Language of document : ECLI:EU:C:2019:1067

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PRIIT PIKAMÄE

presentate l’11 dicembre 2019 (1)

Causa C457/18

Repubblica di Slovenia

contro

Repubblica di Croazia

«Inadempimento di uno Stato – Articolo 259 TFUE – Eccezioni di incompetenza e di irricevibilità – Determinazione della frontiera comune tra due Stati membri – Controversia frontaliera tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia – Accordo arbitrale – Procedura di arbitrato – Notifica della Repubblica di Croazia che mette fine all’accordo – Lodi arbitrali parziale e definitivo resi dal tribunale arbitrale – Validità ed effetti del “lodo arbitrale definitivo”»






1.        Quando la Corte di giustizia dell’Unione europea è adita da uno Stato membro con un ricorso per inadempimento sul fondamento dell’articolo 259 TFUE, è competente a conoscerne nel caso in cui le asserite violazioni del diritto dell’Unione dipendano dal contenuto di un «lodo arbitrale» reso in applicazione di un accordo arbitrale bilaterale rientrante nel diritto internazionale pubblico, ma al quale una delle parti nega qualsiasi valore giuridico? È questa la principale questione sollevata dalla presente causa, che costituisce uno dei rari casi di ricorso per inadempimento interstatale fondato sull’articolo 259 TFUE (2), il cui primo comma prevede che uno Stato membro «può adire la Corte di giustizia dell’Unione europea quando reputi che un altro Stato membro ha mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati».

2.        Nel suo ricorso la Repubblica di Slovenia chiede alla Corte, in particolare, di dichiarare che la Repubblica di Croazia ha violato l’articolo 2 e l’articolo 4, paragrafo 3, TUE nonché una serie di norme di diritto derivato in materia di politica comune della pesca, di regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) e di pianificazione dello spazio marittimo.

3.        La Repubblica di Croazia ha sollevato, prima di qualsiasi difesa nel merito, talune eccezioni di incompetenza e di irricevibilità del ricorso, la cui analisi è oggetto delle presenti conclusioni, eccezioni che la Corte ha deciso di esaminare separatamente, prima di pronunciarsi, se del caso, sul merito della causa.

4.        La Corte deve pertanto interrogarsi sulla questione se la controversia frontaliera tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia, il tentativo di risolverla e il procedimento arbitrale cui ha condotto costituiscano questioni di diritto internazionale pubblico idonee a fondare un ricorso per inadempimento proposto in forza dell’articolo 259 TFUE. Nelle presenti conclusioni illustrerò i motivi per i quali ritengo che la Corte non sia competente a pronunciarsi sul ricorso in esame, come sostenuto dalla Repubblica di Croazia. Suggerisco inoltre di accogliere la richiesta della Repubblica di Croazia di ritirare dal fascicolo il parere giuridico della Commissione europea di cui all’allegato C.2 della risposta della Repubblica di Slovenia.

I.      Contesto normativo

A.      Diritto internazionale

1.      Accordo arbitrale

5.        Il terzo considerando del preambolo dell’accordo firmato il 4 novembre 2009 tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia (in prosieguo: l’«accordo arbitrale») ricorda i mezzi pacifici di risoluzione delle controversie elencati all’articolo 33 della Carta delle Nazioni Unite (3). L’articolo 1 dell’accordo arbitrale istituisce quindi un tribunale arbitrale.

6.        L’articolo 2 di tale accordo definisce la composizione e in particolare le modalità di designazione e di sostituzione dei membri di detto tribunale.

7.        L’articolo 3, paragrafo 1, dell’accordo arbitrale, rubricato «Compito del tribunale arbitrale», prevede che quest’ultimo determina a) il delineamento della frontiera tra la Croazia e la Slovenia, b) il collegamento della Slovenia con l’alto mare e c) il regime per l’utilizzo dei rispettivi spazi marittimi. Il paragrafo 2 di tale articolo enuncia le modalità di determinazione dell’oggetto della controversia. Il paragrafo 3 di detto articolo prevede che il tribunale emette un lodo sulla controversia. Ai sensi del paragrafo 4 del medesimo articolo, il tribunale arbitrale ha il potere di interpretare l’accordo arbitrale.

8.        A tenore dell’articolo 4, lettera a), dell’accordo arbitrale, il tribunale arbitrale, nel dare attuazione alle disposizioni dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), di tale accordo, applica le norme e i principi del diritto internazionale. Ai sensi dell’articolo 4, lettera b), di detto accordo, il tribunale arbitrale, nell’attuare le disposizioni dell’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), applica il diritto internazionale, l’equità e il principio delle relazioni di buon vicinato al fine di ottenere un risultato giusto ed equo che tenga conto di tutte le circostanze pertinenti.

9.        L’articolo 6, paragrafo 2, dell’accordo arbitrale prevede che, salvo diversa disposizione, il tribunale arbitrale svolge il procedimento secondo le Regole opzionali di arbitraggio nelle dispute tra due Stati della Corte permanente di arbitrato (in prosieguo: la «CPA»). Il paragrafo 4 di tale articolo prevede che il tribunale arbitrale decide nel più breve tempo possibile, previa consultazione delle parti, su ogni questione procedurale, a maggioranza dei suoi membri.

10.      L’articolo 7, paragrafo 1, dell’accordo arbitrale dispone in particolare che il tribunale arbitrale, dopo avere debitamente esaminato tutti i fatti pertinenti del caso, rende la sua decisione nel più breve tempo possibile. Il paragrafo 2 di detto articolo enuncia che il lodo arbitrale è vincolante per le parti e risolve definitivamente la controversia. Ai sensi del paragrafo 3 di tale articolo, le parti prendono tutti i provvedimenti necessari per dare attuazione al lodo, compresa, se del caso, la modifica della legislazione nazionale entro sei mesi dalla pronuncia del lodo.

11.      Ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, dell’accordo arbitrale, la Repubblica di Slovenia scioglie le proprie riserve in relazione all’apertura e alla chiusura dei capitoli dei negoziati concernenti l’adesione all’Unione europea quando la difficoltà riguardi la controversia.

12.      Conformemente all’articolo 11, paragrafo 3, dell’accordo arbitrale, tutti i termini procedurali stabiliti in detto accordo si applicano a decorrere dalla data della firma della Repubblica di Croazia del Trattato tra gli Stati membri dell’Unione europea e la Repubblica di Croazia relativo all’adesione della Repubblica di Croazia all’Unione europea (4) (in prosieguo: il «Trattato di adesione»).

2.      Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati

13.      La Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, del 23 maggio 1969 (5) (in prosieguo; la «Convenzione di Vienna»), prevede all’articolo 60, paragrafo 1, rubricato «Estinzione di un trattato o sospensione della sua applicazione come conseguenza della sua violazione», quanto segue:

«Una sostanziale violazione di un trattato bilaterale da parte di una delle parti autorizza l’altra parte a invocare la violazione come motivo per porre termine al trattato o sospenderne completamente o parzialmente l’applicazione».

B.      Diritto dell’Unione

1.      Atto di adesione

14.      L’articolo 15 dell’Atto relativo alle condizioni di adesione all’Unione europea della Repubblica di Croazia e agli adattamenti del trattato sull’Unione europea, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e del trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica (6) (in prosieguo: l’«Atto di adesione»), allegato al Trattato di adesione, così dispone:

«Gli atti elencati nell’allegato III formano oggetto degli adattamenti specificati in tale allegato».

15.      L’allegato III di tale atto prevede, al punto 5, gli adattamenti da apportare al regolamento relativo alla politica comune della pesca (7) applicabile alla data di tale adesione. Ai sensi del medesimo punto 5, nell’allegato I di detto regolamento sono aggiunti i punti 11 e 12, rubricati rispettivamente «Acque costiere della Croazia» e «Acque costiere della Slovenia». Tali punti 11 e 12 contengono un rinvio alle note 2 e 3, secondo le quali «[i]l regime summenzionato si applica a partire dalla piena attuazione del lodo arbitrale derivante dall’accordo arbitrale tra il governo della Repubblica di Slovenia e il governo della Repubblica di Croazia firmato a Stoccolma il 4 novembre 2009».

2.      Diritto derivato

a)      Regolamento (UE) n. 1380/2013

16.      L’articolo 5 del regolamento (UE) n. 1380/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2013, relativo alla politica comune della pesca (8), rubricato «Norme generali sull’accesso alle acque», enuncia, ai paragrafi 1 e 2, quanto segue:

«1.      I pescherecci unionali hanno pari accesso alle acque e alle risorse in tutte le acque unionali ad esclusione di quelle di cui ai paragrafi 2 e 3, fatte salve le misure adottate conformemente alla parte III.

2.      Nelle acque situate entro 12 miglia nautiche dalle linee di base soggette alla propria sovranità o giurisdizione, gli Stati membri sono autorizzati, fino al 31 dicembre 2022, a limitare le attività di pesca ai pescherecci che pescano tradizionalmente in tali acque e che provengono da porti situati sulla costa adiacente, ferme restando le disposizioni relative ai pescherecci unionali battenti bandiera di altri Stati membri previste dalle relazioni di vicinato esistenti tra Stati membri e le disposizioni contenute nell’allegato I che stabilisce, per ciascuno Stato membro, le zone geografiche delle fasce costiere di altri Stati membri in cui tali attività di pesca vengono esercitate nonché le specie interessate. Gli Stati membri informano la Commissione delle restrizioni imposte a norma del presente paragrafo».

17.      L’allegato I del regolamento n. 1380/2013, intitolato «Accesso alle acque costiere ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2», rinvia, ai punti 8 e 10, rubricati rispettivamente «Acque costiere della Croazia» e «Acque costiere della Slovenia», alle note 2 e 3, secondo le quali «[i]l regime summenzionato si applica a decorrere dalla piena attuazione del lodo arbitrale derivante dall’accordo arbitrale tra il governo della Repubblica di Slovenia e il governo della Repubblica di Croazia firmato a Stoccolma il 4 novembre 2009».

18.      La Repubblica di Slovenia invoca inoltre le disposizioni del regolamento (CE) n. 1224/2009 del Consiglio, del 20 novembre 2009, che istituisce un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca (9), e del regolamento di esecuzione (UE) n. 404/2011 della Commissione, dell’8 aprile 2011, recante modalità di applicazione del regolamento n. 1224/2009 (10).

b)      Codice frontiere Schengen

19.      L’articolo 4 del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (11) (in prosieguo: il «codice frontiere Schengen»), rubricato «Diritti fondamentali», prevede che, «[i]n sede di applicazione del presente regolamento, gli Stati membri agiscono nel pieno rispetto del pertinente diritto unionale, (…) del pertinente diritto internazionale, (…) degli obblighi inerenti all’accesso alla protezione internazionale».

20.      L’articolo 13 del codice frontiere Schengen istituisce una sorveglianza di frontiera, la quale, ai sensi del paragrafo 1 del medesimo articolo, «si prefigge principalmente lo scopo di impedire l’attraversamento non autorizzato della frontiera, di lottare contro la criminalità transfrontaliera e di adottare misure contro le persone entrate illegalmente». Le modalità di detta sorveglianza sono definite ai paragrafi da 2 a 5 dell’articolo citato nonché nell’allegato V, parte A, di detto codice.

21.      L’articolo 17 del medesimo codice sancisce un obbligo di cooperazione tra gli Stati membri. Il paragrafo 1 di tale articolo prevede, in particolare, che gli «Stati membri si prestano assistenza e assicurano tra loro una cooperazione stretta e permanente ai fini di un’esecuzione efficace del controllo di frontiera a norma degli articoli da 7 a 16» e «si scambiano tutte le informazioni utili».

c)      Direttiva 2014/89/UE

22.      Il considerando 7 della direttiva 2014/89/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, che istituisce un quadro per la pianificazione dello spazio marittimo (12), enuncia quanto segue:

«La convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (“UNCLOS”) stabilisce nel preambolo che i problemi legati all’uso degli spazi oceanici sono strettamente collegati e devono essere considerati nel loro insieme. La pianificazione degli spazi oceanici costituisce il logico avanzamento e la logica strutturazione degli obblighi e dell’utilizzo dei diritti concessi nell’ambito dell’UNCLOS nonché uno strumento pratico per assistere gli Stati membri nel rispetto dei loro obblighi».

23.      Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, di tale direttiva:

«La presente direttiva non inficia i diritti sovrani e la giurisdizione degli Stati membri sulle acque marine che derivano dal pertinente diritto internazionale, in particolare dall’UNCLOS. Più specificamente, l’applicazione della presente direttiva non influisce sul delineamento e la delimitazione delle frontiere marittime da parte degli Stati membri in conformità delle pertinenti disposizioni dell’UNCLOS».

24.      L’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2014/89 così prevede:

«Come parte del processo di pianificazione e gestione, gli Stati membri che condividono un bacino marino cooperano al fine di garantire che i piani di gestione dello spazio marittimo siano coerenti e coordinati nella regione marina in questione. Tale cooperazione deve tener conto, in particolare, di aspetti di natura transnazionale».

II.    Fatti e procedimento precontenzioso

25.      Il 25 giugno 1991 la Slovenia e la Croazia hanno proclamato la loro indipendenza dalla Repubblica socialista federativa di Jugoslavia. Nel periodo dal 1992 al 2001 la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia hanno tentato di risolvere la questione della definizione delle loro frontiere terrestre e marittima mediante negoziati bilaterali.

26.      La Repubblica di Slovenia è divenuta membro dell’Unione europea il 1o maggio 2004.

27.      Il 4 novembre 2009 la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia hanno concluso un accordo arbitrale per risolvere la loro controversia frontaliera, con il quale si sono impegnate ad ottemperare alla decisione di un tribunale arbitrale costituito a tale scopo. Detto accordo è entrato in vigore il 29 novembre 2010.

28.      Il 9 dicembre 2011 è stato firmato il Trattato di adesione tra gli Stati membri dell’Unione e la Repubblica di Croazia. Il Trattato di adesione, ratificato nel gennaio 2012 dalla Repubblica di Croazia, è stato pubblicato il 24 aprile 2012 nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. La Repubblica di Croazia è divenuta membro dell’Unione il 1o luglio 2013.

29.      Il 17 gennaio 2012, in applicazione dell’articolo 2, paragrafo 1, dell’accordo arbitrale, la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia hanno designato il presidente e due membri del tribunale arbitrale (13). I due membri di tale tribunale, che dovevano essere parimenti designati dalle parti, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, dell’accordo arbitrale, sono stati nominati alla fine di gennaio dello stesso anno (14). Le modalità della nomina sono state concordate nell’aprile 2012 e la CPA (15) è stata designata quale istituzione facente funzione di cancelleria (16) dai due Stati in questione (17). Inoltre, secondo l’articolo 6, comma 2, dell’accordo arbitrale, il tribunale arbitrale doveva svolgere il procedimento conformemente alle regole opzionali di arbitraggio nelle dispute tra due Stati della CPA (18).

30.      La fase scritta è iniziata l’11 febbraio 2013 e l’udienza di discussione si è svolta tra il 2 e il 13 giugno 2014.

31.      Dalle memorie della Repubblica di Croazia risulta che nel corso del procedimento arbitrale si è verificato un incidente di procedura, a causa di una comunicazione ex parte tra l’arbitro nominato dalla Repubblica di Slovenia e l’agente di tale Stato dinanzi al tribunale arbitrale avvenuta durante le deliberazioni di detto tribunale. In seguito alla pubblicazione di alcuni articoli di stampa, le due persone interessate hanno rassegnato le dimissioni dalle loro funzioni di arbitro e di agente. Il 30 luglio 2015 si è dimesso anche l’arbitro inizialmente nominato dalla Repubblica di Croazia.

32.      Con lettera del 24 luglio 2015 indirizzata al tribunale arbitrale, la Repubblica di Croazia ha espresso a quest’ultimo estrema preoccupazione circa la comunicazione ex parte controversa, che, a suo avviso, avrebbe suscitato seri dubbi sull’integrità e l’imparzialità dell’intero procedimento arbitrale, e ha chiesto la sospensione temporanea del procedimento dinanzi al tribunale arbitrale (19).

33.      Il 29 luglio 2015, il Parlamento della Repubblica di Croazia ha adottato all’unanimità una risoluzione relativa all’obbligo del governo della Repubblica di Croazia di avviare una procedura di risoluzione dell’accordo arbitrale.

34.      Con nota verbale del 30 luglio 2015, la Repubblica di Croazia ha informato la Repubblica di Slovenia che riteneva di avere diritto a risolvere l’accordo arbitrale (20) in ragione di una sostanziale violazione di detto accordo da parte della Repubblica di Slovenia, ai sensi dell’articolo 60, paragrafo 1, della Convenzione di Vienna. La Repubblica di Croazia ha precisato che tale nota costituiva una notifica, a norma dell’articolo 65, paragrafo 1, della Convenzione di Vienna, con la quale essa proponeva di risolvere immediatamente l’accordo arbitrale. La Repubblica di Croazia ha spiegato che riteneva che l’imparzialità e l’integrità del procedimento arbitrale fossero irrimediabilmente compromesse, il che comportava una violazione manifesta dei suoi diritti. Il tribunale arbitrale ha ricevuto una copia di detta nota verbale.

35.      Con lettera del 31 luglio 2015, la Repubblica di Croazia ha informato il tribunale arbitrale che intendeva risolvere l’accordo arbitrale, illustrando i motivi di tale cessazione.

36.      La Repubblica di Slovenia ha nominato un nuovo membro, il quale si è tuttavia dimesso dalle sue funzioni di arbitro il 3 agosto 2015. Il presidente del tribunale arbitrale ha successivamente nominato due nuovi arbitri ai due posti vacanti secondo la procedura di sostituzione degli arbitri prevista all’articolo 2 dell’accordo arbitrale.

37.      Con lettera del 1o dicembre 2015, il tribunale arbitrale ha invitato le due parti a presentare nuove conclusioni e domande «in merito alle implicazioni giuridiche dei punti sollevati dalla [Repubblica di] Croazia nelle lettere del 24 e 31 luglio 2015». Esso ha ordinato alle due parti di presentare le loro memorie entro il 15 gennaio 2016 (per la Repubblica di Croazia) e il 26 febbraio 2016 (per la Repubblica di Slovenia). Il tribunale arbitrale le ha inoltre informate che intendeva organizzare un’udienza su tali questioni per il 17 marzo 2016.

38.      Il 17 marzo 2016 si è svolta un’udienza relativa a dette questioni. La Repubblica di Slovenia ha presentato una memoria scritta e ha partecipato all’udienza. La Repubblica di Croazia non vi ha invece partecipato.

39.      Il 30 giugno 2016 il tribunale arbitrale si è pronunciato sull’incidente procedurale con un lodo parziale. Esso ritiene, in particolare, che la Repubblica di Slovenia, stabilendo contatti ex parte con l’arbitro che aveva nominato inizialmente, abbia agito in violazione delle disposizioni dell’accordo arbitrale. Tuttavia, tali violazioni non erano di natura tale da consentire alla Repubblica di Croazia di risolvere l’accordo arbitrale, che continuava a trovare applicazione. Secondo il tribunale arbitrale, detta violazione non gli impediva, nella sua composizione modificata, di emettere un lodo definitivo in modo indipendente e imparziale. Esso ha pertanto concluso che nulla ostava alla continuazione del procedimento conformemente all’accordo arbitrale.

40.      Il 29 giugno 2017 il tribunale arbitrale ha emesso un lodo arbitrale definitivo avente ad oggetto la definizione dei confini terrestre e marittimo tra i due Stati ma di cui la Repubblica di Croazia contesta la validità e quindi l’efficacia vincolante.

41.      Il 16 marzo 2018 la Repubblica di Slovenia ha avviato il procedimento di cui all’articolo 259 TFUE, presentando alla Commissione una denuncia a titolo di una violazione del diritto dell’Unione da parte della Repubblica di Croazia.

42.      La Commissione non ha emesso un parere motivato entro il termine di tre mesi previsto all’articolo 259 TFUE.

III. Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

43.      Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 13 luglio 2018, la Repubblica di Slovenia ha proposto il ricorso in esame.

44.      Con atto separato del 21 dicembre 2018, la Repubblica di Croazia ha sollevato un’eccezione di irricevibilità del ricorso in esame ai sensi dell’articolo 151 del regolamento di procedura della Corte. La Repubblica di Croazia chiede, in via principale, che detto ricorso sia respinto nella sua integralità in quanto irricevibile, poiché la Corte non sarebbe competente a statuire sulla domanda proposta dalla Repubblica di Slovenia a norma dell’articolo 259 TFUE. In subordine, essa formula la medesima richiesta in base al rilievo che il ricorso non sarebbe conforme all’articolo 21 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e all’articolo 120 del regolamento di procedura della Corte.

45.      La Repubblica di Slovenia ha presentato le proprie osservazioni su tale eccezione il 12 febbraio 2019. Essa conclude per la ricevibilità del ricorso facendo valere, in sostanza, che la Corte è competente a pronunciarsi sul ricorso in esame sul fondamento dell’articolo 259 TFUE e che esso soddisfa le condizioni previste all’articolo 21 dello Statuto della Corte dell’Unione europea nonché all’articolo 120 del regolamento di procedura della Corte.

46.      Con decisione del 14 maggio 2019, la Corte ha deciso di rinviare la causa alla Grande Sezione al fine di statuire sull’eccezione di irricevibilità.

47.      Con lettera della cancelleria della Corte del 7 giugno 2019, la Commissione è stata invitata dalla Corte, a norma dell’articolo 24, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, a rispondere per iscritto, o se del caso in udienza, a taluni quesiti relativi alle disposizioni del regolamento n. 1380/2013.

48.      Con lettera del 31 maggio 2019, la Repubblica di Croazia ha chiesto alla Corte di escludere dal fascicolo il documento di lavoro interno della Commissione relativo al parere del suo servizio giuridico, contenuto nell’allegato C.2 della risposta della Repubblica di Slovenia all’eccezione di irricevibilità (21).

49.      Con lettera della cancelleria della Corte del 20 giugno 2019, la Corte ha chiesto alla Commissione di presentare le sue osservazioni su tale domanda.

50.      Il 28 giugno 2019 la Commissione ha presentato dette osservazioni. Con lettera separata in pari data, essa ha risposto ai quesiti che le erano stati comunicati il 7 giugno 2019.

51.      L’8 luglio 2019 si è tenuta un’udienza di discussione alla quale hanno partecipato la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia, debitamente rappresentate.

52.      Nel corso dell’udienza, interrogata sul punto, la Repubblica di Slovenia ha precisato che manteneva la propria domanda relativa alla cessazione delle asserite violazioni.

IV.    Argomentazione della Repubblica di Slovenia esposta nel ricorso

53.      A sostegno del suo ricorso, la Repubblica di Slovenia deduce sei motivi nell’atto introduttivo.

54.      Con il primo motivo, la Repubblica di Slovenia sostiene che, venendo meno in maniera unilaterale all’impegno, che si era assunta nel processo di adesione all’Unione, a rispettare il futuro lodo arbitrale, il confine definito dal lodo arbitrale controverso e gli altri obblighi da questo imposti, la Repubblica di Croazia rifiuta, in violazione dell’articolo 2 TUE, di rispettare il valore dello Stato di diritto nonché i principi di leale cooperazione e del giudicato.

55.      Con il secondo motivo, la Repubblica di Slovenia sostiene che la Repubblica di Croazia, rifiutando unilateralmente di eseguire gli obblighi ad essa incombenti in forza del lodo arbitrale controverso, le impedisce di esercitare integralmente la sovranità su tutto il proprio territorio, di terraferma e marino, nel rispetto delle norme di diritto derivato. In tal modo, essa violerebbe l’obbligo di leale cooperazione sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE e metterebbe in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione, tra i quali figurerebbero la promozione e il rafforzamento della pace e di un sempre più stretto legame tra le nazioni, come pure gli obiettivi delle norme dell’Unione che si riferiscono al territorio degli Stati membri nonché l’effettiva attuazione del diritto dell’Unione da parte della Repubblica di Slovenia. In tale contesto, la Repubblica di Slovenia addebita alla Repubblica di Croazia di impedirle di adempiere il suo obbligo di dare attuazione a una serie di atti di diritto derivato (22).

56.      Con il terzo motivo, la Repubblica di Slovenia fa valere che, non rispettando il territorio sloveno né i confini, la Repubblica di Croazia viola il diritto dell’Unione nel settore della politica comune della pesca.

57.      A tal riguardo, la Repubblica di Slovenia sostiene che, contestando il confine definito dal lodo arbitrale controverso nonché opponendosi alla sua demarcazione e all’applicazione di tale confine, la Repubblica di Croazia viola i diritti esclusivi della Repubblica di Slovenia sulle proprie acque territoriali e le impedisce di adempiere gli obblighi ad essa incombenti in forza del regolamento n. 1380/2013.

58.      In particolare, la Repubblica di Slovenia addebita alla Repubblica di Croazia di violare il regime di accesso reciproco istituito dal regolamento n. 1380/2013, che per questi due Stati si applica dal 30 dicembre 2017 e consente a 25 pescherecci di ciascun paese il libero accesso al mare territoriale dell’altro paese, così come fissato conformemente al diritto internazionale, cioè ai sensi del lodo arbitrale controverso. Infatti, la Repubblica di Croazia impedirebbe di applicare il regime di accesso reciproco, rifiuterebbe di riconoscere la validità della legislazione che la Repubblica di Slovenia ha adottato a tal fine e, per effetto dell’applicazione sistematica di sanzioni, non consentirebbe ai pescherecci sloveni il libero accesso alle acque marine che il lodo arbitrale controverso ha definito come slovene, nonché, a fortiori, il libero accesso alle acque croate ricadenti nell’ambito di applicazione di tale regime.

59.      Con il quarto motivo, la Repubblica di Slovenia sostiene che la Repubblica di Croazia viola il regime di controllo comunitario volto a garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca (in prosieguo: il «regime di controllo») istituito dal regolamento n. 1224/2009 e dal regolamento di esecuzione n. 404/2011, in quanto, da un lato, le impedirebbe di ottemperare agli obblighi ad essa incombenti nell’ambito di detto regime di controllo e, dall’altro, eserciterebbe illegittimamente, nelle acque slovene, diritti che spettano alla Repubblica di Slovenia in quanto Stato costiero. Tali regolamenti imporrebbero agli Stati membri di bandiera due serie di obblighi, vale a dire un obbligo di controllo (articolo 9, paragrafo 3, del regolamento n. 1224/2009 e articoli da 21 a 23 del regolamento di esecuzione n. 404/2011) e un obbligo di comunicazione (articolo 15 del regolamento n. 1224/2009 nonché articoli 43 e 44 del regolamento di esecuzione n. 404/2011).

60.      Con il quinto motivo, la Repubblica di Slovenia asserisce che la Repubblica di Croazia viola il codice frontiere Schengen, in quanto il confine tra i due Stati è ancora una frontiera esterna alla quale si applicano le disposizioni del titolo II di detto codice. La Repubblica di Croazia violerebbe sia gli obblighi di controllo di frontiera imposti dall’articolo 17 del codice frontiere Schengen sia l’obbligo di sorveglianza delle frontiere sancito dall’articolo 13 di detto codice. Inoltre, essa verrebbe meno all’obbligo di agire nel pieno rispetto del pertinente diritto internazionale di cui all’articolo 4 di detto codice in quanto rifiuterebbe di riconoscere il lodo arbitrale controverso.

61.      Con il sesto motivo, la Repubblica di Slovenia sostiene che la Repubblica di Croazia, rifiutando di riconoscere il lodo arbitrale controverso che ha definito la delimitazione delle acque territoriali tra questi due Stati membri, e includendo le acque territoriali slovene nella sua pianificazione dello spazio marittimo (23), viola l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 8 della direttiva 2014/89. Così facendo, inoltre, la Repubblica di Croazia renderebbe impossibile qualsiasi cooperazione, il che configurerebbe una violazione dell’articolo 11, paragrafo 1, di tale direttiva, che prevede l’obbligo di cooperazione.

V.      Sintesi degli argomenti delle parti sulle eccezioni di incompetenza e di irricevibilità

A.      Eccezioni relative all’incompetenza della Corte a conoscere della presente causa

62.      La prima eccezione di incompetenza è fondata sul carattere accessorio delle censure della Repubblica di Slovenia. A tal riguardo, dette censure, quali figurano nel ricorso, sarebbero accessorie rispetto alla risoluzione della controversia vertente sulla validità e sugli effetti giuridici dell’accordo arbitrale e del lodo arbitrale controverso. Orbene, in un procedimento ai sensi dell’articolo 259 TFUE, la Corte non sarebbe competente a pronunciarsi su tale controversia né su siffatte censure accessorie. A tale proposito, dalla sentenza Commissione/Belgio (24) risulterebbe che, in un simile procedimento, la Corte non è competente a pronunciarsi sulla violazione di obblighi derivanti dal diritto dell’Unione se tali obblighi sono accessori rispetto alla previa risoluzione di un’altra controversia che non rientra nella competenza della Corte.

63.      Con la seconda eccezione di incompetenza, la Repubblica di Croazia sostiene che l’effettivo oggetto della controversia tra i due Stati è costituito, da un lato, dall’interpretazione e dall’applicabilità dell’accordo arbitrale, che non forma parte integrante del diritto dell’Unione, e, dall’altro, dalla validità e dalle eventuali conseguenze giuridiche del lodo arbitrale controverso.

64.      A tal riguardo, la Repubblica di Croazia sottolinea di contestare l’esistenza stessa del lodo arbitrale controverso, in quanto avrebbe validamente denunciato l’accordo arbitrale prima ancora che detto lodo fosse pronunciato. Se la Corte dovesse esaminare tali questioni, essa dovrebbe in particolare analizzare, in primo luogo, la questione della validità di tale denuncia e degli effetti relativi di quest’ultima, in secondo luogo, se, a seguito della denuncia controversa, il tribunale arbitrale continui ad esistere, in terzo luogo, se detto tribunale possa adottare una decisione nel caso in cui continui ad esistere e, in quarto luogo, se la denuncia controversa abbia posto fine all’attività del tribunale arbitrale (25). Inoltre, qualora svolgesse siffatto esame, la Corte sarebbe indotta a valutare la motivazione del lodo arbitrale. Tuttavia, tali questioni sarebbero soggette alle norme del diritto internazionale e, in particolare, all’interpretazione dell’articolo 60 della Convenzione di Vienna nonché dell’accordo arbitrale, che non formano parte integrante del diritto dell’Unione.

65.      Con la terza eccezione di incompetenza, la Repubblica di Croazia sostiene che la Corte non è competente, ai sensi dell’articolo 259 TFUE, a pronunciarsi sulla validità e sugli effetti dell’accordo arbitrale, in quanto esso non forma parte integrante del diritto dell’Unione, né sulla validità e sugli effetti del lodo arbitrale controverso che si presume reso sulla base di tale accordo arbitrale. Secondo la Repubblica di Croazia, l’incidenza che la risoluzione della controversia bilaterale potrebbe avere sul funzionamento del diritto dell’Unione non sarebbe tale da estendere la competenza della Corte oltre quanto previsto dai Trattati. Pertanto, le censure della Repubblica di Slovenia relative a violazioni del diritto dell’Unione, ma la cui soluzione dipenderebbe dalla previa risoluzione della controversia sulla validità e sugli eventuali effetti giuridici dell’accordo arbitrale, non sarebbero sufficienti per attribuire alla Corte la competenza a conoscere della presente controversia sul fondamento dell’articolo 259 TFUE.

66.      Con la quarta eccezione di incompetenza, la Repubblica di Croazia sostiene che, a differenza delle controversie sottoposte alla Corte ai sensi dell’articolo 273 TFUE, quella in esame presenta un vincolo di connessione con il diritto dell’Unione. Le censure della Repubblica di Slovenia relative a violazioni del diritto dell’Unione, che dipenderebbero tuttavia dalla previa risoluzione della controversia sulla validità e sugli eventuali effetti giuridici dell’accordo arbitrale, non sarebbero sufficienti ad attribuire alla Corte la competenza a conoscere della presente controversia sul fondamento dell’articolo 259 TFUE.

67.      Con la quinta eccezione di incompetenza, la Repubblica di Croazia sottolinea che qualsiasi constatazione della Corte secondo cui la Repubblica di Croazia avrebbe commesso le asserite violazioni del diritto dell’Unione potrebbe tutt’al più essere ipotetica. Tuttavia, la Corte non sarebbe competente a pronunciarsi su violazioni ipotetiche del diritto dell’Unione nell’ambito di un procedimento ai sensi dell’articolo 259 TFUE.

68.      Con la sesta eccezione di incompetenza, la Repubblica di Croazia sostiene che la presente controversia non solleva alcuna questione di interpretazione del diritto dell’Unione. Di conseguenza, nel caso di specie non si potrebbe giustificare la competenza della Corte ai sensi dell’articolo 259 TFUE con la necessità di risolvere una controversia relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione e garantire così l’applicazione uniforme di tale diritto.

69.      La Repubblica di Slovenia conclude per il rigetto dell’eccezione di incompetenza sollevata dalla Repubblica di Croazia.

70.      In primo luogo, essa ritiene che tale eccezione si fondi sulla premessa erronea secondo cui la sua domanda sarebbe volta a far accertare che la Repubblica di Croazia è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’accordo arbitrale o del lodo arbitrale controverso, e non in forza del diritto dell’Unione. Si tratterebbe di un tentativo della Repubblica di Croazia di snaturare unilateralmente l’oggetto del ricorso.

71.      A tal riguardo, innanzitutto, la Repubblica di Slovenia sostiene che dalle disposizioni dei Trattati e dalla giurisprudenza risulta che la competenza della Corte dipende dal fatto che lo Stato ricorrente, nelle conclusioni del ricorso, invochi una violazione del diritto dell’Unione o l’applicabilità di tale diritto a dette conclusioni. La Repubblica di Croazia non può modificare a proprio vantaggio la presentazione dell’oggetto del ricorso quale specificato nel ricorso, dato che, nelle conclusioni del ricorso, la Repubblica di Slovenia non chiede affatto alla Corte di dichiarare che la Repubblica di Croazia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto internazionale, bensì le chiede di accertare un inadempimento degli obblighi che incombono a tale Stato membro in forza del diritto dell’Unione.

72.      La Repubblica di Slovenia considera poi che la competenza della Corte ai sensi dell’articolo 259 TFUE non è esclusa quando i fatti sulla base dei quali vengono dedotte le violazioni del diritto dell’Unione rientrano parimenti nell’ambito di applicazione del diritto internazionale. A tale proposito, assumerebbe rilievo solo la circostanza che tali fatti riguardino la violazione di obblighi imposti dal diritto dell’Unione. Tuttavia, ciò non impedirebbe alla Corte di tenere conto delle norme sostanziali del diritto internazionale che il diritto dell’Unione ha integrato o intendeva integrare nel proprio ordinamento giuridico.

73.      Inoltre, la Repubblica di Slovenia fa valere che la competenza della Corte non è esclusa neppure in ragione dell’esistenza di una controversia bilaterale relativa all’interpretazione di un atto di diritto internazionale applicabile alle parti di un procedimento per inadempimento. In tal senso, nella sentenza Spagna/Regno Unito (26) la Corte avrebbe interpretato una dichiarazione unilaterale del Regno Unito che rispecchiava il contenuto di un accordo concluso tra il Regno di Spagna e il Regno Unito, sebbene esistesse una controversia tra le parti in merito al significato di tale strumento di diritto internazionale.

74.      Infine, al fine di statuire sulla ricevibilità di un ricorso ai sensi dell’articolo 259 TFUE, occorrerebbe solo stabilire se il fondamento delle conclusioni corrisponda a «obblighi incombenti in virtù dei trattati». La Repubblica di Croazia suggerirebbe erroneamente che la Corte, per dichiararsi competente, debba essere convinta che uno Stato membro abbia violato gli obblighi ad esso incombenti in forza dei Trattati. L’interpretazione e l’applicazione delle norme del diritto dell’Unione non sarebbero questioni che la Corte debba esaminare in tale fase. Esse rientrerebbero, al contrario, nell’ambito dell’esame di merito.

75.      In secondo luogo, per quanto riguarda la prima eccezione di incompetenza fondata sul carattere accessorio delle censure relative al diritto dell’Unione, la Corte, per potersi pronunciare sulle asserite violazioni del diritto dell’Unione, non dovrebbe statuire su un inadempimento degli obblighi derivanti dal diritto internazionale né su atti contrari al diritto internazionale commessi dalla Repubblica di Croazia. Poiché i rispettivi territori della Repubblica di Croazia e della Repubblica di Slovenia sarebbero determinati dal confine stabilito conformemente al diritto internazionale, vale a dire il lodo arbitrale controverso, non spetterebbe alla Corte né accertare una violazione del diritto internazionale, né pronunciarsi su una controversia internazionale.

76.      Per quanto concerne la seconda eccezione di incompetenza fondata sull’oggetto «reale» della controversia asseritamente costituito dall’interpretazione del diritto internazionale, la Repubblica di Slovenia sottolinea che la questione del suo confine con la Repubblica di Croazia è una questione di fatto riguardo alla quale la Corte può basarsi sull’esito della risoluzione della controversia territoriale, e non una questione giuridica sulla quale essa possa statuire. Al contrario, la Corte dovrebbe rispettare e applicare il diritto internazionale, nella misura necessaria per interpretare o applicare il diritto dell’Unione.

77.      Per quanto riguarda la terza eccezione di incompetenza, fondata sulla previa risoluzione della controversia relativa alla validità e agli eventuali effetti giuridici dell’accordo arbitrale, la Repubblica di Slovenia rileva che, per accertare la portata e il rispetto degli obblighi che incombono agli Stati membri in forza del diritto dell’Unione, compreso l’obbligo di non impedire ad un altro Stato membro di attuare ed applicare il diritto dell’Unione sul proprio territorio, occorre partire dal confine tra gli Stati membri interessati, quale stabilito in base al diritto internazionale. Spetterebbe alla Corte prendere in considerazione, in quanto dati di fatto, gli elementi di diritto internazionale esistenti.

78.      La Repubblica di Slovenia aggiunge che la questione relativa alla validità dell’accordo arbitrale e alla validità degli effetti giuridici del lodo arbitrale controverso non forma oggetto della controversia dinanzi alla Corte, non rientra nella competenza di quest’ultima e, in ogni caso, è stata risolta nel lodo parziale del tribunale arbitrale. Il fatto che la Repubblica di Croazia non sia soddisfatta del lodo arbitrale controverso non potrebbe significare che esista una controversia frontaliera irrisolta o che la Corte debba pronunciarsi su tale questione già decisa.

79.      Inoltre, l’argomento della Repubblica di Croazia secondo cui il lodo arbitrale controverso non sarebbe direttamente applicabile, oltre a non riguardare la ricevibilità, bensì l’esame di merito, sarebbe erroneo, in quanto tale lodo sarebbe vincolante ai sensi del diritto internazionale e fisserebbe in modo definitivo il confine tra i due Stati membri.

80.      Per quanto riguarda la quinta eccezione di incompetenza, relativa alla natura ipotetica delle violazioni del diritto dell’Unione che le sono addebitate, la Repubblica di Croazia si limiterebbe ad affermare che non vi è stato alcun inadempimento da parte sua degli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell’Unione. In realtà, tale argomento rientrerebbe nel merito della causa. Ad ogni modo, si tratterebbe di violazioni reali e non ipotetiche, che si verificherebbero quotidianamente e alle quali la Repubblica di Slovenia tenterebbe di porre fine mediante il presente ricorso ai sensi dell’articolo 259 TFUE.

81.      Quanto alla sesta eccezione di incompetenza, fondata sul fatto che il presente procedimento non solleverebbe questioni di interpretazione del diritto dell’Unione, in quanto le parti comprendono allo stesso modo gli obblighi loro incombenti in forza del diritto dell’Unione, la Repubblica di Slovenia rileva che l’esistenza di una controversia relativa all’interpretazione o all’applicazione del diritto dell’Unione non costituisce, di per sé, un presupposto della competenza della Corte ai sensi dell’articolo 259 TFUE. Sarebbe sufficiente che la Repubblica di Slovenia sostenga che la Repubblica di Croazia è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del diritto dell’Unione.

B.      Eccezioni di irricevibilità del ricorso

82.      In subordine, per l’ipotesi in cui la Corte si dichiarasse competente a conoscere della presente controversia, la Repubblica di Croazia sostiene che il ricorso, che non sarebbe conforme ai requisiti di cui all’articolo 21 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e all’articolo 120 del regolamento di procedura della Corte, deve essere respinto in quanto irricevibile. Nelle conclusioni del ricorso, la Repubblica di Slovenia non indicherebbe espressamente l’oggetto della controversia, che consisterebbe in un’asserita violazione da parte della Repubblica di Croazia degli obblighi ad essa incombenti in forza del lodo arbitrale controverso. Secondo la Repubblica di Croazia, dette conclusioni non menzionerebbero la presunta violazione del lodo arbitrale controverso e il ricorso non esporrebbe argomenti giuridici idonei a dimostrare che esista un lodo arbitrale valido, cosicché le sarebbe impossibile preparare la propria difesa e rispondere a tali argomenti.

83.      La Repubblica di Slovenia afferma che il ricorso soddisfa tutti i requisiti di cui all’articolo 21 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e all’articolo 120 del regolamento di procedura della Corte. L’oggetto del ricorso sarebbe debitamente e precisamente determinato, riassunto all’inizio del ricorso, sviluppato e sostenuto da fatti precisi e argomentazioni giuridiche chiare, e nuovamente menzionato nelle conclusioni del ricorso. Le asserite violazioni del diritto dell’Unione sarebbero determinate con precisione e non vi sarebbero dubbi al riguardo.

84.      Di conseguenza, sarebbe parimenti erronea l’affermazione della Repubblica di Croazia secondo cui essa non sarebbe in grado di preparare la propria difesa riguardo all’asserita violazione del lodo arbitrale controverso. Anche supponendo che tale affermazione debba essere presa in considerazione dalla Corte, essa atterrebbe al merito della causa e non alla sua ricevibilità.

C.      Sulla domanda diretta ad escludere dalla discussione il parere del servizio giuridico della Commissione

85.      La Repubblica di Croazia chiede alla Corte di ritirare dal fascicolo, conformemente all’articolo 151 del regolamento di procedura della Corte, il parere del servizio giuridico della Commissione contenuto alle pagine da 38 a 45 dell’allegato C.2 della risposta della Repubblica di Slovenia all’eccezione di irricevibilità (in prosieguo: il «parere giuridico di cui trattasi»).

86.      A sostegno della sua domanda, la Repubblica di Croazia fa valere che il parere giuridico di cui trattasi è un documento interno che non è mai stato reso pubblico dalla Commissione. Secondo detta istituzione, la sua divulgazione non autorizzata potrebbe influire negativamente sul corretto funzionamento dell’istituzione stessa.

87.      La Commissione, basandosi sull’ordinanza del 23 ottobre 2002, Austria/Consiglio (27), fa valere che la produzione di siffatti documenti interni nell’ambito di una controversia dinanzi alla Corte, senza che tale produzione sia stata autorizzata dall’istituzione interessata né disposta da tale giudice, è contraria al pubblico interesse, secondo cui le istituzioni devono poter beneficiare dei pareri dei loro servizi giuridici, forniti in totale indipendenza. Secondo la Commissione, il parere giuridico di cui trattasi è un documento interno, che non era destinato alla pubblicazione e non è stato messo a disposizione del pubblico. La Commissione precisa che la sua produzione non è stata autorizzata nell’ambito di una controversia dinanzi alla Corte. Pertanto, il parere giuridico di cui trattasi dovrebbe essere escluso dal fascicolo.

VI.    Analisi

88.      La Repubblica di Croazia eccepisce l’incompetenza della Corte a statuire sul ricorso per inadempimento e, in subordine, l’irricevibilità di tale ricorso in ragione del fatto che non sarebbero state rispettate le condizioni di cui all’articolo 21 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e all’articolo 120 del regolamento di procedura della Corte. Faccio presente fin d’ora che, per le ragioni esposte nel prosieguo, ritengo che la Corte non sia competente ad esaminare il presente ricorso, cosicché non è necessario analizzare la questione della sua ricevibilità in relazione all’eventuale inosservanza delle disposizioni summenzionate.

89.      In primo luogo, prima di esaminare le eccezioni di incompetenza e di irricevibilità, occorre esaminare la domanda diretta ad escludere dalla discussione il parere del servizio giuridico della Commissione (parte A). In secondo luogo, nell’ambito dell’esame della competenza della Corte, mi è sembrato necessario, da un lato, svolgere alcune osservazioni preliminari su detta competenza, più precisamente in presenza di strumenti giuridici internazionali (parte B) e, dall’altro, esaminare, alla luce di tali osservazioni, l’oggetto del ricorso, analizzando i motivi specifici dedotti dalla ricorrente (parte C).

A.      Sulla domanda diretta ad escludere dalla discussione il parere del servizio giuridico della Commissione

90.      La Repubblica di Croazia chiede alla Corte di ritirare dal fascicolo il parere giuridico di cui trattasi, conformemente all’articolo 151 del regolamento di procedura della Corte.

91.      A tale proposito, occorre in primo luogo sottolineare che con l’ordinanza del 23 ottobre 2002, Austria/Consiglio (28), la Corte ha deciso di ritirare dal fascicolo il parere del servizio giuridico della Commissione che era stato prodotto in allegato al ricorso di annullamento proposto dall’Austria contro un regolamento. Al punto 12 di detta ordinanza, la Corte ha rilevato in particolare che sarebbe contrario all’interesse pubblico, secondo cui le istituzioni devono poter beneficiare dei pareri dei loro servizi giuridici, forniti in totale indipendenza, ammettere che la produzione di tali documenti interni possa avvenire nell’ambito di una controversia dinanzi alla Corte senza che detta produzione sia stata autorizzata dall’istituzione interessata o disposta dal giudice.

92.      Nel caso di specie, si deve constatare che il parere giuridico di cui trattasi proviene dal servizio giuridico della Commissione ed è stato redatto all’attenzione del capo di gabinetto del presidente della Commissione. Tale parere è stato elaborato nell’ambito del procedimento avviato dalla Repubblica di Slovenia in applicazione dell’articolo 259, secondo comma, TFUE, ai fini del ricorso previo alla Commissione. Esso contiene l’analisi degli argomenti addotti contro la Repubblica di Croazia, finalizzata ad ottenere l’accordo del menzionato capo di gabinetto per preparare un parere motivato conformemente al terzo comma dell’articolo 259 TFUE. È evidente che il parere giuridico di cui trattasi non era destinato alla pubblicazione (29).

93.      In secondo luogo, secondo la giurisprudenza, il ritiro di un parere giuridico di un’istituzione è giustificato quando esiste un rischio prevedibile che l’istituzione interessata sia costretta, nell’ambito del procedimento giudiziario in corso, vertente sulla validità di una decisione da essa adottata, a prendere pubblicamente posizione sul parere emesso dal proprio servizio giuridico. Tale prospettiva avrebbe inevitabilmente ripercussioni negative sull’interesse dell’istituzione interessata a chiedere una consulenza legale e sulla possibilità di ricevere pareri franchi, obiettivi e completi dal suo servizio giuridico (30).

94.      Nel caso di specie, nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 259, secondo comma, TFUE, la Commissione, cui si era rivolta la Repubblica di Slovenia, non ha emesso un parere motivato ai sensi del terzo comma di detto articolo. Pertanto, essa non ha espresso la sua posizione ufficiale su tale procedimento. Il caso in esame è quindi diverso dalle cause sopra citate, che riguardavano procedimenti giudiziari vertenti sulla validità di una decisione adottata e sostenuta dall’istituzione interessata. Tuttavia, nonostante questa differenza, mi sembra che le considerazioni esposte al paragrafo 93 delle presenti conclusioni valgano, mutatis mutandis, per la presente controversia. Infatti, non è escluso che la Commissione decida di intervenire, in un secondo tempo, nel procedimento dinanzi alla Corte o sia invitata a presentare osservazioni, cosicché sarà indotta ad esprimere la sua posizione ufficiale sulla causa sottoposta alla Corte e quindi a prendere pubblicamente posizione in merito al parere emesso dal proprio servizio giuridico. Il ritiro del parere giuridico di cui trattasi sembra quindi giustificato alla luce dell’interesse di detta istituzione a chiedere e ricevere pareri franchi, obiettivi e completi dal suo servizio giuridico (31).

95.      Inoltre, la Corte ha già dichiarato che autorizzare uno Stato membro a versare agli atti un parere giuridico la cui divulgazione non è stata autorizzata dall’istituzione di cui trattasi equivarrebbe in particolare ad eludere la procedura di richiesta di accesso a tale documento, istituita dal regolamento n. 1049/2001 (32). Nel caso di specie, come precisato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, il parere giuridico di cui trattasi non è stato messo a disposizione né delle parti né del pubblico, bensì è stato divulgato in allegato a un articolo di stampa (33). Pertanto, si deve constatare che la Repubblica di Slovenia non ha ottenuto il parere giuridico di cui trattasi con le modalità previste dal regolamento n. 1049/2001.

96.      In tali circostanze, e tenuto conto del fatto che la Commissione ha informato la Corte che non intendeva produrre il documento in questione nell’ambito del presente ricorso, propongo di accogliere la richiesta della Repubblica di Croazia di ritirare dal fascicolo del presente procedimento il documento riportato alle pagine da 38 a 45 dell’allegato C.2 della risposta della Repubblica di Slovenia all’eccezione di irricevibilità.

B.      Osservazioni preliminari sulla competenza della Corte

97.      Occorre anzitutto esporre alcune osservazioni preliminari sulla competenza della Corte in materia di ricorso per inadempimento (1), in secondo luogo, determinare l’ambito di applicazione materiale del diritto dell’Unione in presenza di strumenti giuridici internazionali (2) e, in terzo luogo, esaminare l’ambito di applicazione territoriale del diritto dell’Unione (3).

1.      Sulla competenza della Corte in materia di ricorso per inadempimento

98.      L’articolo 19 TUE affida alla Corte il compito di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati (34). Ai sensi del paragrafo 3, lettera a), del medesimo articolo, la Corte si pronuncia conformemente ai Trattati sui ricorsi presentati da uno Stato membro, da un’istituzione o da una persona fisica o giuridica. Tale competenza si concretizza nel ricorso per inadempimento previsto all’articolo 259 TFUE.

99.      Il procedimento ai sensi dell’articolo 259 TFUE è diretto a far constatare e a far cessare il comportamento di uno Stato membro che è in violazione del diritto dell’Unione (35). Tale disposizione subordina la competenza della Corte ad accertare la sussistenza di un inadempimento da parte di uno Stato membro «a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati». In tale contesto, non spetta alla Corte esaminare quali siano gli scopi perseguiti con il ricorso per inadempimento proposto (36).

100. Per quanto riguarda l’espressione «obblighi (…) in virtù dei trattati», il termine «trattati» implica che si possano intentare ricorsi per asseriti inadempimenti in forza dei trattati TUE e TFUE e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, purché il comportamento dello Stato membro rientri nel loro ambito di applicazione (37). Inoltre, è evidente che detta espressione si riferisce anche agli atti di diritto derivato (38).

101. La competenza della Corte dipende quindi dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (39). Poiché nel presente procedimento vengono messi in discussione un accordo arbitrale internazionale e un lodo arbitrale reso in applicazione dello stesso, propongo di esaminare l’ambito di applicazione materiale del diritto dell’Unione in presenza di strumenti giuridici internazionali.

2.      Sullambito di applicazione materiale del diritto dellUnione in presenza di strumenti giuridici di diritto internazionale

102. Dal momento che l’accordo arbitrale e il lodo arbitrale controverso, che sono al centro del ricorso in esame, costituiscono strumenti di diritto internazionale, occorre accertare quale sia il loro rapporto con il diritto dell’Unione, se essi siano integrati nell’ordinamento giuridico dell’Unione e se l’Unione ne sia vincolata.

a)      Sugli strumenti di diritto internazionale nella giurisprudenza della Corte

103. Secondo costante giurisprudenza, «l’Unione è tenuta (…) a esercitare le sue competenze nel rispetto del diritto internazionale nel suo complesso, incluse non soltanto le norme e i principi del diritto internazionale generale e consuetudinario, ma anche le disposizioni delle convenzioni internazionali che la vincolano» (40).

104. Mi sembra che da tale giurisprudenza discenda che le ipotesi nelle quali l’Unione è vincolata dal diritto internazionale sono chiaramente circoscritte. Innanzitutto, l’Unione è vincolata dagli accordi internazionali da essa conclusi in virtù delle disposizioni dei Trattati e che costituiscono, dalla loro entrata in vigore, parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione (41). L’Unione è poi vincolata da una convenzione internazionale quando assume le competenze in precedenza esercitate dagli Stati membri nell’ambito di applicazione di tale convenzione (42). Infine, l’Unione è tenuta ad esercitare le sue competenze nel rispetto del diritto internazionale consuetudinario (43). Ne consegue che le convenzioni internazionali che non rientrano nelle categorie sopra menzionate non costituiscono atti dell’Unione e non vincolano quest’ultima. Poiché non si tratta di diritto dell’Unione, la Corte non è competente ad esaminarne la validità né ad interpretarle.

b)      Sulla natura accessoria delle censure relative agli obblighi derivanti dal diritto dellUnione

105. A sostegno della sua prima eccezione di incompetenza, la Repubblica di Croazia ha sostenuto che dalla sentenza Commissione/Belgio (44) discende che, nell’ambito di un ricorso per inadempimento, la Corte non è competente a pronunciarsi sull’asserito inadempimento di obblighi derivanti dal diritto dell’Unione «se tali obblighi sono accessori alla previa risoluzione di un’altra controversia che non rientra nella competenza della Corte».

106. A tal riguardo, ritengo che da detta sentenza si evinca che, nell’ambito di un ricorso per inadempimento, l’implicazione di strumenti di diritto internazionale, che non costituiscono atti dell’Unione, può avere un effetto negativo sulla competenza della Corte ad esaminare un’asserita violazione del diritto dell’Unione. Si tratta dell’ipotesi dell’imputazione di un inadempimento formalmente relativo al diritto dell’Unione ma che, in realtà, riguarda uno strumento di diritto internazionale che esula dall’ambito di applicazione materiale del diritto dell’Unione e quindi dalla competenza della Corte. In tal senso, la Corte ha dichiarato in detta sentenza di non essere competente a pronunciarsi sull’asserita violazione di obblighi derivanti dal diritto dell’Unione che hanno natura meramente accessoria rispetto a quelli previsti da uno strumento di diritto internazionale.

107. Più in particolare, nella causa che ha dato luogo a tale sentenza, la Commissione faceva valere la violazione sia dell’Accordo relativo alla sede concluso il 12 ottobre 1962 tra il Consiglio superiore della scuola europea e il governo del Regno del Belgio, sia dell’articolo 10 CE (divenuto articolo 4, paragrafo 3, TUE). La Corte ha proceduto ad un’analisi sostanziale dell’atto introduttivo del giudizio per poter valutare l’esatta portata della censura dedotta dalla Commissione nei confronti del Regno del Belgio. La Corte ha considerato che la violazione della disposizione del diritto dell’Unione era soltanto una mera conseguenza del mancato rispetto da parte dello Stato membro dei suoi obblighi derivanti dall’Accordo relativo alla sede, che essa ha formalmente tradotto con l’applicazione del termine «accessoria» alla censura concernente la violazione dell’articolo 10 CE. Avendo considerato, al termine di una seconda analisi, che detto accordo non faceva parte del diritto dell’Unione, bensì rientrava nel solo diritto internazionale, la Corte ha in conclusione constatato la propria incompetenza a statuire sul ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione.

108. Ritengo che il ragionamento svolto in tale sentenza sia rilevante ai fini del presente procedimento. Propongo pertanto di esaminare, nell’ambito dei motivi specifici dedotti dalla ricorrente a sostegno del ricorso (parte C infra), i criteri elaborati in detta sentenza.

3.      Lambito di applicazione territoriale del diritto dellUnione

109. Occorre sottolineare che, secondo il dispositivo del ricorso, la Corte non è formalmente adita per valutare l’applicabilità dell’accordo arbitrale o la validità del lodo arbitrale controverso, bensì è chiamata a statuire sulla questione se le disposizioni del diritto dell’Unione, quali l’articolo 2 TUE e l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, nonché quelle relative alla politica comune della pesca, al codice frontiere Schengen e alla pianificazione dello spazio marittimo, siano state violate dalla Repubblica di Croazia e trovino quindi applicazione nel caso in esame.

110. A tal riguardo, l’Unione, a differenza di uno Stato, non dispone di una «competenza territoriale» in forza del diritto internazionale, vale a dire di un titolo di sovranità sul proprio territorio, né di un «territorio dell’Unione» comparabile a un «territorio federale» (45). Infatti, il «territorio dell’Unione» corrisponde allo spazio geografico di cui all’articolo 52 TUE e all’articolo 355 TFUE, che definiscono l’ambito di applicazione territoriale dei Trattati (46). In particolare, l’articolo 52, primo comma, TUE prevede che i Trattati si applicano agli Stati membri (47). Le norme di dettaglio che disciplinano l’ambito di applicazione territoriale dei Trattati sono contenute all’articolo 355 TFUE. L’articolo 52 TUE e l’articolo 355 TFUE non sono pertinenti solo per la determinazione delle frontiere esterne dell’Unione, ma altresì per stabilire le rispettive competenze degli Stati membri nell’esecuzione del diritto dell’Unione. In tal senso, nella sentenza Aktiebolaget NN (48) la Corte ha dichiarato, in relazione all’articolo 299 CE, divenuto articolo 355 TFUE, che, «[m]ancando nel Trattato definizioni più precise del territorio compreso nella sovranità di ogni Stato membro, spetta ad ogni Stato membro stabilire l’estensione e i limiti di tale territorio, conformemente alle regole del diritto internazionale pubblico» (49).

111. Pertanto, l’ambito di applicazione territoriale del diritto dell’Unione non risulta da una determinazione a priori da parte dell’Unione, ma corrisponde piuttosto a un fatto oggettivo che ad essa si impone. Ne consegue che, nell’ambito di un ricorso proposto sul fondamento dell’articolo 259 TFUE, come quello in esame, in cui si addebita a uno Stato membro di ostacolare l’attuazione del diritto dell’Unione nel territorio di un altro Stato membro, la delimitazione del territorio soggetto alla giurisdizione di uno Stato membro non rientra nella competenza dell’Unione, la quale deve, a tale riguardo, fare riferimento al diritto internazionale pubblico e ai suoi strumenti conformi che definiscono i limiti di tale territorio.

4.      Conclusione parziale

112. Alla luce delle considerazioni che precedono, ritengo che la competenza della Corte nell’ambito del ricorso per inadempimento dipenda dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Tale diritto include, da un lato, due serie di norme internazionali di natura convenzionale, vale a dire le convenzioni internazionali concluse dall’Unione in forza delle disposizioni dei Trattati e quelle per le quali l’Unione assume le competenze precedentemente esercitate dagli Stati membri nel campo di applicazione delle convenzioni di cui trattasi, nonché, dall’altro, le norme consuetudinarie di diritto internazionale che vincolano l’Unione nell’esercizio delle sue competenze. Nell’ambito del ricorso per inadempimento (50), la Corte non è invece competente a dirimere le controversie tra Stati membri concernenti la validità, l’interpretazione e l’applicazione delle convenzioni internazionali che non rientrano nel diritto dell’Unione. Per tale motivo, la Corte ha declinato la propria competenza allorché il ricorso, formalmente, si riferiva al diritto dell’Unione, mentre l’asserito inadempimento riguardava, in realtà, uno strumento di diritto internazionale che esulava dall’ambito di applicazione materiale del diritto dell’Unione e quindi dalla competenza della Corte, rendendo così accessorie le censure fondate sul diritto dell’Unione. L’ambito di applicazione territoriale dei Trattati è definito all’articolo 52 TUE e all’articolo 355 TFUE e corrisponde a un dato oggettivo predeterminato dagli Stati membri e che si impone all’Unione. Infatti, mancando nei Trattati definizioni più precise del territorio compreso nella sovranità di ogni Stato membro, spetta a ciascuno di loro stabilire l’estensione e i limiti di tale territorio, conformemente alle regole del diritto internazionale pubblico. Poiché, nell’ambito di un ricorso per inadempimento, la Corte è competente unicamente a pronunciarsi sul comportamento di uno Stato membro che sia in violazione del diritto dell’Unione, essa non è competente ad esaminare le controversie interstatali vertenti su contenziosi territoriali.

C.      Sull’oggetto del ricorso

113. Al fine di stabilire, alla luce dei suesposti rilievi, se la Corte sia competente a conoscere della domanda della Repubblica di Slovenia diretta all’accertamento dell’asserita violazione del diritto dell’Unione da parte della Repubblica di Croazia, la Corte non può limitarsi ad un esame formale del testo dei motivi contenuti nel dispositivo del ricorso, ma deve effettuare un’analisi sostanziale delle censure dedotte dalla Repubblica di Slovenia (51).

1.      Analisi dei motivi specifici della Repubblica di Slovenia

114. I sei motivi dedotti dalla Repubblica di Slovenia sono suddivisi come segue: i prime due vertono su violazioni delle disposizioni di diritto primario (articolo 2 TUE e articolo 4, paragrafo 3, TUE) e gli altri quattro su violazioni di disposizioni di diritto derivato, vale a dire gli obblighi derivanti dalla politica comune della pesca previsti dal regolamento n. 1380/2013 (terzo motivo), del regime di controllo previsto dal regolamento n. 1224/2009 e dal regolamento di esecuzione n. 404/2011, che rientrano nella politica comune della pesca (quarto motivo), del codice frontiere Schengen (quinto motivo) e infine del regime di pianificazione dello spazio marittimo previsto dalla direttiva 2014/89 (sesto motivo).

115. Tali motivi possono essere raggruppati in due categorie, ossia quelli relativi alla violazione del diritto primario e quelli relativi alla violazione del diritto derivato. Dall’esame degli argomenti dedotti a sostegno di tali motivi, risulta che la loro struttura varia in funzione della categoria nella quale rientrano.

116. A tal riguardo, i motivi vertenti sulla violazione del diritto primario sono diretti a far dichiarare che la mancata applicazione dell’accordo arbitrale e la mancata esecuzione del lodo arbitrale controverso da parte della Repubblica di Croazia configurano una violazione del valore dello Stato di diritto sancito dall’articolo 2 TUE e del principio di leale cooperazione enunciato all’articolo 4, paragrafo 3, TUE.

117. Più precisamente, per quanto riguarda il primo motivo vertente sull’asserita violazione del valore dello Stato di diritto sancito dall’articolo 2 TUE, la Repubblica di Slovenia sostiene che, venendo meno in maniera unilaterale all’impegno, che si era assunta nel processo di adesione all’Unione, a rispettare il lodo arbitrale e dunque il confine che sarebbe stato definito da tale lodo e gli altri obblighi da questo imposti, la Repubblica di Croazia si rifiuta di rispettare il valore dello Stato di diritto sancito dalla menzionata disposizione e contravviene, per tale motivo, ai principi di leale collaborazione e del giudicato. Per quanto riguarda il secondo motivo vertente sulla violazione del principio di leale cooperazione sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, secondo il quale l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell’esecuzione dei compiti derivanti dai Trattati, si deve rilevare che la Repubblica di Slovenia addebita alla Repubblica di Croazia due tipi di violazioni, vale a dire il pregiudizio alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione (52) e l’ostacolo all’attuazione del diritto dell’Unione sul territorio sloveno.

118. Mi sembra che dalla sua argomentazione relativa a questi due motivi emerga che la Repubblica di Slovenia tenta di dimostrare che la mancata applicazione dell’accordo arbitrale e la mancata esecuzione del lodo arbitrale controverso da parte della Repubblica di Croazia configurano una violazione del diritto dell’Unione e, in particolare, dell’articolo 2 TUE nonché dei principi di leale cooperazione e del giudicato.

119. Viceversa, i motivi vertenti sulla violazione delle disposizioni di diritto derivato si fondano sul presupposto che il confine tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia sia definito dal lodo arbitrale controverso, cosicché il rifiuto di eseguirlo costituirebbe una violazione di tali disposizioni da parte del primo Stato.

120. Tenuto conto della differenza strutturale tra i motivi fondati sul diritto primario e quelli fondati sul diritto derivato, occorre esaminarli separatamente.

2.      Sui motivi concernenti la violazione del diritto primario

121. Alla luce della conclusione parziale cui sono giunto (paragrafo 112 delle presenti conclusioni), occorre interrogarsi sul rapporto tra l’accordo arbitrale e il lodo arbitrale controverso reso sul fondamento di quest’ultimo, da un lato, e il diritto dell’Unione, dall’altro.

a)      Sul rapporto tra laccordo arbitrale e il lodo arbitrale controverso con il diritto dellUnione

122. È importante sottolineare che l’accordo arbitrale e, per estensione, il lodo arbitrale controverso reso sul fondamento di tale accordo non rientrano in nessuna delle ipotesi nelle quali l’Unione è vincolata dal diritto internazionale descritte ai paragrafi 103 e 104 delle presenti conclusioni.

123. Per quanto concerne il primo caso menzionato al paragrafo 104 delle presenti conclusioni, vale a dire che l’Unione è vincolata dagli accordi internazionali da essa conclusi in base alle disposizioni dei Trattati, si deve constatare che il lodo arbitrale controverso è stato reso da un tribunale internazionale costituito in virtù di un accordo arbitrale bilaterale. È pacifico che l’Unione non era parte né dell’accordo arbitrale né del procedimento arbitrale sfociato nell’adozione di detto lodo. L’Unione ha offerto i propri buoni uffici alle parti (53) e ha firmato tale accordo solo in qualità di «testimone». Ai sensi dell’articolo 4, lettere a) e b), dell’accordo arbitrale, il tribunale arbitrale applica le norme e i principi del diritto internazionale nonché l’equità e il principio delle relazioni di buon vicinato. Ai sensi dell’articolo 8 di detto accordo, i negoziati di adesione non dovevano influire sull’attività del tribunale arbitrale, che doveva proseguire conformemente all’articolo 9. Pertanto, l’applicazione del diritto dell’Unione non è prevista dall’accordo di cui l’Unione ha preso atto con il documento del 25 settembre 2009 (54). Risulta quindi che il lodo arbitrale controverso è una decisione adottata da un tribunale arbitrale costituito in virtù di un accordo arbitrale bilaterale e applica in particolare il diritto internazionale.

124. Per quel che riguarda la seconda ipotesi indicata al paragrafo 104 delle presenti conclusioni, vale a dire che l’Unione sia vincolata da una convenzione internazionale in quanto abbia assunto le competenze precedentemente esercitate dagli Stati membri nell’ambito di applicazione di tale convenzione, appare evidente che non vi è stato alcun trasferimento di competenze all’Unione da parte degli Stati membri nelle materie oggetto dell’accordo arbitrale.

125. Per quanto attiene alla terza ipotesi menzionata al paragrafo 104 delle presenti conclusioni, che rispecchia il necessario rispetto delle norme di diritto internazionale consuetudinario, essa ricorre solo quando l’Unione esercita le proprie competenze, il che non accade nel caso di specie, in quanto l’accordo arbitrale e il lodo arbitrale controverso sono strumenti internazionali che esulano dall’ambito delle competenze dell’Unione.

126. Quanto alla questione se l’accordo arbitrale o il lodo arbitrale controverso possano essere integrati nel diritto dell’Unione mediante l’Atto di adesione della Repubblica di Croazia, dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che una delle condizioni politiche dell’adesione all’Unione della Repubblica di Croazia era la risoluzione della sua controversia frontaliera con la Repubblica di Slovenia (55). È pacifico che, al momento della firma del trattato di adesione, l’accordo arbitrale era stato concluso, ma il procedimento arbitrale non era ancora iniziato (56). Tuttavia, nessun elemento del fascicolo consente di ritenere che tale condizione politica si sia concretizzata in disposizioni specifiche dell’Atto di adesione o del Trattato di adesione. Sono infatti dell’avviso che il riferimento al futuro lodo arbitrale di cui all’allegato III dell’Atto di adesione, che peraltro è l’unico riferimento contenuto in tale atto alla controversia relativa al confine tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia, debba essere considerato come una constatazione secondo la quale le norme in materia di politica comune della pesca dovevano essere modificate per definire le acque costiere dei due Stati in questione, al fine di applicare il regime specifico previsto dalle relazioni di vicinato. Tenuto conto della sua formulazione (57), tale riferimento non può essere considerato un obbligo giuridico che deriva dal diritto dell’Unione e impone alla Repubblica di Croazia di risolvere la sua controversia con la Repubblica di Slovenia relativa alla loro frontiera comune conformemente ai termini del futuro lodo arbitrale (58).

127. Alla luce di quanto precede, ritengo che l’Unione non sia vincolata dall’accordo arbitrale ai sensi della giurisprudenza citata al paragrafo 103 delle presenti conclusioni, né dal lodo controverso previsto da detto accordo, in quanto tali strumenti giuridici non rientrano nell’ambito di applicazione materiale del diritto dell’Unione.

128. Al fine di verificare, in particolare, la competenza della Corte a conoscere dei due motivi fondati sul diritto primario e dedotti dalla ricorrente, occorre, da un lato, esaminare il primo motivo, vertente sull’asserita violazione del valore dello Stato di diritto sancito dall’articolo 2, TUE (b) e, dall’altro, esaminare il secondo motivo, vertente sulla violazione del principio di leale cooperazione sancito dall’articolo 4, paragrafo 3 TUE (c)

b)      Sul primo motivo, concernente lasserita violazione del valore dello Stato di diritto sancito dallarticolo 2 TUE

129. Si deve anzitutto rilevare che la Repubblica di Slovenia invoca il valore dello Stato di diritto, da un lato, autonomamente e, dall’altro, congiuntamente ai principi di leale cooperazione e del giudicato. In entrambi i casi, ritengo che le considerazioni esposte ai paragrafi da 105 a 107 delle presenti conclusioni in merito alla natura accessoria degli argomenti relativi alle asserite violazioni del diritto dell’Unione siano applicabili per valutare il motivo in esame.

130. Infatti, sebbene nel dispositivo del ricorso siano formalmente menzionate violazioni del valore dello Stato di diritto e dei principi di leale cooperazione e del giudicato, il motivo in sé riguarda l’asserita violazione, da parte della Repubblica di Croazia, del diritto internazionale derivante dalla mancata esecuzione del lodo arbitrale controverso. Come risulta dal paragrafo 127 delle presenti conclusioni, l’Unione non è vincolata dall’accordo arbitrale né dal lodo controverso ivi previsto e la problematica relativa alle violazioni del diritto dell’Unione presenta quindi carattere accessorio rispetto a quella della delimitazione dei confini terrestre e marittimo tra i due Stati membri interessati.

131. Peraltro, come ho già esposto al paragrafo 126 delle presenti conclusioni, ritengo che il tentativo di stabilire un nesso tra gli impegni assunti durante l’adesione della Repubblica di Croazia all’Unione e detti valori e principi non sia sufficiente per poter fondare il ricorso su questi ultimi autonomamente. Pertanto, deve parimenti essere respinta l’argomentazione fondata sulla mancata esecuzione di impegni assunti durante il processo di adesione, in quanto tali impegni non costituiscono obblighi giuridici derivanti dal diritto dell’Unione e non possono essere fatti valere in forza dell’articolo 259 TFUE.

132. In ogni caso e ad abundantiam, in primo luogo, mi chiedo se, anche supponendo che le violazioni addebitate rientrino nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, una censura fondata sul valore dello Stato di diritto sancito dall’articolo 2 TUE sia ricevibile a titolo del ricorso per inadempimento di cui all’articolo 259 TFUE. A tale proposito, la Corte si è recentemente richiamata a tale valore in numerosi procedimenti (59). Rilevo tuttavia che, nella giurisprudenza, detto valore non è stato evocato in modo autonomo, bensì sempre insieme ad una norma che lo «concretizza» o ne costituisce «una manifestazione specifica» (60), vale a dire l’articolo 19 TUE. Pertanto, il nesso tra il valore dello Stato di diritto e la competenza dell’Unione era determinato dal fatto che il controllo giurisdizionale nell’ordinamento giuridico dell’Unione non era assicurato solo dalla Corte, ma altresì dagli organi giurisdizionali nazionali.

133. È vero che, per quanto riguarda l’esecuzione dell’articolo 2 TUE, è ampiamente ammesso che l’articolo 7 TUE e il procedimento per inadempimento sono complementari (61) e che una violazione dell’articolo 2 TUE può, in linea di principio, essere presa in considerazione nell’ambito del ricorso per inadempimento (62). Tuttavia, resta il fatto che il ricorso per inadempimento costituisce un rimedio giurisdizionale legato ai settori che rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione – il che, come rilevato ai paragrafi 130 e 131 delle presenti conclusioni, non si verifica nel presente procedimento –, il quale presuppone che siano fatti valere obblighi giuridici concreti (63). Ciò posto, la Corte può sempre fare ricorso all’articolo 2 TUE a fini interpretativi, per accertare la sussistenza di una violazione del diritto dell’Unione. Pertanto, sono dell’avviso che, anche supponendo che la Corte sia competente ad esaminare il primo motivo fondato sullo Stato di diritto, nelle circostanze del caso di specie detto valore non possa essere invocato autonomamente.

134. In secondo luogo, nella misura in cui tale primo motivo riguarda i principi di buona fede, che si traducono nel principio di leale cooperazione nel diritto dell’Unione e del giudicato, poiché né l’accordo arbitrale né il lodo arbitrale costituiscono atti dell’Unione od obblighi internazionali vincolanti per l’Unione (64), non è sufficiente invocare detti principi congiuntamente al valore dello Stato di diritto se non viene fatta valere una disposizione specifica del diritto dell’Unione o vincolante per l’Unione. Orbene, nel caso di una censura relativa alla mancata esecuzione del lodo arbitrale e dell’accordo arbitrale, strumenti bilaterali disciplinati esclusivamente dal diritto internazionale, non sussiste un nesso del genere.

135. Ritengo pertanto che, in tali circostanze, la Corte non sia competente a conoscere del motivo fondato sul valore dello Stato di diritto, in quanto esso ha carattere accessorio rispetto alla problematica della violazione degli obblighi di diritto internazionale.

c)      Sul secondo motivo, concernente la violazione del principio di leale cooperazione sancito dallarticolo 4, paragrafo 3, TUE.

136. In primo luogo, la Repubblica di Slovenia sostiene, in sostanza, che la Repubblica di Croazia, rifiutando di eseguire gli obblighi ad essa incombenti in forza del lodo arbitrale controverso, le impedisce di esercitare integralmente la sovranità su tutto il proprio territorio. Tale comportamento metterebbe a rischio la realizzazione degli obiettivi dell’Unione (65). In secondo luogo, la Repubblica di Slovenia addebita alla Repubblica di Croazia di impedirle di adempiere i propri obblighi di attuazione della direttiva 2008/56, della direttiva 92/43, del regolamento n. 1143/2014 e della direttiva 2000/60.

137. Come ho già esposto ai paragrafi da 105 a 107 delle presenti conclusioni, le affermazioni basate su tale principio presentano carattere accessorio rispetto alla risoluzione della controversia internazionale relativa alla validità e all’esecuzione del lodo arbitrale controverso. A questo proposito, trovo particolarmente significativo il modo in cui la Repubblica di Slovenia ha formulato il suo secondo motivo. Essa sostiene che la Repubblica di Croazia, «[i]n virtù del fatto che essa rifiuta unilateralmente di eseguire gli obblighi ad essa incombenti in forza del lodo arbitrale [controverso]», ha violato il principio di leale cooperazione (66). In tal modo, la Repubblica di Croazia le impedisce di esercitare integralmente la sovranità su tutto il proprio territorio, di terraferma e marino, nel rispetto dei Trattati e delle disposizioni di diritto derivato (67).

138. In ogni caso, il secondo motivo fondato sul principio di leale cooperazione sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE deve essere respinto. Infatti, per quanto ho potuto verificare, tale principio ha costituito un fondamento autonomo di obblighi nelle cause in cui l’Unione era parte di un accordo misto (68), o nel caso dell’esecuzione degli obblighi derivanti dai Trattati UE e FUE (69). Tuttavia, nel caso di specie, il comportamento censurato non rientra in nessuna di queste due ipotesi. Infatti, come risulta dall’analisi di cui sopra, ritengo che né l’accordo arbitrale né il lodo arbitrale controverso costituiscano atti di diritto dell’Unione od obblighi internazionali vincolanti per l’Unione (70). La loro esecuzione non costituisce un obbligo derivante dai Trattati UE e FUE. Pertanto, l’unico modo per far valere gli obiettivi dell’Unione è applicare la teoria della limitazione. Secondo tale teoria, l’esercizio della competenza riservata agli Stati membri viene limitato in nome della realizzazione degli obiettivi dell’Unione (71). Tuttavia, a differenza dei casi in cui la Corte ha applicato la limitazione delle competenze (72), nella fattispecie il comportamento contestato, vale a dire la mancata esecuzione del lodo arbitrale, non presenta alcun nesso con le norme dell’Unione.

139. Sono quindi dell’avviso che, in siffatte circostanze, la Corte non sia competente a conoscere di tale motivo vertente sulla violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE.

140. Di conseguenza, ritengo che i motivi fondati sul diritto primario debbano essere respinti, in quanto la Corte non è competente ad esaminare una controversia che presenta un carattere principalmente internazionale e in cui la violazione del diritto dell’Unione è meramente accessoria. Occorre esaminare i motivi vertenti sulla violazione delle disposizioni di diritto derivato.

3.      Sui motivi fondati sul diritto derivato

141. Come risulta dall’analisi generale dei motivi della Repubblica di Slovenia fondati su asserite violazioni del diritto derivato, quest’ultima si basa, a sostegno di tali motivi, sulla premessa secondo cui il confine tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia sarebbe definito dal lodo arbitrale controverso reso sul fondamento dell’accordo arbitrale. Tuttavia, come ho sottolineato a più riprese nelle presenti conclusioni, detto accordo e il lodo arbitrale controverso non rientrano nel diritto dell’Unione. Analogamente, come indicato nella parte relativa alle osservazioni preliminari, in particolare ai paragrafi da 109 a 112 delle presenti conclusioni, dall’articolo 52 TUE e dall’articolo 355 TFUE risulta che il campo di applicazione territoriale dei Trattati corrisponde a un dato oggettivo predeterminato dagli Stati membri e che si impone all’Unione. In tale contesto, occorre esaminare se il lodo arbitrale controverso possa essere direttamente applicabile nell’ambito di un ricorso per inadempimento.

a)      Lassenza di carattere autoesecutivo e la mancata esecuzione del lodo arbitrale controverso

142. Da un lato, sono dell’avviso che, in linea di principio, si potrebbe accogliere la tesi della Repubblica di Slovenia secondo cui le decisioni emanate da organi giurisdizionali riconosciuti, quali la Corte internazionale di giustizia (in prosieguo: la «CIG») o la CPA, costituiscono un fatto giuridico per la Corte (res iudicata) (73). Nel caso di specie, in applicazione dell’accordo arbitrale (74), il procedimento dinanzi al tribunale arbitrale in questione si è svolto sotto l’egida di un’istituzione arbitrale permanente, la CPA (75), che è stata designata quale istituzione facente funzione di cancelleria (76) dai due Stati interessati (77).

143. Dall’altro, ritengo che, sotto il profilo del diritto dell’Unione (articolo 52 TUE e articolo 355 TFUE) e, in particolare, per quanto riguarda la relativa competenza di esecuzione spettante agli Stati membri, sia indispensabile non solo che i loro confini siano delimitati in senso giuridico e politico, ma altresì che tale delimitazione sia attuata e operativa. I Trattati non prevedono alcuna competenza dell’Unione a stabilire dove inizino o finiscano i territori rientranti rispettivamente in due Stati confinanti. La determinazione dell’estensione e dei limiti del territorio rientra nella sovranità di ciascuno Stato membro, secondo le norme del diritto internazionale pubblico, come risulta, mutatis mutandis, dalla sentenza Aktiebolaget NN (78).

144. Si deve infatti rilevare che, da un lato, conformemente al principio delle competenze di attribuzione sancito all’articolo 5, paragrafo 2, TUE, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei Trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti (79) e che, dall’altro, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, TUE, qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei Trattati appartiene agli Stati membri. Nel caso di specie, ritengo che si tratti di una competenza riservata agli Stati membri. Pertanto, affinché il diritto dell’Unione possa trovare applicazione, i confini nazionali non devono essere solamente definiti dal punto di vista del diritto internazionale pubblico, ma altresì delimitati dal punto di vista fattuale.

145. Sebbene il confine in questione tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia sia definito dal loro arbitrale controverso, come risulta dal fascicolo sottoposto alla Corte, si deve rilevare che, nel presente procedimento, l’applicabilità e la validità di detto lodo sono aspramente contestate dalla Repubblica di Croazia. Infatti, non si può ignorare che, con nota verbale del 30 luglio 2015, la Repubblica di Croazia ha notificato alla Repubblica di Slovenia la cessazione dell’accordo arbitrale e l’eventuale applicabilità del procedimento di cui all’articolo 65 della Convenzione di Vienna (80). Tale notifica è stata inoltre comunicata al tribunale arbitrale in data 31 luglio 2015. A decorrere da tale notifica, la Repubblica di Croazia si è quindi ritirata dal procedimento arbitrale e non vi ha più preso parte. Nelle sue memorie e in udienza, essa ha sostenuto che il tribunale arbitrale, adottando il lodo in parola, ha oltrepassato le sue competenze (81).

146. Più in generale, si deve osservare che, nella storia del diritto internazionale e anche attualmente (82), non è inedita la situazione in cui una delle parti del procedimento arbitrale non riconosce la validità di una sentenza resa da un tribunale arbitrale o rifiuta di eseguirla (83). Infatti, anche qualora non esista un meccanismo obbligatorio di controllo delle sentenze arbitrali interstatali, uno Stato che contesti una simile decisione può sottoporre alla CIG la controversia relativa alla sua validità (84).

147. In tale contesto, non è affatto sorprendente che la Repubblica di Croazia, per spiegare i motivi del suo mancato riconoscimento del lodo arbitrale controverso, si basi sull’asserito eccesso di potere del tribunale derivante dall’adozione stessa del lodo in questione (85). In pratica, quando uno Stato contesta una sentenza arbitrale interstatale, detta sentenza costituisce in realtà solo un tentativo di risolvere la controversia di cui trattasi, giacché, nel diritto internazionale pubblico e tenuto conto di ciò che si potrebbe considerare come la sua essenza imperfetta, non esiste alcun meccanismo vincolante idoneo a garantire l’esecuzione delle decisioni arbitrali interstatali che sia indipendente dalla volontà sovrana degli Stati (86).

148. Anche supponendo che, sotto il profilo del diritto internazionale, il lodo arbitrale contenga una valutazione giuridica relativa ai fatti menzionati al paragrafo 145 delle presenti conclusioni (87), ciò non toglie che tale lodo non sia ancora stato attuato nelle relazioni tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia. Rilevo, a tale proposito, che l’articolo 7, paragrafo 3 dell’accordo arbitrale prevede «le Parti adottano tutte le misure necessarie per dare attuazione al lodo, compresa, se necessario, la modifica della legislazione nazionale entro sei mesi dall’adozione del lodo». In tal senso, condivido l’argomento della Repubblica di Croazia, presentato in udienza, secondo cui il lodo arbitrale controverso non avrebbe carattere «autoesecutivo» (88), il che sembrerebbe equivalere ad affermare che esso non è direttamente applicabile (89).

149. Di conseguenza, ritengo che il lodo arbitrale controverso non sia stato attuato nelle relazioni tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia, cosicché, sotto il profilo del diritto dell’Unione, il confine tra questi due Stati membri non è stato definito né ai sensi dell’articolo 52 TUE e dell’articolo 355 TFUE, né ai sensi della giurisprudenza Aktiebolaget NN (90), secondo la quale spetta a ciascuno Stato membro determinare l’estensione e i limiti del proprio territorio, conformemente alle norme del diritto pubblico internazionale. Poiché la definizione dei confini tra Stati membri non è una competenza attribuita all’Unione, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, TUE, e non rientra nell’ambito di applicazione materiale del diritto dell’Unione, le questioni di cui trattasi non possono essere oggetto di ricorso per inadempimento in forza dell’articolo 259 TFUE.

150. Alla luce dei precedenti rilievi, è opportuno esaminare separatamente i motivi specifici fondati sul diritto derivato e dedotti dalla ricorrente a sostegno del suo ricorso. Occorre verificare se la Corte sia competente a conoscere dei motivi a sostegno del ricorso fondati su, da un lato (b), l’articolo 5, paragrafo 2, e l’allegato I del regolamento n. 1380/2013 (terzo motivo) e, dall’altro (c), il sistema di controllo, l’ispezione e l’attuazione del regime di controllo previsto dal regolamento n. 1224/2009 e dal regolamento di esecuzione n. 404/2011 (quarto motivo), gli articoli 4 e 17, in combinato disposto con l’articolo 13 del codice frontiere Schengen (quinto motivo), nonché l’articolo 2, paragrafo 4, e l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2014/89 (sesto motivo).

b)      Sul terzo motivo, concernente la violazione del regolamento n. 1380/2013

151. Con il terzo motivo, la Repubblica di Slovenia sostiene che, non rispettando il suo territorio, la Repubblica di Croazia ha violato il diritto dell’Unione nel settore della politica comune della pesca, più in particolare l’articolo 5, paragrafo 2, e l’allegato I del regolamento n. 1380/2013 (91).

152. Rilevo anzitutto che, a differenza di altri atti di diritto derivato invocati dalla Repubblica di Slovenia, il regolamento n. 1380/2013 contiene un riferimento esplicito all’adottando lodo arbitrale. Infatti, a termini delle note relative ai punti 8 e 10, intitolati «Acque costiere della Croazia» (punto 8) e «Acque costiere della Slovenia» (punto 10), dell’allegato I del regolamento n. 1380/2013, il «regime summenzionato si applica a decorrere dalla piena attuazione del lodo arbitrale (…)». A tale proposito, poiché il regolamento n. 1380/2013 è un atto legislativo dell’Unione ai sensi dell’articolo 297 TFUE, è evidente che la Corte è competente a stabilire se ricorrano le condizioni di applicazione di tale regolamento, vale a dire se si applichi il regime specifico previsto dalle relazioni di vicinato di cui all’articolo 5, paragrafo 2, di detto regolamento, tenuto conto delle precisazioni contenute nell’allegato I.

153. Tuttavia, nella misura in cui la Repubblica di Slovenia mira, con tale terzo motivo vertente sulla violazione dell’articolo 5, paragrafo 2, e dell’allegato I del regolamento n. 1380/2013 (92), a far dichiarare che la Repubblica di Croazia ha violato il regime previsto da tale articolo, ritengo che la Corte non sia competente ad esaminare il motivo in parola.

154. A tale proposito, va rilevato che l’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento 1380/2013 prevede la parità di accesso alle acque e alle risorse in tutte le acque dell’Unione ad esclusione di quelle indicate segnatamente al paragrafo 2 del medesimo articolo. Detto paragrafo 2 autorizza gli Stati membri, nelle acque situate entro 12 miglia nautiche dalle linee di base soggette alla propria sovranità o giurisdizione, fino al 31 dicembre 2022, a limitare le attività di pesca ai pescherecci che pescano tradizionalmente in tali acque e che provengono da porti situati sulla costa adiacente, ferme restando le disposizioni relative ai pescherecci dell’Unione battenti bandiera di altri Stati membri previste dalle relazioni di vicinato esistenti tra Stati membri e le disposizioni contenute nell’allegato I che stabilisce, per ciascuno Stato membro, le zone geografiche delle fasce costiere di altri Stati membri in cui tali attività di pesca vengono esercitate nonché le specie interessate. L’allegato I del regolamento impugnato definisce le condizioni di accesso alle fasce costiere ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, del medesimo regolamento. A termini delle note relative ai punti 8 e 10 dell’allegato I del regolamento n. 1380/2013, intitolati «Acque costiere della Croazia» (punto 8) e «Acque costiere della Slovenia», (punto 10), il «regime summenzionato si applica a decorrere dalla piena attuazione del lodo arbitrale (…)». In mancanza di ulteriori precisazioni riguardo a tale disposizione, è necessario interpretarla per comprendere la portata del menzionato riferimento all’adottando lodo arbitrale.

155. Per quanto riguarda l’espressione il «regime summenzionato», la Corte ha già precisato che quest’ultimo riguarda taluni regimi specifici che conferiscono ai pescherecci dell’Unione battenti bandiera di altri Stati membri il diritto di pescare nelle zone entro le 12 miglia in virtù di relazioni di vicinato esistenti tra Stati membri (93). Pertanto, tale espressione deve essere intesa nel senso che si riferisce al regime di accesso reciproco «relativ[o] ai pescherecci unionali battenti bandiera di altri Stati membri previst[o] dalle relazioni di vicinato tra Stati membri» (in prosieguo: il «regime specifico previsto dalle relazioni di vicinato»).

156. Per quanto riguarda l’espressione «a decorrere dalla piena attuazione del lodo arbitrale» di cui ai punti 8 e 10 dell’allegato I del regolamento n. 1380/2013, che rispecchiano il contenuto dell’Atto di adesione (94), risulta che il lodo definitivo è un atto che condiziona l’applicazione ratione temporis del regime specifico previsto dalle relazioni di vicinato, le cui modalità sono previste all’allegato I del medesimo regolamento. Pertanto, tale regime non può entrare in vigore prima della «piena attuazione» da parte della Repubblica di Croazia e della Repubblica di Slovenia dell’adottando lodo arbitrale. In altri termini, i menzionati punti 8 e 10 sono intesi a sospendere l’applicabilità di detto regime durante la risoluzione del contenzioso relativo ai confini controversi tra questi due Stati. Nel caso di specie, come confermato dalla Repubblica di Croazia in udienza, il lodo arbitrale controverso non è stato attuato, in quanto detto Stato membro ritiene di avere validamente denunciato l’accordo arbitrale (95) e rifiuta di riconoscere il lodo arbitrale controverso pronunciato sul fondamento di tale accordo. Pertanto, sono dell’avviso che il regime specifico previsto dalle relazioni di vicinato, per quanto riguarda le acque costiere croata e slovena, non sia applicabile ratione temporis. Poiché la ricorrente addebita alla Repubblica di Croazia di avere violato il regime specifico previsto dalle relazioni di vicinato, di cui all’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 1380/2013, che non era applicabile né durante le presunte violazioni né durante il presente procedimento, in quanto il lodo arbitrale controverso non è stato attuato, ritengo che la Corte non sia competente ad esaminare il terzo motivo.

c)      I motivi dal quarto al sesto a sostegno del ricorso

157. Per quanto riguarda i motivi dal quarto al sesto dedotti dalla Repubblica di Slovenia, tale Stato membro invoca disposizioni relative al regime di controllo istituito dal regolamento n. 1224/2009 e dal regolamento di esecuzione n. 404/2011 (quarto motivo), gli articoli 4 e 17, in combinato disposto con l’articolo 13, del codice frontiere Schengen (quinto motivo), nonché l’articolo 2, paragrafo 4, e l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2014/89 (sesto motivo).

158. A tale proposito, in primo luogo, per quanto riguarda il quarto motivo, vertente sulla violazione delle disposizioni di cui al regolamento n. 1224/2009 e al regolamento di esecuzione n. 404/2011, il comportamento contestato sarebbe caratterizzato dal fatto che «motovedette della polizia croata (…) accompagnano i pescherecci croati quando praticano la pesca in acque slovene, in tal modo impedendo agli ispettori della pesca sloveni di effettuare i controlli». La ricorrente aggiunge che «gli organi croati infliggono ai pescherecci sloveni, quando pescano nelle acque slovene che la [Repubblica di Croazia] rivendica per sé, sanzioni pecuniarie per illegittimo attraversamento del confine e pesca abusiva» e che la Repubblica di Croazia «non trasmette alla [Repubblica di Slovenia] i dati sulle attività delle imbarcazioni croate in acque slovene, come invece richiederebbero i due regolamenti sopra citati». Essa conclude che, così facendo, la Repubblica di Croazia «non consente alla Repubblica di Slovenia di esercitare i controlli nelle acque sottoposte alla sua sovranità e giurisdizione e non rispetta la competenza esclusiva spettante alla Slovenia quale Stato costiero nel suo mare territoriale» (96).

159. In secondo luogo, per quanto riguarda il quinto motivo, fondato sulle disposizioni del codice frontiere Schengen, rilevo che la Repubblica di Slovenia sostiene che la Repubblica di Croazia «non riconosce come confine comune con la [Repubblica di Slovenia] i confini stabiliti dal lodo arbitrale, non coopera con [detto Stato] per la protezione di tale “frontiera interna” e non è in grado di garantire una protezione soddisfacente», il che sarebbe in contrasto con gli articoli 4, 13 e 17 di detto codice.

160. In terzo luogo, per quanto riguarda il sesto motivo, vertente sull’asserita violazione della direttiva 2014/89, si deve osservare che la Repubblica di Slovenia si basa direttamente sulla mancata esecuzione del lodo arbitrale controverso che ha delimitato le acque territoriali, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, di tale direttiva. Secondo la ricorrente, la Repubblica di Croazia includerebbe acque slovene nella propria pianificazione dello spazio marittimo e pertanto non consentirebbe un’armonizzazione con le carte geografiche della Repubblica di Slovenia.

161. A tal riguardo, è giocoforza constatare che l’argomentazione della Repubblica di Slovenia relativa alle asserite violazioni del diritto derivato si basa sul presupposto che il confine controverso sia, di fatto, definito. Tale constatazione è corroborata dai fatti addotti a sostegno delle censure della Repubblica di Slovenia, da cui risulta che tali fatti non si sarebbero verificati se vi fosse stata una frontiera operativa tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia. Tuttavia, come emerge dai paragrafi da 145 a 150 delle presenti conclusioni, ritengo che ciò non sia corretto, poiché il lodo arbitrale controverso non è mai stato eseguito. Ne consegue che la Repubblica di Slovenia tenta implicitamente di far eseguire il lodo arbitrale controverso. Orbene, tale richiesta di esecuzione non rientra nel settore delle competenze dell’Unione. Qualora la Corte si pronunciasse sui motivi dal quarto al sesto così formulati, ciò la indurrebbe a risolvere essa stessa la problematica del confine controverso, mentre, come risulta dai paragrafi 143 e 144 delle presenti conclusioni, tale competenza spetta agli Stati membri (v. paragrafo 110 delle presenti conclusioni). Pertanto, le asserite violazioni del diritto derivato presentano un carattere accessorio, per loro natura, rispetto alla problematica relativa alla definizione in concreto del confine tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia. Propongo pertanto alla Corte di dichiarare che essa non è competente a conoscere dei motivi dal quarto al sesto dedotti dalla Repubblica di Slovenia a sostegno del suo ricorso.

162. Alla luce di quanto precede, suggerisco alla Corte di dichiararsi incompetente a conoscere dei motivi fondati sul diritto primario e sul diritto derivato e, conseguentemente, a statuire sul presente ricorso nella sua interezza.

163. Non è pertanto necessario esaminare ulteriormente la questione delle eccezioni di irricevibilità del ricorso sollevate dalla Repubblica di Croazia.

D.      Sintesi dell’analisi

164. Sebbene i motivi vertenti su asserite violazioni da parte della Repubblica di Slovenia possano apparire, a prima vista, come censure riguardanti il diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 259 TFUE, al termine di un’analisi approfondita sono giunto alla conclusione che l’eventuale accertamento delle violazioni addebitate alla Repubblica di Croazia presupporrebbe la previa definizione del confine tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia. Tuttavia, siffatta definizione costituisce, per sua stessa natura, una questione che rientra nell’ambito del diritto internazionale pubblico, come confermato dall’analisi dell’accordo arbitrale e del lodo arbitrale controverso, in quanto questi ultimi non possono essere considerati atti rientranti nel diritto dell’Unione. Le questioni relative alla validità, all’interpretazione e all’esecuzione di questi due strumenti giuridici internazionali non possono essere oggetto di un inadempimento ai sensi dell’articolo 259 TFUE. Inoltre, rilevo che il lodo arbitrale controverso non è stato eseguito nelle relazioni tra i due Stati membri suddetti e che esso è inoltre privo di carattere autoesecutivo. Ne consegue che, ai sensi del diritto dell’Unione, il confine controverso non è stato definito tra la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia ai sensi dell’articolo 52 TUE e dell’articolo 355 TFUE. Poiché gli inadempimenti dedotti dalla Repubblica di Slovenia riguarderebbero il confine controverso tra questi due Stati membri, si deve ritenere che tali deduzioni presentino un carattere meramente accessorio rispetto alla risoluzione della controversia di natura internazionale, che non rientra nel diritto dell’Unione e sulla quale la Corte non è competente a pronunciarsi.

165. Infine, devo osservare che è deplorevole che una controversia frontaliera non sia sfociata in una soluzione definitiva nemmeno dopo la pronuncia del lodo arbitrale. Tuttavia, sono convinto che la risoluzione di tale controversia debba essere trovata a livello politico.

VII. Sulle spese

166. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

167. Risulta dai motivi illustrati supra che la Repubblica di Slovenia è la parte soccombente nella presente causa e deve sopportare le proprie spese nonché le spese della Repubblica di Croazia.

VIII. Conclusione

168. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di:

–        ritirare dal fascicolo il parere del servizio giuridico della Commissione europea, contenuto nell’allegato C.2 della risposta della Repubblica di Slovenia all’eccezione di irricevibilità;

–        dichiarare che la Corte non è competente a conoscere del presente ricorso;

–        condannare la Repubblica di Slovenia a sopportare le proprie spese nonché le spese della Repubblica di Croazia.


1      Lingua originale: il francese.


2      L’articolo 259 TFUE corrisponde all’ex articolo 170 del Trattato CEE e all’articolo 227 del Trattato CE. Per quanto riguarda il ricorso fondato su tali disposizioni, v., in particolare, sentenze del 4 ottobre 1979, Francia/Regno Unito (141/78, EU:C:1979:225); del 16 maggio 2000, Belgio/Spagna (C‑388/95, EU:C:2000:244); del 12 settembre 2006, Spagna/Regno Unito (C‑145/04, EU:C:2006:543); del 16 ottobre 2012, Ungheria/Slovacchia (C‑364/10, EU:C:2012:630), e del 18 giugno 2019, Austria/Germania (C‑591/17, EU:C:2019:504).


3      Firmata a San Francisco il 26 giugno 1945.


4      GU 2012, L 112, pag. 10.


5      Recueil des traités des Nations unies, vol. 1155, pag. 331.


6      GU 2012, L 112, pag. 21.


7      Regolamento (CE) n. 2371/2002 del Consiglio, del 20 dicembre 2002, relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nell’ambito della politica comune della pesca (GU 2002, L 358, pag. 59).


8      Regolamento che modifica i regolamenti (CE) n. 1954/2003 e (CE) n. 1224/2009 del Consiglio e che abroga i regolamenti (CE) n. 2371/2002 e (CE) n. 639/2004 del Consiglio, nonché la decisione 2004/585/CE del Consiglio (GU 2013, L 354, pag. 22).


9      Regolamento che modifica i regolamenti (CE) n. 847/96, (CE) n. 2371/2002, (CE) n. 811/2004, (CE) n. 768/2005, (CE) n. 2115/2005, (CE) n. 2166/2005, (CE) n. 388/2006, (CE) n. 509/2007, (CE) n. 676/2007, (CE) n. 1098/2007, (CE) n. 1300/2008, (CE) n. 1342/2008 e che abroga i regolamenti (CEE) n. 2847/93, (CE) n. 1627/94 e (CE) n. 1966/2006 (GU 2009, L 343, pag. 1).


10      GU 2011, L 112, pag. 1.


11      GU 2016, L 77, pag. 1.


12      GU 2014, L 257, pag. 135.


13      Punto 17 del lodo parziale emesso il 30 giugno 2016 dal tribunale arbitrale (in prosieguo: il «lodo parziale».


14      Punto 18 del lodo parziale.


15      La CPA è composta da 122 parti contraenti che hanno aderito ad una delle due convenzioni istitutive della CPA, o ad entrambe. Per quanto riguarda il caso in esame, la Repubblica di Slovenia ha aderito ad entrambe le convenzioni, rispettivamente il 1o ottobre 1996 e il 29 marzo 2004. La Repubblica di Croazia ha aderito alla convenzione del 1899 il 7 ottobre 1998. V. https://pca-cpa.org/fr/about/introduction/contracting-parties/.


16      V. punto 148 del lodo arbitrale definitivo emesso il 29 giugno 2017 dal tribunale arbitrale (in prosieguo: il «lodo arbitrale controverso»).


17      Punto 19 del lodo parziale.


18      Disponibili all’indirizzo https://pca-cpa.org/fr/documents/pca-conventions-and-rules/.


19      Allegato B.6 dell’eccezione di irricevibilità.


20      V. allegato B.6 dell’eccezione di irricevibilità e punto 84 del lodo parziale.


21      La Corte non si è ancora pronunciata su tale eccezione.


22      La Repubblica di Slovenia invoca, in particolare, la direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino (direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino) (GU 2008, L 164, pag. 19), la direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU 1992, L 206, pag. 7), il regolamento (UE) n. 1143/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, recante disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive (GU 2014, L 317, pag. 35), nonché la direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque (GU 2000, L 327, pag. 1).


23      Adottata il 13 ottobre 2017.


24      Sentenza del 30 settembre 2010 (C‑132/09, EU:C:2010:562).


25      La Repubblica di Croazia rileva in particolare che, in tale contesto, la Corte deve decidere in merito all’incidenza del principio nemo iudex in causa sua sulla competenza del tribunale arbitrale a pronunciarsi, in una composizione parzialmente identica, sulla propria competenza. Qualora la Corte ritenesse che il lodo arbitrale fosse valido, dovrebbe allora statuire sugli effetti giuridici del lodo arbitrale che, ai sensi dell’accordo arbitrale, doveva essere attuato dalle parti, ma non lo sarebbe ancora stato.


26      Sentenza del 12 settembre 2006 (C‑145/04, EU:C:2006:543).


27      C‑445/00, EU:C:2002:607.


28      C‑445/00, EU:C:2002:607.


29      Ne consegue che tale documento può essere qualificato come «consulenza legale» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU 2001, L 145, pag. 43).


30      Sentenza del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio (C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374, punto 42), e ordinanza del 14 maggio 2019, Ungheria/Parlamento (C‑650/18, non pubblicata, EU:C:2019:438, punto 16).


31      Sentenza del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio (C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374, punto 42), e ordinanza del 14 maggio 2019, Ungheria/Parlamento (C‑650/18, non pubblicata, EU:C:2019:438, punto 16).


32      V., in tal senso, ordinanza del 29 gennaio 2009, Donnici/Parlamento (C‑9/08, non pubblicata, EU:C:2009:40, punto 18).


33      Articolo di stampa riportato alle pagine da 32 a 37 dell’allegato C.2 della risposta della Repubblica di Slovenia all’eccezione di irricevibilità.


34      Sentenza del 19 luglio 2016, H/Consiglio e Commissione (C‑455/14 P, EU:C:2016:569, punto 40). Inoltre, la Corte ha già precisato che una convenzione internazionale non può ledere la competenza esclusiva della Corte per la soluzione delle controversie tra Stati membri relative all’interpretazione e all’applicazione del diritto dell’Unione (sentenza del 30 maggio 2006, Commissione/Irlanda C‑459/03, EU:C:2006:345, punto 132).


35      Sentenza del 16 ottobre 2012, Ungheria/Slovacchia (C‑364/10, EU:C:2012:630, punto 67 e giurisprudenza citata).


36      V., in tal senso e per analogia, sentenza del 21 giugno 1988, Commissione/Regno Unito (416/85, EU:C:1988:321, punto 9 e giurisprudenza citata).


37      V. conclusioni dell’avvocato generale Tanchev nella causa Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema) (C‑619/18, EU:C:2019:325, paragrafo 48 e nota 19).


38      Sentenza del 6 aprile 2017, Commissione/Germania (C‑58/16, non pubblicata, EU:C:2017:279, punto 36).


39      Per quanto riguarda la competenza materiale, v. sentenza del 28 marzo 2017, Commissione/Germania (C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 76).


40      V., in particolare, sentenza del 27 febbraio 2018, Western Sahara Campaign UK (C‑266/16, EU:C:2018:118, punto 47 e giurisprudenza citata).


41      V., in particolare, sentenza del 27 febbraio 2018, Western Sahara Campaign UK (C‑266/16, EU:C:2018:118, punti 45 e 46 e giurisprudenza citata). La Corte è competente ad interpretare le disposizioni di tali accordi [v., recentemente, sentenza dell’11 luglio 2018, Bosphorus Queen Shipping (C‑15/17, EU:C:2018:557, punto 44)].


42      V., in tal senso, sentenze del 22 ottobre 2009, Bogiatzi (C‑301/08, EU:C:2009:649, punto 33), e del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2001:864, punto 63).


43      Per quanto riguarda il diritto internazionale marittimo consuetudinario, v. in particolare sentenza del 24 novembre 1992, Poulsen e Diva Navigation (C‑286/90, EU:C:1992:453, punti 9 e 10). Per quanto riguarda il principio consuetudinario di autodeterminazione, v. in particolare sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973, punto 88). Per quanto riguarda il principio consuetudinario di buona fede, v. in particolare sentenza dell’11 luglio 2018, Bosphorus Queen Shipping (C‑15/17, EU:C:2018:557, punto 45).


44      Sentenza del 30 settembre 2010 (C‑132/09, EU:C:2010:562).


45      V. Ziller, J., «Champ d’application de l’Union. – Application territoriale», JurisClasseur Europe Traité, fascicolo 470, 2013, punto 4.


46      Sentenza del 4 maggio 2017, El Dakkak e Intercontinental (C‑17/16, EU:C:2017:341, punto 22).


47      Sentenza del 15 dicembre 2015, Parlamento e Commissione/Consiglio (da C‑132/14 a C‑136/14, EU:C:2015:813, punto 64).


48      Sentenza del 29 marzo 2007 (C‑111/05, EU:C:2007:195).


49      Sentenza del 29 marzo 2007, Aktiebolaget NN (C‑111/05, EU:C:2007:195, punto 54); il corsivo è mio.


50      Non è escluso che la Corte sia competente in relazione a questo tipo di controversie nell’ambito di un ricorso a norma dell’articolo 273 TFUE, ai sensi del quale la Corte può «conoscere di qualsiasi controversia tra Stati membri in connessione con l’oggetto dei trattati, quando tale controversia le venga sottoposta in virtù di un compromesso».


51      V. paragrafo107 delle presenti conclusioni, per quanto riguarda, in particolare, il ragionamento svolto nella sentenza del 30 settembre 2010, Commissione/Belgio (C‑132/09, EU:C:2010:562).


52      Punti da 62 a 71 del ricorso.


53      V. allegato A.3 del ricorso nonché, più in generale, Geddes, A., Taylor, A., «Those Who Knock on Europe’s Door Must Repent?, Bilateral Border Disputes and EU Enlargement», Political Studies, vol. 64, n. 4, pagg. da 930 a 947. Per quanto riguarda la definizione dell’espressione «buoni uffici», si tratta dell’«l’azione di un terzo, il più delle volte uno Stato o un’organizzazione internazionale, che interviene in una controversia tra due o più parti, di cui almeno una è uno Stato, per proporre alle parti che hanno accettato la sua mediazione degli strumenti per la risoluzione pacifica del loro contenzioso» (definizione disponibile su http://www.operationspaix.net/15-lexique-bons-offices.html).


54      V., a tale proposito, allegato A.3 del ricorso, che contiene uno scambio di lettere tra i rappresentanti dei governi croato e svedese portato a conoscenza della Conferenza sull’adesione della Repubblica di Croazia all’Unione europea.


55      V., a tale proposito, allegato A.3 del ricorso, che contiene uno scambio di lettere tra i rappresentanti dei governi croato e svedese, recante la data del 25 settembre 2009.


56      V. paragrafi da 27 a 29 delle presenti conclusioni.


57      Ricordo che, come indicato al paragrafo 15 delle presenti conclusioni, l’allegato III dispone che «[i]l regime summenzionato si applica a partire dalla piena attuazione del lodo arbitrale derivante dall’accordo arbitrale tra il governo della Repubblica di Slovenia e il governo della Repubblica di Croazia firmato a Stoccolma il 4 novembre 2009».


58      Tale interpretazione, inoltre, è ulteriormente suffragata dalla risposta della Commissione ai quesiti posti dalla Corte il 28 giugno 2019, risposta nella quale essa afferma che «il testo delle note [dei punti 8 e 10 dell’allegato I del regolamento n. 1380/2013], che rispecchia il contenuto dell’Atto di adesione, prevede che il regime di accesso alle rispettive acque costiere si applica a decorrere dalla piena attuazione del lodo arbitrale derivante dall’accordo arbitrale». La Commissione aggiunge che il testo di tale disposizione può essere interpretato nel senso «che gli autori della disposizione non intendevano applicare i regimi di accesso con effetto immediato o automatico a partire da una certa data».


59      V. sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses (C‑64/16, EU:C:2018:117, punto 32), in cui la Corte ha dichiarato che «[l]’articolo 19 TUE, che concretizza il valore dello Stato di diritto affermato all’articolo 2 TUE, affida l’onere di garantire il controllo giurisdizionale nell’ordinamento giuridico dell’Unione non soltanto alla Corte, ma anche agli organi giurisdizionali nazionali». Il medesimo passaggio è stato ribadito nelle sentenze del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario) (C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586, punto 50 e giurisprudenza citata), e del 24 giugno 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema) (C‑619/18, EU:C:2019:531, punto 47).


60      Espressione utilizzata dall’avvocato generale Tanchev nelle conclusioni relative alla causa Commissione/Polonia (Indipendenza dei tribunali ordinari) (C‑192/18, EU:C:2019:529, paragrafo 71).


61      V., a tale proposito, conclusioni dell’avvocato generale Tanchev nella causa Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema) (C‑619/18, EU:C:2019:325, paragrafi 50 e 51), nonché Hillion C., «Overseeing the Rule of Law in the EU: Legal Mandate and Means», in Closa e Kochenov, pagg. da 66 a 74.


62      V., in particolare, Mader, O., «Enforcement of EU Values as a Political Endeavour: Constitutional Pluralism and Value Homogeneity in Times of Persistent Challenges to the Rule of Law», vol. 11, n. 1, aprile 2019, punto 3.4.2.


63      V., in particolare, Ruffert (Calliess/Ruffert, EUV/AEUV Kommentar, 4a ed., 2011, articolo 7 TUE, punto 29, pagg. 160 e 161), il quale sottolinea che il ricorso per inadempimento è stato concepito per perseguire «violazioni concrete e individuali» delle norme dell’Unione, mentre il meccanismo di cui all’articolo 7 TUE riguarda le violazioni dei valori dell’Unione che, tenuto conto del loro «carattere generale», non possono essere perseguite mediante un ricorso per inadempimento. Secondo Heintschel von Heinegg (Vedder/Heintschel von Heinegg, Europäisches Unionsrecht, 2a ed., 2018, articolo 7 TUE, punto 29, pagg. 112 e 113), le violazioni dell’articolo 2 TUE possono essere invocate solo nell’ambito del meccanismo previsto dall’articolo 7 TUE, dato che esse sono caratterizzate da una «qualità particolare», tale da ledere i principi fondamentali dell’Unione. Aggiunge che solo gli Stati membri riuniti in sede di Consiglio dell’Unione europea potrebbero porre fine a questo tipo di violazioni ricorrendo alla loro influenza politica. Secondo tale autore, la Corte non può invece occuparsene nell’ambito di un ricorso per inadempimento, in quanto le è fatto divieto di pronunciarsi su questioni politiche. Inoltre, la Corte disporrebbe solo del meccanismo sanzionatorio previsto dall’articolo 260 TFUE, che detto autore considera inadeguato per sanzionare violazioni del genere. Ne deduce che il ricorso per inadempimento non è applicabile alle violazioni di cui all’articolo 2 TUE.


64      V. paragrafi 103 e 104 delle presenti conclusioni.


65      La Repubblica di Slovenia fa riferimento ai seguenti obiettivi: la promozione della pace e del suo rafforzamento nonché un sempre più stretto legame tra le nazioni, come pure la realizzazione degli obiettivi delle norme dell’Unione che si riferiscono al territorio degli Stati membri.


66      Pag. 3 del ricorso, sintesi del secondo motivo.


67      Ibidem.


68      L’applicazione autonoma dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE era possibile, segnatamente, in quanto il punto controverso rientrava nell’ambito delle relazioni esterne dell’Unione e l’Unione era parte dell’accordo. La Corte ha quindi dichiarato che, qualora si tratti di un accordo o di una convenzione rientrante in parte nella competenza dell’Unione e in parte in quella degli Stati membri, occorre garantire una stretta cooperazione fra questi ultimi e le istituzioni dell’Unione tanto nel processo di negoziazione e di stipulazione quanto nell’adempimento degli impegni assunti. La Corte ne ha dedotto che tale obbligo di cooperazione deriva dall’esigenza di unità della rappresentanza internazionale dell’Unione (sentenza del 20 aprile 2010, Commissione/Svezia, C‑246/07, EU:C:2010:203, punto 73). V. anche sentenza del 30 maggio 2006, Commissione/Irlanda (C‑459/03, EU:C:2006:345).


69      Spetta agli Stati membri, segnatamente in virtù del principio di leale cooperazione enunciato all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, TUE, assicurare, nei rispettivi territori, l’applicazione e il rispetto del diritto dell’Unione e, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, secondo comma, TUE, gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai Trattati o conseguenti dagli atti delle istituzioni dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 14 settembre 2017, The Trustees of the BT Pension Scheme, C‑628/15, EU:C:2017:687, punto 47). Secondo la Corte, tale principio non autorizza uno Stato membro a eludere gli obblighi ad esso imposti dal diritto dell’Unione (sentenza del 18 ottobre 2016, Nikiforidis, C‑135/15, EU:C:2016:774, punto 54).


70      V. paragrafi da 122 a 127 delle presenti conclusioni.


71      Per quanto riguarda la limitazione delle competenze, v. Azoulai, L., «The “Retained Powers” Formula in the Case Law of the European Court of Justice: EU Law As Total Law?», European Journal of Legal Studies, vol. 2, n. 4, 2011, pagg. da 192 a 219, e Lindeboom, J., «Why EU Law Claims Supremacy», Oxford Journal of Legal Studies, vol. n. 38, estate 2018, pagg. da 328 a 356, https://doi.org/10.1093/ojls/gqy008, nonché Neframi, E., «Le principe de coopération loyale comme fondement identitaire de l’Union européenne», Revue du Marché commun et de l’Union européenne, n. 556, 2012, pagg. da 197 a 203.


72      V., a titolo d’esempio, sentenze del 14 febbraio 1995, Schumacker (C‑279/93, EU:C:1995:31, punto 21); dell’11 agosto 1995, Wielockx (C‑80/94, EU:C:1995:271, punto 16), e del 16 luglio 1998, ICI (C‑264/96, EU:C:1998:370, punto 19), in materia di imposte dirette.


73      Nella sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973, punti da 88 a 91), la Corte ha recentemente fatto riferimento ai pareri consultivi della CIG in quanto «fonti del diritto», che tuttavia vanno tenuti distinti, a mio avviso, da un «fatto giuridico».


74      Ai sensi dell’articolo 6, comma 2, dell’accordo arbitrale, il tribunale arbitrale doveva svolgere il procedimento conformemente alle regole opzionali di arbitraggio nelle dispute tra due Stati della CPA. Tali regole sono disponibili all’indirizzo https://pca-cpa.org/fr/documents/pca-conventions-and-rules/.


75      La CPA ha sede all’Aia ed è stata istituita dalle convenzioni per la risoluzione pacifica dei conflitti internazionali, concluse all’Aia nel 1899 e nel 1907.


76      V. punto 148 del lodo arbitrale controverso.


77      V. nota 15 delle presenti conclusioni.


78      Sentenza del 29 marzo 2007 (C‑111/05, EU:C:2007:195, punto 54).


79      V., in tal senso, parere 2/94 (Adesione della Comunità alla CEDU), del 28 marzo 1996 (EU:C:1996:140, punto 24); sentenze del 1o ottobre 2009, Commissione/Consiglio (C‑370/07, EU:C:2009:590, punto 46), e del 25 ottobre 2017, Commissione/Consiglio (CMR‑15) (C‑687/15, EU:C:2017:803, punto 48).


80      Punto 84 del lodo parziale.


81      Punti da 87 a 92 dell’eccezione di irricevibilità.


82      A titolo d’esempio, la Repubblica popolare cinese non riconosce la sentenza arbitrale pronunciata dalla CPA nell’ambito dell’arbitrato relativo al Mar Cinese Meridionale (Repubblica delle Filippine c. Repubblica popolare cinese, n. 2013‑19, sentenza del 12 luglio 2016).


83      V. a titolo d’esempio, sentenza del 15 giugno 1991, causa del Chamizal, Répertoire de la jurisprudence arbitrale internationale, n. 1073; Frontiera tra il Canada e gli Stati Uniti d’America, Stati Uniti d’America/Regno Unito, sentenza del 10 gennaio 1831 del re Guglielmo I dei Paesi Bassi, Répertoire de la jurisprudence arbitrale internationale, nn. 1054 e 1080, e Trattato sui confini del 1858, Costa Rica/Nicaragua, sentenza del 22 marzo 1888 del presidente degli Stati Uniti d’America G. Cleveland, Répertoire de la jurisprudence arbitrale internationale, n. 1003.


84      V. Giraudeau, G., «Les différends territoriaux devant le juge international: entre droit et transaction», pagg. da 122 a 125. Si vedano, in particolare, le cause della sentenza arbitrale pronunciata dal Re di Spagna il 23 dicembre 1906 (Honduras c. Nicaragua, sentenza del 18 novembre 1960, CIJ Recueil 1960, pag. 214) e della sentenza arbitrale del 31 luglio 1989 (Guinea‑Bissau c. Senegal, sentenza del 12 novembre 1991, CIJ Recueil 1992, pag. 76). Nel primo caso, il Nicaragua aveva rifiutato di dare esecuzione alla sentenza arbitrale pronunciata nel 1906, sicché il governo onduregno aveva adito la CIG affinché fosse accertata tale mancata esecuzione. Nella sentenza del 18 novembre 1960, la CIG ha confermato la validità di detta sentenza. Nel secondo caso, la Guinea‑Bissau aveva rifiutato di applicare la sentenza arbitrale del 1989 relativa alla delimitazione marittima tra la Guinea‑Bissau e il Senegal. Sulla base delle dichiarazioni fatte da questi due Stati, la Guinea‑Bissau aveva quindi adito la CIG, conformemente all’articolo 36, paragrafo 2, dello Statuto della CIG. Con sentenza del 12 novembre 1991 la CIG ha convalidato detta sentenza.


85      Punti da 87 a 92 dell’eccezione di irricevibilità.


86      Caldeira Brant, L.N., «L’autorité de la chose jugée en droit international public», pagg. da 209 a 211.


87      V. punti da 148 a 225 del lodo parziale.


88      In subordine, rilevo che, per quanto riguarda il carattere «autoesecutivo» delle sentenze della CIG, v., a titolo d’esempio, sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti del 25 marzo 2008, Medellín c. Texas [552, US 491 (2008)]. La Corte Suprema era chiamata a stabilire se la sentenza della CIG del 31 marzo 2004, Avena e altri cittadini messicani (Messico contro Stati Uniti d’America, ICJ Reports 2004, pagg. da 12 a 73), potesse essere fatta valere da un singolo dinanzi ai giudici statunitensi. La Corte suprema ha ricordato la distinzione giurisprudenziale tra gli obblighi internazionali «autoesecutivi» («self-executing»), che sono direttamente applicabili analogamente alle leggi federali, e i trattati che necessitano di misure interne di attuazione. In detta causa, la Corte Suprema ha dichiarato che nessuna delle disposizioni dei trattati che definiscono gli effetti delle sentenze della CIG nel settore di cui trattasi – vale a dire, in primo luogo, il protocollo di firma facoltativa alla convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, concernente la composizione obbligatoria delle controversie, in secondo luogo, l’articolo 94 della Carta delle Nazioni Unite e, in terzo luogo, lo statuto della CIG – rende tali sentenze «autoesecutive» (US da 507 a 512). Pertanto, per poter essere fatte valere dinanzi ai giudici degli Stati Uniti, le sentenze della CIG devono essere attuate dalla legislazione federale che le rende applicabili (US 504) e il legislatore può, a tal fine, emanare leggi che rendono tali sentenze applicabili nel diritto interno (US 527).


89      V. Verhoeven, J., «La notion d’“applicabilité directe” du droit international», RBDI, 243, nn. 13 e 14, 1986. Secondo una definizione ampia, «è direttamente applicabile la norma di diritto internazionale che, senza richiedere alcuna misura interna di esecuzione, può essere applicata nello Stato in cui tale norma è in vigore».


90      Sentenza del 29 marzo 2007 (C‑111/05, EU:C:2007:195).


91      V., in particolare, la sintesi dei motivi contenuta a pag. 3 del ricorso e il dispositivo del ricorso.


92      Mi preme osservare che, nel dispositivo del ricorso, la Repubblica di Slovenia addebita alla Repubblica di Croazia una serie di comportamenti (v. pag. 41 del ricorso) che essa qualifica tutti come violazioni dell’articolo 5, paragrafo 2, e dell’allegato I del regolamento n. 1380/2013.


93      Nella sentenza del 19 marzo 2005, Spagna/Consiglio (C‑91/03, EU:C:2005:174, punto 44), la Corte ha interpretato in particolare l’articolo 17, paragrafo 2, e l’allegato I del regolamento n. 2371/2002, che sono divenuti rispettivamente l’articolo 5, paragrafo 2, e l’allegato I del regolamento n. 1380/2013 ed erano redatti in termini analoghi. La Corte ha precisato che l’allegato I di detto regolamento, al quale rinviava il menzionato articolo 17, paragrafo 2, fissava, per ciascuno di tali Stati, le zone geografiche delle fasce costiere degli altri Stati membri in cui tali attività venivano esercitate, nonché le specie cui queste si riferivano.


94      V. paragrafo 15 delle presenti conclusioni.


95      Mi preme rilevare che l’articolo 7, paragrafo 3, dell’accordo arbitrale prevede l’obbligo di adottare «tutte le misure necessarie» per dare attuazione al lodo arbitrale entro sei mesi dalla sua pronuncia.


96      Sintesi dei motivi contenuti alle pagg. 3 e 4 del ricorso e punti da 100 a 109 del ricorso.