CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
CAMPOS SÁNCHEZ-BORDONA
presentate il 3 dicembre 2020 (1)
Causa C‑705/19
Axpo Trading Ag
contro
Gestore dei Servizi Energetici SpA – GSE
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (Italia)]
«Questione pregiudiziale – Libera circolazione delle merci – Promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili – Importazioni di energia elettrica dalla Svizzera – Disposizione nazionale sull’obbligo di acquisto di certificati verdi – Tassa di effetto equivalente ad un dazio doganale – Imposizione interna discriminatoria – Misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione – Aiuto di Stato – Trasferimento di risorse statali – Selettività dell’aiuto – Trattato fra l’Unione europea e la Svizzera»
1. La direttiva 2009/28/CE (2), che sarà sostituita dal 1° luglio 2021 dalla direttiva (UE) 2018/2001 (3), ha dato un forte impulso all’uso di energia da fonti rinnovabili. Uno dei meccanismi o «regimi di sostegno» da essa previsti per incentivare la produzione di questo tipo di energia è quello dei certificati verdi (in prosieguo: «CV») (4).
2. Nel valutare, nel 2005, i regimi di sostegno all’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili (in prosieguo: la «E‑FER»), la Commissione ha riassunto in questi termini il sistema di CV utilizzato, tra gli altri Stati membri, dall’Italia: «[n]el sistema di certificati verdi (...) l’E‑FER è venduta al prezzo abituale del mercato. Al fine di finanziare il costo aggiuntivo legato alla produzione di elettricità verde e di garantirne una produzione sufficiente, tutti i consumatori (o produttori in alcuni paesi) sono tenuti a comprare un certo numero di certificati verdi ai produttori di E‑FER in base ad una percentuale fissa, o una quota, del loro consumo/produzione totale (...)» (5).
3. La Corte di giustizia si è già pronunciata sui CV, in particolare sotto il profilo della libera circolazione delle merci (6). Il presente rinvio pregiudiziale le consente di progredire nella sua giurisprudenza, affrontando la compatibilità del regime giuridico italiano dei CV con il diritto dell’Unione.
I. Contesto normativo
A. Diritto dell’Unione
1. Accordo di libero scambio CEE-Svizzera (7)
4. L’articolo 2 così recita:
«L’accordo si applica ai prodotti originari della Comunità e della Svizzera:
i) figuranti nei capitoli da 25 a 97 del sistema armonizzato di designazione e codificazione delle merci, ad esclusione dei prodotti elencati nell’allegato I;
ii) elencati nell’allegato II;
iii) figuranti nel protocollo n. 2, tenuto conto delle modalità particolari stabilite in detto protocollo».
5. L’articolo 6, paragrafo 1, enuncia quanto segue:
«Nessuna nuova tassa di effetto equivalente a dei dazi doganali all’importazione è introdotta negli scambi tra la Comunità e la Svizzera».
6. A tenore dell’articolo 13, paragrafo 1:
«Nessuna nuova restrizione quantitativa all’importazione o misura di effetto equivalente viene introdotta negli scambi tra la Comunità e la Svizzera».
2. Direttiva 2009/28
7. I considerando 15, 25, 52 e 56 così recitano:
«(15) Le situazioni di partenza, le possibilità di sviluppo dell’energia da fonti rinnovabili e il mix energetico variano da uno Stato membro all’altro. Occorre pertanto tradurre l’obiettivo complessivo comunitario del 20% in obiettivi individuali per ogni Stato membro, procedendo ad un’allocazione giusta e adeguata che tenga conto della diversa situazione di partenza e delle possibilità degli Stati membri, ivi compreso il livello attuale dell’energia da fonti rinnovabili e il mix energetico. (…)
(…)
(25) Gli Stati membri hanno potenziali diversi in materia di energia rinnovabile e diversi regimi di sostegno all’energia da fonti rinnovabili a livello nazionale. La maggioranza degli Stati membri applica regimi di sostegno che accordano sussidi solo all’energia da fonti rinnovabili prodotta sul loro territorio. Per il corretto funzionamento dei regimi di sostegno è essenziale, quindi, che gli Stati membri possano controllare gli effetti e i costi dei rispettivi regimi in funzione dei loro diversi potenziali. Uno strumento importante per raggiungere l’obiettivo fissato dalla presente direttiva consiste nel garantire il corretto funzionamento dei regimi di sostegno nazionali, come previsto dalla direttiva 2001/77/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità (GU 2001, L 283, pag. 33)] al fine di mantenere la fiducia degli investitori e permettere agli Stati membri di elaborare misure nazionali efficaci per conformarsi al suddetto obiettivo. La presente direttiva mira ad agevolare il sostegno transfrontaliero all’energia da fonti rinnovabili senza compromettere i regimi di sostegno nazionali. Introduce meccanismi facoltativi di cooperazione tra Stati membri che consentono loro di decidere in che misura uno Stato membro sostiene la produzione di energia in un altro e in che misura la produzione di energia da fonti rinnovabili dovrebbe essere computata ai fini dell’obiettivo nazionale generale dell’uno o dell’altro. Per garantire l’efficacia delle due misure per il conseguimento degli obiettivi, ossia i regimi di sostegno nazionali e i meccanismi di cooperazione, è essenziale che gli Stati membri siano in grado di determinare se e in quale misura i loro regimi nazionali di sostegno si applicano all’energia da fonti rinnovabili prodotta in altri Stati membri e di concordare tale sostegno applicando i meccanismi di cooperazione previsti dalla presente direttiva.
(…)
(52) Le garanzie di origine, rilasciate ai fini della presente direttiva, hanno unicamente la funzione di provare al cliente finale che una determinata quota o quantità di energia è stata prodotta da fonti energetiche rinnovabili. Una garanzia d’origine può essere trasferita, a prescindere dall’energia cui si riferisce, da un titolare all’altro. Tuttavia, al fine di assicurare che un’unità di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili sia indicata a un cliente una volta sola, è opportuno evitare doppi conteggi e doppie indicazioni delle garanzie di origine. L’energia da fonti rinnovabili la cui garanzia di origine sia stata venduta separatamente dal produttore non dovrebbe essere indicata o venduta al cliente finale come energia prodotta da fonti rinnovabili. È importante operare una distinzione tra i certificati verdi utilizzati per i regimi di sostegno e le garanzie di origine.
(…)
(56) Le garanzie di origine non conferiscono di per sé il diritto di beneficiare di regimi di sostegno nazionali».
8. Secondo l’articolo 1 della direttiva 2009/28, essa stabilisce un quadro comune per la promozione dell’energia da fonti rinnovabili, fissando, tra l’altro, obiettivi nazionali obbligatori per la quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia e per la quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti.
9. L’articolo 3, paragrafi 1 e 2, riguarda l’obiettivo nazionale generale relativo alla quota di energia da fonti rinnovabili e le misure per garantire il raggiungimento di tale quota.
10. L’articolo 3, paragrafo 3, enuncia quanto segue:
«Per il conseguimento degli obiettivi di cui ai paragrafi 1 e 2 del presente articolo, gli Stati membri possono, tra l’altro, applicare le seguenti misure:
a) regimi di sostegno;
b) misure di cooperazione tra vari Stati membri e con paesi terzi per il raggiungimento dei rispettivi obiettivi nazionali generali in conformità degli articoli da 5 a 11.
Fatti salvi gli articoli 87 e 88 del trattato, gli Stati membri hanno il diritto di decidere conformemente agli articoli da 5 a 11 della presente direttiva, in che misura sostenere l’energia da fonti rinnovabili prodotta in un altro Stato membro».
11. L’articolo 7, paragrafo 1, così dispone:
«Due o più Stati membri possono cooperare su tutti i tipi di progetti comuni per la produzione di energia elettrica, calore e freddo da fonti energetiche rinnovabili. Tale cooperazione può comprendere operatori privati».
12. Ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1:
«Uno o più Stati membri possono cooperare con uno o più paesi terzi su tutti i tipi di progetti comuni per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Tale cooperazione può comprendere operatori privati».
13. L’articolo 15 specifica quanto segue:
«1. Per provare ai clienti finali la quota o la quantità di energia da fonti rinnovabili nel mix energetico di un fornitore di energia, in conformità dell’articolo 3, paragrafo 6, della direttiva 2003/54/CE, gli Stati membri assicurano che l’origine dell’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili sia garantita come tale ai sensi della presente direttiva, in base a criteri obiettivi, trasparenti e non discriminatori.
2. A tale fine, gli Stati membri assicurano che sia rilasciata una garanzia di origine su richiesta di un produttore di elettricità da fonti rinnovabili. (…)
(…)
La garanzia d’origine non ha alcuna funzione in termini di osservanza dell’articolo 3 da parte dello Stato membro. (…)
9. Gli Stati membri riconoscono le garanzie di origine rilasciate da altri Stati membri conformemente alla presente direttiva esclusivamente come prova degli elementi di cui al paragrafo 1 e al paragrafo 6, lettere da a) a f). Uno Stato membro può rifiutare di riconoscere una garanzia di origine soltanto qualora nutra fondati dubbi sulla sua precisione, affidabilità o autenticità. Lo Stato membro notifica alla Commissione tale rifiuto e la sua motivazione.
(…)».
B. Diritto italiano
1. Norme precedenti al 2011
14. Nei corrispondenti punti della sentenza Green Network, il sistema dei CV in vigore in Italia prima della riforma del 2011 è descritto come segue:
«12 L’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo n. 79 – Attuazione della direttiva 96/92/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 dicembre 1996 concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica (GU 1997, L 27, pag. 20] (in prosieguo: il “decreto legislativo n. 79/1999”), obbliga gli operatori che abbiano prodotto o importato energia elettrica ad immettere nel sistema elettrico nazionale, nell’anno successivo, una quota di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili (in prosieguo: l’“elettricità verde”) prodotta da impianti entrati in esercizio o ripotenziati in data successiva a quella di entrata in vigore del suddetto decreto. In forza del comma 3 di questo stesso articolo, è in particolare possibile adempiere a tale obbligo acquistando, in tutto o in parte, l’equivalente quota da altri produttori, purché immettano energia verde nel sistema elettrico nazionale, oppure acquistando certificati verdi dal gestore della rete di trasmissione nazionale chiamato, a partire dal 1° novembre 2005, Gestore servizi energetici GSE SpA (in prosieguo: il “GSE”). I produttori e gli importatori interessati devono pertanto presentare una certificazione attestante che una quota di elettricità prodotta o importata è stata prodotta da fonti energetiche rinnovabili, oppure acquistare certificati verdi.
13 L’articolo 4, comma 6, del decreto ministeriale – Direttive per l’attuazione delle norme in materia di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 11 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, dell’11 novembre 1999 [(…) in prosieguo: il “decreto ministeriale dell’11 novembre 1999”], dispone quanto segue:
“L’obbligo di cui all’articolo 11, commi 1 e 2, del decreto legislativo [n. 79/1999] può essere rispettato importando, in tutto o in parte, elettricità prodotta da impianti entrati in esercizio successivamente al 1° aprile 1999, alimentati da fonti rinnovabili, purché tali impianti siano ubicati in Paesi esteri che adottino analoghi strumenti di promozione ed incentivazione delle fonti rinnovabili, basati su meccanismi di mercato che riconoscano la stessa possibilità ad impianti ubicati in Italia. In tal caso, la domanda di cui al comma 3, è presentata dal soggetto obbligato, unitamente al contratto di acquisto dell’energia prodotta dall’impianto ed a titolo valido per l’immissione della stessa nel sistema elettrico nazionale. Tutti i dati devono essere certificati dall’autorità designata ai sensi dell’articolo 20, comma 3, della direttiva [96/92] nel paese in cui è ubicato l’impianto. Nel caso di paesi non appartenenti all’Unione europea, l’accettazione della domanda è subordinata alla stipula di una convenzione tra il gestore della rete di trasmissione nazionale ed analoga autorità locale che determini le modalità per le necessarie verifiche”.
14 Ai sensi dell’articolo 20, comma 3, del decreto legislativo n. 387 – Attuazione della direttiva [2001/77] relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità [(...) in prosieguo: il “decreto legislativo n. 387/2003”], i soggetti che importano energia elettrica da Stati membri dell’Unione europea possono richiedere al GSE l’esenzione dall’obbligo di acquistare certificati verdi previsto all’articolo 11 del decreto legislativo n. 79/1999 relativamente alla quota di elettricità verde importata, corredando tale richiesta con copia conforme della garanzia di origine rilasciata, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2001/77. In caso di importazione di elettricità da paesi terzi, tale articolo 20, comma 3, subordina la suddetta esenzione alla stipula di un accordo tra la Repubblica italiana e lo Stato terzo interessato, che prevede che l’elettricità importata prodotta da fonti rinnovabili è garantita come tale con le medesime modalità di cui all’articolo 5 della direttiva 2001/77.
15 Un siffatto accordo è stato concluso il 6 marzo 2007 tra i Ministeri italiani competenti e il Dipartimento federale svizzero dell’Ambiente, dei Trasporti, dell’Energia e delle Comunicazioni. Tale accordo prevede il reciproco riconoscimento delle garanzie di origine relativamente all’energia elettrica importata a partire dal 2006, anno in cui la Confederazione svizzera ha adottato una normativa conforme alle disposizioni della direttiva 2001/77.
16 Ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 387/2003, spetta al GSE verificare il rispetto dell’obbligo di cui all’articolo 11 del decreto legislativo n. 79/1999 e comunicare le inadempienze all’AEEG [Autorità per l’energia elettrica e il gas, Italia], che è in tal caso competente per infliggere le sanzioni previste dalla legge n. 481 – Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità (...)».
2. Decreto legislativo n. 28/2011 (8)
15. Ai sensi dell’articolo 25, comma 2, «[l]’energia elettrica importata a partire dal 1° gennaio 2012 non è soggetta all’obbligo di cui all’articolo 11, commi 1 e 2, del decreto legislativo [n. 79/1999] esclusivamente nel caso in cui concorra al raggiungimento degli obiettivi nazionali di cui all’articolo 3».
16. Lo stesso articolo 25, comma 11, lettera a), ha abrogato l’articolo 20, comma 3, del decreto legislativo n. 378/2003 a decorrere dal 1° gennaio 2012. Da quel momento in poi, gli importatori di energia elettrica da altri Stati membri non avrebbero più potuto chiedere al GSE l’esenzione dall’obbligo di acquistare i CV.
II. Fatti, procedimento principale e questione pregiudiziale
17. La Axpo Trading AG (in prosieguo: la «Axpo») (9) è una società svizzera operante nel settore dell’energia elettrica. Essa importa in Italia energia prodotta in Svizzera (e, in misura minore, in Francia) da fonti rinnovabili e da combustibili fossili.
18. Il GSE ha adottato due provvedimenti, l’8 aprile 2014 e il 10 luglio 2016, in cui constatava che la Axpo aveva importato in Italia energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel 2012 e nel 2014 senza acquistare i relativi CV, in violazione del decreto legislativo n. 79/1999, come modificato dal decreto legislativo n. 28/2011, imponendo quindi l’acquisto dei CV entro il termine di 30 giorni.
19. La Axpo ha impugnato i provvedimenti del GSE dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia).
20. Detto giudice, con sentenza del 18 settembre 2017, ha rigettato il ricorso della Axpo, richiamandosi in particolare alla sentenza Ålands Vindkraft. Esso ha ritenuto che la normativa italiana non costituisse né una tassa di effetto equivalente né un aiuto di Stato, non avendo natura selettiva e non distorcendo la concorrenza, e che fosse compatibile con la direttiva 2009/28.
21. Oltre al ricorso giurisdizionale, il 29 ottobre 2014 la Axpo aveva presentato una denuncia alla direzione generale della Concorrenza (DG COMP) della Commissione.
22. Con lettera del 21 dicembre 2017, la DG COMP prendeva atto che la Axpo aveva impugnato la sentenza di primo grado chiedendo al giudice d’appello il rinvio di una questione pregiudiziale. Essa affermava inoltre che il regime italiano dei CV non le era stato notificato ed esponeva i ragionamenti utilizzati nelle sue precedenti decisioni per analizzare i CV di altri Stati membri (10).
23. Il 2 febbraio 2015 la Axpo ha presentato un’altra denuncia alla direzione generale della Fiscalità e dell’unione doganale (DG TAXUD) della Commissione. Quest’ultima rispondeva che avrebbe preso in considerazione l’apertura di una procedura d’infrazione contro la Repubblica italiana.
24. La Axpo impugnava la sentenza del 18 settembre 2017 dinanzi al Consiglio di Stato (Italia), chiedendo la disapplicazione della normativa italiana controversa. A sostegno della sua richiesta, essa sostiene, in sostanza, che l’obbligo di acquistare i CV per importare l’E‑FER viola le norme del TFUE in materia di aiuti di Stato, unione doganale, libera circolazione delle merci e parità di trattamento, nonché l’accordo CEE-Svizzera.
25. La Commissione è intervenuta nel procedimento dinanzi al Consiglio di Stato, sottolineando che nella sentenza Ålands Vindkraft la Corte di giustizia si era pronunciata solo sull’incompatibilità delle norme svedesi con il divieto di misure di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione. Essa ha inoltre sostenuto che il giudice nazionale può escludere la ricorrenza di un aiuto di Stato, ma, se ne riconosce l’esistenza, non spetta a lui valutarne la compatibilità con il diritto dell’Unione, in quanto ciò costituisce prerogativa esclusiva della Commissione.
26. Nella sua ordinanza di rinvio, il Consiglio di Stato ritiene che la normativa italiana sia conforme alle norme del TFUE, alla direttiva 2009/28 e all’accordo CEE-Svizzera. In particolare, esso ritiene che il regime nazionale dei CV:
– sia conforme alle norme del TFUE in materia di aiuti di Stato, poiché non sono state mobilitate risorse pubbliche. Anche qualora si trattasse di risorse pubbliche, la normativa sarebbe conforme alla direttiva 2009/28, che promuove le misure statali di incentivo alla produzione di energia verde, e alla tutela dell’ambiente. In ogni caso, la misura non potrebbe qualificarsi come selettiva, in quanto il meccanismo previsto nella direttiva 2009/28 sarebbe di per sé selettivo, poiché favorisce i produttori di E‑FER in ciascuno Stato membro;
– non costituisca una tassa di effetto equivalente né una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative all’importazione, dato l’obiettivo della direttiva 2009/28;
– sia compatibile con gli articoli 18 e 110 TFUE, perché riserva lo stesso trattamento a tutti gli operatori del settore elettrico che immettono E‑FER nella rete italiana.
27. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario sottoporre alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:
«Se:
- l’articolo 18 TFUE, nella parte in cui vieta ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità nel campo di applicazione dei Trattati;
– gli articoli 28 e 30 TFUE, nonché l’articolo 6 dell’accordo di libero scambio [fra la Comunità economica europea e la Confederazione] Svizzera, nella parte in cui dispongono l’abolizione dei dazi doganali sulle importazioni e misure aventi effetto equivalente;
– l’articolo 110 TFUE, nella parte in cui vieta imposizioni fiscali sulle importazioni superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari;
– l’articolo 34 TFUE, nonché l’articolo 13 dell’accordo di libero scambio [fra la Comunità economica europea e la Confederazione] Svizzera, nella parte in cui vietano l’adozione di misure aventi effetto equivalente a restrizioni quantitative sulle importazioni;
– gli articoli 107 e 108 TFUE, nella parte in cui vietano di dare esecuzione ad una misura di aiuto di Stato non notificata alla Commissione ed incompatibile con il mercato interno;
– la direttiva 2009/28/CE, nella parte in cui si prefigge di favorire il commercio intra-comunitario di elettricità verde favorendo, altresì, la promozione delle capacità produttive dei singoli Stati membri,
ostino ad una legge nazionale quale quella supra descritta che imponga agli importatori di elettricità verde un onere pecuniario non applicabile ai produttori nazionali del medesimo prodotto».
III. Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia
28. Il rinvio pregiudiziale è pervenuto alla cancelleria della Corte il 23 settembre 2019.
29. Hanno presentato osservazioni scritte la Axpo, il GSE, il Fallimento Esperia (in prosieguo: la «Esperia») (11), il governo italiano e la Commissione. Ad eccezione del GSE, tutti sono intervenuti all’udienza tenutasi il 23 settembre 2020.
IV. Valutazione
30. Inizierò esponendo sinteticamente il regime italiano dei CV per poi esaminarne la conformità alla direttiva 2009/28. Affronterò poi i problemi che tale regime solleva con riferimento al diritto primario dell’Unione e all’accordo CEE-Svizzera.
A. Regime italiano dei CV
31. Con decreto legislativo n. 79/1999, l’Italia ha introdotto il sistema dei CV. Con esso, come ho già accennato (12), ha tentato di incentivare lo sviluppo dell’E‑FER assegnando ai produttori della stessa dei certificati (i CV) che questi ultimi potevano negoziare sul mercato, vendendoli a coloro che producevano energia elettrica da fonti non rinnovabili (13).
32. I CV erano assegnati gratuitamente a tutti i produttori di E‑FER che li richiedevano al GSE, proporzionalmente all’energia elettrica da essi prodotta, dopo aver dichiarato tale dato (14).
33. Vendendo i CV loro assegnati, i produttori di E‑FER potevano «finanziare il costo aggiuntivo legato alla produzione di elettricità verde e (…) garantirne una produzione sufficiente» (15).
34. Per raggiungere i suoi obiettivi, il decreto legislativo n. 79/1999 e le norme di attuazione dello stesso obbligavano tutti i produttori o importatori di energia elettrica a immettere nella rete nazionale una percentuale di E‑FER (che potevano produrre direttamente o acquistare da un produttore italiano) oppure ad acquistare CV.
35. Pertanto, i produttori e gli importatori di energia elettrica in Italia dovevano presentare una certificazione attestante che: a) una parte dell’energia elettrica (da loro prodotta o importata) proveniva da fonti rinnovabili o b), in alternativa, avevano acquistato i corrispondenti CV.
36. Quando un produttore o un importatore di energia elettrica convenzionale decideva di raggiungere la sua percentuale di E‑FER acquistando CV, era tenuto a presentare al GSE una dichiarazione annuale sull’energia elettrica prodotta e sulla quantità di CV proporzionali alla propria quota.
37. Dopo la verifica, il GSE annullava i CV presentati dal produttore o importatore (16). Se i CV erano inferiori alla quota del produttore o dell’importatore, questi dovevano compensare la differenza acquistando i CV rimanenti e trasmettendoli al GSE (17).
38. Era tuttavia prevista un’esenzione da tali obblighi se si dimostrava che l’energia elettrica importata in Italia proveniva da fonti rinnovabili. Così, in forza dell’articolo 20, comma 3, del decreto legislativo n. 387/2003:
– gli importatori di E‑FER prodotta in altri Stati membri dell’Unione potevano chiedere al GSE l’esenzione dall’obbligo di acquisto dei CV, per la quota di energia elettrica importata, a condizione di allegare una copia della garanzia di origine;
– se, invece, ricorreva il caso di importazione di E‑FER da paesi terzi, l’esenzione era subordinata alla stipula di un accordo tra l’Italia e lo Stato nel quale si prevedesse che l’elettricità fosse prodotta da fonti rinnovabili e fosse garantita come tale.
39. Come risulta dalla sentenza Green Network (18), un siffatto accordo è stato concluso il 6 marzo 2007 tra l’Italia e la Confederazione svizzera. Esso prevedeva il reciproco riconoscimento delle garanzie di origine relativamente all’energia elettrica importata a partire dal 2006, anno in cui la Confederazione svizzera aveva adottato una normativa conforme alle disposizioni della direttiva 2001/77, successivamente sostituita dalla direttiva 2009/28.
40. Nella sentenza Green Network la Corte di giustizia ha dichiarato che gli Stati membri non potevano concludere accordi di questo tipo, perché la loro conclusione rientrava nella competenza esclusiva dell’Unione. Essa ha altresì dichiarato che il diritto dell’Unione non era compatibile con la norma italiana che consentiva le esenzioni dall’obbligo di acquisto dei CV per l’energia elettrica importata da paesi terzi (19).
41. Il decreto legislativo n. 28/2011 ha modificato il regime di promozione dell’E‑FER stabilito dal decreto legislativo n. 79/1999, optando per l’abbandono progressivo dei CV e per la loro sostituzione con un diverso regime di sostegno. Inoltre, come ho già ricordato, ha soppresso, a partire dal 1° gennaio 2012, la possibilità per gli importatori di E‑FER di essere esentati dall’acquisto di CV italiani (20).
42. È proprio la modifica legislativa del 2011 che ha dato origine alla controversia da cui è scaturito il rinvio pregiudiziale.
B. Compatibilità del regime italiano con la direttiva 2009/28
43. La Axpo ritiene che questo regime violi la direttiva 2009/28, in quanto penalizza le importazioni di E‑FER imponendo agli importatori l’obbligo di sussidiare la produzione nazionale, mentre tale direttiva prefigura meccanismi di cooperazione.
44. Il giudice del rinvio, il GSE, l’Italia e la Commissione sostengono invece che il regime sia conforme alla direttiva 2009/28.
45. Ritengo opportuno riportare, in primo luogo, i punti da 26 a 29 della sentenza nella causa Elecdey Carcelen e a. (21), in cui la Corte di giustizia ha dichiarato quanto segue in relazione alla direttiva 2009/28:
«26 (...) la direttiva 2009/28, come risulta dal suo articolo 1, ha lo scopo di stabilire un quadro comune per la promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili, fissando, in particolare, obiettivi nazionali obbligatori concernenti la quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia.
27 Così, in forza dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2009/28, gli Stati membri hanno l’obbligo di assicurare che la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale di energia nel 2020 sia almeno pari all’obiettivo nazionale generale, come stabilito all’allegato I, parte A, di tale direttiva, il quale deve essere coerente con l’obiettivo consistente nel raggiungere una quota di energia da fonti rinnovabili di almeno il 20%.
28 Inoltre, conformemente all’articolo 3, paragrafo 2, di detta direttiva, gli Stati membri sono tenuti ad adottare misure efficacemente predisposte per assicurare che la propria quota di energia da fonti rinnovabili sia uguale o superiore alla quota indicata nella “traiettoria indicativa” di cui all’allegato I, parte B, della stessa direttiva.
29 Al fine di raggiungere tali obiettivi, gli Stati membri possono, secondo l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2009/28, applicare “regimi di sostegno”, ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, lettera k), della stessa, e, pertanto, concedere, in particolare, sovvenzioni agli investimenti, esenzioni o sgravi fiscali, restituzioni d’imposta, o ancora imporre l’obbligo di utilizzare energia da fonti rinnovabili».
46. Orbene, il meccanismo italiano dei CV è un regime di sostegno che si inserisce naturalmente nella direttiva 2009/28. Esso è, inoltre, analogo a quello oggetto della sentenza Ålands Vindkraft, nella quale si afferma espressamente che «(...) le disposizioni di cui all’articolo 2, secondo comma, lettere k) e l), della direttiva 2009/28 fanno anch’esse riferimento, specificamente, ai regimi di sostegno nazionali che utilizzano “certificati verdi”» (22).
47. La sentenza Ålands Vindkraft ha convalidato il regime di sostegno svedese che introduceva, a carico dei fornitori di elettricità e di taluni consumatori, l’obbligo di usare i CV «al fine di soddisfare i loro obblighi rispettivi di includere una determinata quota di elettricità verde nella loro offerta di elettricità oppure di usare elettricità verde in una quota determinata» (23).
48. La direttiva 2009/28 non stabilisce un quadro uniforme, per tutta l’Unione, dei regimi di sostegno nazionali all’E‑FER, ma lascia agli Stati membri un ampio margine discrezionale per la loro regolamentazione.
49. La Corte ha sottolineato che, «[c]ome risulta dal testo stesso dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2009/28, e in particolare dal termine “possono”, gli Stati membri non sono assolutamente obbligati, al fine di promuovere l’uso dell’energia da fonti rinnovabili, ad adottare regimi di sostegno, né, a fortiori, se scelgono di adottare siffatti regimi, a predisporli in forma di esenzioni o di sgravi fiscali» (24).
50. Gli Stati membri sono tenuti unicamente a «raggiungere gli obiettivi nazionali generali obbligatori fissati all’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2009/28, letto in combinato disposto con l’allegato I della stessa direttiva» (25). Secondo la Commissione, la Repubblica italiana ha raggiunto il suo obiettivo nazionale generale di uso dell’energia verde per il 2020.
51. Il margine di discrezionalità concesso agli Stati membri dalla direttiva 2009/28 per organizzare i loro regimi di sostegno all’E‑FER ammette una concezione puramente nazionale di tali regimi, che favorisca la produzione, anch’essa nazionale, di E‑FER ed escluda quella importata da altri Stati membri o da paesi terzi (26).
52. La Corte di giustizia lo ha dichiarato chiaramente: «il legislatore dell’Unione non ha inteso imporre agli Stati membri che hanno optato per un regime di sostegno che utilizza certificati verdi di estenderne il beneficio all’elettricità verde prodotta sul territorio di un altro Stato membro» (27).
53. Gli Stati membri hanno quindi il diritto di decidere se applicare o meno i loro regimi nazionali di sostegno all’E‑FER prodotta in altri Stati membri (e, a maggior ragione, in paesi terzi). Se intendono avvalersi di questa possibilità, possono anche stabilire in che misura.
54. È vero che la direttiva 2009/28 prevede meccanismi di cooperazione tra Stati membri, diversi dalle garanzie d’origine emesse ai sensi della suddetta direttiva (garanzie che non conferiscono di per sé il diritto di usufruire dei regimi di sostegno nazionali) (28). Tali meccanismi, tuttavia, sono facoltativi, non obbligatori, per cui gli Stati possono, a propria discrezione, limitare i loro regimi di sostegno all’E‑FER prodotta all’interno dei loro confini.
55. Nella misura in cui la legislazione italiana ha scelto, a partire dal 2012, di incentivare solo la produzione di E‑FER generata in Italia, essa non è in contrasto con la direttiva 2009/28.
C. Sistema italiano dei CV e norme del TFUE sull’unione doganale e la libera circolazione delle merci
56. Secondo giurisprudenza costante della Corte di giustizia, «qualora un settore sia stato oggetto di armonizzazione esaustiva al livello dell’Unione, ogni misura nazionale ad esso relativa deve essere valutata alla luce delle disposizioni di tale misura d’armonizzazione e non di quelle del diritto primario» (29).
57. La direttiva 2009/28 non ha realizzato un’armonizzazione esaustiva dei meccanismi di sostegno all’energia da fonti rinnovabili. Nella sentenza Ålands Vindkraft (30) si espongono le argomentazioni che confermano la natura non esaustiva dell’armonizzazione effettuata dalla direttiva 2009/28, che non ritengo necessario riprodurre in questa sede.
58. Sulla base di questa premessa, la compatibilità dei regimi nazionali di sostegno con il diritto dell’Unione deve essere analizzata alla luce della direttiva 2009/28 e del diritto primario.
59. Il giudice del rinvio si interroga, nello specifico, sulla compatibilità del regime italiano dei CV con il divieto di tasse di effetto equivalente a dazi doganali all’importazione (articolo 30 TFUE), di imposizioni interne discriminatorie (articolo 110 TFUE) e di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all’importazione (articolo 34 TFUE).
60. Non sarà necessario analizzare la legge italiana alla luce dell’articolo 18 TFUE, perché esso si applica solo se non esistono norme più specifiche che riflettano il principio di non discriminazione (31). Ciò avviene nel settore della libera circolazione delle merci (in cui rientrano le importazioni di energia elettrica), in quanto gli articoli 30 TFUE, 34 TFUE e 110 TFUE specificano il principio di non discriminazione, che l’articolo 18 TFUE sancisce in via generale.
61. Poiché il divieto di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative alle importazioni ha natura residuale rispetto agli altri divieti del TFUE in materia di libera circolazione delle merci (32), occorre anzitutto esaminare la compatibilità del regime italiano con il divieto di tasse di effetto equivalente a dazi doganali all’importazione e con il divieto di imposizioni interne discriminatorie.
1. Divieto di tasse di effetto equivalente a dazi doganali all’importazione (articoli 28 TFUE e 30 TFUE)
62. Un dazio doganale è un’imposta indiretta applicata all’importazione di merci da paesi terzi (eccezionalmente, all’esportazione) secondo le aliquote d’imposta previste dalla tariffa doganale dell’Unione.
63. Il sistema dei CV, per quanto riguarda le importazioni di E‑FER in Italia, non ha, date le sue caratteristiche, la natura di dazio doganale (oltre al fatto che riguarda non solo le importazioni da paesi terzi, ma anche quelle da altri Stati membri).
64. La Axpo sostiene, tuttavia, che tale sistema può essere descritto come una tassa di effetto equivalente a un dazio doganale sulle importazioni, il che richiede un esame più approfondito.
65. Sebbene il diritto originario non offra una definizione di questo tipo di tasse, la Corte di giustizia l’ha sviluppata nella sua giurisprudenza: «costituisce una tassa di effetto equivalente ad un dazio doganale qualsiasi onere pecuniario, ancorché minimo, imposto unilateralmente, a prescindere dalla sua denominazione e dalla sua struttura, che colpisca le merci per il fatto di attraversare una frontiera, quando non si tratti di un dazio doganale in senso proprio» (33). Ciò vale anche se non sia riscossa a profitto dello Stato e non abbia alcun effetto discriminatorio o protezionistico e il prodotto tassato non sia in concorrenza con la produzione nazionale (34).
66. Il divieto di tasse di effetto equivalente a un dazio doganale è assoluto e il diritto originario non prevede alcuna eccezione. Tuttavia, la Corte ha posto tre limitazioni a tale divieto, che non si applica a:
– oneri pecuniari applicati, a determinate condizioni, nell’ambito di controlli effettuati per ottemperare ad obblighi imposti dal diritto dell’Unione (35);
– oneri pecuniari che rappresentano il corrispettivo di un servizio effettivamente prestato all’operatore che è tenuto a pagarlo, di importo proporzionato al servizio stesso (36);
– regimi fiscali che di fatto gravano solo sulle importazioni (37).
67. Alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, ritengo che nemmeno il sistema italiano di CV applicato agli importatori di E‑FER costituisca una tassa di effetto equivalente a un dazio doganale.
68. Posso ammettere che l’obbligo di acquisto dei CV italiani comporti per gli importatori di energia elettrica in Italia conseguenze simili a quelle di un onere finanziario imposto unilateralmente dallo Stato italiano. Non ritengo, tuttavia, che un siffatto obbligo sia equivalente a quello derivante da un’imposizione fiscale o parafiscale, condizione indispensabile affinché un onere pecuniario ricada nel divieto di cui agli articoli 28 TFUE e 30 TFUE.
69. Inoltre, l’obbligo di acquisto dei CV non è connesso all’attraversamento della frontiera italiana: esso non è imposto come reazione contro l’importazione di energia elettrica, bensì al fine di rispettare il regime nazionale di sostegno all’E‑FER.
70. In applicazione di questo medesimo regime, a partire dal 2012 è stata eliminata l’esenzione che consentiva agli importatori di dimostrare che la loro energia elettrica proveniva da fonti rinnovabili nello Stato di provenienza. Come ho già spiegato, in questo modo essi sono stati obbligati ad acquisire CV italiani, con la conseguenza che lo Stato italiano incentivava solo la produzione di E‑FER nazionale e non favoriva più l’E‑FER importata.
71. Modificando in questi termini la disciplina giuridica del proprio regime nazionale di sostegno all’uso di energie rinnovabili, lo Stato italiano non ha, in realtà, imposto alcuna tassa connessa al fatto dell’importazione (cioè all’attraversamento della frontiera), bensì ha introdotto una modifica del proprio regime interno, cosa che era legittimato a fare ai sensi della direttiva 2009/28 (38).
72. Una siffatta norma nazionale non implica quindi una tassa di effetto equivalente ad un dazio doganale (39).
2. Divieto di tributi interni discriminatori
73. Secondo la Corte, «un onere pecuniario derivante da un regime generale di imposizioni interne gravanti sistematicamente, secondo gli stessi criteri obiettivi, su categorie di prodotti, indipendentemente dalla loro origine e dalla loro destinazione, rientra nell’articolo 110 TFUE, che vieta i tributi interni discriminatori» (40).
74. Come ho già spiegato, l’obbligo di acquisto dei CV italiani non è di natura fiscale o parafiscale e non è quindi soggetto al divieto di cui all’articolo 110 TFUE.
75. Concordo con la Commissione sul fatto che una misura come questa non costituisca un’imposta, cioè non comporti un onere di natura fiscale, constatazione cui non osta il fatto che (come molti altri obblighi simili) sia stata stabilita dalla legislazione nazionale.
3. Divieto di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all’importazione (articolo 34 TFUE)
76. L’articolo 34 TFUE, «vietando le misure d’effetto equivalente a restrizioni quantitative all’importazione tra gli Stati membri, riguarda ogni misura nazionale idonea a ostacolare direttamente o indirettamente, attualmente o potenzialmente il commercio intracomunitario» (41).
77. L’obbligo di acquisto di CV, imposto dall’Italia sulle importazioni di E‑FER fino al 2016, è una misura di effetto equivalente che rientra nel divieto di cui all’articolo 34 TFUE.
78. Si tratta di una misura che si applica solo alle importazioni di E‑FER e non alla produzione interna dello stesso prodotto. I CV sono assegnati gratuitamente ai produttori nazionali di E‑FER, mentre gli importatori di questa stessa elettricità sono obbligati ad acquistarli (comprandoli presso produttori nazionali o sulla piattaforma digitale gestita dalla società GME), in funzione dell’energia elettrica che importano in Italia.
79. Questa situazione, che rende difficile le importazioni, ha avuto inizio il 1° gennaio 2012, in forza del decreto legislativo n. 28/2011, e si è mantenuta, ripeto, fino al 2016 (42). Durante tale periodo, coloro che importavano E‑FER per immetterla nella rete italiana, pur certificandone l’origine, dovevano acquistare CV italiani.
80. La Corte di giustizia ha ritenuto che il regime svedese dei CV, simile a quello italiano, fosse una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione (43). Essa si è pronunciata anche sulla sua giustificazione, alla luce del suo obiettivo (44), per i motivi riassunti al punto 82 della sentenza Ålands Vindkraft: «un obiettivo di promozione dell’uso di fonti di energia rinnovabili per la produzione di elettricità (...) è in linea di principio idoneo a giustificare eventuali ostacoli alla libera circolazione delle merci».
81. In questa stessa proporzione, il regime italiano di CV è idoneo alla tutela dei medesimi obiettivi, in quanto anch’esso promuove la produzione di E‑FER (45).
82. Il collegamento diretto dei CV alla produzione di E‑FER risulta in particolare dall’articolo 11, comma 3, del decreto legislativo n. 79/1999, laddove prevede che i CV sono attribuiti in funzione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili (46).
83. Inoltre, la natura prettamente nazionale del regime italiano di sostegno alla produzione di E‑FER non impedisce a questo meccanismo di contribuire alla salvaguardia degli interessi generali di conservazione dell’ambiente e di tutela della salute e della vita di persone, animali e vegetali.
84. Per quanto riguarda la sua proporzionalità, la Corte di giustizia ha affermato che il regime svedese dei CV «mira in particolare a far sopportare il maggior costo collegato alla produzione di elettricità verde direttamente al mercato, cioè, ai fornitori e agli utenti di elettricità che sono vincolati all’obbligo delle quote e, infine, ai consumatori. (…) Operando siffatta scelta uno Stato membro non eccede il margine discrezionale che permane a suo favore nel perseguimento dell’obiettivo legittimo diretto ad aumentare la produzione di elettricità verde» (47).
85. Tuttavia, la Corte ha poi ricordato che:
«Il buon funzionamento di siffatto regime implica, essenzialmente, l’esistenza di meccanismi di mercato che siano idonei a permettere agli operatori che sono soggetti all’obbligo delle quote e che non dispongono ancora dei certificati richiesti al fine di assolvere detto obbligo, di approvvigionarsi di certificati in modo effettivo e a condizioni eque. (…) È importante quindi che siano istituiti meccanismi che garantiscono l’attuazione di un vero mercato dei certificati in cui l’offerta e la domanda possano effettivamente incontrarsi e tendere verso l’equilibrio, di modo che sia effettivamente possibile per i fornitori e per gli utenti interessati approvvigionarsi su di esso di certificati a condizioni eque» (48).
86. Orbene, gli stessi criteri e condizioni sono soddisfatti dai CV italiani:
– da un lato, questo regime è stato istituito per lo stesso scopo del meccanismo svedese oggetto della sentenza Ålands Vindkraft;
– dall’altro lato, gli importatori di elettricità in Italia possono adempiere il loro obbligo acquistando i CV direttamente presso i produttori stabiliti in tale paese o sul mercato dei certificati (la piattaforma digitale gestita dalla società GME).
87. In sintesi, sebbene il regime italiano dei CV possa essere descritto come una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione, esso è giustificato dagli obiettivi generali di conservazione dell’ambiente e di protezione della salute e della vita di persone, animali e vegetali.
D. Regime italiano dei CV e articoli 107 TFUE e 108 TFUE
88. Secondo la Axpo e l’Esperia, il regime italiano comporta aiuti di Stato a favore dei produttori italiani di E‑FER. Non essendo stato notificato alla Commissione, esso violerebbe l’articolo 108 TFUE.
89. Al contrario, il GSE e il governo italiano ritengono che il regime non comporti aiuti di Stato, in quanto non vi è alcun trasferimento di risorse statali e non è selettivo.
90. Per la Commissione, «la mera imposizione dell’obbligo di acquisto dei certificati verdi agli operatori che importano energia non sembra di per sé costituire una misura finanziata da risorse statali. Le imprese interessate dall’obbligo di acquisto sembrerebbero semplicemente vincolate da un obbligo di acquisto mediante risorse finanziarie proprie». Considerata la natura e le funzioni del GSE nella gestione del sistema dei CV potrebbe essere rilevante chiarire il grado di intervento e di controllo dello Stato su tale sistema, ma, sulla base degli elementi forniti, «non sembra che nel caso di specie ricorrano le condizioni affinché si abbia un impiego di risorse statali» (49).
91. La Commissione aggiunge che, poiché l’ordinanza di rinvio fornisce spiegazioni insufficienti, che non consentono di stabilire definitivamente la sua natura di aiuto di Stato, «un’analisi del sistema dei certificati verdi nel suo complesso non sembra pertinente ai fini della risoluzione del giudizio pendente davanti al giudice a quo» (50).
92. Qualora si accettasse l’approccio della Commissione, dovrebbe essere dichiarata irricevibile, per mancanza di elementi di valutazione, la parte dell’ordinanza di rinvio che riguarda la qualificazione del regime italiano dei CV, nella sua interezza, come aiuto di Stato (51).
93. Ritengo, tuttavia, che la Corte di giustizia sia in grado di dare una risposta utile al Consiglio di Stato, alla luce delle informazioni supplementari che su questo punto, e in mancanza di informazioni più ampie nella domanda di pronuncia pregiudiziale, le parti hanno fornito nelle loro dichiarazioni scritte e orali dinanzi alla Corte.
94. Tale risposta sarà comunque subordinata alla verifica da parte del giudice del rinvio delle caratteristiche del regime dei CV, che affronterò immediatamente.
1. Impostazione generale
95. L’articolo 107, paragrafo 1, TFUE dichiara incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.
96. Sono, dunque, quattro i requisiti che devono sussistere per valutare l’incompatibilità di un aiuto di Stato: a) deve trattarsi di un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali; b) tale intervento deve poter incidere sugli scambi tra gli Stati membri; c) deve concedere un vantaggio al suo beneficiario; e d) deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza (52).
97. Non si contesta che il regime in questione soddisfi il secondo requisito (poter incidere sugli scambi tra gli Stati membri) e il quarto (falsare o minacciare di falsare la concorrenza). Vi è invece controversia sugli altri due, il che rende necessario chiarire se tale regime comporti un vantaggio selettivo per le imprese beneficiarie e, soprattutto, determinare se la misura sia imputabile allo Stato e comporti l’impiego di risorse statali.
2. Intervento dello Stato e trasferimento di fondi statali
98. Per giurisprudenza della Corte di giustizia, affinché un determinato vantaggio selettivo possa essere qualificato come «aiuto» ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, da un lato, esso deve essere concesso direttamente o indirettamente mediante risorse statali e, dall’altro, esso deve essere imputabile allo Stato (53). Si tratta di due condizioni cumulative (54) le quali, tuttavia, sono spesso considerate congiuntamente nel momento in cui si valuta una misura ai sensi di tale disposizione.
99. La Axpo deduce che il regime italiano comporterebbe il trasferimento di risorse statali, in conseguenza della gratuità dei CV assegnati ai produttori italiani di E‑FER, del riacquisto dei CV eccedentari da parte del GSE e del controllo dello Stato sulle entrate della società GME.
100. Secondo la Axpo, i produttori italiani ricevono gratuitamente i CV in proporzione alla quantità di E‑FER da loro prodotta e possono venderli ai produttori italiani di energia elettrica convenzionale e agli importatori di tutti i tipi di energia elettrica. Inoltre, il GSE assicura l’esistenza di un mercato di CV, immettendone sul mercato una quantità maggiore quando la domanda è alta e ritirando i CV da detto mercato quando la domanda è troppo bassa.
101. Il governo italiano, il GSE e il giudice del rinvio ritengono, al contrario, che i CV non mobilitino risorse statali. L’acquisto dei CV è finanziato dalle imprese obbligate ad acquistarli e il riacquisto dei CV eccedentari da parte del GSE è finanziato dai consumatori finali, senza che lo Stato abbia il controllo su tali risorse.
102. La Commissione si pronuncia solo sull’obbligo di acquisto dei CV, che non ritiene essere un aiuto finanziato con risorse statali (55).
a) Imputazione della misura allo Stato
103. Al fine di stabilire l’imputabilità di una misura allo Stato, è necessario esaminare se le autorità pubbliche abbiano partecipato alla sua adozione.
104. Così avviene, in modo evidente, nel caso in cui i vantaggi selettivi a favore di una categoria di imprese siano stati istituiti per legge (56). Ciò vale per il regime italiano di CV, disciplinato da norme, di cui alcune di rango legislativo, adottate dallo Stato italiano.
105. Il GSE sostiene, tuttavia, in senso contrario all’imputazione allo Stato italiano, che questo non ha il controllo su tutti gli elementi che compartecipano al regime giuridico dei CV, sostenendo, in particolare, che è il GSE, una società di diritto privato, a riacquistare i CV.
106. L’intervento dello Stato, o effettuato mediante risorse statali, include tanto gli aiuti concessi direttamente dallo Stato, quanto quelli concessi da enti pubblici o privati designati o istituiti da quest’ultimo al fine di gestire l’aiuto (57). Il diritto dell’Unione non può tollerare che la semplice creazione di enti autonomi incaricati della distribuzione di tali benefici permetta di aggirare le regole in materia di aiuti di Stato (58).
107. Il fatto che il GSE sia una società di diritto privato non impedisce di imputare allo Stato l’istituzione e la regolamentazione giuridica del sistema dei CV, cui quella società è inderogabilmente soggetta.
108. Infatti, è la legge italiana, insieme alle sue norme di attuazione, che conferisce al GSE l’incarico di assegnare i CV ai produttori italiani di E‑FER, di ritirare quelli eccedentari rispetto alla domanda e di stabilire un prezzo di riferimento per l’offerta di CV. Non sembra che il GSE abbia l’autonomia per cessare di svolgere questi compiti.
109. Peraltro, il GSE, pur avendo la forma di una società di diritto privato, è interamente controllato dal governo italiano e svolge funzioni di natura pubblica nel settore dell’energia.
110. La misura controversa è quindi imputabile allo Stato italiano.
b) Trasferimento di risorse pubbliche
111. Nelle mie conclusioni nella causa Georgsmarienhütte e a. (59), ho esposto la situazione della giurisprudenza relativa alla qualificazione di alcuni sistemi di sostegno all’E‑FER come aiuti di Stato, che passo nuovamente a ricordare (60).
112. La misura deve essere imputabile allo Stato nonché comportare il trasferimento di risorse statali alle imprese beneficiarie per essere considerata un aiuto di Stato.
113. La Corte di giustizia ha fornito un’interpretazione estensiva della nozione di «risorse statali», che comprende non solo quelle provenienti dal settore pubblico, in senso stretto, ma anche, in talune circostanze, quelle provenienti da alcuni enti privati.
114. Non integra un trasferimento di risorse statali la riduzione indiretta delle entrate statali determinata dall’adozione di normative o misure a livello nazionale, qualora tale effetto sia inerente all’adozione di queste ultime (61).
115. Le maggiori difficoltà nel valutare se abbia avuto o no luogo un trasferimento di risorse statali sorgono quando gli Stati adottano meccanismi di intervento nella vita economica, in conseguenza dei quali alcune imprese possono ottenere un vantaggio selettivo. Nello specifico, la zona grigia corrisponde ai casi di intervento statale che, andando oltre l’adozione di una mera normativa generale per disciplinare un settore, non giungono a costituire un diretto trasferimento di risorse. Nel presente rinvio si verifica uno dei tali casi, la cui soluzione richiede, in via preliminare, di prendere in considerazione la complessa (e non sempre lineare) giurisprudenza della Corte di giustizia a detto riguardo.
116. Di conseguenza, un provvedimento statale che favorisca determinate imprese o prodotti non perde il suo carattere di vantaggio gratuito per il fatto di essere stato finanziato, in tutto o in parte, da contributi imposti dalla stessa autorità alle imprese interessate (62).
117. L’articolo 107, paragrafo 1, TFUE comprende infatti tutti gli strumenti pecuniari che le autorità pubbliche possono realmente usare per sostenere imprese, a prescindere dal fatto che questi strumenti appartengano o meno permanentemente allo Stato. Anche se le somme corrispondenti non sono permanentemente in possesso del tesoro dello Stato, il fatto che siano costantemente sotto il controllo pubblico, e dunque a disposizione delle autorità nazionali competenti, è sufficiente perché esse siano qualificate «risorse statali» (63).
118. Con riguardo al settore dell’energia elettrica, nella sentenza del 19 dicembre 2013, Association Vent De Colère! e a., la Corte di giustizia ha dichiarato che «fondi alimentati mediante contributi obbligatori imposti dalla legislazione dello Stato membro, gestiti e ripartiti conformemente a tale legislazione possono essere considerati risorse statali, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, anche qualora siano amministrati da enti distinti dagli organi statali» (64).
119. Da tale giurisprudenza si evince che l’elemento decisivo, al fine di verificare se le risorse controverse siano statali ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, è il grado di intervento e di controllo delle autorità pubbliche su di esse.
120. La mancanza di controllo da parte delle autorità pubbliche è la ragione per cui la Corte di giustizia ritiene che non si tratti di aiuti, ad esempio, nei casi in cui le risorse appartenenti ai membri di un’associazione professionale siano destinate a finanziare una finalità specifica nell’interesse di tali membri, decisa da un ente privato e con fini esclusivamente commerciali, rispetto ai quali lo Stato si limita a fungere da strumento per rendere obbligatori i contributi istituiti dagli enti commerciali. Esempi di fattispecie del genere si rinvengono nelle cause Pearle e a. (65) e Doux Élevage e Coopérative agricole UKL-ARREE (66).
121. La mancanza di controllo statale sui trasferimenti di risorse spiega, inoltre, il motivo per cui la Corte di giustizia non qualifichi come aiuti le normative che danno luogo alla ripartizione finanziaria da parte di un ente privato a un altro, senza alcun ulteriore intervento da parte dello Stato. In linea di principio, non si realizza un trasferimento di risorse statali qualora esso avvenga direttamente tra un ente privato e un altro, senza passare attraverso un ente pubblico o privato incaricato dallo Stato di gestire il trasferimento (67).
122. Non avrà luogo un trasferimento di risorse statali nemmeno quando le imprese, in gran parte private, non siano state incaricate dallo Stato membro di gestire una risorsa statale, ma siano semplicemente vincolate ad un obbligo di acquisto mediante risorse finanziarie proprie (68). Tale è il caso della sentenza PreussenElektra, secondo la quale un obbligo, imposto da uno Stato membro ai fornitori privati, di acquistare a prezzi minimi prefissati l’energia elettrica prodotta da fonti di energia rinnovabili, non determina il trasferimento diretto o indiretto di risorse statali alle imprese produttrici di detto tipo di energia elettrica, e ciò anche quando le minori entrate delle imprese soggette a siffatto obbligo possano determinare una diminuzione delle entrate fiscali, dal momento che una simile conseguenza è inerente alla misura (69). Nella causa menzionata, le imprese interessate (ossia i fornitori privati di elettricità) erano vincolate a un obbligo di acquistare un tipo specifico di elettricità mediante risorse finanziarie proprie, ma lo Stato non le aveva incaricate di gestire un regime di aiuti.
123. La Corte di giustizia non ha neppure ritenuto che vi fosse controllo da parte dello Stato (e, di conseguenza, trasferimento di risorse statali) nel meccanismo polacco che imponeva ai fornitori di vendere una parte di energia elettrica derivante dalla cogenerazione corrispondente al 15% delle loro vendite annue agli utenti finali (70).
124. Tuttavia, il controllo dello Stato torna a manifestarsi e sussisterà trasferimento di risorse statali nel caso in cui gli importi versati dai soggetti privati transitino attraverso un ente pubblico o privato incaricato di trasferirli ai beneficiari. Ciò è accaduto nella causa Essent Netwerk Noord, nell’ambito della quale un ente privato era stato incaricato, per legge, di riscuotere un supplemento di prezzo (tariffa) dell’energia elettrica, in nome dello Stato, con l’obbligo di trasferirlo ai beneficiari, senza essere autorizzato a utilizzarlo per scopi diversi da quelli previsti per legge. L’importo complessivo di tale supplemento (che la Corte di giustizia ha qualificato come imposta) si trovava sotto il controllo pubblico, il che è stato sufficiente per qualificarlo come risorsa statale (71).
125. La Corte di giustizia ha ritenuto che ricorresse controllo dello Stato anche nella causa Vent de Colère! e a., in cui sussisteva un meccanismo, sovvenzionato da tutti gli utenti finali, con il quale si compensavano integralmente i costi supplementari pagati dalle imprese soggette a un obbligo di acquisto di energia elettrica di origine eolica (a un prezzo superiore a quello di mercato). Constava un intervento effettuato mediante risorse statali, anche quando tale meccanismo era parzialmente basato su un trasferimento diretto di risorse tra enti privati (72).
126. Nella medesima prospettiva si inserisce l’ordinanza della Corte di giustizia nella causa Elcogás, vertente sul punto «se costituissero un intervento dello Stato o mediante risorse statali gli importi attribuiti a un’impresa privata che produce energia elettrica, finanziati da tutti gli utenti finali di energia elettrica stabiliti nel territorio nazionale» (73).
127. La Corte di giustizia ha risposto dichiarando che il meccanismo di compensazione dei costi supplementari di cui l’impresa in parola beneficiava (finanziato dalla tariffa finale dell’elettricità applicata a tutti i consumatori spagnoli e agli utenti delle reti di trasmissione e distribuzione sul territorio nazionale) doveva essere considerato un intervento dello Stato o mediante risorse statali ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. A tale riguardo, era «irrilevante (…) che le somme destinate a compensare i costi supplementari non proven[issero] da uno specifico supplemento della tariffa dell’elettricità e che il meccanismo di finanziamento in questione non rientr[asse] in senso stretto nella categoria di imposte, prelievo fiscale o tassa parafiscale ai sensi del diritto nazionale» (74).
128. Tra le sentenze della Corte relative ai regimi di sostegno all’E‑FER pronunciate dopo le conclusioni nella causa Georgsmarienhütte e a., risaltano quella del 28 marzo 2019, Germania/Commissione (75), e quella del 15 maggio 2019, Achema e a. (76), che pongono l’accento, in particolare, sul controllo statale dei quantitativi di cui usufruiscono le imprese elettriche.
129. Nella prima di queste sentenze, la Corte di giustizia ha annullato la sentenza del Tribunale del 10 maggio 2016, Germania/Commissione (77), nonché la decisione della Commissione ivi confermata, relativa al regime di sostegno tedesco all’E‑FER (78).
130. Per la Corte di giustizia, la Commissione non aveva «dimostrato che i vantaggi previsti dall’EEG [legge che stabilisce una nuova regolamentazione del contesto normativo della promozione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili] del 2012, vale a dire il regime di sostegno alla produzione di energia elettrica a partire da fonti d’energia rinnovabili e di gas d’estrazione, finanziato mediante la sovrattassa EEG ed il regime di compensazione speciale che consentiva la riduzione della sovrattassa medesima per gli utenti a forte consumo di energia, comportassero risorse statali e costituissero, conseguentemente, aiuti di Stato, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE» (79).
131. In detta sentenza la Corte ha tenuto conto, tra l’altro, dei seguenti argomenti:
– «(…) la circostanza che i fondi derivanti dalla sovrattassa EEG sono destinati, in base alla disciplina dell’EEG 2012, esclusivamente al finanziamento dei regimi di sostegno e di compensazione non implica che lo Stato possa disporne, ai sensi della giurisprudenza richiamata (…). Tale criterio ex lege di destinazione esclusiva dei fondi provenienti dalla sovrattassa EEG tende piuttosto proprio a dimostrare, in assenza di qualsivoglia elemento in senso contrario, l’assenza di un potere dispositivo dello Stato sui fondi medesimi, vale a dire del potere di decidere una destinazione differente rispetto a quella prevista dall’EEG 2012».
– I GRT (gestori delle reti di trasporto interregionale ad alta e altissima tensione), incaricati della gestione del regime di sostegno alla produzione di energia elettrica EEG [energia elettrica da fonti rinnovabili e da gas di miniera], non erano costantemente sotto il controllo pubblico, né tantomeno vi erano soggetti. È vero che i GRT non potevano utilizzare i fondi della sovrattassa EEG per scopi diversi da quelli stabiliti dal legislatore, che erano soggetti all’obbligo di gestire tali fondi su un conto comune specifico e che il rispetto di tale obbligo costituiva oggetto di controllo da parte di organismi statali, ai sensi dell’articolo 61 dell’EEG 2012, e che gli organismi e le istituzioni statali esercitavano uno stretto controllo a livelli multipli sugli atti dei GRT, vigilando, in particolare, a che i GRT commercializzassero l’elettricità EEG nel rispetto delle disposizioni dell’articolo 37 dell’EEG 2012.
– Tuttavia, la Corte di giustizia ha ritenuto che «gli elementi (...) considerati, se consentono effettivamente di concludere nel senso del controllo, da parte dei pubblici poteri, sulla corretta esecuzione dell’EEG 2012, non permettono, per contro, di affermare l’esistenza di un controllo pubblico sui fondi stessi, generati dalla sovrattassa EEG» (80).
132. Da parte sua, la sentenza Achema e a. ha confermato la precedente giurisprudenza della Corte di giustizia, rilevando che «(...) una misura consistente, in particolare, in un obbligo di acquisto di energia può rientrare nella nozione di “aiuto”, sebbene non comporti un trasferimento di risorse statali (...)» e che, «anche se le somme corrispondenti alla misura di aiuto in questione non sono permanentemente in possesso del Tesoro pubblico, il fatto che restino costantemente sotto controllo pubblico, e dunque a disposizione delle autorità nazionali competenti, è sufficiente perché esse siano qualificate come “risorse statali”» (81).
133. Nella stessa sentenza, la Corte di giustizia ha ribadito che l’elemento decisivo era che gli enti distinti dagli organi statali fossero «incaricati dallo Stato di gestire una risorsa statale, e non (...) semplicemente vincolati a un obbligo di acquisto mediante risorse finanziarie proprie» (82).
134. Applicando questa giurisprudenza alla controversia, esaminerò, in primo luogo, il regime di acquisto dei CV in base alla posizione dei beneficiari e di coloro che sono obbligati ad acquistarli; in secondo luogo, il grado di controllo del GSE sul meccanismo dei CV.
1) Obbligo di acquisto dei CV
135. Per quanto riguarda i beneficiari (produttori italiani di E‑FER), essi non ricevono fondi dallo Stato, ma dagli importatori – o da altri produttori nazionali – di elettricità in Italia, che devono acquistare i CV assegnati ai primi.
136. Un trasferimento di fondi da un privato a un altro privato, sebbene in adempimento di un comando giuridico, presuppone, in linea di principio, che l’importo trasferito (in questo caso, il prezzo di una compravendita tra operatori economici privati) non abbia carattere statale. L’obbligo di acquisto mediante l’utilizzo di risorse finanziarie proprie da parte di privati non rientra, di norma, nell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.
137. Questo è essenzialmente l’approccio che ha prevalso nella sentenza PreussenElektra, nella sentenza Uteca (83) e, più recentemente, nella sentenza del 28 marzo 2019, Germania/Commissione (84).
138. Per quanto riguarda coloro che sono obbligati ad acquistare i CV (cioè la controparte della compravendita) il relativo pagamento viene effettuato, ripeto, con fondi propri degli acquirenti.
139. Si può sostenere che lo Stato rinunci (85) a ricevere fondi pubblici assegnando gratuitamente i CV ai produttori di E‑FER stabiliti in Italia?
140. La risposta affermativa a tale questione ha inteso far leva sulla sentenza dell’8 settembre 2011, Commissione/Paesi Bassi, in quanto la concessione gratuita di taluni diritti di emissione è stata intesa come un indizio del carattere statale delle relative risorse (86). Dopo tale sentenza, la Commissione ha modificato il proprio criterio, in quanto fino ad allora non considerava risorse statali quelle corrispondenti ai CV (87).
141. Ritengo, tuttavia, che una siffatta estrapolazione non possa essere effettuata. La natura stessa dei CV richiede che essi siano assegnati gratuitamente ai produttori di E‑FER, in modo che costoro possano venderli sul mercato e trarre profitto dall’importo di tale vendita. Se la gratuità dovesse venire meno e i produttori di E‑FER dovessero pagare un importo (direttamente al GSE o all’asta) per ottenere i CV, il significato stesso di questo incentivo verrebbe meno.
142. I CV nascono come un modo per finanziare il costo aggiuntivo che, ai fini della produzione di E‑FER, grava sui produttori. Questo finanziamento scomparirebbe (e il CV sarebbe inutile) se il produttore di E‑FER che lo riceve dovesse pagarne l’importo. Se così fosse, a tale costo aggiuntivo si aggiungerebbe quello dei CV, di modo che tale meccanismo non servirebbe a promuovere la produzione di E‑FER. Erano proprio i maggiori costi di produzione (almeno in quel periodo), rispetto all’elettricità convenzionale (88), a giustificare l’assegnazione gratuita dell’incentivo (89).
143. Come ha dichiarato la Corte di giustizia, «un regime di sostegno nazionale che utilizza (...) certificati verdi, mira in particolare a far sopportare il maggior costo collegato alla produzione di elettricità verde direttamente al mercato, cioè, ai fornitori e agli utenti di elettricità (...) e, infine, ai consumatori» (90).
144. Queste affermazioni rivelano, a mio parere, che è il mercato, e non le autorità statali, ad assumersi il maggior costo della produzione di E‑FER che si riflette nei CV, poiché questi ultimi sono titoli negoziabili con un valore assicurato dall’esistenza di acquirenti obbligati per legge.
145. Nella stessa misura, sul bilancio dello Stato italiano non incide l’assegnazione di CV a titolo gratuito, che, ripeto, non comporta, di per sé, alcun trasferimento di risorse statali (91).
146. Questo è anche il punto di vista del Consiglio di Stato, il quale afferma che «nella specie non risulterebbero coinvolte risorse statali, giacché non appare verificarsi alcun diretto od indiretto trasferimento di risorse erariali a favore dei produttori di energia verde operanti in Italia» (92).
147. Il bilancio dello Stato non cessa quindi di ottenere entrate a causa dell’assegnazione gratuita dei CV, il che è intrinseco, come ho sottolineato, alla natura di questo incentivo.
148. Ammettere, a fini dialettici, che tale attribuzione gratuita significhi una perdita indiretta per lo Stato italiano, non vorrebbe dire che ci troviamo necessariamente dinanzi a un aiuto di Stato: per la Corte di giustizia, la riduzione indiretta delle entrate dello Stato conseguente all’adozione di normative o di misure nazionali non costituisce un trasferimento di risorse statali se tale conseguenza è inerente a tali norme (93).
2) Controllo statale sui fondi destinati al riacquisto di CV
149. Dato che la controversia che ha dato luogo al rinvio pregiudiziale riguarda l’obbligo della Axpo di acquistare i CV, in qualità di importatore di E‑FER in Italia, ciò che è stato detto finora circa l’assenza di risorse statali sarebbe sufficiente per rispondere al giudice del rinvio, come proposto dalla Commissione nelle sue osservazioni.
150. Tuttavia, questo approccio potrebbe non essere esaustivo, in quanto prescinderebbe da un’analisi del controllo dello Stato italiano su altri elementi del regime dei CV e sulla sua attuazione. In particolare, lo Stato potrebbe esercitare il suo controllo sulle risorse finanziarie destinate ai CV, al di fuori dei trasferimenti privati tra produttori di E‑FER e tra importatori e produttori nazionali di energia elettrica convenzionale.
151. Come già esposto, il legislatore italiano ha istituito un meccanismo per mantenere il valore di mercato dei CV. È vero che i CV possono essere oggetto di transazioni dirette tra produttori di E‑FER e importatori e produttori nazionali di energia elettrica convenzionale, ma la normativa italiana ha anche istituito una piattaforma digitale di scambio dei CV, gestita dalla società GME, controllata dal GSE.
152. Né nell’ordinanza di rinvio né in udienza sono state fornite prove che dimostrino che il GME utilizzi i suoi fondi in un modo che comporti trasferimenti di risorse statali a favore dei produttori nazionali di E‑FER. In linea di principio, sembra che il GME si limiti a gestire la piattaforma fungendo da intermediario tra acquirenti e venditori di CV. Spetta, tuttavia, al giudice del rinvio verificare tale circostanza.
153. Al contrario, un altro elemento del regime italiano dei CV potrebbe comportare la mobilitazione di fondi pubblici (a favore dei produttori di E‑FER), vale a dire l’intervento del GSE sul mercato per riacquistare i certificati eccedentari al fine di mantenerne il prezzo.
154. I fondi a disposizione del GSE per il riacquisto dei CV eccedentari provengono dai ricavi ottenuti dalla componente tariffaria A3, che viene pagata dai consumatori italiani nella bolletta dell’energia elettrica. L’importo dell’A3 è fissato dall’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (94).
155. La componente tariffaria A3 fa parte dei cosiddetti oneri generali del sistema elettrico (95), i cui importi sono stati fissati dall’articolo 39, comma 3, del decreto legge n. 83/2012. Gli enti che utilizzano i servizi della rete elettrica hanno l’obbligo giuridico di versare tali importi alla Cassa conguaglio per il settore elettrico (96) e di ripercuoterli sui consumatori finali (che, ripeto, li pagano in bolletta).
156. Gli importi necessari a coprire gli oneri generali del sistema elettrico sono destinati a finanziare obiettivi di interesse generale, secondo i criteri di ripartizione stabiliti dalle autorità pubbliche. Uno di questi obiettivi è la promozione delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, oggetto della componente tariffaria A3 (97).
157. Le somme incassate a copertura degli oneri generali del sistema elettrico non vanno al bilancio dello Stato, ma sono versate nei conti di gestione di un ente pubblico economico (la Cassa conguaglio per il settore elettrico), che le ridistribuisce a determinate categorie di operatori, per usi specifici. L’eccezione a tale regola è la componente tariffaria A3, il cui importo era versato al 98% sui conti del GSE (98).
158. La componente tariffaria A3 è quindi un onere finanziario imposto dalla normativa italiana per finanziare l’obiettivo di interesse generale di promuovere la produzione di E‑FER. Tra le azioni che detta normativa prevede al fine di raggiungere tale obiettivo, figura l’acquisto di CV effettuato dal GSE.
159. I proventi della componente tariffaria A3, pur non essendo integrati nel bilancio dello Stato, potrebbero essere considerati risorse statali sotto il controllo indiretto delle autorità italiane, in quanto il GSE, quale società interamente controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano, riceve da quest’ultimo, e dal Ministero dello Sviluppo economico, le linee guida a cui deve attenersi (99).
160. In sostanza, i fondi della componente A3 destinati dal GSE al riacquisto di CV potrebbero essere considerati risorse statali se: a) provengono da un onere finanziario imposto dalla normativa italiana; b) sono pagati dai consumatori finali di energia elettrica; e c) sono amministrati da una società pubblica (il GSE) che opera sotto la direzione dello Stato italiano ed è incaricata di assegnarli ai produttori italiani di E‑FER, riacquistando CV sulla piattaforma di scambio gestita dal GME, quando il loro prezzo si abbassa (100).
161. La componente tariffaria A3 genererebbe quindi ricavi che potrebbero essere qualificati come risorse statali, canalizzate ai produttori italiani di E‑FER, indirettamente, attraverso il riacquisto di CV da parte del GSE, un ente con forma societaria appartenente allo Stato (101). Nella stessa misura, ci troveremmo di fronte ad un trasferimento di fondi statali integrante un aiuto di Stato (102).
162. Spetta comunque al giudice del rinvio, che dispone di tutte le informazioni pertinenti: a) esaminare l’intervento del GSE al momento del riacquisto dei CV a carico della componente tariffaria A3; b) chiarire se, attraverso tale intervento, si verifichi un trasferimento di fondi statali a beneficio dei produttori italiani di E‑FER; e c) verificare quale grado di controllo sussista, in pratica, sui fondi che il GSE destina al riacquisto dei CV.
3. Selettività del vantaggio
163. I produttori di E‑FER stabiliti in Italia ottengono un vantaggio, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, nel ricevere i CV, in quanto questi ultimi sono loro assegnati gratuitamente e i produttori di E‑FER possono in seguito venderli, direttamente o sulla piattaforma digitale gestita dal GME, ad un prezzo che il GSE garantisce sia mantenuto ad un livello ragionevole (103).
164. Questo vantaggio è concesso solo ai produttori nazionali di E‑FER, che sarebbero privilegiati rispetto agli importatori di elettricità (sia di E‑FER che convenzionale) e ai produttori nazionali di energia elettrica convenzionale. Si tratterebbe quindi, prima facie, di un vantaggio selettivo (104).
165. Per la Corte di giustizia, la valutazione del requisito di selettività del vantaggio richiede di stabilire se, nell’ambito di un dato regime giuridico, una misura statale sia tale da favorire «talune imprese o talune produzioni» rispetto ad altre, le quali si trovino in una situazione di fatto e di diritto analoga tenuto conto dell’obiettivo perseguito da detto regime e che, per tale motivo, sono oggetto di un trattamento differenziato che, in sostanza, può essere qualificato come discriminatorio (105).
166. Nel caso di un regime di aiuti e non di un aiuto individuale, occorre determinare se il regime nazionale, anche se conferisce un vantaggio di portata generale, lo faccia a beneficio esclusivo di talune imprese o di taluni settori di attività (106).
167. In base al metodo comunemente adottato dalla giurisprudenza in questa materia, l’analisi della selettività di una misura viene solitamente effettuata in tre fasi: a) individuazione del sistema giuridico di riferimento; b) confronto della situazione di fatto e di diritto degli operatori che beneficiano della misura; e c) eventuale giustificazione del trattamento favorevole con riguardo alla natura o alla struttura del sistema di riferimento (107).
168. Per quanto riguarda l’individuazione del sistema giuridico di riferimento, le parti hanno esposto in udienza approcci totalmente divergenti: per alcune di esse, doveva essere inteso come tale quello generale della produzione di energia elettrica in Italia; per altre, quello che disciplina la produzione di E‑FER.
169. A mio avviso, il regime giuridico di riferimento nella presente causa è proprio uno di quelli istituiti dalla direttiva 2009/28. Concordo con il Consiglio di Stato quando dichiara che tale sistema è «ex se dichiaratamente e volutamente selettivo, in quanto volto a privilegiare, in ciascuno dei Paesi membri, la produzione di energia verde (...)» (108).
170. Concordo pertanto con la valutazione del giudice del rinvio secondo cui un regime nazionale di sostegno all’E‑FER come quello dei CV (che la direttiva 2009/28 prevede e cerca di garantire) non costituisce una deroga al sistema di riferimento, bensì ne fa parte (109).
171. Se invece il sistema giuridico di riferimento è inteso come quello che regola in generale il mercato dell’energia elettrica in Italia (di cui il meccanismo dei CV costituirebbe un’eccezione), per determinare gli effetti di questo regime di sostegno sarebbe necessario esaminare la comparabilità delle situazioni dei vari operatori economici (110).
172. Lo Stato italiano intende promuovere, con i CV, la produzione di E‑FER e la particolarità di questo tipo di energia fa sì che le situazioni di coloro che in Italia producono energia elettrica da fonti rinnovabili non siano, in sé, equiparabili a quelle di coloro che la ottengono da fonti fossili o convenzionali. La differenza fra i costi che sostengono gli uni e quelli che sostengono gli altri rende impossibile qualificare le rispettive situazioni come comparabili.
173. Orbene, per raggiungere quell’obbiettivo, il luogo di produzione della E‑FER dovrebbe essere, in linea di principio, irrilevante, dal momento che l’unica cosa rilevante è, lo ripeto, la sua produzione da fonti rinnovabili. Da questo punto di vista, la situazione dei produttori italiani di E‑FER e quella degli importatori della stessa E‑FER da altri Stati membri o da paesi terzi sarebbe simile. Questi ultimi sarebbero quindi discriminati rispetto ai primi, di modo che il vantaggio dei produttori di E‑FER stabiliti in Italia sarebbe selettivo.
174. Su tale punto, non si può trascurare che la direttiva 2009/28, come interpretata dalla Corte nella sentenza Ålands Vindkraft, autorizza, specificamente, che i regimi di sostegno alla produzione dell’E‑FER siano strutturati su base nazionale.
175. Affinché tale sostegno abbia luogo, il prezzo di vendita dei CV non deve essere sovradimensionato, vale a dire non deve superare quello corrispondente al maggior costo che questa modalità di produzione di energia elettrica comporta per i produttori di E‑FER. Se il prezzo dei CV fosse aumentato artificialmente al di là di tale costo, la selettività della misura non potrebbe essere negata (oltre alla mancanza di una giustificazione oggettiva).
176. Per quanto riguarda proprio la giustificazione della misura, ritengo che la natura o l’economia generale del regime dei CV (111) le forniscano il sostegno necessario. Il regime di sostegno può avvalersi della direttiva 2009/28 se ha la finalità di favorire la tutela dell’ambiente nonché della salute e della vita delle persone, degli animali e dei vegetali. Pertanto, nella misura in cui rispettino le prescrizioni di tale direttiva, è data la possibilità di considerare l’aiuto compatibile con l’articolo 107, paragrafo 3, TFUE.
177. L’analisi della compatibilità dell’aiuto con il mercato interno non è tuttavia di competenza dei giudici nazionali, ma della Commissione, caso per caso, previa notifica inviata dallo Stato membro interessato (112), in conformità con le discipline che essa stessa si è data (113).
E. L’accordo CEE-Svizzera
178. L’accordo CEE-Svizzera si applica, in linea di principio, alle importazioni di energia elettrica tra la Svizzera e gli Stati membri dell’Unione (114). Secondo la Axpo, l’obbligo di acquistare CV italiani, in occasione dell’importazione di E‑FER dalla Svizzera in Italia, violerebbe gli articoli 6 e 13.
179. Il richiamo a tali disposizioni dell’accordo presupporrebbe, anzitutto, la dimostrazione da parte della Axpo che l’energia elettrica da essa importata in Italia dalla Svizzera è stata prodotta da fonti rinnovabili. A tal fine, sarebbe necessario che l’Unione e la Svizzera avessero pattuito un meccanismo che garantisca e certifichi tale origine.
180. Come riferito dalla Commissione e confermato nel corso dell’udienza, l’Unione non ha concluso alcun accordo con la Svizzera sull’armonizzazione delle garanzie di origine della E‑FER, in linea con quanto disposto dall’articolo 15 della direttiva 2009/28. I negoziati bilaterali avviati in questo settore sono stati interrotti.
181. Vero è che il 6 marzo 2007 l’Italia e la Svizzera hanno concluso un accordo che prevedeva il riconoscimento reciproco delle garanzie d’origine per l’energia elettrica importata dal 2006 (115). Tuttavia, tale accordo bilaterale non è valido al fine del riconoscimento reciproco delle garanzie di origine della E‑FER, come ho già rilevato (116).
182. Anche se la Axpo potesse dimostrare l’origine rinnovabile dell’elettricità che importa dalla Svizzera, ritengo che gli articoli 6 e 13 dell’accordo CEE-Svizzera (117) non osterebbero al sistema italiano di acquisto di CV, imposto agli importatori.
183. Quanto all’articolo 6, paragrafo 1 (che vieta le tasse di effetto equivalente ai dazi doganali all’importazione negli scambi tra la Comunità e la Svizzera, analogamente agli articoli 28 TFUE e 30 TFUE), ho già rilevato (118) che l’obbligo di cui trattasi non ha natura fiscale né parafiscale, il che impedisce di qualificarlo come tassa di effetto equivalente a un dazio doganale.
184. Per quanto riguarda l’articolo 13, paragrafo 1 (che vieta le restrizioni quantitative all’importazione e le misure di effetto equivalente negli scambi tra la Comunità e la Svizzera), tale divieto è simile a quello di cui all’articolo 34 TFUE. Come ho parimenti spiegato (119), il meccanismo italiano dei CV, sebbene rappresenti una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione, è giustificato dalla conservazione dell’ambiente nonché dalla tutela della salute e della vita delle persone, degli animali e dei vegetali, ragion per cui non viola il divieto di cui all’articolo 34 TFUE. Lo stesso ragionamento può essere applicato al divieto di cui all’articolo 13 dell’accordo CEE-Svizzera.
V. Conclusione
185. Alla luce di quanto precede, suggerisco alla Corte di giustizia di rispondere al Consiglio di Stato (Italia) nei seguenti termini:
«1) La direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE non osta ad una normativa in virtù della quale uno Stato membro decide di non esentare gli importatori di energia elettrica da fonti rinnovabili generata in altri Stati membri o in paesi terzi dall’obbligo di acquistare certificati verdi legati esclusivamente alla produzione nazionale di tale tipo di energia elettrica.
2) Un regime di sostegno mediante certificati verdi come quello oggetto della presente controversia non è né un dazio doganale all’importazione né una tassa di effetto equivalente, contrari agli articoli 28 TFUE e 30 TFUE, né un’imposizione interna discriminatoria incompatibile con l’articolo 110 TFUE. Tuttavia, tale regime costituisce una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione, incompatibile, in linea di principio, con il divieto di cui all’articolo 34 TFUE, ma giustificata dall’esigenza imperativa di conservazione dell’ambiente e dall’interesse generale alla tutela della vita e della salute delle persone, degli animali e dei vegetali, così come consentito dall’articolo 36 TFUE.
3) L’obbligo di acquistare certificati verdi imposto dallo Stato italiano agli importatori di energia elettrica, nonché l’assegnazione gratuita di tali certificati ai produttori nazionali di energia elettrica da fonti rinnovabili, non comportano il trasferimento di risorse statali ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. Tuttavia, l’obbligo di riacquisto dei certificati verdi eccedentari che grava sulla società di proprietà pubblica Gestore servizi energetici, a carico della componente tariffaria A3, potrebbe comportare un trasferimento di fondi pubblici, la cui verifica spetta al giudice del rinvio. Tale trasferimento non può essere qualificato come aiuto di Stato incompatibile con l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, se non conferisce un vantaggio selettivo ai produttori italiani di energia elettrica da fonti rinnovabili.
4) L’obbligo di acquistare certificati verdi di origine nazionale imposto da una legislazione nazionale agli importatori di elettricità prodotta da fonti rinnovabili in un paese terzo, come la Svizzera, non è contrario agli articoli 6, paragrafo 1, e 13, paragrafo 1, dell’accordo tra la Comunità economica europea e la Confederazione svizzera del 1972».