Language of document : ECLI:EU:C:2003:252

SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)

8 maggio 2003 (1)

«Ricorso di annullamento - Decisione 2000/536/CE - Aiuto di Stato a favore della Seleco SpA»

Nelle cause riunite C-328/99 e C-399/00,

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. U. Leanza, in qualità di agente, assistito dal sig. O. Fiumara, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente nella causa C-328/99,

e

SIM 2 Multimedia SpA, con sede in Pordenone, rappresentata dall'avv. A. Vianello, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente nella causa C-399/00,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata da l sig. G. Rozet, in qualità di agente, assistito dagli avv.ti A. Abate ed E. Cappelli, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

aventi ad oggetto, la causa C-328/99, l'annullamento della decisione della Commissione 2 giugno 1999, 2000/536/CE, relativa all'aiuto di Stato concesso dall'Italia all'impresa Seleco SpA (GU 2000, L 227, pag. 24), e, la causa C-399/00, l'annullamento dell'art. 2, n. 1, della detta decisione, nei limiti in cui impone alla Repubblica italiana di adottare i provvedimenti necessari per recuperare presso la Seleco Multimedia Srl l'aiuto concesso alla Seleco SpA, per la parte non recuperabile presso quest'ultima,

LA CORTE (Sesta Sezione),

composta dal sig. R. Schintgen, presidente della Seconda Sezione, facente funzione di presidente della Sesta Sezione, dai sigg. C. Gulmann (relatore) e V. Skouris, dalla sig.ra F. Macken e dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, giudici,

avvocato generale: sig. L.A. Geelhoed


cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la relazione d'udienza,

sentite le difese orali svolte dalle parti all'udienza del 30 maggio 2001, nel corso della quale la Repubblica italiana è stata rappresentata dal sig. O. Fiumara, la SIM 2 Multimedia SpA dagli avv.ti A. Vianello e T. Ballarino, e la Commissione dai sigg. G. Rozet e V. Di Bucci, in qualità di agente, assistiti dall'avv. A. Abate,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 27 settembre 2001,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1.
    Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 1° settembre 1999 e registrato con il numero C-328/99, la Repubblica italiana, ai sensi dell'art. 230, primo comma, CE, ha proposto un ricorso diretto:

-    in via principale, a far annullare la decisione della Commissione 2 giugno 1999, 2000/536/CE, relativa all'aiuto di Stato concesso dall'Italia all'impresa Seleco SpA (GU 2000, L 227, pag. 24; in prosieguo: la «decisione impugnata»), e

-     in via subordinata, a far annullare tale decisione, da un lato, nella parte in cui essa impone alla Repubblica italiana di adottare tutti i provvedimenti necessari per recuperare presso la Seleco SpA (in prosieguo: la «Seleco») l'aiuto non compatibile accordato dalla Ristrutturazione Elettronica SpA (in prosieguo: la «REL») nel 1996 e, d'altro lato, nella parte in cui essa impone alla Repubblica italiana di adottare tutti i provvedimenti necessari per recuperare presso la Seleco Multimedia Srl (in prosieguo: la «Multimedia») e ogni altra impresa che abbia beneficiato di conferimenti di attivi gli aiuti non compatibili accordati alla Seleco, per la parte non recuperabile presso quest'ultima.

2.
    Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale di primo grado il 6 settembre 1999 e registrato con il numero T-195/99, la SIM 2 Multimedia SpA (in prosieguo: la «SIM Multimedia»), giuridicamente succeduta alla Multimedia, ha proposto un ricorso diretto a far annullare l'art. 2, n. 1, della decisione impugnata, nei limiti in cui impone alla Repubblica italiana di adottare i provvedimenti necessari per recuperare presso la Multimedia gli aiuti non compatibili concessi alla Seleco, per la parte non recuperabile presso quest'ultima.

3.
    Conformemente agli artt. 47, terzo comma, dello Statuto CE della Corte di giustizia e 80 del regolamento di procedura del Tribunale, quest'ultimo, con ordinanza 16 ottobre 2000, ha declinato la propria competenza nella causa T-195/99 a favore della Corte, affinché questa potesse statuire sulla domanda di annullamento. Tale causa è stata iscritta nella cancelleria della Corte il 31 ottobre 2000 con il numero C-399/00.

4.
    Essendo le due cause connesse tra loro, il presidente della Corte ha deciso, con ordinanza 5 febbraio 2001, di riunirle ai fini della trattazione orale e della sentenza, secondo quanto dispone l'art. 43 del regolamento di procedura della Corte.

Contesto normativo

5.
    Ai sensi dell'art. 87, n. 1, CE, «[s]alvo deroghe contemplate dal presente trattato, sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza».

6.
    L'art. 88, n. 2, primo comma, CE dispone:

«Qualora la Commissione, dopo aver intimato agli interessati di presentare le loro osservazioni, constati che un aiuto concesso da uno Stato, o mediante fondi statali, non è compatibile con il mercato comune a norma dell'articolo 87, oppure che tale aiuto è attuato in modo abusivo, decide che lo Stato interessato deve sopprimerlo o modificarlo nel termine da essa fissato».

7.
    Ai sensi dell'art. 88, n. 3, CE, «[a]lla Commissione sono comunicati, in tempo utile perché presenti le sue osservazioni, i progetti diretti a istituire o modificare aiuti. Se ritiene che un progetto non sia compatibile con il mercato comune a norma dell'articolo 87, la Commissione inizia senza indugio la procedura prevista dal paragrafo precedente. Lo Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto a una decisione finale».

Fatti

Le parti interessate

8.
    La Seleco operava sul mercato dell'elettronica di consumo, e più precisamente nel settore dei televisori a colori, in quello dei decodificatori di programmi criptati e in quello dei videoproiettori e monitor.

9.
    La Multimedia è stata costituita nel 1995. Nel marzo 1996 la Seleco raggruppava le sue attività più redditizie (videoproiettori e monitor) in seno alla Multimedia apportandovi ITL 29 miliardi di capitale e diventando l'unico proprietario di quest'ultima. Nel giugno 1996 la Multimedia veniva trasformata in società per azioni. Nel luglio 1996 la Seleco vendeva il 33,33% delle azioni da essa detenute nella Multimedia alla Italtel e il 33,33% alla Friulia Spa (in prosieguo: la «Friulia)». Il prezzo di vendita ammontava a ITL 10 miliardi per ciascun pacchetto di azioni. Le azioni restanti venivano trasferite a una società prestanome appartenente alla Seleco dopodiché venivano vendute ad una società privata in un'asta giudiziaria tenutasi il 20 dicembre 1997 nell'ambito della liquidazione della Seleco.

Oggetto della decisione impugnata

10.
    Alla fine del 1993 il capitale della Seleco era detenuto dalla SOFIN SpA (in prosieguo: la «SOFIN»), dalla Friulia e dalla REL, per l'ammontare, rispettivamente, del 37%, del 3,7% e del 59,3%. La SOFIN è una società privata. La Friulia è una società finanziaria interamente controllata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, di cui essa ha il compito di promuovere lo sviluppo economico. La REL è una società costituita nel 1982 e controllata dal Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato italiano, il cui obiettivo era di riorganizzare il settore dell'elettronica di consumo mediante la creazione di società, l'assunzione di partecipazioni e il finanziamento di imprese nelle quali deteneva partecipazioni.

11.
    Nello stesso periodo, le perdite della Seleco erano aumentate a tal punto che i suoi azionisti avevano la sola alternativa, in forza della normativa italiana, tra la liquidazione e la ricapitalizzazione della società. In tale situazione gli azionisti optavano inizialmente per la liquidazione (decisione del consiglio di amministrazione del 1° febbraio 1994), ma, a seguito dell'intervento del governo italiano preoccupato per le agitazioni sociali che la decisione di liquidazione avrebbe provocato, convenivano infine di procedere alla sua ricapitalizzazione.

12.
    In base a tale accordo la REL doveva coprire tutte le perdite eccedenti il capitale sociale, ivi compresa la parte che avrebbe dovuto essere a carico degli altri azionisti, mentre questi ultimi dovevano ricostituire il capitale sociale della Seleco. L'accordo concluso tra la REL e gli altri azionisti veniva formalizzato da una direttiva del Consiglio dei Ministri italiano e successivamente comunicato alla Seleco. In tal modo la REL rinunciava parzialmente ai crediti che vantava nei confronti della Seleco (ITL 16,8 miliardi su un totale di ITL 82 miliardi), la Friulia apportava ITL 13 miliardi (conferimento di 7 miliardi di capitale e conversione di un prestito di ITL 6 miliardi precedentemente accordato alla Seleco in azioni di quest'ultima), la SOFIN conferiva ITL 19 miliardi e un pool di banche conferiva ITL 10,5 miliardi.

13.
    Dopo tali misure, il nuovo capitale era così ripartito: il 42,64% alla SOFIN, il 28,89% alla Friulia, il 23,33% al pool di banche e il 5,13% ai dipendenti della Seleco.

14.
    Nel 1994 e nel 1995 la Seleco subiva nuovamente ingenti perdite, con il conseguente obbligo, alla fine del 1995, di decidere nuovamente se procedere alla liquidazione o alla ricapitalizzazione. Ancora una volta veniva deciso di procedere alla ricapitalizzazione. In particolare, un nuovo azionista, la società privata SOREC, conferiva ITL 28,8 miliardi. Nel febbraio 1996 la ripartizione del capitale sociale della Seleco era la seguente: l'87,91% alla SOREC, il 5,22% alla SOFIN, il 3,49% alla Friulia, il 2,82% al pool di banche e lo 0,56% ai dipendenti. Nell'aprile 1996 la Friulia accordava alla Seleco un prestito convertibile per ITL 12 miliardi su pegno di quattro marchi industriali della Seleco. Nel giugno dello stesso anno, la REL cedeva alla Seleco al prezzo di ITL 20 miliardi il suo credito residuo di ITL 65,2 miliardi.

15.
    Poiché questi interventi non erano sufficienti, dal punto di vista giuridico, a consentire la prosecuzione dell'attività della Seleco, si rendevano indispensabili altri interventi. Così la Seleco emetteva un prestito obbligazionario che veniva sottoscritto da un pool di banche e vendeva due terzi delle azioni da essa detenute nella Multimedia, come descritto al punto 9 della presenta sentenza.

16.
    La Seleco veniva dichiarata fallita il 17 aprile 1997. Il curatore fallimentare esperiva un'azione revocatoria contro il riscatto al prezzo di ITL 20 miliardi del suo debito residuo di ITL 65,2 miliardi da parte della Seleco nei confronti della REL. Il giudice italiano adito sopprimeva il carattere privilegiato del debito contratto dalla Seleco nei confronti della Friulia. Quest'ultima riceveva un indennizzo di ITL 1 miliardo quale compensazione della perdita del pegno sui quattro marchi industriali della Seleco che le erano stati dati in garanzia.

La decisione impugnata

17.
    Dopo aver appreso che l'aiuto a favore della Seleco notificatole dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia era già stato erogato e che la REL aveva parzialmente rinunciato ai suoi crediti nei confronti della Seleco in base ad un accordo concluso nel 1994 a copertura delle perdite dell'esercizio 1993, il 27 settembre 1994 la Commissione decideva di avviare il procedimento di cui all'art. 93, n. 2, del Trattato CE (divenuto art. 88, n. 2, CE). In seguito, essendo venuta a conoscenza - tramite la stampa - del fatto che erano stati effettuati a favore della Seleco nuovi interventi pubblici, con decisione 3 febbraio 1998 la Commissione estendeva il detto procedimento a tali altre misure.

18.
    Tale procedimento si concludeva con l'adozione della decisione impugnata, il cui dispositivo recita:

«Articolo 1

Sono incompatibili con il mercato comune i seguenti aiuti di Stato ai quali l'Italia ha dato esecuzione in favore della Seleco SpA:

a)     la rinuncia parziale, da parte di Ristrutturazione Elettronica SpA, a 16,8 miliardi su 82 miliardi di ITL di crediti del 1994;

b)     il riscatto, da parte di Seleco SpA, del saldo del debito vantato da Ristrutturazione Elettronica SpA di 65,2 miliardi di ITL al prezzo di 20 miliardi nel 1996;

c)     la conversione in azioni, da parte di Friulia SpA, di un prestito di 6 miliardi di ITL accordato da questa stessa società nel 1992;

d)     l'apporto di 7 miliardi di ITL di capitale effettuato da Friulia SpA nel 1994;

e)     la concessione, da parte di Friulia SpA, nel 1996, di un prestito convertibile di 12 miliardi di ITL al tasso del 7% su pegno di quattro marchi industriali di Seleco SpA.

Articolo 2

1.    L'Italia prende tutti i provvedimenti necessari per recuperare gli aiuti di cui all'articolo 1, già posti illegalmente a disposizione dei beneficiari, presso la Seleco SpA e, in subordine per la parte non recuperabile presso la Seleco SpA, presso la società Seleco Multimedia Srl e ogni altra impresa che abbia beneficiato di trasferimenti di attivi idonei a vanificare gli effetti della presente decisione.

2.     Il recupero è effettuato in base alle procedure di diritto nazionale. Gli importi da recuperare generano interessi a decorrere dalla data in cui sono stati messi a disposizione del beneficiario fino al loro recupero effettivo. Gli interessi sono calcolati sulla base del tasso di riferimento utilizzato per il calcolo dell'equivalente sovvenzione nell'ambito degli aiuti a finalità regionale al momento della concessione degli aiuti.

Articolo 3

Entro due mesi a decorrere dalla data della notificazione della presente decisione, l'Italia informa la Commissione circa i provvedimenti presi per conformarvisi.

Articolo 4

La Repubblica italiana è destinataria della presente decisione».

19.
    Alla luce di quanto sopra, la Repubblica italiana e la SIM Multimedia hanno proposto il presente ricorso contro la decisione impugnata.

Nel merito

20.
    Nel ricorso proposto dal governo italiano si contesta la qualificazione come aiuti di Stato delle operazioni della REL e della Friulia, l'obbligo di recuperare presso la Seleco il preteso aiuto accordato a quest'ultima dalla REL nel 1996 nonché l'obbligo di recuperare gli asseriti aiuti di Stato presso la Multimedia. Solo quest'ultimo profilo forma oggetto del ricorso della SIM Multimedia.

Sulla qualificazione come aiuti di Stato delle operazioni della REL e della Friulia

Argomenti delle parti

21.
    Il governo italiano sostiene che entrambe le ricapitalizzazioni della Seleco, del 1994 e del 1996, implicavano certamente un margine di rischio, ma nondimeno, secondo una valutazione ex ante, avevano ragionevoli prospettive di successo. A tale proposito, il governo italiano ricorda che nel 1994 gli interventi pubblici sono stati dell'ordine di ITL 30 miliardi e quelli privati di ITL 32 miliardi circa. Nel 1996 gli interventi della Friulia sarebbero ammontati a ITL 12 miliardi, quelli della REL a 45 miliardi, mentre il settore privato avrebbe apportato ITL 40,8 miliardi. Questo massiccio intervento di investitori privati permetterebbe già in sé di dimostrare che le due ricapitalizzazioni, dirette a rilanciare le attività della Seleco, erano considerate ragionevoli per un investitore privato operante nelle normali condizioni di un'economia di mercato.

22.
    L'argomento della Commissione secondo il quale gli investitori privati sarebbero stati indotti dai poteri pubblici a ricapitalizzare la Seleco è confutato dal governo italiano. In realtà, proprio gli organi pubblici avrebbero deciso d'intervenire solo se anche gli investitori privati fossero stati disposti a farlo.

23.
    Riguardo all'intervento della REL nel 1994, il governo italiano precisa che per il credito di ITL 82 miliardi non sussisteva alcuna garanzia e che, in caso di liquidazione della Seleco, la REL non avrebbe avuto praticamente alcuna possibilità di recuperare, neppure parzialmente, i propri crediti. Dati tali presupposti, la REL avrebbe preferito rinunciare a un quinto del suo credito, a condizione che altri investitori provvedessero integralmente alla ricapitalizzazione. In tal modo essa sarebbe potuta uscire dal capitale sociale della Seleco, in conformità degli impegni assunti nei confronti della Commissione di cedere ad azionisti privati le partecipazioni da essa detenute nelle imprese del settore. Inoltre, la REL avrebbe avuto fondate speranze di recuperare i restanti quattro quinti del suo credito. Analogamente, cedendo nel 1996 il residuo del credito di ITL 65,2 miliardi per la somma di ITL 20 miliardi, la REL avrebbe agito per gli stessi motivi.

24.
    Riguardo alla Friulia, il governo italiano rileva che, sebbene la partecipazione della Regione Friuli-Venezia Giulia al capitale sociale di tale impresa sia maggioritaria, i soci privati vi dispongono di ampi poteri decisionali e di disimpegno. Gli interventi nel 1994 e nel 1996 sarebbero stati fatti dalla Friulia con i propri fondi. Pertanto gli interventi di tale società non sarebbero di natura pubblica.

25.
    Comunque, tenuto conto delle perdite subite dalla Seleco per l'esercizio 1993 e avendo constatato che, in caso di liquidazione, essa avrebbe potuto realizzare al massimo il 50% del suo credito di ITL 6 miliardi, la Friulia, nel 1994, avrebbe ritenuto opportuno convertire in azioni tale credito e apportare nuovi capitali per ITL 7 miliardi, come stavano facendo in parallelo privati e banche pubbliche e private.

26.
    Il governo italiano sostiene, per quanto concerne la concessione, nel 1996, del prestito convertibile di ITL 12 miliardi ad opera della Friulia al tasso del 7% annuo, garantito da quattro marchi della Seleco, che si trattava di un'operazione conforme al mercato. Infatti, da un lato, il valore dei marchi sarebbe stato palesemente considerevole, e, dall'altro, un prestito obbligazionario di pari importo sarebbe stato concesso a un tasso inferiore e senz'altra garanzia o contropartita da parte di un pool di banche private e pubbliche, senza che la Commissione avesse sollevato obiezioni al riguardo. Il fatto che, in sede di liquidazione della Seleco, tali marchi siano stati ceduti per un solo miliardo di ITL sarebbe da ascrivere alla notevole diminuzione del loro valore a seguito del fallimento. Infine, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione al punto 91 della motivazione della decisione impugnata, la legge italiana non prevederebbe, in sede di liquidazione di una società in fallimento, che i crediti inerenti ad un prestito obbligazionario abbiano precedenza rispetto agli altri crediti chirografari.

27.
    La Commissione, rinviando alla sua comunicazione 94/C 368/05, intitolata «Orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà», pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee del 23 dicembre 1994 (GU C 368, pag. 12), fa valere che le misure a favore della Seleco non rientravano nella logica di un normale investitore privato. A suo parere, tali provvedimenti sarebbero stati concessi al solo scopo di ritardare il più possibile la scomparsa della Seleco e di evitare le conseguenze sociali che sarebbero derivate da un piano di licenziamenti.

28.
    Al riguardo la Commissione osserva, in sostanza, che già da tempo la situazione finanziaria della Seleco era critica e che mancava qualsiasi piano credibile di ristrutturazione. Inoltre, dal 1992, il settore europeo dei beni di consumo elettronici avrebbe attraversato una crisi di sovrapproduzione accompagnata da un aumento dei costi, da una caduta dei prezzi, da un aumento della concorrenza e da una sensibile riduzione della manodopera. Poiché l'erosione dei prezzi si rivelava più rapida in Italia che negli altri Stati membri, i concorrenti della Seleco avrebbero deciso di aumentare le spese di pubblicità e i loro investimenti nella ricerca e nello sviluppo.

29.
    Secondo la Commissione la decisione di non liquidare la Seleco, adottata nel 1994, e l'intervento di investitori pubblici e privati alla ricapitalizzazione di tale società, sono stati in realtà dettati dal governo italiano e non corrisponderebbero ad operazioni effettuate da un investitore privato operante secondo i principi abituali del mercato. Il fatto che investitori privati abbiano partecipato ad entrambe le ricapitalizzazioni non potrebbe automaticamente escludere la natura di aiuti di Stato dei concomitanti interventi delle pubbliche autorità. Queste ultime non dovrebbero lanciarsi in investimenti dissennati, anche se incauti investitori privati vi si avventurino.

30.
    Secondo la Commissione, la Friulia, il cui capitale sociale appartiene per l'87% alla Regione Friuli-Venezia Giulia, è da questa controllata. Di conseguenza i suoi conferimenti di capitale sarebbero stati il risultato di un comportamento ascrivibile allo Stato membro.

Giudizio della Corte

31.
    Occorre anzitutto esaminare se le operazioni della Friulia di cui all'art. 1, lett. c), d) ed e), della decisione impugnata, quali ricordate segnatamente al punto 18 della presente sentenza, debbano essere considerate come effettuate mediante risorse statali, ai sensi dell'art. 87, n. 1, CE.

32.
    A tale proposito occorre rilevare che, pur avendo sostenuto che i soci privati della Friulia vi dispongono di ampi poteri decisionali e di disimpegno, il governo italiano non contesta l'affermazione della Commissione secondo cui tale società è sotto il controllo della Regione Friuli-Venezia Giulia.

33.
    Orbene, le risorse finanziarie di una società di diritto privato quale la Friulia, all'87% di proprietà di un ente locale come la Regione Friuli-Venezia Giulia e che opera sotto il controllo di quest'ultima, possono essere considerate risorse statali ai sensi dell'art. 87, n. 1, CE (v., in tal senso, sentenze 14 novembre 1984, causa 323/82, Intermills/Commissione, Racc. pag. 3809, punto 32, e 2 febbraio 1988, cause riunite 67/85, 68/85 e 70/85, Van der Kooy/Commissione, Racc. pag. 219, punti 36 e 38). Il fatto che la Friulia sia intervenuta con fondi propri è irrilevante al riguardo. Infatti, perché questi ultimi siano definiti risorse statali è sufficiente, come risulta nel caso di specie, che essi restino costantemente sotto controllo pubblico, e quindi a disposizione delle autorità pubbliche competenti (v. in tal senso, sentenza 16 maggio 2002, causa C-482/99, Francia/Commissione, Racc. pag. I-4397, punto 37).

34.
    Ne consegue che la Commissione a giusto titolo ha potuto considerare, nella decisione impugnata, che le operazioni della Friulia erano state effettuate mediante risorse statali, ai sensi dell'art. 87, n. 1, CE.

35.
    Successivamente, occorre ricordare che l'art. 87 CE si prefigge lo scopo di evitare che sugli scambi tra Stati membri incidano eventuali vantaggi concessi dalle pubbliche autorità i quali, sotto varie forme, alterino o rischino di alterare la concorrenza, favorendo determinate imprese o determinate produzioni. Il concetto di aiuto può designare dunque non soltanto prestazioni positive come le sovvenzioni, i prestiti o le assunzioni di partecipazione al capitale di imprese, ma anche interventi i quali, in varie forme, alleviano gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di un'impresa e che di conseguenza, senza essere sovvenzioni in senso stretto, hanno la stessa natura e producono effetti identici (v., in tale senso, sentenze 10 luglio 1986, causa 234/84, Belgio/Commissione, Racc. pag. 2263, punto 13, e 11 luglio 1996, causa C-39/94, SFEI e a., Racc. pag. I-3547, punto 58).

36.
    Secondo la giurisprudenza della Corte, l'intervento, sotto qualsiasi forma, delle autorità pubbliche nel capitale di un'impresa può costituire aiuto di Stato se sussistono tutti i presupposti previsti dall'art. 87, n. 1, CE (v., in particolare, sentenze 21 marzo 1990, causa C-142/87, Belgio/Commissione, detta «Tubemeuse», Racc. pag. I-959, punto 25; 14 settembre 1994, cause riunite da C-278/92 a C-280/92, Spagna/Commissione, Racc. pag. I-4103, punto 20, e Francia/Commissione, cit., punto 68).

37.
    Inoltre, occorre sottolineare come discenda dal principio della parità di trattamento tra le imprese pubbliche e quelle private che i capitali messi a disposizione di un'impresa, direttamente o indirettamente, da parte dello Stato, in circostanze che corrispondono alle normali condizioni del mercato, non possono essere considerati aiuti di Stato (sentenza 21 marzo 1991, causa C-303/88, Italia/Commissione, Racc. pag. I-1433, punto 20).

38.
    Pertanto, in base ad una giurisprudenza anch'essa costante, occorre valutare se, in circostanze analoghe, un investitore privato di dimensioni paragonabili a quelle degli enti che gestiscono il settore pubblico avrebbe potuto essere indotto ad effettuare conferimenti di capitali di simile entità (sentenze 3 ottobre 1991, causa C-261/89, Italia/Commissione, Racc. pag. I-4437, punto 8; Spagna/Commissione, cit., punto 21, e 14 settembre 1994, causa C-42/93, Spagna/Commissione, Racc. pag. I-4175, punto 13), tenuto conto in particolare delle informazioni disponibili e degli sviluppi prevedibili alla data dei detti conferimenti (v. sentenza Francia/Commissione, cit., punto 70).

39.
    Trattandosi in tali casi di una valutazione economica complessa, il sindacato giurisdizionale su un atto della Commissione che contenga una valutazione del genere deve limitarsi alla verifica dell'osservanza delle norme relative alla procedura e alla motivazione, dell'esattezza materiale dei fatti considerati nell'operare la scelta contestata, dell'insussistenza di errore manifesto di valutazione di tali fatti o dell'insussistenza di sviamento di potere (v., in particolare, sentenza 29 febbraio 1996, causa C-56/93, Belgio/Commissione, Racc. pag. I-723, punto 11).

40.
    Nel caso di specie occorre dunque valutare se, in circostanze analoghe, un investitore privato di dimensioni paragonabili a quelle della REL o della Friulia avrebbe potuto essere indotto ad effettuare conferimenti di capitali di simile entità, tenuto conto in particolare delle informazioni disponibili e degli sviluppi prevedibili alla data dei detti conferimenti.

41.
    In primo luogo, è pacifico che, all'epoca della prima operazione di ricapitalizzazione della Seleco, la situazione finanziaria di tale società non era sana. Infatti, come ricordato al punto 62 della motivazione della decisione impugnata, la Seleco, pur avendo beneficiato di aiuti pubblici per più di dieci anni, ha continuato a registrare risultati negativi durante tutto questo periodo, ad eccezione di profitti molto bassi durante gli esercizi finanziari 1991 e 1992. In particolare, il risultato netto dell'esercizio 1993 rivelava una perdita di ITL 77,5 miliardi, importo una volta e mezzo superiore al capitale sociale della Seleco (punti 19 e 61 della motivazione della decisione impugnata). Per giunta, tale risultato si inseriva in un contesto di recessione economica che aveva provocato un rallentamento della crescita, una maggiore concorrenza e una sensibile caduta dei prezzi nel settore europeo dell'elettronica di consumo, il cui declino si era iniziato nel 1992 (punti 52 e 53 della motivazione della decisione impugnata). Il 1993, anch'esso risultato come il secondo anno di declino del mercato italiano dell'elettronica di consumo, ha registrato in Italia un'erosione dei prezzi più rapida che negli altri Stati membri. Sul mercato italiano, che, secondo le previsioni, doveva risentire degli effetti della recessione economica per tutto il 1994, i concorrenti della Seleco hanno investito molto più nella pubblicità e nella ricerca e sviluppo e alcuni di essi hanno persino lanciato nuovi prodotti (punti 54 e 56 della motivazione della decisione impugnata).

42.
    In secondo luogo, occorre ricordare che il piano di ristrutturazione della Seleco 1993-1996, il secondo dall'inizio degli anni '90, prospettava un «ripristino della redditività» a partire dal 1995, mentre il primo piano, relativo al periodo 1990-1993, aveva dal canto suo previsto un ritorno ad un utile significativo nel 1993 (punto 68 della motivazione della decisione impugnata). Tuttavia, su richiesta della Friulia, il piano di ristrutturazione relativo al periodo 1993-1996 era stato esaminato dalla società KPMG Peat Marwick Corporate Finance (in prosieguo: la «KPMG»), perito indipendente, la quale aveva concluso che tale piano era troppo ambizioso a causa sia della situazione della Seleco sia delle ipotesi su cui si basava. In particolare, lo studio della KPMG precisava che:

«-    le previsioni di una contrazione significativa del volume di vendita, controbilanciata da un aumento dell'8% dei prezzi a partire dalla seconda metà del 1994, erano infondate,

-    Seleco non aveva i mezzi per lanciare il suo prodotto come un prodotto “di tecnologia e qualità”,

-    l'ipotesi connessa all'aumento dei prezzi non teneva conto della forza contrattuale dei grandi magazzini e quindi della diminuzione ulteriore dei margini di utile di Seleco, da sempre il suo punto debole. Infatti il posizionamento di Seleco su una fascia di prezzi medi non le aveva mai permesso di affermarsi né in termini di margini (prezzi elevati) né in termini di quantità (quote di mercato insufficienti),

-    lo sviluppo dell'unico settore effettivamente redditizio di Seleco (prodotti professionali), per il quale si prevedeva un aumento del 21% nel 1995, rischiava di essere rallentato dalla crisi finanziaria del gruppo».

43.
    In terzo luogo, risulta dal verbale dell'assemblea della Seleco del 1° febbraio 1994, allegato in copia al ricorso del governo italiano, che la REL, i cui rappresentanti avevano partecipato a numerose riunioni con rappresentanti del Ministero dell'Industria e della Presidenza del Consiglio, si era dichiarata disposta, tenuto conto in particolare degli interessi connessi all'occupazione, a coprire l'ammontare delle perdite eccedenti il patrimonio netto della società proporzionalmente alla sua quota sociale, rinunciando a parte dei crediti da essa vantati nei confronti della Seleco.

44.
    Da quanto precede discende che, per quanto riguarda la ricapitalizzazione della Seleco del 1994, né la Friulia né la REL hanno agito come un investitore privato operante nelle normali condizioni di un'economia di mercato. Infatti, un investitore privato operante in tali condizioni non avrebbe effettuato i conferimenti di capitale accordati dalla Friulia o dalla REL a favore di un'impresa in difficoltà come la Seleco senza disporre di un piano di ristrutturazione credibile e realistico o prendendo in considerazione preoccupazioni di ordine sociale (v., su quest'ultimo punto, sentenza 21 marzo 1991, Italia/Commissione, cit., punti 18 e 24), non cercando quindi di garantirsi una prospettiva verosimile di redditività da tali conferimenti.

45.
    Pertanto la Commissione ha potuto a giusto titolo ritenere che la REL e la Friulia non potessero aspettarsi che i conferimenti di capitale effettuati nell'ambito della ricapitalizzazione della Seleco del 1994 producessero un rendimento accettabile per un investitore privato operante in normali condizioni di mercato.

46.
    Occorre considerare, di conseguenza, che gli interventi della REL e della Friulia nell'ambito della prima ricapitalizzazione della Seleco costituivano aiuti di Stato ai sensi dell'art. 87, n. 1, CE.

47.
    Per quanto riguarda la seconda ricapitalizzazione della Seleco, si deve sottolineare che l'esercizio 1995 aveva rivelato, per la Seleco, una perdita di ITL 64,2 miliardi, pari a quasi il doppio dell'ammontare del suo capitale sociale, mentre il piano di ristrutturazione di tale società relativo al periodo 1993-1996 puntava su un «ripristino della redditività» a partire dal 1995.

48.
    Poiché il piano di ristrutturazione della Seleco si era rivelato irrealizzabile, e non avendo ricevuto comunicazione di un qualsiasi diverso piano di ristrutturazione che le consentisse, eventualmente, di considerare accettabile tale secondo intervento, la Commissione ha potuto, a buon diritto, ritenere che nessun investitore privato avveduto operante nelle normali condizioni di un'economia di mercato avrebbe effettuato i conferimenti di capitale che la REL e la Friulia hanno eseguito, all'atto della ricapitalizzazione della Seleco del 1996, a favore di tale società, la cui situazione finanziaria permaneva negativa, o addirittura critica.

49.
    Pertanto, anche gli interventi della REL e della Friulia nell'ambito della seconda ricapitalizzazione della Seleco costituivano aiuti di Stato ai sensi dell'art. 87, n. 1, CE.

50.
    Occorre dunque respingere il primo motivo dedotto dal governo italiano.

Sull'obbligo di recuperare presso la Seleco l'aiuto concessole dalla REL nel 1996

Argomenti delle parti

51.
    Secondo il governo italiano, la decisione della Commissione, nella parte in cui impone alle autorità italiane di recuperare l'aiuto consistente nel riscatto effettuato dalla Seleco nel 1996 del credito di ITL 65,2 miliardi che la REL vantava ancora nei suoi confronti, per un importo di ITL 20 miliardi, non avrebbe senso ai fini della salvaguardia degli interessi comunitari. Infatti, se una siffatta operazione di riscatto costituisse un aiuto, essa dovrebbe essere invalidata. In tal caso, la REL dovrebbe restituire ITL 20 miliardi al fallimento e successivamente iscrivere il suo precedente credito di ITL 65,2 miliardi nel fallimento come credito chirografario. Orbene, una siffatta soluzione avrebbe un effetto positivo solo per la Seleco.

52.
    La Commissione fa valere che, disponendo il recupero dell'aiuto illegittimo, essa si limita ad applicare un principio generale e cogente che essa non può modulare in funzione degli interessi delle imprese coinvolte in una procedura fallimentare. La soppressione di un aiuto illegittimo mediante restituzione costituirebbe la conseguenza logica dell'accertamento della sua illegittimità.

Giudizio della Corte

53.
    A tale proposito va ricordato che risulta da una giurisprudenza costante che la soppressione di un aiuto illegittimo mediante recupero è la logica conseguenza dell'accertamento della sua illegittimità (v., segnatamente, sentenze Tubemeuse, cit., punto 66, e 22 marzo 2001, causa C-261/99, Commissione/Francia, Racc. pag. I-2537, punto 22).

54.
    Quindi, nella misura in cui il riscatto da parte della Seleco, nel 1996, del credito di ITL 65,2 miliardi che la REL vantava ancora nei suoi confronti, per un importo di ITL 20 miliardi, costituisce un aiuto illegittimo, la Commissione può ingiungere alla Repubblica italiana di prendere i provvedimenti necessari per recuperarlo (v., in tal senso, sentenza 24 febbraio 1987, causa 310/85, Deufil/Commissione, Racc. pag. 901, punto 24).

55.
    Il fatto che la REL dovrebbe restituire ITL 20 miliardi al fallimento e chiedere l'iscrizione del suo precedente credito chirografario di ITL 65,2 miliardi nel passivo della Seleco, ammesso che sia accertato, non può, nel caso di specie, rimettere in discussione il principio del recupero dell'aiuto illegittimo.

56.
    Di conseguenza, il secondo motivo del governo italiano deve essere respinto.

Sull'obbligo di recuperare gli aiuti di Stato presso la Multimedia

57.
    La decisione impugnata, nella parte in cui impone alla Repubblica italiana di recuperare, se del caso, gli aiuti controversi presso la Multimedia, forma oggetto di vari motivi d'annullamento. Il governo italiano e la SIM Multimedia deducono entrambi un motivo tratto dalla violazione dei diritti della difesa. La SIM Multimedia fa valere altresì motivi relativi all'inesistenza di aiuti di Stato a favore della Multimedia, all'insufficienza e alla contraddittorietà della motivazione della decisione impugnata nonché alla sproporzione fra l'ordine di recupero a danno della Multimedia e le dimensioni del ramo d'azienda di cui trattasi.

58.
    Occorre esaminare, in primo luogo, il motivo relativo all'inesistenza di aiuti a favore della Multimedia.

Argomenti delle parti

59.
    La SIM Multimedia sostiene che la Commissione non ha dimostrato che il ramo d'azienda di cui fanno parte i videoproiettori e i monitor (in prosieguo: il «ramo multimediale»), che è stato separato dalla Seleco e incorporato nella Multimedia, abbia beneficiato degli aiuti di cui all'art. 1 della decisione impugnata. Per quanto riguarda gli aiuti concessi dalla REL e dalla Friulia alla Seleco nel 1994 [v. art. 1, lett. a), c) e d), della decisione impugnata], la SIM Multimedia sostiene che dall'analisi dei conti economici della Seleco relativi agli esercizi 1993, 1994 e 1995 risulta che il ramo multimediale non ne ha ricavato vantaggi. Il ramo multimediale non può aver beneficiato neanche degli aiuti che la Seleco ha ricevuto dalla REL e dalla Friulia nel 1996 [v. art. 1, lett. b) ed e), della decisione impugnata]. Infatti, tali aiuti sarebbero stati accordati alla Seleco successivamente alla cessione alla Multimedia del suo ramo multimediale.

60.
    La SIM Multimedia ricorda che, a seguito della cessione del ramo multimediale alla Multimedia, la Seleco, che aveva ottenuto il 100% delle azioni della Multimedia come corrispettivo di tale cessione, ha venduto alla Friulia e alla Italtel i due terzi di queste azioni a un prezzo corrispondente al valore del detto ramo d'azienda, quale stimato da un perito indipendente. Di conseguenza, anche ammesso che il ramo multimediale abbia beneficiato degli aiuti di cui trattasi, il loro importo sarebbe stato incluso nel suo valore, stimato dal perito indipendente e trasferito successivamente alla Seleco tramite il prezzo pagato per le azioni della Multimedia. In tal modo, la Seleco resterebbe l'unico ed effettivo beneficiario degli aiuti summenzionati. Di conseguenza l'attivo del fallimento di tale società non si sarebbe impoverito né avrebbe subito alcun pregiudizio.

61.
    La Commissione precisa che il ramo multimediale costituiva parte integrante della Seleco, almeno fino al 18 luglio 1996, data in cui tale società, di cui la Multimedia era una controllata al 100%, ha venduto alla Friulia e alla Italtel due terzi delle azioni da essa possedute nella Multimedia. Pertanto, il ramo multimediale dovrebbe agli aiuti di cui all'art. 1 della decisione impugnata, non soltanto la sua sopravvivenza, ma la sua stessa esistenza. A tale proposito, la Commissione ricorda che, tenuto conto dello stato di profonda crisi della Seleco a partire dal 1983, senza gli aiuti della REL e della Friulia l'impresa sarebbe da lungo tempo scomparsa. Peraltro, tali aiuti sarebbero stati accordati alla Seleco per compensare le perdite di gestione complessivamente considerate, senza che i poteri pubblici imponessero condizioni specifiche quanto alla loro destinazione. Quindi, tutti i rami della Seleco avrebbero beneficiato indistintamente di tali aiuti a vario titolo. Infatti, senza i detti aiuti gli amministratori della Seleco avrebbero certamente distratto somme di denaro provenienti dalle risorse proprie e destinate alle attività multimediali per soddisfare le esigenze sociali, per definizione prioritarie.

62.
    Per quanto riguarda più in particolare gli aiuti accordati alla Seleco nel 1996, la Commissione afferma che il ramo multimediale ne ha effettivamente beneficiato. Infatti, si tratterebbe di aiuti di salvataggio, cioè aiuti destinati a compensare perdite subite in precedenza dalla Seleco, nella fattispecie perdite registrate nel corso dell'esercizio 1995, epoca in cui la Seleco non aveva ancora ceduto il detto ramo alla Multimedia e in cui quest'ultima società era solo una scatola vuota.

63.
    La Commissione fa valere altresì che la circostanza che la società madre decida, in epoca successiva, di vendere a terzi tutte o gran parte delle azioni della controllata in suo possesso è irrilevante ai fini dell'obbligo per la società figlia di restituire gli aiuti indebitamente percepiti. Infatti, se l'evoluzione dell'azionariato modifica il rapporto patrimoniale con la società madre sul piano interno, essa non altererebbe la capacità di produzione della società figlia la quale, attraverso le sue attività economiche che hanno indebitamente beneficiato di aiuti illeciti, continua a causare distorsioni di concorrenza.

64.
    Infine, la Commissione osserva che il prezzo della cessione del ramo multimediale è stato influenzato dal fatto che gli interessati, in particolare la Friulia e la Italtel nonché il perito indipendente, non erano certamente ignari dei rischi propri del procedimento avviato ai sensi dell'art. 93, n. 2, del Trattato, che aveva formato oggetto di comunicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee del 29 dicembre 1994 (GU C 373, pag. 5), recante in particolare l'obbligo di restituire gli aiuti entro una data determinata.

Giudizio della Corte

65.
    In via preliminare occorre ricordare che, conformemente al diritto comunitario, la Commissione, qualora constati che taluni aiuti sono incompatibili con il mercato comune, può ingiungere allo Stato membro di recuperarli presso i beneficiari (v. sentenza 12 luglio 1973, causa 70/72, Commissione/Germania, Racc. pag. 813, punto 20).

66.
    La soppressione di un aiuto illegittimo mediante recupero è la logica conseguenza dell'accertamento della sua illegittimità (v. sentenza Tubemeuse, cit., punto 66) ed è intesa al ripristino dello status quo ante (sentenza 13 giugno 2002, causa C-382/99, Paesi Bassi/Commissione, Racc. pag. I-5163, punto 89).

67.
    L'art. 2, n. 1, della decisione impugnata dispone che la Repubblica italiana è tenuta a prendere tutti i provvedimenti necessari per recuperare gli aiuti incompatibili individuati dalla Commissione e già posti illegalmente a disposizione dei beneficiari, presso la Seleco e, per la parte non recuperabile presso tale società, presso la Multimedia e ogni altra impresa che abbia beneficiato di trasferimenti di attivi idonei a vanificare gli effetti della decisione impugnata.

68.
    La Commissione ha giustamente motivato tale parte del dispositivo della decisione impugnata ricordando, al punto 113 della motivazione, che, in vista di una corretta esecuzione della detta decisione, lo Stato membro è chiamato ad adottare il comportamento di un creditore privato.

69.
    Sempre a giusto titolo la Commissione, ai punti 113-115 della motivazione della decisione impugnata, rileva quanto segue:

-    In vista di una corretta esecuzione della decisione della Commissione, lo Stato membro è chiamato a perseguire senza ritardo il recupero dell'aiuto facendo ricorso a tutti i mezzi giuridici disponibili, ivi compresi il sequestro degli attivi dell'impresa e, se necessaria, la messa in liquidazione di quest'ultima, ove essa non sia in misura di procedere al rimborso in questione. I risultati della vendita degli attivi permettono di procedere al rimborso dei diversi creditori, tra i quali lo Stato membro, anche se si verificasse che non sono sufficienti per coprire la totalità dei debiti dell'impresa e, di conseguenza, che l'aiuto non è integralmente recuperato. In tali circostanze, la liquidazione dell'impresa resta comunque importante sotto l'aspetto della concorrenza, poiché rende libera la parte di mercato occupata dall'impresa liquidata e la mette a disposizione dei creditori, offrendo in tal modo anche a questi ultimi la possibilità di acquisire gli attivi e impiegarli più efficacemente;

-    tuttavia, ci sono circostanze che possono contrastare tale processo, rimettere in causa l'efficacia della decisione di recupero e vanificare le regole sugli aiuti di Stato. Ciò si verifica quando, in seguito all'indagine o alla decisione della Commissione, gli attivi e i debiti «ongoing-concern» dell'impresa sono trasferiti ad un'altra società, controllata dalle stesse persone, a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle di mercato o attraverso procedure non trasparenti. Una tale operazione può essere diretta a mettere detti attivi al riparo dagli effetti della decisione della Commissione e a continuare all'infinito l'attività economica in causa;

-    come in ogni altra procedura di recupero, lo Stato membro, per agire come un creditore diligente, deve esperire tutti gli strumenti giuridici disponibili all'interno del proprio ordinamento giuridico, come quelli contro i comportamenti in frode ai creditori costituiti da atti dell'impresa in liquidazione eseguiti nel periodo sospetto precedente il fallimento, che permettono di ottenere la dichiarazione di inefficacia di tali atti.

70.
    Inoltre occorre ricordare, come rilevato al punto 47 della motivazione della decisione impugnata, che, secondo il governo italiano, la «Seleco avrebbe creato Multimedia innanzi tutto per associarsi all'unico altro produttore italiano dello stesso genere di prodotti (videoproiettori, monitor e decodificatori), Italtel, e per approfittare in tal modo della messa in comune del know-how tecnico e della clientela che Seleco aveva su questo mercato» e che «la vendita delle azioni di Multimedia permetteva a Seleco di procurarsi una parte della liquidità necessaria alla copertura delle perdite del 1995».

71.
    Dal fascicolo risulta peraltro quanto segue:

-    in una prima fase, dopo la costituzione nel 1995 della Multimedia, la Seleco, nel marzo 1996, ha raggruppato in seno alla prima impresa alcune delle sue attività divenendo l'unica proprietaria di quest'ultima;

-    in una seconda fase, nel giugno 1996, la Multimedia è stata trasformata in società per azioni;

-    in una terza fase, nel luglio 1996, la Seleco ha venduto i due terzi delle sue azioni nella Multimedia rispettivamente alla Italtel e alla Friulia per ITL 20 miliardi mentre la Seleco rimaneva proprietaria del restante terzo;

-    in una quarta fase, quest'ultimo terzo delle azioni nella Multimedia è stato venduto, nel dicembre 1997, ad una società privata in un'asta giudiziaria nell'ambito della liquidazione della Seleco.

72.
    E' inoltre pacifico che il valore del ramo multimediale ceduto dalla Seleco alla Multimedia come contropartita di tutte le azioni di quest'ultima era stato stimato da un perito giurato nominato a tal fine da un giudice nazionale. E' altresì pacifico che il prezzo pagato dalla Friulia e dalla Italtel per l'acquisto, effettuato alcuni mesi dopo la detta cessione, dei due terzi delle azioni possedute dalla Seleco nella Multimedia corrispondeva in sostanza ai due terzi del valore del ramo multimediale, quale stimato dal menzionato perito giurato. Orbene, la Commissione non ha addotto alcun elemento di prova concreto da cui si possa desumere che il perito sopramenzionato abbia stimato il valore del ramo multimediale ceduto dalla Seleco alla Multimedia prendendo in considerazione il rischio che quest'ultima società fosse tenuta, eventualmente, a restituire in tutto o in parte gli aiuti concessi alla Seleco.

73.
    E' del pari pacifico che il curatore fallimentare della Seleco non ha esperito azione revocatoria per la cessione, ad opera della Seleco, dei due terzi delle azioni da essa detenute nella Multimedia.

74.
    Infine, risulta dal fascicolo che la perizia effettuata, alla fine del 1997, su richiesta del giudice fallimentare, ha fissato il valore del capitale economico della Multimedia a un livello sensibilmente inferiore a quello stimato nell'ambito della precedente perizia.

75.
    In tale contesto si pone il problema se anche la Multimedia debba essere considerata beneficiaria dell'aiuto.

76.
    A tale proposito, occorre rilevare che la possibilità per una società in difficoltà economica di adottare misure di risanamento aziendale non può essere scartata a priori a motivo delle esigenze legate al recupero degli aiuti incompatibili con il mercato comune.

77.
    Tuttavia, come sostanzialmente sostenuto dalla Commissione dinanzi alla Corte, se fosse semplicemente permesso a un'azienda in difficoltà e sull'orlo del fallimento di creare, durante il procedimento d'indagine formale sugli aiuti che la riguardano individualmente, una controllata cui trasferire in seguito, prima che il procedimento d'indagine si concluda, i suoi attivi più redditizi, sarebbe consentita a tutte le società la possibilità di sottrarre tali attivi dal patrimonio della società madre al momento del recupero degli aiuti, il che rischierebbe di vanificare il recupero parziale o totale di detti aiuti.

78.
    Inoltre la Commissione ha precisato, ai punti 116 e 117 della decisione impugnata, che:

-    per evitare che sia vanificato l'effetto utile della decisione di recupero degli aiuti e che la distorsione del mercato continui, la Commissione può dover esigere che il recupero non si limiti all'impresa originaria ma si estenda all'impresa che continui l'attività dell'impresa originaria utilizzando i mezzi di produzione trasferiti, laddove certi elementi del trasferimento permettano di constatare una continuità economica tra le due imprese;

-    tra questi elementi la Commissione esamina l'oggetto del trasferimento (attivi e passivi, continuità della forza lavoro, attivi bundled), il prezzo del trasferimento, l'identità degli azionisti o dei proprietari dell'impresa acquirente e di quella originaria, il momento in cui il trasferimento è realizzato (dopo l'inizio delle indagini, dell'avvio del procedimento o della decisione finale) o infine la logica economica dell'operazione.

79.
    Nel caso di specie, è certamente pertinente rilevare, come ha fatto la Commissione ai punti 118 e 119 della decisione impugnata, che:

-    la Seleco, nel marzo del 1996, ha raggruppato le sue attività più redditizie nella società Multimedia, apportando ITL 29 miliardi nel capitale di questa società;

-    questa operazione, che ha contribuito a svuotare la Seleco della sua sostanza sotto un duplice profilo (attività e capitale), è intervenuta quando la Commissione aveva avviato il procedimento di cui all'art. 93, n. 2, del Trattato;

-    è verosimile che questa operazione non si sia limitata ad un trasferimento di attivi e che il trasferimento delle principali attività della Seleco si sia accompagnato ad un trasferimento alla Multimedia del personale (o di una parte del personale) corrispondente, e quindi ad un trasferimento di debiti, almeno sociali,

-    dopo la vendita da parte della Seleco dei due terzi delle sue azioni nella Multimedia, quest'ultima è rimasta sotto il controllo della Seleco e/o della Friulia (quest'ultima a sua volta terzo azionista della Seleco alla quale ha accordato un prestito convertibile di ITL 12 miliardi).

80.
    Ciononostante è giocoforza constatare che, in tale motivazione, la Commissione non si è affatto espressa in merito al prezzo del trasferimento mentre essa stessa ha menzionato tale elemento nella decisione impugnata come uno di quelli da prendere in considerazione.

81.
    Al riguardo, essa fa valere in particolare nella sua controreplica:

-    che essa suppone che il prezzo della cessione del ramo multimediale fosse influenzato e dettato dalle circostanze: in altri termini, in sede di determinazione del prezzo di vendita e del valore degli attivi in parola, le parti non avrebbero sicuramente potuto ignorare il rischio di incorrere in un procedimento ai sensi dell'art. 88, n. 2, CE e di dover rimborsare entro una data determinata gli aiuti qualificati illegittimi, e

-    che, ad ogni modo, l'importo del prezzo di vendita è irrilevante nel caso di specie, posto che si tratta di un'operazione relativa alle azioni.

82.
    Orbene, per quanto concerne la prima di tali affermazioni, occorre rilevare che, come ricordato al punto 72 della presente sentenza, la Commissione non ha fornito alcun elemento di prova concreto da cui si possa desumere che il perito giurato abbia tenuto conto di tale rischio.

83.
    Quanto alla seconda affermazione, occorre rilevare che, se è vero che la vendita di azioni di una società beneficiaria di un aiuto illegittimo da un azionista a un terzo non influisce sull'obbligo di recupero, la situazione controversa è diversa da tale caso di specie. Infatti, trattasi della vendita di azioni nella Multimedia, ad opera della Seleco, che ha creato tale società, e il cui patrimonio beneficia del prezzo di vendita delle azioni. Pertanto, non si può escludere che la Seleco abbia continuato a beneficiare degli aiuti percepiti con la vendita delle sue azioni al prezzo di mercato (v., a tale proposito, sentenza 20 settembre 2001, causa C-390/98, Banks, Racc. pag. I-6117, punti 77 e 78).

84.
    Va inoltre ricordato che la Commissione non ha tenuto conto, nella decisione impugnata, delle conseguenze dell'obbligo per la Repubblica italiana di recuperare gli aiuti illegittimi presso la Multimedia nei confronti della società privata che, durante l'asta giudiziaria nell'ambito della liquidazione della Seleco, ha acquistato il restante terzo delle azioni detenute nella Multimedia.

85.
    Tenuto conto di quanto esposto, risulta che la motivazione su cui si basa la decisione impugnata è insufficiente alla luce dell'art. 253 CE, in particolare per quanto concerne l'asserita irrilevanza del fatto che le azioni nella Multimedia sono state acquistate ad un prezzo che non sembra corrispondere al prezzo del mercato, mentre anche tale aspetto doveva essere preso in considerazione nel caso di specie.

86.
    Di conseguenza, occorre annullare l'art. 2, n. 1, della decisione impugnata nei limiti in cui dispone che la Repubblica italiana prende tutti i provvedimenti necessari per recuperare gli aiuti di cui all'art. 1 presso la Multimedia per la parte non recuperabile presso la Seleco.

87.
    Per il resto il ricorso è respinto.

Sulle spese

88.
    Ai sensi dell'art. 69, n. 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese. Poiché nella causa C-328/99 entrambe le parti sono rimaste in parte soccombenti, occorre statuire che ciascuna di esse sopporti le proprie spese.

89.
    Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Nella causa C-399/00, poiché la SIM Multimedia ne ha fatto domanda, la Commissione, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

Per questi motivi,

LA CORTE (Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)    L'art. 2, n. 1, della decisione della Commissione 2 giugno 1999, 2000/536/CE, relativa all'aiuto di Stato concesso dall'Italia all'impresa Seleco SpA, è annullato nei limiti in cui dispone che la Repubblica italiana prende tutti i provvedimenti necessari per recuperare gli aiuti di cui all'art. 1 presso la Seleco Multimedia Srl per la parte non recuperabile presso la Seleco SpA.

2)    Per il resto, il ricorso è respinto.

3)    Nella causa C-328/99, la Repubblica italiana e la Commissione delle Comunità europee sopportano ciascuna le proprie spese.

4)    Nella causa C-399/00, la Commissione delle Comunità europee è condannata alle spese.

Schintgen
Gulmann
Skouris

Macken

Cunha Rodrigues

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l'8 maggio 2003.

Il cancelliere

Il presidente della Sesta Sezione

R. Grass

J.-P. Puissochet


1: Lingua processuale: l'italiano.