Language of document : ECLI:EU:C:2004:546

Conclusions

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
L.A. GEELHOED
presentate il 23 settembre 2004 (1)



Causa C-494/01



Commissione delle Comunità europee

contro

Irlanda


«Inadempimento di uno Stato membro – Violazione degli artt. 4, 5, 8, 9, 10, 12, 13 e 14 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/ CEE»






I – Introduzione

1.       Nella presente causa, introdotta ai sensi dell’art. 226 CE, la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che l’Irlanda non ha adottato tutte le misure necessarie a garantire la corretta attuazione degli artt. 4, 5, 8, 9, 10, 12, 13 e 14 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti  (2) , come modificata dalla direttiva del Consiglio 91/156/CEE  (3) (in prosieguo: la «direttiva sui rifiuti»). Essa chiede inoltre alla Corte di dichiarare che l’Irlanda, non avendo fornito le informazioni richieste dalla Commissione in data 20 settembre 1999 per quanto concerne un’operazione relativa ai rifiuti svoltasi a Fermoy, contea di Cork, non ha ottemperato agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art. 10 CE.

2.       La causa è basata su una serie di denunce ricevute dalla Commissione tra il 1997 e il 2000 da parte di cittadini irlandesi, relative a vari casi di deposito di rifiuti in presunta violazione delle disposizioni della direttiva sui rifiuti. Con il suo ricorso, la Commissione chiede alla Corte non solo di dichiarare che l’Irlanda non ha adempiuto gli obblighi ad essa incombenti ai sensi della direttiva sui rifiuti in ciascuno di tali casi specifici, ma altresì, in base a tali casi, di dichiarare che vi è stata una violazione generalizzata e strutturale della direttiva sui rifiuti da parte dell’Irlanda.

3.       Il ricorso della Commissione è assai importante dal punto di vista dell’esecuzione del diritto comunitario, e concerne, in sostanza, la sua capacità di adempiere il compito affidatole dall’art. 211 CE, cioè di vigilare sull’applicazione delle disposizioni del Trattato e delle disposizioni adottate dalle istituzioni in virtù del Trattato stesso. Allo stato attuale, spetta alla Commissione dimostrare la sussistenza di una determinata situazione di fatto, e che tale situazione è contraria agli obblighi che incombono allo Stato membro interessato ai sensi del diritto comunitario. Ciò implica che i fatti che non sono stati esaminati nell’ambito di procedimenti per inadempimento dinanzi alla Corte non possono essere considerati formalmente casi di inadempimento, fin quando la Corte, all’esito di un procedimento ai sensi dell’art. 226 CE, non abbia statuito in tal senso. Ne discende che talune inaccettabili situazioni di inadempimento del diritto comunitario possono persistere fino a quando la Commissione non abbia raccolto sufficienti informazioni per avviare un procedimento per inadempimento.

4.       Il fatto di dover affrontare molti casi di inadempimento aumenta, ovviamente, il carico del sistema di attuazione del diritto comunitario, compromettendone l’efficacia. Tale problema, tuttavia, non si limita al settore dell’ambiente. È sufficiente riferirsi, in tal senso, ad un settore quale quello degli appalti pubblici, nel quale la Corte è stata investita di ripetuti casi di inadempimento delle relative direttive da parte dello stesso Stato membro. In tali cause, la Corte può solo stabilire ex post che le direttive di cui trattasi non sono state rispettate nella fattispecie. Un simile approccio non solo non consente di rimediare efficacemente alla situazione specifica, ma soprattutto non affronta i problemi sostanziali e strutturali che si situano alla base dell’inadempimento delle direttive rilevanti da parte di uno Stato membro. Le istituzioni comunitarie sono limitate a svolgere ciò che in tedesco si chiama «Kurieren am Symptom». Questo spiega perché è importante prendere in considerazione la possibilità di dedurre, da una serie di situazioni concrete, una situazione di inadempimento strutturale da parte di uno Stato membro. Qualora la Corte dovesse decidere in tal senso nel caso che ci occupa, ciò aprirebbe la via ad una più efficace attuazione degli obblighi comunitari nei confronti degli Stati membri.

II – La direttiva sui rifiuti

5.       L’obbligo fondamentale per gli Stati membri, ai sensi della direttiva sui rifiuti, è di assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’ uomo e senza ricorrere a procedimenti o metodi che possano recare pregiudizio all’ambiente (art. 4, primo comma). A tal fine, essa chiede agli Stati membri di imporre taluni obblighi a tutti coloro che operano con i rifiuti a vari livelli. Così, in un sistema che la Commissione descrive nel suo ricorso come una «catena ininterrotta di responsabilità», la direttiva prevede obblighi per i detentori di rifiuti, per i raccoglitori e per i trasportatori di rifiuti e per le imprese che svolgono attività di smaltimento o di recupero dei rifiuti. I detentori di rifiuti che non provvedano essi stessi allo smaltimento sono tenuti a consegnarli a un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa di smaltimento (art. 8). Sono vietati l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti (art. 4, secondo comma). Le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale devono quantomeno essere iscritti presso le competenti autorità (art. 12), mentre le imprese che effettuano operazioni di smaltimento o di recupero debbono ottenere un’autorizzazione da tali autorità (artt. 9 e 10). Tali imprese sono sottoposte a controlli periodici da parte delle autorità competenti (art. 13) e, per facilitare tali ispezioni, devono tenere un registro relativo alle attività concernenti i rifiuti (art. 14). Con lo scopo di raggiungere l’autosufficienza in materia di smaltimento dei rifiuti sia a livello comunitario sia nazionale, la direttiva richiede agli Stati membri di adottare le misure appropriate per la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento (art. 5).

6.       Il termine per l’integrale trasposizione dell’originaria direttiva sui rifiuti, cioè la direttiva 75/442, è scaduto nel luglio 1977, mentre le modifiche introdotte dalla direttiva 91/156 avrebbero dovuto essere trasposte entro il primo aprile 1993.

7.       L’esatto contenuto delle disposizioni qui rilevanti è il seguente:

«Articolo 4

Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e in particolare:

senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora;

senza causare inconvenienti da rumori od odori;

senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse.

Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti.

Articolo 5

1.      Gli Stati membri, di concerto con altri Stati membri qualora ciò risulti necessario od opportuno, adottano le misure appropriate per la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento, che tenga conto delle tecnologie più perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi. Questa rete deve consentire alla Comunità nel suo insieme di raggiungere l’autosufficienza in materia di smaltimento dei rifiuti e ai singoli Stati membri di mirare al conseguimento di tale obiettivo, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti.

2.      Tale rete deve inoltre permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini, grazie all’utilizzazione dei metodi e delle tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica».

«Articolo 8

Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché ogni detentore di rifiuti:

li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni previste nell’allegato II A o II B, oppure

provveda egli stesso al ricupero o allo smaltimento, conformandosi alle disposizioni della presente direttiva.

Articolo 9

1.      Ai fini dell’applicazione degli articoli 4, 5 e 7 tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano le operazioni elencate nell’allegato II A debbono ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente di cui all’art. 6.

Tale autorizzazione riguarda in particolare:

i tipi ed i quantitativi di rifiuti,

i requisiti tecnici,

le precauzioni da prendere in materia di sicurezza,

il luogo di smaltimento,

il metodo di trattamento.

2.      Le autorizzazioni possono essere concesse per un periodo determinato, essere rinnovate, essere accompagnate da condizioni e obblighi, o essere rifiutate segnatamente quando il metodo di smaltimento previsto non è accettabile dal punto di vista della protezione dell’ambiente.

Articolo 10

Ai fini dell’applicazione dell’art. 4, tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano le operazioni elencate nell’allegato II B devono ottenere un’autorizzazione a tal fine».

«Articolo 12

Gli stabilimenti o le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale, o che provvedono allo smaltimento o al ricupero di rifiuti per conto di terzi (commercianti o intermediari), devono essere iscritti presso le competenti autorità qualora non siano soggetti ad autorizzazione.

Articolo 13

Gli stabilimenti o le imprese che effettuano le operazioni previste agli articoli 9-12 sono sottoposti a adeguati controlli periodici da parte delle autorità competenti.

Articolo 14

Ogni stabilimento o impresa di cui agli articoli 9 e 10 deve:

tenere un registro in cui siano indicati la quantità, la natura, l’origine nonché, se opportuno, la destinazione, la frequenza della raccolta, il mezzo di trasporto e il modo di trattamento dei rifiuti, per i rifiuti di cui all’allegato I e per le operazioni previste nell’allegato II A o II B;

fornire, dietro richiesta, tali informazioni alle autorità competenti di cui all’articolo 6.

Gli Stati membri possono esigere che anche i produttori adempiano le disposizioni di questo articolo».

III – Denunce pervenute alla Commissione

8.       Come sopra indicato, la causa in esame trae origine da dodici denunce pervenute alla Commissione, tra il 1997 e il 2000, relativamente a 18 casi di smaltimento di rifiuti in Irlanda.

1)
La prima di queste denunce si riferisce allo smaltimento non autorizzato di rifiuti di costruzione e di demolizione in una zona umida della città di Limerick ad opera della società Limerick Corporation (registrata dalla Commissione come denuncia P 1997/4705).

2)
La seconda denuncia riferiva di una grande quantità di rifiuti organici depositati senza autorizzazione in taluni bacini a Ballard, Fermoy, nella contea di Cork, e smaltiti altrove da una società privata (denuncia P1997/4792).

3)
La terza denuncia ha ad oggetto l’attività pluriennale di una stazione di trasferimento di rifiuti a Pembrokestown, nella contea di Wexford, nonostante il fatto che a questa fosse stata negata l’autorizzazione per ragioni ambientali; nessuna sanzione sarebbe stata applicata (denuncia P1997/ 4847).

4)
La quarta denuncia ha ad oggetto l’attività di una discarica municipale non autorizzata a Powerstown, contea di Carlow, sin dal 1975; l’impianto avrebbe cagionato una serie di problemi ambientali (denuncia P 1999/4351).

5)
Con la quinta denuncia si solleva il problema di un impianto privato per il trattamento dei rifiuti a Cullinagh, Fermoy, contea di Cork, non autorizzato in quanto, tra il 1991 e il 1994, erano state respinte varie istanze di autorizzazione (denuncia P1999/4478).

6)
La sesta denuncia riguarda lo scarico non autorizzato di grandi quantità di materiali di demolizione in un’area verde nella penisola di Poolberg, Dublino, e l’esercizio di un impianto non autorizzato di trasformazione dei rifiuti nella medesima area per molti anni (denuncia P1999/4801).

7)
La settima denuncia riferisce che, sin dagli anni ‘70, le autorità locali a Waterford hanno gestito discariche municipali prive di autorizzazione a Kilbarry e Tramore, nella contea di Waterford, e che dette discariche danneggiano luoghi di particolare interesse, poiché il primo di questi si trova presso un’area umida che si propone sia dichiarata patrimonio naturale, ed il secondo si trova presso una speciale area protetta ai sensi della direttiva 97/409  (4) e, in parte, in una zona proposta come area speciale di conservazione ai sensi della direttiva 92/43  (5) (denuncia P 1999/5008).

8)
L’ottava denuncia si riferisce all’attività di impianti non autorizzati di trattamento dei rifiuti, gestiti da un operatore privato sin dagli anni 80 in due cave in disuso vicino a Portarlington, nella contea di Laois: una a Lea, l’altra a Ballymorris, entrambe nell’ambito del bacino idrografico del fiume Barrow, caratterizzato da un’importante falda acquifera. Né dal consiglio di contea, né dalla Irish Environment Protection Agency (agenzia irlandese di tutela dell’ambiente) è stato fatto rispettare l’obbligo di autorizzazione (denuncia P1999/5112).

9)
La nona denuncia ha ad oggetto, tra l’altro, lo scarico non autorizzato, sin dal 1990, di materiale di costruzione e di demolizione, unitamente ad altri tipi di rifiuti, nella battigia presso Carlington Lough, Greenore, contea di Louth, in un’area assai delicata dal punto di vista ambientale (denuncia P2000/4145).

10)
La decima denuncia richiama l’attenzione sul fatto che la raccolta dei rifiuti nella città di Bray, contea di Wicklow, è gestita da operatori privati non autorizzati, né registrati, né soggetti ad ispezioni. Essa riferisce inoltre della scoperta di una grande quantità di rifiuti ospedalieri in un impianto di smaltimento non autorizzato a Glen of Imaal, contea di Wicklow (denuncia P2000/4157).

11)
L’undicesima denuncia ha ad oggetto l’utilizzo non autorizzato di discariche municipali a Drumnaboden, Muckish e Glenalla, nella contea di Donegal. Tali discariche hanno cagionato un grave inquinamento ambientale, in particolare nel fiume Lennon (denuncia P2000/4408).

12)
La dodicesima denuncia riguarda lo smaltimento non autorizzato di rifiuti, in particolare di rifiuti provenienti da demolizioni e scavi, che danneggia molte zone umide della contea di Waterford, a Ballynattin, Pickardstown, Ballygunner Bog e Castletown (denuncia P2000/4633).

Nelle presenti conclusioni si farà riferimento a tali denunce con i numeri da 1a 12.

IV – Procedimento

9.       La Commissione ha inviato all’Irlanda una lettera di diffida con riferimento alle prime tre denunce in data 30 ottobre 1998, con riferimento alle denunce 4, 6, 7, 8 e 11 in data 25 ottobre 2000 e con riferimento alle denunce 5, 9, 10 e 12 in data 17 aprile 2001. In data 28 aprile 2000, essa ha inviato all’Irlanda una lettera di diffida separata con riferimento alla denuncia 5, poiché non le aveva fornito le informazioni richieste, in violazione dell’art. 10 CE.

10.     L’ Irlanda ha risposto alla lettera di diffida datata 30 ottobre 1998, tuttavia non ha fornito una risposta soddisfacente alle lettere di diffida 28 aprile 2000, 25 ottobre 2000 e 17 aprile 2001. L’Irlanda ha comunque risposto alle richieste di informazioni della Commissione con riferimento ad alcune denunce.

11.     Alle citate lettere di diffida hanno fatto seguito i pareri motivati 14 luglio 1999 per quanto concerne le denunce 1 e 2, e 26 luglio 2001, per quanto concerne tutte le 12 denunce. Entrambi invitavano l’Irlanda ad adottare tutti i provvedimenti necessari per conformarsi ai medesimi entro un termine di due mesi, decorrenti rispettivamente dalla notifica e dal ricevimento degli stessi.

12.     Ritenendo che l’Irlanda non avesse adottato i provvedimenti necessari per conformarsi entro il termine indicato agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva sui rifiuti, la Commissione ha introdotto il presente ricorso, registrato presso la cancelleria della Corte il 20 dicembre 2001.

13.     Posto che le prime due denunce sono state prese in considerazione da entrambi i pareri motivati, la Corte ha chiesto alla Commissione, con lettera 24 maggio 2004, di chiarire in che misura dovesse tener conto del parere motivato 14 luglio 1999 ai fini della decisione sul ricorso. Con la sua risposta scritta 7 giugno 2004, la Commissione ha chiarito che il primo parere motivato è stato sostituito dal parere motivato 26 luglio 2001. Ciò significa che l’intero ricorso fa riferimento al secondo parere motivato.

14.     La Commissione e l’Irlanda hanno presentato le loro osservazioni orali all’udienza del 6 luglio 2004.

V – Osservazioni preliminari

A – Finalità del ricorso

15.     Innanzi tutto si deve individuare la finalità del ricorso, che risulta determinante quanto al modo in cui la causa dev’essere affrontata e risolta.

16.     La Commissione sottolinea, nel suo ricorso, che la direttiva istituisce una «catena ininterrotta di responsabilità», ed il suo intento primario è di garantire che tale catena di responsabilità sia pienamente riconosciuta e attuata in Irlanda. Questa è altresì la ragione per cui la Commissione ha scelto di riunire le indagini sulle varie denunce, anziché perseguire ciascuna separatamente. Il suo ricorso ha pertanto l’obiettivo primario di far accertare che l’inadempimento da parte dell’Irlanda della direttiva sui rifiuti ha carattere generalizzato e strutturale. Anche qualora si dovesse accertare che l’Irlanda ha adempiuto prima della scadenza del termine stabilito dal parere motivato 26 luglio 2001, in taluni casi specifici, gli obblighi derivanti dalla direttiva sui rifiuti, ciò non inciderebbe, secondo la Commissione, sulla fondatezza della sua censura, secondo cui l’Irlanda non avrebbe rispettato i suoi obblighi in senso più generalizzato.

17.     La Commissione precisa inoltre che le denunce citate non rappresentano gli unici esempi di inadempimento della direttiva sui rifiuti da parte dell’Irlanda, e che essa si riserva il diritto di richiamarsi a ulteriori casi di inadempimento. Nella parte del suo ricorso dal titolo «Informazioni di pubblico dominio», essa si riferisce, così, allo scarico di rifiuti su larga scala nella contea di Wicklow (96 casi), come attestato dalle autorità locali in una relazione datata 7 settembre 2001.

18.     L’Irlanda contesta l’approccio della Commissione, ritenendolo troppo ampio. Essa afferma che il ricorso dovrebbe essere limitato alle 12 denunce di cui sopra, mentre non dovrebbero essere presi in considerazione gli ulteriori fatti e le denunce di cui essa non era stata informata nel corso della fase precontenziosa, quali ad esempio il caso della discarica nella contea di Wicklow. La Corte dovrebbe pertanto limitarsi a decidere se, allo scadere del termine di due mesi fissato dal parere motivato 26 luglio 2001, sussistesse o meno l’asserita violazione di cui alle 12 denunce citate, mentre la Commissione dovrebbe fornire prove sufficienti a dimostrare tale violazione. Essa afferma che la Commissione non può chiedere alla Corte di dichiarare che l’Irlanda si trova in una situazione di inadempimento generalizzato della direttiva sui rifiuti, basandosi sui casi specifici oggetto di denuncia rimasti irrisolti alla data di cui sopra.

19.     Nel formulare in tal modo il suo ricorso, la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che l’Irlanda non ha adempiuto gli obblighi che le incombevano ai sensi della direttiva sui rifiuti in maniera generalizzata e strutturale. Anziché considerare le dodici denunce quali casi singoli e indipendenti di inadempimento della direttiva, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere portato all’esame della Corte ai sensi dell’art. 226 CE, essa intende dimostrare che tali casi fanno parte di un contesto più generale. Mi sembra che non può certamente escludersi che, a talune condizioni, una serie di denunce possa rappresentare la base per stabilire che uno Stato membro ha violato gli obblighi derivanti dal diritto comunitario in maniera strutturale. Come rilevato dalla Commissione nella sua replica, se si accogliesse l’argomento dell’Irlanda secondo cui l’obiettivo del ricorso è troppo ampio, ciò potrebbe compromettere seriamente la capacità della Commissione stessa di esercitare il suo ruolo di custode del Trattato. Ancorché il ricorso della Commissione sollevi talune questioni su cosa debba intendersi per violazione strutturale, e come questa debba essere accertata, non ritengo che questi siano motivi sufficienti per limitare la finalità del presente ricorso nel senso indicato dall’Irlanda.

20.     Un ulteriore punto da chiarirsi in questa fase, quanto alla finalità del ricorso, è il fatto che l’aspetto più rilevante del presunto inadempimento riguarda l’applicazione delle disposizioni adottate dall’Irlanda per l’attuazione della direttiva sui rifiuti, piuttosto che la trasposizione delle norme della direttiva nel diritto irlandese. Nel suo ricorso, la Commissione riconosce che, nell’adottare il Waste Management Act 1996 e la normativa ad esso relativa, le autorità irlandesi hanno «sostanzialmente migliorato» la base normativa per la gestione dei rifiuti in Irlanda. I maggiori problemi esistenti riguardano l’applicazione pratica delle disposizioni adottate ai fini della trasposizione della direttiva sui rifiuti. Ciononostante, la Commissione afferma che la trasposizione dell’art. 12 della direttiva sui rifiuti è incompleta. Inoltre, in replica alla successiva osservazione dell’Irlanda secondo cui la direttiva è stata adeguatamente trasposta, la Commissione dichiara di non concordare sul fatto che non vi siano ulteriori carenze nella trasposizione della direttiva in Irlanda. Poiché, tuttavia, tali ulteriori ed eventuali carenze nella trasposizione della direttiva non sono state individuate né discusse nell’ambito della fase precontenziosa, non possono essere prese in considerazione nell’ambito del presente ricorso.

21.     Infine, per quanto concerne l’ambito temporale del suo ricorso, la Commissione spiega che il fatto di aver impostato il ricorso sull’inosservanza, da parte dell’Irlanda, della direttiva sui rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156, non significa che le attività precedenti a tale modifica non debbano essere prese in considerazione. Vi è continuità di presupposti tra la versione originale e la versione modificata della direttiva. Io concordo con tale punto di vista, nella misura in cui esso si riferisce ad attività che hanno avuto inizio dopo l’entrata in vigore della direttiva 75/442, cioè nel 1977.

B – Piano di discussione

22.     Come affermato sopra, il presente caso solleva il problema più ampio della possibilità di accertare un inadempimento strutturale e generalizzato da parte di uno Stato membro degli obblighi di attuazione di una direttiva comunitaria in base a una serie di denunce relative a casi di inadempimento. Prima di verificare se il ricorso della Commissione, relativo all’esecuzione della direttiva sui rifiuti in Irlanda, debba essere accolto, è opportuno esaminare tale questione a livello più astratto. Intendo quindi iniziare la mia analisi richiamando brevemente i requisiti generali individuati dalla giurisprudenza della Corte in ordine alla corretta attuazione delle direttive, per stabilire poi il significato di tali requisiti generali nel contesto della direttiva sui rifiuti. Successivamente, si individueranno i criteri alla luce dei quali può ritenersi che tali requisiti non siano stati rispettati in maniera strutturale. Seguirà quindi un esame della questione della prova. Mi dedicherò poi alla valutazione dell’oggetto del ricorso nella presente causa, per chiarire se, alla luce delle denunce sopra elencate, l’Irlanda sia stata inadempiente in maniera strutturale degli obblighi che le derivano ai sensi della direttiva sui rifiuti.

VI – Quadro di valutazione

A – Requisiti generali per una corretta attuazione  (6)

23.     Ancorché l’art. 249 CE stabilisca che la direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi, è ben chiaro, tuttavia, che ciò non implica che la fase di attuazione della direttiva sia pienamente rimessa alla discrezionalità degli Stati membri. Nel corso degli anni la Corte ha avuto modo di elaborare una serie di criteri per valutare l’adeguatezza delle misure adottate dagli Stati membri per l’attuazione delle direttive. Nell’esporre schematicamente tali requisiti, è utile distinguere due fasi nel procedimento d’attuazione: la fase di recepimento e la fase operativa.

24.     La fase di recepimento presenta a sua volta due aspetti principali: l’aspetto normativo e l’aspetto organizzativo.

25.     L’aspetto normativo implica l’introduzione, nel diritto interno, del contenuto essenziale della direttiva, con la specificità, la precisione e la chiarezza necessarie, entro il termine stabilito dalla direttiva  (7) . Le disposizioni interne vincolanti devono avere lo stesso valore giuridico di quelle da modificare  (8) . È particolarmente importante garantire la chiarezza e la precisione delle norme attuative di una direttiva qualora quest’ultima miri ad attribuire diritti e doveri ai singoli. Le disposizioni di una direttiva devono essere attuate con la chiarezza necessaria a garantire che i destinatari siano posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti ai sensi della direttiva stessa  (9) . Comunque, il requisito della precisione si applica anche quando una direttiva non sia specificamente intesa ad attribuire diritti ai singoli. In tal caso, vi è un interesse a che le disposizioni della direttiva siano correttamente applicate dalle autorità interessate nell’ambito dell’ordinamento giuridico nazionale  (10) . È chiaro, inoltre, che le disposizioni nazionali modificate hanno origine comunitaria, cosicché, se necessario, esse sono interpretate alla luce degli obiettivi della direttiva e le decisioni assunte in base ad esse sono soggette ai rimedi giurisdizionali comunitari.

26.     L’aspetto organizzativo dell’attuazione è inteso alla creazione della struttura legale ed amministrativa per la corretta applicazione e l’esecuzione delle norme nazionali di recepimento della direttiva. Ciò implica la designazione delle autorità competenti ai fini dell’applicazione di tali disposizioni, e l’attribuzione a dette autorità di poteri adeguati, la creazione di strutture per vigilare sul rispetto di tali disposizioni, l’istituzione di garanzie per la tutela giurisdizionale, così da assicurare la disponibilità di rimedi giurisdizionali, l’applicazione di sanzioni in caso di violazione delle disposizioni stesse e la creazione di strutture per la loro esecuzione. Spesso le direttive dispongono esplicitamente in ordine alle misure organizzative da assumersi; tuttavia, anche quando nulla è disposto in tal senso, deve dedursi dall’art. 10 CE che gli Stati membri hanno l’obbligo di garantire l’adozione di misure di tal genere.

27.     La fase operativa dell’attuazione costituisce un procedimento permanente, che garantisce la realizzazione degli obiettivi della direttiva mediante una completa ed attiva attuazione, da parte delle autorità nazionali competenti, delle norme nazionali che traspongono la direttiva nel diritto interno, nonché mediante l’applicazione credibile di sanzioni in caso di violazione delle stesse. Il procedimento di attuazione, in altre parole, non si conclude con la corretta trasposizione delle norme contenute nella direttiva e con l’istituzione della struttura organizzativa per l’applicazione di tali norme: è altresì necessario che questi due aspetti operino in modo tale da ottenere, in pratica, il risultato perseguito dalla direttiva. Come rilevato dalla Corte nella sentenza Marks & Spencer, in un passaggio riguardante le direttive in generale, «l’adozione di misure nazionali che [recepiscono] correttamente una direttiva non comporta l’esaurimento degli effetti di quest’ultima e […] uno Stato membro rimane obbligato ad assicurare effettivamente la piena applicazione della direttiva stessa anche dopo l’adozione delle dette misure»  (11) . Ancorché nella presente causa non si tratti la questione dell’efficacia diretta della direttiva, è significativo, ai fini dell’operatività delle direttive in generale, che nella sentenza citata la Corte ha proseguito affermando che i singoli sono legittimati ad invocare dinanzi al giudice nazionale, nei confronti dello Stato, le disposizioni di una direttiva che appaiono incondizionate e sufficientemente precise, «in tutti i casi in cui non è stata effettivamente garantita la piena applicazione di tale direttiva, vale a dire non soltanto nel caso di mancat[o] o inesatt[o] [recepimento] di quest’ultima, ma anche nel caso in cui le misure nazionali che [recepiscono] correttamente la direttiva in questione non vengano applicate in modo tale da conseguire il risultato al quale essa è rivolta»  (12) . Quest’ultima considerazione della Corte conferma che l’attuazione di una direttiva, nel senso più ampio del termine, rappresenta un procedimento continuativo, che implica obbligazioni permanenti in capo agli Stati membri.

28.     Quanto all’esecuzione delle direttive, o, meglio, delle disposizioni nazionali di recepimento delle stesse, vorrei sottolineare che, anche in questo caso, sia dal generale obbligo di ottenere il risultato imposto da una direttiva, sia dall’art. 10 CE, discende che le misure adottate ed il meccanismo attuato a tal fine devono essere efficaci. Dal mio punto di vista, un’efficace esecuzione significa che i trasgressori incorrono in un serio rischio di essere scoperti e di subire sanzioni che quantomeno li privino di tutti i benefici economici derivanti dalla violazione commessa. Come ho già rilevato nel corso di quest’anno, in conclusioni relative alla politica comune in materia di pesca, l’attività di controllo e la minaccia di azioni repressive debbono generare una pressione sufficiente a rendere l’inadempimento non allettante sotto il profilo economico, in modo da garantire che la situazione prevista dalle disposizioni comunitarie rilevanti venga realizzata nella pratica  (13) . Il contesto della causa in esame può essere diverso, ma la logica di base è identica.

29.     Al di là del «muro di carta» elevato nella fase di recepimento, gli Stati membri sono e rimangono quindi responsabili della corretta applicazione ed esecuzione della direttiva: in breve, del raggiungimento dell’effetto utile della stessa. Qualsiasi negligenza da questo punto di vista potrà non solo condurre ad una situazione diversa da quella voluta dalla direttiva, ma potrà anche compromettere l’uniformità dell’effetto della direttiva nell’ambito della Comunità, influenzando le condizioni in cui operano i soggetti interessati nell’ambito del mercato interno.

30.      Anche se la Commissione sostiene che una disposizione della direttiva sui rifiuti, cioè l’art. 12, non è stata adeguatamente recepita nel diritto irlandese, la presente causa rimane incentrata soprattutto sull’aspetto organizzativo della prima fase e sulla fase operativa del procedimento di attuazione. Ora si esamineranno, alla luce delle osservazioni che precedono, le implicazioni di tali requisiti con riferimento alla direttiva sui rifiuti.

B – Attuazione della direttiva sui rifiuti

31.     La direttiva sui rifiuti introduce un sistema completo di gestione dei rifiuti, al fine di garantire che i rifiuti siano trattati con modalità non dannose per la salute pubblica o per l’ambiente. Ciò è confermato dal preambolo della direttiva 91/156, che modifica la direttiva originaria, dove si statuisce che la direttiva sui rifiuti è intesa ad assicurare il controllo continuo dei rifiuti, «dalla produzione allo smaltimento definitivo»  (14) . Per individuare il risultato che gli Stati membri sono tenuti a conseguire, e alla luce della principale finalità del ricorso della Commissione, è necessario esaminare la direttiva nel suo complesso, per comprendere quale sia il suo obiettivo e come le varie disposizioni in esame si integrino nel sistema complessivo.

32.     L’art. 4, primo comma, che dev’essere considerato come la norma centrale della direttiva, individua dettagliatamente tale obiettivo, disponendo che «[g]li Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e in particolare senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora; senza causare inconvenienti da rumori od odori; senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse». Ai sensi dell’art. 4, secondo comma, sono vietati l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti. Lo strumento fondamentale per raggiungere tali obiettivi è il requisito di cui agli artt. 9 e 10, secondo cui, ai fini dell’attuazione, tra l’altro  (15) , dell’art. 4, primo comma, tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano operazioni di smaltimento o di recupero debbono ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente. Ricorrendo a questo strumento, le autorità nazionali sono in grado di sottoporre le attività di smaltimento e di recupero a condizioni (che per l’attività di smaltimento sono specificate nella direttiva) che permettono di raggiungere gli obiettivi dell’art. 4, e di verificare l’osservanza di tali condizioni. Affinché tutti i rifiuti siano gestiti nel rispetto del detto sistema, si impongono obblighi in capo ai detentori di rifiuti  (16) (art. 8), così da garantire che siano gestiti da un raccoglitore privato o pubblico ovvero da un’impresa di smaltimento o di recupero autorizzata. Altrimenti, è il detentore che provvederà al ricupero o allo smaltimento, conformandosi alle disposizioni delle direttiva, e in particolare all’art. 4. Gli stabilimenti o le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale, o che provvedono allo smaltimento o al ricupero di rifiuti per conto di terzi, devono essere iscritti presso le competenti autorità qualora non siano soggetti ad autorizzazione (art. 12). Questo li riconduce nell’ambito del sistema, senza che vi siano condizioni preliminari da rispettare. Gli operatori soggetti a tale sistema sono sottoposti ad adeguati controlli periodici da parte delle autorità competenti e devono tenere un registro che, su richiesta, dev’essere fornito alle autorità competenti (artt. 13 e 14). Infine, più in generale, ai sensi dell’art. 5 della direttiva, gli Stati membri devono garantire la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento sul loro territorio, che consenta loro di raggiungere l’autosufficienza in materia di smaltimento dei rifiuti. Il riferimento all’art. 5 di cui all’art. 9, relativamente all’autorizzazione delle operazioni di smaltimento, implica che le imprese autorizzate che svolgono operazioni di smaltimento operano nell’ambito di tale rete.

33.     A fini di completezza, ricordo inoltre che la direttiva prevede una serie di ulteriori elementi rilevanti nell’ambito del sistema sopra descritto, che non rientrano nell’oggetto del presente ricorso e che non saranno pertanto esaminati in maniera più approfondita: il principio di prevenzione (art. 3), la designazione delle autorità (art. 6), l’elaborazione di piani di gestione dei rifiuti (art. 7) e il principio «chi inquina paga» (art. 15). Il fatto che non si discuta sull’osservanza di tali disposizioni non fa venir meno la natura sistematica del presunto inadempimento, da parte dell’Irlanda, della direttiva sui rifiuti nel suo complesso, in particolare alla luce del fatto che il ricorso della Commissione è incentrato sull’elemento fondamentale della direttiva, vale a dire il requisito dell’autorizzazione.

34.     La direttiva sui rifiuti prevede una serie di strumenti specifici volti a garantire che i rifiuti siano gestiti in modo da non mettere in pericolo la salute pubblica e l’ambiente. Pertanto, la piena attuazione della direttiva implica, in primo luogo, che tali strumenti siano introdotti nell’ordinamento giuridico interno, che risultino adeguati alle finalità della direttiva e che siano pienamente operativi.

35.     Il più importante di questi strumenti è rappresentato dall’obbligo di autorizzazione per le operazioni di smaltimento e di recupero (artt. 9 e 10), di cui agli allegati II A e II B della direttiva sui rifiuti, svolte nell’ambito del territorio nazionale. Poiché tale strumento mira a realizzare gli obiettivi di cui all’art. 4 della direttiva, le sue modalità di attuazione ed esecuzione devono rispondere a determinati requisiti qualitativi. Pertanto, una corretta attuazione dell’obbligo di autorizzazione non implica solo la necessità di introdurre tale obbligo nel diritto nazionale, bensì anche l’esistenza di una rete amministrativa adeguata ed efficace, che possa trattare le istanze di autorizzazione in tempi ragionevoli, che valuti dette istanze nell’ottica di applicare adeguate condizioni allo svolgimento delle operazioni di cui trattasi e che sia in grado di vigilare sul rispetto di tali condizioni. Un sistema di autorizzazione adeguato ed efficace deve garantire che le attività cui si riferisce siano svolte in modo tale da garantire la realizzazione degli obiettivi generali del sistema. Per le attività in fase di progettazione, ciò significa che l’autorizzazione dev’essere richiesta ed ottenuta prima del loro inizio, di modo che lo svolgimento dell’attività sia soggetto a condizioni adeguate; in questi casi, l’autorizzazione ha un effetto preventivo. Quanto alle attività esistenti, ciò significa che esse devono conformarsi per quanto possibile a tali obiettivi, o, in mancanza, devono essere gradualmente eliminate. In tal caso, il sistema di autorizzazione produce un effetto sia preventivo sia correttivo. Ciò implica altresì che le autorizzazioni sono concesse solamente ad operatori dotati di strumenti tecnici idonei allo svolgimento delle operazioni di gestione dei rifiuti di cui trattasi. Per essere efficace, infine, il sistema di autorizzazione dev’essere supportato da sanzioni adeguate.

36.     L’art. 4, secondo comma, che richiede l’adozione di provvedimenti per combattere lo scarico incontrollato dei rifiuti, può ritenersi attuato correttamente quando il divieto della direttiva sia previsto dal diritto nazionale, quando siano previste adeguate sanzioni in caso di violazioni e quando vi sia un’efficace vigilanza sul rispetto di tali disposizioni.

37.     Quanto all’attuazione dell’art. 8, che impone obblighi ai detentori di rifiuti, sembrerebbe doversi porre maggior enfasi sull’aspetto riguardante il recepimento. Potrebbe sembrare, a prima vista, sufficiente introdurre tale obbligo nel diritto nazionale, prevedendo sanzioni in caso di violazione, per adempiere la direttiva su questo punto. Tuttavia, alla luce dell’obiettivo della direttiva sui rifiuti espresso nel preambolo della direttiva 91/156, cioè di assicurare il controllo continuo dei rifiuti, «dalla produzione allo smaltimento definitivo»  (17) , può ritenersi che vi sia un obbligo implicito, per gli Stati membri, di fornire ai detentori di rifiuti un’infrastruttura adeguata ed accessibile, al fine di favorire l’osservanza di tale obbligo e di garantire che i rifiuti siano conferiti nel sistema sopra descritto. Solo se i rifiuti sono gestiti nell’ambito del sistema di autorizzazione lo Stato membro può esercitare il suo controllo sul trattamento dei rifiuti, in conformità agli obiettivi generali di cui all’art. 4 della direttiva. Qualora risultasse evidente che i detentori di rifiuti non sono in grado di rispettare gli obblighi previsti dall’art. 8 a causa della carenza di tali infrastrutture, potrebbe ritenersi sussistente un inadempimento di tale disposizione da parte dello Stato membro interessato. Inoltre, gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto di tali obblighi mediante adeguati provvedimenti esecutivi.

38.     Il requisito della registrazione, di cui all’art. 12, riferito ai collettori e ai trasportatori di rifiuti a titolo professionale, per conto proprio o di terzi, è inteso a consentire alle autorità competenti di vigilare sull’intera catena di gestione dei rifiuti, dalla produzione allo smaltimento finale, creando trasparenza in tal senso. Nel caso in cui gli Stati membri non sottopongano detti operatori ad autorizzazione, questi ultimi devono essere quantomeno registrati. Poiché tale disposizione intende fornire alle autorità competenti degli Stati membri una piena conoscenza dei soggetti operanti nelle varie fasi di gestione dei rifiuti, la corretta attuazione di tale disposizione richiede l’istituzione di un sistema di registrazione e l’adozione di accordi adeguati, tali da garantire che siano fornite le informazioni richieste, poiché l’obiettivo finale è quello di poter ispezionare le operazioni di cui trattasi, come previsto dall’art. 13, per poterne verificare la conformità agli obiettivi dell’art. 4.

39.     La piena e corretta attuazione dell’art. 13, relativo ai controlli periodici degli operatori di cui agli artt. 9‑12 della direttiva, presuppone che le autorità siano state designate e che siano stati loro attribuiti sufficienti poteri di indagine ai fini dello svolgimento di tale compito. Questo dovrebbe includere, dal mio punto di vista, il potere di registrare le violazioni e di informarne le autorità incaricate di sanzionarle. Poiché la norma in esame richiede la periodicità dei controlli, ciò significa che l’attività di controllo è un’attività continuativa. Dall’obbligo generale degli Stati membri di garantire l’effetto utile delle direttive discende che i controlli devono altresì contribuire efficacemente alla realizzazione dell’obiettivo generale di cui all’art. 4 della direttiva. Tali controlli dovrebbero non solo tendere alla scoperta di violazioni bensì, in un’ottica più costruttiva, essi dovrebbero essere organizzati e svolti in modo tale da incoraggiare il rispetto degli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti da parte degli operatori interessati.

40.     L’obbligo, previsto dall’art. 14 della direttiva per gli stabilimenti e le imprese che effettuano operazioni di smaltimento e di recupero, di tenere registri e di fornirli, su richiesta, alle autorità competenti è chiaramente necessario al fine di favorire i controlli periodici di cui all’art. 13 della direttiva. È pertanto essenziale che tale obbligo sia previsto in modo chiaro e inequivocabile dal diritto nazionale per le imprese interessate.

41.     L’art. 5 della direttiva sui rifiuti prevede un obbligo di natura diversa rispetto alle disposizioni di cui sopra. Mentre queste ultime si concentrano sugli obblighi e sulle attività degli operatori nell’ambito della catena di gestione dei rifiuti, l’art. 5 fa riferimento all’infrastruttura attuata nello Stato membro ai fini della gestione dei rifiuti. Un’adeguata attuazione richiede in primo luogo provvedimenti tecnici tali da garantire una sufficiente capacità di smaltimento dei rifiuti da parte dello Stato membro. Ciò può discendere dal termine «adeguata» di cui alla norma in esame, nonché dall’obbligo per gli Stati membri di raggiungere l’autosufficienza in tale settore. L’«adeguatezza» può essere interpretata in senso ampio, per cui l’offerta di capacità di smaltimento deve essere sufficiente a soddisfare la relativa domanda. Il requisito per cui la rete dev’essere «integrata» implica che gli impianti di smaltimento devono operare nell’ambito di un sistema, e che tale sistema dev’essere coordinato per garantire, per quanto possibile, un bilanciamento tra la domanda e l’offerta di capacità di smaltimento. Il riferimento all’art. 5, di cui all’art. 9, dimostra che questo dovrebbe attuarsi mediante il sistema di autorizzazione.

42.     A mio parere, le osservazioni di cui sopra, nel loro insieme, rappresentano il criterio che consente di valutare se la direttiva sui rifiuti sia stata correttamente attuata negli Stati membri.

C – Inadempimento strutturale di una direttiva

43.     Come ho già rilevato al paragrafo 19, il ricorso della Commissione richiede di chiarire cosa debba intendersi per inadempimento generalizzato e strutturale di uno Stato membro rispetto agli obblighi derivanti dal diritto comunitario, e come debba essere accertata una tale situazione. I due aspetti vanno analizzati alla luce di una serie di criteri, utili a definire il concetto di inadempimento strutturale. Se tali criteri risultano soddisfatti, può concludersi che l’inadempimento ha carattere strutturale. In tal senso, ritengo utile distinguere tre diversi parametri che, nel loro insieme, possono dimostrare il carattere generalizzato e strutturale di un inadempimento: le dimensioni, la durata e la gravità.

44.     Il parametro relativo alle dimensioni fa riferimento al numero di casi in cui è stata accertata la violazione degli obblighi comunitari. Ancorché taluni casi isolati possano, in sé stessi, risultare sufficienti a dimostrare una violazione, come confermato nelle sentenze Commissione/Grecia  (18) e Commissione/Italia (in prosieguo: «San Rocco»)  (19) , un inadempimento strutturale fa riferimento a una prassi più generale, ovvero a una tendenza a ripetersi dell’inadempimento. Nel caso di una direttiva, ciò implica che il contenuto sostanziale della direttiva stessa non è stato attuato nella pratica, per qualsivoglia ragione, e che il risultato perseguito dalla direttiva non è stato raggiunto nello Stato membro. Un’indicazione in tale senso può essere data dal fatto che la pratica non è limitata ad una zona particolare all’interno dello Stato membro, bensì è più diffusa, giacché molte situazioni contrarie ai termini della direttiva si verificano simultaneamente nel territorio dello Stato membro.

45.     Il parametro riguardante la durata ovviamente si riferisce al fatto che la situazione di inadempimento si sia prolungata per un periodo di tempo sufficientemente lungo dopo l’entrata in vigore dell’obbligo comunitario in questione, tenendo conto di tempi ragionevoli per la piena operatività degli strumenti di recente introduzione, quale il sistema di autorizzazione. Ai fini dell’applicazione di questo criterio, non può stabilirsi con precisione ciò che deve essere inteso per «prolungato». Io non lo ritengo necessario. In generale, risulta evidente dal tipo di obbligo comunitario e dal risultato perseguito dagli Stati membri quale possa essere un periodo di tempo ragionevole per l’adempimento di un obbligo e quali circostanze possano giustificare eventuali ritardi in tale adempimento, ancorché esse non possano formalmente giustificare l’inosservanza di un limite temporale. A un certo punto, diviene lampante che una situazione di inadempimento ha assunto carattere duraturo. Un esempio di una simile situazione strutturale di inadempimento è la situazione che ha dato origine alla sentenza della Corte nella causa Commissione/Francia, conosciuta anche con il nome «fragole spagnole»  (20) . In questo caso, uno dei fattori presi in considerazione della Corte per stabilire che la Francia aveva violato gli obblighi derivanti dal Trattato è stato il fatto che essa aveva omesso di agire contro i cittadini che avevano ostacolato la libera circolazione delle merci per un periodo di circa dieci anni  (21) .

46.     Il parametro relativo alla gravità fa riferimento al grado in cui la situazione attuale all’interno dello Stato membro differisce dall’obiettivo perseguito dall’obbligo comunitario. Questo parametro sottintende che il mantenimento di una situazione contraria all’obbligo comunitario produce taluni effetti negativi sugli interessi tutelati dalla disposizione comunitaria di cui trattasi, e che tali effetti compromettono in maniera significativa il raggiungimento degli obiettivi della direttiva. Nel caso della direttiva sui rifiuti, possono concepirsi due tipi di effetti negativi, entrambi riferiti agli obiettivi fondamentali della direttiva. In primo luogo, evidentemente, il fatto di non adempiere le disposizioni essenziali della direttiva sui rifiuti comporta il rischio di danneggiare l’ambiente, e quindi, eventualmente, anche la salute umana. Non può escludersi che un simile danno sia irreparabile. Il secondo tipo di effetti negativi è dato dal rischio di significative distorsioni della concorrenza nel mercato interno. Le imprese operanti all’interno di Stati membri che rispettano pienamente la direttiva sui rifiuti dovranno probabilmente affrontare costi maggiori, connessi allo smaltimento dei rifiuti in conformità all’art. 4 della direttiva, rispetto alle imprese che non sono sottoposte al medesimo regime. Il rispetto della direttiva comporta costi significativi che devono essere affrontati sia dagli enti pubblici sia dagli operatori privati, soprattutto nella fase iniziale dell’introduzione del sistema di smaltimento dei rifiuti. Questo produce, ovviamente, effetti sulla competitività delle imprese.

47.     Date le conseguenze dell’accertamento di un inadempimento generalizzato agli obblighi comunitari, ritengo che debba tenersi conto dell’incidenza negativa di tale violazione sulla realizzazione degli obiettivi del provvedimento comunitario in oggetto. Questo non fa venir meno il fatto che la Corte, nella sua giurisprudenza sull’art. 226 CE, ha chiarito che, anche qualora l’inosservanza di un obbligo imposto da una norma di diritto comunitario non abbia prodotto effetti negativi, non può ritenersi che venga meno l’inadempimento  (22) . Una situazione generalizzata di inadempimento degli obblighi comunitari implica necessariamente il verificarsi di effetti negativi.

48.     In breve, deve ritenersi sussistente un inadempimento strutturale quando la situazione concreta non sia risolvibile semplicemente ponendo rimedio ad una serie di casi specifici di inosservanza dell’obbligo comunitario in questione, bensì quando la situazione di inadempimento richieda, per essere superata, una revisione della prassi politica ed amministrativa generali dello Stato membro nell’ambito disciplinato dal provvedimento comunitario in questione. Il fatto di limitare l’azione risolutiva a specifici casi di inadempimento significherebbe, in fin dei conti, lasciare intatte altre situazioni di inadempimento sino a quando queste non siano individuate e impugnate dalla Commissione mediante nuove cause di inadempimento, ovvero da soggetti interessati a livello nazionale mediante procedimenti dinanzi alle giurisdizioni nazionali. Nel frattempo, persiste una situazione contraria a quella auspicata dal provvedimento comunitario.

D – Questioni relative alla prova

49.     Nella presente causa, caratterizzata da un’abbondanza di elementi di fatto presentati da entrambe le parti, la questione della prova è di particolare rilevanza, segnatamente alla luce della censura formulata dalla Commissione, secondo cui i vari casi di presunto inadempimento della direttiva sui rifiuti testimoniano un inadempimento generalizzato dell’Irlanda rispetto agli obblighi che le incombono in detto settore. Prima di passare all’esame del merito della presente causa, e poiché l’Irlanda ha contestato la veridicità della maggior parte delle affermazioni della Commissione, è necessario pertanto chiarire come debba suddividersi l’onere della prova nel caso specifico, come possa essere dimostrato un inadempimento generalizzato e quale sia il momento in cui deve valutarsi l’esistenza di quest’ultimo.

50.     Il governo irlandese afferma che nei procedimenti per inadempimento l’onere della prova grava interamente sulla Commissione, ai sensi dell’art. 226 CE, e che quest’ultima non può avvalersi di presunzioni per dimostrare l’inadempimento degli obblighi comunitari da parte di uno Stato membro. Esso afferma che, nel caso in cui un’affermazione non sorretta da prove venga contestata, il ricorso della Commissione non può essere accolto in quanto l’onere della prova grava sempre sul ricorrente. Inoltre, esso contesta il tentativo della Commissione di trarre conclusioni generali quanto al rispetto, da parte dell’Irlanda, degli obblighi derivanti dal Trattato, facendo riferimento alle specifiche denunce su cui si basa il suo ricorso. Il governo irlandese rileva che la Commissione non ha fornito prove, in forma di studi o cifre, che dimostrino l’inadempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva sui rifiuti. A suo parere, le prove fornite dalla Commissione non soddisfano i criteri individuati dalla Corte nella sentenza San Rocco  (23) .

51.     La Commissione sostiene di aver fornito prove convincenti a sostegno delle censure sollevate nel suo ricorso, e che tali prove dimostrano l’esistenza di prassi amministrative e di omissioni da parte delle autorità irlandesi che conducono ad una violazione sistematica, da parte dell’Irlanda, degli obblighi che le derivano ai sensi della direttiva sui rifiuti. La Commissione precisa che il suo approccio in questo caso corrisponde a quello dell’avvocato generale Mischo nel paragrafo 63 delle sue conclusioni nella causa San Rocco, sopra citata. Dopo aver affermato, al paragrafo 62 delle sue conclusioni, che «se dovesse (…) risultare che una direttiva è stata trasposta solo sul piano normativo, ma lo Stato membro non vigila con la necessaria diligenza sul rispetto di quest’ultima, non si potrebbe negare alla Commissione il diritto di avviare un ricorso per inadempimento», l’avvocato generale Mischo continua rilevando che «[t]ale situazione sussisterebbe certamente, se la Commissione constatasse tutta una serie di casi di mancata applicazione della direttiva, ripartiti su una certa durata».

52.     Per giurisprudenza costante, la norma fondamentale in materia di prova in un ricorso per inadempimento è che la Commissione ha l’onere di provare l’asserito inadempimento di uno Stato membro. Detta istituzione deve fornire alla Corte gli elementi necessari perché questa verifichi l’esistenza di tale trasgressione, senza potersi fondare su alcuna presunzione  (24) .

53.     Questa regola fondamentale rappresenta il punto di partenza per l’esame da parte della Corte di quanto affermato dalla Commissione nel suo ricorso. La Commissione deve infatti fornire prove convincenti dell’inadempimento degli obblighi comunitari da parte dello Stato membro in questione; è logico infatti che l’accertamento di una violazione degli obblighi derivanti dal Trattato non possa basarsi su una mera presunzione. È necessario tuttavia considerare che, nel provare l’esistenza di situazioni fattuali all’interno di uno Stato membro, come nel caso di specie, la Commissione dipende in larga parte da informazioni provenienti da fonti esterne. Diversamente da quanto accade in un settore quale la politica comune in materia di pesca, la Commissione non ha alcun potere di verifica nel settore disciplinato dalla direttiva sui rifiuti, e può verificare la rispondenza al vero delle informazioni in suo possesso solo sottoponendole allo Stato membro nel corso della fase precontenziosa del procedimento. Di conseguenza, non credo sia ragionevole far gravare l’onere della prova esclusivamente sulla Commissione, come sostenuto dal governo irlandese. Piuttosto, la norma consolidata in materia di prova nei procedimenti per inadempimento dev’essere intesa nel senso che, all’inizio del procedimento, il ricorso della Commissione deve risultare supportato da prove credibili e convincenti. Se così è, lo Stato membro interessato è investito della responsabilità di fornire prove contrarie sufficienti a confutare quanto sostenuto dalla Commissione. In altre parole, la regola fondamentale in materia di prova non è assoluta.

54.     Credo che questo sia altresì l’approccio adottato dalla Corte nel caso San Rocco. In tale occasione, la Commissione aveva infatti fornito prove sufficienti a supportare la sua affermazione relativa all’inquinamento ambientale. Poiché tali prove si basavano su relazioni delle autorità nazionali, la Corte ha ritenuto che spettasse al governo italiano contestare in maniera approfondita e dettagliata i dati presentati dalla Commissione. Poiché ciò non è avvenuto, i fatti sostenuti dalla Commissione sono stati considerati provati  (25) . L’onere della prova è stato posto in capo al governo convenuto, non tanto perché la fonte degli elementi di prova era rappresentata da rapporti nazionali, come sostenuto dal governo irlandese, bensì perché tali prove sono state considerate sufficienti. Non vi è alcuna ragione per ritenere che le prove fornite dalla Commissione e basate su altre fonti non debbano essere altrettanto convincenti, cosicché l’onere della prova è trasferito al governo convenuto  (26) .

55.     Il secondo punto riguarda il problema di individuare un inadempimento generalizzato degli obblighi comunitari in base a una serie di denunce. Qui devono essere focalizzati i tre criteri di cui sopra. Per poter accertare l’esistenza di una violazione generalizzata della direttiva sui rifiuti in base alle situazioni riportate nelle denunce alla Commissione, presupponendole dimostrate, sarebbe necessario individuare elementi comuni in tali denunce che rivelino una stabile prassi sottostante. Si dovrebbe dimostrare che le situazioni di cui alle varie denunce, per numero e natura, sono spiegabili solamente alla luce di una tendenza all’inosservanza degli obblighi comunitari su vasta scala. In tale situazione, i diversi casi cui fanno riferimento le denunce, considerati nella loro insieme e inseriti nel relativo contesto, non possono essere considerati quali semplici incidenti isolati, ma piuttosto risultano sintomatici di una prassi politica (o amministrativa) non conforme agli obblighi dello Stato membro. In altre parole, poiché vi è un rapporto diretto tra la politica adottata e la situazione di fatto, l’esistenza di quest’ultima presuppone necessariamente l’esistenza della prima.

56.     Ritengo che la Corte abbia già applicato un simile approccio in cause relative al settore della pesca, in cui ha ritenuto che dall’entità delle cifre indicate dalla Commissione e dal ripetersi dei casi da esse descritti deve dedursi che i casi di sovrasfruttamento sono stati necessariamente la conseguenza dell’inadempimento degli obblighi di controllo da parte dello Stato membro interessato  (27) .

57.     Vorrei aggiungere che questo approccio non significa riconoscere un inadempimento sulla base di una presunzione. Piuttosto, si tratta di un ragionamento basato sul rapporto di causalità tra fatti correlati, applicato in maniera retroattiva.

58.     Il terzo aspetto si riferisce al momento da prendere in considerazione per stabilire se sussista una situazione di inadempimento generalizzato e strutturale. Sollevo il problema in quanto ci si può chiedere se la giurisprudenza consolidata della Corte, secondo cui l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato della Commissione  (28) , consenta di valutare la sussistenza di una tale violazione generale, poiché, per definizione, questa è una situazione duratura e continuativa. Inoltre, vi può essere un’evoluzione della situazione generale su cui è basato ricorso, e ciò nel caso in cui lo Stato membro assuma provvedimenti per conformarsi ai propri obblighi, in particolare in risposta alle osservazioni effettuate dalla Commissione nel corso della fase precontenziosa del procedimento.

59.     Su questo punto, vorrei precisare che la funzione del limite temporale stabilito nel parere motivato è quella di dare allo Stato membro un’ultima possibilità di adempiere gli obblighi derivanti dal Trattato prima che la Commissione adisca la Corte. Dalla prima lettera di diffida alla scadenza di questo termine ultimo, lo Stato membro è formalmente a conoscenza del fatto che la Commissione, nel suo ruolo di custode del Trattato, ritiene che lo Stato membro di cui trattasi sia inadempiente dei propri obblighi. Ancorché vi possano essere dubbi sulla sussistenza dell’inadempimento, e ancorché tali dubbi possano essere risolti solamente dalla Corte, la fase precontenziosa del procedimento è intesa a consentire allo Stato membro, in contatto con la Commissione, di valutare la situazione e di adottare i provvedimenti necessari a garantire il pieno rispetto dei propri obblighi. È vero che, da un punto di vista formale, un inadempimento può essere accertato solamente a partire dalla data indicata nel parere motivato, tuttavia, da un punto di vista sostanziale, è chiaro che l’inadempimento sussiste precedentemente a tale data. Pertanto, ritengo che, nello stabilire se uno Stato membro abbia violato in maniera generalizzata e strutturale i suoi obblighi comunitari alla data stabilita dalla Commissione nel parere motivato, la Corte debba necessariamente considerare tale situazione come l’esito di uno sviluppo continuo, valutandola nella prospettiva di tale evoluzione.

60.     Infine, come rilevato dalla Corte in varie occasioni, è chiaro che non può tenersi conto degli sviluppi successivi alla scadenza del termine concesso allo Stato membro per conformarsi al parere motivato  (29) .

VII – Valutazione: la situazione in Irlanda

61.     Come precisato nel mio esame della direttiva sui rifiuti, è necessario adottare quello che definirei un approccio olistico alla direttiva, considerandola come un sistema completo, e considerando tale sistema maggiore delle sue parti costitutive. Comunque, poiché gran parte del dibattito tra le parti in causa si è concentrato sull’attuazione delle varie disposizioni della direttiva in Irlanda, affronterò innanzi tutto tali aspetti, prima di compiere la mia analisi in merito all’adempimento, da parte dell’Irlanda, della direttiva intesa come sistema. Nella mia valutazione, concentrerò la mia attenzione sugli argomenti di maggior rilievo sollevati dalla Commissione e dal governo irlandese, seguendo l’ordine di cui ai documenti di causa.

A – Autorizzazioni (artt. 9 e 10)

62.     Ai sensi degli artt. 9 e 10 della direttiva sui rifiuti, tutti gli stabilimenti o le imprese che effettuano operazioni di smaltimento o di recupero debbono ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente. Le autorizzazioni concesse ai sensi dell’art. 9 sono intese a garantire l’attuazione degli artt. 4 (obblighi generali), 5 (rete di impianti di smaltimento), e 7 (piani di gestione dei rifiuti), mentre le autorizzazioni ai sensi dell’art. 10 sono concesse al solo fine di attuare l’art.ᅠ4.

63.     Nella parte del suo ricorso riferita a tali due disposizioni, la Commissione distingue tra operazioni di smaltimento municipali (svolte dalle autorità locali) e operazioni di smaltimento ad opera di privati. Mentre queste ultime erano soggette ad autorizzazione, ai sensi della legge irlandese, sin dal 1980, le operazioni municipali sono state sottoposte ad autorizzazione dal Waste Management Act solo nel 1996 (in prosieguo: il «WMA 1996»), adottato solamente a seguito dell’avvio del procedimento per inadempimento (successivamente ritirato) da parte della Commissione. Tale atto disponeva la graduale introduzione di autorizzazioni per gli impianti esistenti tra il maggio 1997 e il marzo 1999.

64.     Quanto alla prima categoria, la Commissione sostiene che la situazione relativa all’autorizzazione per le operazioni di smaltimento comunali in Irlanda sia intollerabile. Essa afferma che taluni impianti continuano ad operare senza autorizzazione, e ciò più di vent’anni dopo l’introduzione del requisito dell’autorizzazione in base alla direttiva 75/442. La Commissione supporta la sua affermazione facendo riferimento alla denuncia 4 (Powerstown). Le istanze alla Irish Environmental Protection Agency (agenzia irlandese per la tutela dell’ambiente; in prosieguo: l’«EPA») per la concessione di autorizzazioni alle discariche vengono trattate in tempi molto lunghi, il che comporta, di per sé, una dilazione dell’obbligo comunitario di detenzione di un’autorizzazione, e spesso comporta danni all’ambiente, come nei casi di talune aree umide (denuncia 7, Kilbarry e Tramore, contea di Waterford). La Commissione rileva che in taluni casi gli impianti municipali non sono mai stati autorizzati, e ciò quando sono stati chiusi prima della concessione dell’autorizzazione o quando le autorità locali non hanno richiesto l’autorizzazione (denuncia 11, contea di Donegal). La Commissione accusa l’EPA di essere propensa ad interpretare in modo flessibile il requisito di cui al WMA 1996, secondo cui le istanze per l’ottenimento delle autorizzazioni devono essere presentate entro termini stabiliti (di nuovo, denuncia 11).

65.     Per quanto concerne gli impianti di smaltimento privati, la Commissione sostiene che le autorità irlandesi hanno tollerato, di fatto, gli impianti non autorizzati, che le denunce ricevute dimostrano che ciò non è limitato ad aree geografiche o amministrative determinate, e che in taluni casi questa situazione è stata tollerata per lunghi periodi di tempo (denunce 1, Limerick; 2, Ballard; 5, Cullinagh; 6, Poolbeg; 8, contea di Laois; 9, Greenore, e 12, contea di Waterford). Inoltre, l’applicazione di sanzioni per l’inosservanza del requisito dell’autorizzazione ai sensi della direttiva sui rifiuti è sottoposta all’applicazione della legislazione nazionale sull’utilizzazione del territorio e consente di concedere a posteriori un’autorizzazione a impianti illegittimi mediante permessi di conservazione (denuncia 2). La Commissione sottolinea che, quando vengono presentate istanze di autorizzazione per operazioni non autorizzate, le autorità irlandesi non richiedono la sospensione di tali operazioni per la durata del procedimento di autorizzazione (denunce 5, 6 e 8). Viene rilevato inoltre che, in generale, agli autori di attività illecite concernenti i rifiuti non vengono applicate penalità e sanzioni, e, quando ciò avviene, queste non hanno carattere deterrente (denunce 2 e 3, Pembrokestown). La Commissione rileva inoltre che l’EPA si è richiamata alla legislazione nazionale per giustificare le sue omissioni riguardo alle attività illecite sui rifiuti. In particolare, l’EPA si è basata su una definizione nazionale del concetto di «recupero», all’epoca non soggetto ad autorizzazione ai sensi della legislazione nazionale, consentendo così lo smaltimento di rifiuti inerti in aree umide sensibili (denuncia 1).

66.     In replica alle affermazioni della Commissione sugli impianti di smaltimento municipali, il governo irlandese osserva in primo luogo che da una relazione dell’EPA datata 5 giugno 2002 risulta che a quella data tutte le discariche comunali, tranne una, avevano ottenuto l’autorizzazione. In secondo luogo, esso riconosce che il procedimento per l’ottenimento di un’autorizzazione può essere lungo, tuttavia afferma che ciò è spiegabile in base a vari fattori, tra cui la complessità della materia, il tempo impiegato in consultazioni pubbliche e, nel caso di discariche municipali, la necessità di autorizzare a posteriori gli impianti esistenti e di trattare un gran numero di istanze in contemporanea. La Commissione non ha dimostrato che tali ritardi cagionino un danno ambientale. In terzo luogo, quanto al fatto, rilevato dalla Commissione, che gli impianti rimangono privi di autorizzazione se chiusi prima del termine ultimo per formulare un’istanza, il governo irlandese afferma che si tratta di una conseguenza inevitabile del sistema esistente prima dell’entrata in vigore del WMA 1996. Se un impianto viene chiuso durante il procedimento di autorizzazione, quest’ultimo continua affinché condizioni di risanamento e di recupero vengano stabilite. In ogni caso, la direttiva non richiede che gli impianti di trattamento dei rifiuti già chiusi siano autorizzati retroattivamente. Un simile requisito è stato introdotto solamente dalla direttiva sulle discariche di rifiuti  (30) (denuncia 7). Le situazioni cui fa riferimento la denuncia 11 sono atipiche e non significano che vi fosse flessibilità nel rispetto dei termini stabiliti dal WMA 1996. L’Irlanda, infine, fa riferimento ad altri provvedimenti assunti per evitare danni ambientali contrari agli obiettivi della direttiva collegati alle discariche gestite senza autorizzazione a partire dal 1977.

67.     Il governo irlandese non ritiene che siano state, di fatto, tollerate le attività illecite di gestione dei rifiuti da parte di imprese private. Esso si riferisce alla relazione EPA 5 giugno 2002, sopra citata, da cui emerge che, a tale data, su 70 unità operative private, 43 avevano ottenuto l’autorizzazione e 27 l’avevano richiesta. Su tale base esso afferma che, all’epoca, tutte le attività private di trattamento dei rifiuti erano sottoposte ad autorizzazione, ai sensi della direttiva sui rifiuti. In replica all’argomento della Commissione secondo cui è stata utilizzata la legislazione sull’utilizzazione del territorio per disciplinare lo sviluppo non autorizzato, esso afferma che ciò è irrilevante e che il vero problema è stabilire se la direttiva sui rifiuti richieda la sospensione dell’attività di un’unità operativa fin quando questa non sia autorizzata, il che, a suo parere, non risponde al vero. La direttiva non contiene esplicite disposizioni in tal senso. L’Irlanda riconosce il proprio obbligo di garantire un’adeguata attuazione delle disposizioni che vietano lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti. Essa si richiama ad alcuni esempi che dimostrano come, in molti casi, sia stata disposta la cessazione di attività non autorizzate ai sensi dell’art. 55 del WMA 1996 e che, quando necessario, sono state adite le autorità giurisdizionali. Essa respinge l’affermazione della Commissione secondo cui, nella pratica, le attività illecite di trattamento dei rifiuti non sono state sanzionate, come anche l’affermazione secondo cui, ai sensi della legge irlandese, non può essere intrapresa alcuna azione esecutiva se sono decorsi più di cinque anni. Questa norma non si applica, dal suo punto di vista, alle attività non autorizzate ancora in corso. Infine, a suo parere, il fatto che l’EPA si sia basata sulla legislazione nazionale nel caso di cui alla denuncia 1 (Limerick) era all’epoca giustificato.

68.     Oltre a questi rilievi generali, il governo irlandese contesta, più in particolare, il giudizio della Commissione sulla situazione fattuale sottostante alle varie denunce alla base del suo ricorso, e contesta altresì le conclusioni generali che ne trae (denunce 1, 6 e 9). Esso ammette che in alcuni di tali casi si sono effettivamente svolte operazioni non autorizzate, ma rileva, tuttavia, che tali situazioni sono state risolte prima della scadenza del termine stabilito nel parere motivato (denunce 2 e 6). Laddove la Commissione afferma che le autorità irlandesi non hanno tenuto in debita considerazione le aree umide sensibili dal punto di vista ambientale, esso rileva che le autorizzazioni concesse per le discariche di Kilbarry e Tramore impongono condizioni per garantire la tutela di tali aree (denuncia 7). Inoltre, afferma di aver energicamente perseguito i casi di attività illecite di trattamento dei rifiuti, e che i casi cui fa riferimento la Commissione non possono essere considerati esempi di un generale atteggiamento negligente per quanto concerne le sanzioni (denuncia 3). Pur ammettendo la tardività delle istanze per l’ottenimento delle autorizzazioni nei casi delle discariche di Muckish e Glenalla, il governo irlandese sostiene che si tratta di casi unici e atipici (denuncia 11).

69.     Tale censura della Commissione e la relativa replica del governo irlandese sollevano numerose questioni riguardo all’adempimento dell’obbligo di autorizzazione, di cui agli artt. 9 e 10 della direttiva sui rifiuti. Per un verso, vi è una problematica generale relativa all’adeguatezza e all’efficacia del sistema irlandese di autorizzazione delle attività relative ai rifiuti nel suo complesso. Per altro verso, vi sono varie questioni più specifiche sugli obiettivi degli obblighi posti da tali disposizioni.

70.     Innanzitutto, è necessario rilevare che il sistema irlandese di autorizzazione delle attività relative ai rifiuti è vigente dal 1980 per le attività intraprese da soggetti privati, e dal 1996 per le autorità pubbliche, mentre il limite temporale per l’attuazione della direttiva sui rifiuti è scaduto nel luglio 1977 per la versione originale e nell’aprile 1993 per la versione modificata. Il requisito dell’autorizzazione è stato un elemento fondamentale della direttiva sui rifiuti sin dalla sua introduzione. Da qualsiasi punto di vista si voglia esaminare il caso, risulta assai chiaro che la piena attuazione in Irlanda delle disposizioni concernenti l’autorizzazione è stata tardiva e, per quanto concerne gli enti pubblici, eccessivamente tardiva, ancorché quest’ultimo inadempimento possa essere ricondotto ad una relativa incertezza quanto all’ambito d’applicazione soggettivo del requisito dell’autorizzazione.

71.     In ogni caso, la questione principale da affrontare in questa sede è se le autorità irlandesi abbiano fatto sì che l’obbligo di autorizzazione di cui alla direttiva sui rifiuti fosse pienamente operativo ed effettivo allo scadere del termine ultimo di due mesi successivi al ricevimento, da parte dell’Irlanda, del parere motivato della Commissione datato 26 luglio 2001, e, in caso contrario, se tale inadempimento debba essere considerato una violazione generalizzata e strutturale degli obblighi derivanti dagli artt. 9 e 10 della direttiva sui rifiuti.

72.     Il governo irlandese si riferisce principalmente alla situazione descritta in una relazione EPA del 5 giugno 2002, da cui risulta che, a tale data, tutte le 46 discariche municipali allora operative, tranne una, erano state autorizzate ai sensi della direttiva. Altri dati contenuti nella stessa relazione a proposito delle attività di trattamento dei rifiuti diverse dalle discariche attestano che, alla stessa data, su 88 attività di trattamento dei rifiuti, 70 delle quali private, in 56 casi sono state concesse le relative autorizzazioni, e 32 domande erano in corso di esame. Facendo riferimento a tali dati, l’Irlanda sostiene che tutte le attività private di trattamento dei rifiuti erano sottoposte ad autorizzazione in tale periodo.

73.     I dati forniti dal governo irlandese per dimostrare di avere adempiuto gli obblighi di cui agli artt. 9 e 10 non sono convincenti per una serie di ragioni. Innanzitutto, tali dati sono rappresentativi della situazione esistente circa otto mesi dopo la scadenza del termine stabilito nel parere motivato. In secondo luogo, il governo irlandese erroneamente equipara l’istanza per l’ottenimento di un’autorizzazione alla concessione dell’autorizzazione stessa. In terzo luogo, da tali dati non risulta chiaramente quante autorizzazioni ed istanze si riferivano ad attività esistenti. Comunque, per un esame più accurato del livello di osservanza degli artt. 9 e 10 nel momento determinante ai fini di tale valutazione, sembra più utile riferirsi ai dati EPA sulla situazione nel novembre 2001, cui fa riferimento l’Irlanda nel suo controricorso nell’ambito della discussione sui termini per la concessione di autorizzazioni alle attività municipali di trattamento dei rifiuti (denuncia 4). In tal sede si afferma che, su 181 istanze, sono state concesse 93 autorizzazioni, sono state presentate 17 proposte di decisione, 60 erano in corso di esame e 11 sono state respinte. È stato affermato che ciò significava un progresso rilevante dall’entrata in vigore del WMA 1996. Tali dati, unitamente al giudizio sul miglioramento della situazione, dimostrano chiaramente che, alla data di scadenza del termine stabilito nel parere motivato, non tutte le attività di trattamento dei rifiuti erano state autorizzate, conformemente alle disposizioni della direttiva sui rifiuti.

74.     La Commissione sottolinea, con riferimento agli impianti municipali, che per il trattamento delle istanze relative alle discariche, i tempi oltrepassavano i quattro anni. Nel corso di tale periodo, l’osservanza della direttiva sui rifiuti veniva ulteriormente ritardata.

75.     È ovvio che il trattamento delle istanze per le autorizzazioni richiede tempo e può richiedere valutazioni tecniche complesse. Da questo punto di vista, i vari fattori indicati dal governo irlandese al fine di spiegare i ritardi risultano, in quanto tali, comprensibili e ragionevoli. Tuttavia, quando viene introdotto un sistema di autorizzazione per raggiungere gli obiettivi fissati da un provvedimento comunitario, un’attuazione concreta e adeguata richiede che, dopo un ragionevole periodo di tempo per completare la fase iniziale, tale sistema operi in maniera efficace. Ancorché la direttiva sui rifiuti taccia sul punto, tale requisito implica che il trattamento delle istanze si svolga in tempi ragionevoli. Inoltre, in una situazione nella quale uno Stato membro è già evidentemente inadempiente del suo obbligo di creare un sistema di autorizzazione, ci si può aspettare che la situazione sia risolta rapidamente, non solo mediante la creazione della necessaria base normativa, bensì anche mediante l’adozione di tutti i provvedimenti necessari alla piena attuazione e all’applicazione del requisito dell’autorizzazione nei più brevi termini. Inoltre, per giurisprudenza costante, uno Stato membro non può invocare difficoltà di natura amministrativa o tecnica per giustificare l’inosservanza degli obblighi e dei termini imposti dal diritto comunitario  (31) . È pertanto fondata la critica della Commissione sulla lentezza del funzionamento del sistema di autorizzazione delle discariche municipali.

76.     La Commissione e l’Irlanda non concordano sulla portata degli obblighi di cui agli artt. 9 e 10 in una serie di casi specifici. Tali casi riguardano l’obbligo di autorizzare retroattivamente installazioni e impianti chiusi prima della presentazione di un’istanza, e l’obbligo di sospendere le attività in attesa dell’esito del procedimento di autorizzazione.

77.     Quanto al primo punto, la Commissione afferma che l’autorizzazione delle discariche municipali in Irlanda non è stata adeguata per quanto riguarda gli impianti chiusi prima della scadenza del termine di cui al WMA 1996 per la presentazione dell’istanza di autorizzazione e che sono rimasti privi di autorizzazione. Il problema di stabilire se, in simili circostanze, l’Irlanda fosse tenuta ad autorizzare gli impianti deve essere risolto alla luce dell’obiettivo generale della direttiva. Si deve riconoscere che, nel caso in cui vengano chiusi impianti di trattamento dei rifiuti, quali discariche o altre forme di deposito di rifiuti, questi possono comunque rappresentare un pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente. Al fine di scongiurare simili rischi, gli impianti devono essere gestiti e resi oggetto di vigilanza. La concessione di un’autorizzazione risulta essere lo strumento più appropriato a tal fine. Non vi è alcuna ragione di trattare in modo diverso un impianto che è stato chiuso prima di ottenere un’autorizzazione rispetto ad un impianto che ha ottenuto un’autorizzazione prima di diventare operativo. In entrambi i casi, le necessità di risanamento e di recupero sono in linea di principio le stesse. Inoltre, quando tali situazioni riguardano impianti divenuti operativi dopo il 1977, risulterebbe inaccettabile che gli stessi fossero sottratti all’autorizzazione in base ad un presupposto stabilito dalla legislazione nazionale, cioè il WMA 1996. Infine, non può essere accolto l’argomento dell’Irlanda secondo cui l’autorizzazione per le discariche esistenti sarebbe stata introdotta solo con la direttiva sulle discariche di rifiuti 1999/31. Ancorché la citata direttiva preveda un procedimento di autorizzazione speciale per le discariche di rifiuti, ciò non implica che le discariche esistenti non rientrassero nell’ambito d’applicazione dell’art. 9 della direttiva. La direttiva sulle discariche era evidentemente intesa a integrare le disposizioni della direttiva sui rifiuti. Se l’art. 14 di tale direttiva vieta le discariche operanti (senza autorizzazione) alla data della trasposizione, ciò non implica che queste fossero precedentemente esenti dall’autorizzazione richiesta dalla direttiva sui rifiuti. Deve pertanto ritenersi corretta l’interpretazione degli artt. 9 e 10 della direttiva fornita dalla Commissione, secondo cui gli impianti chiusi prima di aver ottenuto un’autorizzazione devono comunque essere autorizzati per quanto concerne la loro gestione successiva.

78.     Il secondo punto sollevato dalla Commissione con riferimento alle imprese private di trattamento dei rifiuti non autorizzate riguarda il fatto che l’Irlanda ha omesso di disporre la cessazione delle loro attività in attesa dell’esito del procedimento di autorizzazione, violando in tal modo nuovamente gli artt. 9 e 10 della direttiva. Da un punto di vista formale, un’impresa che svolge attività di trattamento dei rifiuti senza autorizzazione agisce illegalmente, cosicché, appena le autorità nazionali si rendono conto dell’esistenza di simili attività, esse sono tenute ad assumere tutti i provvedimenti necessari per farle cessare. Ciò vale altresì per le situazioni di cui le autorità sono state informate mediante un’istanza di autorizzazione. Dal mio punto di vista, ciò può avere solo due eccezioni. La prima ricorre quando sia stato appena introdotto un sistema di autorizzazione: in tal caso, la certezza del diritto richiede che le attività esistenti possano beneficiare di un termine di grazia per chiedere la regolarizzazione. La seconda ricorre quando dalla chiusura di impianti per i quali è stata chiesta un’autorizzazione possano derivare svantaggi rilevanti, non essendovi alternative immediate e praticabili per il trattamento dei rifiuti in questione. In tale situazione, gli obiettivi della direttiva sarebbero più correttamente attuati se si consentisse all’impianto di continuare eccezionalmente la sua attività, nel rispetto di condizioni transitorie appropriate alle circostanze. Spetta allo Stato membro interessato dimostrare che tale condizione è stata rispettata. Alla luce di quanto sopra, concordo con la Commissione sul fatto che la prima misura da adottarsi rispetto ad attività non autorizzate, per le quali vi sia stata un’istanza di autorizzazione, sia di chiudere le medesime sino all’esito del procedimento di autorizzazione.

79.     La Commissione afferma che l’Irlanda non ha adottato misure sufficienti ad attuare le disposizioni della direttiva sui rifiuti e che le sanzioni applicate non hanno carattere deterrente. L’Irlanda contesta tale affermazione e si richiama a varie misure d’attuazione assunte, nonché a talune sentenze di giudici irlandesi di applicazione di severe sanzioni. Come dimostrato dalla Commissione, in una serie di casi (vedi, tra l’altro, le denunce 2, 3, 5 e 8), non contestati espressamente dal governo irlandese, non sono state applicate sanzioni, ovvero erano talmente leggere da non poter essere considerate un deterrente. Per altro verso, il governo irlandese ha rilevato che, in base al WMA 1996, sono aumentati i poteri attuativi e sanzionatori e che, su questa base, sono state energicamente perseguite le violazioni; nella sua replica del gennaio 2003, ha affermato che numerosi altri provvedimenti stavano per essere assunti a tale data. Ancorché si possa concludere, in base a tali affermazioni, che lo sforzo attuativo è gradualmente aumentato, come ho osservato al paragrafo 28, l’aspetto decisivo, da questo punto di vista, è se tale sforzo, unitamente alla minaccia di azioni repressive, rappresenti una pressione sufficiente a spingere coloro che svolgono attività di trattamento dei rifiuti a rispettare le norme nazionali che traspongono la direttiva, garantendo, in tal modo, che la situazione voluta dalla direttiva sia realizzata nella pratica. Alla fine del periodo stabilito dalla Commissione nel parere motivato era chiaro, come ho dimostrato sopra, che non tutti gli impianti di trattamento dei rifiuti erano soggetti ad autorizzazione, e che pertanto si svolgevano attività non autorizzate. Tale situazione implica necessariamente che i provvedimenti attuativi disponibili all’epoca non erano tali da spingere all’osservanza delle disposizioni sull’autorizzazione, oppure non erano applicati a tal fine. In altre parole, essi non erano idonei a raggiungere il risultato voluto dalla direttiva.

80.     La Commissione afferma inoltre che in taluni casi l’obbligo di autorizzazione era subordinato all’applicazione della legislazione sull’utilizzazione del territorio (denuncia 2), e che tale obbligo non è stato applicato correttamente, in ragione di una diversa interpretazione del termine «recupero» nel diritto irlandese nel periodo rilevante (denuncia 1). L’Irlanda contesta tale affermazione ed afferma, quanto all’ultimo profilo, che le autorità nazionali non possono essere incolpate per aver correttamente applicato la legge vigente. Considero entrambi questi aspetti secondari rispetto alle questioni principali sollevate dalla Commissione a sostegno della presunta inosservanza, da parte dell’Irlanda, degli obblighi derivanti dagli artt. 9 e 10 della direttiva sui rifiuti. Quanto al primo aspetto, vorrei solo osservare che anche l’applicazione della legislazione nazionale sull’utilizzazione del territorio deve conformarsi agli obiettivi della direttiva sui rifiuti. Nella fattispecie, l’attività in esame non era in alcun caso soggetta ad autorizzazione ai sensi dell’art. 9, come ammesso dal governo irlandese. Quanto al secondo aspetto, è ovvio che non può invocarsi un’interpretazione nazionale divergente di un concetto comunitario, quale il «recupero», per giustificare l’erronea applicazione di una norma comunitaria.

81.     Al paragrafo 35 ho precisato che il sistema di autorizzazione rappresenta lo strumento fondamentale per raggiungere gli obiettivi di cui all’art. 4 della direttiva, e che esso deve pertanto soddisfare taluni criteri, di modo che la sua efficacia sia garantita. L’efficacia, da questo punto di vista, significa che il sistema deve avere un effetto sia preventivo sia correttivo, nel senso che garantisce la realizzazione concreta del risultato voluto: ad esempio, che i rifiuti vengano recuperati, smaltiti o gestiti in modo tale da non compromettere la salute umana o l’ambiente. Inoltre, detto obiettivo dev’essere garantito in modo strutturale. Con questo intendo dire che il livello di osservanza delle disposizioni che mirano al perseguimento di detti obiettivi dev’essere talmente elevato che le violazioni possono considerarsi meramente incidentali.

82.     Nel valutare il rispetto, da parte dell’Irlanda, degli artt. 9 e 10 della direttiva sui rifiuti al momento della scadenza del termine di due mesi stabilito nel parere motivato della Commissione, alla luce dell’evoluzione della situazione, è chiaro che l’Irlanda non era ancora riuscita ad introdurre un sistema di autorizzazione pienamente operativo per il controllo del trattamento dei rifiuti. È stato dimostrato che, al momento qui rilevante, non tutte le attività di trattamento dei rifiuti soggette alla direttiva erano state sottoposte ad autorizzazione. Il sistema di autorizzazione attuato in Irlanda all’epoca non poteva essere considerato efficace per ottenere, in pratica, gli obiettivi perseguiti dalla direttiva. Le varie denunce elencate al paragrafo 8, se considerate nel loro insieme, rivelano una serie di eventi spiegabili solo alla luce di carenze nel sistema di autorizzazione. Data la durata di tale situazione, e alla luce del fatto che i casi di inosservanza dell’obbligo di autorizzazione in Irlanda erano diffusi e interessavano varie regioni ed unità amministrative, concludo nel senso che la descritta situazione di inadempimento dell’ottobre 2001 aveva carattere generalizzato e strutturale.

B – Operatori addetti alla raccolta, al trasporto e all’intermediazione di rifiuti (art. 12)

83.     L’art. 12 della direttiva sui rifiuti dispone che gli stabilimenti o le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale, o che provvedono allo smaltimento o al ricupero di rifiuti per conto di terzi, devono essere iscritti presso le competenti autorità qualora non siano soggetti ad autorizzazione.

84.     La Commissione afferma che questa disposizione non è stata trasposta correttamente dall’Irlanda e che, di conseguenza, non è stata correttamente attuata. Essa afferma che ciò è dimostrato dal caso di cui alla denuncia 10 (Bray, Contea di Wicklow).

85.     L’Irlanda ammette di non aver pienamente trasposto tale disposizione nei tempi previsti, afferma tuttavia che tale omissione è stata superata con l’adozione dell’atto Waste Management (Collection Permit) Regulations (disposizioni in materia di trattamento dei rifiuti: autorizzazione alla raccolta), notificato alla Commissione nel rispetto del termine di due mesi stabilito nel parere motivato. Essa rileva che tali disposizioni vanno ben al di là di quanto richiesto dall’art. 12, in quanto, ai sensi delle stesse, i raccoglitori di rifiuti devono essere autorizzati, il che li sottopone a controlli più severi. Essa afferma che la presentazione di un’istanza per l’autorizzazione alla raccolta equivale, di fatto, a un’iscrizione, poiché ciò conduce formalmente il raccoglitore all’attenzione delle autorità. L’iscrizione non implica né consente che le autorità impongano condizioni preliminari.

86.     La Commissione rileva che il sistema di autorizzazione è stato introdotto tardivamente rispetto alla data di attuazione della direttiva 91/156, e che allo scadere del termine ultimo stabilito nel parere motivato esso non era pienamente operativo, né era tale alla data di introduzione del suo ricorso. Essa contesta il fatto che l’istanza per un’autorizzazione possa essere considerata equivalente ad una iscrizione. Una semplice istanza non sottopone il richiedente alle ispezioni di cui all’art. 13.

87.     Vorrei sottolineare in proposito che l’art. 12 impone un obbligo di iscrizione ai raccoglitori e agli altri intermediari nella catena di trattamento dei rifiuti, qualora gli Stati membri non li abbiano sottoposti ad autorizzazione. In tal senso, la direttiva sui rifiuti impone un requisito minimo. È evidente che l’Irlanda ha optato per l’ultima ipotesi, e che le relative norme sono state notificate alla Commissione nel rispetto del termine ultimo stabilito dal parere motivato. Tuttavia, è altrettanto chiaro che dalla data di attuazione all’entrata in vigore del sistema di autorizzazione per i raccoglitori di rifiuti, l’art. 12 non è stato correttamente attuato in Irlanda. In ogni modo, poiché la questione dell’adempimento deve essere risolta facendo riferimento alla data stabilita nel parere motivato, e poiché l’Irlanda aveva attuato, a tale data, un sistema di autorizzazioni, ne discende che essa non era più tenuta a sottoporre i raccoglitori di rifiuti ad iscrizione. Chiaramente, ciò vale solo se il sistema di autorizzazione stesso è adeguato e se è applicato a tutti gli intermediari rientranti nell’ambito d’applicazione dell’art. 12. Comunque, poiché l’argomento della Commissione è essenzialmente incentrato sull’assenza di un sistema di iscrizione e poiché, a mio parere, essa non ha fornito prove sufficienti a dimostrare che il sistema di autorizzazione per i raccoglitori è inadeguato in sé stesso ovvero per quanto concerne il suo ambito soggettivo d’applicazione, ne concludo che il ricorso della Commissione sotto questo profilo deve essere respinto.

C – Una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento (art. 5)

88.     L’art. 5 della direttiva sui rifiuti ha come obiettivo fondamentale la creazione di una rete integrata di impianti di smaltimento negli Stati membri, che consenta alla Comunità nel suo insieme di raggiungere l’autosufficienza in materia di smaltimento dei rifiuti. Esso richiede altresì agli Stati membri di adottare provvedimenti per raggiungere individualmente l’autosufficienza.

89.     Riferendosi allo stretto rapporto esistente tra gli artt. 9 e 5 della direttiva sui rifiuti, la Commissione afferma innanzitutto che essendovi, dal suo punto di vista, un’insufficiente attuazione dell’art. 9 della direttiva, è evidente che l’Irlanda non ha assunto misure appropriate per la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento. Gli obblighi imposti mediante le autorizzazioni consentono agli impianti di smaltimento di funzionare in maniera integrata. La Commissione rileva che, alla luce delle condizioni applicate dall’EPA nel rilasciare le autorizzazioni agli impianti, è chiaro che sono necessari significativi miglioramenti nei metodi di smaltimento in Irlanda e, dato il numero di impianti ancora in attesa di autorizzazione, sarà necessario ancora molto tempo prima che gli impianti irlandesi di trattamento dei rifiuti possano operare in maniera integrata ai sensi dell’art. 5. La Commissione sottolinea altresì le carenze relative alle discariche di Kilbarry e Tramore (denuncia 7). Essa sostiene che, poiché talune regioni ricorrono a impianti inadeguati, senza avere alternative, la rete irlandese dev’essere ritenuta inadeguata. Essa precisa inoltre che, in taluni casi, la capienza delle discariche è esaurita ovvero prossima ad esaurirsi (denuncia 11).

90.     Il governo irlandese replica che non può ritenersi sussistente un inadempimento dell’art. 5 per il solo fatto che le autorizzazioni al trattamento dei rifiuti spesso richiedono miglioramenti per le discariche stesse. Esso afferma che, prima dell’adozione della direttiva sulle discariche di rifiuti, a queste ultime non si applicavano criteri qualitativi comunitari. Inoltre, gli eventi cui fa riferimento la denuncia 11 sarebbero atipici. La Commissione non ha individuato alcun caso in cui i rifiuti non si sono potuti smaltire in ragione di problemi di capienza, né tiene conto della possibilità di estendere la capienza delle discariche.

91.     A mio parere, la corretta attuazione dell’obbligo in esame implica che lo Stato membro assuma provvedimenti di natura sia tecnica, per garantire che all’interno dello Stato membro vi sia sufficiente capacità per assorbire i rifiuti prodotti nel relativo territorio, sia amministrativa, per garantire che i vari impianti operino in modo coordinato. Questo è un settore d’attività economica in cui l’offerta di capacità è relativamente poco flessibile, mentre, per effetto della crescita economica, la domanda è in costante aumento. Ciò significa che una rete di impianti di smaltimento può considerarsi adeguata solo quando l’offerta di capacità sia sufficiente ad assorbire l’aumento quantitativo dei rifiuti prodotti nel territorio dello Stato membro.

92.     La Commissione sottolinea, giustamente, che il riferimento all’art. 5 di cui all’art. 9 dimostra che nel sistema della direttiva le autorizzazioni al trattamento dei rifiuti sono considerate un strumento per dare piena efficacia alle disposizioni di cui all’art. 5. Poiché è stato dimostrato che l’art. 9 non è stato correttamente attuato dall’Irlanda, è mancata una base giuridica che imponesse agli impianti di smaltimento in tale paese di operare come una rete ai sensi di detta disposizione. Inoltre, la frequenza dei casi di smaltimento dei rifiuti al di fuori delle strutture autorizzate attesta l’inadeguatezza della rete in Irlanda. Altre prove in tal senso possono essere tratte da una serie di relazioni contenute nel fascicolo di causa, tra cui una relazione del dicembre 2001 redatta dal Forfás (comitato irlandese per le politiche imprenditoriali, commerciali, tecnologiche e dell’innovazione), cui fa riferimento la Commissione nel suo ricorso. Tale relazione rileva, riferendosi a un forte incremento nella produzione di rifiuti a partire dal 1995, che la gestione dei rifiuti in Irlanda si trova a un punto critico, e prevede un ulteriore aggravamento della situazione in mancanza di congrui provvedimenti. Benché l’Irlanda, nel suo controricorso, tenti di relativizzare l’importanza di tali documenti, questi ultimi, nel loro insieme, forniscono un significativo quadro della situazione relativa alla capacità di smaltimento e della mancanza di coordinamento in tale ambito alla data di scadenza del termine stabilito dal parere motivato della Commissione. Concludo perciò nel senso che l’Irlanda non ha adottato misure adeguate ai fini della piena e corretta attuazione dell’art. 5 della direttiva.

D – L’obbligo fondamentale nell’ambito della direttiva sui rifiuti (art. 4, primo comma)

93.     L’art. 4, primo comma, prevede l’obbligo fondamentale, per gli Stati membri, di assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente, in particolare in taluni casi ivi elencati.

94.     La Commissione sostiene che, consentendo lo svolgimento di un numero rilevante di operazioni di smaltimento e di recupero dei rifiuti al di fuori di qualsiasi struttura autorizzata, non può ritenersi che l’Irlanda abbia assunto tutte le misure necessarie per l’attuazione dell’art. 4, poiché, al di fuori del sistema delle autorizzazioni, i metodi di smaltimento e di recupero non sono adeguatamente disciplinati e controllati. Varie denunce pervenutele hanno fornito la prova dell’esistenza di un danno ambientale (denunce 6, Poolbeg; 7, Kilbarry e Tramore, e 9, Greenore). Alla luce degli obiettivi indicati dall’art. 4, i rifiuti depositati in violazione delle disposizioni della direttiva devono essere resi innocui, il che significa che devono essere concretamente ripuliti. Perciò, non è sufficiente a questo fine limitarsi a disporre la cessazione di tali operazioni. Ancorché le autorizzazioni rilasciate dall’EPA contribuiscano al ripristino di taluni siti, la Commissione sostiene che non sembra che il rilascio di tali autorizzazioni sia esauriente o soddisfacente rispetto alle operazioni illecite di trattamento dei rifiuti in Irlanda.

95.     L’Irlanda sostiene che, poiché la Commissione non ha dimostrato che non è stato attuato un regime di autorizzazioni, né ha dimostrato che vi è stato un effettivo danno ambientale, è infondato affermare che vi sia stata una violazione dell’art. 4 della direttiva. Essa contesta l’affermazione secondo cui le autorità irlandesi non avrebbero adottato alcun provvedimento per risolvere i problemi sorti dalle precedenti attività di trattamento di rifiuti, e afferma che la Commissione non ha dimostrato che il rilascio delle autorizzazioni da parte dell’EPA non consentirà un risanamento e un recupero soddisfacenti degli impianti chiusi.

96.     Nella sua replica, la Commissione si riferisce al testo dell’art. 4, che vieta misure, procedimenti o mezzi di trattamento di rifiuti che «potrebbero» recare pregiudizio all’ambiente. Ciò implica che la Commissione non è tenuta a provare che vi è stato un concreto pregiudizio all’ambiente, poiché ciò andrebbe a compromettere la finalità preventiva di tale disposizione. La mancanza di un sistema di autorizzazione pienamente efficace costituisce una prova significativa del fatto che non sono state assunte tutte le misure necessarie ai sensi dell’art. 4.

97.     L’Irlanda replica che, quando la Commissione ha tentato di dimostrare l’esistenza di un effettivo danno ambientale, non è riuscita a fornire prove sufficienti a tal fine. Riconoscendo che le autorizzazioni concesse dall’EPA permettono una graduale introduzione di provvedimenti di tutela dell’ambiente, l’Irlanda afferma che la proposta della Commissione di chiudere gli impianti durante il procedimento di autorizzazione è irrealistica.

98.     Nella sentenza San Rocco, la Corte afferma che, ancorché l’art. 4, primo comma, della direttiva sui rifiuti, non precisi il contenuto concreto delle misure che devono essere adottate per assicurare che i rifiuti siano smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente, ciò non toglie che essa vincola gli Stati membri circa l’obiettivo da raggiungere, pur lasciando agli stessi un potere discrezionale nella valutazione della necessità di tali misure  (32) . Mi sembra, comunque, che tale potere discrezionale riconosciuto agli Stati membri sia limitato, se si considera la direttiva come un sistema completo. L’art. 4, primo comma, è strettamente connesso agli artt. 9 e 10, i quali rappresentano, nel sistema della direttiva, gli strumenti principali per l’ottenimento degli obiettivi stabiliti dalla disposizione citata. L’affermazione esplicita contenuta negli artt. 9 e 10 secondo cui il requisito dell’autorizzazione è stato introdotto al fine di attuare l’art. 4 dimostra che tale requisito rappresenta una delle «misure necessarie» di cui all’art. 4, primo comma. Ciò implica necessariamente che, in caso di inosservanza degli artt. 9 e 10, vi è altresì una violazione dell’art. 4, primo comma.

99.     In mancanza di un sistema di autorizzazioni pienamente operativo concernente il trattamento dei rifiuti, non vi è alcuna garanzia che le attività relative ai rifiuti siano condotte senza pericolo per la salute dell’uomo o per l’ambiente. Quanto alla questione della prova del concreto danno ambientale, quale risultato delle attività non autorizzate di trattamento dei rifiuti, dalla lettera della norma in esame risulta evidente che, come rilevato dalla Commissione, è sufficiente dimostrare che da tali attività può derivare un danno potenziale. Comunque, nel fascicolo di causa si trovano prove sufficienti di danno concreto del tipo specificato dall’art. 4, primo comma, cagionato da operazioni non autorizzate sui rifiuti. Mi riferisco, tra l’altro, alle situazioni di cui alle denunce 7, 9 e 11. Si deve pertanto rilevare che l’Irlanda non ha adempiuto gli obblighi che le derivano dall’art. 4, primo comma, della direttiva sui rifiuti.

E – Scarico di rifiuti (art. 4, secondo comma)

100.   L’art. 4, secondo comma, dispone che gli Stati membri adottino le misure necessarie per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti.

101.   La Commissione ritiene che tale disposizione completi il primo comma dell’art. 4, in quanto il divieto di scarico aiuta a garantire che le operazioni di trattamento di rifiuti si svolgano in un contesto debitamente regolamentato. Essa afferma che l’Irlanda non ha rispettato e non rispetta nei fatti l’obbligo di vietare lo scarico di rifiuti, come risulta evidente dall’ampia quantità di rifiuti scaricati al di fuori delle strutture regolamentari previste dagli artt. 9 e 10. Essa afferma inoltre che l’Irlanda non ha reagito ai casi di scarico illecito con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive. Essa si richiama agli argomenti esposti riguardo all’inadempimento di queste ultime disposizioni.

102.   L’Irlanda contesta tale affermazione della Commissione e sostiene che quest’ultima non ha fornito alcuna prova che la situazione fosse tale alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato. Non spetterebbe all’Irlanda fornire una prova negativa.

103.   Come ho rilevato al paragrafo 36, ritengo che l’art. 4, secondo comma, possa ritenersi attuato correttamente quando il divieto di scarico sia previsto dal diritto nazionale, quando siano previste adeguate sanzioni in caso di violazioni e quando vi sia un’efficace vigilanza sul rispetto di tali disposizioni. Molte delle denunce che sono alla base del presente ricorso dimostrano l’esistenza di casi di smaltimento incontrollato o di scarico di rifiuti in varie regioni irlandesi. Mi riferisco, tra l’altro, alle denunce 1, 6, 9 e 12. Il governo irlandese non ha fornito alcuna prova per dimostrare che dette situazioni sono state risolte prima della scadenza del termine stabilito nel parere motivato. Alla luce di quanto rilevato con riferimento all’inadempimento degli artt. 9 e 10, nonché dell’art. 4, primo comma, non ho alcun dubbio nel concludere che l’Irlanda ha violato gli obblighi derivanti dall’art. 4, secondo comma, della direttiva sui rifiuti.

F – Detentori di rifiuti (art. 8)

104.   L’art. 8 della direttiva sui rifiuti impone agli Stati membri di assumere le disposizioni necessarie affinché ogni detentore di rifiuti, come definito dall’art. 1 della direttiva  (33) , li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettui operazioni di smaltimento o di recupero, oppure provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento conformandosi alle disposizioni della direttiva.

105.   La Commissione, riferendosi alla sentenza della Corte nella causa San Rocco  (34) , ritiene che l’Irlanda non abbia rispettato l’art. 8 della direttiva. Essa non ha garantito che i detentori di rifiuti in ragione di operazioni non autorizzate li consegnino a uno degli operatori previsti dalla norma in esame, né che provvedano essi stessi al recupero o allo smaltimento dei rifiuti conformandosi alle disposizioni della direttiva. Quest’ultimo aspetto si ricollega, a suo parere, alla gestione dei rifiuti nell’ambito della struttura delle autorizzazioni. Essa rileva che le operazioni disciplinate dall’art. 8 devono rispettare altre disposizioni della direttiva, e in particolare l’art. 4. Nella sua replica, essa fa riferimento alla situazione di cui alla denuncia 1 (Limerick), dove rifiuti di costruzione e di demolizione depositati illegittimamente sono stati poi trasportati in un impianto che all’epoca era privo di autorizzazione, e che, alla data in cui è stata redatta la replica, ne era ancora privo. Analoghe sequenze di eventi sembrano essere intervenute nelle situazioni cui fanno riferimento le denunce 2 (Ballard), 6 (Poolbeg), 8 (contea di Laois) e 9 (Greenore).

106.   Il governo irlandese afferma che la Commissione non ha fornito alcuna prova fattuale a sostegno dell’affermazione secondo cui l’Irlanda avrebbe violato l’art. 8, alla luce di quanto stabilito dalla Corte nella sentenza San Rocco.

107.   L’art. 8 è il primo anello della catena di responsabilità cui si riferisce la Commissione. Il trattamento dei rifiuti in maniera controllata inizia con l’obbligo, per il detentore, di smaltire o trattare i rifiuti stessi in modo compatibile con gli obiettivi individuati dalla direttiva, e quindi, in particolare, con l’art. 4 della stessa. Il detentore può fare ciò autonomamente, ovvero deve assicurarsi che i rifiuti siano trattati da uno stabilimento che effettui le operazioni di smaltimento o di recupero previste negli allegati II A o II B alla direttiva. Nel sistema istituito dalla direttiva sui rifiuti, può trattarsi solamente di un operatore autorizzato ai sensi degli artt. 9 o 1 della direttiva. Nella sentenza San Rocco la Corte ha confermato che il gestore di una discarica abusiva diviene, nel ricevervi rifiuti, detentore di questi rifiuti ai sensi dell’art. 8, e che lo Stato membro ha l’obbligo di adottare le misure necessarie affinché questi rifiuti siano consegnati ad un raccoglitore privato o pubblico o ad un’impresa di smaltimento, salvo che tale gestore provveda egli stesso al loro recupero o smaltimento  (35) . Inoltre, come rilevato sopra, l’art. 8 presuppone la disponibilità di sufficiente capacità operativa, all’interno dello Stato membro, per l’assorbimento ed il trattamento dei rifiuti, in modo tale che i detentori di rifiuti possano conformarsi ai loro obblighi ai sensi di tale disposizione. Da questo duplice punto di vista, dalle prove fattuali fornite alla Corte risulta che, in numerose situazioni (denunce 1 e 12) i rifiuti sono stati trattati da operatori esterni al sistema di autorizzazione, cosicché i detentori dei rifiuti in oggetto non hanno rispettato gli obblighi derivanti dall’art. 8, ovvero non erano in grado di farlo. Pertanto, l’Irlanda non ha adeguatamente attuato l’art. 8 della direttiva.

G – Controlli e registrazioni (artt. 13 e 14)

108.   L’art. 13 dispone che gli stabilimenti o le imprese che effettuano le operazioni previste agli artt. 9-12 sono sottoposti a adeguati controlli periodici da parte delle autorità competenti. In breve, l’art. 14 impone a tutte le imprese rientranti nell’ambito d’applicazione degli artt. 9 e 10 della direttiva sui rifiuti di tenere registri relativamente ai rifiuti da loro trattati e alle modalità di trattamento. Tali informazioni devono essere fornite, su richiesta, alle autorità competenti.

109.   La Commissione ritiene che, quale conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo di autorizzazione di cui alla direttiva sui rifiuti, l’Irlanda non rispetta neppure gli artt. 13 e 14 della direttiva. A suo modo di vedere, poiché l’EPA è responsabile del controllo dell’osservanza delle autorizzazioni che esso rilascia, non è responsabile del controllo degli impianti rimasti privi di autorizzazione. Fino a quando gli operatori irlandesi non sono inquadrati nella struttura delle autorizzazioni, essi godono, di fatto, di un’esenzione dall’obbligo di tenere registri.

110.   In risposta a entrambi gli addebiti, l’Irlanda si richiama agli argomenti svolti nel suo controricorso in ordine alla situazione di autorizzazione delle discariche municipali, secondo cui, alla data del 5 giugno 2002, tutti gli impianti rilevanti di trattamento dei rifiuti erano stati autorizzati, e, di conseguenza, sottoposti a controlli. L’Irlanda afferma inoltre che la direttiva non precisa che i controlli possono essere svolti solamente con riferimento alle imprese autorizzate, e nega che vi sia una connessione automatica tra il rilascio delle autorizzazioni e la tenuta di registri.

111.   Come per l’art. 13, deve riconoscersi che vi è un collegamento ovvio ed implicito tra la sussistenza di una struttura di autorizzazioni pienamente operativa e i controlli ad essa collegati. Del pari, il fatto di aver rilasciato un’autorizzazione per un’attività non comporta necessariamente lo svolgimento di controlli, e l’assenza di un’autorizzazione non comporta necessariamente l’assenza di controlli. Poiché la Commissione non ha fornito alcuna prova del mancato svolgimento di controlli, e si è basata esclusivamente sull’inadempimento degli artt. 9 e 10 della direttiva sui rifiuti, ne concludo che questo capo del ricorso della Commissione dev’essere respinto.

112.   Le medesime considerazioni devono essere svolte con riferimento alla tesi della Commissione secondo cui l’Irlanda non ha adempiuto pienamente l’obbligo relativo alla tenuta di registri ai sensi dell’art. 14 della direttiva. Poiché, anche in questo caso, essa si basa esclusivamente sulla mancanza di un sistema di autorizzazioni pienamente operativo e poiché non ha dimostrato altrimenti l’inadempimento di tale disposizione, anche questa censura dev’essere respinta.

VIII – Inadempimento generalizzato e strutturale della direttiva sui rifiuti da parte dell’Irlanda

113.   Il ricorso della Commissione mira a far accertare che l’Irlanda ha violato la direttiva sui rifiuti in maniera strutturale e generalizzata, non avendo garantito il pieno riconoscimento e la piena attuazione della catena ininterrotta di responsabilità, anziché a far accertare la fondatezza delle dodici denunce su cui si basa il suo ricorso.

114.   Il caso in esame è diverso dalla causa San Rocco  (36) , in quanto si pone su un diverso livello. In quest’ultima causa si trattava di stabilire se si potesse constatare una violazione dell’art. 4 della direttiva sui rifiuti partendo da un unico caso di inadempimento. Nella causa in esame, invece, si tratta di stabilire se numerosi casi di inadempimento possano fondare l’accertamento di un generale inadempimento, da parte di uno Stato membro, degli obblighi derivanti dalla direttiva sui rifiuti. In ogni caso, il principio che è stato elaborato in tale occasione può risultare significativo anche per il caso in esame. Nella sentenza San Rocco, la Corte ha statuito che «[n]on è (…) in via di principio possibile dedurre direttamente dalla mancata conformità di una situazione di fatto agli obiettivi fissati all’art. 4, primo comma, della direttiva 75/442, modificata, che lo Stato membro interessato sia necessariamente venuto meno agli obblighi imposti da questa disposizione». La Corte ha continuato affermando che «[t]uttavia, la persistenza di una tale situazione di fatto, in particolare quando comporta un degrado rilevante dell’ambiente per un periodo prolungato senza intervento delle autorità competenti, può rivelare che gli Stati membri hanno oltrepassato il potere discrezionale che questa disposizione conferisce loro»  (37) .

115.   Nell’esaminare la nozione di inadempimento generalizzato e strutturale, ho rilevato l’esistenza di tre diversi parametri di giudizio per un siffatto inadempimento: le dimensioni, la durata e la gravità. Nella causa San Rocco, dove si trattava di un singolo caso di inadempimento della direttiva sui rifiuti, la Corte ha valutato il presunto inadempimento in base alla sua durata («la persistenza di una tale situazione di fatto») e alla sua gravità («un degrado rilevante dell’ambiente»). In base ai medesimi criteri, se, in una situazione analoga, uno Stato membro non assume provvedimenti per la soluzione del problema, la violazione dell’art. 4 può considerarsi dimostrata.

116.   Nell’applicare i citati criteri alla fattispecie in esame, vorrei svolgere due osservazioni in merito al citato giudizio della Corte. Una è già stata svolta al paragrafo 98, dove ho precisato che, considerando la direttiva da un punto di vista sistematico, lo spazio di manovra concesso agli Stati membri ai sensi dell’art. 4 è limitato. La seconda è che, quando entrambi i criteri citati risultano soddisfatti, può riconoscersi l’esistenza di un inadempimento solo qualora lo Stato membro interessato non abbia assunto alcun provvedimento per porre rimedio alla situazione. Il governo irlandese si è richiamato a tale considerazione in sede di udienza, per affermare di aver assunto energici provvedimenti per risolvere i problemi del trattamento dei rifiuti in Irlanda, conformandosi in tal modo alla giurisprudenza San Rocco. A mio parere, in particolare per la soluzione del caso che ci occupa, rileva non solo il fatto che lo Stato membro abbia assunto provvedimenti, ma anche che quest’ultimo dimostri che tali provvedimenti sono efficaci nel senso precisato al paragrafo 29.

117.   Ho già rilevato che, alla data di scadenza del termine stabilito nel parere motivato, per un verso l’Irlanda non aveva ottemperato agli obblighi derivanti dagli artt. 4, 5, 8, 9 e 10 della direttiva e, per altro verso, la Commissione non aveva adeguatamente dimostrato la violazione degli artt. 12, 13 e 14.

118.   Nello stabilire se sia possibile su tali basi individuare un inadempimento generalizzato, vorrei rilevare che l’inadempimento del primo gruppo di norme riguarda il nucleo essenziale dell’attuazione della direttiva sui rifiuti. Come ho rilevato più volte in queste conclusioni, la direttiva dovrebbe essere considerata come un sistema completo, nel quale l’obbligo fondamentale degli Stati membri e gli obiettivi della direttiva stessa sono stabiliti dall’art. 4, e in cui gli obblighi in materia di autorizzazione di cui agli artt. 9 e 10 hanno una funzione essenziale. È mediante le autorizzazioni che lo Stato membro può controllare il trattamento dei rifiuti e può applicare condizioni per il perseguimento degli obiettivi della direttiva. Una condizione preliminare per il raggiungimento di tali obiettivi è ovviamente che le infrastrutture di smaltimento dei rifiuti siano attrezzate per assorbire i rifiuti prodotti sul territorio dello Stato membro, come richiesto dall’art. 5 della direttiva. La piena e corretta attuazione di tali disposizioni risulta di vitale importanza per la realizzazione dei suoi obiettivi. Le altre disposizioni di cui si tratta in questa causa, benché rappresentino elementi essenziali del sistema, hanno natura maggiormente accessoria. Il fatto che la Commissione non abbia fornito prove sufficienti a dimostrare l’inadempimento di tali norme, eccezion fatta per l’art. 8, non incide, a mio modo di vedere, sulla possibilità di stabilire la sussistenza di un inadempimento generalizzato.

119.   È necessario pertanto valutare se la violazione di tali norme cruciali della direttiva sui rifiuti abbia dimensioni, durata e gravità tali da poter essere considerata come generalizzata e strutturale.

120.   Ho già concluso in tal senso al precedente paragrafo 82, con riferimento agli obblighi di autorizzazione di cui agli artt. 9 e 10. Benché le disposizioni che richiedono un’autorizzazione per le operazioni di trattamento e di recupero dei rifiuti, ai sensi della direttiva, siano vigenti sin dal 1977, è chiaro che nell’ottobre 2001 il sistema di autorizzazione irlandese non le aveva ancora attuate in modo completo ed efficace. I molti casi di scarico non autorizzato di rifiuti in varie parti dell’Irlanda, di cui fascicolo di causa, rivelano che, nel corso degli anni, il trattamento dei rifiuti non è stato controllato in maniera adeguata dalle autorità irlandesi. Si deve del pari ammettere che la situazione concernente l’autorizzazione delle operazioni sui rifiuti in Irlanda si è evoluta, e che in particolare nella seconda metà degli anni ‘90 sono stati conseguiti importanti miglioramenti. Tuttavia, l’azione condotta dalle autorità irlandesi non è stata sufficiente a raggiungere gli obiettivi fissati dalla direttiva nel rispetto del termine stabilito nel parere motivato. Considerato il tempo trascorso dall’introduzione dell’obbligo di autorizzazione, risulta pienamente giustificato concludere che l’inadempimento degli artt. 9 e 10 della direttiva è stato persistente e di lunga durata.

121.   Il materiale probatorio contenuto nelle dodici denunce dimostra anch’esso che i problemi collegati alle operazioni di trattamento dei rifiuti illecite, cioè non autorizzate, non si limitavano a talune località, bensì erano diffusi su tutto il territorio irlandese. Essi si sono verificati nella sfera di competenza di diverse autorità locali, il che dimostra l’esistenza di un più generale problema amministrativo. Una situazione siffatta può essere risolta solamente mediante un cambiamento di politica a livello di governo centrale.

122.   Infine, quanto alla gravità dell’inadempimento, il criterio di valutazione è la misura in cui la situazione concreta si discosta da quanto prescritto dalla direttiva. Considerando le situazioni che hanno dato origine alle 12 denunce, è chiaro che non sono conformi agli obiettivi di cui all’art. 4. Esse attestano l’esistenza di molti casi di grave inquinamento ambientale, di danni a zone umide e ad altre zone sensibili dal punto di vista ambientale.

123.   Dalle considerazioni ora svolte discende che ritengo effettivamente che l’inadempimento degli obblighi derivanti dagli artt. 4, 5, 8, 9 e 10, che rappresentano il nucleo essenziale della direttiva sui rifiuti, sia stato persistente, diffuso e grave, cosicché vi sono ragioni sufficienti per affermare che l’Irlanda ha violato la direttiva sui rifiuti in modo generalizzato e strutturale.

IX – Art. 10 CE

124.   L’Irlanda riconosce di non aver fornito le informazioni richieste dalla Commissione in data 20 settembre 1999 con riferimento ad una denuncia relativa a un impianto di trattamento dei rifiuti a Fermoy, contea di Cork, e che essa ha pertanto violato gli obblighi derivanti dall’art. 10 CE. Di conseguenza, tale motivo sollevato dalla Commissione deve essere accolto.

X – Sulle spese

125.    In base al disposto dell’art. 69, n. 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna di esse sopporti le proprie spese. Poiché, a mio parere, i motivi fondamentali del ricorso della Commissione devono essere accolti, mentre i motivi che devono essere respinti hanno carattere accessorio rispetto alla sostanza della causa in esame, propongo che, in applicazione dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, l’Irlanda sia condannata alle spese del procedimento.

XI – Conclusione

126.   Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di:

di dichiarare che, in primo luogo, non avendo istituito un sistema di autorizzazione adeguato e pienamente operativo per lo smaltimento e il recupero dei rifiuti; in secondo luogo, non avendo garantito che i detentori di rifiuti consegnino gli stessi ad un raccoglitore privato o pubblico o ad un’impresa autorizzata ad effettuare operazioni di recupero o di smaltimento dei rifiuti, ovvero provvedano essi stessi al loro recupero o smaltimento; in terzo luogo, non avendo assunto le misure necessarie per prevenire l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti, mettendo in tal modo in pericolo la salute dell’uomo e cagionando pregiudizio all’ambiente, e, in quarto luogo, non avendo creato una rete adeguata di impianti di smaltimento, e ciò in tutto il suo territorio e per un periodo prolungato, l’Irlanda ha violato gli obblighi che le derivano ai sensi degli artt. 4, 5, 8, 9, e 10 della direttiva del Consiglio 75/442/CEE, relativa ai rifiuti;

respingere il ricorso per quanto riguarda la presunta violazione degli artt. 12, 13 e 14;

dichiarare che, non avendo fornito le informazioni richieste dalla Commissione in data 20 settembre 1999, l’Irlanda ha violato gli obblighi che le incombono ai sensi dell’art. 10 CE;

condannare l’Irlanda alle spese.


1
Lingua originale: l'inglese.


2
GU L 194, pag. 39.


3
GU L 78, pag. 32.


4
Direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU L 59, pag. 61).


5
Direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206, pag. 7).


6
Uso qui il termine «attuazione» come termine generale, che comprende il recepimento di una direttiva nel diritto nazionale, nonché l'applicazione e l'esecuzione di tali norme da parte delle autorità nazionali.


7
V., ad esempio, sentenza della Corte 13 marzo 1997, causa C‑197/96, Commissione/ Francia (Racc. pag. I‑1489, punto 15).


8
V., ad esempio, sentenza della Corte 6 maggio 1980, causa 102/79 Commissione/Belgio (Racc. pag. 1473, punto 10).


9
V., ad esempio, sentenza della Corte 30 maggio 1991, causa C‑361/88, Commissione/ Germania (Racc. pag. I‑2567, punto 15), e causa C‑197/96, Commissione/ Francia, cit. in nota 7, punto 15.


10
Sentenza della Corte 8 luglio 1987, causa 262/85, Commissione/Italia (Racc. pag. 3073, punti 39 e 44).


11
Sentenza della Corte 11 luglio 2002, causa C‑62/00, Marks & Spencer (Racc. pag. I‑6325, punto 27). Desidero precisare che, al fine di mantenere la coerenza terminologica nell'ambito delle presenti conclusioni, ho sostituito i termini «attuazione» ed «attuato» con «recepimento» e «recepito». Ovviamente, si tratta di termini che si riferiscono tutti, in questo contesto, all'adattamento della legislazione nazionale alle disposizioni della direttiva.


12
Ibid.


13
Conclusioni 29 aprile 2004 nella causa C‑304/02, Commissione/Francia, decisa con sentenza 12 luglio 2005 (Racc. pag. I‑6263, paragrafo 39).


14
V. penultimo ‘considerando’ nel preambolo della direttiva 91/156, già cit. in nota 3.


15
L'art. 9 della direttiva fa altresì riferimento agli artt. 5 (rete di impianti di smaltimento) e 7 (piani di gestione di rifiuti).


16
I detentori di rifiuti sono definiti dall'art. 1, lett. c), della direttiva sui rifiuti come «il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che li detiene».


17
Già cit. in nota 12.


18
Sentenze della Corte 7 aprile 1992, causa C‑45/91, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑2509), e 4 luglio 2000, causa C‑387/97, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑5047).


19
Sentenza della Corte 9 novembre 1999, causa C‑365/97, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑7773).


20
Sentenza della Corte 9 dicembre 1997, causa C‑265/95, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑6959).


21
V. punti 40-43. V., altresì, conclusioni dell'avvocato generale Lenz, paragrafo 58.


22
La Corte così si esprime: «il mancato rispetto di un obbligo imposto da una norma di diritto comunitario costituisce di per sé un inadempimento ed è irrilevante la considerazione che tale inosservanza non abbia prodotto effetti negativi» (v. sentenze 27 novembre 1990, causa C‑209/88, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑4313, punto 14, e 1° febbraio 2001, causa C‑333/99, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑1025, punto 37).


23
Causa C‑365/97, cit. in nota 19, punti 78‑79.


24
V., inter alia, sentenze 25 maggio 1982, causa 96/81, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. 1791, punto 6); 26 giugno 2003, causa C‑404/00, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑6695, punto 26) e 29 aprile 2004, causa C‑194/01, Commissione/Austria (Racc. pag. I‑4579, punto 34).


25
Causa C‑365/97, cit. in nota 19, punti 84-87.


26
V. altresì sentenza 22 settembre 1988, causa 272/86, Commissione/Grecia (Racc. pag. 4875, punti 17-21).


27
Causa C‑333/99, cit. in nota 22, punto 35, e sentenza 14 novembre 2002, causa C‑140/00, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑10379, punto 40).


28
V., ad esempio, causa C‑365/97, cit. in nota 19, punto 89.


29
Sentenze della Corte 25 novembre 1998, causa C‑214/96, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑7661, punto 25), e 18 giugno 2002, causa C‑60/01, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑5679, punto 36).


30
Direttiva del Consiglio 26 aprile 1999, 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti (GU L 182, pag. 1).


31
Sentenza 8 giugno 1993, causa C‑52/91, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I‑3069, punto 36).


32
Sentenza San Rocco, cit. in nota 19, punto 67.


33
V. nota 16.


34
Cit. in nota 19, punti 105-110 della sentenza.


35
Punto 108 della sentenza.


36
Cit. in nota 19.


37
Punto 68 della sentenza.