Language of document : ECLI:EU:T:2023:169

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

21 dicembre 2023 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione europea – Articoli 21 e 45 TFUE – Diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Lavoratore che ha acquisito la cittadinanza dello Stato membro ospitante conservando al contempo la propria cittadinanza originaria – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 3 – Aventi diritto – Articolo 2, punto 2, lettera d) – Familiare – Ascendenti diretti a carico di un lavoratore cittadino dell’Unione – Articolo 7, paragrafo 1, lettere a) e d) – Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi – Conservazione dello status di persona a carico nello Stato membro ospitante – Articolo 14, paragrafo 2 – Mantenimento del diritto di soggiorno – Regolamento (UE) n. 492/2011 – Articolo 7, paragrafo 2 – Parità di trattamento – Vantaggi sociali – Prestazioni di assistenza sociale – Onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante»

Nella causa C‑488/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Court of Appeal (Corte d’appello, Irlanda), con decisione del 27 luglio 2021, pervenuta in cancelleria il 10 agosto 2021, nel procedimento

GV

contro

Chief Appeals Officer,

Social Welfare Appeals Office,

The Minister for Employment Affairs and Social Protection,

Irlanda,

The Attorney General,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, L. Bay Larsen, vicepresidente, A. Arabadjiev, A. Prechal, E. Regan, F. Biltgen e N. Piçarra, presidenti di sezione, S. Rodin, P.G. Xuereb, L.S. Rossi, A. Kumin (relatore), N. Wahl, I. Ziemele, D. Gratsias e M.L. Arastey Sahún, giudici,

avvocato generale: T. Ćapeta

cancelliere: C. Strömholm, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 18 ottobre 2022,

considerate le osservazioni presentate:

–        per GV, da D. Shortall, SC, P. Brazil, BL, e S. Kirwan, solicitor;

–        per il Chief Appeals Officer, il Social Welfare Appeals Office, il Minister for Employment Affairs and Social Protection, l’Irlanda e l’Attorney General, da M. Browne, Chief State Solicitor, A. Delaney e A. Joyce, in qualità di agenti, assistiti da N.J. Travers, SC, e A. Carroll, BL;

–        per il governo ceco, da M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;

–        per il governo danese, da M. Jespersen, C. Maertens, V. Pasternak Jørgensen, M. Søndahl Wolff e Y.T. Thyregod Kollberg, in qualità di agenti;

–        per il governo tedesco, da J. Möller, R. Kanitz e N. Scheffel, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da E. Montaguti e J. Tomkin, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 febbraio 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, e rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, GU 2005, L 197, pag. 34, nonché GU 2007, L 204, pag. 28).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, GV e, dall’altro, il Chief Appeals Officer (Capo dell’Ufficio ricorsi, Irlanda), il Social Welfare Appeals Office (Ufficio ricorsi in materia di protezione sociale, Irlanda), il Minister for Employment Affairs and Social Protection (Ministro del Lavoro e della Protezione sociale, Irlanda), l’Irlanda e l’Attorney General (procuratore generale, Irlanda), in relazione alla concessione di un assegno di invalidità a GV (in prosieguo: l’«assegno di invalidità»).

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

 Regolamento (CE) n. 883/2004

3        Il titolo III del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU 2004, L 166, pag. 1, e rettifiche in GU 2004, L 200, pag. 1, nonché GU 2007, L 204, pag. 30; in prosieguo: il «regolamento n. 883/2004»), contiene un capitolo 9, intitolato «Prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo». In tale capitolo, l’articolo 70 di detto regolamento, a sua volta intitolato «Disposizione generale», prevede quanto segue:

«1.      Il presente articolo si applica alle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo previste dalla legislazione la quale, a causa del suo ambito di applicazione ratione personae, dei suoi obiettivi e/o delle condizioni di ammissibilità, ha caratteristiche tanto della legislazione in materia di sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, quanto di quella relativa all’assistenza sociale.

2.      Ai fini del presente capitolo, le “prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo” sono quelle:

(...)

c)      (…) elencate nell’allegato X.

(...)».

4        L’allegato X di detto regolamento, che elenca le «[p]restazioni speciali in denaro di carattere non contributivo», ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 2, lettera c), del medesimo regolamento, prevede che, per quanto riguarda l’Irlanda, tra tali prestazioni figurino l’«assegno d’invalidità (legge consolidata del 2005 [sulla protezione] sociale, terza parte, capitolo 10».

 Regolamento (UE) n. 492/2011

5        L’articolo 7 del regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione (GU 2011, L 141, pag. 1), ai paragrafi 1 e 2 così prevede:

«1.      Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato.

2.      Egli gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali».

 Direttiva 2004/38

6        Ai sensi dei considerando 3 e 5 della direttiva 2004/38:

«(3)      La cittadinanza dell’Unione [europea] dovrebbe costituire lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri quando essi esercitano il loro diritto di libera circolazione e di soggiorno. È pertanto necessario codificare e rivedere gli strumenti comunitari esistenti che trattano separatamente di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi, studenti ed altre persone inattive al fine di semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione.

(...)

(5)      Il diritto di ciascun cittadino dell’Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri presuppone, affinché possa essere esercitato in oggettive condizioni di libertà e di dignità, la concessione di un analogo diritto ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza (…)».

7        L’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», al punto 2, lettera d), così recita:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

2)      “familiare”:

(...)

d)      gli ascendenti diretti a carico (...)».

8        L’articolo 3 di detta direttiva, intitolato «Aventi diritto», al suo paragrafo 1 così dispone:

«La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo».

9        Il capo III della direttiva 2004/38, intitolato «Diritto di soggiorno», comprende, in particolare, gli articoli da 7 a 14 della stessa.

10      Tale articolo 7, intitolato «Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi», al paragrafo 1 così dispone:

«Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:

a)      di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o

b)      di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante; (...)

c)      -      di essere iscritto presso un istituto pubblico o privato, riconosciuto o finanziato dallo Stato membro ospitante in base alla sua legislazione o prassi amministrativa, per seguirvi a titolo principale un corso di studi inclusa una formazione professionale, [e]

–        di disporre di un’assicurazione malattia che copre tutti i rischi nello Stato membro ospitante e di assicurare all’autorità nazionale competente, con una dichiarazione o con altro mezzo di sua scelta equivalente, di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il suo periodo di soggiorno; o

d)      di essere un familiare che accompagna o raggiunge un cittadino dell’Unione rispondente alle condizioni di cui alle lettere a), b) o c)».

11      L’articolo 14 di tale direttiva, intitolato «Mantenimento del diritto di soggiorno», al paragrafo 2 prevede quanto segue:

«I cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui agli articoli 7, 12 e 13 finché soddisfano le condizioni fissate negli stessi.

In casi specifici, qualora vi sia un dubbio ragionevole che il cittadino dell’Unione o i suoi familiari non soddisfano le condizioni stabilite negli articoli 7, 12 e 13, gli Stati membri possono effettuare una verifica in tal senso. Tale verifica non è effettuata sistematicamente».

12      L’articolo 16, paragrafo 1, di detta direttiva, contenuto nel capo IV della stessa, intitolato «Diritto di soggiorno permanente», così dispone:

«Il cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato. Tale diritto non è subordinato alle condizioni di cui al capo III».

 Diritto irlandese

 Regolamento del 2015

13      La normativa volta a recepire la direttiva 2004/38 nel diritto irlandese è contenuta negli European Communities (Free Movement of Persons) Regulations 2015 [regolamento relativo alle Comunità europee (libera circolazione delle persone) del 2015], che hanno sostituito, a decorrere dal 1º febbraio 2016, gli European Communities (Free Movement of Persons) (n. 2) Regulations 2006 [regolamento relativo alle Comunità europee (libera circolazione delle persone) (n. 2) del 2006], del 18 dicembre 2006 (in prosieguo: il «regolamento del 2015»).

14      L’articolo 3, paragrafo 5, lettera b), del regolamento del 2015 definisce il «familiare riconosciuto di un cittadino dell’Unione» come segue:

«i)      il coniuge o il partner in un’unione civile del cittadino dell’Unione,

ii)      un discendente diretto del cittadino dell’Unione o del suo coniuge o partner in un’unione civile e che sia:

I)      di età inferiore a 21 anni, o

II)      a carico del cittadino dell’Unione o del suo coniuge o partner in un’unione civile, o

iii)      un ascendente diretto a carico del cittadino dell’Unione o del suo coniuge o partner in un’unione civile».

15      Il diritto di soggiornare in Irlanda è sancito all’articolo 6 di tale regolamento, il cui paragrafo 3, lettera a), così recita:

«Un cittadino dell’Unione può soggiornare nello Stato per un periodo superiore a tre mesi a condizione di:

i)      essere un lavoratore subordinato o autonomo nello Stato, oppure

i)      disporre, per sé e per i propri familiari, di risorse sufficienti per non diventare un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi per sé e per i propri familiari; oppure

iii)      essere iscritto presso un istituto di insegnamento autorizzato o finanziato dallo Stato per seguirvi a titolo principale un corso di studi e disporre di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi per sé e per i propri familiari e, mediante una dichiarazione o in altro modo, assicurare il Ministro di disporre, per sé e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato, oppure

iv)      fatto salvo il paragrafo 4), essere un familiare di un cittadino dell’Unione che soddisfa una o più condizioni di cui ai punti i), ii) o iii)».

16      L’articolo 11, paragrafo 1, di detto regolamento enuncia le condizioni per il mantenimento del diritto di soggiorno in Irlanda. Tale disposizione così prevede:

«Chiunque soggiorni nello Stato a norma degli articoli 6, 9 o 10 ha il diritto di continuare a soggiornarvi finché soddisfa le pertinenti disposizioni dell’articolo di cui trattasi e non diventa un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato».

 Legge del 2005

17      L’articolo 210, paragrafi 1 e 9, del Social Welfare Consolidation Act 2005 (legge consolidata del 2005 sulla protezione sociale; in prosieguo: la «legge del 2005») così dispone:

1.      Fatte salve le disposizioni della presente legge, un assegno («assegno di invalidità») è dovuto ad una persona:

a)      che abbia raggiunto l’età di 16 anni ma non abbia raggiunto l’età pensionabile.

b)      che, a causa di una determinata disabilità, sia sostanzialmente limitata nello svolgimento di un lavoro (a cui si fa riferimento in questo capo come un “lavoro adeguato”) che, se la persona non fosse affetta da detta disabilità, sarebbe adeguato alla sua età, alla sua esperienza e alle sue qualifiche, indipendentemente dal fatto che la persona si avvalga o meno di un servizio per la formazione di persone con disabilità ai sensi dell’articolo 68 dello Health Act, 1970 (legge del 1970 sulla sanità).

c)      i cui mezzi di sostentamento settimanali, fatto salvo il paragrafo 2, non superino l’importo dell’assegno di invalidità (eventualmente maggiorato) che tale persona percepirebbe in forza del capo 10 se non avesse mezzi di sostentamento.

(...)

9.      Una persona non ha diritto di ricevere un assegno di invalidità ai sensi del presente articolo a meno che non risieda abitualmente nel territorio dello Stato».

18      Ai sensi dell’articolo 246, paragrafi 1 e 5, della legge del 2005:

«1. Il requisito, in ciascuna delle disposizioni di cui al paragrafo 3, secondo cui una persona deve risiedere abitualmente nel territorio dello Stato, significa che:

a)      la persona deve risiedere abitualmente nel territorio dello Stato alla data di presentazione della richiesta e deve risiedere abitualmente nel territorio dello Stato dopo la presentazione di tale richiesta affinché permanga il diritto alla prestazione di cui trattasi;

b)      la persona è un lavoratore subordinato o autonomo che risiede nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 2004/38 (...)

c)      la persona è un familiare di una persona di cui alla lettera b) (...).

(...).

5.      Nonostante i paragrafi da 1 a 4, e fatto salvo il paragrafo 9, una persona che non beneficia del diritto di soggiorno nel territorio dello Stato non sarà considerata, ai fini della presente legge, come residente abitualmente nel territorio dello Stato.

(...)».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

19      GV, cittadina rumena, è madre di AC, la quale, parimenti cittadina rumena, risiede e lavora in Irlanda. AC ha inoltre ottenuto la cittadinanza irlandese mediante naturalizzazione.

20      Durante il periodo compreso tra il 2009 e il 2016, GV ha soggiornato più volte in Irlanda prima di ritornare, ogni volta, in Romania o in Spagna. Inoltre, ella era finanziariamente dipendente dalla figlia, che le inviava periodicamente denaro.

21      Dal 2017, GV risiede in Irlanda con sua figlia. Il 28 settembre 2017, a causa del deterioramento del suo stato di salute connesso all’artrite, GV ha chiesto la concessione dell’assegno di invalidità, sulla base della legge del 2005.

22      Il giudice del rinvio precisa che tale assegno, il cui scopo è di proteggere gli aventi diritto dalla povertà, costituisce una prestazione di assistenza sociale versata senza che l’interessato abbia dovuto versare contributi assicurativi. Inoltre, dalla decisione di rinvio risulta che, per poter beneficiare di detto assegno, l’interessato deve soddisfare talune condizioni, vale a dire condizioni legate all’età, alla disabilità e alle risorse. Peraltro, il diritto irlandese esclude il versamento del medesimo assegno a chi non risieda abitualmente in Irlanda, come una persona che non benefici del diritto di soggiorno in tale Stato membro. Infine, tale giudice ricorda che l’assegno di invalidità costituisce una «prestazione speciale in denaro di carattere non contributivo», ai sensi del regolamento n. 883/2004.

23      Con decisione del 27 febbraio 2018, la richiesta di assegno di invalidità presentata da GV è stata respinta. Il ricorso proposto da GV avverso tale decisione è stato parimenti respinto con decisione del 12 febbraio 2019. Il motivo del rigetto sia di tale richiesta sia di detto ricorso era che GV non beneficiava del diritto di soggiorno in Irlanda.

24      A seguito di una domanda presentata in nome di GV da un’organizzazione non governativa, tale decisione del 12 febbraio 2019 è stata oggetto di riesame. Con decisione del 2 luglio 2019, l’Appeals Officer (funzionario preposto ai ricorsi, Irlanda) ha concluso che GV, in quanto ascendente diretto a carico di un cittadino dell’Unione, lavoratore in Irlanda, era titolare di un diritto di soggiorno, ma non aveva il diritto di beneficiare di una prestazione di assistenza sociale.

25      È stata allora presentata una domanda di revisione al Capo dell’Ufficio ricorsi. Quest’ultimo ha confermato, con decisione del 23 luglio 2019, che GV non aveva diritto all’assegno di invalidità dato che, conformemente all’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento del 2015, ella sarebbe divenuta, in caso di concessione di tale assegno, un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale nazionale e che, pertanto, non avrebbe più goduto del diritto di soggiorno.

26      GV ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi alla High Court (Alta Corte, Irlanda). Con sentenza del 29 maggio 2020, tale giudice ha annullato la decisione del 23 luglio 2019. In tale sentenza, detto giudice ha dichiarato, in particolare, che l’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento del 2015, nella parte in cui subordina il diritto di soggiorno di un familiare di un cittadino irlandese, come GV, alla condizione che tale familiare non divenga un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato, era incompatibile con la direttiva 2004/38. Secondo lo stesso giudice, una volta accertato, nel momento in cui detto familiare raggiunge il cittadino dell’Unione interessato, che egli è dipendente da tale cittadino dell’Unione, non sarebbe necessario che lo stesso familiare rimanga a carico di detto cittadino dell’Unione per poter continuare a godere di un diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante.

27      Il Capo dell’Ufficio ricorsi e il Ministro del Lavoro e della Protezione sociale hanno proposto appello avverso tale sentenza dinanzi alla Court of Appeal (Corte d’appello, Irlanda), che è il giudice del rinvio.

28      Dalla decisione di rinvio risulta che, secondo il Ministro del Lavoro e della Protezione sociale, la nozione di «familiare», ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera d), della direttiva 2004/38, comporta il requisito che il familiare resti a carico del cittadino dell’Unione interessato fintantoché viene invocato il diritto di soggiorno derivato. Pertanto, qualora il vincolo di dipendenza tra tale familiare e detto cittadino dell’Unione cessi, in particolare a causa del versamento di una prestazione di assistenza sociale quale l’assegno di invalidità, detto familiare, che diverrà allora finanziariamente dipendente dal sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante, non può più beneficiare di un tale diritto di soggiorno. Una simile interpretazione, da un lato, sarebbe avvalorata tanto dal tenore letterale di tale disposizione quanto da quello dell’articolo 14, paragrafo 2, di detta direttiva e, dall’altro, non sarebbe contraddetta dalla giurisprudenza della Corte.

29      Il giudice del rinvio indica che, per contro, GV sostiene, in sostanza, che l’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento del 2015, subordinando alla condizione relativa all’«onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato» l’accesso al beneficio di una prestazione di assistenza sociale da parte di un familiare di un cittadino dell’Unione lavoratore subordinato, familiare che gode di un diritto di soggiorno derivato fondato sulla sua dipendenza da tale lavoratore subordinato, mentre una condizione del genere non figurerebbe all’articolo 7 della direttiva 2004/38, è una disposizione viziata da illegittimità. Secondo GV, la giurisprudenza della Corte relativa alla nozione di «dipendenza» confermerebbe la sua posizione. Inoltre, l’argomento invocato dal Ministro del Lavoro e della Protezione sociale lederebbe il suo diritto alla parità di trattamento, garantito all’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva.

30      È in tale contesto che la Court of appeal (Corte d’appello) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il diritto di soggiorno derivato di un ascendente diretto di un lavoratore cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 7, paragrafo [1, lettera d)], della direttiva [2004/38] sia subordinato al persistere della dipendenza dal lavoratore di detto ascendente.

2)      Se la direttiva [2004/38] osti a che uno Stato membro ospitante limiti l’accesso a una prestazione di assistenza sociale da parte di un familiare di un lavoratore cittadino dell’Unione che beneficia di un diritto di soggiorno derivato sulla base della sua dipendenza da detto lavoratore, qualora l’accesso a tale prestazione comporti la fine della dipendenza da detto lavoratore.

3)      Se la direttiva [2004/38] osti a che uno Stato membro ospitante limiti l’accesso a una prestazione di assistenza sociale da parte di un familiare di un lavoratore cittadino dell’Unione che beneficia di un diritto di soggiorno derivato sulla base della sua dipendenza da detto lavoratore, con la motivazione che il pagamento della prestazione renderà il familiare interessato un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato».

 Sulla domanda di riapertura della fase orale del procedimento

31      Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 19 marzo 2023, in seguito alla presentazione delle conclusioni dell’avvocato generale, i convenuti nel procedimento principale hanno chiesto che fosse disposta la riapertura della fase orale del procedimento, in applicazione dell’articolo 83 del regolamento di procedura della Corte.

32      A sostegno della loro domanda, tali convenuti fanno valere, in sostanza, che, nelle sue conclusioni, l’avvocato generale, proponendo di accogliere una concezione ampia della nozione di «dipendenza», ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera d), e dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2004/38, ossia di ritenere che tale nozione faccia riferimento alla necessità di un «sostegno affettivo» e, pertanto, a esigenze che potevano essere diverse da quelle materiali e, in particolare, finanziarie, avrebbe ecceduto i limiti dell’oggetto della controversia principale e, di conseguenza, proposto di statuire ultra petita.

33      Inoltre, la questione se detta nozione possa comprendere, in tutto o in parte, una dipendenza di natura affettiva non sarebbe stata discussa né durante la fase scritta del procedimento né in udienza. Pertanto, la causa dovrebbe essere decisa sulla base di un argomento che non sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti o gli interessati menzionati dall’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.

34      A tale riguardo, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 252, secondo comma, TFUE, l’avvocato generale presenta pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate in merito alle cause che, conformemente allo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, richiedono il suo intervento. La Corte non è vincolata né da tali conclusioni né dalla motivazione in base alla quale l’avvocato generale giunge a formularle (sentenza del 12 maggio 2022, Schneider Electric e a., C‑556/20, EU:C:2022:378, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).

35      Inoltre, la Corte ha precisato che il disaccordo di un interessato contemplato dall’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea con le conclusioni dell’avvocato generale, quali che siano le questioni da esso esaminate nelle sue conclusioni, non può costituire, di per sé, un motivo che giustifichi la riapertura della fase orale del procedimento (sentenza del 12 maggio 2022, Schneider Electric e a., C‑556/20, EU:C:2022:378, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

36      È vero che la Corte, in qualsiasi momento, sentito l’avvocato generale, può disporre la riapertura della fase orale del procedimento, conformemente all’articolo 83 del regolamento di procedura, in particolare se essa non si ritiene sufficientemente edotta o quando, dopo la chiusura di tale fase, una parte ha prodotto un fatto nuovo, tale da influenzare in modo decisivo la decisione della Corte, oppure quando la causa deve essere decisa in base a un argomento che non è stato oggetto di discussione tra le parti o gli interessati menzionati dall’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.

37      Tuttavia, nel caso di specie, la Corte dispone di tutti gli elementi necessari per statuire e la causa non deve essere decisa in base a un argomento che non sia stato oggetto di discussione nelle fasi scritta e orale del procedimento. A tale riguardo, occorre rilevare che la questione della portata della nozione di «dipendenza», ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera d), e dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2004/38, segnatamente quella se tale dipendenza possa essere di natura affettiva, è stata, in particolare, discussa in udienza.

38      Inoltre, la domanda di riapertura della fase orale del procedimento non contiene alcun fatto nuovo tale da influenzare in modo decisivo la decisione che la Corte è chiamata a pronunciare nella presente causa.

39      In tali circostanze, la Corte considera, dopo aver sentito l’avvocato generale, che non occorre disporre la riapertura della fase orale del procedimento.

 Sulle questioni pregiudiziali

40      In via preliminare, occorre rilevare che, anche se formalmente il giudice del rinvio ha limitato la propria questione all’interpretazione della direttiva 2004/38, tale circostanza non osta a che la Corte gli fornisca tutti gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che possano essere utili per definire la controversia di cui è investito, a prescindere dal fatto che esso vi abbia fatto o no riferimento nel formulare la suddetta questione (sentenza del 14 novembre 2017, Lounes, C‑165/16, EU:C:2017:862, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

41      Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che AC, cittadina rumena e figlia di GV, dopo aver esercitato la propria libertà di circolazione soggiornando e lavorando in Irlanda, ha ottenuto la cittadinanza irlandese nel 2016 per naturalizzazione.

42      A tale riguardo, occorre ricordare che gli eventuali diritti conferiti dalla direttiva 2004/38 ai familiari di un cittadino dell’Unione che posseggano essi stessi la cittadinanza di uno Stato membro e che accompagnino o raggiungano tale cittadino dell’Unione sono, al di fuori dei diritti autonomi che tali familiari possono trarre dalla medesima direttiva in forza della loro propria qualità di cittadini dell’Unione, derivati da quelli di cui gode detto cittadino dell’Unione a motivo dell’esercizio della sua libertà di circolazione (v., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2017, Lounes, C‑165/16, EU:C:2017:862, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

43      Tuttavia, la direttiva 2004/38 disciplina unicamente le condizioni di ingresso e di soggiorno di un cittadino dell’Unione negli Stati membri diversi da quello di cui ha la cittadinanza. Infatti, dal momento che uno Stato membro, in forza di un principio di diritto internazionale, non può negare ai propri cittadini il diritto di fare ingresso nel suo territorio e di soggiornarvi e che questi ultimi godono pertanto di un diritto di soggiorno incondizionato, detta direttiva non è volta a disciplinare il soggiorno di un cittadino dell’Unione nello Stato membro di cui lo stesso possiede la cittadinanza. Di conseguenza, alla luce della giurisprudenza richiamata al punto precedente della presente sentenza, essa non è nemmeno volta a conferire, nel territorio di tale Stato membro, un diritto di soggiorno derivato ai familiari di detto cittadino dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2017, Lounes, C‑165/16, EU:C:2017:862, punti 33 e 37 nonché giurisprudenza ivi citata).

44      Da quanto precede risulta che, nel caso di specie, dal momento della naturalizzazione di AC in Irlanda, la direttiva 2004/38 non è più, in linea di principio, applicabile al suo diritto di soggiorno in Irlanda, né al diritto di soggiorno derivato di cui beneficiano, eventualmente, suoi familiari, ai sensi dell’articolo 2, punto 2, di tale direttiva, come GV.

45      Ciò premesso, la Corte ha dichiarato che la situazione di un cittadino di uno Stato membro, che ha esercitato la propria libertà di circolazione recandosi e soggiornando legalmente nel territorio di un altro Stato membro, non può essere assimilata ad una situazione puramente interna per il solo fatto che tale cittadino, durante detto soggiorno, abbia acquisito la cittadinanza dello Stato membro ospitante in aggiunta alla propria cittadinanza originaria. Essa ne ha dedotto che l’effetto utile dei diritti conferiti ai cittadini dell’Unione dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE esige che un cittadino dell’Unione che si trovi in una situazione del genere possa continuare a godere, nello Stato membro ospitante, dei diritti derivanti da tale disposizione, dopo aver acquisito la cittadinanza di detto Stato membro, se del caso, in aggiunta alla propria cittadinanza originaria, e, in particolare, possa condurre una normale vita familiare in detto Stato membro, ivi beneficiando della vicinanza dei suoi familiari (v., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2017, Lounes, C‑165/16, EU:C:2017:862, punti 49, 52 e 53).

46      Tale articolo 21, paragrafo 1, TFUE, che enuncia in termini generali il diritto, per ogni cittadino dell’Unione, di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, trova specifica espressione, in particolare, all’articolo 45 TFUE, relativo alla libertà di circolazione dei lavoratori [v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2021, MH e ILA (Diritti pensionistici in caso di fallimento), C‑168/20, EU:C:2021:907, punto 61 e giurisprudenza ivi citata].

47      Ne consegue che l’effetto utile dei diritti conferiti ai lavoratori dell’Unione dall’articolo 45, paragrafo 1, TFUE esige che al familiare di un lavoratore cittadino dell’Unione – cittadino che, dopo aver esercitato la propria libertà di circolazione soggiornando e lavorando nello Stato membro ospitante, abbia acquisito la cittadinanza di tale Stato membro – possa essere concesso un diritto di soggiorno derivato.

48      Per quanto riguarda le condizioni per la concessione del diritto di soggiorno derivato di cui gode il familiare, esse non devono essere più rigorose di quelle previste dalla direttiva 2004/38 per la concessione di un diritto di soggiorno della stessa natura al familiare di un cittadino dell’Unione che abbia esercitato il proprio diritto di libera circolazione stabilendosi in uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza. Infatti, anche se tale direttiva non ricomprende una situazione come quella di cui al punto 45 della presente sentenza, essa deve essere applicata per analogia a tale situazione (v., in tal senso, sentenza del 14 novembre 2017, Lounes, C‑165/16, EU:C:2017:862, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).

49      Inoltre, occorre ricordare che l’articolo 45, paragrafo 2, TFUE enuncia che la libera circolazione dei lavoratori implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Tale disposizione, nel settore specifico della concessione di vantaggi sociali, è concretizzata all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, il quale precisa che il lavoratore cittadino di uno Stato membro gode, nel territorio degli altri Stati membri di cui non ha la cittadinanza, degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2020, Jobcenter Krefeld, C‑181/19, EU:C:2020:794, punti 44 e 78).

50      Orbene, dalla giurisprudenza citata ai punti 45 e 48 della presente sentenza risulta, mutatis mutandis, che la circostanza che un cittadino di uno Stato membro, che si sia recato e soggiorni in un altro Stato membro, acquisisca, in seguito, la cittadinanza di quest’ultimo Stato membro, in aggiunta alla propria cittadinanza originaria, non può implicare che egli sia privato del diritto alla parità di trattamento, in applicazione dell’articolo 45, paragrafo 2, TFUE, come attuato dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, e che le condizioni relative alla concessione di vantaggi sociali non devono essere più rigorose di quelle previste a quest’ultima disposizione.

51      È alla luce delle considerazioni che precedono che occorre rispondere alle questioni sollevate, le quali, in tale contesto, devono essere intese come vertenti sull’interpretazione dell’articolo 45 TFUE, quale attuato dal diritto derivato.

52      A tale riguardo, dalla decisione di rinvio risulta che è pacifico che GV era un ascendente diretto a carico di un lavoratore cittadino dell’Unione, vale a dire AC, sia nel momento in cui ha raggiunto tale lavoratore in detto Stato membro sia nel momento in cui ha chiesto la concessione di un assegno di invalidità. Tuttavia, il Ministro del Lavoro e della Protezione sociale ritiene, in sostanza, che il versamento di tale assegno a GV implicherebbe che la stessa sia a carico non più della figlia, bensì del sistema di assistenza sociale dell’Irlanda. Pertanto, poiché GV non soddisferebbe più la condizione di cui all’articolo 2, punto 2, lettera d), della direttiva 2004/38, perderebbe il suo diritto di soggiorno derivato di cui beneficia nello Stato membro ospitante, conformemente all’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento del 2015, il quale subordina il mantenimento del diritto di soggiorno derivato di un ascendente diretto, in particolare, alla condizione che tale ascendente diretto non divenga un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

53      È in tale contesto che, con le sue questioni pregiudiziali che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 45 TFUE, come attuato dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, in combinato disposto con la direttiva 2004/38, debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa di uno Stato membro che consente alle autorità di tale Stato membro di negare la concessione di una prestazione di assistenza sociale a un ascendente diretto che, al momento della presentazione della richiesta relativa a tale prestazione, è a carico di un lavoratore cittadino dell’Unione, o anche di revocargli il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi, per il motivo che la concessione di detta prestazione avrebbe come effetto che tale familiare non sarebbe più a carico del lavoratore cittadino dell’Unione e diverrebbe così un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale di detto Stato membro.

54      In primo luogo, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2004/38, che occorre applicare per analogia, come risulta dalla giurisprudenza citata al punto 48 della presente sentenza, beneficia del diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi un «familiare che accompagna o raggiunge un cittadino dell’Unione rispondente alle condizioni di cui alle lettere a), b) o c)», di detto articolo 7.

55      La nozione di «familiare», utilizzata all’articolo 7, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2004/38, che occorre applicare per analogia, è definita all’articolo 2, punto 2, di tale direttiva e designa, in particolare, alla lettera d), gli «ascendenti diretti a carico».

56      Pertanto, dal combinato disposto dell’articolo 2, punto 2, lettera d), e dell’articolo 7, paragrafo 1, lettere a) e d), della direttiva 2004/38 risulta che gli ascendenti diretti di un lavoratore cittadino dell’Unione beneficiano di un diritto di soggiorno derivato per un periodo superiore a tre mesi, qualora siano «a carico» di tale lavoratore.

57      Per quanto riguarda tale condizione, la Corte ha precisato che la situazione di dipendenza deve sussistere, nel paese di provenienza del familiare interessato, nel momento in cui egli chiede di ricongiungersi con il cittadino dell’Unione del quale è a carico (sentenza del 16 gennaio 2014, Reyes, C‑423/12, EU:C:2014:16, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).

58      Tuttavia, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 44 delle sue conclusioni, nella causa che ha dato luogo alla giurisprudenza citata al punto precedente della presente sentenza, la Corte era invitata a pronunciarsi sulle condizioni che devono essere soddisfatte nel momento in cui l’interessato chiede di beneficiare di un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro ospitante, e non già sulle condizioni che tale interessato deve soddisfare al fine di conservare detto diritto.

59      A quest’ultimo riguardo, occorre ricordare che l’articolo 14 della direttiva 2004/38, intitolato «Mantenimento del diritto di soggiorno», prevede, al suo paragrafo 2, primo comma, che i cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui, in particolare, all’articolo 7 della stessa, finché soddisfano le condizioni fissate in tale articolo 7.

60      Da tale articolo 14, paragrafo 2, in combinato disposto con l’articolo 2, punto 2, lettera d), e con l’articolo 7, paragrafo 1, lettere a) e d), della direttiva 2004/38, risulta quindi che un ascendente diretto di un lavoratore cittadino dell’Unione beneficia di un diritto di soggiorno derivato finché rimane a carico di tale lavoratore, e ciò fino a quando detto ascendente, che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante, possa vantare un diritto di soggiorno permanente conformemente all’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

61      Una siffatta interpretazione è conforme alla giurisprudenza della Corte secondo la quale la nozione di «avente diritto», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, implica che la qualità di avente diritto, anche se è stata acquisita in passato, può essere successivamente persa se le condizioni, in particolare quelle di cui all’articolo 2, punto 2, di tale direttiva, alle quali fa riferimento detto articolo 3, paragrafo 1, non sussistono più (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2019, Chenchooliah, C‑94/18, EU:C:2019:693, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

62      Nel caso di specie, è pacifico che GV era a carico della figlia, vale a dire AC, sia nel momento in cui l’ha raggiunta sia nel momento in cui ha chiesto la concessione dell’assegno di invalidità. Pertanto, al momento di tale richiesta, GV soddisfaceva la condizione per beneficiare, in quanto «familiare», di un diritto di soggiorno derivato, conformemente alla direttiva 2004/38.

63      In secondo luogo, come risulta dai punti 49 e 50 della presente sentenza, un lavoratore cittadino dell’Unione beneficia, anche in una situazione come quella di AC, che ha acquisito, durante il suo soggiorno nello Stato membro ospitante, la cittadinanza di quest’ultimo, in aggiunta alla propria cittadinanza originaria, del diritto alla parità di trattamento, in applicazione dell’articolo 45, paragrafo 2, TFUE, come attuato dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011.

64      Per quanto riguarda la nozione di «vantaggi sociali», ai sensi di tale articolo 7, paragrafo 2, la Corte ha precisato che essa comprende tutti i vantaggi che, connessi o meno a un contratto di lavoro, sono generalmente riconosciuti ai lavoratori nazionali, in ragione principalmente del loro status obiettivo di lavoratore o del semplice fatto della loro residenza nel territorio nazionale, e la cui estensione ai lavoratori cittadini di altri Stati membri risulta quindi tale da facilitare la loro mobilità all’interno dell’Unione e, pertanto, la loro integrazione nello Stato membro ospitante (sentenza del 6 ottobre 2020, Jobcenter Krefeld, C‑181/19, EU:C:2020:794, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

65      Tale nozione può includere prestazioni di assistenza sociale che sono, allo stesso tempo, soggette alla disciplina specifica del regolamento n. 883/2004, quali, come precisato dal giudice del rinvio, l’assegno di invalidità (v., per analogia, sentenza del 27 maggio 1993, Schmid, C‑310/91, EU:C:1993:221, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

66      Inoltre, occorre rilevare che una prestazione di assistenza sociale, come l’assegno di invalidità concesso a un ascendente diretto, costituisce per il lavoratore migrante un «vantaggio sociale», ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, poiché tale ascendente diretto è a carico di detto lavoratore, ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera d), della direttiva 2004/38 (v., per analogia, sentenza del 18 giugno 1987, Lebon, 316/85, EU:C:1987:302, punti 12 e 13). Peraltro, tale ascendente diretto a carico, in quanto beneficiario indiretto della parità di trattamento concessa a detto lavoratore, può avvalersi di tale articolo 7, paragrafo 2, al fine di ottenere detto assegno qualora, in forza del diritto nazionale, quest’ultimo sia concesso direttamente a siffatti ascendenti (v., in tal senso, sentenze del 26 febbraio 1992, Bernini, C‑3/90, EU:C:1992:89, punto 26, nonché del 14 dicembre 2016, Bragança Linares Verruga e a., C‑238/15, EU:C:2016:949, punto 40).

67      Infatti, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 106 delle sue conclusioni, se, allorché un ascendente diretto è a carico di un lavoratore che ha esercitato il suo diritto alla libera circolazione, a tale ascendente diretto non potesse essere concessa una prestazione di assistenza sociale, che costituisce per il lavoratore migrante un «vantaggio sociale», cui hanno diritto gli ascendenti diretti a carico dei lavoratori cittadini dello Stato membro ospitante, ne deriverebbe una violazione della parità di trattamento di tale lavoratore migrante.

68      Detto articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 tutela quindi contro le discriminazioni che il lavoratore migrante e i suoi familiari, compresi quelli di cui all’articolo 2, punto 2, lettera d), della direttiva 2004/38, potrebbero trovarsi ad affrontare nello Stato membro ospitante.

69      Ne consegue che la concessione di una prestazione di assistenza sociale nello Stato membro ospitante non può incidere sullo status di ascendente «a carico», ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera d), della direttiva 2004/38. Decidere diversamente equivarrebbe, infatti, ad ammettere che la concessione di una siffatta prestazione potrebbe far perdere all’interessato lo status di familiare a carico e giustificare, di conseguenza, la revoca di tale prestazione, o anche la perdita da parte di quest’ultimo del suo diritto di soggiorno. Una siffatta soluzione impedirebbe, in pratica, a tale familiare a carico di richiedere detta prestazione e, pertanto, recherebbe pregiudizio alla parità di trattamento spettante al lavoratore migrante (v., in tal senso, sentenza del 18 giugno 1987, Lebon, 316/85, EU:C:1987:302, punto 20).

70      L’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, in combinato disposto con l’articolo 2, punto 2, lettera d), con l’articolo 7, paragrafo 1, lettere a) e d), e con l’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, contribuisce così alla realizzazione dell’obiettivo perseguito da tale regolamento, consistente nel favorire la libera circolazione dei lavoratori, nella misura in cui consente di creare condizioni ottimali per l’integrazione dei familiari dei cittadini dell’Unione che si siano avvalsi di tale libertà e abbiano esercitato un’attività lavorativa nello Stato membro ospitante (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2020, Jobcenter Krefeld, C‑181/19, EU:C:2020:794, punto 51).

71      A tale riguardo, occorre sottolineare che, con i contributi fiscali che un lavoratore migrante versa allo Stato membro ospitante nell’ambito dell’attività subordinata che egli vi esercita, tale lavoratore contribuisce al finanziamento delle politiche sociali di detto Stato membro e deve, di conseguenza, potersene avvalere alle stesse condizioni dei lavoratori nazionali. Pertanto, l’obiettivo consistente nell’evitare un onere finanziario eccessivo per lo Stato membro ospitante non può giustificare una disparità di trattamento tra i lavoratori migranti e i lavoratori nazionali (v., in tal senso, sentenza del 14 giugno 2012, Commissione/Paesi Bassi, C‑542/09, EU:C:2012:346, punti 66 e 69).

72      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l’articolo 45 TFUE, come attuato dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011, in combinato disposto con l’articolo 2, punto 2, lettera d), con l’articolo 7, paragrafo 1, lettere a) e d), nonché con l’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, deve essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che consente alle autorità di tale Stato membro di negare la concessione di una prestazione di assistenza sociale a un ascendente diretto che, al momento della presentazione della domanda relativa a tale prestazione, è a carico di un lavoratore cittadino dell’Unione, o anche di revocargli il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi, per il motivo che la concessione di detta prestazione avrebbe come effetto che tale familiare non sarebbe più a carico di detto lavoratore cittadino dell’Unione e diverrebbe quindi un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale di detto Stato membro.

 Sulle spese

73      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

L’articolo 45 TFUE, come attuato dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, in combinato disposto con l’articolo 2, punto 2, lettera d), con l’articolo 7, paragrafo 1, lettere a) e d), nonché con l’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE,

deve essere interpretato nel senso che:

esso osta alla normativa di uno Stato membro che consente alle autorità di tale Stato membro di negare la concessione di una prestazione di assistenza sociale a un ascendente diretto che, al momento della presentazione della domanda relativa a tale prestazione, è a carico di un lavoratore cittadino dell’Unione europea, o anche di revocargli il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi, per il motivo che la concessione di detta prestazione avrebbe come effetto che tale familiare non sarebbe più a carico di detto lavoratore cittadino dell’Unione e diverrebbe quindi un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale di detto Stato membro.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.