Language of document : ECLI:EU:C:2019:140

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

M. CAMPOS SÁNCHEZ-BORDONA

presentate il 26 febbraio 2019(1)

Causa C129/18

SM

contro

Entry Clearance Officer, UK Visa Section

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito)]

«Procedimento pregiudiziale – Diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Direttiva 2004/38/CE – Nozione di discendente diretto di un cittadino dell’Unione – Ricongiungimento familiare – Minore sotto tutela in virtù del regime della kafala algerina – Diritto alla vita familiare – Tutela dell’interesse superiore del minore»






1.        Due coniugi di nazionalità francese, residenti nel Regno Unito, hanno chiesto alle autorità di tale paese un’autorizzazione all’ingresso, in qualità di adottata, di una minore algerina che avevano preso in affidamento (recueil legal) in Algeria con la formula della kafala (2).

2.        Di fronte al rifiuto delle autorità del Regno Unito di concedere l’autorizzazione, contro il quale la minore ha interposto i corrispondenti ricorsi, la Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito) chiede alla Corte di giustizia, in sintesi, se la direttiva 2004/38/CE (3) consenta di qualificarla come «discendente diretto» delle persone che l’hanno accolta in regime di kafala. In caso affermativo, verrebbe agevolato il suo ricongiungimento familiare nello Stato membro in cui risiedono dette persone.

I.      Contesto normativo

A.      Diritto internazionale

1.      Convenzione sui diritti del fanciullo (4)

3.        L’articolo 20 dispone quanto segue:

«1.      Ogni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato.

2.      Gli Stati parti prevedono per questo fanciullo una protezione sostitutiva, in conformità con la loro legislazione nazionale.

3.      Tale protezione sostitutiva può in particolare concretizzarsi per mezzo dell’affidamento familiare, della Kafalah di diritto islamico, dell’adozione o, in caso di necessità, del collocamento in adeguati istituti per l’infanzia. (…)».

2.      Convenzione dell’Aia del 29 marzo 1993 (5)

4.        Il testo di detta Convenzione non fa riferimento alla kafala.

3.      Convenzione dell’Aia del 19 ottobre 1996 (6)

5.        L’articolo 3 così recita:

«Le misure previste dall’articolo 1 possono vertere in particolare su:

(…)

e)      il collocamento del minore in una famiglia di accoglienza o in un istituto, o la sua assistenza legale tramite kafala o istituto analogo;

(…)».

6.        L’articolo 33 enuncia quanto segue:

«1.      Quando l’autorità competente ai sensi degli articoli da 5 a 10 prospetta il collocamento del minore in una famiglia di accoglienza o in un istituto, o la sua assistenza legale tramite kafala o istituto analogo, e quando tale collocamento o assistenza deve avvenire in un altro Stato contraente, essa consulta preliminarmente l’autorità centrale o un’altra autorità competente di quest’ultimo Stato. A tal fine le comunica un rapporto sul minore e i motivi della sua proposta di collocamento o assistenza.

2.      La decisione sul collocamento o l’assistenza può essere presa nello Stato richiedente solo se l’autorità centrale o un’altra autorità competente dello Stato richiesto ha approvato tale collocamento o assistenza, tenuto conto del superiore interesse del minore».

B.      Diritto dell’Unione

1.      Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea (7)

7.        Ai sensi dell’articolo 7:

«Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita (…) familiare (…)».

8.        L’articolo 24, paragrafo 2, così prevede:

«In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente».

2.      Direttiva 2004/38

9.        Ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera c):

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

2)      “familiare”:

(…)

c)      i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b)».

10.      L’articolo 3 così dispone:

«1.      La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo.

2.      Senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell’interessato lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l’ingresso e il soggiorno delle seguenti persone:

a)      ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, non definito all’articolo 2, punto 2, se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale (…);

(…)

Lo Stato membro ospitante effettua un esame approfondito della situazione personale e giustifica l’eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno».

11.      L’articolo 7, paragrafo 2, enuncia:

«Il diritto di soggiorno di cui al paragrafo 1 è esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnino o raggiungano nello Stato membro ospitante il cittadino dell’Unione, purché questi risponda alle condizioni di cui al paragrafo 1, lettere a), b) o c)».

12.      L’articolo 27 stabilisce quanto segue:

«1.      Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.

(…)».

13.      L’articolo 35 così prevede:

«Gli Stati membri possono adottare le misure necessarie per rifiutare, estinguere o revocare un diritto conferito dalla presente direttiva, in caso di abuso di diritto o frode, quale ad esempio un matrimonio fittizio. (…)».

C.      Diritto del Regno Unito

1.      The Immigration Regulations 2006 (regolamento sull’immigrazione del 2006) (8)

14.      Ai sensi dell’articolo 7:

«(1)      Fatto salvo il paragrafo 2, ai fini del presente regolamento, sono considerati come familiari di un’altra persona:

(…)

(b)      i suoi discendenti diretti o quelli del suo coniuge o del suo partner civile che:

(i)      hanno meno di 21 anni; o

(ii)      sono a suo carico o a carico del suo coniuge o del suo partner civile;

(…)».

15.      L’articolo 8 dispone quanto segue:

«(1)      Ai sensi del presente regolamento, si considera “membro della famiglia allargata” la persona che non sia un familiare di un cittadino del SEE in base all’articolo 7, paragrafo 1, lettere a), b) o c), e soddisfi le condizioni previste ai paragrafi 2, 3, 4 o 5.

(…)».

2.      Adoption and Children Act 2002 (legge sull’adozione e sui minori del 2002) (9)

16.      Ai sensi dell’articolo 83, costituisce una condotta penalmente rilevante portare un minore nel Regno Unito allo scopo di darlo in adozione in tale paese o che sia stato adottato in un altro paese, a meno che sia stata effettuata una valutazione da parte della agenzia per le adozioni del Regno Unito sull’idoneità degli adottanti ad adottare.

17.      L’articolo 66, paragrafo 1, elenca le adozioni che gli ordinamenti giuridici di Inghilterra e Galles riconoscono come tali. La kafala non compare in tale elenco.

D.      Diritto algerino

18.      Il Codice della famiglia algerino (in prosieguo: il «CFA») contiene nel libro II, capitolo VII, intitolato «Dell’affidamento legale (kafala)», le seguenti disposizioni:

Articolo 46: «L’adozione (tabanni) è proibita dalla sharia e dalla legge».

Articolo 116: «L’affidamento legale (kafala) consiste nell’impegno di prendere benevolmente in carico il mantenimento, l’educazione e la protezione di un minore, nel medesimo modo in cui il padre lo farebbe per il figlio. Esso è disposto con atto avente valore legale».

Articolo 117: «L’affidamento legale è accordato davanti al giudice o al notaio con il consenso del minore quando quest’ultimo ha un padre e una madre».

Articolo 118: «Il titolare del diritto di affidamento legale (kafil) deve essere mussulmano, avveduto, onesto, capace di mantenere il minore affidatogli (makful) e di proteggerlo».

Articolo 119: «Il minore accolto in affidamento può essere figlio di genitori noti o ignoti».

Articolo 120: «Il minore accolto in affidamento mantiene le generalità di origine se i suoi genitori sono noti. In caso contrario, si applica l’articolo 64 del codice sullo stato civile».

Articolo 121: «L’affidamento legale conferisce al beneficiario la tutela legale e gli dà diritto alle medesime prestazioni famigliari e scolastiche di un figlio legittimo».

Articolo 122: «L’attribuzione del diritto di affidamento legale assicura l’amministrazione dei beni del minore accolto in affidamento, quando questi derivino da successione, eredità o donazione, nel miglior interesse di quest’ultimo».

Articolo 123: «Il titolare del diritto di affidamento legale può trasmettere i suoi beni al minore in affidamento in legato o donazione nei limiti di un terzo. La disposizione testamentaria che superi tale limite è nulla e senza effetti, salvo consenso degli eredi».

Articolo 124: «In caso di domanda, da parte di entrambi i genitori o di uno di essi, di ritorno sotto la loro tutela del minore affidato, spetta a quest’ultimo, se in età di discernimento, scegliere se ritornare o meno dai suoi genitori. Il ritorno può avvenire solo previa autorizzazione del giudice, tenuto conto degli interessi del minore affidato, se il medesimo non è in età di discernimento».

Articolo 125: «L’azione per l’abbandono dell’affidamento legale deve essere presentata al giudice che l’ha disposto, previa notifica al Pubblico ministero (…)».

II.    Fatti

19.      L’ordinanza di rinvio (10) espone i seguenti fatti:

«–      La ricorrente, [SM], è nata in Algeria il 27 giugno 2010. (…) È cittadina algerina. Il suo tutore, il sig. M, è cittadino francese di origine algerina con diritto permanente di soggiorno nel Regno Unito. La sua tutrice, la sig.ra M, è cittadina francese per nascita. I due si sono sposati nel Regno Unito nel 2001. Trovandosi nell’impossibilità di concepire naturalmente, nel 2009 si sono recati in Algeria al fine di sottoporsi ad una valutazione concernente la loro idoneità a diventare tutori secondo l’istituto giuridico della “kafala”. Il giudice del First‑tier Tribunal (Tribunale di primo grado, Regno Unito) aveva stabilito [con sentenza del 7 ottobre 2013] che questa era “una scelta che i coniugi avevano compiuto avendo appreso che sarebbe stato più facile ottenere la custodia di un minore in Algeria di quanto lo sarebbe stato nel Regno Unito”.

–      Detti coniugi, giudicati idonei nel corso di un procedimento descritto dal giudice [del First‑tier Tribunal (Tribunale di primo grado)] come “sommario”, venivano informati nel giugno del 2010 che [SM] era stata abbandonata subito dopo la nascita. Presentavano pertanto richiesta per diventare tutori della bambina. Decorreva poi il termine legale di tre mesi durante il quale, secondo il diritto algerino, i genitori naturali avevano il diritto di richiedere la restituzione della minore.

–      Il 28 settembre 2010, il Ministero algerino per la solidarietà nazionale e la famiglia della provincia di Tizi Ouzou adottava un decreto che collocava [SM], la quale all’epoca aveva tre mesi d’età, sotto la loro tutela.

–      Il 22 marzo 2011 veniva emanato un atto di custodia legale che, tenuto conto del parere del pubblico ministero, attribuiva loro la custodia legale di [SM] e la responsabilità genitoriale nei termini previsti dall’ordinamento giuridico algerino. L’atto in questione richiede che i due tutori: “impartiscano alla minore loro affidata un’educazione secondo i precetti della religione islamica, si adoperino per mantenerla sana fisicamente e moralmente, provvedano ai suoi bisogni, si occupino della sua formazione scolastica, la trattino come se fossero i genitori naturali, la proteggano, la rappresentino di fronte all’autorità giudiziaria e assumano la responsabilità civile per atti pregiudizievoli”.

–      L’atto li autorizza inoltre a percepire gli assegni, i sussidi e le indennità familiari che possono legittimamente richiedere, a firmare tutti i documenti amministrativi e di viaggio e a viaggiare con [SM] fuori dall’Algeria.

–      Il 3 maggio 2011, il Tribunale di Tizi Ouzou emetteva un’ordinanza secondo cui il cognome di [SM], come risultante dal suo atto di nascita, doveva essere sostituito con il cognome del sig. e della sig. ra M.

–      Nell’ottobre 2011, il sig. M lasciava l’Algeria per ritornare nel Regno Unito, dove riprendeva il suo lavoro come cuoco. La sig.ra M rimaneva invece in Algeria con [SM].

–      Nel gennaio del 2012, [SM] presentava domanda per il rilascio di un visto per potersi recare in visita nel Regno Unito, richiesta che veniva respinta. Nel maggio del 2012 presentava domanda di autorizzazione all’ingresso in qualità di minore adottato da un cittadino del SEE ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, o, in subordine, del paragrafo 2 del medesimo articolo del regolamento del 2006.

–      L’[Entry Clearance Officer (ufficiale responsabile per il rilascio delle autorizzazioni all’ingresso, Regno Unito; in prosieguo: l’«ECO»)] respingeva tale richiesta considerato che (i) poiché l’Algeria non era parte della Convenzione dell’Aia sull’adozione internazionale del 1993 e non appariva nell’elenco di cui all’Adoption (Designation of Overseas Adoptions) Order 1973 [decreto sull’adozione (designazione di adozioni estere) del 1973] all’epoca in vigore, la tutela algerina non era riconosciuta dall’ordinamento giuridico del Regno Unito come un’adozione; e (ii) nessuna domanda era stata presentata secondo quanto previsto dall’articolo 83 della legge [sull’adozione e sui minori] del 2002 per l’adozione internazionale».

III. Procedimenti nel Regno Unito (11)

20.      Il First Tier Tribunal (Tribunale di primo grado) rigettava il ricorso presentato da SM contro il provvedimento dell’ECO. A suo avviso, SM non poteva essere considerata un minore legalmente o di fatto adottato e non rientrava nelle definizioni di «familiare», «membro della famiglia allargata» o «figlio adottivo di un cittadino del SEE» ai sensi del regolamento sull’immigrazione del 2006.

21.      Nell’appello proposto da [SM], l’Upper Tribunal (Tribunale superiore, Regno Unito) confermava che la minore non era un «familiare» ai sensi dell’articolo 7 del regolamento sull’immigrazione del 2006. Tuttavia, accoglieva l’appello di SM nella misura in cui la minore rientrava nella definizione di «membro della famiglia allargata» ai sensi dell’articolo 8. Il caso veniva dunque rimesso al Secretary of State (Ministro degli Interni, Regno Unito) affinché esercitasse il potere discrezionale conferito a tale organo dall’articolo 12, paragrafo 2, lettera c), di detto regolamento.

22.      La Court of Appeal (Corte d’appello, Regno Unito) accoglieva il ricorso interposto dall’ECO avverso la decisione dell’Upper Tribunal (Tribunale superiore). A suo avviso, la vera questione non era se SM fosse un «familiare» di cui all’articolo 7 o un «membro della famiglia allargata» di cui all’articolo 8 del regolamento sull’immigrazione del 2006, bensì se potesse essere qualificata «discendente diretto» secondo la definizione di «familiare» di cui all’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/38 o, in alternativa, se ricadesse nella definizione di «ogni altro familiare (…) [che] è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale (…)» di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), della medesima direttiva.

23.      Secondo la Court of Appeal (Corte d’appello), la direttiva 2004/38 consente agli Stati membri di limitare le tipologie di adozione da essi riconosciute ai fini dell’articolo 2, punto 2, lettera c). Non essendo stata adottata secondo modalità riconosciute dall’ordinamento giuridico del Regno Unito, SM non poteva rientrare nell’ambito di applicazione di tale disposizione, bensì in quello dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera a).

24.      La decisione della Court of Appeal (Corte d’appello) è stata impugnata dinanzi alla Supreme Court (Corte suprema), la quale sottopone alla Corte la questione pregiudiziale.

IV.    Questione pregiudiziale

25.      La Supreme Court (Tribunal Supremo) ha «pochi dubbi» riguardo al fatto che SM possa rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/38, sulla cui applicazione alla controversia essa svolge una serie di considerazioni alle quali farò riferimento nel prosieguo.

26.      Orbene, il giudice del rinvio espone che «non può semplicemente accogliere l’appello e ristabilire la decisione dell’Upper Tribunal [Tribunale superiore] alla luce del fatto che il caso di [SM] dovrebbe essere esaminato nel contesto dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), se in realtà la minore rientra nella definizione di “familiare” di cui all’articolo 2, punto 2, lettera c) [della direttiva 2004/38]. In tale circostanza, la minore beneficia automaticamente del diritto d’ingresso e soggiorno previsti dalla direttiva [2004/38]. Si pone la questione di cosa significhi dunque “discendente diretto”» (12).

27.      Dopo avere dichiarato che tale espressione si riferisce a figli e nipoti consanguinei e agli altri discendenti legati da vincolo di sangue in linea diretta, il giudice del rinvio afferma di non essere certo che essa si riferisca altresì ai non consanguinei. Ritiene, in ogni caso, che debbano rientrare in tale nozione «i discendenti che siano stati legittimamente adottati in conformità con i requisiti vigenti dello Stato ospitante».

28.      Orbene, secondo il giudice del rinvio, «vi sono ragioni per pensare che i confini di tale nozione siano più ampi», affermazione che esso basa su questi argomenti:

–      La comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio concernente gli orientamenti per un migliore recepimento e una migliore applicazione della direttiva 2004/38 (13) indica, al punto 2.1.2, che «la nozione di discendente diretto/ascendente diretto si estende anche agli adottati/adottanti (…) e ai minori sottoposti a tutela/tutori permanenti». Essendo collocata sotto la tutela legale permanente del sig. e della sig. ra M., SM rientrerebbe nell’ipotesi indicata dalla menzionata comunicazione.

–      La nozione di «discendente diretto» non può essere interpretata conformemente al diritto nazionale dello Stato membro ospitante, bensì costituisce un termine autonomo che richiede un’interpretazione uniforme in tutta l’Unione (14).

–      «Il fatto che alcuni Stati membri riconoscano minori “kafala” come diretti discendenti mentre altri non lo fanno, ostacola chiaramente la libera circolazione di quei cittadini dell’Unione europea che hanno tali bambini. Tale circostanza produce anche un effetto discriminatorio nei confronti di coloro che, per motivi religiosi o culturali, non sono in grado di accettare il concetto di adozione così come è inteso nel Regno Unito ed in altri paesi europei, ovverosia, come il passaggio in toto di un minore da una famiglia ed una stirpe ad un’altra» (15).

–      «[I]l il fatto che il termine “discendente diretto” possa avere un significato autonomo non implica necessariamente che debba avere un significato ampio». Pertanto, non si può dare per certo che SM rientri in questa categoria (16).

29.      In tale contesto, e dopo avere espresso la sua preoccupazione per la possibilità che le divergenze interpretative creino opportunità per lo sfruttamento, l’abuso e la tratta di minori, o per la loro collocazione in contesti familiari inidonei, la Supreme Court (Corte suprema) ha deciso di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se un minore che si trova sotto la tutela legale permanente di uno o più cittadini dell’Unione in virtù della “kafala” o di altro istituto giuridico equivalente previsto dalla legge del suo paese d’origine rientri nella definizione di “discendente diretto” di cui all’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/38.

2)      Se altre disposizioni della direttiva e, in particolare, gli articoli 27 e 35 debbano essere interpretati in modo tale che sia rifiutato l’ingresso a tali minori qualora siano vittime di sfruttamento, abuso, o di tratta di esseri umani o laddove siano esposti a tali rischi.

3)      Se uno Stato membro possa accertare, prima di riconoscere un minore che non è discendente consanguineo di un cittadino dello Spazio economico europeo (in prosieguo: “SEE”) quale discendente diretto ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera c), se la procedura ai sensi della quale il minore è stato posto sotto la tutela o la custodia del cittadino del SEE garantisse che si tenesse sufficientemente in considerazione l’interesse superiore del minore in questione».

V.      Procedimento dinanzi alla Corte

30.      L’ordinanza di rinvio è pervenuta presso la cancelleria della Corte il 19 febbraio 2018.

31.      Hanno presentato osservazioni scritte SM, il Choram Children Legal Centre, l’Aire Centre, i governi ceco, tedesco, belga, dei Paesi Bassi, polacco e del Regno Unito, nonché la Commissione. Tutte le suddette parti, salvo i governi ceco e polacco, hanno partecipato all’udienza tenutasi il 4 dicembre 2018.

VI.    Valutazione

A.      Considerazioni preliminari

32.      La discussione è incentrata sulla questione se la nozione di «discendente diretto» (rientrante in quella più ampia di «familiari») di cui all’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/38 comprenda un minore sottoposto alla tutela permanente di un cittadino dell’Unione che l’abbia accolto in affidamento in regime di kafala (17).

33.      La questione esposta in questi termini non ammette una risposta generalizzata, in astratto. La kafala è un istituto del diritto di famiglia di alcuni paesi di tradizione coranica che non presenta una disciplina uniforme in tutti i suddetti paesi. Per stabilire se un makful (il minore) possa essere considerato «discendente diretto» del kafil o della kafila (gli adulti affidatari) occorre:

–      fare riferimento, in primo luogo, alla normativa civilistica del paese di origine del minore (vale a dire del paese che ne ha consentito l’affidamento);

–      chiarire se, nell’ambito di tale normativa, la kafala possa assumere forme giuridiche diverse e, in caso affermativo, analizzare quali effetti giuridici produca quella per la quale ha optato il kafil o la kafila al fine di prendere in carico il minore; e

–      accertare se tra detti effetti giuridici rientri la costituzione di un vero e proprio vincolo genitoriale (di filiazione) tra il kafil o la kafila e il makful, al di là del legame proprio dei rapporti di tutela. Qualora non fosse così, si dovrebbe stabilire se il rapporto tra il kafil o la kafila e il makful possa essere assimilato, sotto il profilo funzionale, a quello dell’adozione.

34.      Attenendomi a questo schema, inizierò esaminando la kafala quale figura nel diritto algerino e nei testi internazionali e come trattata nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), segnatamente rispetto all’adozione. Affronterò poi la questione se il minore affidato in kafala possa essere qualificato, alla luce delle norme che ne disciplinano lo status giuridico, discendente diretto dei suoi affidatari, nell’accezione dell’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/38. A tal fine occorrerà approfondire l’interpretazione di quest’ultima disposizione.

B.      Il regime giuridico della kafala

1.      La kafala nel diritto algerino

35.      Come ho già sottolineato, la kafala varia in funzione dell’ordinamento giuridico preso a riferimento. Tuttavia, sembra pacifico che, come filo conduttore comune, esso abbia radici coraniche, cosicché possono essere kafil o kafila solo i mussulmani (18) che si impegnino ad impartire al makful un’educazione islamica (19).

36.      In Algeria, con tale modalità di affidamento, il kafil o la kafila si fanno carico del mantenimento, dell’educazione e della protezione del makful, nel medesimo modo in cui un padre lo farebbe per il figlio (20). Il kafil o la kafila assumono la tutela legale del minore, senza che siffatta modalità di affidamento crei un rapporto di filiazione o equivalga all’adozione (21), espressamente vietata in tale paese (22).

37.      Il makful non acquista, in Algeria, la qualità di erede degli affidatari, sebbene questi ultimi possano trasmettergli, mediante donazione o legato, beni nella misura che non superi un terzo del loro patrimonio (23).

38.      La kafala è inoltre temporanea (può essere makful solo un minore) e revocabile, sia a richiesta dei genitori biologici, ove esistano, sia su domanda del kafil o della kafila (24).

39.      Per quanto riguarda le garanzie processuali per la sua concessione, oltre a una kafala privata, formalizzata dinanzi a un adul (notaio), che non è soggetta a norme particolarmente rigide, esiste la kafala giudiziaria, che viene costituita o omologata dinanzi al giudice competente, con l’intervento del Pubblico ministero, previa dichiarazione di abbandono del minore. Quest’ultima procedura è quella seguita nel procedimento principale.

2.      La kafala nei testi internazionali

40.      La Convenzione sui diritti del fanciullo menziona espressamente la kafala, all’articolo 20, insieme ad altre misure di tutela dei minori privati temporaneamente o definitivamente del loro ambiente familiare o che non possano essere lasciati in tale ambiente nel loro proprio interesse.

41.      Secondo alcune delle parti intervenute nel procedimento (25), tale riferimento comporterebbe il riconoscimento della kafala come equivalente dell’adozione, in quanto sono entrambe contemplate dalla medesima disposizione. Ritengo, tuttavia, che l’articolo 20 della Convenzione sui diritti del fanciullo menzioni una serie di misure di tutela dei minori che non sono necessariamente comparabili. Se si seguisse il medesimo ragionamento, l’equiparazione potrebbe riguardare l’affidamento familiare e la collocazione in istituti per l’infanzia. Inoltre, la particolare attenzione prestata all’adozione nell’articolo 21 evidenzia le caratteristiche peculiari di tale istituto rispetto agli altri.

42.      SM richiama nelle sue osservazioni le «Linee guida sull’accoglienza eterofamiliare» (in prosieguo: le «linee guida») (26), in quanto testo integrativo della Convenzione, a sostegno della sua tesi relativa all’equivalenza tra adozione e kafala, che sarebbe desumibile dal punto 2 di dette linee guida (27).

43.      Ritengo, tuttavia, che neppure la lettura integrale di tali linee guida consenta di concludere che esse equiparano la kafala all’adozione. Ricorre la medesima circostanza indicata in precedenza in relazione all’articolo 20 della Convenzione sui diritti del fanciullo: quest’ultima e le linee guida si limitano ad elencare, quali strumenti idonei per conseguire il collocamento di un minore in un ambiente familiare stabile, diverse modalità di misure di tutela, i cui effetti giuridici non coincidono necessariamente (28). È logico che sia così, dato che i due documenti sono collegati.

44.      La Convenzione dell’Aia del 1993 non fa riferimento, come ho già rilevato, alla kafala. La ragione di tale silenzio in uno strumento internazionale diretto a disciplinare l’adozione va ricercata proprio nelle differenze fra tale istituto e la kafala.

45.      All’udienza, alcune delle parti hanno insistito sul fatto che gli effetti della kafala possono essere equiparati a quelli dell’adozione semplice (29), poiché i rapporti di parentela originari del minore rimangono inalterati in entrambi i casi. È vero che la Convenzione dell’Aia del 1993 contempla la possibilità che non si estingua il legame giuridico preesistente di filiazione [articolo 26, paragrafo 1, lettera c)], ma è altrettanto vero, ed ancora più rilevante, che il medesimo articolo e paragrafo dispone, senza la minima sfumatura, che «[i]l riconoscimento dell’adozione comporta quello: a) del legame giuridico di filiazione tra il minore ed i suoi genitori adottivi».

46.      Per contro, la Convenzione dell’Aia del 1996 prevede misure a favore della persona o dei beni dei minori diverse dall’adozione, tra le quali menziona la collocazione del minore in una famiglia di accoglienza o in un istituto, o la sua assistenza legale tramite kafala o istituto analogo. L’articolo 4 esclude dall’ambito di detta Convenzione, tra l’altro, le questioni relative all’accertamento della filiazione e alla decisione sull’adozione.

47.      La lettura di queste due Convenzioni dell’Aia conferma, da un lato, che l’adozione è l’unico istituto di tutela che ha formato specificamente oggetto di uno strumento internazionale e, dall’altro, che il relativo regime, ove si tratti di adozioni internazionali, è diverso da quello applicabile alle altre misure di tutela, quale la kafala, l’affidamento, la tutela, la curatela, la collocazione in accoglienza e l’amministrazione, conservazione o alienazione dei beni del minore.

48.      La relazione esplicativa sulla Convenzione dell’Aia del 1996 (relazione Lagarde) (30) fornisce indicazioni che ne consentono una migliore comprensione:

–      essa precisa che «[l]a Convenzione del 1961 sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori [(31)] utilizza[va] il termine “misure di protezione” senza darne una definizione. Le delegazioni degli Stati che non aderiscono a questa Convenzione richiesero, se non una definizione, almeno un elenco delle questioni su cui potrebbero vertere tali misure. Dal momento che queste variano nei singoli ordinamenti nazionali, l’elenco di questo articolo rivest[iva] una funzione meramente esemplificativa».

–      Con specifico riguardo all’articolo 3, lettera e), detta relazione indica che «[l]e misure di collocamento del minore in una famiglia di accoglienza o in un istituto sono i prototipi delle misure di protezione e sono ovviamente coperte dalla Convenzione».

–      La medesima relazione precisa che «[l]a kafala non è un’adozione, vietata dal diritto islamico, e non produce alcun effetto sul rapporto di filiazione. Il minore che ne beneficia non diventa membro della famiglia del kafil e questa è la ragione per cui la kafala non è coperta dalla Convenzione sull’adozione internazionale del 29 maggio 1993. Ma essa è indiscutibilmente una misura di protezione, ragione per cui deve entrare nel campo di applicazione di una convenzione sulla protezione dei minori».

3.      La kafala (in relazione all’adozione) nella giurisprudenza della Corte EDU

49.      La Corte EDU ha affrontato in due sentenze i problemi sollevati dalla kafala, in relazione all’adozione, dalla prospettiva della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «CEDU»).

50.      Nella prima, basandosi sulla propria analisi di diritto comparato, la Corte EDU ha rilevato che «nessuno Stato equipara la kafala a un’adozione, ma in [Francia] e in altri Stati, essa produce effetti analoghi a quelli della tutela, della curatela o del collocamento a fini di adozione» (32).

51.      La Corte EDU ha ribadito, nella medesima sentenza, che l’articolo 8 della CEDU non garantisce il diritto di fondare una famiglia né il diritto di adottare. Ciò non esclude tuttavia che gli Stati parte della CEDU possano comunque avere, in talune circostanze, l’obbligo positivo di consentire la formazione e lo sviluppo di legami familiari, laddove esista una relazione familiare con un minore (33).

52.      Ciononostante, essa ha ritenuto che il rifiuto di assimilare la kafala all’adozione piena non leda il diritto alla vita familiare, dato che la normativa (francese) attenua il divieto di adozione vigente nel diritto algerino, eliminando gradualmente detto divieto in funzione degli indizi oggettivi di integrazione del minore nella società francese (34).

53.      Nella seconda sentenza (35), la Corte EDU ha nuovamente analizzato il diritto alla vita familiare di cui all’articolo 8 della CEDU, ricordando che la presenza di «legami familiari de facto» caratterizza l’applicabilità di detta disposizione. Nella specifica situazione sulla quale era chiamata a pronunciarsi, essa ha ritenuto che l’esistenza di un legame basato sulla kafala non si distingua dalla vita familiare nella sua accezione consueta e che la persistenza dei legami con la famiglia d’origine non escluda l’esistenza di una vita familiare con altre persone (36).

54.      Tuttavia, la Corte EDU ha considerato che il rifiuto delle autorità belghe di equiparare l’adozione alla kafala non privava i ricorrenti del diritto al riconoscimento del legame che li univa in altro modo (in quel caso, attraverso l’istituto belga della tutela ufficiosa) (37).

4.      La kafala e il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni nel diritto dell’Unione europea

55.      Nonostante le sue analogie con la Convenzione dell’Aia del 1996, il regolamento sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di famiglia e di relazioni genitoriali, all’interno dell’Unione europea (38), non menziona la kafala (39).

56.      Nonostante tale silenzio, concordo con l’avvocato generale Kokott che le disposizioni del regolamento n. 2201/2003 possono essere interpretate alla luce della Convenzione dell’Aia del 1996 e a tale proposito forniscono indicazioni utili le spiegazioni contenute nella relazione Lagarde, alle quali ho fatto riferimento in precedenza (40).

57.      Muovendo da tale premessa, si potrebbe ammettere che gli effetti di una kafala riconosciuta dall’autorità giudiziaria di uno Stato membro si estendano a un altro Stato membro, ai sensi del regolamento n. 2201/2003, il cui articolo 1, paragrafo 2, menziona «il diritto di affidamento e il diritto di visita (…); [l]a tutela, la curatela ed altri istituti analoghi (…); [l]a designazione e le funzioni di qualsiasi persona o ente aventi la responsabilità della persona o dei beni del minore o che lo rappresentino o assistano (…)». Tuttavia, lo stesso non varrebbe per l’adozione, dato che sono escluse dall’ambito di applicazione di detto regolamento la «decisione relativa all’adozione [e le] misure che la preparano» [articolo 1, paragrafo 3, lettera b)].

C.      La nozione di discendente diretto nella direttiva 2004/38 (prima questione pregiudiziale)

1.      L’interpretazione autonoma della nozione

58.      Uno dei punti controversi tra le parti del procedimento (41) è se il sintagma «discendenti diretti», utilizzato dall’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/38 rivesta un significato autonomo nel diritto dell’Unione.

59.      Secondo costante giurisprudenza, «dalla necessità di garantire tanto l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto il principio di uguaglianza discende che i termini di una disposizione del diritto dell’Unione, la quale non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del suo senso e della sua portata, devono di norma essere oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione autonoma e uniforme» (42).

60.      La Corte di giustizia ha indicato che tale interpretazione deve tenere «conto non solo dei (…) termini [della disposizione], ma anche del suo contesto e della finalità perseguita dalla normativa di cui è parte» (43).

61.      Il contesto nel quale la direttiva 2004/38 utilizza la locuzione «discendente diretto», quale sottocategoria specifica dei «familiari», mi induce a sostenere l’autonomia concettuale di detta nozione del diritto dell’Unione. Ritengo, infatti, che debba essere questa la regola allorché una specifica disposizione prevede, come nel presente caso, che «[a]i fini della presente direttiva, si intende per (…)».

62.      Le definizioni che seguono a tale frase introduttiva sono quindi formulate per enunciare cosa «si intende», in un contesto ben preciso del diritto dell’Unione (nella fattispecie, quello della direttiva 2004/38), per il termine corrispondente. Salvo che la definizione rinvii al diritto degli Stati membri, per delimitare i contorni dell’istituto descritto da detto termine occorre esaminare il significato dello stesso secondo il diritto dell’Unione.

63.      Nell’articolo 2 della direttiva 2004/38 si riscontra un esempio di rinvio esplicito al diritto degli Stati membri: oltre al coniuge [punto 2, lettera a)], viene menzionato «il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro» [punto 2, lettera b)]. Al di fuori di quest’ultima ipotesi, ripeto, le nozioni contenute nel suddetto articolo non vanno individuate sulla base dei diritti nazionali.

64.      La sentenza del 5 giugno 2018, pronunciata dalla Corte in relazione alla nozione di «coniuge» (44) di cui all’articolo 2 della direttiva 2004/38, può fornire qualche chiarimento sull’autonomia dell’interpretazione di tale nozione, metodologicamente trasponibile a quella di «discendente diretto».

65.      Sebbene la sentenza non menzioni l’interpretazione autonoma (a differenza delle conclusioni, nelle quali l’avvocato generale propendeva per il suo impiego) (45), certo è che la Corte perviene al medesimo risultato: la nozione di «coniuge» ai sensi della direttiva 2004/38 ha caratteristiche proprie (46), di fronte alle quali «uno Stato membro non può invocare la propria normativa nazionale» (47) per non riconoscere un diritto di soggiorno contemplato dalla direttiva.

66.      L’utilizzo di una categoria giuridica prevista dal diritto dell’Unione non significa, tuttavia, che essa sia necessariamente scollegata da quelle equivalenti dei diritti degli Stati membri. Occorre quindi fare riferimento ai codici o alle leggi che disciplinano il diritto di famiglia in ciascuno Stato membro (sul quale hanno competenza questi ultimi), al fine di stabilire se i loro istituti siano conformi, ai fini di una determinata direttiva, a quelli definiti nella stessa.

2.      Il discendente diretto nella direttiva 2004/38

67.      L’importanza di stabilire i contorni di tale nozione della direttiva 2004/38 emerge dall’esame delle sue conseguenze sull’ingresso e il soggiorno di minori che, pur facendo parte della famiglia (in senso ampio) di cittadini dell’Unione, non rientrano nella categoria dei familiari:

–      i «discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico» ottengono in maniera automatica (48) il diritto di entrare e soggiornare nello Stato membro in cui risiedono i loro ascendenti, cittadini dell’Unione;

–      gli altri membri della famiglia allargata ai quali fa riferimento l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, compresi i minori, devono sottoporsi, sempre che soddisfino taluni prerequisiti (49), ad una valutazione da parte delle autorità dello Stato membro ospitante. Queste ultime, in esito a tale valutazione, dovranno: i) agevolarne, conformemente alla loro legislazione nazionale, l’ingresso e il soggiorno (50); ii) effettuare un esame approfondito della situazione personale e iii) giustificare l’eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno (51).

68.      Come ho già fatto presente, il giudice del rinvio ha pochi dubbi sul fatto che SM rientri in questa seconda categoria. Inoltre, esso avverte le autorità del Regno Unito incaricate di effettuare la valutazione che il diritto dell’Unione (52) impone loro di agevolare l’ingresso del minore nel Regno Unito. E, soprattutto, indica loro che, «[n]el compiere tale valutazione, le autorità responsabili per l’adozione di decisioni, nell’ambito dell’Home Office (Ministero dell’interno, Regno Unito) o del sistema dei mezzi di ricorso, dovrebbero anche tenere presente che la finalità della direttiva [2004/38] è di semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e di soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione, essendo la libertà di circolazione una delle libertà fondamentali del mercato interno. Essere obbligati a vivere lontani dai propri familiari o dai membri della propria famiglia, nell’accezione più ampia del termine, può costituire un forte deterrente all’esercizio di tale libertà» (53).

69.      Tuttavia, non essendo soddisfatto di tale possibilità, il giudice del rinvio si chiede se il rapporto costituito sulla base della kafala possa essere assimilato, nel caso di SM, alla filiazione adottiva. Se così fosse, SM godrebbe dello status di cui all’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/38, in quanto strumento di maggior tutela della vita familiare e garanzia della protezione dell’interesse superiore del minore.

70.      Parto dalla premessa (sulla quale non ho dubbi) che la nozione di discendenti diretti utilizzata dalla direttiva 2004/38 comprende sia i figli biologici che quelli adottivi. L’adozione è considerata, sotto il profilo giuridico, filiazione a tutti gli effetti.

71.      Una panoramica delle norme di diritto dell’Unione più prossime all’oggetto della presente controversia corrobora tale affermazione. Così, la direttiva 2003/86/CE (54), nel fissare «le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri», estende tale diritto, subordinatamente a talune condizioni, a:

«–      i figli minorenni del soggiornante e del coniuge, compresi i figli adottati secondo una decisione presa dall’autorità competente dello Stato membro (…);

–      i figli minorenni, compresi quelli adottati, del soggiornante, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento (…);

–      i figli minorenni, compresi quelli adottati, del coniuge, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento (…)» (55).

72.      Analogamente, l’articolo 2, lettera j), della direttiva 2011/95/UE (56) qualifica come familiari del richiedente protezione internazionale «i figli minori delle coppie di cui al primo trattino o del beneficiario di protezione internazionale, a condizione che siano non sposati, indipendentemente dal fatto che siano legittimi, naturali o adottivi secondo le definizioni della normativa nazionale». Tale definizione è ripresa all’articolo 2, lettera g), del regolamento (UE) n. 604/2013 (57).

73.      Altre norme del diritto dell’Unione fanno riferimento ai discendenti diretti mediante rinvio alla direttiva 2004/38 (58) o alla normativa dello Stato corrispondente (59).

74.      Ciò posto, se la kafala potesse essere considerata una modalità di adozione, il makful potrebbe diventare, in quanto figlio adottivo, «discendente diretto» dei suoi affidatari.

75.      A favore di tale assimilazione, il giudice del rinvio, sostenuto da alcune delle parti del procedimento pregiudiziale (60), richiama la comunicazione della Commissione citata in precedenza (61).

76.      In effetti, il punto 2.1.2 di detta comunicazione, relativo ai «familiari in linea diretta» (62), equipara i rapporti di filiazione adottiva a quelli dei minori sotto la custodia di un tutore legale permanente. Se si optasse per tale criterio, SM, in quanto minore soggetta alla tutela legale dei coniugi che l’hanno presa in affidamento, potrebbe essere considerata figlia adottiva di questi ultimi.

77.      Ritengo, tuttavia, che siffatta equiparazione non sia conforme alla corretta interpretazione dell’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/38. Peraltro, è appena il caso di ricordare che la comunicazione non ha natura normativa.

78.      A mio parere, la «tutela legale permanente» non rende il minore posto sotto tutela un discendente diretto (per adozione) del suo tutore. Vari motivi ostano a tale assimilazione, sia in astratto che nella specifica situazione di SM, in quanto soggetta alla kafala di diritto algerino.

79.      Sotto il profilo astratto, il rapporto di tutela non è equiparabile al rapporto di filiazione. Inoltre, la filiazione (biologica o adottiva) può coesistere con la tutela affidata ad una persona diversa dai genitori (biologici o adottivi). Come sostenuto dal governo tedesco, affinché fosse possibile tale equiparazione, sarebbe necessaria un’uguaglianza giuridica completa.

80.      Inquadrata la questione nella prospettiva della permanenza del legame, anche a prescindere dal suo contenuto, la tutela (e, a fortiori, la kafala) è un istituto di natura temporanea, non permanente, in quanto vale solo fintanto che il tutelato sia minorenne. Per contro, la filiazione, anche nel caso in cui sia basata su un’adozione semplice, è permanente.

81.      Inoltre, l’ultima frase del punto 2.1.2 della comunicazione della Commissione indica che le autorità nazionali possono chiedere una prova dell’asserita qualità di familiare, ciò che può essere fatto soltanto tramite l’esame previo di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. Tale procedura, tuttavia, non può essere applicata anche ai «discendenti diretti».

82.      Tralasciando dunque la comunicazione della Commissione, ritengo che la caratteristica essenziale che distingue l’adozione dalla kafala sia proprio il rapporto di filiazione. Mentre la kafala non crea legami di filiazione, l’adozione lo fa sempre, anche nella sua forma più attenuata dell’adozione semplice.

83.      Si perviene al medesimo risultato dopo avere esaminato i diversi strumenti internazionali, già citati (63), che disciplinano, da un lato, l’adozione e, dall’altro, figure di tutela del minore quale la kafala, senza mai condurre alla loro equiparazione.

84.      Inoltre, si deve considerare che i rigorosi meccanismi di controllo delle adozioni internazionali previsti dalla Convenzione dell’Aia del 1993 per garantire l’interesse superiore del minore potrebbero essere facilmente aggirati (64) se si ammettesse come adozione una modalità di tutela legale che, proprio perché non produce gli stessi effetti dell’adozione, è preceduta da una procedura nazionale che non prevede le medesime garanzie (o addirittura, nel caso della kafala dinanzi a un notaio, non richiede neppure l’intervento delle pubbliche autorità).

85.      Ciò è particolarmente significativo se si tiene conto del fatto che l’Algeria non ha ratificato nessuna delle due Convenzioni dell’Aia, cosicché non è vincolata da norme internazionali che istituiscono meccanismi di controllo e garanzia sulle misure di tutela dei minori, siano esse basate sull’affidamento attraverso la kafala o su qualsiasi altra formula equivalente.

86.      Occorre rammentare che il diritto algerino in forza del quale è stata data in kafala SM, consentendo tale modalità di affidamento e vietando nel contempo l’adozione del makful, osta alla pretesa equiparazione. E tale divieto vale non solo quando il minore, essendone noti i genitori, mantenga il rapporto di filiazione con i suoi ascendenti, ma anche negli altri casi. Al kafil o alla kafila viene attribuita soltanto la tutela legale del makful, ma la kafala non rende quest’ultimo un loro discendente diretto. Pertanto, non vedo, con tutta la possibile buona volontà, come si possa sostenere che SM sia discendente diretta, in quanto adottata, dei suoi affidatari (65).

87.      Ciò non esclude che, una volta costituita la kafala, il kafil o la kafila decidano di adottare il makful, qualora lo ritengano opportuno e l’ordinamento giuridico del paese corrispondente lo consenta. Tale soluzione è stata adottata da alcuni Stati membri (66) e consentirebbe, a mio avviso, che il makful successivamente adottato (vale a dire, con un’adozione internazionale soggetta alla Convenzione dell’Aia del 1993) acquisti la qualità di discendente diretto dei genitori adottivi e possa entrare e soggiornare, a tale titolo, nello Stato membro in cui essi risiedono.

88.      L’esame dei diversi strumenti normativi dell’Unione, già citati, nei quali viene utilizzata l’espressione «familiari» e si menzionano i minori, conferma che la nozione di «discendente diretto» non può estendersi oltre i figli adottivi fino ad includere i soggetti posti sotto la tutela legale dei titolari del relativo diritto.

3.      L’incidenza del diritto alla vita familiare e dell’interesse superiore del minore sull’interpretazione della nozione di discendente diretto di cui alla direttiva 2004/38

89.      La conclusione (parziale) cui sono giunto nei paragrafi precedenti deve superare il filtro dei diritti e dei principi tutelati dalla Carta. Infatti, si potrebbe ritenere che l’interpretazione da me sostenuta sia eccessivamente formalistica e che l’obbligo di rispettare il diritto alla vita familiare e l’interesse superiore del minore in quanto «considera[zione] preminente» (rispettivamente articoli 7 e 24, paragrafo 2, della Carta) presupponga l’assimilazione della kafala all’adozione.

90.      Ai fini di tale analisi è opportuno fare nuovamente riferimento alle due pronunce della Corte EDU (67) che hanno interpretato l’articolo 8 della CEDU (relativo al diritto alla vita familiare) in relazione al rifiuto delle autorità di altrettanti Stati firmatari di detta Convenzione di equiparare il rapporto derivante dalla kafala con quello adottivo.

a)      La kafala e la tutela della vita familiare

91.      La direttiva 2004/38 prevede due modi in cui un minore che non sia cittadino dell’Unione può entrare e soggiornare in uno Stato membro insieme alle persone con le quali ha una «vita familiare». La differenza consiste nel fatto che, mentre l’articolo 2, punto 2, lettera c) (discendenti diretti), implica che la continuità della vita familiare si produca automaticamente (68), l’articolo 3, paragrafo 2, richiede una previa ponderazione delle circostanze.

92.      Nel presente procedimento, SM ha presentato alle autorità del Regno Unito una domanda di «autorizzazione all’ingresso in qualità di minore adottato da un cittadino del SEE» (69). Tuttavia, tralasciando il titolo adottivo, la richiesta di ingresso e soggiorno può ben essere esaminata con le modalità previste dall’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 per altri «familiari», come riconosciuto dal giudice del rinvio. Inoltre, le considerazioni di detto giudice sopra riportate lasciano poco margine alle autorità del Regno Unito per negare a SM il diritto di ingresso e soggiorno nel Regno Unito al fine di godere della vita familiare con i cittadini dell’Unione che l’hanno accolta in affidamento.

93.      Pertanto, non vedo perché l’esclusione di una modalità (quella per i discendenti diretti) comporterebbe un ostacolo allo sviluppo della vita familiare, quando l’alternativa (la concessione dell’autorizzazione al soggiorno previa verifica che SM sia a carico o conviva con il cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno) non impedisce alla minore di ottenere una tutela giuridica effettiva della medesima vita familiare.

94.      È vero che il riconoscimento automatico di cui all’articolo 2, punto 2, della direttiva 2004/38 solleverebbe meno difficoltà. Tuttavia, sotto il profilo considerato in questa sede, se tale riconoscimento comporta, nella fattispecie, le difficoltà di interpretazione (a mio avviso insuperabili) che ho evidenziato, e nel contempo è disponibile per la minore un meccanismo come quello dell’articolo 3, paragrafo 2, di tale direttiva, ritengo che il diritto alla vita familiare sia rispettato.

95.      A un risultato analogo è pervenuta la Corte EDU nei procedimenti sopra menzionati. Nella sentenza Chbihi e a. c. Belgio (70), in cui viene richiamata quella resa nella causa Harroudj c. Francia (71), essa ha dichiarato che «[l]e disposizioni dell’articolo 8 non garantiscono il diritto di fondare una famiglia né il diritto di adottare. (…) Tuttavia, ciò non esclude che gli Stati parti della Convenzione possano comunque avere, in determinate circostanze, l’obbligo positivo di consentire la formazione e lo sviluppo dei legami familiari». E ha aggiunto che, «[s]econdo i principi risultanti dalla giurisprudenza della Corte, qualora sia accertata l’esistenza di un rapporto familiare con un minore, lo Stato deve adoperarsi per consentire che tale rapporto si sviluppi e fornire una tutela giuridica che renda possibile l’integrazione del minore nella sua famiglia».

96.      In quel caso, le cui analogie con la presente causa sono innegabili, è stato ammesso che la kafala debitamente costituita (in Marocco) aveva creato un rapporto giuridico tra i kafil e la makful. Poiché tale istituto non esiste in Belgio, l’adozione richiesta in tale paese determinava una situazione giuridica nuova. La Corte EDU ha argomentato che era «necessario trovare il giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della società nel suo complesso» e che «lo Stato dispone di un certo margine di discrezionalità» (72). Su tale base, essa doveva «anzitutto verificare se le decisioni dei giudici belgi di negare l’adozione abbiano ostacolato il corretto sviluppo dei rapporti familiari tra la minore e le persone che l’hanno accolta in kafala» (73).

97.      La Corte EDU ha concluso che «il diniego dell’adozione non privava i ricorrenti del riconoscimento del legame che li univa. Infatti, il diritto belga offriva un’altra possibilità di accordare ai ricorrenti una tutela giuridica della loro vita familiare. Si tratta del procedimento di tutela ufficiosa il cui oggetto è abbastanza simile a quello della kafala (…) (74) e che consente a persone adulte di far riconoscere il loro impegno a mantenere e ad educare un minore» (75).

b)      La kafala e l’interesse superiore del minore

98.      Secondo l’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, la tutela dell’interesse superiore del minore deve costituire la «considera[zione] preminente» nelle decisioni delle autorità pubbliche o delle istituzioni private che adottano atti relativi a tale minore.

99.      Qualora, come nel caso di specie, gli atti di tutela del minore, abbandonato dai genitori biologici, siano compiuti inizialmente in un paese terzo (l’Algeria) e si voglia che essi producano effetti in uno Stato membro dell’Unione (Regno Unito), il controllo esercitato dalle autorità dello Stato di origine e di quello ospitante deve essere incentrato sull’interesse superiore di detto minore, ma senza ignorare le norme del diritto dell’Unione che consentono di prendere in considerazione tale interesse.

100. La valutazione dell’interesse superiore presenta un duplice aspetto: quello relativo al merito (che dipende, ovviamente, dalle circostanze che ricorrono nella situazione del minore) e quello relativo alle procedure per il suo apprezzamento.

101. Nel merito, l’affidamento familiare soddisfa le esigenze di tutela dell’interesse superiore del minore, come ha considerato la Corte: «[l]’integrazione, continuativa e per un lungo periodo, nel nucleo familiare di un assistente genitoriale, di minori che, a motivo della loro situazione familiare difficile, presentano una particolare vulnerabilità, costituisce una misura appropriata per tutelare l’interesse superiore del minore, come sancito dall’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea» (76).

102. Per quanto attiene agli aspetti procedurali, in questa sede mi limiterò a rammentare che gli strumenti convenzionali di riconoscimento dei rapporti di adozione e di filiazione, laddove presentino elementi di collegamento internazionali, e lo stesso diritto dell’Unione contemplano gli elementi essenziali di tali procedure di valutazione.

103. Con riguardo a detti strumenti convenzionali, proprio per garantire che sia preso in considerazione l’interesse superiore del minore, è opportuno sottolineare che:

–      nel disciplinare l’adozione internazionale, la Convenzione dell’Aia del 1993 prevede una procedura di doppio controllo, nella quale intervengono sia le autorità del paese di origine, sia quelle del paese ospitante (77);

–      l’articolo 33 della Convenzione dell’Aia del 1996 istituisce del pari un duplice meccanismo in base al quale, «[q]uando l’autorità competente ai sensi degli articoli da 5 a 10 prospetta il collocamento del minore in una famiglia di accoglienza o in un istituto, o la sua assistenza legale tramite kafala o istituto analogo, e quando tale collocamento o assistenza deve avvenire in un altro Stato contraente, essa consulta preliminarmente l’autorità centrale o un’altra autorità competente di quest’ultimo Stato» (78).

104. In una prospettiva analoga, ma circoscritta alle norme del diritto dell’Unione relative alle ipotesi nelle quali un affidamento realizzato in uno Stato membro deve produrre effetti in un altro Stato membro, l’articolo 56 del regolamento n. 2201/2003 prevede una procedura di controllo alla quale partecipano le autorità di entrambi gli Stati (79).

105. Richiamo tali disposizioni per evidenziare un tratto caratteristico della tutela dell’interesse superiore del minore in circostanze analoghe a quella della presente controversia, vale a dire che la sua valutazione compete alle autorità dei due Stati membri che intervengono nella procedura, cui spetta esercitare un controllo preventivo.

106. Orbene, nell’ambito della direttiva 2004/38, tale garanzia può essere mantenuta solo seguendo la modalità procedurale prevista all’articolo 3, paragrafo 2, disposizione che offre un contesto giuridico adeguato ai fini di una tutela efficace del minore all’interno dell’Unione, conciliando nel contempo gli obiettivi originari dell’istituto di tutela (la kafala) con il diritto alla vita familiare.

107. Al contrario, se si ammettesse il riconoscimento automatico di cui all’articolo 2, punto 2, della direttiva 2004/38, sarebbe possibile solo un controllo a posteriori, con un risultato paradossale: l’affidamento in kafala, deciso in uno Stato quale l’Algeria che non ha ratificato la Convenzione dell’Aia del 1996, produrrebbe effetti immediati (senza che le autorità dello Stato ospitante potessero sottoporre l’interesse superiore del minore a un valutazione preventiva), mentre le decisioni degli Stati firmatari di detta Convenzione dovrebbero essere assoggettate all’approvazione delle autorità dello Stato ospitante.

108. In definitiva, la «considera[zione] preminente» dell’interesse del minore impone, in circostanze come quelle del caso di specie, che la sua valutazione ad casum abbia luogo secondo una previa procedura di esame diversa da quella applicabile ai discendenti diretti (80).

D.      Sulla seconda questione pregiudiziale

109. Il giudice del rinvio deve chiarire se la direttiva 2004/38, e in particolare i suoi articoli 27 e 35, consentano di negare l’ingresso dei minori affidati in kafala, qualora essi siano vittima di sfruttamento, abuso o tratta di essere umani, o rischino di esserlo.

110. L’articolo 27 della direttiva 2004/38 autorizza a limitare la libertà di circolazione e soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione, o di quest’ultimo, «per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica».

111. Dal momento che, nel presente procedimento, SM, in quanto makful, può essere qualificata come membro della famiglia allargata dei coniugi (cittadini dell’Unione) che l’hanno presa in affidamento, nulla osterebbe, in linea di principio, all’applicazione dell’articolo 27. Lo stesso varrebbe per detti coniugi, cittadini dell’Unione, la cui libertà di circolazione e soggiorno potrebbe essere limitata per motivi connessi all’ordine pubblico, alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica (81).

112. Dall’ordinanza di rinvio, tuttavia, non emergono elementi tali da indurre a ritenere che nel presente procedimento possano invocarsi motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica (82). Il giudice del rinvio fa riferimento a «quei minori che sono o potrebbero essere vittime di sfruttamento, abuso o tratta» (83), ma, qualora ricorressero tali motivi, coloro ai quali potrebbe essere negato il diritto di circolazione e soggiorno nel Regno Unito sarebbero eventualmente gli autori di tali gravi condotte (e non le loro vittime, quando si tratti di minori come SM) (84).

113. Ai sensi dell’articolo 35 della direttiva 2004/38, gli Stati membri sono autorizzati a «rifiutare, estinguere o revocare un diritto conferito dalla presente direttiva, in caso di abuso di diritto o frode (…)». La portata di tale autorizzazione è molto ampia: essa include sia le misure ex ante (diniego del diritto) sia quelle ex post (estinzione e revoca dei diritti già riconosciuti). È sufficiente, per le une come per le altre, che sussista l’abuso di diritto o la frode, sempre che siano stati accertati previo esame individuale del singolo caso (85).

114. Tale disposizione, pur menzionando quale esempio specifico di abuso o frode il «matrimonio fittizio», non esclude altre ipotesi. Infatti, il considerando 28 della direttiva 2004/38 equipara detti matrimoni fittizi ad «altri tipi di relazioni contratte all’unico scopo di usufruire del diritto di libera circolazione e soggiorno».

115. Nella categoria dell’abuso potrebbero rientrare, come osservato dall’Aire Centre (86), i modi di sfruttamento dei minori ai quali fa riferimento la direttiva 2011/36 (87). Il fenomeno della tratta di esseri umani comprende diverse forme di sfruttamento, alcune delle quali, qualora riguardino minori, possono essere favorite dalle adozioni illegali (88).

116. L’affidamento del minore sarà fraudolento se il suo vero scopo, rivestito dell’abito giuridico della kafala, consiste nel trasferire detto minore da un paese all’altro al fine di destinarlo allo «sfruttamento sessuale, [a]l lavoro o [a]i servizi forzati, compreso l’accattonaggio, [al]la schiavitù o [a] pratiche simili alla schiavitù, [al]la servitù, [al]lo sfruttamento di attività illecite o [a]l prelievo di organi» (89).

117. In un contesto siffatto, le autorità del paese ospitante potranno reagire contro l’abuso o la frode ricorrendo alle «misure necessarie» di cui all’articolo 35 della direttiva 2004/38. Come in relazione all’articolo 27 di detta direttiva, dall’ordinanza di rinvio non emerge alcun elemento che induca ad attivare tali misure nel caso di SM.

E.      Il controllo da parte dello Stato membro della procedura ai sensi della quale il minore è stato posto sotto tutela o custodia

118. Il giudice del rinvio chiede, in sintesi, se, prima di riconoscere «quale discendente diretto ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera c)» della direttiva 2004/38 un minore che si trovi nella situazione di SM, le autorità del Regno Unito possano accertare o verificare (enquire) se «la procedura ai sensi della quale il minore è stato posto sotto la tutela o la custodia (…) garantisse che si tenesse sufficientemente in considerazione l’interesse superiore del minore in questione».

119. Dal momento che, a mio parere, il presupposto sul quale si basa tale questione non ricorre nella situazione di SM, che non può essere qualificata discendente diretto nell’accezione della disposizione citata, non sarebbe necessario fornire una risposta.

120. Inoltre, se si ammettesse che SM riveste la qualità di discendente diretto in virtù dei legami familiari inerenti alla kafala, e che, pertanto, il suo ingresso in uno Stato membro deve godere del riconoscimento automatico spettante ai discendenti diretti in forza dell’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/38, non sarebbe possibile effettuare l’accertamento sul quale si interroga il giudice del rinvio.

121. Per contro, tale accertamento risulta possibile se si ammette la modalità di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 quale mezzo per agevolare l’ingresso e il soggiorno della minore nel Regno Unito, consentendole di godere della vita familiare con i cittadini dell’Unione che l’hanno presa in affidamento.

122. Infatti nell’effettuare «un esame approfondito della situazione personale» dei familiari, ai sensi dell’ultima frase della suddetta disposizione, le autorità competenti del Regno Unito devono tenere conto, in quanto «considera[zione] preminente», dell’interesse superiore del minore. Senza che occorra ripetere quanto ho esposto su quest’ultimo nell’analisi della prima questione (90), rientra in tale considerazione, tra l’altro, l’esame delle circostanze, sostanziali e procedurali, nelle quali la minore è stata accolta in affidamento.

VII. Conclusione

123. Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere alla Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito) nei seguenti termini:

«1)      L’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che non può essere qualificato come “discendente diretto” di un cittadino dell’Unione un minore che sia solo sottoposto alla sua tutela legale conformemente all’istituto del recueil legal (kafala) vigente nella Repubblica di Algeria.

Tuttavia, detto minore può essere qualificato come “altro familiare” se ricorrono le altre condizioni e previo espletamento della procedura prevista all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 e lo Stato membro ospitante deve agevolarne, conformemente alla sua legislazione nazionale, l’ingresso e il soggiorno in detto Stato, previa ponderazione della tutela della vita familiare e della tutela dell’interesse superiore del minore.

2)      Gli articoli 27 e 35 della direttiva 2004/38 possono essere applicati in tutti i casi ai quali fa riferimento detta direttiva, sempre che ricorrano, rispettivamente, motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, nonché in caso di abuso di diritto o di frode.

3)      Nell’applicare l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, le autorità dello Stato membro ospitante possono accertare se nel procedimento mediante il quale sono stati disposti la tutela o la custodia sia stato preso sufficientemente in considerazione l’interesse superiore del minore».


1      Lingua originale: lo spagnolo.


2      Sulle caratteristiche di tale istituto, v. infra, paragrafi da 35 a 39.


3      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77).


4      Convenzione dell’ONU, del 20 novembre 1989.


5      Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale (in prosieguo: la «Convenzione dell’Aia del 1993»).


6      Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori (in prosieguo: la «Convenzione dell’Aia del 1996»).


7      GU 2000, C 364, pag. 1.


8      SI 2006/1003.


9      2002 c. 38.


10      Punti da 11 a 15.


11      Secondo l’ordinanza di rinvio, punti 14 e 15.


12      Punto 22 dell’ordinanza di rinvio.


13      COM(2009) 313 definitivo; in prosieguo: la «comunicazione».


14      A sostegno di questa tesi richiama le conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Coman (C‑673/16, EU:C:2018:2, paragrafo 32) e dell’avvocato generale Bot nella causa Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:174).


15      Punto 27, ultimo paragrafo, dell’ordinanza di rinvio.


16      Ibidem.


17      Pur menzionando «la “kafala” o (…) equivalente previsto dalla legge del suo paese d’origine», il giudice del rinvio non fornisce alcuna indicazione su quest’ultimo, per cui mi limiterò ad esaminare la kafala, unico meccanismo di affidamento utilizzato nel presente caso.


18      Articolo 118 del CFA.


19      Così risulta dall’atto di custodia di SM (punto 12 dell’ordinanza di rinvio).


20      Articolo 116 del CFA.


21      Gli ordinamenti giuridici islamici si basano sul principio di mantenimento dei legami di sangue e sull’esclusione dell’adozione, che è vietata nella maggior parte (non nella totalità) dei paesi mussulmani. Le osservazioni scritte dell’Aire Centre e di SM descrivono le diverse discipline dei vari paesi (rispettivamente punti 51 e 65).


22      Articolo 46 del CFA.


23      Articolo 123 del CFA.


24      Articoli 124 e 125 del CFA.


25      L’Aire Centre, SM e il Choram Children Legal Centre.


26      Assemblea generale delle Nazioni Unite, sessantaquattresima sessione del 24 febbraio 2010 (A/RES/64/142). Dette linee guida mirano all’attuazione della Convenzione sui diritti del fanciullo (paragrafo 1).


27      Le linee guida si prefiggono lo scopo di «[s]ostenere degli sforzi che mirino a lasciare o a far ritornare il bambino alla cura della sua famiglia e, dove questo non fosse possibile, a trovare una soluzione alternativa permanente, inclusa l’adozione o la kafala della legge islamica».


28      Secondo il paragrafo 123 delle linee guida, contenuto nella sezione relativa all’«accoglienza residenziale», lo scopo consiste nel fornire al minore un’accoglienza permanente in un ambiente familiare alternativo. Il paragrafo 151, concernente l’«accoglienza a un bambino già all’estero», assimila la kafala all’affidamento preadottivo. Al paragrafo 161, in riferimento all’«accoglienza in situazioni di emergenza» e nelle quali risulti impossibile la reintegrazione nella famiglia, le linee guida consigliano di studiare «soluzioni stabili e definitive come la kafala della legge islamica», ma aggiunge altre «scelte di accoglienza a lungo termine, come l’affidamento o l’accoglienza in istituto, incluse le case famiglia o altre sistemazioni supervisionate».


29      Nei paesi in cui è ammessa, l’adozione semplice o meno piena consente, di norma, di mantenere il rapporto di filiazione con la famiglia precedente, senza pregiudicare i rapporti di tale natura tra adottante e adottato.


30      Testo adottato dalla diciottesima sessione della Conferenza dell’Aia di diritto internazionale privato. Parigi, 15 gennaio 1997.


31      https://www.hcch.net/es/instruments/conventions/full-text/?cid= 39.


32      Corte EDU, sentenza del 4 ottobre 2012, Harroudj c. Francia (CE:ECHR:2012:1004JUD004363109, § 48), in cui viene ribadito quanto esposto al paragrafo 21: «Nessuno dei ventidue Stati contraenti che sono stati oggetto di uno studio di diritto comparato (…) equipara una kafala istituita all’estero ad un’adozione. Nei casi in cui i giudici nazionali hanno riconosciuto gli effetti di una kafala pronunciata all’estero, essi l’hanno sempre assimilata a una tutela, una curatela o un collocamento a fini di adozione».


33      Ibidem (§ 41).


34      Ibidem (§§ da 46 a 52).


35      Sentenza del 16 dicembre 2014, Chbihi Loudoudi e a. c. Belgio (CE:ECHR:2014:1216JUD005226510).


36      Ibidem (§§ 78 e 79).


37      Ibidem (§§ 101 e 102).


38      Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 (GU 2003, L 338, pag. 1).


39      Nel definire l’ambito di applicazione di detto regolamento, il citato articolo 1 menziona la responsabilità genitoriale in riferimento al diritto di affidamento e al diritto di visita, la tutela, la curatela ed altri istituti analoghi, la designazione e le funzioni di qualsiasi persona o ente aventi la responsabilità della persona o dei beni del minore o che lo rappresentino o assistano; la collocazione del minore in una famiglia affidataria o in un istituto e le misure di protezione del minore legate all’amministrazione, alla conservazione o all’alienazione dei beni del minore. Immediatamente, al pari della Convenzione dell’Aia del 1996, esso esclude dal suo ambito di applicazione le questioni relative alla filiazione e all’adozione.


40      Presa di posizione nella causa Health Service Executive (C‑92/12 PPU, EU:C:2012:177, paragrafo 17): «[La relazione Lagarde] può avere un certo peso, nel quadro della genesi e dell’interpretazione sistematica del regolamento n. 2201/2003, ai fini dell’interpretazione delle corrispondenti disposizioni del regolamento. Le disposizioni in materia di diritto di affidamento contenute nel regolamento si basano sui lavori preparatori della Convenzione dell’Aia del 1996, che riprendono in ampie parti, anche con riguardo alle disposizioni sull’ambito di applicazione che sono oggetto di interpretazione in questa sede. Le disposizioni del regolamento e le corrispondenti disposizioni della Convenzione dovrebbero inoltre essere interpretate anche per questo, possibilmente, in modo conforme, per evitare che si giunga a risultanti differenti a seconda che il caso si riferisca ad uno Stato membro o ad uno Stato terzo».


41      Mentre i governi polacco e del Regno Unito affermano che gli Stati membri sono competenti in via esclusiva a definire tale nozione, gli altri intervenienti sostengono che essa dovrebbe ricevere un’interpretazione autonoma per l’intera Unione.


42      Sentenza del 18 ottobre 2016, Nikiforidis (C‑135/15, EU:C:2016:774, punto 28 e giurisprudenza citata). Il governo polacco pone l’accento sull’impiego dell’avverbio «di norma» in tale giurisprudenza, ma non spiega perché, nel caso in esame, sebbene la disposizione citata della direttiva 2004/38 non rinvii espressamente al diritto nazionale, si dovrebbe escludere l’applicazione della regola generale.


43      Sentenza del 27 settembre 2017, Nintendo (C‑24/16 e C‑25/16, EU:C:2017:724, punto 70 e giurisprudenza ivi citata). Tale orientamento è richiamato, in relazione alla direttiva 2004/38, dagli avvocati generali Bot e Wathelet, rispettivamente nelle conclusioni relative alla causa Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:174, paragrafo 39) e Coman e a. (C‑673/16, EU:C:2018:2, paragrafi 34 e 35).


44      Causa Coman e a. (C‑673/16, EU:C:2018:385).


45      Conclusioni dell’avvocato generale Whatelet nella causa Coman e a. (C‑673/16 EU:C:2012:174, paragrafi da 33 a 42).


46      Sentenza del 5 giugno 2018, Coman e a. (C‑673/16, EU:C:2018:385, punto 35): «si deve sottolineare, in primo luogo, che, ai sensi della direttiva 2004/38, la nozione di “coniuge” è neutra dal punto di vista del genere e può comprendere quindi il coniuge dello stesso sesso del cittadino dell’Unione interessato».


47      Ibidem (punto 36.)


48      L’aggettivo automatico deve essere attenuato, dato che, ai sensi dell’articolo 10 della direttiva 2004/38, «[i]l diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro è comprovato dal rilascio di un documento denominato “carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione”». Tale rilascio è subordinato alla presentazione, tra l’altro, di un documento che «attesti la qualità di familiare o l’esistenza di un’unione registrata» e «nei casi di cui all’articolo 2, punto 2, lettere c) [discendenti diretti] e d), la prova documentale che le condizioni di cui a tale disposizione sono soddisfatte».


49      Tra i quali figura quello di essere a carico o di convivere con il cittadino dell’Unione che gode del diritto di soggiorno, ipotesi che ricorre nel presente procedimento.


50      Articolo 3, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2004/38. I cittadini di paesi terzi appartenenti alla famiglia allargata godono quindi di un vantaggio derivante dal loro rapporto familiare con i cittadini dell’Unione e gli Stati membri devono (ancorché non incondizionatamente) agevolarne l’ingresso e il soggiorno.


51      Articolo 3, paragrafo 2, ultimo comma, della direttiva 2004/38.


52      «Anche se (…) l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 non obbliga gli Stati membri a riconoscere un diritto di ingresso e di soggiorno in favore di persone che sono familiari, nel senso ampio del termine, a carico di un cittadino dell’Unione, nondimeno, come emerge dall’utilizzo dell’indicativo presente “agevola” nel citato articolo 3, paragrafo 2, tale disposizione impone agli Stati membri un obbligo di concedere un determinato vantaggio, rispetto alle domande di ingresso e di soggiorno di altri cittadini di Stati terzi, alle domande inoltrate da persone che presentano un rapporto di dipendenza particolare nei confronti di un cittadino dell’Unione». Sentenza del 5 settembre 2012, Rahman e a. (C‑83/11, EU:C:2012:519, punto 21).


53      Punto 21 dell’ordinanza di rinvio.


54      Direttiva del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12).


55      Articolo 4, paragrafo 1, lettere b), c) e d), della direttiva 2003/86 (il corsivo è mio).


56      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).


57      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31).


58      V. regolamento (CE) n. 1931/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, che stabilisce norme sul traffico frontaliero locale alle frontiere terrestri esterne degli Stati membri e che modifica le disposizioni della convenzione Schengen (GU 2006, L 405, pag. 1), articolo 3, paragrafo 4, punto i); regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2016, L 77, pag. 1), articolo 2, punto 5, lettera a); o direttiva (UE) 2016/801 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2016, relativa alle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di paesi terzi per motivi di ricerca, studio, tirocinio, volontariato, programmi di scambio di alunni o progetti educativi, e collocamento alla pari (GU 2016, L 132, pag. 21), articolo 3, punto 24.


59      Regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU 2004, L 166, pag. 1), articolo 1, lettera i).


60      L’Aire Centre, il Choram Children Legal Centre, SM e la stessa Commissione.


61      Al paragrafo 28.


62      «Fatte salve le questioni relative al riconoscimento delle decisioni delle autorità nazionali, la nozione di discendente diretto/ascendente diretto si estende anche agli adottati/adottanti e ai minori sottoposti a tutela/tutori permanenti. I minori in affidamento e i genitori affidatari che hanno l’affidamento temporaneo possono beneficiare dei diritti previsti dalla direttiva a seconda dell’intensità del legame caso per caso. Non sussistono limitazioni quanto al grado di parentela. Le autorità nazionali possono chiedere una prova dell’asserita qualità di familiare» (il corsivo è mio).


63      Paragrafi da 40 a 47 delle presenti conclusioni.


64      In tal senso si sono espressi i governi del Regno Unito (punti 52 e segg. delle sue osservazioni) e tedesco (punti 32 e segg. delle sue osservazioni).


65      Al punto 56 delle sue osservazioni scritte, la stessa SM (vale a dire, i suoi rappresentanti in giudizio) afferma che «sarebbe abominevole per il sig. M e la sig.ra M non rispettare (o che ci si attenda che essi non rispettino) la promessa fatta al giudice algerino di impartire a SM un’educazione islamica e adottarla secondo la Convenzione dell’Aia [del 1993], il che è vietato dalla legge algerina».


66      Nel caso della Francia, la Corte EDU ha ritenuto che la regola di conflitto enunciata all’articolo 370‑3 del codice civile («[l]’adozione di un minore straniero non può essere pronunciata se la sua legge regolatrice vieta tale istituto, salvo che il minore sia nato e risieda abitualmente in Francia»), la cui applicazione ai makful algerini osta alla loro adozione in Francia, dato il divieto vigente in Algeria, potrebbe rendere possibile l’adozione quando il minore abbia ottenuto la nazionalità francese. V. sentenza del 4 ottobre 2012, Harroudj c. Francia (CE:ECHR:2012:1004JUD004363109, § 51).


67      Sentenze del 4 ottobre 2012, Harroudj c. Francia (CE:ECHR:2012:1004JUD004363109), e del 16 dicembre 2014, Chbihi e a. c. Belgio (CE:ECHR:2014:1216JUD005226510).


68      Fermo restando quanto rilevato alla nota 48.


69      Punto 13 dell’ordinanza di rinvio.


70      Sentenza del 16 dicembre 2014 (CE:ECHR:2014:1216JUD005226510, § 89).


71      Sentenza del 4 ottobre 2012 (CE:ECHR:2012:1004JUD004363109).


72      Sentenza del 16 dicembre 2014 (CE:ECHR:2014:1216JUD005226510, § 92).


73      Ibidem (§ 93).


74      La Corte EDU rinvia ai §§ 64 e 65 della medesima sentenza, nella quale essa descrive il regime di tutela ufficiosa trascrivendo l’articolo 475 bis del codice civile belga: «Qualora una persona di almeno 25 anni si impegni a mantenere un minore non emancipato, a educarlo e a metterlo in condizione di guadagnarsi da vivere, può divenirne il tutore ufficioso previo accordo tra coloro il cui consenso è necessario ai fini dell’adozione di minori».


75      Ibidem (§ 102).


76      Sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a. (C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 71). Nel caso di specie, si trattava di un istituto rumeno che «mira a integrare il minore che un assistente genitoriale ha ricevuto in custodia, continuativamente e per un lungo periodo, nel nucleo familiare di quest’ultimo» (punto 62). L’affidamento con tali caratteristiche presenta un contenuto analogo a quello della kafala sotto il profilo della cura del minore.


77      Articoli 4 e 5 nonché 14 e segg.


78      Il paragrafo 2 del medesimo articolo aggiunge che «[l]a decisione sul collocamento o l’assistenza può essere presa nello Stato richiedente solo se l’autorità centrale o un’altra autorità competente dello Stato richiesto ha approvato tale collocamento o assistenza, tenuto conto del superiore interesse del minore». La cooperazione tra le autorità dei diversi Stati riveste la massima importanza, dato che, a fronte della regola generale del riconoscimento ex lege delle misure adottate dalle autorità di uno Stato contraente, è ammesso il rifiuto, tra l’altro, nel caso in cui non sia stata rispettata la procedura di cui all’articolo 33 (v. articolo 23 della Convenzione dell’Aia del 1996).


79      «L’articolo 56, paragrafo 2, mira a permettere, da un lato, alle autorità nazionali competenti dello Stato richiesto di approvare o meno l’eventuale collocazione del minore di cui trattasi e, dall’altro, ai giudici dello Stato richiedente di sincerarsi, prima di adottare la decisione di collocare un minore all’interno di un istituto, che nello Stato richiesto verranno adottate le misure ai fini della collocazione al suo interno. (…) [L]a collocazione deve essere approvata dall’autorità competente dello Stato membro richiesto prima che l’autorità giurisdizionale dello Stato membro richiedente abbia adottato la decisione di collocazione. Il carattere obbligatorio dell’approvazione è sottolineato dal fatto che l’articolo 23, lettera g), del regolamento prevede che una decisione relativa alla responsabilità genitoriale non sia riconosciuta se la procedura prevista dall’articolo 56 non è stata rispettata». Sentenza del 26 aprile 2012, Health Service Executive (C‑92/12 PPU, EU:C:2012:255, punti 80 e 81).


80      Quando questi ultimi siano adottati, l’accertamento dell’interesse del minore è già stato effettuato, nel rispetto delle norme procedurali necessario per la validità dell’adozione, nel quadro della normativa del paese corrispondente (o, qualora si tratti di adozione internazionale, della Convenzione dell’Aia del 1993).


81      Logicamente, tale limitazione della libertà di circolazione e soggiorno è subordinata al rispetto dei rigorosi requisiti stabiliti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.


82      Ciò non rende irricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale, come hanno sostenuto alcune delle parti, in quanto solo il giudice del rinvio è in grado di sapere se gli elementi di fatto della controversia presentino un nesso con l’oggetto di tale domanda.


83      Punto 30 dell’ordinanza di rinvio.


84      Il considerando 23 della direttiva 2004/38 richiama il principio di proporzionalità ai fini dell’applicazione della misura dell’espulsione, dovendosi prendere «in considerazione [i]l grado d’integrazione della persona interessata, [la] durata del soggiorno nello Stato membro ospitante, [l]’età, [le] condizioni di salute, [la] situazione familiare ed economica e [i] legami col paese di origine».


85      V. sentenza del 18 dicembre 2014, McCarthy (C‑202/13, EU:C:2014:2450, punti da 43 a 58), sulle garanzie e i limiti dell’applicazione dell’articolo 35 della direttiva 2004/38.


86      Punti 76 e 77 delle sue osservazioni.


87      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI (GU 2011, L 101, pag. 1).


88      L’«adozione illegale o il matrimonio forzato» sono menzionati al considerando 11 della direttiva 2011/36.


89      Sono queste le modalità, non esaustive, di sfruttamento menzionate dall’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2011/36.


90      Paragrafi da 58 a 108 delle presenti conclusioni.