e Koutrakos P., (a cura di), Mixed Agreements Revisited: The EU and its Member States in the World, Oxford, Hart Publishing, 2010), pag. 344: «Mentre la ripartizione delle competenze può incidere sul modo in cui l’Unione attua le disposizioni di un accordo misto, tale ripartizione non fornisce una risposta alla questione della responsabilità sul piano internazionale» [traduzione libera] (il corsivo è mio).


67      V., in tal senso, parere 2/15 (Accordo di libero scambio con Singapore) del 16 maggio 2017 (EU:C:2017:376, paragrafo 68).


68      A tale riguardo si può ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, la decisione che autorizza l’Unione a concludere un accordo internazionale non costituisce assolutamente la conferma della decisione che ne autorizza la firma. Parere 2/00 (Protocollo di Cartagena sulla prevenzione dei rischi biotecnologici) del 6 dicembre 2001 (EU:C:2001:664, punto 11).


69      Altrimenti, a mio avviso, tale questione dovrebbe essere considerata talmente astratta da rendere inevitabile una pronuncia di irricevibilità.


70      Chiaramente, la terza situazione di cui all’articolo 3, paragrafo 2, TFUE presuppone che tale competenza sia stata esercitata. V. parere 2/92 (Terza decisione modificata dell’OCSE relativa al trattamento nazionale) del 24 marzo 1995 (EU:C:1995:83, paragrafo 36) e parere 2/15 (Accordo di libero scambio con Singapore) del 16 maggio 2017 (EU:C:2017:376, paragrafi da 230 a 237).


71      V., ad esempio, sentenza del 4 settembre 2014, Commissione/Consiglio (C‑114/12, EU:C:2014:2151, punto 68). Per tale motivo, nello stabilire se l’Unione possieda competenza esclusiva a concludere determinate parti di un accordo, non è necessario prendere in considerazione gli atti che istituiscono programmi di finanziamento o cooperazione, poiché tali atti non prevedono «norme comuni».


72      Parere 1/13 (Adesione di Stati terzi alla Convenzione dell’Aia) del 14 ottobre 2014 (EU:C:2014:2303, paragrafo 72).


73      Parere 3/15 (Trattato di Marrakech sull’accesso alle opere pubblicate) del 14 febbraio 2017 (EU:C:2017:114, paragrafo 107). A tale riguardo, la Corte ha statuito, in sostanza, che i termini «disciplinato in gran parte da norme siffatte» corrispondono a quelli con cui la Corte, al punto 22 della sentenza del 31 marzo 1971, Commissione/Consiglio (22/70, EU:C:1971:32), ha definito la natura degli impegni internazionali che agli Stati membri è vietato assumere fuori dall’ambito delle istituzioni dell’Unione, qualora norme comuni dell’Unione siano state adottate per raggiungere gli scopi del Trattato. Tali termini devono di conseguenza essere interpretati alla luce delle precisazioni fornite dalla Corte nella sentenza del 31 marzo 1971, Commissione/Consiglio (22/70, EU:C:1971:32) e nella giurisprudenza sviluppata a partire da tale sentenza. V. sentenza del 4 settembre 2014, Commissione/Consiglio (C‑114/12, EU:C:2014:2151, punti 66 e 67), che mira a evitare che gli Stati membri possano, «unilateralmente o congiuntamente, contrattare con Stati terzi obblighi atti ad incidere su norme comuni o a modificarne la portata». V. sentenza del 20 novembre 2018, Commissione/Consiglio (AMP Antartide) (C‑626/15 e C‑659/16, EU:C:2018:925, punto 111).


74      Parere 1/13 (Adesione di Stati terzi alla convenzione dell’Aia) del 14 ottobre 2014 (EU:C:2014:2303, paragrafo 74).


75      V., ad esempio, parere 1/03 (Nuova Convenzione di Lugano) del 7 febbraio 2006, (EU:C:2006:81, paragrafi 126, 128 e 133) o sentenza del 26 novembre 2014, Green Network (C‑66/13, EU:C:2014:2399, punto 33). Tuttavia, al fine di garantire che il principio di ripartizione delle competenze non sia pregiudicato, e nella misura in cui non sia possibile prevedere l’esito di procedure legislative pendenti, la considerazione dell’evoluzione prevedibile dello stato del diritto dell’Unione dovrebbe essere intesa, a mio avviso, nel senso che si riferisce, in tale contesto, soltanto agli atti già adottati ma non ancora entrati in vigore.


76      Senza trarre, tuttavia, alcuna conseguenza specifica da tale argomento.


77      V. sentenza del 4 settembre 2014, Commissione/Consiglio (C‑114/12, EU:C:2014:2151, punto 75), nonché sentenza del 20 novembre 2018, Commissione/Consiglio (AMP Antartico) (C‑626/15 e C‑659/16, EU:C:2018:925, punto 115).


78      V. parere 2/94 (Adesione della Comunità alla CEDU) del 28 marzo 1996 (EU:C:1996:140, paragrafo 6).


79      V., in tal senso parere 2/91 (Convenzione dell’OIL n. 170) del 19 marzo 1993 (EU:C:1993:106, paragrafi 18 e 21) e sentenza del 4 settembre 2014, Commissione/Consiglio (C‑114/12, EU:C:2014:2151, punto 91).


80      V., in tal senso, parere 1/03 (Nuova Convenzione di Lugano) del 7 febbraio 2006, (EU:C:2006:81, paragrafi 123 e 127) e sentenza del 4 settembre 2014, Commissione/Consiglio (C‑114/12, EU:C:2014:2151, punto 91). Tuttavia, tale soluzione non si applica quando le disposizioni di diritto dell’Unione permettono agli Stati membri di dare attuazione, in un settore oggetto di armonizzazione completa, a un’eccezione o a una limitazione di una regola armonizzata. V. parere 3/15 (Trattato di Marrakech sull’accesso alle opere pubblicate) del 14 febbraio 2017 (EU:C:2017:114, punto 119).


81      V., ad esempio, articolo 3, paragrafo 5, della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12; tale direttiva si applica in tutti gli Stati membri, ad eccezione dell’Irlanda e della Danimarca). Talune altre direttive si dichiarano espressamente applicabili fatte salve le norme più favorevoli contenute in un accordo internazionale. V., ad esempio, articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU 2004, L 16, pag. 44; questa direttiva si applica in tutti gli Stati membri, ad eccezione dell’Irlanda e della Danimarca).


82      Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77).


83      Sentenza del 30 giugno 2016, NA (C‑115/15, EU:C:2016:487, punto 51).


84      Sentenza del 27 giugno 2018, Diallo (C‑246/17, EU:C:2018:499, punto 55).


85      Al punto 28 della sentenza del 27 giugno 2018, Diallo (C‑246/17, EU:C:2018:499), la Corte ha dunque sottolineato di essere competente a statuire soltanto sull’interpretazione delle direttive di cui alle questioni pregiudiziali proposte nel rinvio pregiudiziale.


86      V., per analogia, sentenza del 12 dicembre 2019, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Ricongiungimento familiare – Sorella di rifugiato) (C‑519/18, EU:C:2019:1070 punto 43). È vero che la causa riguardava la direttiva 2003/86/CE, ma è interessante notare che la Corte, al punto 42, rinvia espressamente alla sentenza del 27 giugno 2018, Diallo (C‑246/17, EU:C:2018:499).


87      Sentenza del 30 giugno 2016, NA (C‑115/15, EU:C:2016:487).


88      Sentenza del 27 giugno 2018, Diallo (C‑246/17, EU:C:2018:499).


89      V. in tal senso, il modo in cui è formulata la conclusione raggiunta dalla Grande sezione nella sentenza del 18 dicembre 2014, M’Bodj (C‑542/13, EU:C:2014:2452, punto 49). Ciò è tanto più vero se si considera che, ai sensi del considerando 15 della direttiva 2003/86, può essere consentito ai cittadini di paesi terzi di rimanere nei territori degli Stati membri per motivi che esulano dal campo di applicazione di tale direttiva.


90      V., ad esempio, articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (GU 2003, L 31, pag. 18). Tale direttiva è stata abrogata, ma continua ad applicarsi all’Irlanda.


91      V., ad esempio, articolo 3 della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12; questa direttiva è stata abrogata, ma continua ad applicarsi all’Irlanda). V. anche articoli 1 e 4 della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005, L 326, pag. 13; questa direttiva è stata abrogata, ma continua ad applicarsi all’Irlanda); articolo 4 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98); questa direttiva si applica in tutti gli Stati membri, ad eccezione dell’Irlanda e della Danimarca); articolo 3 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9; questa direttiva ha sostituito la direttiva 2004/83 e si applica negli Stati membri, ad eccezione dell’Irlanda e della Danimarca); articolo 5 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60; questa direttiva si applica negli Stati membri, ad eccezione dell’Irlanda e della Danimarca); o articolo 4 della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96; questa direttiva ha sostituito la direttiva 2003/9 e si applica negli Stati membri, ad eccezione dell’Irlanda e della Danimarca).


92      V., in tal senso, sentenza del 18 dicembre 2014, M’Bodj (C‑542/13, EU:C:2014:2452, punto 44).


93      In precedenza, articolo 2, lettera c), della direttiva 2004/83.


94      V. anche articolo 10 della direttiva 2004/83.


95      V. articoli 4, 5 e 9 della direttiva 2008/15, articolo 21 della direttiva 2004/83 e articolo 21 della direttiva 2011/95.


96      A tale riguardo, vorrei osservare che siffatta situazione non sarebbe comparabile a quella in cui, nel contesto di una decisione individuale, l’autorità competente ritenga, erroneamente, di trovarsi in una situazione di competenze vincolate («compétence liée»). Se, così facendo, l’autorità in questione inficia la sua decisione con un errore di diritto tale da giustificarne l’annullamento, ciò avviene in quanto una norma di rango superiore imponeva di esercitare la sua discrezionalità al fine di tenere conto di uno o più criteri giuridici. Tuttavia, nel caso di una decisione che autorizza l’Unione a concludere una convenzione internazionale, non vi è alcun criterio giuridico che il Consiglio debba applicare per determinare la portata delle competenze concorrenti da esercitare. Si tratta di un potere puramente discrezionale.


97      Articolo 3.


98      Articolo 4.


99      Articolo 5.


100      Articolo 6.


101      Articolo 7.


102      Articolo 11.


103      Articoli 12, 13 e 14.


104      Articolo 15.


105      Articolo 16.


106      Articolo 17.


107      Articolo 18. L’articolo 18, paragrafo 5, precisa che «[l]e Parti adottano misure adeguate per garantire protezione consolare o di altro tipo e sostegno ai loro cittadini e alle altre vittime che hanno diritto a tale protezione, conformemente ai loro obblighi derivanti dal diritto internazionale».


108      Articolo 19.


109      Articoli 20 e 21.


110      Articoli da 22 a 26.


111      Articoli 27 e 28.


112      Articoli da 29 a 32.


113      Articoli da 33 a 40.


114      Articolo 41.


115      Articolo 42.


116      Articolo 43.


117      Articolo 44.


118      Articolo 45.


119      Articolo 46.


120      Articolo 47.


121      Articolo 48.


122      Articolo 49.


123      Articolo 50.


124      Articolo 51.


125      Articoli 52 e 53.


126      Articolo 54.


127      Articolo 55.


128      Articolo 56.


129      Articolo 57.


130      Articolo 58.


131      Articolo 59.


132      Articolo 60.


133      Articolo 61.


134      Articolo 62.


135      Articolo 63.


136      Articolo 64.


137      Articolo 75, paragrafo 1.


138      La Convenzione di Istanbul è integrata da un allegato concernente i privilegi e le immunità dei membri del Grevio e degli altri membri delle delegazioni durante le visite nei paesi effettuate nell’esercizio delle loro funzioni.


139      COM(2016) 111 final.


140      Nonché, per quanto concerne la BCE e la BEI, l’articolo 36 del Protocollo (n. 4) sullo Statuto del sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea e l’articolo 11, paragrafo 7, del Protocollo (n. 5) sullo Statuto della Banca europea per gli investimenti.


141      V., sul tema, ma con riguardo alla questione se la competenza esterna dell’Unione in materia di lotta alla discriminazione sia esclusiva, Prechal S., «The European Union’s Accession to the Istanbul Convention», in Lenaerts, K., Bonichot, J.-C., Kanninen, H., Naome, C. e Pohjankoski, P., (a cura di), An Ever-Changing Union?, Perspectives on the Future of EU Law in Honour of Allan Rosas, Hart Publishing, Oxford, 2019, pag. 285 e segg.


142      Punto 31 della relazione esplicativa.


143      Punto 40 della relazione esplicativa.


144      Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303 pag. 16).


145      Direttiva 2004/113/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura (GU 2004, L 373 pag. 37).


146      Direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione) (GU 2006, L 204, pag. 23).


147      Direttiva 2010/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 luglio 2010, sull’applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un’attività autonoma e che abroga la direttiva 86/613/CEE del Consiglio (GU 2010, L 180, pag. 1)


148      A tale riguardo, il fatto che la dichiarazione 19 allegata all’atto finale della Conferenza intergovernativa che ha adottato il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, faccia riferimento alla necessità di lottare contro tutte le forme di violenza domestica non mi sembra porre in discussione tale affermazione, in quanto tale dichiarazione, a differenza dei protocolli e degli allegati ai Trattati, ha, tutt’al più, valore interpretativo.


149      Poiché l’articolo 81, paragrafo 1, TFUE non prevede alcuna norma procedurale, deve desumersi che le misure di ravvicinamento in questione debbano essere collegate agli obiettivi menzionati in tali due disposizioni. In particolare, sebbene l’articolo 81, paragrafo 3, TFUE menzioni il diritto di famiglia, esso si riferisce soltanto alle misure relative al diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali (il che implica, di converso, che aspetti del diritto di famiglia privi di tale dimensione restino nella competenza esclusiva degli Stati membri).


150      Direttiva 2002/8/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, intesa a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato in tali controversie (GU 2003, L 26, pag. 41). V. articoli 1, paragrafo 1, e 19 di tale direttiva.


151      Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale (GU 2008, L 136, pag. 3).


152      Inoltre, come esposto all’articolo 4 della direttiva, essa prevede soltanto che gli Stati membri debbano incoraggiare il ricorso alla mediazione.


153      V., ad esempio, gli articoli da 67 a 73 del regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2012, L 351 pag. 1).


154      Parere 1/03 (Nuova Convenzione di Lugano) del 7 febbraio 2006, (EU:C:2006:81, paragrafo 173).


155      Regolamento (CEE, Euratom, CECA) n. 259/68 del Consiglio, del 29 febbraio 1968, che definisce lo statuto dei funzionari delle Comunità europee nonché il regime applicabile agli altri agenti di tali Comunità, ed istituisce speciali misure applicabili temporaneamente ai funzionari della Commissione (GU 1968, L 56, pag. 1), modificato da ultimo dal regolamento (UE, Euratom) n. 1023/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, che modifica lo statuto dei funzionari dell’Unione europea e il regime applicabile agli altri agenti dell’Unione europea (GU 2013, L 287 pag. 15).


156      A tale riguardo, non si può escludere che gli Stati membri temessero che, qualora l’Unione esercitasse tale competenza, ciò le conferirebbe allora la competenza, ai sensi dell’articolo 83, paragrafo 2, TFUE, ad agire da sola al fine di sanzionare penalmente le condotte previste in detta convenzione. V. anche, in tal senso, sentenza del 13 settembre 2005, Commissione/Consiglio (C‑176/03, EU:C:2005:542, punto 48).


157      A mio avviso, affinché l’articolo 83, paragrafo 1, TFUE possa conservare il suo effetto utile, la nozione di «diritti delle vittime della criminalità» deve essere intesa nel senso che esclude la competenza a sanzionare penalmente determinate condotte.


158      Certamente, si può osservare, in primo luogo, che l’articolo 54 del capitolo VI di tale convenzione prevede taluni obblighi in materia di prova. In secondo luogo, gli articoli da 49 a 53 e da 56 a 58 dello stesso capitolo mirano ad attribuire determinati diritti alle vittime nel procedimento penale. In terzo luogo, le disposizioni del capitolo IV, nonché gli articoli da 29 a 32 del capitolo V prevedono determinate disposizioni procedurali a favore delle vittime del reato. Occorre tuttavia ricordare che, sulla base della sua formulazione, l’articolo 82, paragrafo 2, TFUE attribuisce all’Unione la competenza ad adottare misure concernenti «l’ammissibilità reciproca delle prove tra gli Stati membri; (…) i diritti della persona nella procedura penale; [o] i diritti delle vittime della criminalità». Orbene, tali varie disposizioni non sono volte a facilitare il riconoscimento delle decisioni giudiziarie, e mi sembra difficile ritenere che la violenza nei confronti delle donne costituisca una materia penale con dimensione transnazionale, a meno che non si ritenga che ciò avvenga per tutte le condotte penalmente rilevanti. A tale riguardo, osservo che, nella sua sentenza del 13 giugno 2019, Moro (C‑646/17, EU:C:2019:489 punti da 29 a 37) la Corte è stata molto attenta a non prendere posizione su tale questione.


159      Il Consiglio potrebbe fare ricorso a tale opzione nel caso in cui uno Stato membro non ratifichi la Convenzione di Istanbul, al fine di ridurre il rischio cui sarebbe esposta l’Unione di essere considerata responsabile per l’ingiustificata mancata osservanza della Convenzione di Istanbul da parte di uno Stato membro. È vero che l’articolo 83, paragrafo 2, TFUE esige che sia dimostrato che «il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in materia penale si rivela indispensabile per garantire l’attuazione efficace di una politica dell’Unione in un settore che è stato oggetto di misure di armonizzazione»; ma ciò si verificherebbe appunto nel caso in cui risultasse che uno Stato membro non ha dato esecuzione alla Convenzione di Istanbul, o addirittura non la concluda. Di conseguenza, l’Unione potrebbe fare ricorso a tale disposizione per garantirsi una competenza esclusiva in ordine a tutte le disposizioni della Convenzione volte a rendere penalmente rilevanti determinate condotte e, pertanto, ai sensi della teoria della successione tra Stati, assumere da sola gli obblighi derivanti da tale Convenzione. V., anche, in tal senso, Prechal, S., «The European Union’s Accession to the Istanbul Convention», in Lenaerts, K., Bonichot, J.-C., Kanninen, H., Naome, C. e Pohjankoski, P., (a cura di), An Ever-Changing Union?, Perspectives on the Future of EU Law in Honour of Allan Rosas, Hart Publishing, Oxford, 2019, pag. 290.


160      V., per un esempio di cumulo di basi giuridiche, sentenza del 10 gennaio 2006, Commissione/Consiglio (C‑94/03, EU:C:2006:2, punto 54).


161      V. sentenza del 29 ottobre 1980, van Landewyck e a./Commissione (da 209/78 a 215/78 e 218/78, EU:C:1980:248, punto 47). Tuttavia, è sufficiente che il vizio fosse atto ad incidere sul contenuto della decisione, poiché il giudice dell’Unione non ha il potere di sostituirsi all’amministrazione e, dunque, non può valutare l’impatto concreto del vizio sulla decisione. V., ad esempio, sentenza del 21 marzo 1990, Belgio/Commissione (C‑142/87, EU:C:1990:125, punto 48).


162      A tale riguardo, occorre sottolineare che la decisione di cui trattasi nel presente parere è la decisione di autorizzare l’Unione a concludere la Convenzione di Istanbul. La conclusione di tale Convenzione, quanto ad essa, è effettuata, in linea di principio, mediante un unico strumento, segnatamente una lettera indirizzata al depositario del trattato, nella fattispecie il Consiglio d’Europa.


163      V., in tal senso, sentenza del 14 aprile 2015, Consiglio/Commissione (C‑409/13, EU:C:2015:217, punto 71). Inoltre, l’articolo 17, paragrafo 2, TUE precisa che gli atti, in particolare gli atti legislativi, sono adottati sulla base di una proposta della Commissione, «salvo che i trattati non dispongano diversamente». Per quanto concerne l’articolo 293 TFUE, in tale disposizione si precisa che essa si applica soltanto quando «[il Consiglio] delibera su proposta della Commissione».


164      Anche a voler considerare che la procedura legislativa sia parzialmente applicabile, l’articolo 17, paragrafo 2, TUE prevede che un atto legislativo debba essere adottato dall’Unione su proposta della Commissione «salvo che i trattati non dispongano diversamente» mentre, per quanto concerne la procedura prevista all’articolo 218 TFUE, tale disposizione indica che la decisione di autorizzare l’Unione a concludere un accordo è adottata su proposta del negoziatore, che potrebbe non essere la Commissione. Analogamente, l’articolo 293 TFUE si dichiara applicabile soltanto quando «[il Consiglio] delibera su proposta della Commissione».


165      Sentenza del 25 ottobre 2017, Commissione/Consiglio (WRC‑15) (C‑687/15, EU:C:2017:803, punto 42).


166      V. ad esempio, sentenza del 6 maggio 2008, Parlamento/Consiglio (C‑133/06, EU:C:2008:257, punto 54).


167      Sentenza del 28 aprile 2015, Commissione/Consiglio (C‑28/12, EU:C:2015:282).


168      Ibid., punti 49 e 50.


169      Ibid. punti 51 e 52.


170      Siffatto argomento presuppone che le basi giuridiche di un atto possano non riflettere fedelmente le competenze esercitate (v. questione 1, lettera a). Infatti, se così non fosse, le basi giuridiche menzionate nell’atto qualora esso fosse adottato nella forma di una decisione unica, corrisponderebbero alla somma delle basi giuridiche indicate nelle due decisioni, se tale atto fosse suddiviso in due. Di conseguenza, la procedura sarebbe identica oppure, se tali basi non potessero essere conciliate fra loro, sarebbe necessario scindere l’atto in due decisioni.


171      A tale riguardo, vorrei osservare che l’applicazione di tali protocolli dipende dal contenuto dell’atto in questione e non dalle basi giuridiche utilizzate. Di conseguenza, indipendentemente dalla risposta della Corte alla prima questione, qualora l’Unione intenda esercitare competenze ai sensi di tali protocolli, è necessario che essi siano tenuti in considerazione.


172      V., in tal senso, sentenza del 24 giugno 2014, Parlamento/Consiglio (C‑658/11, EU:C:2014:2025, punto 57).


173      Poiché il Regno Unito ha lasciato l’Unione europea, non è necessario prendere in considerazione la sua situazione.


174      Ai sensi dell’articolo 4 di detto protocollo, il Regno di Danimarca può decidere di recepire una misura ma, in ogni caso, qualora decida in tal senso, siffatta misura creerà unicamente un obbligo a norma del diritto internazionale tra il Regno di Danimarca e gli altri Stati membri.


175      Il corsivo è mio. In tal caso, l’articolo 4bis, paragrafo 2, prevede un meccanismo specifico qualora la non partecipazione dell’Irlanda possa rendere la misura impraticabile per gli altri Stati membri. Tuttavia, anche in questo caso, l’Irlanda non è tenuta ad applicare siffatta misura.


176      Parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada) del 26 luglio 2017 (EU:C:2017:592, paragrafi 110 e 117).


177      Parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada) del 26 luglio 2017 (EU:C:2017:592, paragrafi 111 e 113).


178      Sulla base delle informazioni contenute nel sito Internet del Consiglio d’Europa, l’Irlanda ha ratificato tale convenzione l’8 marzo 2019.


179      Sentenza del 20 novembre 2018, Commissione/Consiglio (AMP Antartico) (C‑626/15 e C‑659/16, EU:C:2018:925, punto 127).


180      United Nations Treaty Series, vol. 1155, pag. 331 (in prosieguo: la «convenzione di Vienna»).


181      La decisione di concludere un accordo internazionale può, infatti, implicare il compimento di scelte di natura politica, economica e sociale, nonché la fissazione di un ordine di priorità tra interessi divergenti o l’effettuazione di valutazioni complesse. Di conseguenza, al Consiglio deve essere riconosciuto un ampio potere discrezionale in tale contesto. V., per analogia, sentenza del 7 marzo 2017, RPO (C‑390/15, EU:C:2017:174, punto 54).


182      V. Cremona, M., «Disconnection clauses in EU Law and Practice» in Hillon, C., and Koutrakos, P., (a cura di.), Mixed Agreements Revisited: The EU and its Member States in the World, Hart Publishing, Oxford, 2010, pag. 180. È vero che l’Unione europea è un tipo speciale di organizzazione internazionale, in quanto, secondo la formula contenuta nella sentenza del 15 luglio 1964, Costa (6/64, EU:C:1964:66, pag. 1144), essa ha istituito un proprio ordinamento giuridico, integrato nell’ordinamento giuridico degli Stati membri all’atto dell’entrata in vigore del Trattato e che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare. V. anche sentenza del 28 aprile 2015, Commissione/Consiglio (C‑28/12, EU:C:2015:282, punto 39). Tuttavia, come risulta dalla sentenza del 20 novembre 2018, Commissione/Consiglio (AMP Antartico) (C‑626/15 e C‑659/16, EU:C:2018:925, punti da 125 a 135), tale circostanza non può condurre a imporre unilateralmente a Stati terzi di rispettare le sue regole in materia di ripartizione delle competenze.


183      V., ad esempio, sentenza del 19 marzo 1996, Commissione/Consiglio (C‑25/94, EU:C:1996:114, punto 48).


184      V., a contrario, sentenza del 20 aprile 2010, Commissione/Svezia (C‑246/07, EU:C:2010:203, punto 75).


185      Sentenze del 28 novembre 1991, Lussemburgo/Parlamento (C‑213/88 e C‑39/89, EU:C:1991:449, punto 29), e del 28 aprile 2015, Commissione/Consiglio (C‑28/12, EU:C:2015:282, punto 47).


186      United Nations Treaty Series, vol. 1155, pag. 331.


187      Anche il punto 1.1 della Guida della prassi sulle riserve ai trattati del 2011, adottata dalla commissione di diritto internazionale nel corso della sua 63a sessione, nel 2011, e sottoposta all’assemblea generale come parte della relazione della commissione concernente i lavori di tale sessione (A/66/10, paragrafo 75), Yearbook of the International Law Commission, 2011, vol. II, parte seconda, prevede che il termine «riserva» indica una «dichiarazione unilaterale, comunque formulata o denominata, fatta da uno Stato o da un’organizzazione internazionale quando approva o aderisce a un trattato (…) per escludere o modificare l’effetto giuridico di alcune disposizioni del trattato nella loro applicazione a tale Stato o organizzazione internazionale».


188      La prassi di diritto internazionale indica che le dichiarazioni possono essere ricondotte alle riserve quando sono effettuate per svolgere la stessa funzione: v. Edwards Jr., R.W., «Reservations to Treaties», Michigan Journal of International Law, vol. 10, 1989, pag. 368. V. anche, in tal senso, Tomuschat, C., «Admissibility and Legal Effects of Reservations to Multilateral Treaties», Heidelberg Journal of International Law, vol. 27, 1967, pag. 465 o Meek, M.R., «International Law: Reservations to Multilateral Agreements», DePaul Law Review, vol. 5, 1955, pag. 41.


189      United Nations, Treaty Series, vol. 1155, pag. 331. Tuttavia, tale convenzione non è entrata in vigore a causa del mancato deposito di 35 strumenti di ratifica da parte di Stati.


190      In ogni caso, nei limiti in cui l’Unione può decidere o meno di esercitare alcune delle competenze che condivide con gli Stati membri, una dichiarazione effettuata dall’Unione riguardo alla portata delle competenze da essa esercitate per concludere un accordo internazionale non può essere considerata fondata su conclusioni oggettive.


191      V., ad esempio, per quanto concerne una dichiarazione sulla competenza effettuata dalla Repubblica francese che è stata considerata costituente una riserva, Tribunale arbitrale ad hoc, Delimitazione della piattaforma continentale (Regno Unito c. Francia), 54 I.L.R. 6, 18 I.L.M. 397 (30 giugno 1977). V. anche Dolmans, J.F.M., «Problems of Mixed Agreements: Division of Powers within the EEC and the Rights of Third States», Asser Instituut, L’Aja, 1984, pagg. 65 e 66.


192      Sentenza del 30 maggio 2006, Commissione/Irlanda (C‑459/03, EU:C:2006:345). A tale riguardo, osservo che, anche qualora un trattato permetta la formulazione di riserve, una riserva concernente la ripartizione di competenze fra l’Unione e gli Stati membri potrebbe produrre soltanto un effetto limitato. Infatti, poiché una competenza concorrente non esercitata potrebbe successivamente essere esercitata dall’Unione con effetto preclusivo, siffatta dichiarazione sarebbe necessariamente temporanea. Di conseguenza, la formulazione, da parte dell’Unione, di riserve dirette a segnalare che l’Unione non ha esercitato talune competenze concorrenti deve essere considerata vietata nel caso in cui il trattato in questione non permetta il ritiro delle riserve. Altrimenti, poiché una riserva siffatta impegnerebbe l’Unione a rinunciare definitivamente alla competenza concorrente in questione, ciò equivarrebbe a trasformare tale competenza in una competenza esclusiva degli Stati membri, in violazione delle norme di diritto primario. Inoltre, anche laddove il trattato preveda la possibilità o, persino, l’obbligo di aggiornare le dichiarazioni sulla competenza, sembrerebbe che l’Unione effettui raramente tale aggiornamento. Infatti, secondo Odermatt, fino al 2017 vi era un unico esempio di aggiornamento delle dichiarazioni sulla competenza, segnatamente quelle effettuate nel contesto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura. V. Odermatt, J., «The Development of Customary International Law by International Organizations», International and Comparative Law Quarterly, vol. 66(2), 2017, pagg. 506 e 507.


193      V., ad esempio, sentenza del 10 dicembre 2002, Commissione/Consiglio (C‑29/99, EU:C:2002:734, punto 70). Per un elenco delle convenzioni firmate dall’Unione che prevedono l’obbligo, per l’Unione, di effettuare una dichiarazione sulla competenza, v. Heliskoski J., «EU declarations of competence and international responsibility», in Evans, M. e Koutrakos, P. (a cura di), The International Responsibility of the European Union International and European Perspectives, Hart Publishing, Oxford, 2013, pag. 201. In tale contributo, l’autore considera unicamente tale scenario. V., pag. 189.


194      V. Heliskoski, J., «EU Declarations of Competence and International Responsibility» in Evans M. e Koutrakos, P., (a cura di) The International Responsibility of the European Union: European and International Perspectives,Hart Publishing, Oxford, 2013, pag. 189.


195      Si può certamente sostenere che, nei limiti in cui l’effettuazione di dichiarazioni sulla competenza è stata sempre accettata dagli Stati terzi, essa ha dato vita a una prassi siffatta. Tuttavia, la natura incerta di tale argomento (nei limiti in cui, inter alia, si pone in conflitto con la convenzione di Vienna), depone parimenti, a mio parere, a favore di una certa cautela da parte del Consiglio.


196      È interessante notare che un numero crescente di accordi internazionali contiene clausole di impegno che obbligano le organizzazioni regionali di integrazione economica, quali l’Unione, a dichiarare le parti dell’accordo che rientrano nelle loro competenze. V., Klamert, M., The Principle of Loyalty in EU Law, OUP, Oxford, 2014, pag. 195.


197      Analogamente, non ritengo che si possa seriamente sostenere che l’articolo 78 della Convenzione di Istanbul, che limita la possibilità di formulare riserve, non si applica all’Unione europea in ragione del fatto che essa non avrebbe la stessa natura di uno Stato. Infatti, l’articolo 78, paragrafo 2, si riferisce espressamente tanto agli Stati, quanto all’Unione europea, il che mostra che l’intenzione dei redattori di tale Convenzione era, effettivamente, quella di escludere la possibilità di formulare riserve anche da parte dell’Unione.


198      Infatti, «la mera circostanza che un’azione dell’Unione sulla scena internazionale rientra in una competenza concorrente tra l’Unione e gli Stati membri non esclude la possibilità che il Consiglio ottenga al suo interno la maggioranza richiesta affinché l’Unione eserciti da sola tale competenza esterna». Sentenza del 20 novembre 2018, Commissione/Consiglio (AMP Antartico) (C‑626/15 e C‑659/16, EU:C:2018:925, punto 126).


199      V., in tal senso, parere 1/08 (Accordi di modifica degli elenchi di impieghi specifici ai sensi del GATS) del 30 novembre 2009 (EU:C:2009:739, paragrafo 127).


200      Ad esempio, la convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare è stata conclusa dalla Comunità il 1° aprile 1998, nonostante il Regno di Danimarca e il Granducato di Lussemburgo non l’abbiano ancora conclusa.