SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)
11 dicembre 1997 (1)
«Libera prestazione dei servizi Attività di collocamento dei lavoratori
Esclusione delle imprese private Esercizio dei pubblici poteri»
Nel procedimento C-55/96,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a
norma dell'art. 177 del Trattato CE, dalla Corte d'appello di Milano, nel
procedimento di volontaria giurisdizione dinanzi ad essa pendente su iniziativa della
Job Centre coop. a r.l.,
domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 48, 49, 55, 56, 59, 60, 62, 66, 86 e
90 del Trattato CE,
LA CORTE (Sesta Sezione),
composta dai signori R. Schintgen, presidente della Seconda Sezione, facente
funzione di presidente della Sesta Sezione, G.F. Mancini e P.J.G. Kapteyn
(relatore), giudici,
avvocato generale: M.B. Elmer
cancelliere: signora L. Hewlett, amministratore
viste le osservazioni scritte presentate:
per la Job Centre coop. a r.l., dagli avv.ti Pietro Ichino, del foro di Milano,
Christian Jacobs, del foro di Brema, Renzo Morresi, del foro di Bologna, e
Caterina Rucci, del foro di Milano;
per il governo italiano, dal professor Umberto Leanza, capo del servizio del
contenzioso diplomatico del Ministero degli Affari esteri, in qualità di
agente, assistito dal signor Danilo Del Gaizo, Avvocato dello Stato;
per il governo tedesco, dai signori Ernst Röder, Ministerialrat presso il
Ministero federale dell'Economia, e Bernd Kloke, Regierungsrat presso lo
stesso ministero, in qualità di agenti;
per il governo norvegese, dal signor Irvin Høyland, direttore generale
aggiunto presso il Ministero degli Affari esteri, in qualità di agente;
per la Commissione delle Comunità europee, dal signor Enrico Traversa,
membro del servizio giuridico, in qualità d'agente,
vista la relazione d'udienza,
sentite le osservazioni orali della Job Centre coop. a r.l., del governo italiano e
della Commissione all'udienza del 13 marzo 1997,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 15 maggio
1997,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
- 1.
- Con ordinanza 30 gennaio 1996, giunta alla Corte il 23 febbraio successivo, la Corte
d'appello di Milano ha sollevato, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE, tre questioni
pregiudiziali sull'interpretazione degli artt. 48, 49, 55, 56, 59, 60, 62, 66, 86 e 90 del
Trattato CE.
- 2.
- Le questioni sono sorte nell'ambito di un reclamo ex art. 2330, quarto comma, del
codice civile italiano, proposto avverso il provvedimento del Tribunale civile e
penale di Milano che ha respinto il ricorso per omologazione dell'atto costitutivo
della società cooperativa a responsabilità limitata Job Centre (in prosieguo: la
«JCC»).
- 3.
- La JCC è una società cooperativa a responsabilità limitata in via di costituzione,
con sede sociale in Milano. In base al suo statuto, l'attività della cooperativa
consisterà segnatamente nell'esercizio di attività di mediazione fra domanda e
offerta di lavoro subordinato e di fornitura temporanea a terzi di prestazioni di
lavoro. Il suo scopo è consentire a lavoratori e imprenditori, soci e non soci, di
fruire di tali servizi sul mercato del lavoro italiano e comunitario.
- 4.
- In Italia il mercato del lavoro è sottoposto al regime del collocamento obbligatorio
gestito da uffici pubblici. Tale regime è disciplinato dalla legge 29 aprile 1949,
n. 264. L'art. 11, primo comma, della legge vieta l'esercizio della mediazione tra
offerta e domanda di lavoro subordinato, anche quando tale attività è svolta
gratuitamente. L'intermediazione di manodopera effettuata in contrasto con la
suddetta norma e l'assunzione di lavoratori al di fuori del collocamento pubblico
sono punite, in forza della legge n. 264, con sanzioni penali o amministrative.
Inoltre i contratti di lavoro stipulati in violazione delle prescrizioni della stessa
legge possono essere annullati dal giudice, su denunzia dell'ufficio di collocamento
e domanda del Pubblico ministero da proporsi entro un anno dall'assunzione di un
lavoratore.
- 5.
- L'art. 1, primo comma, della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, vieta la mediazione e
l'interposizione nei rapporti di lavoro. La mancata osservanza di tale prescrizione
comporta l'applicazione delle sanzioni penali previste all'art. 2 della stessa legge,
mentre agli effetti civilistici, in forza dell'ultimo comma dell'art. 1, i lavoratori
occupati in violazione del divieto di cui all'art. 1, primo comma, sono considerati
a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore che ne ha effettivamente
utilizzato le prestazioni.
- 6.
- Il 28 gennaio 1994 il presidente della JCC in via di costituzione aveva chiesto al
Tribunale civile e penale di Milano l'omologazione, ai sensi dell'art. 2330, n. 3, del
codice civile italiano, dell'atto costitutivo della società. Con ordinanza 31 marzo
1994 il Tribunale aveva sospeso il procedimento di omologazione e sottoposto alla
Corte di giustizia due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione di vari
articoli del Trattato CE, da esso ritenuti rilevanti ai fini dell'emanazione del decreto
di omologazione dell'atto costitutivo della JCC.
- 7.
- Con sentenza 19 ottobre 1995 nella causa C-111/94, Job Centre (Racc. pag. I-3361),
la Corte ha dichiarato la propria incompetenza a pronunciarsi sulle questioni
sottopostele dal Tribunale civile e penale di Milano ritenendo che tale giudice,
nell'ambito di un procedimento di giurisdizione volontaria vertente su una domanda
di omologazione dell'atto costitutivo di una società per l'iscrizione di quest'ultima
nel relativo registro, esercitasse una funzione non giurisdizionale che, del resto, in
altri Stati membri è affidata ad un'autorità amministrativa. Infatti esso agisce come
autorità amministrativa senza dover nel contempo dirimere una controversia.
- 8.
- A seguito di tale sentenza, con decreto 18 dicembre 1995 il Tribunale civile e
penale di Milano ha respinto la domanda di omologazione dell'atto costitutivo
presentata dal rappresentante della JCC a motivo dell'accertato contrasto fra
l'oggetto sociale di quest'ultima e talune norme imperative della legislazione
italiana in materia di lavoro.
- 9.
- Contro tale diniego di omologazione la JCC ha proposto reclamo ex art. 2330,
quarto comma, del codice civile italiano, dinanzi alla Corte d'appello di Milano,
chiedendo l'annullamento del decreto del Tribunale e l'omologazione dell'atto
costitutivo della società.
- 10.
- La Corte d'appello, ritenendo che il reclamo della JCC sollevasse questioni di
interpretazione del diritto comunitario, ha deciso di sospendere il procedimento e
di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se le norme nazionali italiane di cui agli artt. 11, primo comma, della legge
29 aprile 1949, n. 264, e 1, primo comma, della legge 23 ottobre 1960,
n. 1369, comportanti il divieto di prestazione di qualsiasi attività di
mediazione e interposizione tra domanda e offerta di lavoro subordinato da
parte di soggetti diversi dagli uffici pubblici designati da dette norme,
possano ritenersi rientranti nell'esercizio dei pubblici poteri ai sensi del
combinato disposto degli artt. 66 e 55 del Trattato CE, considerato il
carattere pubblicistico attribuito loro dalla legge italiana in quanto norme
poste a tutela dei lavoratori e dell'economia nazionale.
2) Se dette norme, nella previsione generale che sottendono, debbano ritenersi
in contrasto con i principi di diritto comunitario posti dagli artt. 48, 49, 59,
60, 62, 86 e 90 del menzionato Trattato concernenti il diritto al lavoro, la
libertà di iniziativa economica, la libertà di circolazione dei lavoratori e delle
persone, la libertà di domanda e offerta delle prestazioni di lavoro e di
servizi, la libera e corretta concorrenza tra operatori economici, il divieto
di abuso di posizione dominante.
3) Se, nel caso in cui la richiamata legislazione dello Stato italiano in materia
di mediazione e interposizione del lavoro violi i principi di diritto
comunitario enunciati nel quesito precedente, le autorità giudiziarie e
amministrative di detto Stato membro debbano ritenersi tenute a dare
diretta applicazione a tali principi, consentendo che enti e imprese pubblici
e privati esercitino le attività di mediazione fra domanda e offerta di lavoro
e di fornitura di lavoro interinale, purché nel rispetto delle norme che
disciplinano il rapporto di lavoro e la previdenza obbligatoria e sotto i
controlli previsti dalla legge».
- 11.
- Dal fascicolo del giudizio a quo emerge che con tali questioni il giudice nazionale
domanda, in sostanza, se le disposizioni del Trattato in tema di libera circolazione
dei lavoratori, di libera prestazione dei servizi nonché di concorrenza ostino ad una
normativa nazionale che vieti qualunque attività di mediazione e di interposizione
nella domanda e offerta di lavoro che non sia svolta da enti pubblici di
collocamento.
- 12.
- Va ricordato che la JCC è una società cooperativa a responsabilità limitata, in via
di costituzione, che ha fatto valere nel giudizio a quo il diritto di svolgere l'attività
di mediazione fra domanda e offerta di lavoro subordinato e di fornitura
temporanea di manodopera.
- 13.
- Ora, nella parte in cui le questioni si richiamano alle disposizioni relative alla libera
circolazione dei lavoratori, basterà rilevare che l'applicabilità dell'art. 48 del
Trattato non può essere dedotta dalla presenza di lavoratori nel novero dei soci
fondatori, atteso che la società, una volta costituita ed entrata in attività, possiederà
personalità giuridica autonoma.
- 14.
- Ne consegue che le norme sulla libera circolazione dei lavoratori sono inconferenti
ai fini del giudizio a quo.
- 15.
- Nella parte in cui le questioni si richiamano agli artt. 86 e 90 del Trattato, esse
sollevano il problema della portata del diritto esclusivo concesso agli uffici pubblici
di collocamento e pertanto del divieto, con relativa comminazione di sanzioni
penali ed amministrative, di qualunque attività di mediazione e interposizione nella
domanda e offerta di lavoro da parte di imprese private.
- 16.
- Occorre pertanto affrontare in primo luogo l'interpretazione delle norme del
Trattato testé menzionate.
L'interpretazione degli artt. 86 e 90 del Trattato
- 17.
- La JCC afferma, in sostanza, che il divieto di qualsiasi attività di mediazione e
interposizione tra domanda e offerta di lavoro che non sia svolta da enti pubblici
è in contrasto con gli artt. 86 e 90 del Trattato, poiché gli uffici pubblici di
collocamento non sono in grado di soddisfare la domanda esistente sul mercato per
questo tipo di attività. A tale proposito la JCC si richiama in particolare alla
sentenza 23 aprile 1991 nella causa C-41/90, Höfner e Elser (Racc. pag. I-1979).
- 18.
- I governi tedesco e norvegese nonché la Commissione sostengono che il diritto
esclusivo di collocamento della manodopera dovrebbe essere valutato alla luce dei
principi ricavabili dalla citata sentenza Höfner e Elser.
- 19.
- Il governo italiano osserva anzitutto che la normativa su cui verte il giudizio a quo
non riconosce ad alcuna impresa diritti speciali o esclusivi in materia di appalto di
manodopera, ma si limita a vietare la mediazione e l'interposizione nei rapporti di
lavoro. Esso rileva poi che, considerate le particolari caratteristiche e le finalità
sociali del collocamento pubblico operante in Italia, un servizio del genere non può
essere considerato attività economica e quindi d'impresa. Infine sostiene che il
monopolio pubblico del collocamento non è atto ad arrecare i pregiudizi indicati
nell'art. 86, secondo comma, lett. b), del Trattato.
- 20.
- Tenuto conto di tali considerazioni, si deve accertare se un Ufficio pubblico di
collocamento, come un ente cui l'art. 11, n. 1, della legge n. 264 fa riferimento,
possa essere considerato un'impresa ai sensi degli artt. 85 e 86 del Trattato (v.
sentenza Höfner e Elser, loc. cit., punto 20).
- 21.
- A questo proposito si deve precisare che, nel contesto del diritto della concorrenza,
la nozione di impresa comprende qualsiasi entità che svolge un'attività economica,
a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento, e che
l'attività di collocamento di manodopera è un'attività economica.
- 22.
- La circostanza che le attività di collocamento siano di norma affidate a uffici
pubblici non incide sulla natura economica delle dette attività. Queste ultime non
sono sempre state né sono necessariamente svolte da enti pubblici.
- 23.
- Il governo italiano assume poi che, stando alla sentenza 17 febbraio 1993 nelle
cause riunite C-159/91 e C-160/91, Poucet e Pistre (Racc. pag. I-637), un ente
previdenziale che agisca in regime di monopolio non costituisce un'impresa ai sensi
dell'art. 86 del Trattato, posto che la Corte ha considerato, ai punti 18 e 19 della
detta sentenza, che un'attività del genere non costituisce attività economica essendoispirata a principi di solidarietà nazionale e del tutto sprovvista di finalità di lucro.
- 24.
- A questo proposito basta rilevare che, sebbene da tale sentenza emerga che la
gestione dei regimi previdenziali obbligatori come quelli descritti nelle ordinanze
di rinvio nella citata causa Poucet e Pistre non costituisce attività economica, a tale
conclusione si è giunti sulla scorta degli stessi criteri (v. sentenza Poucet e Pistre,
punto 17) che nella citata sentenza Höfner e Elser erano stati applicati per
concluderne che l'attività di collocamento di manodopera dev'essere qualificata
come attività di impresa ai sensi delle regole di concorrenza comunitarie.
- 25.
- Ne consegue che un ente come un ufficio pubblico di collocamento può essere
qualificato impresa ai fini dell'applicazione delle regole di concorrenza comunitarie.
- 26.
- Si deve precisare che gli uffici pubblici di collocamento i quali in forza della
normativa di uno Stato membro sono incaricati della gestione di servizi di interesse
economico generale, come quelli previsti dall'art. 11, n. 1, della legge n. 264,
restano soggetti alle regole di concorrenza conformemente all'art. 90, n. 2, del
Trattato, finché non sia provato che l'applicazione di queste regole è incompatibile
con lo svolgimento dei compiti loro affidati (v. sentenza 30 aprile 1974, causa
155/73, Sacchi, Racc. pag. 409, punto 15, e Höfner e Elser, loc. cit., punto 24).
- 27.
- Quanto al comportamento degli uffici pubblici di collocamento, che godono di un
diritto esclusivo garantito dal divieto di qualunque attività di mediazione e
interposizione nei rapporti di lavoro e dalla correlata comminazione di sanzioni
penali e amministrative del tipo di quelle previste dalle leggi nn. 264 e 1369, si deve
rilevare che l'applicazione dell'art. 86 del Trattato non è suscettibile di vanificare
il compito specifico affidato ai detti uffici qualora questi ultimi non siano
palesemente in grado di soddisfare la domanda esistente sul mercato per quanto
riguarda tale settore.
- 28.
- Se è innegabile che l'art. 86 si rivolge alle imprese e, nei limiti stabiliti dall'art. 90,
n. 2, può essere applicato alle imprese pubbliche o che dispongano di diritti speciali
o esclusivi, è altrettanto vero che il Trattato obbliga gli Stati membri ad astenersi
dall'emanare o dal mantenere in vigore provvedimenti che possano rendere
praticamente inefficace tale norma (v. sentenze 16 novembre 1977, causa 13/77,
Inno, Racc. pag. 2115, punti 31 e 32, e Höfner e Elser, loc. cit., punto 26). L'art. 90,
n. 1, vieta infatti agli Stati membri di emanare o mantenere in vigore nei confronti
delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi
provvedimenti contrari alle norme del Trattato, in particolare agli artt. da 85 a 94
incluso.
- 29.
- Di conseguenza, sarebbe incompatibile con le norme del Trattato qualsiasi
provvedimento con il quale uno Stato membro mantenga in vigore disposizioni di
legge che creino una situazione in base a cui un ufficio pubblico di collocamento
sarebbe necessariamente indotto a contravvenire alle disposizioni dell'art. 86.
- 30.
- A questo proposito, si deve ricordare in primo luogo che un'impresa titolare di un
monopolio legale può essere considerata occupare una posizione dominante ai
sensi dell'art. 86 del Trattato (v. sentenza 3 ottobre 1985, causa 311/84, CBEM,
Racc. pag. 3261, punto 16), e che il territorio di uno Stato membro su cui questo
monopolio si estende può costituire una parte sostanziale del mercato comune (v.
sentenza 9 novembre 1983, causa 322/81, Michelin/Commissione, Racc. pag. 3461,
punto 28).
- 31.
- Occorre precisare, in secondo luogo, che il semplice fatto di creare una siffatta
posizione dominante mediante l'attribuzione di un diritto esclusivo ai sensi
dell'art. 90, n. 1, non è, in quanto tale, incompatibile con l'art. 86 del Trattato (v.
le citate sentenze CBEM, punto 17; Höfner e Elser, punto 29; 19 maggio 1993,
causa C-320/91, Corbeau, Racc. pag. I-2533, punto 11, e 5 ottobre 1994, causa C-323/93, Centre d'insémination de la Crespelle, Racc. pag. I-5077, punto 18). Uno
Stato membro viola infatti i divieti contenuti in queste due disposizioni solo quando
l'impresa considerata è indotta, con il semplice esercizio del diritto esclusivo
conferitole, a sfruttare la sua posizione dominante in modo abusivo (v. sentenza 14
dicembre 1995, causa C-387/93, Banchero, Racc. pag. I-4663, punto 51).
- 32.
- Ai sensi dell'art. 86, secondo comma, lett. b), del Trattato siffatta pratica abusiva
può, in particolare, consistere in una limitazione della prestazione a danno dei
destinatari del servizio considerato.
- 33.
- Si deve rilevare a questo proposito che, come ha giustamente osservato la
Commissione, il mercato delle prestazioni di collocamento dei lavoratori è
estremamente vasto e altamente diversificato. La domanda e l'offerta di lavoro su
tale mercato comprendono tutti i settori produttivi e si riferiscono ad una gamma
di attività lavorative che va dalla manovalanza non qualificata sino alle qualifiche
professionali più elevate e rare.
- 34.
- In un mercato così esteso e differenziato, per di più soggetto, a causa dello sviluppo
economico e sociale, a grandi mutamenti, gli uffici pubblici di collocamento
rischiano di non essere in grado di soddisfare una parte rilevante di tutte le
domande di prestazioni.
- 35.
- Ora, vietando, a pena di sanzioni penali e amministrative, qualunque attività di
mediazione e interposizione tra la domanda e l'offerta di lavoro che non sia svolta
da uffici pubblici di collocamento, uno Stato membro dà origine ad una situazione
in cui la prestazione viene limitata, ai sensi dell'art. 86, secondo comma, lett. b), del
Trattato, quando i detti uffici non sono palesemente in grado di soddisfare, per tutti
i tipi di attività, la domanda esistente sul mercato del lavoro.
- 36.
- Si deve rilevare, in terzo luogo, che la responsabilità che incombe a uno Stato
membro ai sensi degli artt. 86 e 90, n. 1, del Trattato sorge solo se il
comportamento abusivo dell'ufficio pubblico di collocamento considerato sia
suscettibile di incidere sugli scambi tra gli Stati membri. Affinché ricorra tale
presupposto di applicazione non è necessario che il comportamento abusivo di cui
trattasi abbia effettivamente pregiudicato i detti scambi. E' sufficiente dimostrare
che tale comportamento è atto a produrre questo effetto (v. sentenza
Michelin/Commissione, loc. cit., punto 104).
- 37.
- Un effetto potenziale del genere sugli scambi tra Stati esiste in particolare quando
le attività di collocamento di manodopera svolte da imprese private possono
estendersi ai cittadini o ai territori di altri Stati membri.
- 38.
- Alla luce del complesso delle considerazioni sin qui svolte, le questioni vanno
risolte nel senso che gli uffici pubblici di collocamento sono soggetti al divieto
dell'art. 86 del Trattato nei limiti in cui l'applicazione di questa disposizione non
vanifichi il compito particolare loro conferito. Lo Stato membro che vieti qualunque
attività di mediazione e interposizione tra domanda e offerta di lavoro che non sia
svolta dai detti uffici trasgredisce l'art. 90, n. 1, del Trattato se dà origine ad una
situazione in cui gli uffici pubblici di collocamento saranno necessariamente indotti
a contravvenire alle disposizioni dell'art. 86 del Trattato. Ciò si verifica in
particolare qualora ricorrano i seguenti presupposti:
gli uffici pubblici di collocamento non sono palesemente in grado di
soddisfare, per tutti i tipi di attività, la domanda esistente sul mercato del
lavoro;
l'espletamento effettivo delle attività di collocamento da parte delle imprese
private viene reso impossibile dal mantenimento in vigore di disposizioni di
legge che vietano le dette attività comminando sanzioni penali e
amministrative;
le attività di collocamento di cui trattasi possono estendersi a cittadini o
territori di altri Stati membri.
Sull'interpretazione degli artt. 59 e seguenti del Trattato
- 39.
- Posto che il divieto di qualunque attività di mediazione e interposizione della
domanda di offerta di lavoro che non sia svolta dagli uffici pubblici di
collocamento, come quello su cui vertono le questioni pregiudiziali, è in contrasto
con gli artt. 86 e 90, n. 1, del Trattato alle condizioni indicate nel punto 38 della
presente sentenza, non occorre pronunciarsi sull'interpretazione degli artt. 59 e
seguenti del Trattato.
Sulle spese
- 40.
- Le spese sostenute dai governi italiano, tedesco e norvegese nonché dalla
Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla
Corte, non sono ripetibili. Nei confronti delle parti nella causa principale il
presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi pronunciarsi sulle spese.
Per questi motivi,
LA CORTE (Sesta Sezione),
pronunciandosi sulle questioni sottopostele dalla Corte d'appello di Milano con
ordinanza 30 gennaio 1996, dichiara:
1) Gli uffici pubblici di collocamento sono soggetti al divieto dell'art. 86 del
Trattato nei limiti in cui l'applicazione di tale disposizione non vanifichi il
compito particolare loro conferito. Lo Stato membro che vieti qualunque
attività di mediazione e interposizione tra domanda e offerta di lavoro che
non sia svolta dai detti uffici trasgredisce l'art. 90, n. 1, del Trattato CE se
dà origine ad una situazione in cui gli uffici pubblici di collocamento
saranno necessariamente indotti a contravvenire alle disposizioni
dell'art. 86 del Trattato. Ciò si verifica in particolare qualora ricorrano i
seguenti presupposti:
gli uffici pubblici di collocamento non sono palesemente in grado di
soddisfare, per tutti i tipi di attività, la domanda esistente sul mercato del
lavoro;
l'espletamento effettivo delle attività di collocamento da parte delle imprese
private viene reso impossibile dal mantenimento in vigore di disposizioni
di legge che vietano le dette attività comminando sanzioni penali e
amministrative;
le attività di collocamento di cui trattasi possono estendersi a cittadini o
territori di altri Stati membri.
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l'11 dicembre 1997.
Il cancelliere
Il presidente della Sesta Sezione
R. Grass
H. Ragnemalm