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SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)

11 novembre 1999 (1)

«Accordo di cooperazione CEE-Marocco — Art. 41, n. 1 —

Principio della parità di trattamento in materia di previdenza sociale —

Ambito d'applicazione personale»

Nel procedimento C-179/98,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dalla Cour du travail di Bruxelles (Belgio), nella causa dinanzi ad essa pendente tra

Stato belga

e

Fatna Mesbah,

domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 41, n. 1, dell'Accordo di cooperazione tra la Comunità economica europea e il Regno del Marocco, firmato a Rabat il 27 aprile 1976 e approvato, a nome della Comunità, con regolamento (CEE) del Consiglio 26 settembre 1978, n. 2211 (GU L 264, pag. 1),

LA CORTE (Sesta Sezione),

composta dai signori R. Schintgen (relatore), presidente della Seconda Sezione, facente funzione di presidente della Sesta Sezione, P.J.G. Kapteyn e H. Ragnemalm, giudici,

avvocato generale: S. Alber


cancelliere: signora D. Louterman-Hubeau, amministratore principale

viste le osservazioni scritte presentate:

—    per la signora Mesbah, dall'avv. M. Mikolajczak, del foro di Nivelles;

—    per il governo belga, dal signor J. Devadder, direttore generale del servizio giuridico del ministero degli Affari esteri, del Commercio con l'estero e della Cooperazione allo sviluppo, in qualità di agente;

—    per il governo tedesco, dai signori E. Röder e C.-D. Quassowski, rispettivamente Ministerialrat e Regierungsdirektor presso il ministero federale dell'Economia, in qualità di agenti;

—    per il governo francese, dalle signore K. Rispal-Bellanger, vicedirettore della sezione Diritto internazionale dell'economia e diritto comunitario presso la direzione «Affari giuridici» del ministero degli Affari esteri, e A. de Bourgoing, chargé de mission presso la medesima direzione, in qualità di agenti;

—    per il governo del Regno Unito, dalla signora S. Ridley, del Treasury Solicitor's Department, in qualità di agente, assistita dal signor M. Hoskins, barrister;

—    per la Commissione delle Comunità europee, dalla signora M. Wolfcarius, membro del servizio giuridico, in qualità di agente,

vista la relazione d'udienza,

sentite le osservazioni orali del governo belga, rappresentato dalla signora A. Snoecx, consigliere presso il ministero degli Affari esteri, del Commercio con l'estero e della Cooperazione allo sviluppo, in qualità di agente, del governo francese, rappresentato dalla signora A. de Bourgoing, del governo del Regno Unito, rappresentato dal signor M. Hoskins, e della Commissione, rappresentata dalla signora M. Wolfcarius, all'udienza del 25 marzo 1999,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 18 maggio 1999,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1.
    Con sentenza 11 maggio 1998, pervenuta nella cancelleria il 15 maggio seguente, la Cour du travail di Bruxelles ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione dell'art. 41, n. 1, dell'Accordo di cooperazione tra la Comunità economica europea ed il Regno del Marocco, firmato a Rabat il 27 aprile 1976 e approvato, a nome della Comunità, con regolamento (CEE) del Consiglio 26 settembre 1978, n. 2211 (GU L 264, pag. 1; in prosieguo: l'«Accordo»).

2.
    Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia sorta tra la signora Mesbah, cittadina marocchina, e lo Stato belga in ordine al diniego di concessione alla prima di un assegno per persone disabili.

3.
    Emerge dal fascicolo della causa a qua che la signora Mesbah risiede in Belgio dal 10 settembre 1985 e che in tale paese convive nel nucleo familiare di sua figlia e suo genero.

4.
    Questi ultimi, di origine e cittadinanza marocchine entrambi, hanno acquistato la cittadinanza belga per naturalizzazione, stando a quanto riferisce nella sentenza il giudice proponente, «a quanto risulta alla metà degli anni '70». Facendo seguito a un quesito rivoltogli dalla Corte su tale punto, il governo belga ha informato la stessa che il genero della signora Mesbah possiede la cittadinanza belga dal 2 settembre 1985. Peraltro, il patrocinante della signora Mesbah ha allegato alle osservazioni scritte da lui depositate dinanzi alla Corte un attestato del Console generale del Regno del Marocco in Bruxelles, dal quale risulta che, alla data del 27 luglio 1998, il genero della resistente nella causa a qua era ancora cittadino marocchino.

5.
    E' accertato che il genero della signora Mesbah ha esercitato attività lavorativa in Belgio dal 1964 al 1989 e che, dopo il collocamento a riposo, ha seguitato a risiedere in questo Stato membro insieme con il coniuge.

6.
    Il 22 marzo 1995 la signora Mesbah, che è disabile fisica e non ha mai esercitato attività lavorativa in Belgio, richiedeva la concessione di un assegno per persone disabili a norma della legge belga 27 febbraio 1987 (Moniteur belge 1° aprile 1987, pag. 4832).

7.
    L'art. 4, n. 1, di questa legge, come modificato dalla legge 20 luglio 1991 (Moniteur belge 1° agosto 1991, pag. 16951), dispone che per ottenere un assegno per persone disabili è necessario avere la residenza effettiva in Belgio ed essere cittadini belgi, cittadini di un altro Stato membro della Comunità, apolidi o di cittadinanza indeterminata, essere profughi o aver fruito fino all'età di 21 anni della

maggiorazione dell'assegno di famiglia prevista dalla normativa belga. La legge 20 luglio 1991 è entrata in vigore il 1° gennaio 1992.

8.
    L'8 marzo 1996 le competenti autorità belghe respingevano la domanda inoltrata dalla signora Mesbah sul motivo che quest'ultima non soddisfaceva il requisito della cittadinanza stabilito dall'art. 4, n. 1, della legge 27 febbraio 1987, come modificata.

9.
    Il 22 marzo seguente la signora Mesbah proponeva un ricorso avverso questa decisione dinanzi al Tribunal du travail di Nivelles, deducendo che essa era stata adottata contravvenendo all'art. 41, n. 1, dell'Accordo.

10.
    Ai sensi di quest'ultima disposizione, «(...) i lavoratori di cittadinanza marocchina e i loro familiari conviventi godono, nel settore della previdenza sociale, di un regime caratterizzato dall'assenza di qualsiasi discriminazione a motivo della cittadinanza rispetto ai cittadini degli Stati membri nei quali sono occupati».

11.
    Secondo la signora Mesbah, da questa disposizione discende che l'Accordo vieta alle autorità di uno Stato membro di far leva sulla cittadinanza marocchina del richiedente per negare a quest'ultimo il riconoscimento delle prestazioni previdenziali richieste.

12.
    Con sentenza 16 maggio 1997, il Tribunal du travail di Nivelles accoglieva il ricorso della signora Mesbah, annullando la decisione con cui le era stato negato l'assegno per persone disabili.

13.
    Il 15 giugno seguente lo Stato belga impugnava tale sentenza dinanzi alla Cour du travail di Bruxelles, deducendo che la signora Mesbah era cittadina marocchina e che pertanto, a norma della legge belga, non aveva diritto all'assegno richiesto.

14.
    Questo giudice constatava che, conformemente a una giurisprudenza costante (v., segnatamente, sentenze 31 gennaio 1991, causa C-18/90, Kziber, Racc. pag. I-199, e 20 aprile 1994, causa C-58/93, Yousfi, Racc. pag. I-1353), l'art. 41, n. 1, dell'Accordo è dotato di effetto diretto, con la conseguenza che la signora Mesbah poteva far valere questa disposizione dinanzi ai giudici nazionali. Esso statuiva altresì che, in forza di questa stessa giurisprudenza, un assegno per persone disabili quale quello previsto dalla legge belga 27 febbraio 1987, come modificata, rientrava nell'ambito di applicazione materiale di questa disposizione.

15.
    Secondo la Cour du travail, restava tuttavia ancora da determinare entro quali limiti un «familiare» di un lavoratore marocchino, che non avesse mai intrapreso un'attività lavorativa atta a far conseguire diritti a prestazioni previdenziali, rientrasse nell'ambito d'applicazione personale dell'art. 41, n. 1, dell'Accordo, a titolo dell'attività presente o passata svolta da un familiare.

16.
    Al riguardo, il giudice proponente riteneva la detta disposizione applicabile ai lavoratori cittadini marocchini, in attività o a riposo, e ai loro familiari residenti con

essi nello Stato membro ospitante. Inoltre, esso richiamava la sentenza 15 gennaio 1998, causa C-113/97, Babahenini (Racc. pag. I-183, punto 32), per respingere l'argomento dello Stato belga secondo il quale la signora Mesbah, che non aveva mai avuto direttamente la qualità di lavoratrice, non poteva rivendicare un assegno per persone disabili in forza della legge belga in quanto questa prestazione era considerata dalla disciplina nazionale alla stregua di un diritto autonomo, e non di un diritto derivato suscettibile di essere acquisito dalla resistente nella causa a qua grazie al suo status di familiare di un lavoratore migrante.

17.
    La Cour du travail rilevava tuttavia, da un lato, che al 22 marzo 1995, data in cui era stata presentata la domanda di assegno per persone disabili, la signora Mesbah era l'unica persona del nucleo familiare di suo genero e sua figlia ad aver mantenuto la cittadinanza marocchina. Questi ultimi avrebbero infatti acquistato la cittadinanza belga anteriormente a tale data. Sorgeva pertanto la questione se la signora Mesbah dovesse ancora essere considerata familiare di un «lavoratore marocchino» ai sensi dell'art. 41, n. 1, dell'Accordo. D'altro lato, poiché questa disposizione non contiene alcuna definizione della nozione di «familiare», occorreva chiedersi fino a quale grado di parentela tale nozione potesse essere ampliata e se potesse applicarsi a persone che, come nel caso di specie, avevano tra loro solo un legame di affinità.

18.
    Reputando quindi che la controversia prospettasse problemi d'interpretazione del diritto comunitario, la Cour du travail di Bruxelles disponeva la sospensione del procedimento e sottoponeva alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)    Se un familiare di un lavoratore di origine marocchina, che abbia tuttavia acquistato in seguito la cittadinanza belga, possa continuare a valersi dell'art. 41, n. 1, dell'Accordo di cooperazione tra la Comunità economica europea e il Regno del Marocco, firmato a Rabat il 27 aprile 1976 e approvato, a nome della Comunità, con regolamento (CEE) del Consiglio 26 settembre 1978, n. 2211, ed invocare a proprio favore il principio ad esso riconnesso che vieta le discriminazioni nei confronti dei ”lavoratori marocchini” e dei ”familiari” conviventi.

2)    Fino a quale grado di parentela — in linea diretta e/o collaterale — la nozione di ”famiglia” di cui all'art. 41, n. 1, del citato Accordo CEE-Marocco possa essere estesa ed applicarsi anche a persone aventi la cittadinanza marocchina e strette tra loro solo da un vincolo di affinità».

Sulla prima questione

19.
    E' accertato che, alla data della domanda di assegno per persone disabili controversa nella causa a qua, così come durante gli anni fra il 1992 e il 1995, costituenti il periodo di riferimento preso in considerazione dalla normativa

nazionale per l'attribuzione del detto assegno, la signora Mesbah era cittadina marocchina.

20.
    Tuttavia, questo requisito non è sufficiente affinché un familiare del lavoratore migrante marocchino residente nello Stato membro ospitante possa far valere il principio che vieta qualsiasi discriminazione in materia di previdenza sociale, enunciato all'art. 41, n. 1, dell'Accordo.

21.
    Invero, come risulta dallo stesso tenore di questa disposizione, possono giovarsi di questo principio i lavoratori aventi la cittadinanza marocchina e i loro familiari conviventi nello Stato membro ospitante.

22.
    Pur essendo pacifico che nel periodo considerato, in conformità della legge nazionale applicabile, la signora Mesbah faceva effettivamente parte del nucleo familiare di un lavoratore migrante nello Stato membro nel cui territorio quest'ultimo era o era stato occupato, nel caso di specie quello di suo genero in Belgio, paese nel quale questi percepisce una pensione di vecchiaia dopo avervi esercitato un'attività lavorativa, la controversia verte invece sulla cittadinanza di tale lavoratore, dal quale la resistente nella causa a qua può derivare il proprio titolo per godere di un assegno per persone disabili in forza della normativa dello Stato membro ospitante e alle stesse condizioni dei cittadini di questo Stato.

23.
    Stando al tenore dell'art. 41, n. 1, dell'Accordo, il familiare non può far valere il divieto di discriminazioni a motivo della cittadinanza, enunciato in tale articolo, se non nei limiti in cui il lavoratore migrante presso il quale risiede possegga la cittadinanza marocchina.

24.
    Sul punto, la Cour du travail ha accertato, nella sentenza di rinvio, che il generoe la figlia della signora Mesbah hanno acquistato la cittadinanza belga per naturalizzazione «a quanto risulta alla metà degli anni '70». Il giudice proponente è partito dal presupposto che, per via di tale acquisto, il genero della resistente nella causa a qua avesse necessariamente perduto la cittadinanza marocchina, avendo accertato che al 22 marzo 1995, data di presentazione della domanda di assegno per persone disabili di cui trattasi nella causa a qua, la signora Mesbah era l'unica persona del nucleo familiare composto dall'interessata, dal genero e dalla figlia ad aver conservato la cittadinanza marocchina.

25.
    Nel corso del procedimento dinanzi alla Corte, la resistente nella causa a qua ed il governo belga hanno tuttavia fatto valere, in maniera concordante e producendo, rispettivamente, un certificato di cittadinanza rilasciato dall'Ufficiale dello stato civile del comune di residenza del genero della signora Mesbah e un estratto del registro nazionale, che quest'ultimo è cittadino belga dal 2 settembre 1995. Inoltre è stato prodotto un attestato del Console generale del Regno del Marocco in Bruxelles dal quale risulta che, il 27 luglio 1998, il genero della signora Mesbah possedeva la cittadinanza marocchina.

26.
    Ciò premesso, per poter indicare al giudice proponente una risposta utile per la soluzione della controversia che è chiamato a dirimere e tenuto conto del fatto che le parti che hanno presentato osservazioni scritte e orali dinanzi alla Corte hanno espressamente preso posizione al riguardo, è necessario stabilire, nel caso di specie, se un familiare di un lavoratore migrante avente cittadinanza marocchina, allorché tale lavoratore ha acquistato la cittadinanza dello Stato membro ospitante prima della data alla quale tale familiare ha cominciato a risiedere presso di lui nel detto Stato membro ed ha richiesto l'attribuzione di una prestazione previdenziale in forza della normativa dello stesso Stato, possa avvalersi della cittadinanza marocchina del detto lavoratore allo scopo di potersi giovare del principio della parità di trattamento in materia di previdenza sociale enunciato da questa disposizione.

27.
    Sul punto, il governo belga sostiene che, supponendo anche che il lavoratore migrante debba considerarsi aver conservato la cittadinanza marocchina in base al diritto marocchino, ciò non toglie che, ai fini dell'applicazione della legge belga, egli va considerato essere in possesso esclusivamente della cittadinanza belga. Del pari non sarebbe possibile che un suo familiare si avvalga in Belgio della cittadinanza marocchina del lavoratore per farsi attribuire una prestazione previdenziale prevista dalla legge belga.

28.
    La Commissione obietta che, nell'ipotesi in cui il lavoratore dal quale il suo familiare deriva diritti alla concessione di una prestazione previdenziale quale quella controversa nella causa a qua possegga la cittadinanza sia dello Stato d'origine sia dello Stato membro ospitante, si evince per analogia dalla sentenza 7 luglio 1992, causa C-369/90, Micheletti e a. (Racc. pag. I-4239), che il diritto comunitario osta a che lo Stato membro ospitante impedisca a tale familiare di rivendicare la cittadinanza marocchina del lavoratore per potersi valere del principio della parità di trattamento in materia previdenziale sancito a suo favore dall'art. 41, n. 1, dell'Accordo, per il solo motivo che la normativa di questo Stato membro consideri tale lavoratore esclusivamente un suo cittadino.

29.
    Va ricordato che, come la Corte ha statuito al punto 10 della citata sentenza Micheletti e a., la determinazione dei modi di acquisto e di perdita della cittadinanza rientra, in conformità al diritto internazionale, nella competenza di ciascuno Stato membro, competenza che deve essere esercitata nel rispetto del diritto comunitario.

30.
    Nella citata sentenza Micheletti e a., la Corte ha quindi dichiarato che le disposizioni di diritto comunitario in materia di libertà di stabilimento ostano a che uno Stato membro neghi ad un cittadino di un altro Stato membro, che è simultaneamente in possesso della cittadinanza di uno Stato terzo, il diritto di avvalersi di detta libertà per il solo motivo che la legislazione dello Stato ospitante lo considera come cittadino dello Stato terzo.

31.
    La Corte ha infatti rilevato che non compete alla normativa di uno Stato membro il potere di restringere gli effetti dell'attribuzione della cittadinanza di un altro Stato membro, prescrivendo un requisito supplementare, quale la residenza abituale dell'interessato nel territorio dello Stato membro di cui possiede la cittadinanza prima del suo arrivo nello Stato membro ospitante, per poter ottenere il riconoscimento di questa cittadinanza ai fini dell'esercizio delle libertà fondamentali sancite dal Trattato. Tanto più s'impone questa conclusione in quanto ammettere una tale possibilità avrebbe come conseguenza che il campo di applicazione ratione personae delle norme comunitarie sulla libertà di stabilimento potrebbe variare da uno Stato membro all'altro (sentenza Micheletti e a., citata, punti 10-12).

32.
    La Corte ha conseguentemente dichiarato che, qualora l'interessato dimostri il proprio status di cittadino di uno Stato membro, gli altri Stati membri non hanno il diritto di contestare tale status per il solo motivo che l'interessato sia simultaneamente in possesso della cittadinanza di uno Stato terzo la quale, in forza della legislazione dello Stato ospitante, prevale su quella dello Stato membro (sentenza Micheletti e a., citata, punto 14).

33.
    E' giocoforza rilevare, tuttavia, che le circostanze che caratterizzano la controversia nella causa a qua differiscono da quelle oggetto della citata causa Micheletti e a.

34.
    Infatti, nella causa a qua il lavoratore migrante possiede, oltre alla cittadinanza di un paese terzo, quella dello stesso Stato membro nel quale ha stabilito la propria residenza ed esercitato la propria attività lavorativa.

35.
    Inoltre, questo Stato membro ospitante nega a un familiare del lavoratore, che fonda i propri diritti sullo status di quest'ultimo a norma dell'art. 41, n. 1, dell'Accordo, la facoltà di avvalersi non già della cittadinanza di un altro Stato membro, bensì di quella di un paese terzo posseduta da tale lavoratore.

36.
    Per giunta, contrariamente alla citata causa Micheletti e a., che verteva sulla libertà di stabilimento sancita dal Trattato, la normativa dello Stato membro che viene opposta alla signora Mesbah non incide su alcuna libertà fondamentale di circolazione, poiché l'Accordo non ha lo scopo di realizzare la libera circolazione dei cittadini marocchini all'interno della Comunità, ma tende unicamente a consolidare la situazione sociale dei lavoratori marocchini e dei loro familiari conviventi esclusivamente nello Stato membro ospitante.

37.
    Ciò posto, la soluzione fornita nella citata sentenza Micheletti e a., riguardante una situazione giuridica differente da quella oggetto della causa a qua, non può essere trasposta a quest'ultima.

38.
    Conseguentemente, l'argomento addotto al riguardo dalla Commissione non può essere accolto.

39.
    Ne discende che il diritto comunitario non osta a che lo Stato membro ospitante precluda ad un familiare di un lavoratore avente cittadinanza belga, che abbia conservato la cittadinanza marocchina in base al diritto marocchino, la facoltà di rivendicare la cittadinanza marocchina di questo lavoratore al fine di giovarsi del principio della parità di trattamento in materia di previdenza sociale sancito a suo favore dall'art. 41, n. 1, dell'Accordo, per il solo motivo che la normativa di questo Stato membro considera questo lavoratore esclusivamente un cittadino di quest'ultimo.

40.
    Compete pertanto al solo giudice proponente, nell'ambito della sua competenza esclusiva per interpretare ed applicare il proprio diritto nazionale nella controversia che è chiamato a dirimere, accertare la cittadinanza del genero della signora Mesbah in conformità del diritto belga, in particolare della legge sulla cittadinanza e del diritto internazionale privato, applicabile alla data di presentazione della controversa domanda di assegno per persone disabili, nonché durante i periodi di riferimento pertinenti ai fini della valutazione del diritto all'assegnazione di questa prestazione previdenziale.

41.
    Alla luce del complesso delle considerazioni sopra svolte, la prima questione va risolta nel senso che un familiare di un lavoratore migrante avente cittadinanza marocchina, allorché quest'ultimo ha acquistato la cittadinanza dello Stato membro ospitante prima della data in cui tale familiare ha cominciato a risiedere presso di lui nel detto Stato membro ed ha richiesto l'attribuzione di una prestazione previdenziale in forza della normativa di questo Stato, non può richiamarsi all'art. 41, n. 1, dell'Accordo e far leva sulla cittadinanza marocchina del detto lavoratore al fine di giovarsi del principio della parità di trattamento in materia di previdenza sociale enunciato da questa disposizione.

Tale familiare di un lavoratore migrante marocchino, allorché quest'ultimo possiede simultaneamente la cittadinanza dello Stato membro ospitante, non può far valere la cittadinanza marocchina del lavoratore ai fini dell'applicazione dell'art. 41, n. 1, dell'Accordo, se non in base al diritto dello Stato membro considerato, diritto la cui interpretazione ed applicazione sono tuttavia riservate esclusivamente al giudice nazionale nell'ambito della controversia che è chiamato a dirimere.

Sulla seconda questione

42.
    Per risolvere tale questione, occorre anzitutto ricordare che l'art. 41, n. 1, dell'Accordo riconosce la possibilità di avvalersi del principio che vieta qualsiasi discriminazione in materia di previdenza sociale non soltanto allo stesso lavoratore migrante marocchino, ma anche ai suoi familiari conviventi.

43.
    Questa disposizione non contiene tuttavia alcuna definizione della nozione di «familiare» del lavoratore.

44.
    Si evince tuttavia dalla stessa formulazione della detta disposizione che la regola di uguaglianza in essa enunciata non è disposta solo a favore del coniuge e dei figli del lavoratore migrante. Infatti, l'art. 41, n. 1, dell'Accordo fa uso dell'espressione più generica «familiari» del lavoratore e questa può pertanto altresì riferirsi ad altri congiunti di quest'ultimo, quali in particolare i suoi ascendenti.

45.
    Peraltro, la detta disposizione non contiene alcun indizio atto a far ritenere che la portata della nozione di «familiari» sia limitata ai consanguinei del lavoratore.

46.
    Discende da quanto sopra che la nozione di «familiari», ai sensi dell'art. 41, n. 1, dell'Accordo, non riguarda soltanto il coniuge e i discendenti del lavoratore, ma altresì le persone che abbiano uno stretto legame di parentela con quest'ultimo, quali in particolare i suoi ascendenti, compresi gli affini, alla condizione espressa, tuttavia, che tali persone risiedano effettivamente con il lavoratore.

47.
    Ne consegue che una persona come la resistente nella causa a qua, madre del coniuge del lavoratore migrante e dal 1985 ininterrottamente facente parte del nucleo familiare di sua figlia e suo genero nello Stato membro ospitante, dev'essere considerata familiare del lavoratore ai sensi dell'art. 41, n. 1, dell'Accordo.

48.
    Pertanto, la seconda questione pregiudiziale dev'essere risolta nel senso che la nozione di «familiari» del lavoratore migrante marocchino, ai sensi dell'art. 41, n. 1, dell'Accordo, deve intendersi ricomprendere gli ascendenti di questo lavoratore e del coniuge con lui residenti nello Stato membro ospitante.

Sulle spese

49.
    Le spese sostenute dai governi belga, tedesco, francese e del Regno Unito, nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Per questi motivi,

LA CORTE (Sesta Sezione),

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dalla Cour du travail di Bruxelles, con sentenza 11 maggio 1998, dichiara:

1)    Un familiare di un lavoratore migrante avente cittadinanza marocchina, allorché quest'ultimo ha acquistato la cittadinanza dello Stato membro ospitante prima della data in cui tale familiare ha cominciato a risiedere presso di lui nel detto Stato membro ed ha richiesto l'attribuzione di una

prestazione previdenziale in forza della normativa di questo Stato, non può richiamarsi all'art. 41, n. 1, dell'Accordo di cooperazione tra la Comunità economica europea e il Regno del Marocco, firmato a Rabat il 27 aprile 1976 e approvato, a nome della Comunità, con regolamento (CEE) del Consiglio 26 settembre 1978, n. 2211, e far leva sulla cittadinanza marocchina del detto lavoratore al fine di giovarsi del principio della parità di trattamento in materia di previdenza sociale enunciato da questa disposizione.

    Tale familiare di un lavoratore migrante marocchino, allorché quest'ultimo possiede simultaneamente la cittadinanza dello Stato membro ospitante, non può far valere la cittadinanza marocchina del lavoratore ai fini dell'applicazione dell'art. 41, n. 1, del detto Accordo, se non in base al diritto dello Stato membro considerato, diritto la cui interpretazione ed applicazione sono tuttavia riservate esclusivamente al giudice nazionale nell'ambito della controversia che è chiamato a dirimere.

2)    La nozione di «familiari» del lavoratore migrante marocchino, ai sensidell'art. 41, n. 1, del citato Accordo, deve intendersi ricomprendere gli ascendenti di questo lavoratore e del coniuge con lui residenti nello Stato membro ospitante.

Schintgen
Kapteyn
Ragnemalm

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l'11 novembre 1999.

Il cancelliere

Il presidente della Sesta Sezione

R. Grass

J.C. Moitinho de Almeida


1: Lingua processuale: il francese.