Language of document : ECLI:EU:C:2021:386

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GERARD HOGAN

presentate il 12 maggio 2021(1)

Causa C124/20

Bank Melli Iran, Aktiengesellschaft nach iranischem Recht

contro

Telekom Deutschland GmbH

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore anseatico del Land, Amburgo, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Politica commerciale – Regolamento (CE) n. 2271/96 – Protezione dagli effetti extraterritoriali derivanti dall’applicazione di una normativa adottata da un paese terzo – Misure restrittive nei confronti dell’Iran – Sanzioni secondarie adottate dagli Stati Uniti – Divieto di rispettare tale normativa – Esercizio del diritto ordinario di risolvere un contratto»






I.      Introduzione

1.        La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame verte sull’interpretazione del regolamento (CE) n. 2271/96 del Consiglio, del 22 novembre 1996, relativo alla protezione dagli effetti extraterritoriali derivanti dall’applicazione di una normativa adottata da un paese terzo, e dalle azioni su di essa basate o da essa derivanti (in prosieguo: il «regolamento di blocco dell’Unione») (2), come modificato, da ultimo, dal regolamento delegato (UE) 2018/1100 della Commissione, del 6 giugno 2018 (3). Essa discende direttamente dalla decisione del maggio 2018 dell’allora presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, di ritirarsi, a nome degli Stati Uniti, dallo strumento comunemente conosciuto come l’accordo sulle armi nucleari iraniane, precedentemente concluso nel luglio 2015. Tale decisione ha avuto l’effetto di determinare la reviviscenza di talune sanzioni statunitensi nei confronti di società e di altre entità iraniane, la cui applicazione era stata in precedenza sospesa nel 2015.

2.        Per ragioni di politica estera e di sicurezza nazionale, in particolare nell’ambito della lotta contro il terrorismo, gli Stati Uniti d’America hanno imposto vari tipi di sanzioni economiche nei confronti di Stati e di individui o entità giuridiche. Alcune di queste sanzioni sono di lunga data, come l’embargo contro Cuba, autorizzato dal Foreign Assistance Act (legge sull’assistenza estera) del 1961 e codificato, nel 1996, dal Cuban Liberty and Democratic Solidarity Act (legge per la libertà e la solidarietà democratica a Cuba, o legge Libertad). Dall’11 settembre 2001, con l’intensificarsi della lotta contro il terrorismo, il programma statunitense di sanzioni economiche è stato ampliato.

3.        Sebbene dette sanzioni si applichino principalmente a soggetti statunitensi e non statunitensi sottoposti alla giurisdizione degli Stati Uniti che effettuino scambi commerciali o investimenti nei paesi interessati (sanzioni primarie), talune disposizioni riguardano anche attività svolte al di fuori della giurisdizione degli Stati Uniti, condotte principalmente da società straniere (sanzioni secondarie). Infatti, gran parte della legislazione statunitense che attua tali sanzioni mira a sanzionare entità di Stati terzi che effettuino scambi commerciali con lo Stato interessato oppure a vietare a tali entità, a loro volta, di commerciare con gli Stati Uniti (4).

4.        Questi tentativi di esercitare una giurisdizione extraterritoriale statunitense sono stati tradizionalmente criticati a livello dell’Unione (5), poiché costituiscono, tipicamente, una forma di giurisdizione sproporzionata, che taluni ritengono difficilmente conciliabile con i principi generali del diritto internazionale pubblico (6). In questa sede, si può osservare che l’articolo 21, paragrafo 1, e l’articolo 21, paragrafo 2, lettera h), TUE impone all’Unione di proteggere e promuovere tale sistema di diritto internazionale. Inoltre, la comunità imprenditoriale europea si è opposta a questo tipo di normativa, a motivo del fatto che, nella prassi, essa colpisce quasi esclusivamente società straniere (7).

5.        Per tutte queste ragioni, l’esistenza di siffatte normative dotate di effetti extraterritoriali potenzialmente notevoli non è passata inosservata. Nel 1996, l’Unione ha adottato il regolamento di blocco, il cui articolo 5, primo comma, vieta alle società europee di rispettare le misure statunitensi (8). Tuttavia, le tensioni tra i due regimi giuridici al centro della domanda di rinvio pregiudiziale in esame presentano potenziali problemi geopolitici, non soltanto in termini di conflitto di sovranità, ma anche per quanto concerne le barriere normative concorrenti nei mercati dell’Unione e degli Stati Uniti. Come emerge in modo esplicito dai fatti della presente causa, il funzionamento del regolamento di blocco dell’Unione è fonte di una serie di problemi giuridici tuttora irrisolti e di una varietà di problemi prettamente pratici, non da ultimo il fatto che le società europee sono poste di fronte a dilemmi di impossibile soluzione, e del tutto iniqui, provocati dall’applicazione di due regimi giuridici diversi e direttamente contrastanti (9). Non posso evitare di rilevare che la natura di tali dilemmi, combinata con l’assenza di indicazioni chiare su questioni giuridiche importanti che discendono direttamente dall’applicazione del regolamento di blocco dell’Unione, è tale per cui il legislatore dell’Unione potrebbe trarre vantaggio dalla revisione delle attuali modalità di funzionamento di tale regolamento.

6.        In particolare, molte di tali difficoltà sono ritornate bruscamente al centro dell’attenzione a seguito della decisione dell’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nel maggio 2018, di ritirarsi dall’accordo sul nucleare iraniano (ufficialmente noto come «piano d’azione congiunto globale») concluso dalla Repubblica islamica dell’Iran e dai cosiddetti P5 + 1 a Vienna, nel luglio 2015 (10). Non risulta che tale accordo costituisca un trattato formale in senso stretto, bensì, piuttosto, un accordo politico tra i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza (gli Stati Uniti d’America, la Federazione russa, la Repubblica popolare cinese, il Regno Unito e la Repubblica francese) unitamente alla Repubblica federale di Germania e all’Unione europea, da un lato, e alla Repubblica islamica dell’Iran, dall’altro. Tale accordo prevedeva, in particolare, che la Repubblica islamica dell’Iran avrebbe ridotto le sue riserve di uranio arricchito e le sue centrifughe e avrebbe accettato un programma di ispezioni di routine come contropartita della progressiva revoca di talune sanzioni economiche. L’oggetto complessivo di tale accordo consisteva nell’evitare che la Repubblica islamica dell’Iran concretizzasse la sua eventuale ambizione di raggiungere la capacità di fabbricare e produrre armi nucleari.

7.        La decisione del presidente Trump di recedere da tale accordo ha determinato, a sua volta, l’istituzione di nuove sanzioni statunitensi. Ciò ha creato notevoli difficoltà a talune grandi società europee (11). Pertanto, al fine di prevenire gli effetti della riattivazione delle sanzioni statunitensi nei confronti di entità iraniane in seguito al ritiro degli Stati Uniti d’America dal piano d’azione congiunto globale, l’Unione ha aggiunto la normativa statunitense concernente il programma di sanzioni all’Iran all’elenco delle normative estere ricadenti nel regolamento di blocco dell’Unione.

8.        Prima di affrontare tali questioni, occorre anzitutto descrivere le disposizioni pertinenti.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

1.      Regolamento di blocco dellUnione

9.        I considerando dal primo al settimo del regolamento di blocco dell’Unione prevedono quanto segue:

«considerando che fra gli obiettivi della Comunità europea vi è anche quello di contribuire allo sviluppo armonioso del commercio mondiale e alla graduale soppressione delle restrizioni agli scambi internazionali;

considerando che la Comunità si sforza di conseguire, nella maggiore misura possibile, l’obiettivo della libera circolazione di capitali tra Stati membri e paesi terzi e l’eliminazione delle restrizioni agli investimenti diretti, inclusi gli investimenti in proprietà immobiliari, allo stabilimento, alla prestazione di servizi finanziari o all’ammissione di valori mobiliari nei mercati finanziari;

considerando che un paese terzo ha approvato talune leggi, regolamenti e altri strumenti legislativi con l’intento di disciplinare l’attività di persone fisiche e giuridiche poste sotto la giurisdizione degli Stati membri;

considerando che per i loro effetti extraterritoriali tali leggi, regolamenti e altri strumenti legislativi violano il diritto internazionale e ostacolano il conseguimento degli obiettivi sopra menzionati;

considerando che tali atti normativi, ivi compresi regolamenti e altri strumenti legislativi, e le azioni su di essi basate o da essi derivanti, incidono o potrebbero incidere sull’ordinamento giuridico costituito e avere effetti negativi sugli interessi della Comunità e sugli interessi delle persone fisiche e giuridiche che esercitano i loro diritti conformemente al trattato che istituisce la Comunità europea;

considerando che, in presenza di tali circostanze eccezionali, è necessario avviare un’azione a livello comunitario per proteggere l’ordinamento giuridico costituito, gli interessi della Comunità e di dette persone, in particolare eliminando, neutralizzando, bloccando o altrimenti contrastando gli effetti della normativa estera interessata;

considerando che la richiesta di fornire informazioni in virtù del presente regolamento non impedisce ad uno Stato membro di chiedere informazioni della stessa natura da comunicare alle autorità di tale Stato».

10.      L’articolo 1, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione prevede quanto segue:

«Il presente regolamento fornisce protezione e neutralizza gli effetti dell’applicazione extraterritoriale degli atti normativi indicati nell’allegato del presente regolamento, compresi i regolamenti e gli altri strumenti legislativi e delle azioni su di essi basate o da essi derivanti, qualora tale applicazione leda gli interessi delle persone di cui all’articolo 11 che effettuano scambi internazionali e/o movimenti di capitali e attività commerciali connesse tra la Comunità e i paesi terzi».

11.      L’articolo 4 del regolamento di blocco dell’Unione così dispone:

«Nessuna sentenza di un tribunale e nessuna decisione di un’autorità amministrativa esterna alla Comunità che, direttamente o indirettamente, renda operative gli atti normativi indicati nell’allegato o azioni su di essi basate o da essi derivanti, è accettata o eseguita in alcun modo».

12.      L’articolo 5 del regolamento di blocco dell’Unione prevede quanto segue:

«Nessuna delle persone di cui all’articolo 11 deve rispettare, direttamente o attraverso una consociata o altro intermediario, attivamente o per omissione deliberata, richieste o divieti, comprese le richieste di tribunali stranieri, basate o derivanti, direttamente o indirettamente, dagli atti normativi indicati nell’allegato o da azioni su di essi basate o da essi derivanti.

Conformemente alle procedure di cui agli articoli 7 e 8, si può essere autorizzati a rispettare, completamente o in parte, le norme contestate se la loro inosservanza può danneggiare seriamente i propri interessi o quelli della Comunità. I criteri di applicazione della presente disposizione sono fissati secondo la procedura di cui all’articolo 8. Qualora sussistano prove sufficienti che l’inosservanza causerebbe gravi danni ad una persona fisica o giuridica, la Commissione sottopone senza indugio al comitato di cui all’articolo 8 un progetto delle misure adeguate da adottare a norma del presente regolamento».

13.      L’articolo 6 del regolamento di blocco dell’Unione così dispone:

«Qualsiasi persona di cui all’articolo 11, impegnata in un’attività di cui all’articolo 1 ha diritto al risarcimento dei danni, comprese le spese giudiziali, ad essa causati dall’applicazione degli atti normativi indicati nell’allegato o da azioni su di essi basate o da essi derivanti.

Tale risarcimento può essere ottenuto dalla persona fisica o giuridica o da qualsiasi altra entità che ha causato danni o da qualsiasi persona che agisca per suo conto o altro intermediario.

(…)».

14.      L’articolo 7 del regolamento di blocco dell’Unione prevede quanto segue:

«Per l’attuazione del presente regolamento la Commissione:

(…)

b)      concede autorizzazioni alle condizioni stabilite nell’articolo 5, e, nello stabilire il termine entro il quale il comitato deve esprimere il suo parere, tiene interamente conto del termine che le persone soggette ad autorizzazione devono rispettare;

(…)».

15.      L’articolo 8 del regolamento di blocco dell’Unione così dispone:

«1.      Nell’attuazione del disposto dell’articolo 7, lettera b), la Commissione è assistita dal comitato della legislazione extraterritoriale. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d’esame di cui al paragrafo 2 del presente articolo. Esso è un comitato ai sensi del regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio [(12)].

2.      Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applica l’articolo 5 del regolamento (UE) n. 182/2011».

16.      L’articolo 9 del regolamento di blocco dell’Unione recita:

«Ciascuno Stato membro decide le sanzioni da imporre in caso di violazione delle pertinenti disposizioni del presente regolamento. Tali sanzioni devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive».

17.      L’articolo 11 del regolamento di blocco dell’Unione così dispone:

«Il presente regolamento si applica a:

1)      qualsiasi persona fisica residente nella Comunità (...) e che ha la cittadinanza di uno Stato membro,

2)      qualsiasi persona giuridica registrata nella Comunità,

3)      qualsiasi persona fisica o giuridica di cui all’articolo 1, paragrafo 2 del regolamento (CEE) n. 4055/86 [(13)],

4)      qualsiasi altra persona fisica residente nella Comunità, fatto salvo il caso in cui tale persona si trovi nel paese di cui ha la cittadinanza,

5)      qualsiasi altra persona fisica nel territorio della Comunità, compresi le sue acque territoriali e il suo spazio aereo, e a bordo di qualsiasi aeromobile o nave soggetti alla giurisdizione o al controllo di uno Stato membro, nell’esercizio della sua attività professionale».

2.      Regolamento di esecuzione (UE) 2018/1101 della Commissione

18.      L’articolo 4 del regolamento di esecuzione (UE) 2018/1101 della Commissione, del 3 agosto 2018, che stabilisce i criteri di applicazione dell’articolo 5, secondo comma, del [regolamento di blocco dell’Unione] (14) prevede quanto segue:

«Per valutare se possa insorgere un grave danno agli interessi protetti ai sensi dell’articolo 5, secondo comma, del [regolamento di blocco dell’Unione], la Commissione considera, tra l’altro, e ove appropriato, i seguenti criteri non cumulativi:

a)      se è probabile che l’interesse protetto sia specificamente a rischio, tenendo conto del contesto, della natura e dell’origine del danno all’interesse protetto;

b)      l’esistenza di indagini in corso, di natura amministrativa o giudiziaria, nei confronti del richiedente nel paese terzo all’origine dell’atto normativo extraterritoriale elencato, o l’esistenza di un accordo transattivo con detto paese;

c)      l’esistenza di un legame effettivo con il paese terzo all’origine dell’atto normativo extraterritoriale elencato o delle azioni successive, ad esempio se il richiedente include imprese madri o imprese figlie o la partecipazione di persone fisiche o giuridiche soggette alla giurisdizione primaria del paese terzo che è all’origine dell’atto normativo extraterritoriale elencato o delle azioni successive;

d)      se il richiedente possa ragionevolmente adottare misure per evitare o mitigare il danno;

e)      l’effetto negativo sulle attività economiche, in particolare se il richiedente possa subire perdite economiche rilevanti, tali, ad esempio, da comprometterne la sostenibilità economica o da comportare un serio rischio di fallimento;

f)      se l’attività del richiedente sia resa eccessivamente difficile, a causa della perdita di mezzi di produzione o di risorse essenziali che non possono essere ragionevolmente sostituiti;

g)      se il godimento dei diritti individuali del richiedente sia ostacolato in maniera rilevante;

h)      se vi sia una minaccia alla sicurezza, alla protezione della vita umana e della salute e alla tutela dell’ambiente;

i)      se vi sia una minaccia alla capacità dell’Unione di attuare le sue politiche in materia di aiuto umanitario, di sviluppo o di commercio o gli aspetti esterni delle sue politiche interne;

j)      la sicurezza dell’approvvigionamento di beni e servizi strategici all’interno o verso l’Unione o uno Stato membro e l’impatto di eventuali carenze o perturbazioni al riguardo;

k)      le conseguenze per il mercato interno in termini di libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, nonché per la stabilità finanziaria ed economica o per le infrastrutture essenziali dell’Unione;

l)      le implicazioni sistemiche del danno, in particolare per quanto riguarda gli effetti di ricaduta su altri settori;

m)      l’impatto sul mercato del lavoro di uno o più Stati membri e le conseguenze transfrontaliere nell’Unione;

n)      ogni altro fattore rilevante».

B.      Diritto statunitense

1.      Misure concernenti lIran

19.      Gli Stati Uniti hanno adottato normative che prevedono la sanzione delle violazioni dei loro embarghi nei confronti di altri paesi. Inizialmente, tuttavia, il regolamento di blocco dell’Unione menzionava, nel suo allegato, soltanto tre atti legislativi, ossia il «National Defense Authorisation Act for Fiscal Year 1993» (legge di autorizzazione della difesa nazionale relativa all’esercizio 1993), le cui prescrizioni sono consolidate nel titolo I del «Cuban Liberty and Democratic Solidarity Act 1996» (legge per la libertà e la solidarietà democratica a Cuba del 1996), nonché l’«Iran and Libya Sanctions Act 1996» (legge sulle sanzioni contro l’Iran e la Libia del 1996).

20.      Il Cuban Liberty and Democratic Solidarity (Libertad) Act 1996 (comunemente noto come la «legge Helms – Burton») è stato adottato al fine di mantenere e rafforzare l’embargo degli Stati Uniti nei confronti di Cuba. Esso vieta di esportare negli Stati Uniti beni o servizi di origine cubana o contenenti materiali o beni provenienti da Cuba, direttamente o attraverso paesi terzi, di trattare merci che si trovano o si trovavano precedentemente a Cuba o che sono trasportate da o attraverso Cuba, di riesportare negli Stati Uniti zucchero originario di Cuba senza notifica dell’autorità nazionale competente dell’esportatore e di importare negli Stati Uniti prodotti a base di zucchero senza assicurarsi che non siano prodotti cubani. Inoltre, tale atto congela i beni cubani e le operazioni finanziarie con la Repubblica di Cuba.

21.      In particolare, le disposizioni del titolo III di tale legge prevedono sia un mezzo per disincentivare gli investimenti nella Repubblica di Cuba, sia un rimedio per coloro i cui beni sono stati oggetto di espropriazione. In particolare, tale legge prevede un rimedio per i cittadini statunitensi vittime delle pratiche di espropriazione di Cuba, garantendo loro il diritto di agire dinanzi ai giudici statunitensi nei confronti di qualsiasi cittadino straniero che effettui «operazioni» con beni «confiscati» dal governo cubano a partire dal 1° gennaio 1959. La legge Helms-Burton definisce la nozione di «operazioni» in modo ampio, includendovi un’estesa gamma di attività connesse ai beni espropriati, compresa la vendita o la gestione di questi ultimi, nonché l’ottenimento di vantaggi derivanti dalle operazioni compiute da un’altra persona (15).

22.      La legge sulle sanzioni contro l’Iran e la Libia del 1996 (denominata anche «legge D’Amato-Kennedy») prevede che gli operatori economici interessati dall’embargo nei confronti dell’Iran o della Libia non possono investire in nessuno dei due paesi un importo superiore a 40 milioni di dollari USA (USD) durante un periodo di dodici mesi «che contribuisca in modo diretto e significativo ad accrescere la capacità dell’Iran o della Libia di sviluppare le rispettive risorse petrolifere». La nozione di «investimento» comprende la conclusione di un contratto per detto sviluppo, la fornitura di garanzie, l’ottenimento di un profitto da esso o l’acquisto di parte della relativa proprietà.

23.      In risposta all’adozione di tali normative, oltre alla formulazione di censure politiche e all’adozione del regolamento di blocco, l’Unione europea ha presentato una denuncia nell’ambito del meccanismo di risoluzione delle controversie dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, diretta a far dichiarare l’illegittimità di una legge statunitense ai sensi dell’articolo XXI dell’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (16). La denuncia è stata successivamente ritirata dopo che l’Unione, l’11 aprile 1997, ha raggiunto un’intesa con gli Stati Uniti d’America sulla legislazione extraterritoriale statunitense.

24.      Come ho già osservato, nel maggio 2018 gli Stati Uniti d’America si sono ritirati dal piano d’azione congiunto globale (noto anche come l’«accordo con l’Iran»), firmato a Vienna il 14 luglio 2015. Il piano d’azione congiunto globale mirava a controllare il programma nucleare dell’Iran e a rimuovere le sanzioni economiche nei confronti di tale paese. Ciò ha condotto alla reviviscenza delle sanzioni previste dall’Iran Transactions and Sanctions Regulations (regolamento in materia di operazioni con l’Iran e di sanzioni nei suoi confronti; in prosieguo: l’«ITSR»). In risposta a tali nuove misure, nel 2018, l’allegato del regolamento di blocco dell’Unione è stato modificato (17) al fine di includervi altre normative statunitensi, principalmente la legislazione diretta ad attuare sanzioni nei confronti dell’Iran. La domanda di pronuncia pregiudiziale precisa che la ricorrente è stata iscritta nella Specially Designated Nationals and Blocked Person List (elenco delle persone specificamente designate e delle persone i cui attivi sono congelati; in prosieguo: l’«elenco SDN»), tenuto dall’Office of Foreign Assets Control (Ufficio di controllo dei beni stranieri; in prosieguo: l’«OFAC»), a cui vari atti normativi menzionati nell’allegato del regolamento di blocco dell’Unione fanno riferimento.

25.      Tra tali atti figura l’Iran Threat Reduction and Syria Human Rights Act 2012 (legge sul contenimento della minaccia iraniana e sui diritti umani in Siria del 2012). L’articolo 220, lettera c), di tale legge prevede che, qualora una persona, consapevolmente, continui a prestare direttamente servizi specializzati di messaggistica finanziaria, oppure a consentire o agevolare l’accesso diretto o indiretto a tali servizi, per la Banca centrale dell’Iran o un ente finanziario, il Presidente degli Stati Uniti può imporre sanzioni.

26.      L’ITSR è l’altro atto normativo rilevante aggiunto all’allegato del regolamento di blocco dell’Unione.

27.      L’articolo 560.211 dell’ITSR, rubricato «Operazioni vietate relative a beni oggetto di congelamento», così dispone:

«a)      Tutti i beni e i diritti su beni del governo iraniano, compresa la Banca centrale dell’Iran, situati negli Stati Uniti, che si vengano successivamente a trovare negli Stati Uniti o dei quali un soggetto statunitense, ivi comprese le succursali estere, entri in possesso o assuma il controllo, sono congelati e non possono essere trasferiti, pagati, esportati, prelevati o altrimenti negoziati.

b)      Tutti i beni e i diritti su beni di qualsiasi istituzione finanziaria iraniana, compresa la Banca centrale dell’Iran, situati negli Stati Uniti, che si vengano successivamente a trovare negli Stati Uniti o dei quali un soggetto statunitense, ivi comprese le succursali estere, entri in possesso o assuma il controllo, sono congelati e non possono essere trasferiti, pagati, esportati, prelevati o altrimenti negoziati.

c) 1)      Tutti i beni e i diritti su beni di una delle persone di seguito indicate, situati negli Stati Uniti, che si vengano successivamente a trovare negli Stati Uniti o dei quali un soggetto statunitense, ivi comprese le succursali estere, entri in possesso o assuma il controllo, sono congelati e non possono essere trasferiti, pagati, esportati, prelevati o altrimenti negoziati:

i)      Qualsiasi persona che, per determinazione del segretario del Tesoro, di concerto con il segretario di Stato, è detenuta o controllata da una persona i cui beni e diritti su beni siano congelati a norma delle lettere da a) a c), numero 1), punto i) della presente sezione o abbia agito o inteso agire, direttamente o indirettamente, in nome o per conto di detta persona (...).

(…)

d)      I divieti di cui alle lettere da a) a c) della presente sezione includono, tra l’altro, il divieto di porre in essere le seguenti operazioni:

1)      erogare qualsiasi contributo o fornire fondi, beni o servizi per conto di una persona i cui beni e diritti su beni siano congelati ai sensi delle lettere da a) a c) della presente sezione, a detta persona o a suo beneficio; e

2)      ricevere qualsiasi contributo, fondi, beni o servizi da una persona i cui beni e diritti su beni siano congelati ai sensi delle lettere da a) a c) della presente sezione».

28.      L’articolo 560.325 dell’ITSR, rubricato «Beni; diritti su beni», così recita:

«Per beni e diritti su beni si intende, tra l’altro, denaro, assegni, tratte, lingotti, depositi bancari, conti di risparmio, debiti, indebitamenti, obblighi, pagherò, garanzie, obbligazioni, azioni, cedole e qualsiasi altro strumento finanziario, accettazioni bancarie, ipoteche, pegni o altri diritti nella forma di titoli, ricevute di deposito, polizze di carico, ricevute fiduciarie, atti di cessione e qualsiasi altra prova di diritti o titoli di credito, lettere di credito e qualsiasi documento concernente i relativi diritti e obblighi, procure, prodotti, merci, mercanzie, beni mobili, scorte di magazzino, navi, merci su navi, ipoteche immobiliari, contratti fiduciari, contratti di alienazione, accordi su terreni, locazioni, canoni, immobili e qualsiasi diritto ad essi relativo, opzioni, strumenti negoziabili, accettazioni commerciali, royalties, risultanze di scritture contabili, debiti commerciali, sentenze, brevetti, marchi o diritti di autore, polizze assicurative, cassette di sicurezza e loro contenuto, rendite, contratti di pooling, servizi e contratti di qualsiasi natura nonché qualsiasi altro bene mobile o immobile, materiale o immateriale e qualsiasi diritto su di esso, presente, futuro o incerto».

29.      L’articolo 560.410 dell’ITSR, rubricato «Prestazione di servizi», prevede quanto segue:

«(…)

c)      I divieti di operazioni relative a beni congelati di cui all’articolo 560.211 si applicano alle prestazioni di servizi effettuate negli Stati Uniti o da soggetti statunitensi, indipendentemente dal luogo in cui sono situati, ivi comprese le succursali estere di un’entità situata negli Stati Uniti:

(…)

2)      Per quanto riguarda i diritti su beni del governo iraniano, di un ente finanziario iraniano o di qualsiasi altra persona i cui beni e diritti su beni sono congelati in forza dell’articolo 560.211.

(…)».

30.      Nella causa in esame, né il giudice del rinvio nella sua decisione di rinvio, né le parti nelle loro osservazioni hanno precisato con esattezza quali atti normativi e disposizioni potrebbero applicarsi alla Deutsche Telekom GmbH se tale società non risolvesse i suoi contratti con la Bank Melli Iran. A mio avviso, i due testi legislativi statunitensi summenzionati sembrano essere gli unici idonei a produrre tale effetto, sebbene ciò dipenda dalle circostanze del caso di specie.

31.      Per quanto riguarda le sanzioni pecuniarie, sia la legge D’Amato-Kennedy sia l’ITSR rinviano all’articolo 206 dell’International Emergency Economic Powers Act (legge sui poteri economici in caso di emergenza internazionale) (50 U.S.C. 1705). Detta legge prevede che la sanzione civile per la violazione delle sue disposizioni (e, quindi, per le violazioni delle disposizioni degli altri due atti citati) è pari a un importo non superiore a USD 250 000 o a un importo corrispondente al doppio del valore dell’operazione all’origine della violazione oggetto di sanzione. L’International Emergency Economic Powers Act prevede altresì, in materia di sanzioni penali, che a una persona condannata per la violazione delle pertinenti disposizioni di tale atto (e, quindi, delle disposizioni pertinenti della legge D’Amato-Kennedy e dell’ITSR) è inflitta, in caso di condanna, una sanzione di importo massimo pari a USD 1 000 000 o, qualora si tratti di una persona fisica, la pena della reclusione per un periodo massimo di 20 anni, o entrambe (18).

2.      Sulla dottrina della «Foreign Sovereign Compulsion» (soggezione alla sovranità straniera) nel diritto statunitense

32.      La dottrina della «Foreign Sovereign Compulsion» (soggezione alla sovranità straniera) è un mezzo di difesa riconosciuto dalla Corte suprema degli Stati Uniti nel 1958, nella causa Société internationale c. Rogers, 357 U.S. 197 (1958) (19). Tale teoria affonda le sue origini nel principio del giusto processo, nonché nella dottrina della cortesia internazionale, vale a dire del rispetto dell’ordinamento giuridico di un altro Stato sovrano (20). Secondo tale dottrina, che ha trovato applicazione soprattutto in materia di normativa antitrust (21), all’amministrazione statale o federale è fatto divieto di esigere che un soggetto: i) compia, in un altro Stato, atti vietati dalla legge dello Stato di cui è cittadino; o ii) si astenga dal compiere, in un altro Stato, un atto che è tenuto a compiere in forza della legge di tale Stato o dello Stato di cui è cittadino.

33.      Tuttavia, per quanto riguarda la sua applicazione nell’ambito dei regolamenti di blocco adottati dal Canada, dal Regno Unito e dall’Unione europea, l’US District Court for the Eastern District of Pennsylvania (Tribunale distrettuale statunitense del distretto orientale della Pennsylvania, Stati Uniti) ha deciso, nella causa Stati Uniti c. Brodie, 174 F. Supp. 2d 294 (E.D. Pa. 2001) che gli imputati in tale causa, i quali avevano effettuato operazioni vietate dal diritto statunitense con la Repubblica di Cuba, non potevano invocare, a loro difesa, la dottrina della soggezione alla sovranità straniera, per due motivi (22). In primo luogo, se la logica di tale dottrina è il rispetto dovuto agli atti di uno Stato straniero, essa non trova spazio nei procedimenti penali, poiché la violazione dell’ordine pubblico statunitense sovrasta qualsiasi considerazione concernente la cortesia internazionale. In secondo luogo, pur non affermando che tale dottrina non avrebbe mai potuto sollevare problemi in termini di giusto processo in ambito penale, il Tribunale distrettuale statunitense ha statuito che, in tale causa, non si ponevano questioni inerenti al giusto processo, a motivo del fatto che i vari regolamenti di blocco nazionali all’epoca in vigore in Canada, nel Regno Unito e nell’Unione non imponevano, in capo alle società, l’obbligo di effettuare scambi commerciali con la Repubblica di Cuba. Infatti, in casi precedenti in cui tale dottrina era stata giudicata applicabile, i giudici stranieri avevano emanato provvedimenti particolari nei confronti degli imputati, aventi a oggetto specifici obblighi di fare. In assenza di tali provvedimenti, non vi era il rischio di essere sottoposti a un procedimento penale. Nella causa Stati Uniti c. Brodie non erano stati adottati provvedimenti di questo tipo. L’aspetto più importante, probabilmente, consiste nel fatto che, in tale causa, non erano state dedotte prove a sostegno del fatto che i regolamenti di blocco in questione avevano obbligato gli imputati a vendere i loro prodotti alla Repubblica di Cuba. Pertanto, l’elemento coercitivo richiesto dalla dottrina della soggezione alla sovranità straniera era assente.

C.      Diritto tedesco

34.      Secondo il governo tedesco, nel caso di contratti di servizi a tempo indeterminato (nei quali rientrano i contratti di fornitura di servizi di telecomunicazioni), qualora tali contratti siano conclusi per un periodo indefinito, ciascuna parte dispone, in forza dell’articolo 620, paragrafo 2, del Bürgerliches Gesetzbuch (codice civile tedesco; in prosieguo: il «BGB»), di un diritto di disdetta ordinaria, che si concretizza nella possibilità di porre fine al contratto senza dover addurre un motivo specifico. Il periodo di preavviso applicabile e i termini sono definiti dall’articolo 621 del BGB, che prevede periodi diversi a seconda del termine in cui è dovuto il pagamento (giornalmente, settimanalmente, mensilmente, trimestralmente o altro). Di converso, per i contratti di servizio conclusi a tempo determinato, la legge non prevede alcun diritto di disdetta «ordinaria». Tali contratti terminano alla data pattuita, conformemente all’articolo 620, paragrafo 1. Poiché tali norme costituiscono disposizioni di base, le parti possono derogarvi. Inoltre, tutti i contratti a esecuzione continuata, in cui rientrano molti contratti di servizio, possono essere risolti per gravi motivi in qualsiasi momento, conformemente all’articolo 314 del BGB.

35.      L’articolo 134 del BGB così dispone:

«Qualsiasi negozio giuridico contrario a un divieto disposto per legge è nullo, salvo che la legge disponga diversamente» (23).

36.      La violazione dell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione può essere perseguita, in Germania, come illecito amministrativo ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 4, prima frase, numero 1), dell’Außenwirtschaftsgesetz (legge sul commercio estero; in prosieguo: l’«AWG»), in combinato disposto con l’articolo 82, paragrafo 2, dell’Außenwirtschtsverordnung (regolamento sul commercio estero) ed è punibile con un’ammenda fino a EUR 500 000 (articolo 19, paragrafo 6, dell’AWG) (24).

III. Fatti della causa principale e rinvio pregiudiziale

37.      La Bank Melli Iran, ricorrente, è una banca iraniana costituita in forma di società per azioni secondo il diritto di tale paese. Essa possiede una succursale ad Amburgo (Germania) e la sua attività principale è la gestione del commercio estero con l’Iran. La Telekom Deutschland, resistente, è una controllata della Deutsche Telekom AG, uno dei principali operatori tedeschi di servizi di telecomunicazioni. Il gruppo dispone di più di 270 000 dipendenti in tutto il mondo, di cui più di 50 000 negli Stati Uniti, dove realizza circa il 50% del suo fatturato.

38.      La ricorrente e la resistente hanno concluso un accordo quadro che consente alla ricorrente di riunire in un singolo contratto tutte le connessioni della propria impresa nei diversi siti in Germania. Nell’ambito di tale rapporto contrattuale, la ricorrente ha richiesto diversi servizi, che la resistente ha fornito e fatturato mensilmente per un importo di circa EUR 2 000, somma che è stata sempre pagata senza ritardo. I servizi disciplinati da tali contratti rappresentano la base esclusiva delle strutture di comunicazione interne ed esterne della ricorrente in Germania e sono dunque, come ritenuto dal giudice del rinvio, indispensabili ai fini delle sue attività commerciali.

39.      A seguito della decisione del presidente Trump, nel maggio 2018, con la quale gli Stati Uniti si sono ritirati dal piano d’azione congiunto globale, l’ITSR ha trovato nuovamente applicazione. In particolare, a seguito dell’adozione dell’Executive Order 13846 of 6 August 2018 Reimposing Certain Sanctions With Respect to Iran (ordine esecutivo 13846, del 6 agosto 2018, che ripristina talune sanzioni nei confronti dell’Iran), la Bank Melli Iran è stata nuovamente inserita in un elenco di sanzioni predisposto dall’OFAC: l’elenco SDN. La Bank Melli Iran era già stata inserita in tale elenco dal 2007, dopo essere stata designata dall’OFAC come entità i cui beni erano oggetto di congelamento in forza dell’Executive Order 13382 of 28 June 2005, Blocking Property of Weapons of Mass Destruction Proliferators and Their Supporters (25) (ordine di esecuzione 13382, del 28 giugno 2005, che impone il congelamento dei beni dei proliferatori di armi di distruzione di massa e dei loro sostenitori), prima che tali sanzioni fossero revocate nel contesto del piano d’azione congiunto globale. Tali nuove sanzioni sono entrate in vigore il 5 novembre 2018.

40.      Con lettera del 16 novembre 2018, la resistente procedeva alla risoluzione di tutti i contratti con la ricorrente, con effetto immediato. Essa inviava ad almeno altri quattro clienti con un collegamento con l’Iran e sede in Germania comunicazioni di risoluzione, in pari data e dal contenuto identico. La ricorrente ha avviato un procedimento nei confronti della resistente, lamentando una violazione del regolamento di blocco dell’Unione e, il 28 novembre 2018, il tribunale di primo grado, il Landgericht Hamburg (Tribunale del Land, Amburgo, Germania) emetteva un provvedimento d’urgenza con cui ordinava alla resistente di adempiere i contratti in corso sino alla scadenza del termine ordinario di disdetta.

41.      Con lettera dell’11 dicembre 2018, la resistente ha inviato una nuova dichiarazione di risoluzione. Detta lettera ha, per estratto, il seguente tenore: «(...) con lettera del 16 novembre 2018 abbiamo provveduto alla risoluzione, con effetto immediato, con riguardo a tutte le prestazioni qui di seguito indicate. A titolo meramente precauzionale, comunichiamo con la presente anche la disdetta in via ordinaria con effetto dalla prima data utile».

42.      I termini ordinari di disdetta dei contratti scadevano rispettivamente il 25 gennaio 2019, 10 febbraio 2019, il 13 marzo 2019, il 10 e il 25 settembre 2019, il 30 gennaio 2020, il 22 agosto 2020 e il 7 gennaio 2021. In risposta, la ricorrente ha chiesto al Landgericht Hamburg (Tribunale del Land, Amburgo) di ordinare alla resistente di mantenere attive tutte le linee contrattualmente previste.

43.      Il giudice di primo grado ha condannato la resistente ad adempiere i contratti sino alla scadenza del rispettivo termine ordinario di disdetta. Esso ha statuito che la disdetta ordinaria dei contratti controversi da parte della resistente era valida e, in particolare, non violava l’articolo 5 del regolamento di blocco dell’Unione. Tale giudice ha respinto il ricorso quanto al resto.

44.      La ricorrente ha impugnato la decisione del Landgericht Hamburg (Tribunale del Land, Amburgo) dinanzi al giudice del rinvio, l’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore anseatico del Land, Amburgo, Germania), sostenendo che la disdetta ordinaria comunicata dalla resistente violava l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione e doveva, quindi, essere considerata inefficace, poiché era motivata unicamente dalla volontà della resistente di conformarsi a uno degli atti normativi elencati nell’allegato di tale regolamento. La resistente, basandosi sulla nota di orientamento della Commissione, sostiene che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione non incide sul suo diritto di risolvere il contratto, che non dipende dall’esistenza di un motivo, dal momento che tale articolo le consente di porre fine al suo rapporto commerciale con la ricorrente in qualsiasi momento, senza che i relativi motivi assumano rilevanza.

45.      In tale contesto, il giudice del rinvio ha rilevato, in primo luogo, che la ricorrente non ha dimostrato che la disdetta dei contratti era stata preceduta da provvedimenti amministrativi o giudiziali diretti o indiretti da parte degli Stati Uniti d’America. Un altro giudice d’appello tedesco, l’Oberlandesgericht Köln (Tribunale superiore del Land, Colonia, Germania) ha ritenuto, in una sentenza del 7 febbraio 2020, che in una situazione del genere l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione non sarebbe applicabile. Dal canto suo, il giudice del rinvio ritiene che la mera esistenza di sanzioni secondarie sia sufficiente ai fini dell’accertamento di una violazione dell’articolo 5, primo comma del regolamento di blocco dell’Unione, poiché questo sarebbe l’unico modo per attuare efficacemente l’obbligo ivi sancito.

46.      In secondo luogo, il giudice del rinvio osserva che la disdetta (ordinaria) di un rapporto contrattuale dettata essenzialmente dall’intento di conformarsi alle sanzioni statunitensi contrasterebbe con l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione. Tuttavia, la disdetta ordinaria di un contratto non violerebbe l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione qualora sia motivata da ragioni puramente economiche prive di un nesso concreto con le sanzioni statunitensi. Di conseguenza, il giudice del rinvio dovrebbe decidere se, per garantire l’effetto utile di tale articolo, non sia opportuno ritenere che la resistente debba eccezionalmente indicare i motivi alla base della disdetta o, persino, se del caso, dimostrare che la decisione di porre fine al contratto non è stata adottata in ragione del timore di ripercussioni negative sul mercato statunitense.

47.      In terzo luogo, il giudice del rinvio considera che, in forza dell’articolo 134 del BGB, la disdetta di un contratto che violi l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione è priva di effetti giuridici. Ciò premesso, tale giudice chiede se, tenuto conto del rischio di danno economico per la resistente, che realizza il 50% del suo fatturato sul mercato statunitense, possa essere considerato contrario al principio di proporzionalità delle sanzioni previsto all’articolo 9 del regolamento di blocco dell’Unione esigere che la resistente prosegua il rapporto contrattuale con la ricorrente, in aggiunta all’irrogazione di un’ammenda.

48.      In quarto luogo, il giudice del rinvio sottolinea che, ai sensi del suo preambolo, il regolamento di blocco dell’Unione mira a tutelare gli operatori economici. Tuttavia, tale giudice ritiene che detto obiettivo non sia realizzabile, poiché il rischio di pregiudizio economico sul mercato statunitense derivante dall’applicazione dell’articolo 5, primo comma, di tale regolamento non è sufficientemente compensato dalla previsione del risarcimento del danno di cui all’articolo 6 del regolamento di blocco, nonché dalla possibilità, prevista dall’articolo 5, secondo comma, di tale regolamento, di ottenere un’esenzione straordinaria, poiché il mero rischio di danni economici potrebbe non costituire, di per sé, un motivo sufficiente per la concessione di un’esenzione. In tali circostanze, il giudice del rinvio chiede se una disposizione che vieta a un’impresa di separarsi da un partner commerciale sia compatibile con la libertà di impresa tutelata dall’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e con il principio di proporzionalità sancito all’articolo 52 della stessa.

49.      In tali circostanze, l’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore anseatico del Land, Amburgo) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 5, primo comma, del regolamento [di blocco dell’Unione] trovi applicazione solo nl caso in cui l’operatore economico dell’UE ai sensi dell’articolo 11 del regolamento medesimo sia stato destinatario, direttamente o indirettamente, di provvedimenti amministrativi o giudiziali da parte degli Stati Uniti d’America o se sia sufficiente che, anche in assenza di provvedimenti del genere, la condotta dell’operatore sia diretta ad ottemperare a sanzioni secondarie.

2)      Ove la Corte risponda alla prima questione nel senso della seconda alternativa:

se l’articolo 5, primo comma, del regolamento [di blocco dell’Unione] osti a un’interpretazione del diritto nazionale nel senso che la parte che proceda alla risoluzione possa parimenti risolvere qualsiasi rapporto obbligatorio di durata indeterminata nei confronti della controparte contrattuale inserita dall’[OFAC] statunitense nell’elenco [SDN] – procedendo quindi ad una risoluzione volta ad ottemperare al rispetto delle sanzioni disposte dagli USA – senza che sia a tal fine necessario indicare un motivo di risoluzione e, pertanto, senza dover dichiarare e provare in sede giudiziale civile che il motivo di risoluzione non risiederebbe, in ogni caso, nell’ottemperanza alle sanzioni USA.

3)      Ove la Corte risponda in senso affermativo alla seconda questione:

se una disdetta ordinaria in violazione dell’articolo 5, primo comma, del regolamento [di blocco dell’Unione], debba necessariamente essere considerata come inefficace o se la ratio del regolamento sia soddisfatta mediante l’imposizione di sanzioni differenti quali, ad esempio, l’imposizione di un’ammenda.

4)      Ove la Corte risponda alla terza questione nel senso della prima alternativa:

se, alla luce degli articoli 16 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, da un lato, e della possibilità di concedere deroghe straordinarie a norma dell’articolo 5, secondo comma, del regolamento [di blocco dell’Unione], dall’altro, ciò valga anche quando il mantenimento del rapporto negoziale con la controparte contrattuale inserita nell’elenco implichi per l’operatore economico dell’UE il rischio di considerevoli perdite economiche sul mercato statunitense (nella specie: 50% del fatturato di gruppo)».

IV.    Analisi

50.      A titolo di osservazione preliminare, vorrei sottolineare che, sebbene talune parti abbiano fatto riferimento alla nota di orientamento Domande e risposte: adozione dell’aggiornamento del regolamento di blocco, della Commissione, del 7 agosto 2018, tale documento non ha valore normativo vincolante (26), poiché non è stato adottato ai sensi di una procedura prevista dai Trattati, né può avere valore interpretativo vincolante, poiché i Trattati hanno attribuito in via esclusiva alla Corte la competenza a interpretare gli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione, quale il regolamento di blocco dell’Unione (27). In tali circostanze, ritengo che tale documento non possa essere preso in considerazione nell’ambito dell’esame delle questioni proposte.

51.      Analogamente, poiché il regolamento di esecuzione 2018/1101 è una normativa di rango inferiore, le sue disposizioni non possono essere prese in considerazione ai fini dell’interpretazione delle disposizioni del regolamento di blocco dell’Unione (28).

52.      Di conseguenza, le questioni proposte dal giudice del rinvio devono essere esaminate esclusivamente alla luce del regolamento di blocco dell’Unione e del diritto primario.

A.      Sulla prima questione

53.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione debba essere interpretato nel senso che si applica soltanto nel caso in cui un’autorità amministrativa o giudiziaria di un paese i cui atti legislativi e regolamentari sono elencati nell’allegato di tale regolamento abbia impartito istruzioni, direttamente o indirettamente, a una persona di cui all’articolo 11 del medesimo regolamento, o se sia sufficiente, ai fini dell’applicazione dell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione, che l’operatore economico situato nel territorio dell’Unione si conformi spontaneamente a detta legislazione straniera con effetti extraterritoriali per evitarne l’eventuale applicazione.

54.      A tal riguardo, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione «[n]essuna delle persone di cui all’articolo 11 deve rispettare, direttamente o attraverso una consociata o altro intermediario, attivamente o per omissione deliberata, richieste o divieti, comprese le richieste di tribunali stranieri, basate o derivanti, direttamente o indirettamente, dagli atti normativi indicati nell’allegato o da azioni su di essi basate o da essi derivanti».

55.      Come risulta da tale formulazione, l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione menziona le «richieste di tribunali stranieri» semplicemente come un esempio delle molteplici «richieste e divieti» previsti dagli atti normativi elencati nel suo allegato e ai quali le persone di cui all’articolo 11 di tale regolamento sono tenute a non conformarsi (29). Ciò implica, quanto meno, che l’articolo 5 del regolamento di blocco dell’Unione non si applica soltanto quando un’autorità giudiziaria abbia, di fatto, emesso una richiesta o impartito istruzioni. Si potrebbe osservare altresì che tale articolo vieta il rispetto di qualsiasi «richiesta» prevista in una delle leggi specificate nell’allegato del regolamento di blocco dell’Unione, poiché il termine «richiesta» fa riferimento, in termini giuridici, a un obbligo imposto da qualsiasi atto giuridico, indipendentemente dal fatto che si tratti di un trattato, di una convenzione, di una legge, di un regolamento o di una decisione giudiziaria. Alla luce di questi due elementi, è chiaro che la formulazione dell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione conferma l’interpretazione secondo cui tale disposizione si applica anche in assenza di istruzioni o di richieste provenienti da un’autorità amministrativa o giudiziaria (30).

56.      Secondo una giurisprudenza costante della Corte, ai fini dell’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione si deve tener conto anche del suo contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (31).

57.      Per quanto riguarda il contesto in cui si inserisce l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione, si può osservare che, ogniqualvolta tale regolamento preveda una disposizione che richiede l’esistenza di una decisione amministrativa o giudiziaria ai fini della sua applicazione, esso si riferisce espressamente a tale tipo di atti, e non a nozioni più generali quali quelle di «richiesta» o «divieto». Pertanto, poiché, sulla base di un confronto, l’articolo 5 del regolamento è formulato in modo ampio, ritengo che tale disposizione non si applichi soltanto quando un’autorità amministrativa o giudiziaria di un paese i cui atti normativi e regolamentari sono elencati nell’allegato del regolamento di blocco dell’Unione abbia impartito istruzioni, direttamente o indirettamente, a una persona di cui all’articolo 11 di tale regolamento. Inoltre, poiché l’articolo 4 del regolamento di blocco dell’Unione esclude la possibilità che istruzioni impartite da un’autorità amministrativa o giudiziaria situata al di fuori dell’Unione possano produrre effetti al suo interno, l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione sarebbe privo di portata autonoma se tale disposizione richiedesse, per far scattare l’applicazione di tale disposizione, che siano state impartite istruzioni alle persone di cui all’articolo 11 di tale regolamento (32).

58.      L’obiettivo perseguito dal regolamento di blocco dell’Unione tende altresì a confermare l’ampio campo di applicazione che deve essere riconosciuto al suo articolo 5.

59.      In primo luogo, dai considerando dal quarto al sesto del regolamento di blocco dell’Unione risulta che esso è stato adottato in reazione agli effetti prodotti dagli atti normativi specificati nel suo allegato. In particolare, dal quinto considerando di tale regolamento si può dedurre che tali atti, e non solo le azioni intraprese sulla base di essi, sono di per sé idonei ad incidere sull’ordinamento giuridico internazionale costituito, la cui difesa rappresenta un compito che l’Unione si è attribuita, e ad avere effetti negativi sugli interessi dell’Unione e delle persone fisiche e giuridiche che esercitano i loro diritti ai sensi del diritto dell’Unione.

60.      In secondo luogo, dal settimo considerando discende che il regolamento di blocco dell’Unione mira a proteggere le persone fisiche e giuridiche i cui interessi sono lesi dai suddetti atti normativi e che tale protezione dovrebbe essere attuata, ai sensi del sesto considerando, «eliminando, neutralizzando, bloccando o altrimenti contrastando gli effetti della normativa estera interessata» (33). Da quest’ultimo considerando risulta quindi che l’obiettivo è quello di neutralizzare gli effetti della normativa straniera stessa e non, semplicemente, gli effetti delle decisioni attuative degli obblighi previsti da tale normativa.

61.      In terzo luogo, l’articolo 1 del regolamento di blocco dell’Unione, che riassume gli obiettivi perseguiti da tale regolamento, indica fra tali obiettivi anche quello di fornire protezione agli operatori europei e di neutralizzare gli effetti degli atti normativi indicati nell’allegato, e non soltanto della loro applicazione quando un’autorità amministrativa o giudiziaria abbia impartito istruzioni, come sostenuto dalla resistente. Siffatti obiettivi non potrebbero essere conseguiti se detto regolamento e, in particolare, il suo articolo 5, primo comma, fossero interpretati nel senso che riguardano soltanto la situazione in cui un giudice o un’autorità amministrativa abbiano impartito istruzioni a un operatore economico (34). Infatti, poiché gli operatori economici sono generalmente considerati avversi al rischio, quelli diligenti tenderanno a conformarsi spontaneamente a qualsiasi vincolo giuridico derivante dal loro ambiente giuridico (35). In caso contrario, sussisterebbe un rischio reale che, anche in assenza di un ordine formale di cessazione di determinate attività, gli enti possano invocare la potenziale applicazione della normativa statunitense in materia di sanzioni per giustificare l’inadempimento o il recesso dai propri obblighi contrattuali. In tali circostanze, i soggetti in tal modo lesi sarebbero lasciati privi di rimedi ai sensi del regolamento di blocco dell’Unione, per il solo fatto che essi non potrebbero basarsi, a tal fine, su un provvedimento formale, anche nel caso in cui le preoccupazioni concernenti l’eventuale applicazione delle sanzioni siano fittizie.

62.      In ogni caso, poiché l’articolo 4 del regolamento di blocco dell’Unione si applica, chiaramente, per impedire l’esecuzione di qualsiasi decisione emessa da un organo giudiziario o amministrativo sulla base dell’esistenza d una normativa in materia di sanzioni, anche in mancanza di istruzioni in tal senso da parte di un organo straniero, l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione sarebbe privato di qualsiasi portata autonoma se la sua applicazione dipendesse dalla condizione che le persone di cui all’articolo 11 di detto regolamento abbiano ricevuto siffatte istruzioni.

63.      Inoltre, gli atti normativi elencati nell’allegato non obbligano le autorità amministrative o giudiziarie preposte all’applicazione di tali atti ad ordinare alle imprese passibili di sanzioni di trasmettere dichiarazioni di risoluzione ai loro partner commerciali, al fine di conformarsi a tali atti normativi, prima di poter infliggere loro una sanzione. Pertanto, tali atti normativi generano un rischio giuridico per le persone di cui all’articolo 11 del regolamento di blocco dell’Unione a partire dal momento in cui diventano pienamente applicabili. È quindi a partire da tale momento che gli operatori sono tenuti a decidere se tentare di evitare tale rischio sganciandosi dai mercati interessati (o evitandoli – strategia dell’elusione) o se tentare di ridurre detto rischio rispettando tale normativa con mezzi adeguati, il che, in pratica, esigerà che dette società, quantomeno, vigilino sulle loro operazioni (strategie di riduzione) (36).

64.      In pratica, numerose grandi società hanno già istituito dipartimenti di compliance per garantire che le loro azioni siano conformi a tali vincoli (37). Di conseguenza, tali società, quando operano nei paesi potenzialmente interessati dalla normativa indicata nell’allegato del regolamento di blocco dell’Unione, tenderanno a conformarvisi anche in assenza di qualsiasi istruzione in tal senso. Così, per neutralizzare gli effetti di una siffatta normativa e al fine di proteggere le società europee, è necessario che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione si applichi anche quando le autorità amministrative o giudiziarie dello Stato terzo non hanno impartito ordini di cessazione di determinate attività. È vero che, come sottolinea la resistente, l’articolo 1 del regolamento di blocco dell’Unione riassume i suoi obiettivi dichiarando che esso «fornisce protezione e neutralizza gli effetti dell’applicazione extraterritoriale degli atti normativi indicati nell’allegato». Tuttavia, non ritengo che il termine «applicazione» utilizzato all’articolo 1 debba essere inteso, nel contesto del regolamento di blocco dell’Unione, nel senso che tale regolamento richiede, ai fini della sua applicazione, una concretizzazione degli obblighi previsti dagli atti normativi elencati nell’allegato sotto forma di provvedimenti giudiziari o amministrativi di uno Stato straniero. Infatti, tale disposizione precisa altresì che la protezione che tale regolamento mira a predisporre si applica anche alle azioni basate o derivanti da tali atti normativi, il che implica, a fortiori, che tale protezione debba operare, in primo luogo, rispetto alle disposizioni di tali atti normativi. Pertanto, ritengo piuttosto che tale termine sia utilizzato in riferimento a ciò che, per il legislatore dell’Unione, sembra essere un problema, ossia, come risulta dal terzo e dal quarto considerando del regolamento, non il principio alla base dei divieti che tali atti sanciscono, bensì il loro ambito di applicazione extraterritoriale.

65.      Alla luce di quanto precede, propongo di rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione deve essere interpretato nel senso che non trova applicazione soltanto nel caso in cui un’autorità amministrativa o giudiziaria di un paese i cui atti normativi e regolamentari sono elencati nell’allegato di tale regolamento abbia impartito, direttamente o indirettamente, determinate istruzioni a una persona di cui all’articolo 11 di quest’ultimo. Il divieto contenuto in tale disposizione si applica, di conseguenza, anche qualora un operatore si conformi a siffatta normativa senza esservi stato previamente sollecitato da un organo amministrativo o giudiziario straniero.

B.      Sulla seconda questione

66.      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione debba essere interpretato nel senso che osta a un’interpretazione del diritto nazionale ai sensi della quale una persona di cui all’articolo 11 di tale regolamento può porre fine a un rapporto contrattuale in essere con una controparte inserita nell’elenco SDN tenuto dall’OFAC, senza dover motivare tale decisione.

67.      Se è pacifico che il diritto tedesco dei contratti (al pari dei sistemi giuridici di numerosi Stati membri) consente generalmente agli operatori commerciali di porre fine ai rapporti contrattuali con qualsiasi altro operatore economico senza dover motivare tale decisione, l’argomento qui sostenuto è che, salvo che la decisione di porre fine al rapporto contrattuale con la Bank Melli Iran possa essere giustificata dalla Telekom Deutschland, il giudice del rinvio non può accertare se tale società abbia risolto tali rapporti per un motivo che non costituisce una violazione del regolamento di blocco dell’Unione.

68.      Prima di esaminare la questione se l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione debba essere interpretato nel senso che impone in capo alle persone fisiche o giuridiche di cui all’articolo 11 dello stesso l’obbligo di motivare la decisione di risolvere un contratto con una parte inserita nell’elenco SDN o di giustificare altrimenti tale decisione, occorre anzitutto analizzare la questione se, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, la controparte contrattuale di tale persona possa invocare l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione (38).

1.      Se il regolamento di blocco dellUnione si applichi a una situazione come quella di cui al procedimento principale

69.      Occorre stabilire se l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione debba essere inteso nel senso che attribuisce a una persona il diritto di far valere tale disposizione per impedire che un operatore europeo violi detta disposizione, con la conseguenza che la Bank Melli Iran potrebbe fondarsi su tale articolo, nel procedimento principale, per contestare la risoluzione dei contratti in questione.

70.      Occorre anzitutto rilevare che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione deve essere interpretato in modo restrittivo, poiché incide gravemente sulla libertà d’impresa. Ad esempio, se tale articolo potesse essere applicato su iniziativa di un ente privato quale la Bank Melli Iran, esso produrrebbe proprio l’effetto di obbligare un’altra impresa europea, quale la Telekom Deutschland, ad intrattenere con la prima rapporti commerciali. Si tratterebbe, in tal caso, di una notevole ingerenza nelle consuete libertà commerciali.

71.      In secondo luogo, nel regolamento di blocco dell’Unione non si rinviene alcun riferimento espresso a diritti che tale regolamento attribuirebbe a persone diverse da quelle di cui al suo articolo 11. In particolare, si può osservare che, per quanto riguarda l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione, tale disposizione è diretta a vietare una condotta generale richiesta alle imprese di cui all’articolo 11 di tale regolamento, vale a dire conformarsi a uno degli atti normativi elencati nel suo allegato. Tenuto conto del carattere generale di tale divieto e della scelta del legislatore dell’Unione di adottare un regolamento anziché una direttiva, se tale disposizione mirasse ad attribuire diritti individuali, sarebbe legittimo attendersi che essa disciplini le circostanze specifiche nelle quali una parte interessata da uno degli atti legislativi indicati nell’allegato possa fondarsi sul divieto previsto all’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione per difendere i propri interessi privati. Tuttavia, non è questo il caso.

72.      In terzo luogo, l’articolo 9 del regolamento di blocco dell’Unione (che è l’unica disposizione dedicata alle conseguenze della violazione del regolamento di blocco dell’Unione) impone agli Stati membri l’obbligo di prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive in caso di violazione di tale strumento. Trattasi di una terminologia, in particolare l’impiego dell’aggettivo «dissuasive», abitualmente riferita all’applicazione da parte dell’autorità pubblica, e non di soggetti privati (39).

73.      In quarto luogo, l’articolo 5, secondo comma, del regolamento di blocco dell’Unione, che conferisce alla Commissione il potere di autorizzare persone a conformarsi in tutto o in parte alle richieste o ai divieti previsti in tale normativa o da essa risultanti, non prevede che, per decidere in merito alla concessione di una siffatta esenzione, detta istituzione debba tener conto degli interessi di terzi, come ci si potrebbe attendere nel caso in cui il regolamento di blocco dell’Unione riconoscesse i diritti delle persone alle quali potrebbero essere rivolti gli atti legislativi elencati nell’allegato del regolamento di blocco dell’Unione (40).

74.      Oltre a tali argomenti tratti dal tenore letterale e dal contesto dell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione, il più forte argomento a favore della sua interpretazione nel senso che sancisce una mera regola di politica economica e non conferisce diritti alle parti contraenti risiede, probabilmente, negli obiettivi di tale regolamento (41). Infatti, dopotutto, tali obiettivi non consistono nella protezione delle società di paesi terzi direttamente colpite dalle misure statunitensi, bensì, come precisato dall’articolo 1 di tale regolamento, nella neutralizzazione degli effetti di determinate normative e nella protezione delle società europee, nonché, indirettamente, della sovranità nazionale degli Stati membri da tale normativa contrastante con il diritto internazionale (42). Se la Bank Melli Iran potesse ottenere l’applicazione dell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione con un’azione privata del tipo di quella di cui trattasi, ciò potrebbe essere considerato contrario agli obiettivi di tale regolamento, che consistono nel proteggere le società europee (e non le società colpite da sanzioni primarie) poiché le collocherebbe in una posizione poco invidiabile ed estremamente complessa (43).

75.      Pur riconoscendo il peso di tali considerazioni, mi sento tuttavia obbligato a concludere che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione deve essere interpretato nel senso che conferisce siffatti diritti a terzi quali la Bank Melli Iran.

76.      Il punto di partenza qui è la formulazione imperativa delle prime parole dello stesso articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione [«Nessuna delle persone di cui all’articolo 11 deve rispettare (...) richieste o divieti (...) basat[i] (...) [su]gli atti normativi indicati nell’allegato (...)»]. Se questa formulazione severa e intransigente non fosse sufficiente, il legislatore dell’Unione ha dato fondo al suo arsenale di linguaggio giuridico al fine di garantire piena forza ed effetto a tale divieto («direttamente o attraverso una consociata o altro intermediario, attivamente o per omissione deliberata (...) basate o derivanti, direttamente o indirettamente, dagli atti normativi indicati nell’allegato o da azioni su di essi basate o da essi derivanti»).

77.      Tali obiettivi politici delle disposizioni in parola sono ribaditi nei considerando. Tra questi figura la convinzione (esposta al terzo, quarto e quinto considerando) che tale tipo di legislazione extraterritoriale violi il diritto internazionale e pregiudichi il funzionamento efficace del mercato interno. Il sesto considerando precisa che, in tali circostanze eccezionali, è necessario proteggere «l’ordinamento giuridico costituito, gli interessi [dell’Unione] e [delle] persone» che esercitano i diritti previsti dal Trattato «eliminando, neutralizzando, bloccando o altrimenti contrastando gli effetti della normativa estera interessata».

78.      Esso impone quindi alla Corte di dare attuazione alla scelta politica che si riflette nei considerando e nelle disposizioni sostanziali del regolamento di blocco dell’Unione, che il legislatore dell’Unione ha formulato nei termini più intransigenti e severi (44). Orbene, se non fosse riconosciuto un diritto di azione a favore della Bank Melli Iran, ne conseguirebbe che l’attuazione della scelta politica espressa all’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione sarebbe esclusivamente rimessa alla buona volontà degli Stati membri (45) e, indirettamente, della Commissione.

79.      Ciò significherebbe, a sua volta, che in alcuni Stati membri restii a far rispettare il regolamento di blocco, ad esempio, un grande operatore economico quale la Telekom Deutschland potrebbe decidere di conformarsi attivamente al regime sanzionatorio statunitense risolvendo il contratto con la Bank Melli Iran.

80.      Forti di tale esempio, altri operatori farebbero certamente altrettanto, e l’intera politica pubblica sottesa al regolamento di blocco dell’Unione potrebbe essere rapidamente pregiudicata da una situazione in cui numerosi enti europei decidano tacitamente di rispettare (anche indirettamente) tali sanzioni. In tali circostanze, la minaccia di sanzioni «dissuasive» nel diritto degli Stati membri, prevista dall’articolo 9 di tale regolamento, sarebbe probabilmente una minaccia vuota, e l’Unione e i suoi Stati membri si ridurrebbero, come il re Lear di Shakespeare, a dichiarare che faranno «cose tali... quali saranno non so ancora ma saranno il terrore della terra».

81.      È vero che uno degli effetti collaterali di siffatta interpretazione è che un ente straniero, quale la Bank Melli Iran, otterrà il beneficio di tale diritto d’azione a danno di un ente europeo, quale la Telekom Deutschland, che sarebbe costretta a restare contrattualmente legata a un cliente che non desidera più. Tuttavia, per quanto ciò possa sembrare insoddisfacente ad alcuni, qualora la Corte intenda sostenere gli obiettivi di politica pubblica che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione mira ad attuare, non vedo alternative.

82.      È forse possibile provare ciò in un altro modo. Supponiamo, ad esempio, che una società statunitense abbia ottenuto una decisione giudiziaria negli Stati Uniti contro la Bank Melli Iran e che tale decisione sia basata, «direttamente o indirettamente» sul regime sanzionatorio statunitense. Supponiamo, inoltre, che la società statunitense abbia tentato di far eseguire tale decisione dinanzi ai giudici tedeschi. Mi chiedo se sia possibile sostenere che la Bank Melli Iran non ha il diritto di rivolgersi a tali giudici per impedire detto procedimento esecutivo ai sensi dell’articolo 4 del regolamento di blocco dell’Unione, anche se (come nel caso di specie) tale disposizione non si pronuncia sul diritto di enti non europei di presentare una siffatta domanda.

83.      Ritengo in tale domanda sia insita la risposta e che lo stesso valga per quanto riguarda i diritti dei terzi alla luce dell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione.

2.      Larticolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dellUnione può essere interpretato nel senso che impone alle persone di cui allarticolo 11 di tale regolamento di giustificare ab initio la cessazione di un rapporto contrattuale con una persona sottoposta a sanzioni primarie?

84.      Anzitutto, occorre rilevare che tale questione deve essere considerata nel contesto del diritto tedesco, che consente alle persone che si trovano nella situazione delle parti del procedimento principale di esercitare, in forza del principio della libertà contrattuale, il diritto ordinario di risolvere qualsiasi contratto a tempo indeterminato, senza esigere, a tal fine, l’esistenza né l’indicazione di un motivo. Occorre dunque interpretare la seconda questione come vertente, in sostanza, sulla circostanza se l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione obblighi gli Stati membri a riconoscere un’eccezione a tale libertà contrattuale qualora il contratto sia stato concluso con una persona sottoposta a sanzioni primarie, per effetto della quale, in tali particolari circostanze, è necessario motivare la fine del rapporto contrattuale, allo scopo di accertare se essa sia stata motivata dall’esistenza degli atti normativi elencati nell’allegato del regolamento e, di conseguenza, al fine di attribuire a tale disposizione un effetto utile.

85.      È vero che nel testo specifico dell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione in particolare, o in tale regolamento in generale, non vi è alcun elemento che consenta di ritenere che esso imponga un obbligo di indicare i motivi che giustificano la fine di un rapporto commerciale con una persona sottoposta a sanzioni primarie. Ritengo tuttavia che un siffatto obbligo debba necessariamente essere dedotto dagli obiettivi perseguiti da tale regolamento, sostanzialmente per tutte le ragioni che ho appena esposto riguardo all’esistenza di un diritto di azione ai fini dell’applicazione dell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione. Se così non fosse, un’entità potrebbe tacitamente decidere di applicare la legislazione statunitense in materia di sanzioni e, mantenendo un oscuro silenzio, che rende i suoi motivi imperscrutabili e i suoi metodi (concretamente) insuscettibili di controllo (46), pregiudicherebbe e frustrerebbe i principali obiettivi politici enunciati nei considerando e nell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione.

86.      Trattasi, essenzialmente, di ciò che risulta essersi verificato nel caso di specie. Il fatto che la Telekom Deutschland abbia tentato di risolvere il suo contratto con la Bank Melli Iran (e, come rilevato dal giudice del rinvio, abbia inviato una lettera dal tenore più o meno equivalente ad altri quattro clienti, ciascuno dei quali caratterizzato da notevoli legami con l’Iran) nelle due settimane successive al ripristino delle sanzioni statunitensi, può essere considerato un segno evidente di ciò, sebbene spetti al giudice del rinvio, in ultima istanza, formulare le opportune deduzioni al riguardo. Certamente, in assenza di una giustificazione, ciò suggerisce che la Telekom Deutschland abbia deciso di conformarsi, di fatto, a tali sanzioni, anziché rischiare di essere esposta all’applicazione delle sanzioni statunitensi (e di incorrere nel rischio, associato, di pesanti ammende, dell’interruzione dell’attività e di un grave danno alla reputazione), indipendentemente dal fatto che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione preveda il contrario.

87.      Occorre indubbiamente riconoscere che vi sono molte società e individui che nutrirebbero remore e riserve di ordine etico rispetto all’intrattenere rapporti commerciali con paesi quali la Repubblica islamica dell’Iran (e, per estensione, con grandi entità iraniane, quali la Bank Melli Iran, che sono effettivamente controllate dal governo iraniano): le sue ambizioni nucleari, i suoi sforzi volti a destabilizzare altri governi della regione, la sua volontà di condurre guerre per procura, sovente mediante il finanziamento e il sostegno a tal fine di gruppi terroristici, il suo fondamentalismo religioso e un’intolleranza generale nei confronti del dissenso, il trattamento discriminatorio di donne e minoranze nonché l’uso indiscriminato della pena di morte, spesso a seguito di processi sommari e, almeno per i nostri criteri, profondamente iniqui, sono tutte caratteristiche di tale Stato che molti, comprensibilmente, ritengono deprecabili e altamente contestabili. Il diritto di un’impresa di decidere, sulla base della propria concezione etica dei valori aziendali, che non intratterrà rapporti d’affari con un regime di questo genere costituisce, certamente, un elemento essenziale della libertà di coscienza tutelata dall’articolo 10, paragrafo 1, della Carta e della libertà d’impresa ai sensi dell’articolo 16 della Carta.

88.      Tuttavia, al fine di determinare se i motivi addotti, a tale riguardo, a fondamento della decisione di risolvere un contratto siano veridici, la persona di cui all’articolo 11 del regolamento di blocco dell’Unione, nella fattispecie la Telekom Deutschland, dovrebbe, a mio avviso, dimostrare di essere attivamente impegnata in una politica di responsabilità sociale d’impresa coerente e sistematica che le imponga, in particolare, di rifiutarsi di intrattenere rapporti con qualsiasi società legata al regime iraniano (47).

89.      In ogni caso, dai termini intransigenti dell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione risulta che, in linea di principio, un’impresa che intenda risolvere un contratto altrimenti valido con un’entità iraniana sottoposta a sanzioni statunitensi deve adeguatamente dimostrare dinanzi al giudice nazionale, quantomeno, di non averlo fatto per il desiderio di conformarsi a dette sanzioni.

90.      A tale riguardo, come ho già indicato, l’obbligo della resistente non consiste semplicemente nel motivare la sua decisione, ma anche nel giustificarla. Infatti, per le ragioni che ho menzionato, l’effetto utile dell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione sarebbe pregiudicato se la persona interessata potesse nascondersi dietro a qualsiasi motivo vagamente credibile (48). In particolare, a mio avviso, una persona di cui all’articolo 11 di tale regolamento non dovrebbe poter invocare una clausola di risoluzione per cause di forza maggiore al fine di giustificare la fine del rapporto contrattuale, senza provare, quantomeno, che l’evento costitutivo di un caso di forza maggiore è estraneo alle normative sanzionatorie statunitensi elencate nell’allegato di detto regolamento (49). Qualsiasi altra conclusione pregiudicherebbe la capacità di un soggetto leso dalla risoluzione del contratto di avvalersi dei diritti conferiti dal regolamento di blocco dell’Unione.

91.      Nell’affermare ciò, non ignoro il fatto che, in primo luogo, per alcuni tipi di contratti, i contatti personali tra le parti contraenti (intuitu personae) possono essere importanti, ma ciò non può escludere, di per sé, l’esigenza di giustificare la risoluzione. Di converso, la specificità di tali contratti e il rapporto che essi instaurano tra le parti possono appunto costituire un motivo legittimo per giustificare, in caso di una modifica delle circostanze non relazionata alle sanzioni principali, la risoluzione di detti contratti. Nel caso di specie, sarebbe alquanto irreale supporre che i contratti di cui trattasi tra le parti debbano essere considerati in tal modo: si trattava, di converso, di un contratto impersonale negoziato tra due entità commerciali che prevedeva la fornitura di servizi di pubblica utilità essenziali da parte di un grande ente di telecomunicazioni che occupava, a tutti gli scopi pratici, una posizione dominante sul mercato pertinente della fornitura di tali servizi.

92.      Tuttavia, tale obbligo di giustificare la risoluzione di un contratto non è distinto dall’obbligo, imposto dall’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione alle persone di cui all’articolo 11 di detto regolamento, di non conformarsi alla normativa sulle sanzioni elencata nel suo allegato. Esso verte, piuttosto, sull’onere della prova e, di conseguenza, tale giustificazione non deve necessariamente essere fornita al momento della risoluzione, ma potrebbe, ad esempio, essere parimenti addotta a titolo difensivo a seguito dell’avvio di un procedimento giudiziario diretto all’applicazione dell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione.

93.      È vero che, secondo la giurisprudenza della Corte, in assenza di armonizzazione, gli Stati membri sono liberi di definire le norme procedurali che disciplinano l’applicazione del diritto dell’Unione. Tuttavia, non ritengo che il principio dell’autonomia procedurale possa essere applicato allorché, come nel caso di specie, la necessità di garantire un effetto utile impone una certa ripartizione dell’onere della prova (50). Infatti, anche ammettendo che l’onere della prova rientri nel diritto processuale (51) e non, come nel caso di taluni Stati membri, nel diritto sostanziale, l’esigenza di garantire l’effettività del diritto dell’Unione impedirebbe di trasferire tale onere in modo tale da rendere difficile l’applicazione del diritto dell’Unione a una controversia.

94.      Nel diritto dell’Unione il principio prevalente è che l’onere della prova grava su colui che propone la domanda (52), ma è stato altresì riconosciuto che, in talune circostanze particolari, potrebbe rivelarsi necessaria un’inversione dell’onere della prova (53). Questo è l’approccio adottato, ad esempio, dalle direttive antidiscriminazione dell’Unione, settore in cui, notoriamente, può essere difficile fornire la prova di un comportamento discriminatorio (54).

95.      Per quanto riguarda l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione, i terzi avranno evidentemente maggiori difficoltà nel produrre la prova che la decisione di non instaurare o di non proseguire un rapporto commerciale è conseguenza della volontà di una persona di cui all’articolo 11 di tale regolamento di rispettare il diritto statunitense. Al di là dell’ipotesi poco probabile che una persona contemplata in quest’ultimo articolo possa, ad esempio, ammettere pubblicamente la sua volontà di rispettare la normativa elencata nell’allegato di tale regolamento, non vedo quali elementi di prova potrebbero essere forniti dai ricorrenti. Potrebbe trattarsi, forse, di una concomitanza di decisioni che pongono fine o rifiutano di instaurare rapporti commerciali con soggetti sottoposti a sanzioni primarie. Tuttavia, in pratica, il segreto commerciale renderebbe estremamente difficile, per una società, venire a conoscenza delle reali decisioni adottate da un prestatore per quanto concerne altre società (55).

96.      In tali circostanze, ritengo che – qualora il ricorrente abbia semplicemente fornito un principio di prova del fatto che, da un lato, la persona che rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 11 del regolamento di blocco dell’Unione con la quale desidera instaurare o proseguire un rapporto commerciale possa nutrire preoccupazioni a causa di una delle normative menzionate nell’allegato di tale regolamento e, dall’altro, che esso soddisfaceva le condizioni previste per diventare o rimanere cliente di tale impresa (56) – l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione produce l’effetto di imporre alla persona di cui all’articolo 11 di tale regolamento di giustificare la sua decisione commerciale di porre fine al contratto in questione o di rifiutare il ricorrente come cliente (57).

97.      Riconosco che tale inversione dell’onere della prova può apparire, ad alcuni, contraria alla libertà contrattuale. Tuttavia, come rilevato dalla Corte, l’esercizio delle libertà previste dalla Carta è garantito soltanto nei limiti della responsabilità di ciascun soggetto nazionale per le proprie azioni (58). Del resto, si può osservare che la Corte ha già dichiarato, almeno nell’ambito del diritto della concorrenza, che, a determinate condizioni, una società può essere obbligata a intrattenere rapporti commerciali con terzi (59). In tali particolari circostanze, le ragioni imperative di interesse pubblico, la preservazione del diritto internazionale e l’avversione generale dell’Unione a siffatta normativa extraterritoriale invasiva, tutti elementi che, come si è visto, si riflettono nei considerando e nelle disposizioni di cui agli articoli 4 e 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione, non esigono niente di meno (60).

98.      Pertanto, per quanto riguarda il procedimento dinanzi ai giudici nazionali, dato che la Bank Melli Iran e la Telekom Deutschland intrattenevano già rapporti commerciali e poiché pare che nessuna di esse abbia modificato la sua attività d’impresa (circostanza che, tuttavia, spetta al giudice del rinvio verificare), ritengo che spetti alla Telekom Deutschland dimostrare l’esistenza di un motivo oggettivo, diverso dal fatto che la Bank Melli Iran è stata oggetto di sanzioni primarie, per risolvere i contratti di cui trattasi, e che spetti al giudice del rinvio verificare la veridicità di tali motivi. Dalla formulazione dell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione risulta che ciò che conta è l’intenzione dell’operatore economico di conformarsi a dette sanzioni, indipendentemente dalla questione se esso sia effettivamente interessato dalla loro applicazione.

99.      Alla luce di quanto precede, propongo di rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione deve essere interpretato nel senso che osta a un’interpretazione del diritto nazionale ai sensi della quale una persona di cui all’articolo 11 di tale regolamento può porre fine a un rapporto contrattuale in essere con una controparte inserita nell’elenco SDN tenuto dall’OFAC, senza dover giustificare la sua decisione di risolvere tali contratti.

C.      Sulla terza e quarta questione

100. Con la sua terza e quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione debba essere interpretato nel senso che, in caso di inosservanza delle disposizioni di tale articolo, il giudice adito da una parte contrattuale sottoposta a sanzioni primarie è tenuto a ordinare a una persona di cui all’articolo 11 di tale regolamento il mantenimento di tale rapporto contrattuale, nonostante, in primo luogo, l’articolo 5, secondo comma, di tale regolamento debba essere interpretato restrittivamente, in secondo luogo, siffatto provvedimento possa violare l’articolo 16 della Carta e, in terzo luogo, tale persona possa essere severamente sanzionata dalle autorità preposte all’applicazione di una delle normative indicate nell’allegato.

101. A tal riguardo, occorre ricordare che è compito dei giudici nazionali incaricati di applicare, nell’ambito delle loro competenze, le norme del diritto dell’Unione dotate di effetti diretti garantire la piena efficacia di tali norme (61). Poiché, ai sensi dell’articolo 288 TFUE, un regolamento, quale il regolamento di blocco dell’Unione, è direttamente applicabile in tutti gli Stati membri, tale obbligo grava su detti giudici anche in assenza di una disposizione nazionale che lo recepisca.

102. Per quanto concerne l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione, si può osservare che tale disposizione non precisa quali conseguenze discendano dal fatto che una persona di cui all’articolo 11 di detto regolamento decida, in violazione dell’articolo 5, primo comma, dello stesso, di non instaurare o di porre fine a un rapporto commerciale con una persona sottoposta a sanzioni primarie al fine di conformarsi alla normativa che figura nell’allegato di tale strumento.

103. Certamente, l’articolo 9 del regolamento di blocco dell’Unione prevede che spetta agli Stati membri determinare le sanzioni da imporre in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate, purché esse siano efficaci, proporzionate (62) e dissuasive (63). Di conseguenza, qualora la Corte ritenga, come suggerisco, che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione debba essere interpretato nel senso che conferisce diritti alle persone sottoposte a sanzioni primarie, il termine «sanzioni» dovrebbe necessariamente essere inteso in senso ampio, come comprendente sia le sanzioni penali o amministrative, sia le sanzioni civili il cui obiettivo non è necessariamente punitivo, potendo consistere, semplicemente, nel garantire l’effetto utile della disposizione di cui trattasi (64).

104. Ciò non significa, tuttavia, che spetti interamente agli Stati membri decidere in merito alla natura delle sanzioni. Infatti, occorre ricordare che, quando una norma attribuisce agli Stati membri la determinazione delle sanzioni da adottare in caso di violazione di un obbligo derivante dal diritto dell’Unione, tale potere di determinazione è limitato dall’obbligo che incombe agli Stati membri, e in particolare ai giudici nazionali, di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione. Tale obbligo impone ai giudici nazionali di porre rimedio alla situazione risultante dall’illecito commesso e, in particolare, di porre i titolari di diritti nella situazione in cui si sarebbero trovati in assenza di tale illecito.

105. Ne consegue che, in caso di violazione di una disposizione di un regolamento, occorre distinguere, tra le misure che gli Stati devono adottare al fine di sanzionare tale violazione, tra le misure aventi una finalità punitiva, necessarie per garantire il necessario livello di deterrenza, e le misure adottate per porre rimedio alla situazione risultante dall’illecito commesso, la cui adozione è necessaria per garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione (65). Mentre, nel caso delle prime, gli Stati membri dispongono di un margine discrezionale relativamente ampio nel decidere sulle misure da adottare, a patto che tali misure siano, come richiesto, efficaci, proporzionate e dissuasive (66) nei limiti in cui le seconde attuano l’obbligo degli Stati membri di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione, tale margine può essere limitato, se non addirittura inesistente (67).

106. In particolare, in caso di violazione di una disposizione contenuta in un regolamento (68) che conferisce diritti a terzi, dato che un regolamento è direttamente applicabile, anche in assenza di qualsiasi precisazione quanto alle modalità procedurali delle azioni dirette a garantire la tutela dei diritti conferiti a determinate persone da tale disposizione, i giudici nazionali sono comunque tenuti ad assicurare la piena efficacia di tale disposizione (69). Ciò pone necessariamente in capo a tali giudici nazionali l’obbligo di (ri)stabilire lo status quo ante che sarebbe prevalso in assenza dell’illecito commesso.

107. A tal riguardo, desidero aggiungere che, a differenza delle misure volte a punire, detto obbligo di tutelare i diritti delle persone o delle entità interessate e il ripristino dello status quo ante non può condurre, per il fatto che incide sulla sostanza stessa dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione, a un risultato diverso da uno Stato membro all’altro. In altri termini, se è vero che le modalità procedurali per l’applicazione da parte dei giudici nazionali possono variare, il risultato deve essere lo stesso, in linea di principio, in tutta l’Unione. Non è infatti sufficiente proclamare l’esistenza di diritti affinché essi diventino una realtà nella vita quotidiana dei cittadini dell’Unione; è necessario altresì che la loro violazione sia efficacemente sanzionata, soprattutto quando discendono da un regolamento, che si presume essere direttamente applicabile.

108. Di conseguenza, ritengo che, in caso di violazione di una disposizione che prevede una regola di condotta cui è necessario conformarsi in via continuativa (come nel caso di specie) i giudici nazionali siano tenuti a ordinare al trasgressore di porre fine alla violazione, pena una penalità di mora o altre sanzioni adeguate, poiché soltanto in tal modo è possibile porre fine agli effetti persistenti dell’illecito commesso e garantire pienamente il rispetto del diritto dell’Unione.

109. A questo punto, si può osservare che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione vieta alle persone di cui all’articolo 11 di detto regolamento di rispettare la normativa elencata nel suo allegato. Nel caso di specie, la normativa di cui trattasi vieta a qualsiasi società non statunitense di intrattenere rapporti commerciali con una persona sottoposta a sanzioni primarie. Si tratta, quindi, di un divieto generale. La sua inosservanza implica, pertanto, che una persona di cui all’articolo 11 di detto regolamento non può in alcun momento rifiutarsi di mantenere una relazione commerciale per un motivo derivante dall’esistenza della normativa statunitense in materia di sanzioni.

110. In tale contesto, ammettere che qualsiasi violazione di tale disposizione possa essere sanzionata soltanto con il pagamento di un risarcimento forfettario equivarrebbe ad accettare la possibilità che una persona di cui all’articolo 11 del regolamento di blocco dell’Unione possa conformarsi a una delle disposizioni della normativa statunitense sulle sanzioni elencata nel suo allegato, al di fuori del meccanismo previsto all’articolo 5, secondo comma, di detto regolamento, semplicemente risarcendo i titolari di diritti contrattuali. Se infatti così fosse, il divieto enunciato molto chiaramente all’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione sarebbe travisato e gli obiettivi di politica pubblica che ho già menzionato, vale a dire il contrasto e la neutralizzazione degli effetti della normativa statunitense sulle sanzioni, non potrebbero essere raggiunti.

111. Poiché ritengo che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione conferisca diritti alle persone sottoposte a sanzioni primarie, deve logicamente derivarne che qualsiasi decisione, da parte di una persona di cui all’articolo 11 di tale regolamento, di porre fine a un rapporto contrattuale con una persona sottoposta a sanzioni primarie che non possa essere giustificata alla luce di un motivo diverso dal desiderio di conformarsi a uno degli atti normativi elencati in tale regolamento, dovrebbe essere considerata invalida e inefficace, con la conseguenza che i giudici nazionali sono tenuti a considerare che il rapporto contrattuale sia proseguito secondo le condizioni contrattuali in vigore (70). Un obbligo del genere implica quindi che, se del caso, i giudici nazionali debbano ingiungere a qualsiasi persona di cui all’articolo 11 del regolamento di blocco dell’Unione di proseguire il rapporto contrattuale di cui trattasi, pena una penalità di mora o altre sanzioni adeguate.

112. A tal riguardo, è irrilevante la questione se la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale preveda sanzioni amministrative sotto forma di ammende. Dovendosi riconoscere che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione conferisce diritti alle persone sottoposte a sanzioni primarie, l’esistenza di sanzioni amministrative non consente di porre rimedio all’obbligo incombente direttamente ai giudici nazionali, in caso di violazione di tale disposizione, di adottare tutte le misure necessarie per garantire la piena efficacia di tali diritti (71).

113. Tale conclusione non è rimessa in discussione, a mio avviso, dall’articolo 16 della Carta.

114. È vero che la Carta si applica alle sanzioni adottate dagli Stati membri per far rispettare il diritto dell’Unione (72), e non vi è alcun dubbio che l’adozione di una siffatta ingiunzione possa pregiudicare il diritto alla libertà d’impresa della società interessata, quale garantito dall’articolo 16 della Carta in modo assai ampio. Infatti, è pacifico che la libertà d’impresa include la libertà contrattuale (73) e, quindi, necessariamente anche la libertà di non stipulare contratti.

115. Tuttavia, come ho già spiegato, se si ammette, come credo si debba fare, che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione conferisce diritti alle imprese sottoposte a sanzioni primarie, la necessità di garantire la piena efficacia di tali diritti avrà come conseguenza l’imposizione di un obbligo in capo ai giudici nazionali, in caso di violazione di tali diritti, di ordinare a qualsiasi persona di cui all’articolo 11 di tale regolamento di mantenere il rapporto contrattuale in questione.

116. Ne consegue, pertanto, che la violazione della libertà d’impresa garantita dalla Carta non è una conseguenza dell’esercizio, da parte del giudice nazionale interessato, di un potere discrezionale, bensì, piuttosto, del suo obbligo di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione. È dunque solo a livello del diritto dell’Unione che occorre esaminare la questione di un’eventuale violazione ingiustificata dell’articolo 16 della Carta.

117. Prima di esaminare se l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione costituisca una violazione ingiustificata dell’articolo 16 della Carta, si pone la questione di stabilire se la Corte, da un punto di vista procedurale, possa o meno effettuare un siffatto esame. Infatti, il giudice del rinvio non ha formulato la sua questione come vertente sulla validità dell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione (o della decisione di includere la legislazione statunitense di cui trattasi nell’allegato di detto regolamento), bensì, piuttosto, sull’interpretazione di tale articolo, nonché dell’articolo 16 della Carta.

1.      Sulla possibilità per la Corte di esaminare dufficio la compatibilità dellarticolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dellUnione e della decisione di includere la normativa statunitense di cui trattasi nellallegato di tale regolamento

118. Secondo la giurisprudenza della Corte, quando la compatibilità di un atto dell’Unione non è stata espressamente messa in discussione dal giudice del rinvio nelle sue questioni, la Corte non ha l’obbligo di esaminare la validità di tale atto (74), poiché spetta unicamente al giudice nazionale, il quale è investito della controversia e deve assumersi la responsabilità della futura pronuncia giurisdizionale, valutare, alla luce delle peculiarità della causa dinanzi ad esso pendente, sia la necessità di una decisione in via pregiudiziale ai fini della pronuncia della propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che esso propone alla Corte (75). Tuttavia, se la Corte non è tenuta a esaminare d’ufficio la validità di un atto nell’ambito di un rinvio pregiudiziale vertente sull’interpretazione del diritto dell’Unione, si pone l’interrogativo se possa farlo d’ufficio.

119. A tal riguardo, in opposizione a tale soluzione potrebbero essere sostenute due tesi. In primo luogo, secondo la giurisprudenza, nell’ambito di un ricorso di annullamento, la violazione di una norma di rango superiore non costituisce un motivo di ordine pubblico che possa essere rilevato d’ufficio dal giudice dell’Unione (76). In secondo luogo, la giustificazione del procedimento pregiudiziale non consiste nella formulazione di pareri consultivi su questioni generiche o ipotetiche, rispondendo all’esigenza di dirimere concretamente una controversia (77). Tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte, è soltanto quando il diritto nazionale conferisce al giudice la facoltà di applicare d’ufficio una norma di diritto vincolante che tale facoltà diviene un obbligo, per detto giudice, di rilevare d’ufficio la violazione di una norma di diritto dell’Unione (78). Di conseguenza, l’accertamento dell’invalidità di una norma di diritto dell’Unione in mancanza di una censura delle parti potrebbe non incidere necessariamente sulla soluzione effettiva di una controversia, poiché l’esistenza di una siffatta incidenza varia in funzione della natura dei motivi che possono essere rilevati d’ufficio dal giudice nazionale.

120. Tuttavia, in varie sentenze, la Corte ha riconosciuto il suo diritto di esaminare d’ufficio la validità della disposizione oggetto di un rinvio pregiudiziale in due ipotesi particolari, vale a dire, da un lato, quando, nonostante la formulazione della questione, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che i dubbi espressi dal giudice del rinvio sono, di fatto, connessi alla validità dell’atto di cui è stata formalmente chiesta l’interpretazione e, dall’altro, quando la validità di tale atto è stata contestata nell’ambito del procedimento principale (79). Infatti, in queste due situazioni, il fatto di esaminare d’ufficio la validità della disposizione di cui trattasi non appare del tutto in contrasto con la giurisprudenza sopra citata, poiché la questione di validità costituisce già, in un certo qual modo, parte della controversia, potendosi ragionevolmente ritenere che un siffatto esame possa essere utile al giudice del rinvio.

121. Un esame d’ufficio della validità della disposizione di cui è richiesta l’interpretazione esige, tuttavia, il rispetto del diritto di essere sentite di cui godono le istituzioni che hanno adottato tale disposizione, nonché dei diritti procedurali riconosciuti agli Stati membri. Infatti, come la Corte ha ribadito molto recentemente, «una risposta alle questioni complementari [non sollevate dal giudice del rinvio] sarebbe incompatibile con l’obbligo della Corte di dare ai governi degli Stati membri e alle parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, tenuto conto del fatto che, in base alla suddetta disposizione, agli interessati vengono notificate solo le decisioni di rinvio» (80). In particolare, è alquanto evidente che, alla luce degli effetti prodotti da una dichiarazione di invalidità, la decisione degli Stati membri o delle istituzioni interessate di intervenire o meno nel procedimento pregiudiziale può variare a seconda del fatto che la questione sollevata debba essere intesa come riguardante l’interpretazione oppure la validità di un atto.

122. Ne consegue che, sebbene le questioni sollevate riguardino solo formalmente l’interpretazione di una disposizione, la Corte può ciò nonostante esaminare d’ufficio la validità di un atto nell’ambito di un rinvio pregiudiziale se risulta in modo sufficientemente chiaro da tale rinvio, come notificato agli Stati membri nella loro lingua ufficiale oppure nella sintesi del rinvio, che i dubbi del giudice del rinvio vertono unicamente sulla validità dell’atto di cui è stata formalmente chiesta soltanto l’interpretazione, oppure che la validità di tale atto costituisce l’oggetto centrale della controversia principale. In caso contrario, il rispetto delle prerogative degli autori dell’atto di cui trattasi e di quelle degli Stati membri esige che la Corte notifichi loro anticipatamente la sua intenzione di esaminare d’ufficio la validità dell’atto di cui trattasi.

123. Tuttavia, nella causa in esame, dal rinvio pregiudiziale emerge in modo sufficientemente adeguato che i dubbi espressi dal giudice del rinvio che giustificano la quarta questione sono legati all’esistenza di un «divieto generale», risultante dall’adozione del regolamento di blocco dell’Unione e della decisione di inserire l’ITSR nel suo allegato. Il giudice del rinvio ha rilevato, in particolare, quanto segue: «Il divieto di rispettare le sanzioni secondarie, così come inteso da questo Collegio, porrebbe gli operatori economici dell’UE quale la resistente – che il regolamento, in base al suo preambolo, dovrebbe tutelare – dinanzi a un dilemma (...). A parere di questo Collegio, detto rischio non è sufficientemente compensato dalla previsione di risarcimento del danno ex articolo 6 del regolamento [di blocco dell’Unione]. Lo stesso vale per la possibilità prevista nell’articolo 5, secondo comma, del regolamento [di blocco dell’Unione], di concedere deroghe straordinarie (...). In tale contesto, questo Collegio dubita che, in caso di potenziali ingenti perdite economiche sul mercato statunitense, un divieto generale di separarsi da un partner commerciale – peraltro economicamente non significativo – per far fronte a tale rischio sia compatibile con la libertà di impresa tutelata dall’articolo 16 della Carta (...) e con il principio di proporzionalità ivi sancito all’articolo 52». (Il corsivo è mio). Per giunta, dalle osservazioni delle diverse parti del presente procedimento discende che queste ultime hanno inteso i dubbi del giudice del rinvio come vertenti sulla validità del regolamento di blocco dell’Unione.

124. Di conseguenza, ritengo che la validità del regolamento di blocco dell’Unione e della decisione di inserire l’ITSR nel suo allegato alla luce dell’articolo 16 della Carta possa essere esaminata d’ufficio dalla Corte senza che quest’ultima debba notificare agli Stati membri la sua intenzione di procedere a tale esame (81).

2.      Sulla compatibilità dellarticolo 5 del regolamento di blocco dellUnione con larticolo 16 della Carta

125. A tal riguardo, occorre ricordare che, conformemente all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, la violazione di una delle libertà da essa garantite è permessa soltanto qualora sia prevista dalla legge e rispetti il contenuto essenziale di tali diritti e libertà. Inoltre, conformemente al principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni soltanto laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione, oppure all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

126. Per quanto riguarda la prima di tali condizioni, è pacifico che essa è soddisfatta, poiché la violazione della libertà d’impresa discendente dal divieto di rispettare la Carta imposto alle persone di cui all’articolo 11 del regolamento di blocco dell’Unione deve essere considerata prevista dalla legge, risultando dall’articolo 5, primo comma, di tale regolamento.

127. Per quanto riguarda la seconda condizione, concernente il rispetto del contenuto essenziale della libertà d’impresa, di cui la libertà contrattuale costituisce soltanto un aspetto, occorre ricordare che, al pari di ogni libertà menzionata nella Carta, ad eccezione della dignità umana garantita all’articolo 1 della stessa, la cui formulazione ne dichiara espressamente l’inviolabilità, o forse anche dell’insieme delle disposizioni contenute nel titolo 1 (82), la libertà contrattuale non costituisce un diritto assoluto (83), ma può essere soggetta a un’ampia gamma di interventi dei poteri pubblici, purché (84), dal punto di vista istituzionale di tali libertà, tali interventi interessino situazioni specifiche.

128. In particolare, per quanto riguarda la libertà contrattuale, la Corte ha già riconosciuto che il diritto dell’Unione può imporre un obbligo di contrarre in capo a un operatore, in particolare per ragioni attinenti al diritto della concorrenza (85). Sulla base di un ragionamento analogo si può quindi concludere che, se la libertà di non stipulare un contratto costituisce, in termini generali, parte del contenuto essenziale della libertà d’impresa, vi sono anche circostanze in cui tale diritto può essere limitato. Così come la normativa sulla parità di trattamento prevede, ad esempio, che le imprese non siano libere di operare discriminazioni nei loro rapporti contrattuali con il pubblico sulla base di motivi concernenti la razza o il genere, possono esservi anche altre circostanze in cui considerazioni di carattere pubblico prevalgono sulla libertà d’impresa. Si tratta, quindi, di un diritto che può essere limitato, fatto salvo il rispetto delle altre condizioni menzionate all’articolo 52 della Carta.

129. Di conseguenza, resta da esaminare se l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione debba essere considerato una misura proporzionata alla realizzazione di un obiettivo di interesse generale riconosciuto dall’Unione, il che presuppone, ai sensi dell’articolo 52 della Carta, che detta misura sia necessaria e che risponda effettivamente a tale obiettivo. Poiché la giurisprudenza interpreta queste due condizioni in riferimento alle condizioni ordinarie del criterio di proporzionalità, ciò presuppone che tali misure siano idonee a realizzare l’obiettivo da esse perseguito, nel senso che devono quantomeno contribuire alla realizzazione di tale obiettivo e non spingersi oltre quanto opportuno e necessario per raggiungerlo (86).

130. A tal riguardo, occorre anzitutto osservare che, come già indicato, l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione mira a proteggere l’Unione, i suoi Stati membri e le persone fisiche o giuridiche che esercitano libertà fondamentali all’interno dell’Unione contro l’applicazione extraterritoriale degli atti normativi citati nell’allegato e a contrastare gli effetti di tali atti. Come affermato nel sesto considerando del regolamento, tale obiettivo fa parte dell’obiettivo più generale che consiste nel proteggere l’ordinamento giuridico costituito, nonché gli interessi dell’Unione e degli Stati membri dagli effetti extraterritoriali di atti normativi esteri la cui portata è considerata eccessiva e che operano in modo contrario al diritto internazionale. Poiché, in particolare, l’articolo 21, paragrafo 2, lettere a), b), e) e h), TUE assegna all’Unione l’obiettivo di salvaguardare i suoi interessi fondamentali, sostenendo i principi del diritto internazionale, incoraggiando l’abolizione degli ostacoli al commercio internazionale e promuovendo il buon governo mondiale, tali obiettivi dovrebbero essere considerati parte integrante degli obiettivi di interesse generale riconosciuti dall’Unione (87). Sono inoltre obiettivi fondamentali di politica pubblica che servono tutti a proteggere il nucleo nazionale della sovranità degli Stati membri dell’Unione.

131. In secondo luogo l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione sembra idoneo a realizzare tali obiettivi. A tal riguardo, occorre ricordare che, come già precisato, tale articolo si limita a definire le conseguenze derivanti dall’inclusione di una data normativa nel suo allegato. Certamente, il regolamento di blocco dell’Unione non precisa espressamente i criteri in base ai quali la Commissione può decidere di includere una normativa nell’allegato (88). Tuttavia, dagli obiettivi di detto regolamento si può dedurre che il criterio principale consiste nel fatto che la normativa straniera in materia di sanzioni produce un effetto extraterritoriale, quantomeno ai sensi di detto regolamento. Alla luce di tale criterio, una misura che vieti alle società europee di conformarsi agli atti normativi elencati nell’allegato di tale regolamento risulta idonea a realizzare gli obiettivi summenzionati (89).

132. Una siffatta disposizione appare altresì necessaria, poiché non risulta che vi siano mezzi meno restrittivi, ma altrettanto efficaci, per raggiungere gli obiettivi summenzionati (90).

133. Infine, nei limiti in cui la necessità che la misura in questione non produca inconvenienti sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti, talora menzionata nella giurisprudenza della Corte, si può rilevare che la Corte ha già riconosciuto che le misure adottate dall’Unione nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune possono avere «conseguenze negative sui diritti di proprietà e sul libero esercizio delle attività professionali, con danni per soggetti che non hanno alcuna responsabilità riguardo alla situazione che ha condotto all’adozione delle sanzioni» (91).

134. Inoltre, conformemente all’articolo 5, secondo comma, del regolamento di blocco dell’Unione, gli operatori economici possono chiedere alla Commissione l’autorizzazione a derogare al primo comma di tale articolo nella misura in cui una condotta diversa pregiudicherebbe gravemente i loro interessi o quelli dell’Unione. Secondo la giurisprudenza della Corte, l’esistenza di un siffatto meccanismo di esenzione è sufficiente a garantire che il divieto in questione non pregiudichi indebitamente una libertà sostanziale (92). Infatti, in tale circostanza, è assai probabile che una violazione della libertà d’impresa possa discendere da un rifiuto ingiustificato, da parte della Commissione, di concedere siffatta esenzione (93).

135. Di conseguenza, ritengo che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione non sia, in quanto tale, contrario all’articolo 16 della Carta. Ciò non significa, tuttavia, che lo stesso valga necessariamente per la decisione di includere una determinata normativa nell’allegato. Ciò nonostante, è chiaro che la Commissione deve altresì assicurarsi, quando aggiunge all’allegato una normativa adottata da paesi terzi, che tale inclusione serva gli obiettivi del regolamento di blocco dell’Unione, e che le conseguenze di tale inclusione siano giustificate e proporzionate agli effetti prodotti dal regolamento di blocco dell’Unione. Tuttavia, tale questione non è stata sollevata né dal giudice del rinvio né dalle parti che, di fatto, non l’hanno neppure menzionata, e, in ogni caso, nella causa in esame non si rinvengono indizi del fatto che l’inclusione della normativa statunitense in materia di sanzioni nell’allegato sia inappropriata.

V.      Conclusione

136. In conclusione, non posso esimermi dall’osservare che non mi aggrada particolarmente giungere al risultato qui di seguito esposto. Come evidenziato dai fatti della presente causa, il regolamento di blocco dell’Unione è uno strumento molto brusco, destinato a neutralizzare gli effetti extraterritoriali invasivi delle sanzioni statunitensi all’interno dell’Unione. È inevitabile che tale metodo di neutralizzazione mieta vittime, e molti possono ritenere che la Telekom Deutschland sarà una delle prime a soffrire, non da ultimo a causa dell’entità delle sue operazioni negli Stati Uniti. Come ho già suggerito, si tratta di questioni sulle quali il legislatore dell’Unione può desiderare riflettere e ragionare.

137. Ciò non toglie che la Corte sia semplicemente un organo giurisdizionale, e che il nostro dovere sia quello di dare efficacia alle norme validamente adottate, così come formulate. Per le ragioni che ho esposto, ritengo che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione produca effetti di ampia portata anche se, nelle circostanze del caso di specie, si può altresì ritenere che dette disposizioni normative scavalchino le libertà di impresa ordinarie in modo inconsueto e invasivo. Propongo, pertanto, di rispondere alle questioni sollevate dall’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore anseatico del Land, Amburgo, Germania) nel modo seguente:

1)      L’articolo 5, primo comma, del regolamento (CE) n. 2271/96 del Consiglio, del 22 novembre 1996, relativo alla protezione dagli effetti extraterritoriali derivanti dall’applicazione di una normativa adottata da un paese terzo, e dalle azioni su di essa basate o da essa derivanti, deve essere interpretato nel senso che non trova applicazione soltanto nel caso in cui un’autorità amministrativa o giudiziaria di un paese i cui atti normativi e regolamentari sono elencati nell’allegato di tale regolamento abbia impartito, direttamente o indirettamente, determinate istruzioni a una persona di cui all’articolo 11 di tale regolamento. Il divieto contenuto in tale disposizione si applica, di conseguenza, anche qualora un operatore si conformi a siffatta normativa senza esservi stato previamente sollecitato da un organo amministrativo o giudiziario straniero.

2)      L’articolo 5, primo comma, del regolamento n. 2271/96 deve essere interpretato nel senso che osta a un’interpretazione del diritto nazionale ai sensi della quale una persona di cui all’articolo 11 di tale regolamento può porre fine a un rapporto contrattuale in essere con una controparte inserita nella Specially Designated Nationals and Blocked Person List (elenco delle persone specificamente designate e delle persone i cui attivi sono congelati), tenuto dallo US Office of Foreign Assets Control (Ufficio di controllo dei beni stranieri, Stati Uniti), senza dover giustificare la sua decisione di risolvere tali contratti.

3)      L’articolo 5, primo comma, del regolamento n. 2271/96 deve essere interpretato nel senso che, in caso di inosservanza delle disposizioni di tale articolo, il giudice nazionale adito da una parte contrattuale sottoposta a sanzioni primarie è tenuto a ordinare alla persona di cui all’articolo 11 di tale regolamento il mantenimento del rapporto contrattuale di cui trattasi, nonostante, in primo luogo, l’articolo 5, secondo comma, debba essere interpretato restrittivamente, in secondo luogo, siffatto provvedimento possa violare l’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e, in terzo luogo, tale persona possa essere severamente sanzionata dalle autorità preposte all’applicazione di una delle normative indicate nell’allegato di tale regolamento.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      GU 1996, L 309, pag. 1.


3      Regolamento delegato (UE) 2018/1100 della Commissione, del 6 giugno 2018, che modifica l’allegato del [regolamento di blocco dell’Unione] (GU 2018, L 199, pag. 1).


4      V. Redding, B., «The Long Arm of the Law or the Invasive Reach of the American Legal System», Int’l Bus. L.J., 2007, pag. 659. Nel suo parere dissenziente nella causa Stati Uniti c. Verdugo-Urquidez, 494 U.S. 259, (1990) pagg. 280 e 281, Brennan J. ha osservato che «l’enorme espansione della giurisdizione penale federale al di fuori dei confini della nostra Nazione ha indotto un autore a suggerire che i tre prodotti maggiormente esportati dal nostro paese siano oggi il rock, i blue jeans e il diritto statunitense» (citando Grundman, V.R., «The New Imperialism: The Extraterritorial Application of United States Law», The International Lawyer, vol. 14, 1980, pag. 257).


5      Le sfide che l’extraterritorialità di talune normative pone al diritto dell’Unione dovrebbero manifestarsi con una certa intensità, negli anni a venire, anche in un settore caro alla Corte, ossia quello della protezione dei dati personali. Infatti, il Clarifying Lawful Overseas Use of Data Act del 2018 degli Stati Uniti (legge recante chiarimento sull’utilizzo legittimo di dati all’estero), che ha modificato lo Stored Communications Act del 1986 (legge sulle comunicazioni archiviate), attribuisce alle autorità statunitensi preposte all’applicazione della legge il potere di richiedere i dati archiviati dalla maggior parte dei principali fornitori di servizi di cloud, anche se conservati al di fuori degli Stati Uniti. Tuttavia, il mercato dell’archiviazione dei dati è ampiamente dominato da società statunitensi, in misura superiore all’85%.


6      Secondo una relazione parlamentare francese, l’amministrazione statunitense si preoccupa raramente di giustificare la propria giurisdizione. In pratica, sembra che le società europee condannate per aver violato le sanzioni statunitensi, principalmente banche, siano state condannate sulla base di sanzioni primarie. Gli accordi transattivi da esse conclusi si basano su una concezione estensiva dei principi generali tradizionali di giurisdizione territoriale e si fondano sul fatto che le operazioni di cui trattasi erano state effettuate verso o attraverso istituzioni finanziarie statunitensi o erano transitate negli Stati Uniti, essendo effettuate in dollari USA (USD) e implicando, quindi, necessariamente, camere di compensazione statunitensi. V. Lellouche, P., e Berger, K., L’extraterritorialité de la législation américaine, Rapport d’information, Assemblée Nationale, Francia, 2016, pagg. da 49 a 53. Per quanto riguarda l’eventuale giustificazione o l’assenza di giustificazione della normativa statunitense ai sensi del diritto internazionale, v., fra gli altri, Ryngaert, C., «Extraterritorial Export Controls (Secondary Boycotts)», Chin. J Int’l L, vol. 7, 2008, pag. 625, in particolare pagg. 642 e segg.; Meyer, J.A., «Second Thoughts on Secondary Sanctions», University of Pennsylvania. J. Int’l L., 30, 2009, pag. 905, pagg. 932 e segg. e Ruys, T. e Ryngaert, C., «Secondary Sanctions: A Weapon out of Control? The International Legality of, and European Responses to US Secondary Sanctions», British Yearbook of International Law, 2020, pagg. da 9 a 65.


7      Secondo Hubert de Vauplane, «ciò che è più scioccante del modo in cui opera l’OFAC [Ufficio di controllo dei beni stranieri, incaricato dell’applicazione di tali sanzioni] è una certa tendenza a sanzionare soprattutto banche straniere, anche quando l’unico legame giuridico con gli Stati Uniti è l’uso del dollaro come moneta di pagamento», De Vauplane, H., «Iran Sanctions américaines contre les banques européennes, hypocrisie ou arnaque?», Les Échos, 23 agosto 2012. V. anche Stratmann, K., Koch, M. e Brüggmann, M., «Deutsche Firmen leiden unter US-Sanktionen – Amerikanische Konkurrenten werden geschont», Handelsblatt, 12 febbraio 2019 e «Wie hart Amerikas Forderung deutsche Unternehmen trifft», Frankfurter Allgemeine Zeitung, 10 maggio 2018, fonte: https://www.faz.net/aktuell/wirtschaft/schutz-deutscher-unternehmen-vor-us-sanktionen-schwierig-15583846.html. In un settore contiguo, la lotta contro la corruzione, The New York Times ha altresì rilevato che, nel 2012, «l’elenco delle principali imprese che concludono tali accordi si distingue sotto un profilo: l’assenza di nomi americani» (Wayne, L., «Foreign Firms Most Affected by a US Law Barring Bribes», The New York Times, 3 settembre 2012). V. anche Jakobeit, C., «Große Schmiergeldzahler», Welt-sichen, n. 9, 2010 (fonte: https://www.welt-sichten.org/artikel/3103/grosse-schmiergeldzahler), il quale osserva che le società statunitensi vantano decenni di esperienza nell’evitare le disposizioni del Foreign Corrupt Practices Act (legge sulle pratiche di corruzione all’estero, FCPA) e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), sottolineando la pressione politica esercitata dal governo statunitense sulla base delle conoscenze acquisite dai suoi servizi segreti, che, in varie occasioni, ha condotto alla nuova indizione di appalti di progetti lucrativi, nonché alla possibilità di chiedere al dipartimento della Giustizia statunitense un’esenzione dall’FCPA nell’interesse della sicurezza nazionale. Inoltre, l’ambito di applicazione molto ampio di tale normativa è accompagnato da problemi in termini di costi per la difesa di tali procedimenti, a causa di determinati meccanismi procedurali, richieste di informazioni nell’ambito di questi stessi procedimenti che possono riguardare dati economici, finanziari o industriali sensibili, nonché incertezze sul piano giudiziario. Alcuni autori hanno criticato l’uso di talune normative da parte delle autorità preposte alla loro applicazione come strumento per avviare negoziati diretti con le società, al fine di costringerle a cooperare. V. Garapon, A., «Une justice “très” économique», in Garapon, A., e Servan-Schreiber, P., (a cura di.), Deals de justice: le marché américain de l’obéissance mondialisée, Puf, 2015, pagg. 119 e 120. V. anche Lohmann, S., Extraterritoriale US-Sanktionen, SWP-Aktuell n. 31, maggio 2019. Altri hanno ritenuto tali misure rivelatrici di una nuova manifestazione della rivendicazione di egemonia da parte degli Stati Uniti. V. Szurek, S., «Le recours aux sanctions», in Gherari, H. e Szurek, S. (a cura di), Sanctions unilatérales, mondialisation du commerce et ordre juridique international, Cedin-Paris X Nanterre, Montchrestien 1998, pag. 36 nonché Nord Stream 2 Schwesig empört über amerikanische Drohung gegen Ostseehafen, Frankfurter Allgemeine Zeitung, 7 agosto 2020 (fonte: https://www.faz.net/aktuell/wirtschaft/klima-energie-und-umwelt/nord-stream-2-schwesig-empoert-ueber-drohung-gegen-hafen-16894385.html). Infine, anche se tale situazione riguarda maggiormente la legislazione anticorruzione, alcuni hanno espresso preoccupazioni in merito al fatto che talune sanzioni statunitensi fondate su normative con effetti extraterritoriali abbiano avuto l’effetto di destabilizzare varie società europee e siano poi state seguite da acquisizioni da parte di società statunitensi. V. Laïdi, A., Le droit, nouvelle arme de guerre économique: Comment les États-Unis déstabilisent les entreprises européennes, Acte Sud, 2019, pag. 156 e segg.


8      Sebbene il regolamento di blocco dell’Unione non sia il primo atto adottato per contrastare l’extraterritorialità del diritto statunitense, esso è tuttavia servito da modello per la Repubblica popolare cinese, che ha adottato, molto recentemente, una legge analoga, con la grande differenza che tali normative non perseguono misure sanzionatorie specifiche adottate da paesi terzi, ma prevedono che esse si applichino in generale «quando l’applicazione extraterritoriale di una normativa o di altre misure straniere, in violazione del diritto internazionale e dei principi fondamentali delle relazioni internazionali, determini divieti o restrizioni ingiustificate alla facoltà dei cittadini, delle persone giuridiche e di altre organizzazioni in Cina di intrattenere normali rapporti economici, commerciali o di tipo analogo con uno Stato terzo (o una regione) oppure con i cittadini, le persone giuridiche o altre organizzazioni di tale Stato (o regione)». V., Wang, J., «Can China’s New “Blocking Statute” Combat Foreign Sanctions?» Conflict of Laws.net, 30 gennaio 2021.


9      V., in tal senso, Truyens, L., e Loosveld, S., «The EU Blocking Regulation: navigating a diverging sanctions landscape», I.C.C.L.R., 30(9), 2019, pagg. da 490 a 501, pag. 501 e, in riferimento a un «paradosso del comma 22» [«Catch-22 situation» in lingua inglese], de Vries, A., «Council Regulation (EC) No 2271/96 (the EU Blocking Regulation)», Int’l Bus. Lawyer, 26(8), 1998, pag. 345, pag. 348.


10      Il regolamento di blocco dell’Unione è rimasto quiescente per lungo periodo, mentre vari presidenti statunitensi sospendevano il controverso titolo III dell’Helms-Burton Act (legge Helms-Burton) e le sanzioni dell’Unione e degli Stati Uniti nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran tendevano a convergere dopo il 2006. Ruys, T. e Ryngaert, C., «Secondary Sanctions: A Weapon out of Control? The International Legality of, and European Responses to US Secondary Sanctions», British Yearbook of International Law, 2020, pag. 81.


11      Il caso più noto è quello della BNP Paribas, alla quale è stata inflitta un’ammenda di USD 8.9 miliardi per aver fatto transitare denaro attraverso gli Stati Uniti, dal 2004 al 2012, per conto di clienti sudanesi (USD 6.4 miliardi), cubani (USD 1.7 miliardi) e iraniani (USD 650 milioni). Inoltre, la banca è stata esclusa per un anno dalle operazioni di compensazione in dollari USA per i suoi servizi finanziari relativi al petrolio e al gas, e diversi dirigenti, tra cui l’amministratore delegato del gruppo, sono stati costretti a lasciare la BNP Paribas.


12      Regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione (GU 2011, L 55, pag. 13).


13      Regolamento (CEE) n. 4055/86 del Consiglio, del 22 dicembre 1986, che applica il principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi (GU 1986, L 378, pag. 1).


14      GU 2018, L 199 I, pag. 7.


15      V. Arendt, M., «The Cuban Liberty and Democratic Solidarity (Libertad) Act of 1996: Isolationist Obstacle to Policy of Engagement», Case Western Reserve Journal of International Law, 30(1), 1998, pag. 262.


16      GU 1994, L 336, pag. 11. V. Lesguillons, H., «Helms-Burton and D’Amato Acts: Reactions of the European Union», I.B.L.J, vol. 1, 1997, pagg. da 95 a 111, in particolare pagg. da 97 a 103, e Smis, S., Van Der Borght, K., «The EU-U.S. Compromise on the Helms-Burton and D’Amato Acts», American Journal of Int’l Law, 93, 1999, pag. 227, in particolare pagg. da 231 a 235.


17      V. regolamento 2018/1100.


18      Per quanto concerne l’articolo 6 del regolamento di blocco dell’Unione (noto come clausola di «claw-back»), si potrebbe osservare che, poiché gli Stati Uniti beneficiano, in linea di principio, di un’immunità dalla giurisdizione in forza dello stato attuale del diritto internazionale consuetudinario, tale disposizione è suscettibile di trovare applicazione principalmente nei confronti dei privati che agiscano in applicazione di tale legge. Tuttavia, la legislazione statunitense concernente l’Iran, menzionata nell’allegato di tale regolamento, non sembra prevedere un meccanismo di esecuzione da parte di privati, come nel caso del titolo III della legge Helms Burton.


19      Nella sentenza Société internationale c. Rogers, la Corte suprema degli Stati Uniti ha riformato la decisione di un Tribunale distrettuale statunitense, che aveva constatato la violazione di un ordine di esibizione delle prove, poiché il rischio di essere sottoposto a un procedimento penale in Svizzera per violazione degli obblighi di non divulgazione propri di tale ordinamento aveva impedito al ricorrente, in tale causa, di conformarsi a tale ordine.


20      V., Wallace Jr., D., «The Restatement and Foreign Sovereign Compulsion: A Plea for Due Process», International Lawyer, vol. 23, ABA, 1989, pag. 593, in particolare pagg. 595 e 596.


21      Nella causa Interamerican Refining Corp. c. Texaco Maracaibo, Inc 307 F. Supp. 1291 (D. Del. 1970), l’US District Court for Delaware (Tribunale distrettuale statunitense del Delaware, Stati Uniti) ha riconosciuto che il rifiuto del convenuto di vendere petrolio era stato imposto dal governo venezuelano.


22      Occorre notare, tuttavia, che nella causa Societe Nationale Aéronautique c. District Court, 482 U.S. 522 (1987), Stevens, J., estensore della sentenza in questione della Corte suprema, ha osservato, anche se in una nota, che «è pacifico che i regolamenti [di blocco] non privano i giudici statunitensi del potere di ordinare a una parte sottoposta alla loro giurisdizione di produrre prove, anche nel caso in cui la loro produzione possa violare tali regolamenti». V. nota 29. Ciò nonostante, Stevens J ha osservato che «i giudici statunitensi dovrebbero (...) assicurarsi di dimostrare il dovuto rispetto per quanto concerne i problemi specifici in cui incorrono parti straniere a causa della loro nazionalità o della sede delle loro operazioni e gli interessi sovrani espressi da uno Stato straniero».


23      Secondo le informazioni fornite dal governo tedesco, la nozione di «negozio giuridico» di cui all’articolo 134 del BGB non si riferisce soltanto ai contratti, ma anche gli atti giuridici unilaterali, come un atto di risoluzione di un contratto.


24      L’avvio di un procedimento amministrativo sanzionatorio è sottoposto, a differenza del procedimento penale, al principio della discrezionalità dell’azione, il che significa che il perseguimento di un illecito è rimesso alla discrezionalità dell’autorità amministrativa, alla luce delle circostanze del caso concreto.


25      V. Federal Register / vol. 72, n. 213 / Lunedì 5 novembre 2007 / Notices.


26      C/2018/5344 (GU 2018, C 2771, pag. 4).


27      Secondo la giurisprudenza della Corte, al di fuori delle procedure previste dai Trattati, la Commissione può soltanto adottare regole di condotta concernenti il modo in cui intende esercitare un potere discrezionale ad essa attribuito dai Trattati, dalle quali potrà inoltre discostarsi senza indicare le ragioni che l’hanno indotta a farlo. V., in tal senso, sentenze del 9 ottobre 1984, Adam e a. Commissione (da 80/81 a 83/81 e da 182/82 a 185/82, EU:C:1984:306, punto 22); e del 18 maggio 2006, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione (C‑397/03 P, EU:C:2006:328, punto 91). Inoltre, anche quando adempie tale obbligo, un’istituzione non può mai rinunciare totalmente all’esercizio di una siffatta competenza discrezionale. V., ad esempio, sentenza del 10 ottobre 2019, Société des produits Nestlé/EUIPO – European Food (FITNESS) (T‑536/18, non pubblicata, EU:T:2019:737, punto 38). In secondo luogo, la portata delle disposizioni previste in atti giuridici non può mai dipendere dalla condotta o dalle dichiarazioni delle istituzioni. V. sentenza del 10 dicembre 2013, Commissione/Irlanda e a. (C‑272/12 P, EU:C:2013:812, punto 53).


28      Qualsiasi soluzione contraria equivarrebbe ad ammettere che una norma di rango inferiore può modificare la portata di una norma di rango superiore.


29      Poiché, per quanto riguarda le società, l’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di blocco dell’Unione fa riferimento a qualsiasi persona giuridica «registrata [nell’Unione]», l’articolo 5 di tale regolamento si applica alle consociate europee di società statunitensi, ma non alle società statunitensi operanti in Europa o alle consociate statunitensi di società europee. Per quanto concerne la Banca centrale europea e la Banca europea per gli investimenti, dal momento che la loro personalità giuridica deriva dai Trattati, rispettivamente dagli articoli 282 e 308 TFUE e, pertanto, esse non sono «registrate», l’articolo 5 del regolamento di blocco dell’Unione non può trovare applicazione nei loro confronti in quanto tali. Tuttavia, entrambe sono tenute, in linea di principio, ad applicare l’articolo 4 di detto regolamento.


30      È vero che tale disposizione riguarda «richieste o divieti (...) basate o derivanti (...) dagli atti normativi indicati nell’allegato o da azioni su di essi basate o da essi derivanti» (il corsivo è mio), il che può dare l’impressione che tali richieste o divieti siano distinti dagli obblighi contenuti in tali atti normativi. Tuttavia, ritengo che l’espressione «da essi derivanti» utilizzata in subordine sia sufficientemente ampia da includere gli obblighi direttamente previsti in tali atti normativi.


31      V. in tal senso, ad esempio, sentenza del 10 settembre 2014, Holger Forstmann Transporte (C‑152/13, EU:C:2014:2184, punto 26), e del 10 dicembre 2018, Wightman e a. (C‑621/18, EU:C:2018:999, punto 47).


32      Tale disposizione implica, in particolare, il dovere degli Stati membri di non dare seguito alle richieste di estradizione provenienti dagli Stati Uniti e fondate su uno degli atti normativi elencati nell’allegato del regolamento di blocco dell’Unione.


33      Il corsivo è mio.


34      A tal riguardo, non condivido l’argomento dedotto dalla Telekom Deutschland secondo cui sarebbe necessaria l’adozione di istruzioni da parte di un’autorità giudiziaria o amministrativa statunitense ai fini dell’applicazione dell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione, poiché qualsiasi normativa adottata all’estero produrrebbe effetti, in linea di principio, solo nel territorio dello Stato che l’ha adottata. Infatti, è evidente che il problema posto da tale normativa riguarda, anzitutto e soprattutto, società che, come la Telekom Deutschland, hanno interessi negli Stati Uniti. In realtà, la difficoltà che si pone nel contrastare l’extraterritorialità di talune leggi è semplicemente legata all’interconnessione delle economie.


35      Il fatto che una società si conformi è strettamente connesso alla percezione del rischio. Alcuni autori definiscono il rischio giuridico come derivante «dalla combinazione di una norma giuridica e di un evento, l’uno o l’altro (o entrambi) caratterizzati da un certo grado di incertezza. Tale combinazione di una norma giuridica e di un evento in un contesto di incertezza produce conseguenze idonee ad incidere sul valore della società». Collard, C., e Roquilly, C., Proposals for a Definition and Map of Legal Risk, EDHEC Business School, research paper, 2011, pag. 7. Di conseguenza, maggiori sono i legami tra un operatore e il suo mercato, maggiore è la sua propensione a rispettare la normativa in questione. Di converso, un operatore che non abbia alcun legame con il mercato statunitense e i cui gestori siano disposti ad accettare di non recarsi in tale paese o in uno Stato che abbia concluso con esso accordi di estradizione, può permettersi di ignorare gli atti normativi in questione. Sul tema della gestione del rischio legale, v. Masson, A., Shariff, M., «Through the Legal Looking Glass: Exploring the Concept of Corporate Legal Strategy», EBLR, vol. 22(1), Wolters Kluwer, 2011, pag.64 e segg.; v. anche Masson, A., Bouthinon-Dumas, H., «L’approche Law & Management», RTD Com, No 2, Dalloz, 2011, pag. 238.


36      Diverse imprese commercializzano soluzioni informatiche per il controllo e il monitoraggio delle operazioni al fine di individuare qualsiasi rischio di violazione della normativa in questione. Il più delle volte, tali soluzioni sono moduli di software antiriciclaggio.


37      V. in Paine, L.S., «Law, Ethics, and Managerial judgment», Journal of Legal Studies, 1994, pagg. da 153 a 169; Weinstein, S., e Wild, C., (a cura di.) Legal risk management, governance and compliance: a guide to best practice from leading experts, Globe Law and Business, 2013; Verdun F., Le management stratégique des risques juridiques, LexisNexis, 2nd, 2013, pagg. 133 e segg. Secondo Hugues Bouthinon-Dumas, il termine «compliance» (conformità) si riferisce al modo in cui le società si organizzano al fine di gestire i loro vincoli giuridici e dal quale dipendono in parte le loro prestazioni economiche. Esso si basa su un approccio proattivo volto a garantire l’applicazione effettiva delle norme all’interno di un’organizzazione, internalizzando le regole alle quali è soggetta. In concreto, la compliance si presenta sotto forma di una serie di azioni coordinate che vanno dal controllo della normativa alla sanzione interna di qualsiasi divario osservato, mediante la mappatura dei rischi giuridici, il controllo delle pratiche amministrative e giuridiche del settore, la sensibilizzazione dei team aziendali in merito ai rischi giuridici e alle loro conseguenze dannose, la formazione dei dipendenti, la partecipazione nella definizione di una politica del rischio, il controllo del rispetto delle norme e l’organizzazione dell’individuazione delle violazioni. Tali pratiche sono attualmente svolte da professionisti specializzati, che appartengono alle organizzazioni stesse o che agiscono in qualità di prestatori esterni di servizi (ad esempio, avvocati o studi di consulenza). Inoltre, sempre più imprese si stanno dotando di funzionari di compliance e i relativi dipartimenti sono in fase di espansione. Bouthinon-Dumas, H., «La compliance: une inflation normative au carré», Management & Avenir, 2019/4, n.°110, pag. 110, (traduzione libera). Secondo Marie-Anne Frison-Roche, il «diritto della compliance» si riferisce a una legislazione che richiede a taluni operatori privati «essenziali» di internalizzare obiettivi di interesse generale, in ragione della loro posizione e dei mezzi a loro disposizione, al fine di conseguire tali obiettivi. Frison Roche, M.-A., L’apport du droit de la compliance à la gouvernance d’internet, Rapport commandé par Monsieur le Ministre en charge du Numérique, Avril 2019, pagg. da 13 a 16.


38      A tal riguardo, occorre ricordare che non tutte le norme previste dal diritto dell’Unione, comprese quelle previste dai Trattati, sono destinate a essere invocate dai singoli contro altri singoli. Ad esempio, la libera circolazione delle merci, benché garantita dai Trattati, non produce, in linea di principio, effetti orizzontali diretti, poiché crea obblighi soltanto in capo agli Stati. V. sentenze del 29 febbraio 1984, Rewe-Zentrale (37/83, EU:C:1984:89, punto 18); del 17 maggio 1984, Denkavit Nederland (15/83, EU:C:1984:183, punto 15); e del 24 novembre 1982, Commissione/Irlanda (249/81, EU:C:1982:402, punto 21).


39      Nel contesto del regolamento di blocco dell’Unione, l’aggettivo «dissuasive» implica che le sanzioni previste debbano essere potenzialmente equivalenti alle sanzioni previste dalla normativa elencata in detto allegato. Infatti, è soltanto a tale condizione che l’ago della bilancia penderà a favore del regolamento e, pertanto, del rispetto del divieto di cui al suo articolo 5, primo comma.


40      Inoltre, la Commissione non pubblica le sue decisioni di esenzione, e la pubblicazione è, in linea di principio, una condizione che deve essere soddisfatta affinché le leggi possano essere infocate nei confronti dei terzi. Si può tuttavia comprenderne la ragione, segnatamente poiché consentirebbe alle autorità estere interessate di sapere quali società non hanno richiesto un’esenzione e, dunque, è probabile che non rispettino la normativa in questione.


41      Per quanto riguarda il secondo obiettivo, che è quello di proteggere le società europee dagli effetti di tale normativa, all’epoca dell’adozione del regolamento di blocco dell’Unione, nel 1996, lo stato della giurisprudenza statunitense sembrava suggerire che, vietando alle società dell’Unione di rispettare il diritto statunitense, il regolamento di blocco dell’Unione avrebbe offerto loro un mezzo di difesa dinanzi ai giudici statunitensi. Tuttavia, si può parimenti sostenere che, per ottenere siffatta protezione, era sufficiente garantire che il rispetto di tale divieto fosse assicurato soltanto dalle autorità pubbliche.


42      V. articolo 1 del regolamento di blocco dell’Unione.


43      Infatti, il regolamento di blocco dell’Unione è di scarsa utilità per le entità dell’Unione che dispongono di beni negli Stati Uniti e contro le quali le autorità statunitensi possono semplicemente adottare misure di esecuzione territoriali. Ruys, T., e Ryngaert, C., «Secondary Sanctions: A Weapon out of Control? The International Legality of, and European Responses to, US Secondary Sanctions», British Yearbook of International Law, 2020, pag. 85. Secondo uno studio commissionato dal Parlamento europeo, «l’effetto cumulativo discendente dal tentativo delle imprese di evitare ammende dal lato statunitense e, allo stesso tempo, di non apparire in conformità con le sanzioni può generare notevoli costi (e mal di testa) alle imprese europee che si preoccupano sia dei loro mercati nazionali, sia di quelli oltreoceano. In tal senso, le sanzioni statunitensi avranno raggiunto l’effetto desiderato, rendendo estremamente difficile, per qualsiasi impresa, l’assunzione volontaria di un rischio politico in entrambe le direzioni». Stoll, T., Blockmans S., Hagemejer J., Hartwell A., Gött H., Karunska K., e Maurer A., Extraterritorial Sanctions on Trade and Investments and European responses, studio commissionato dalla commissione per il commercio internazionale (INTA) del Parlamento europeo, 2020, pag. 33. V., in tal senso, Truyens, L., e Loosveld, S., «The EU Blocking Regulation: navigating a diverging sanctions landscape», I.C.C.L.R, 30(9), 2019, pagg. da 490 a 501, in particolare pag. 501, e, facendo riferimento a un «paradosso del comma 22», de Vries, A., «Council Regulation (EC) No 2271/96 (the EU Blocking Regulation)», Int’l Bus. Lawyer, 26(8), 1998, pag. 345, in particolare pag. 348.


44      Secondo Anthonius de Vries, «la Commissione aveva già previsto, nella sua proposta di regolamento di blocco dell’Unione che, in determinate circostanze, tale divieto avrebbe potuto comportare un grave pregiudizio agli interessi delle persone e delle società coinvolte o agli interessi della stessa [Unione] europea. Essa ha quindi proposto la possibilità di esenzione, che il Consiglio ha mantenuto, con talune modifiche, nel regolamento». V., de Vries, A., «Council Regulation (EC) No 2271/96 (the EU Blocking Regulation)», Int’l Bus. Lawyer, 26(8), 1998, pag. 345, pag. 349. V. anche, a sostegno di tale posizione, Lesguillons H., «Helms-Burton and D’Amato Acts: reactions of the European Union», I.B.L.J., vol. 1, 1997, pagg. da 95 a 111, in particolare pag. 108 e Ruys, T., e Ryngaert, C., «Secondary Sanctions: A Weapon out of Control? The International Legality of, and European Responses to, US Secondary Sanctions», British Yearbook of International Law, 2020, pag. 86.


45      Secondo una relazione del Parlamento francese, fino al 2019 vi era stato un solo caso in cui tale regolamento era stato invocato con successo, ossia in Austria, nell’aprile 2007, in occasione della chiusura di conti bancari cubani da parte della banca austriaca BAWAG PSK.V. Gauvain R., d’Urso C., Damais A., e Jemai S., «Rétablir la souveraineté de la France et de l’Europe et protéger nos entreprises des lois et mesures à portée extraterritoriale, rapport de l’Assemblée nationale (France)», 2019, pag. 26. In seguito, il Rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia, Paesi Bassi) ha accolto una domanda di provvedimenti cautelari in una causa riguardante l’inadempimento di un contratto da parte di una società europea con una società cubana dovuto al timore delle sanzioni statunitensi, e ha imposto la continuazione del contratto. Sebbene tale decisione non fosse espressamente fondata sul regolamento di blocco dell’Unione, tale giudice ha tuttavia rilevato di non poter escludere che detto inadempimento violasse anche quest’ultimo. Rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia), 25 giugno 2019, ECLI:NL:RBDHA:2019:6301. Risulta altresì che, nel 2020, clienti cubani abbiano ottenuto lo sblocco dei loro conti presso la banca ING, dopo aver proposto un ricorso contro tale banca fondato sul regolamento di blocco dell’Unione. V. Rechtbank Amsterdam, Claimant c. ING Bank NL: RBAMS:2020:893 (Tribunale di Amsterdam, Paesi Bassi) 6 febbraio 2020. Tuttavia, gli esempi di applicazione del regolamento di blocco dell’Unione restano limitati. Ciò ha indotto alcuni autori ad affermare che «il regolamento di blocco si è rivelato più che altro una tigre di carta, un mero simbolo del disaccordo dell’Unione rispetto all’ampia portata delle sanzioni statunitensi». Ruys, T., e Ryngaert, C., «Secondary Sanctions: A Weapon out of Control? The International Legality of, and European Responses to, US Secondary Sanctions», British Yearbook of International Law, 2020, pagg. 98 e 115, e, in tal senso, Bonnecarrère, Ph., Sur l’extraterritorialité des sanctions américaines, Rapport d’Information, no17 (2018-2019), Sénat, Francia, pagg. da 20 a 22.


46      Adattando le parole della Corte suprema irlandese nella causa Garvey c. Irlanda [1981] IR 75


47      V., per analogia, sentenza del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions (C‑157/15, EU:C:2017:203, punto 40).


48      Alcuni avvocati raccomandano ai loro clienti «di individuare altri motivi commerciali per cessare le loro attività con l’Iran o Cuba» al fine di eludere l’applicazione del regolamento di blocco dell’Unione. V. Doussin, A., Catrain, L. e Dukic, A., How to Mitigate sanctions risks, Hogan Lovells, 2020, diapositive disponibili sul sito Internet dell’impresa.


49      A tal riguardo, con tutto il rispetto, ritengo che, diversamente da quanto statuito dal Tribunal de commerce de Paris (Tribunale commerciale di Parigi, Francia) in una causa anch’essa riguardante la risoluzione di un contratto concluso con la Bank Melli Iran, la circostanza che il regolamento di blocco dell’Unione esistesse già alla data di conclusione del contratto in questione non può escludere l’applicazione dell’articolo 5, primo comma, di tale regolamento in conseguenza al fatto che la clausola di forza maggiore utilizzata per risolvere il contratto era stata concordata, in considerazione delle disposizioni di detto regolamento. Infatti, l’articolo 5, primo comma esprime una scelta di politica pubblica fondamentale dell’Unione e dei suoi Stati membri, sicché le parti non vi possono derogare. V. Tribunal de commerce de Paris (Tribunale commerciale di Parigi), 23 gennaio 2020, SC Bank Melli Iran Banque Nationale c. SAS Viveo France, n. 2019023091.


50      Infatti, la Corte distingue la produzione della prova dall’onere della prova. V., per quanto concerne le impugnazioni, sentenze del 19 dicembre 2013, Siemens e a./Commissione (C‑239/11 P, C‑489/11 P e C‑498/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:866, punto 38) e del 28 giugno 2018, EUIPO/Puma (C‑564/16 P, EU:C:2018:509), punto 57). Oltre alle impugnazioni, v., ad esempio, in tal senso, sentenza del 21 giugno 2017, W e a. (C‑621/15, EU:C:2017:484, punto 24).


51      L’autonomia procedurale degli Stati membri è limitata, tuttavia, dal loro obbligo di non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività), di applicare, per quanto concerne l’applicazione del diritto dell’Unione, le stesse modalità che disciplinano situazioni analoghe governate dal diritto nazionale (principio di equivalenza) e di rispettare i principi generali del diritto dell’Unione. V., ad esempio, sentenza del 27 giugno 2018, Turbogás (C‑90/17, EU:C:2018:498, punto 43). Inoltre, se la produzione della prova rientra chiaramente nel diritto processuale, talune tradizioni giuridiche collegano la ripartizione dell’onere della prova al diritto sostanziale. Ad esempio, nel diritto francese, le regole in materia di presunzioni e onere della prova sono previste dal codice civile, e non dal codice di procedura civile. Nel diritto tedesco, secondo la teoria della norma (Normenbegünstigungstheorie), nella formulazione di una norma il legislatore tiene conto della ripartizione dell’onere della prova. Pertanto, i giudici deducono la ripartizione dell’onere della prova dall’interpretazione del diritto sostanziale. V. Prütting Münchener Kommentar zur ZPO, 3. Aufl. 2008, § 286 nn. 113-115. Per quanto mi risulta, la Corte non si è mai pronunciata chiaramente su tale questione, poiché il diritto dell’Unione tende sovente a specificare il contenuto della ripartizione dell’onere della prova.


52      V., ad esempio, sentenze del 28 aprile 1966, ILFO/Alta Autorità (51/65, EU:C:1966:21), del 26 gennaio 1989, Koutchoumoff/Commissione (224/87, EU:C:1989:38) o del 21 maggio 2015, Schräder/UCVV (546/12 P, EU:C:2015:332, punto 78).


53      V. sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione (C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 56).


54      V. articolo 8 della direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (GU 2000, L 180,pag. 22), articolo 10 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16) e articolo 19 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU 2006, L 204, pag. 23).


55      Altri elementi, come il fatto che la società organizzi una formazione interna del suo personale sulla normativa in questione, che essa possieda una politica connessa a siffatta normativa o che utilizzi o faccia ricorso a strumenti di controllo, sembrano costituire prove che i terzi difficilmente potrebbero fornire.


56      A tal riguardo, taluni sostengono che dagli obiettivi perseguiti dal regolamento di blocco dell’Unione si potrebbe dedurre che l’applicazione di tale disposizione richiede anche la dimostrazione che la situazione di cui trattasi è caratterizzata dall’applicazione extraterritoriale delle normative in questione. V., ad esempio, Financial Markets law committee, U.S. Sanctions and the EU blocking statute Regulation: Issues of legal uncertainty, 2019, ai punti 3.5 e 3.12. Tuttavia, sebbene la formulazione dell’articolo 5 sia perentoria, nulla consente di affermare l’esistenza di siffatta condizione. Inoltre, se, come credo, il regolamento di blocco dell’Unione è stato concepito come una contromisura ai sensi del diritto internazionale, si deve ritenere che esso miri a bloccare, in generale, gli effetti di tale normativa.


57      Tali giustificazioni possono essere di natura economica o commerciale, o riguardare sanzioni dell’Unione, la normativa dell’Unione in materia di riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo o, addirittura, sanzioni statunitensi, ma nella misura in cui tali sanzioni non facciano parte di una delle normative elencate nell’allegato.


58      Sentenza del 27 marzo 2014, UPC Telekabel Wien (C‑314/12, EU:C:2014:192, punto 49).


59      V., ad esempio, sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C‑7/97, EU:C:1998:569, punto 41); e, in tal senso, sentenza del 25 marzo 2021, Deutsche Telekom/Commissione ((C‑152/19 P, EU:C:2021:238, punto 49)


60      Certamente, nelle materie di stampo penale, come nel caso, a mio avviso, dell’applicazione del regolamento di blocco dell’Unione, la Corte ha statuito che il diritto dell’Unione osta a che gli Stati membri sanzionino, in quanto tale, il rifiuto, da parte di una persona fisica, nell’ambito di un’indagine nei suoi confronti, di fornire all’autorità competente risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito. V., in tal senso, sentenza del 2 febbraio 2021, Consob (C‑481/19, EU:C:2021:84, punto 58). Tuttavia, la Corte ha ammesso che un’autorità giudiziaria o amministrativa nazionale può basarsi su un insieme di indizi concordanti al fine di accertare la violazione di talune norme del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 26 gennaio 2017, Maxcom/Chin Haur Indonesia (C‑247/15 P, C‑253/15 P e C‑259/15 P, EU:C:2017:61, punto 64) o, semplicemente, per procedere a un’inversione dell’onere della prova, come nel caso del principio di non discriminazione. V., ad esempio, sentenza del 10 luglio 2008, Feryn (C‑54/07, EU:C:2008:397, punto 32).


61      Sentenza del 9 marzo 1978, Simmenthal (106/77, EU:C:1978:49, punto 16).


62      Per quanto riguarda la condizione della proporzionalità, occorre sottolineare che essa non si pone in contrasto con quella concernente il carattere dissuasivo, poiché si limita ad esigere che la sanzione concretamente imposta sia proporzionata alla gravità dei fatti di cui trattasi, mentre l’effetto dissuasivo è garantito dalla minaccia di una sanzione, vale a dire dalla portata di eventuali sanzioni. Per quanto riguarda il regolamento di blocco dell’Unione, la gravità dei fatti dipenderà, ad esempio, dal carattere più o meno continuato della condotta dell’impresa di cui all’articolo 11 di tale regolamento, nonché dalla natura della normativa alla quale tale persona si è conformata e dai costi delle sanzioni ivi previste.


63      Tali requisiti sono semplicemente quelli imposti dalla giurisprudenza della Corte in caso di violazione del diritto dell’Unione. V. sentenze del 10 aprile 1984, von Colson e Kamann (14/83, EU:C:1984:153, punto 28); del 21 settembre 1989, Commissione/Grecia (68/88, EU:C:1989:339, punto 24) e, in tal senso, per quanto riguarda il sistema comune dell’IVA, sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C‑42/17, EU:C:2017:936, punti da 34 a 35).


64      Per quanto riguarda il carattere dissuasivo delle sanzioni, tale condizione implica, logicamente, che le sanzioni irrogabili siano almeno equivalenti a quelle applicabili sulla base delle normative elencate nell’allegato. Diversamente, la scelta tra il rispetto della normativa elencata nell’allegato o del regolamento di blocco dell’Unione tenderebbe sistematicamente alla prima alternativa, mentre le sanzioni previste dal secondo dovrebbero essere considerate come un semplice costo aggiuntivo. V., ad esempio, Wils, W.P.J., «Optimal Antitrust Fines: Theory and Practice», World Competition, vol. 29(2), 2006, pag. 15: «Affinché si produca un effetto di deterrenza, è necessario che, dal punto di vista della società (o del soggetto singolo che decida per conto della società) che consideri un’eventuale violazione della concorrenza, l’ammenda prevista superi il guadagno atteso. Ciò che conta, quindi, è la valutazione soggettiva del potenziale trasgressore concernente il guadagno, la probabilità di essere scoperto e punito e, in quest’ultimo caso, l’ammontare della sanzione». Nel caso del regolamento di blocco dell’Unione, come osservato nello studio commissionato dal Parlamento europeo, «soltanto se un’impresa ha motivo di ritenere che il [regolamento di blocco dell’Unione] sarà attuato in modo altrettanto rigido quanto le normative statunitensi in materia di sanzioni, essa sarà incline ad allineare il suo comportamento al [regolamento di blocco dell’Unione] e a violare il diritto statunitense». Stoll T., Blockmans S., Hagemejer J., Hartwell A., Gött H., Karunska K., e Maurer A., Extraterritorial Sanctions on trade and investments and European responses, Study requested by the INA committee of the European Parliament, 2020, pag. 65. Ciò non significa, tuttavia, che debbano essere sempre imposte sanzioni massime, poiché la minaccia di tali sanzioni, nella misura in cui è credibile, è sufficiente a creare un effetto di deterrenza. Peraltro, dal fatto che l’articolo 9 del regolamento di blocco faccia riferimento al «regime» delle sanzioni applicabili, si deve dedurre che sono le varie sanzioni previste, penali, amministrative o civili, considerate nel loro insieme, a dover essere effettive, proporzionate e dissuasive.


65      V., ad esempio, in materia di IVA, per quanto riguarda l’obbligo di prevedere sanzioni punitive in caso di frode, sentenza del 20 marzo 2018, Menci (C‑524/15, EU:C:2018:197, punto 19) e, per quanto riguarda l’obbligo di porre rimedio alla situazione, sentenza del 21 novembre 2018, Fontana (C‑648/16, EU:C:2018:932, punti da 33 a 34). Mentre una stessa misura può perseguire entrambi gli obiettivi, non è necessario, di converso, che entrambi gli obiettivi siano perseguiti mediante la stessa misura. Di conseguenza, per considerare che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione conferisce diritti alle persone sottoposte a sanzioni primarie, le misure che i giudici nazionali sono tenuti ad adottare dal punto di vista del diritto civile dovrebbero certamente essere effettive e proporzionate, ma non necessariamente dissuasive, poiché un siffatto effetto potrebbe essere ottenuto separatamente, mediante sanzioni amministrative.


66      Così, nel caso del regolamento di blocco dell’Unione, diversi paesi europei hanno adottato normative che prevedono sanzioni penali (Irlanda, Regno dei Paesi Bassi e Regno di Svezia), mentre altri hanno preferito sanzioni amministrative (Repubblica Federale di Germania, Regno di Spagna e Repubblica italiana). V., Bonnecarrère, Ph., Sur l’extraterritorialité des sanctions américaines, Rapport d’information du Sénat (France), n. 17, 2018, pag. 20.


67      V., in particolare, sentenze del 9 marzo 1978, Simmenthal (106/77, EU:C:1978:49, punto 16); del 19 giugno 1990, Factortame e a. (C‑213/89, EU:C:1990:257, punto 19), del 20 settembre 2001, Courage e Crehan (C‑453/99, EU:C:2001:465, punto 25); e del 17 settembre 2002, Muñoz e Superior Fruiticola (C‑253/00, EU:C:2002:497, punto 28).


68      La situazione è diversa nel caso di una direttiva. Poiché è necessario che una direttiva sia stata trasposta affinché uno Stato possa invocarla nei confronti di una persona oppure, orizzontalmente, affinché un soggetto privato possa invocarla nei confronti di un altro, gli Stati membri dispongono di un margine di manovra più ampio. Questi ultimi sono tenuti a garantire soltanto che, conformemente al principio di leale cooperazione sancito all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, qualsiasi violazione di una direttiva sia sanzionata secondo modalità sostanziali e procedurali analoghe a quelle applicabili alle violazioni del diritto nazionale simili per natura e importanza. V. sentenza del 27 marzo 2014, LCL Le Crédit Lyonnais (C‑565/12, EU:C:2014:190, punto 44).


69      A mio avviso, il principio dell’autonomia procedurale non è direttamente applicabile nella fattispecie, poiché tale principio riguarda «le modalità procedurali dei procedimenti giurisdizionali destinati a garantire la tutela dei diritti che derivano ai singoli dal diritto dell’Unione». V. sentenze dell’11 luglio 2002, Marks & Spencer (C‑62/00, EU:C:2002:435, punto 34); del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub (C‑2/08, EU:C:2009:506, punto 24); e del 21 gennaio 2010, Alstom Power Hydro (C‑472/08, EU:C:2010:32, punto 17). Tuttavia, le misure che i giudici nazionali devono adottare per porre rimedio alle conseguenze della violazione del diritto dell’Unione non sono misure di diritto processuale, bensì di diritto sostanziale. Così, ad esempio, per quanto riguarda le misure dirette a rimediare alle conseguenze della violazione del divieto di dare esecuzione a progetti di aiuto, previsto all’articolo 108, paragrafo 3, ultima frase, TFUE, le autorità amministrative e giudiziarie nazionali sono tenute a garantire la piena efficacia di tali disposizioni e, dunque, a ordinare d’ufficio il recupero degli aiuti illegalmente concessi. Soltanto le modalità pratiche di tale recupero rientrano nell’autonomia procedurale. V., ad esempio, sentenza del 5 marzo 2019, Eesti Pagar (C‑349/17, EU:C:2019:172, punto 92).


70      Occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, considerazioni relative al diritto interno degli Stati membri, comprese quelle di natura costituzionale, non possono essere invocate al fine di limitare l’effetto utile del diritto dell’Unione. V. sentenze del 17 dicembre 1970, Internationale Handelsgesellschaft (11/70, EU:C:1970:114, punto 3) o del 26 febbraio 2013, Melloni (C‑399/11, EU:C:2013:107, punto 59).


71      Nel caso di specie, la questione consiste, piuttosto, nello stabilire se ammende che possono arrivare fino a EUR 500 000 abbiano realmente un carattere dissuasivo, considerato che le sanzioni statunitensi possono raggiungere il doppio dell’importo dell’operazione all’origine della violazione che la sanzione mira a punire e, pertanto, possono ammontare a miliardi.


72      Sentenza del 16 maggio 2017, Berlioz Investment Fund (C‑682/15, EU:C:2017:373, punti da 32 a 42).


73      Sentenze del 12 luglio 2018, Spika e a. (C‑540/16, EU:C:2018:565, punto 34), nonché del 17 ottobre 2013, Schaible (C‑101/12, EU:C:2013:661, punto 25).


74      V., ad esempio, in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2001, DaimlerChrysler (C‑324/99, EU:C:2001:682, punto 30).


75      Sentenze del 16 ottobre 2014, Welmory (C‑605/12, EU:C:2014:2298, punto 33); e del 5 novembre 2014, Herbaria Kräuterparadies (C‑137/13, EU:C:2014:2335, punto 50). Così, in particolare, la Corte non è tenuta a esaminare la validità di un atto dell’Unione sulla base di un motivo dedotto da una di tali parti. V. sentenze del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co. (C‑21/13, EU:C:2014:2154, punti 27 e 28), e del 28 gennaio 2016, CM Eurologistik e GLS (C‑283/14 e C‑284/14, EU:C:2016:57, punti 45 e 46).


76      Sentenza del 10 dicembre 2013, Commissione/Irlanda e a. (C‑272/12 P, EU:C:2013:812, punti da 27 a 29 e 36).


77      V., ad esempio, sentenza del 10 dicembre 2018, Wightman e a. (C‑621/18, EU:C:2018:999, punto 28).


78      Sentenza del 14 dicembre 1995, van Schijndel e van Veen (C‑430/93 e C‑431/93, EU:C:1995:441, punto 14); del 12 febbraio 2008, Kempter (C‑2/06, EU:C:2008:78, punto 45); e del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 54).


79      V., in particolare, sentenza del 17 settembre 2020, Compagnie des pêches de Saint-Malo (C‑212/19, EU:C:2020:726, punti 28 e 38).


80      Sentenza del 17 dicembre 2020, BAKATI PLUS (C‑656/19, EU:C:2020:1045, punto 33). Prima di questa, v. sentenze del 16 ottobre 2014, Welmory (C‑605/12, EU:C:2014:2298, punto 34); del 6 ottobre 2015, T-Mobile Czech Republic e Vodafone Czech Republic (C‑508/14, EU:C:2015:657, punti 28 e 29), e ordinanza del 21 aprile 2016, Beca Engineering (C‑285/15, non pubblicata, EU:C:2016:295, punto 24).


81      A mio avviso, tuttavia, non occorre esaminare la validità della decisione, contenuta nel regolamento 2018/1100, di includere la normativa statunitense di cui trattasi nell’allegato del regolamento di blocco dell’Unione, dato che tale decisione non è mai stata menzionata dal giudice del rinvio.


82      Lenaerts, K., «Exploring the limits of the EU Charter of fundamental rights», European Constitutional Law Review, vol. 8(3), 2012, pag. 388.


83      Sentenza del 6 settembre 2012, Deutsches Weintor (C‑544/10, EU:C:2012:526, punto 54).


84      Sentenze del 22 gennaio 2013, Sky Österreich (C‑283/11, EU:C:2013:28 punto 46); del 30 giugno 2016, Lidl (C‑134/15, EU:C:2016:498, punto 34) e del 16 luglio 2020, Adusbef e Federconsumatori (C‑686/18, EU:C:2020:567, punti 82 e 83).


85      V. sentenze del 6 aprile 1995, RTE e ITP/Commissione (C‑241/91 P e C‑242/91 P, EU:C:1995:98, punti da 49 a 57); del 26 novembre 1998, Bronner (C‑7/97, EU:C:1998:569, punti da 38 a 47); e del 29 aprile 2004, IMS Health (C‑418/01, EU:C:2004:257, punto 38); nonché conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Pressetext Nachrichtenagentur (C‑454/06, EU:C:2008:167, paragrafo 133).


86      V., ad esempio, in tal senso, sentenze del 19 dicembre 2019, Deutsche Umwelthilfe (C‑752/18, EU:C:2019:1114, punto 52) o del 22 gennaio 2013, Sky Österreich (C‑283/11, EU:C:2013:28, punto 50). Nella giurisprudenza si fa riferimento, talora, anche a un altro criterio, ai sensi del quale, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e gli inconvenienti da essa causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti. Tuttavia, si può ritenere che tale criterio rientri negli altri due precedentemente menzionati. V., ad esempio, sentenza del 17 dicembre 2020, Centraal isfraëlitisch Consistorie van België e a. (C‑336/19, EU:C:2020:1031, punto 64).


87      A tal riguardo, occorre sottolineare che il diritto internazionale permette l’adozione di contromisure. Per quanto concerne le condizioni in cui tali misure sono consentite, v. l’articolo 49 e seguenti del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per illeciti internazionali, con commenti, adottato dalla Commissione del diritto internazionale in occasione della sua 53a sessione e approvato il 28 gennaio 2002 con risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nonché Leben, Ch., «Les contre-mesures inter-étatiques et les réactions à l’illicite dans la société internationale», Annuaire Français de Droit International, vol. 28, 1982, pagg. da 9 a 77; e Sicilianos, L.A., «La codification des contre-mesures par la Commission du droit international», in Revue belge de droit international, vol. 38, 2005, pagg. da 447 a 500. In ogni caso, taluni autori ritengono che, tecnicamente, il regolamento di blocco dell’Unione rientri nella nozione di misure di ritorsione, vale a dire di misure ostili che, di per sé, non costituiscono un illecito internazionale, poiché non violano le regole in materia di giurisdizione riconosciute dal diritto internazionale. V. Ruys, T., e Ryngaert, C., «Secondary Sanctions: A Weapon out of Control? The International Legality of, and European Responses to US Secondary Sanctions», British Yearbook of International Law, 2020, pag. 82.


88      Tale assenza di criteri espliciti per l’inclusione di una normativa nell’allegato potrebbe suscitare preoccupazioni. Tuttavia, poiché le questioni proposte nella presente causa non affrontano tali aspetti, non esaminerò ulteriormente tale problema.


89      È vero che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione può, in un certo senso, apparire obsoleto, poiché l’US Federal District Court for the Eastern District of Pennsylvania (Tribunale distrettuale statunitense del distretto orientale della Pennsylvania, Stati Uniti), nella sentenza Stati Uniti c. Brodie, ha negato l’applicazione della dottrina della soggezione alla sovranità straniera in riferimento al regolamento di blocco dell’Unione. Tuttavia, la Corte suprema degli Stati Uniti non si è mai espressamente pronunciata sull’applicabilità della dottrina della soggezione alla sovranità straniera in relazione al regolamento di blocco dell’Unione. Inoltre, non si può escludere che tale articolo possa, sulla base di tale dottrina o di dottrine simili, costituire un mezzo di difesa nell’ambito di una normativa diversa da quella di cui trattasi nella causa in esame. In ogni caso, tale disposizione resta rilevante dal punto di vista dell’obiettivo di contrastare gli effetti di tale normativa.


90      A tal riguardo, desidero sottolineare che l’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione si limita a prevedere la possibilità di vietare alle persone di cui all’articolo 11 di tale regolamento di rispettare una determinata normativa qualora essa soddisfi le condizioni previste da tale regolamento o che discendono dagli obiettivi di tale regolamento ai fini della sua inclusione nell’allegato. La questione se, in un caso concreto, la decisione di includere una determinata normativa nell’allegato costituisca una misura proporzionata rientra nel controllo della validità di una siffatta decisione, e non nel controllo ai sensi dell’articolo 5, primo comma, del regolamento di blocco dell’Unione.


91      Sentenze del 25 giugno 2020, VTB Bank/Consiglio (C‑729/18 P, non pubblicata, EU:C:2020:499, punti 80 e 81), e del 24 settembre 2020, NK (Pensioni aziendali del personale dirigente) (C‑223/19, EU:C:2020:753, punto 89).


92      V., per analogia, sentenza del 6 ottobre 2020, État luxembourgeois (Diritto di ricorso avverso una richiesta di informazioni in materia fiscale) (C‑245/19 e C‑246/19, EU:C:2020:795, punto 92).


93      Secondo Tom Ruys e Cedric Ryngaert, a metà del 2019 erano state presentate soltanto 15 domande di autorizzazione. Tuttavia, la Commissione non ha mai comunicato il tasso di successo di tali domande. Ruys, T., e Ryngaert, C., «Secondary Sanctions: A Weapon out of Control? The International Legality of, and European Responses to US Secondary Sanctions», British Yearbook of International Law, 2020, pag. 87.