Language of document : ECLI:EU:C:2023:341

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

27 aprile 2023 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Politica di immigrazione – Articolo 20 TFUE – Godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status di cittadino dell’Unione – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Direttiva 2008/115/CE – Norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Articoli 5, 11 e 13 – Effetto diretto – Diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo – Decisione di divieto d’ingresso e di soggiorno adottata nei confronti di un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino europeo minorenne – Minaccia per la sicurezza nazionale – Omessa considerazione della situazione individuale di tale cittadino di un paese terzo – Rifiuto di eseguire una decisione giurisdizionale che ha sospeso l’efficacia di tale decisione di divieto – Conseguenze»

Nella causa C‑528/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria), con decisione del 19 luglio 2021, pervenuta in cancelleria il 26 agosto 2021, nel procedimento

M.D.

contro

Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Budapesti és Pest Megyei Regionális Igazgatósága,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da C. Lycourgos (relatore), presidente di sezione, L. Bay Larsen, vicepresidente della Corte, facente funzione di giudice della Quarta Sezione, L.S. Rossi, S. Rodin e O. Spineanu‑Matei, giudici,

avvocato generale: M. Campos Sánchez-Bordona

cancelliere: I. Illéssy, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 21 settembre 2022,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il governo ungherese, da M.Z. Fehér e M.M. Tátrai, in qualità di agenti, assistiti da K.A. Jáger, in qualità di perito;

–        per il governo ceco, da M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da C. Cattabriga, A. Katsimerou, E. Montaguti, Zs. Teleki e A. Tokár, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 24 novembre 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 20 TFUE, dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e degli articoli 5, 11 e 13 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra M.D. e l’Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Budapesti és Pest Megyei Regionális Igazgatósága (Direzione regionale a Budapest e nella regione di Pest della Direzione generale nazionale della polizia per gli stranieri, Ungheria) (in prosieguo: l’«autorità di polizia per gli stranieri»), in merito alla legittimità della decisione con la quale tale autorità ha adottato un provvedimento di divieto d’ingresso e di soggiorno nei confronti di M.D.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

 Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen

3        L’articolo 25 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore il 26 marzo 1995 (GU 2000, L 239, pag. 19), come modificata dal regolamento (UE) n. 265/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 marzo 2010 (GU 2010, L 85, pag. 1), prevede quanto segue:

«1.      Qualora uno Stato membro preveda di accordare un titolo di soggiorno, esso effettua sistematicamente una ricerca nel sistema d’informazione Schengen. Qualora uno Stato membro preveda di accordare un titolo di soggiorno ad uno straniero segnalato ai fini della non ammissione, esso consulta preliminarmente lo Stato membro che ha effettuato la segnalazione e tiene conto degli interessi di quest’ultimo; il titolo di soggiorno è accordato soltanto per motivi seri, in particolare umanitari o in conseguenza di obblighi internazionali.

Qualora il titolo di soggiorno sia rilasciato, lo Stato membro che ha effettuato la segnalazione procede al ritiro di quest’ultima ma può tuttavia iscrivere lo straniero nel proprio elenco delle persone segnalate.

(...)

2.      Qualora risulti che uno straniero titolare di un titolo di soggiorno in corso di validità rilasciato da una delle Parti contraenti è segnalato ai fini della non ammissione, la Parte contraente che ha effettuato la segnalazione consulta la Parte che ha rilasciato il titolo di soggiorno per stabilire se vi sono motivi sufficienti per ritirare il titolo stesso.

Se il documento di soggiorno non viene ritirato, la Parte contraente che ha effettuato la segnalazione procede al ritiro di quest’ultima, ma può tuttavia iscrivere lo straniero nel proprio elenco nazionale delle persone segnalate.

(...)».

 Regolamento (CE) n. 1987/2006

4        L’articolo 34 del regolamento (CE) n. 1987/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, sull’istituzione, l’esercizio e l’uso del sistema d’informazione Schengen di seconda generazione (SIS II) (GU 2006, L 381, pag. 4), è così formulato:

«1.      Uno Stato membro che effettua una segnalazione è responsabile dell’esattezza, dell’attualità e della liceità di inserimento dei dati nel SIS II.

2.      Solo lo Stato membro che ha effettuato una segnalazione è autorizzato a modificare, completare, rettificare, aggiornare o cancellare i dati che ha inserito.

(...)».

 Direttiva 2008/115

5        I considerando 2, 22 e 24 della direttiva 2008/115 così recitano:

«(2)      Il Consiglio europeo di Bruxelles del 4 e 5 novembre 2004 ha sollecitato l’istituzione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità.

(...)

(22)      In linea con la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989, [adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989,] l’“interesse superiore del bambino” dovrebbe costituire una considerazione preminente degli Stati membri nell’attuazione della presente direttiva. In linea con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, [firmata a Roma il 4 novembre 1950,] il rispetto della vita familiare dovrebbe costituire una considerazione preminente degli Stati membri nell’attuazione della presente direttiva.

(...)

(24)      La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti in particolare nella [Carta]».

6        L’articolo 2, paragrafo 2, di tale direttiva prevede quanto segue:

«Gli Stati membri possono decidere di non applicare la presente direttiva ai cittadini di paesi terzi:

a)      sottoposti a respingimento alla frontiera conformemente all’articolo 13 del codice frontiere Schengen ovvero fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell’attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera esterna di uno Stato membro e che non hanno successivamente ottenuto un’autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato membro;

b)      sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale, o sottoposti a procedure di estradizione».

7        L’articolo 3, punti 3 e 6, di detta direttiva così dispone:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

3)      “rimpatrio” il processo di ritorno di un cittadino di un paese terzo, sia in adempimento volontario di un obbligo di rimpatrio sia forzatamente:

–        nel proprio paese di origine, o

–        in un paese di transito in conformità di accordi comunitari o bilaterali di riammissione o di altre intese, o

–        in un altro paese terzo, in cui il cittadino del paese terzo in questione decide volontariamente di ritornare e in cui sarà accettato;

(...)

6)      “divieto d’ingresso” decisione o atto amministrativo o giudiziario che vieti l’ingresso e il soggiorno nel territorio degli Stati membri per un periodo determinato e che accompagni una decisione di rimpatrio».

8        L’articolo 5 della medesima direttiva è così formulato:

«Nell’applicazione della presente direttiva, gli Stati membri tengono nella debita considerazione:

a)      l’interesse superiore del bambino;

b)      la vita familiare;

c)      le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato;

e rispettano il principio di non-refoulement».

9        L’articolo 6 della direttiva 2008/115 prevede quanto segue:

«1.      Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5.

2.      Un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare e che è in possesso di un permesso di soggiorno valido o di un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare rilasciati da un altro Stato membro deve recarsi immediatamente nel territorio di quest’ultimo. In caso di mancata osservanza di questa prescrizione da parte del cittadino di un paese terzo interessato ovvero qualora motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale impongano la sua immediata partenza, si applica il paragrafo 1.

(...)

6.      La presente direttiva non osta a che gli Stati membri decidano di porre fine al soggiorno regolare e dispongano contestualmente il rimpatrio e/o l’allontanamento e/o il divieto d’ingresso in un’unica decisione o atto amministrativo o giudiziario in conformità della legislazione nazionale, fatte salve le garanzie procedurali previste dal capo III e da altre pertinenti disposizioni del diritto comunitario e nazionale».

10      Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 4, di tale direttiva:

«Se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, gli Stati membri possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a sette giorni».

11      L’articolo 8, paragrafo 1, di detta direttiva è così formulato:

«Gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria a norma dell’articolo 7, paragrafo 4, o per mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio entro il periodo per la partenza volontaria concesso a norma dell’articolo 7».

12      L’articolo 11, paragrafo 1, della medesima direttiva prevede quanto segue:

«Le decisioni di rimpatrio sono corredate di un divieto d’ingresso:

a)      qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria, oppure

b)      qualora non sia stato ottemperato all’obbligo di rimpatrio.

In altri casi le decisioni di rimpatrio possono essere corredate di un divieto d’ingresso».

13      L’articolo 13, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2008/115 così recita:

«1.      Al cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio di cui all’articolo 12, paragrafo 1, o per chiederne la revisione dinanzi ad un’autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza.

2.      L’autorità o l’organo menzionati al paragrafo 1 hanno la facoltà di rivedere le decisioni connesse al rimpatrio di cui all’articolo 12, paragrafo 1, compresa la possibilità di sospenderne temporaneamente l’esecuzione, a meno che la sospensione temporanea sia già applicabile ai sensi del diritto interno».

 Diritto ungherese

 Legge I

14      L’articolo 33 della 2007. évi I. törvény a szabad mozgás és tartózkodás jogával rendelkező személyek beutazásáról és tartózkodásáról (legge n. I del 2007, relativa all’ingresso e al soggiorno dei soggetti titolari della libertà di circolazione e di soggiorno), del 18 dicembre 2006 (Magyar Közlöny 2007/1.) (in prosieguo: la «legge I»), prevede quanto segue:

«Il diritto d’ingresso e di soggiorno dei soggetti rientranti nell’ambito di applicazione della presente legge può essere limitato, in conformità al principio di proporzionalità, solo sulla base di una condotta personale dell’interessato che costituisca una minaccia reale, diretta e grave per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza, la sicurezza nazionale o la salute».

15      L’articolo 42, paragrafo 1, di tale legge così dispone:

«L’espulsione a titolo di provvedimento di polizia per gli stranieri non può essere disposta nei confronti di un cittadino di uno Stato membro dello [Spazio economico europeo (SEE)] o di un suo familiare che:

a)      soggiorna legalmente da più di dieci anni nel territorio dell’Ungheria;

b)      è minore, a meno che l’espulsione sia effettuata nell’interesse del minore».

 Legge II

16      L’articolo 43 dell’a harmadik országbeli állampolgárok beutazásáról és tartózkodásáról szóló 2007. évi II. törvény (legge n. II del 2007, relativa all’ingresso e al soggiorno dei cittadini di paesi terzi), del 18 dicembre 2006 (Magyar Közlöny 2007/1.) (in prosieguo: la «legge II»), è così formulato:

«1.      L’autorità di polizia per gli stranieri dispone un divieto autonomo d’ingresso e di soggiorno nei confronti del cittadino di un paese terzo che soggiorna in un luogo sconosciuto o all’estero,

a)      riguardo al quale l’Ungheria si è impegnata, ai sensi del diritto internazionale, a far rispettare il divieto d’ingresso e di soggiorno;

b)      il cui divieto d’ingresso o di soggiorno è stato disposto dal Consiglio dell’Unione europea;

c)      il cui ingresso e soggiorno pregiudicano o mettono in pericolo la sicurezza nazionale, la pubblica sicurezza o l’ordine pubblico;

(...)

3.      L’iniziativa relativa al divieto autonomo d’ingresso e di soggiorno per il motivo di cui al paragrafo 1, lettera c), (...) può provenire anche dalle forze dell’ordine designate nel decreto governativo, nell’ambito della loro propria sfera di competenza, al fine di svolgere i compiti connessi alla tutela degli interessi definiti dalla legge. Se il divieto autonomo d’ingresso e di soggiorno e l’espulsione a titolo di provvedimento di polizia per gli stranieri sono disposti per i motivi di cui al paragrafo 1, lettera c), (...) le forze dell’ordine designate nel decreto governativo formulano, nei casi che riguardano i loro compiti e le loro competenze, una proposta relativa alla durata del divieto d’ingresso e di soggiorno. L’autorità di polizia per gli stranieri non può discostarsi dal contenuto della proposta».

17      L’articolo 44, paragrafo 1, di tale legge prevede quanto segue:

«La durata del divieto autonomo d’ingresso e di soggiorno ai sensi dell’articolo 43, paragrafo 1, lettere a) e b), è allineata alla durata dell’obbligo o del divieto su cui si fonda la decisione. La durata del divieto autonomo d’ingresso e di soggiorno ai sensi dell’articolo 43, paragrafo 1, lettere da c) a f), è definita dall’autorità di polizia per gli stranieri che adotta la decisione e non può superare il limite massimo di tre anni, eventualmente prorogabili di altri tre anni al massimo. Il divieto d’ingresso e di soggiorno cessa immediatamente se viene meno il motivo per cui è stato disposto».

18      Ai sensi dell’articolo 45, paragrafo 1, di detta legge:

«1)      Prima di adottare una decisione di espulsione a titolo di provvedimento di polizia per gli stranieri di un cittadino di un paese terzo che è in possesso di un titolo di soggiorno in ragione dei suoi legami familiari, l’autorità di polizia per gli stranieri prende in considerazione i seguenti aspetti:

a)      la durata del soggiorno;

b)      l’età e la situazione familiare del cittadino di un paese terzo e le eventuali conseguenze della sua espulsione per i suoi familiari;

c)      i legami del cittadino di un paese terzo con l’Ungheria nonché l’assenza di relazioni con il suo paese di origine».

19      L’articolo 87/B, paragrafo 4, della medesima legge è così formulato:

«L’autorità di polizia per gli stranieri investita del caso è vincolata dal parere dell’autorità specializzata per quanto riguarda il quesito oggetto della perizia di cui trattasi».

 Legge di modifica

20      L’articolo 17 della 2018. évi CXXXIII. törvény az egyes migrációs tárgyú és kapcsolódó törvények módosításáról (legge n. CXXXIII del 2018, recante modifica di talune leggi in materia di migrazione e di altre leggi correlate), del 21 dicembre 2018 (Magyar Közlöny 2018/208.) (in prosieguo: la «legge di modifica»), è entrato in vigore il 1° gennaio 2019. Esso prevede quanto segue:

«La legge I è integrata dal seguente articolo 94:

“94. § 1) Nei procedimenti relativi ai cittadini di paesi terzi familiari di cittadini ungheresi, avviati o riavviati dopo l’entrata in vigore della [legge di modifica], si devono applicare le disposizioni della legge II.

(...)

4)      La carta di soggiorno o la carta di soggiorno permanente di un cittadino di un paese terzo titolare di una carta di soggiorno o di una carta di soggiorno permanente valida in qualità di familiare di un cittadino ungherese sarà revocata:

(...)

b)      se il soggiorno del cittadino del paese terzo costituisce una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale dell’Ungheria.

5)      Nell’ambito dei quesiti oggetto di perizia definiti al paragrafo 4, lettera b), le autorità specializzate designate devono essere contattate, in conformità alle norme della legge II sul rilascio del permesso di stabilimento, al fine di chiedere una perizia.

(...)”».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

21      M.D. è un cittadino di paese terzo, arrivato in Ungheria nel corso del 2002. Egli si è stabilito in tale Stato membro con la madre nonché con la compagna e il loro figlio minore, nato nel 2016, entrambi cittadini ungheresi. Le tre persone in parola sono a carico di M.D. Quest’ultimo lavorava in un panificio da lui gestito. Egli possiede altri quattro panifici in Ungheria e ha stabilito la sua società in Slovacchia.

22      Il 31 maggio 2003 è stato accordato a M.D. un titolo di soggiorno nel territorio ungherese. Tale titolo di soggiorno è stato prorogato più volte.

23      Il 12 giugno 2018 M.D. ha presentato una domanda di carta di soggiorno permanente, che è stata respinta dall’autorità di polizia per gli stranieri, la quale si è pronunciata in primo grado. Dal momento che M.D. era stato condannato a una pena detentiva per traffico di migranti nella forma dell’aiuto all’attraversamento non autorizzato delle frontiere, tale autorità ha presentato un’istanza in materia di sicurezza nazionale, a seguito della quale l’Alkotmányvédelmi Hivatal (Ufficio per la tutela della Costituzione, Ungheria) ha ritenuto che la condotta di M.D. dovesse essere considerata costitutiva di una minaccia reale, diretta e grave per la sicurezza nazionale.

24      Con decisione del 27 agosto 2018 la polizia per gli stranieri ha constatato la cessazione del diritto di soggiorno di M.D. Tale decisione è stata confermata da una decisione del 26 novembre 2018 della medesima autorità, che ha statuito in secondo grado. Le due decisioni in parola sono state fondate sul parere dell’Ufficio per la tutela della Costituzione menzionato al punto precedente.

25      Il 3 gennaio 2019 l’autorità di polizia per gli stranieri ha adottato una decisione di rimpatrio relativa a M.D. e ha imposto allo stesso un divieto d’ingresso e di soggiorno di cinque anni. Tale decisione è stata, tuttavia, revocata il 18 febbraio 2019, per contrarietà all’articolo 42, paragrafo 1, della legge I.

26      Con sentenza del 28 maggio 2019 il Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest-Capitale, Ungheria) ha annullato la decisione del 26 novembre 2018 dell’autorità di polizia per gli stranieri ed ha esteso gli effetti di tale annullamento alla decisione del 27 agosto 2018 della medesima autorità, con la motivazione che quest’ultima non aveva dimostrato che fossero soddisfatte le condizioni cumulative previste all’articolo 33 della legge I, poiché aveva fondato la sua decisione su un parere dell’Ufficio per la tutela della Costituzione, il quale non era intervenuto nel procedimento di cui trattasi in qualità di autorità specializzata. Inoltre, l’autorità di polizia per gli stranieri non aveva valutato tutte le circostanze del caso di specie, come avrebbe invece dovuto fare, anche qualora M.D. costituisse una minaccia reale, diretta e grave per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico. Detto organo giurisdizionale ha poi ordinato alla medesima autorità di valutare, nell’ambito di un nuovo procedimento, tutte le circostanze del caso di specie, e specificamente il fatto che M.D. e la sua compagna avevano stabilito una vita familiare in Ungheria con il loro figlio minore, cittadino ungherese.

27      Con decisione del 29 agosto 2019, all’esito del nuovo procedimento in parola, l’autorità di polizia per gli stranieri ha revocato la carta di soggiorno di M.D., fondandosi su un parere dell’Ufficio per la tutela della Costituzione e del Pest Megyei Rendőr-főkapitányság (Commissariato principale della regione di Pest, Ungheria), secondo il quale la condotta personale di M.D. costituiva una minaccia reale, diretta e grave per la sicurezza nazionale. L’autorità di polizia per gli stranieri, pronunciandosi in secondo grado, ha confermato tale decisione, sottolineando segnatamente che, in virtù dell’articolo 87/B, paragrafo 4, della legge II, applicabile dall’entrata in vigore della legge di modifica, essa non poteva discostarsi da detto parere.

28      La Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria) ha respinto il ricorso presentato da M.D. contro la citata decisione.

29      La Kúria (Corte suprema, Ungheria) ha confermato tale sentenza, considerando che i dati forniti erano sufficienti a dimostrare che il soggiorno di M.D. in Ungheria costituiva una minaccia reale e diretta per la sicurezza nazionale di tale Stato membro e che, tenuto conto dell’esistenza di detta minaccia, la valutazione della situazione personale di M.D. non poteva condurre a un esito positivo della domanda di quest’ultimo.

30      Il 14 ottobre 2020 l’autorità di polizia per gli stranieri ha adottato una decisione di divieto d’ingresso e di soggiorno, della durata di tre anni, nei confronti di M.D. e ha inserito una segnalazione relativa a tale divieto nel sistema d’informazione Schengen (in prosieguo: il «SIS»).

31      Tale autorità ha ritenuto che, in conformità all’articolo 94, paragrafo 1, della legge I, inserito in quest’ultima dalla legge di modifica, M.D. rientrasse nell’ambito di applicazione della legge II. Essa ha altresì indicato che l’Ufficio per la tutela della Costituzione aveva raccomandato l’espulsione di M.D. e l’adozione, nei suoi confronti, di un divieto d’ingresso e di soggiorno della durata di dieci anni. La medesima autorità ha anche rilevato che un permesso di soggiorno della durata di due anni era stato rilasciato a M.D. dalle autorità slovacche, a partire dal 26 febbraio 2019.

32      Alla luce di tali elementi, l’autorità di polizia per gli stranieri ha ritenuto che la condotta di M.D. costituisse una minaccia per la sicurezza nazionale dell’Ungheria.

33      La decisione di divieto d’ingresso e di soggiorno adottata nei confronti di M.D., menzionata al punto 30 della presente sentenza, non è stata preceduta dall’adozione di una decisione di rimpatrio, dal momento che M.D. aveva lasciato il territorio ungherese il 24 settembre 2020.

34      Il giudice del rinvio, investito da M.D. di un ricorso avverso tale decisione di divieto d’ingresso e di soggiorno, sottolinea, in primo luogo, che detta decisione, benché sia stata adottata quando M.D. non soggiornava più in Ungheria, dev’essere considerata un divieto d’ingresso, ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 2008/115.

35      Tale giudice rileva, da un lato, che il permesso di soggiorno rilasciato a M.D. dalle autorità slovacche non ha potuto essere prorogato, a causa della decisione medesima e della segnalazione relativa a M.D. nel SIS, e, d’altro lato, che, alla data di presentazione della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, M.D. risiedeva in Austria e non poteva rientrare in Ungheria, dato che l’autorità di polizia per gli stranieri rifiutava di eseguire l’ordinanza definitiva con la quale detto giudice aveva sospeso gli effetti della decisione di divieto d’ingresso e di soggiorno di cui trattasi.

36      Il giudice del rinvio indica, in secondo luogo, che la legge I, pur trasponendo la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, e rettifica in GU 2004, L 229, pag. 35), aveva un ambito di applicazione che si estendeva, in particolare, ai cittadini di paesi terzi familiari di un cittadino ungherese che non aveva esercitato la sua libertà di circolazione. Pertanto, tale legge consentiva a detti cittadini di paesi terzi di soggiornare in Ungheria alle stesse condizioni dei cittadini di paesi terzi familiari di cittadini di Stati membri del SEE che si erano avvalsi della loro libertà di circolazione. Tuttavia, la legge di modifica, entrata in vigore il 1º gennaio 2019, ha escluso i cittadini di paesi terzi familiari di un cittadino ungherese dall’ambito di applicazione della legge I e ha reso applicabile al loro ingresso e al loro soggiorno la legge II, la quale, fino ad allora, disciplinava solo l’ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi che non erano familiari di un cittadino di uno Stato membro del SEE.

37      In conformità all’articolo 17 di tale legge di modifica, la legge II è applicabile anche ai procedimenti che, come nel caso di specie, sono stati riavviati dopo l’entrata in vigore di detta legge di modifica. Orbene, in forza di tale legge II, la carta di soggiorno o di soggiorno permanente di un cittadino di un paese terzo può essere revocata più facilmente che nella vigenza della legge I, in particolare nel caso in cui la condotta del cittadino in parola costituisca una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale dell’Ungheria. In tal senso, in un siffatto caso dev’essere disposta l’espulsione del cittadino di un paese terzo di cui trattasi, senza che siano prese in considerazione le circostanze familiari o personali di tale cittadino.

38      Orbene, il giudice del rinvio rileva segnatamente che, con la sua sentenza dell’11 marzo 2021, État belge (Rimpatrio del genitore di un minore) (C‑112/20, EU:C:2021:197), la Corte ha dichiarato che l’articolo 5 della direttiva 2008/115, in combinato disposto con l’articolo 24 della Carta, impone agli Stati membri di tenere nella debita considerazione l’interesse superiore del bambino prima di adottare una decisione di rimpatrio, accompagnata da un divieto d’ingresso, persino qualora il destinatario di tale decisione non sia un minore, bensì il padre di quest’ultimo.

39      In terzo luogo, il giudice del rinvio evidenzia che i cittadini ungheresi familiari di M.D. non hanno esercitato il loro diritto alla libera circolazione all’interno dell’Unione europea e che, di conseguenza, M.D. non può fondare un diritto di soggiorno derivato né sulla direttiva 2004/38 né sull’articolo 21 TFUE.

40      Tale giudice rileva tuttavia che, in caso di esecuzione immediata dell’espulsione di un cittadino di un paese terzo disposta per motivi di sicurezza nazionale, anche i familiari di tale cittadino in possesso, come nel caso di specie, della cittadinanza dell’Unione devono lasciare il territorio ungherese, poiché, in caso contrario, vi sarebbe una rottura permanente dell’unità familiare, dal momento che il motivo connesso alla sicurezza nazionale osta parimenti al rilascio di un visto. Orbene, detto giudice ricorda che il rifiuto di concedere un diritto di soggiorno al cittadino di un paese terzo può rimettere in discussione l’effetto utile della cittadinanza dell’Unione, laddove esista, tra tale cittadino di un paese terzo e il cittadino dell’Unione, suo familiare, un rapporto di dipendenza tale da far sì che quest’ultimo sia costretto ad accompagnare detto cittadino di un paese terzo, suo familiare, e a lasciare il territorio dell’Unione.

41      Il medesimo giudice considera che nessuna disposizione di diritto ungherese prevede che le circostanze personali e familiari debbano essere esaminate prima dell’adozione di una decisione di divieto d’ingresso e di soggiorno nei confronti di cittadini di paesi terzi che non dispongono di un titolo di soggiorno. M.D. si trova, quindi, in una situazione meno favorevole non solo rispetto ai cittadini di paesi terzi familiari di un cittadino dell’Unione che si è avvalso del suo diritto alla libera circolazione, ma anche rispetto ai cittadini di paesi terzi che non sono familiari di un cittadino dell’Unione, dato che la situazione di questi ultimi cittadini di paesi terzi è disciplinata dalle direttive trasposte dalla legge II, mentre queste non sono applicabili a cittadini di paesi terzi che, come M.D., sono familiari di un cittadino dell’Unione.

42      In quarto luogo, il giudice del rinvio si chiede se, nell’ipotesi in cui la nuova normativa ungherese sia incompatibile con il diritto dell’Unione e in assenza di un’altra normativa nazionale specifica, si possa tener conto dell’articolo 42, paragrafo 1, della legge I, che era applicabile a M.D. fino al 1º gennaio 2019, oppure se esso possa disapplicare il diritto nazionale e fondare la sua decisione direttamente sulla direttiva 2008/115.

43      In ultimo luogo, tale giudice ritiene che non esista una giurisprudenza della Corte in merito al rifiuto dell’autorità di polizia per gli stranieri di dare esecuzione a un’ordinanza come quella con cui esso ha disposto la sospensione della decisione di divieto d’ingresso e di soggiorno adottata nei confronti di M.D., menzionata al punto 30 della presente sentenza.

44      Alla luce di tali circostanze, la Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se gli articoli 5 e 11 della direttiva 2008/115 e l’articolo 20 TFUE, in combinato disposto con gli articoli 7, 20, 24 e 47 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che ostano alla prassi di uno Stato membro di estendere l’applicazione di una riforma legislativa anche a procedimenti riavviati in forza di una decisione giudiziaria emessa nell’ambito di procedimenti anteriori, riforma legislativa ai sensi della quale un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, viene assoggettato a un regime procedurale molto più sfavorevole, al punto tale da perdere lo status di persona che non può essere oggetto di rimpatrio neppure per motivi di ordine pubblico, di sicurezza pubblica o di sicurezza nazionale, status che aveva acquisito in ragione della durata del suo soggiorno fino a tale momento; da vedere poi respinta la propria domanda di carta di soggiorno permanente sulla base di tale medesima situazione di fatto e per ragioni di sicurezza nazionale; da revocargli la carta di soggiorno già attribuita e da imporgli infine un divieto d’ingresso e di soggiorno, senza che le sue circostanze personali e familiari – in particolare, nel caso di specie, il fatto di avere a carico anche un cittadino ungherese minorenne – siano state prese in considerazione in alcun procedimento. Decisioni siffatte possono avere come conseguenza la rottura dell’unità familiare o che cittadini dell’Unione, familiari del cittadino del paese terzo, come un figlio minorenne, si vedano costretti a lasciare il territorio dello Stato membro.

2)      Se gli articoli 5 e 11 della direttiva 2008/115 e l’articolo 20 TFUE, in combinato disposto con gli articoli 7 e 24 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che ostano alla prassi di uno Stato membro di non prendere in considerazione le circostanze personali e familiari del cittadino di un paese terzo, prima di imporgli un divieto d’ingresso e di soggiorno, per il motivo che il soggiorno di tale persona, familiare di un cittadino dell’Unione, costituisce una minaccia reale, diretta e grave per la sicurezza nazionale del paese.

In caso di risposta affermativa alle questioni pregiudiziali prima e seconda:

3)      Se l’articolo 20 TFUE e gli articoli 5 e 13 della direttiva 2008/115, in combinato disposto con gli articoli 20 e 47 della Carta, nonché il considerando 22 della direttiva 2008/115, che impone come considerazione preminente l’interesse superiore del bambino, e il considerando 24 della medesima direttiva, che impone che si rispettino i diritti fondamentali e i principi riconosciuti nella Carta, debbano essere interpretati nel senso che il giudice nazionale, allorché constati, sulla base di una decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea, che il diritto dello Stato membro o la prassi delle autorità competenti per gli stranieri fondata su tale diritto nazionale sono contrari al diritto dell’Unione, può prendere in considerazione, nell’esaminare la legittimità del divieto d’ingresso e di soggiorno, come diritto acquisito del ricorrente nella presente controversia, il fatto che, nel periodo di vigenza della [legge I], questi soddisfacesse i requisiti necessari per l’applicazione dell’articolo 42 di detta legge, ossia avesse compiuto oltre dieci anni di soggiorno regolare in Ungheria, o nel senso che, nel verificare la fondatezza dell’adozione del divieto d’ingresso e di soggiorno, detto giudice deve applicare direttamente l’articolo 5 della direttiva 2008/115 per tener conto delle circostanze familiari e personali, nel silenzio al riguardo della [legge II].

4)      Se sia conforme al diritto dell’Unione, in particolare al diritto a un ricorso effettivo garantito dall’articolo 13 della direttiva 2008/115 e al diritto a un giudice imparziale sancito dall’articolo 47 della Carta, la prassi di uno Stato membro in virtù della quale, nell’ambito del procedimento avviato da un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, nell’esercizio del suo diritto al ricorso, le autorità competenti per gli stranieri non ottemperano a una decisione giudiziaria definitiva che ordina la tutela giurisdizionale immediata della sospensione dell’esecuzione di una decisione di divieto d’ingresso e di soggiorno, adducendo che hanno già inoltrato al [SIS] una segnalazione relativa a tale divieto, così che il cittadino di paese terzo, familiare del cittadino dell’Unione, non può esercitare personalmente il diritto al ricorso né entrare nel territorio dello Stato membro – l’Ungheria – mentre ha luogo il procedimento e non è stata ancora pronunciata una decisione definitiva nella controversia in cui è parte».

 Procedimento dinanzi alla Corte

45      Il giudice del rinvio ha chiesto che la presente causa fosse sottoposta al procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto all’articolo 107 del regolamento di procedura della Corte.

46      Con decisione del 16 settembre 2021 la Quinta Sezione ha deliberato, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, che non occorreva dare seguito alla domanda di sottoporre la presente causa al procedimento pregiudiziale d’urgenza.

47      Il 1° ottobre 2021 il presidente della Corte ha deciso che la presente causa sarebbe stata decisa in via prioritaria, in conformità all’articolo 53, paragrafo 3, del regolamento di procedura della Corte.

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla ricevibilità

48      Secondo il governo ungherese, le questioni pregiudiziali devono essere dichiarate irricevibili nei limiti in cui mirano, da un lato, a determinare se il diritto dell’Unione osti alla revoca del diritto di soggiorno di M.D. nel territorio ungherese, mentre tale revoca non è oggetto della controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio, e, dall’altro, a interpretare la direttiva 2008/115, mentre la decisione di divieto d’ingresso e di soggiorno di cui trattasi nel procedimento principale non rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva, poiché è stata adottata dopo che M.D. ha lasciato il territorio ungherese.

49      A tal riguardo, risulta da una costante giurisprudenza della Corte che le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una domanda di pronuncia pregiudiziale presentata da un giudice nazionale è possibile solo qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte [sentenza dell’8 novembre 2022, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Esame d’ufficio del trattenimento), C‑704/20 e C‑39/21, EU:C:2022:858, punto 61 e giurisprudenza ivi citata].

50      Nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale e dalla risposta fornita dal giudice del rinvio alla richiesta di informazioni rivoltagli risulta, da un lato, che tale giudice è chiamato a verificare solamente la regolarità della decisione di divieto d’ingresso e di soggiorno adottata nei confronti di M.D., poiché la decisione che ha revocato il diritto di soggiorno di tale cittadino di un paese terzo nel territorio ungherese è divenuta definitiva, e, dall’altro, che il divieto d’ingresso e di soggiorno in parola è valevole per tutto il territorio dell’Unione.

51      Ne consegue che, come sostenuto dal governo ungherese, le questioni pregiudiziali presentano un’utilità ai fini della soluzione della controversia di cui trattasi nel procedimento principale solo nei limiti in cui riguardano la decisione di divieto d’ingresso e di soggiorno di cui M.D. è stato oggetto e, pertanto, sono ricevibili solo entro tali limiti.

52      Per quanto riguarda, per contro, l’utilità di interpretare la direttiva 2008/115 nell’ambito del procedimento principale, occorre ricordare che laddove, come nella presente causa, non appaia in modo manifesto che l’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia nel procedimento principale, l’obiezione relativa all’inapplicabilità di detta disposizione alla controversia di cui al procedimento principale non riguarda la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale, ma rientra nel merito delle questioni (v., in tal senso, sentenza del 14 luglio 2022, ASADE, C‑436/20, EU:C:2022:559, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

 Nel merito

 Sulle questioni prima e seconda

53      Con le sue questioni prima e seconda, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 20 TFUE e gli articoli 5 e 11 della direttiva 2008/115, in combinato disposto con gli articoli 7, 20, 24 e 47 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato membro adotti una decisione di divieto d’ingresso nel territorio dell’Unione nei confronti di un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, cittadino di tale Stato membro che non ha mai esercitato la propria libertà di circolazione, con la motivazione che la condotta di tale cittadino di un paese terzo costituisce una minaccia reale, diretta e grave per la sicurezza nazionale di detto Stato membro, senza che venga esaminata la situazione personale e familiare del medesimo cittadino di un paese terzo.

54      In via preliminare, occorre rilevare che, secondo il governo ungherese, la normativa ungherese applicabile consente di prendere in considerazione, in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, la situazione personale e familiare di un cittadino di un paese terzo, prima che una decisione di divieto d’ingresso nel territorio dell’Unione sia adottata nei suoi confronti.

55      Ciò posto, come ricordato al punto 49 della presente sentenza, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sono sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza. Pertanto, l’esame di un rinvio pregiudiziale dev’essere effettuato alla luce dell’interpretazione del diritto nazionale fornita dal giudice del rinvio e non di quella invocata dal governo di uno Stato membro [sentenza del 20 ottobre 2022, Centre public d’action sociale de Liège (Revoca o sospensione di una decisione di rimpatrio), C‑825/21, EU:C:2022:810, punto 35].

56      Ne consegue che occorre rispondere alle questioni prima e seconda partendo dalla premessa, che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare, che il diritto nazionale non consenta di prendere in considerazione, in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, la situazione personale e familiare del cittadino di un paese terzo di cui trattasi, prima di adottare una decisione di divieto d’ingresso nel territorio dell’Unione nei suoi confronti.

–       Sull’articolo 20 TFUE

57      In primo luogo, occorre ricordare che l’articolo 20 TFUE osta a provvedimenti nazionali che abbiano l’effetto di privare i cittadini dell’Unione del godimento reale ed effettivo dei diritti conferiti dal loro status di cittadini dell’Unione [sentenze dell’8 marzo 2011, Ruiz Zambrano, C‑34/09, EU:C:2011:124, punto 42, e del 27 febbraio 2020, Subdelegación del Gobierno en Ciudad Real (Coniuge di un cittadino dell’Unione), C‑836/18, EU:C:2020:119, punto 37].

58      A questo proposito la Corte ha già dichiarato che esistono situazioni molto particolari in cui, malgrado il fatto che il diritto derivato relativo al diritto di soggiorno dei cittadini di paesi terzi non sia applicabile e che il cittadino dell’Unione interessato non si sia avvalso della propria libertà di circolazione, un diritto di soggiorno deve nondimeno essere accordato al cittadino di un paese terzo, familiare di tale cittadino dell’Unione, a pena di pregiudicare l’effetto utile della cittadinanza dell’Unione, qualora, in conseguenza del rifiuto di riconoscimento di un siffatto diritto, detto cittadino dell’Unione si vedesse di fatto obbligato a lasciare il territorio dell’Unione globalmente inteso, venendo così privato del godimento effettivo del contenuto essenziale dei diritti conferiti dal suo status di cittadino dell’Unione [v., in tal senso, sentenze dell’8 marzo 2011, Ruiz Zambrano, C‑34/09, EU:C:2011:124, punti 43 e 44, e del 5 maggio 2022, Subdelegación del Gobierno en Toledo (Soggiorno di un familiare – Risorse insufficienti), C‑451/19 e C‑532/19, EU:C:2022:354, punto 45].

59      Tuttavia, il rifiuto di concedere un diritto di soggiorno al cittadino di un paese terzo può rimettere in discussione l’effetto utile della cittadinanza dell’Unione solo se tra tale cittadino di un paese terzo e il cittadino dell’Unione, suo familiare, sussiste un rapporto di dipendenza tale da far sì che quest’ultimo sia costretto a seguire il cittadino del paese terzo e a lasciare il territorio dell’Unione, considerato nel suo insieme [sentenze dell’8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio), C‑82/16, EU:C:2018:308, punto 52, e del 5 maggio 2022, Subdelegación del Gobierno en Toledo (Soggiorno di un familiare – Risorse insufficienti), C‑451/19 e C‑532/19, EU:C:2022:354, punto 46 e giurisprudenza ivi citata].

60      In secondo luogo, al pari del diniego o della perdita di un diritto di soggiorno nel territorio di uno Stato membro, un divieto d’ingresso nel territorio dell’Unione, imposto a un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, può condurre a privare tale cittadino del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dal suo status, qualora, a causa del rapporto di dipendenza esistente tra le persone in parola, tale divieto d’ingresso costringa, di fatto, detto cittadino ad abbandonare il territorio dell’Unione, complessivamente inteso, per seguire il proprio familiare, cittadino di un paese terzo oggetto del citato divieto (v., per analogia, sentenza del 13 settembre 2016, CS, C‑304/14, EU:C:2016:674, punto 32).

61      Nel caso di specie, sia il figlio minore di M.D. che sua madre godono, in quanto cittadini dell’Unione, dei diritti sanciti all’articolo 20 TFUE. Pertanto, non si può escludere a priori che il divieto d’ingresso e di soggiorno imposto a M.D. determini che tali cittadini dell’Unione siano, di fatto, privati del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti che essi traggono dal loro status di cittadini dell’Unione. Ciò avverrebbe se esistesse, tra M.D. e suo figlio minore o la sua compagna, un rapporto di dipendenza, ai fini dell’applicazione dell’articolo 20 TFUE, come interpretato dalla Corte, che costringa anche tale figlio minore o tale compagna a lasciare, di fatto, il territorio dell’Unione [v., in particolare, sentenze dell’8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio), C‑82/16, EU:C:2018:308, punti 65 e da 71 a 75, nonché del 5 maggio 2022, Subdelegación del Gobierno en Toledo (Soggiorno di un familiare – Risorse insufficienti), C‑451/19 e C‑532/19, EU:C:2022:354, punti 56 e da 64 a 69].

62      A tal riguardo occorre precisare che, secondo il giudice del rinvio, M.D. godeva di un diritto di soggiorno in Slovacchia alla data in cui gli è stato revocato il titolo di soggiorno nel territorio ungherese. Pertanto, una siffatta revoca non pare aver potuto costringere, di fatto, il figlio minore di M.D. e la sua compagna, madre di tale minore, a lasciare il territorio dell’Unione considerato nel suo insieme, dal momento che non risulta in alcun modo che tali cittadini dell’Unione si sarebbero trovati nell’impossibilità di soggiornare legalmente in Slovacchia.

63      Sulla base delle informazioni di cui dispone la Corte non è quindi certo che la revoca del titolo di soggiorno di M.D. da parte delle autorità ungheresi possa aver violato l’articolo 20 TFUE (v., per analogia, sentenza del 10 ottobre 2013, Alokpa e Moudoulou, C‑86/12, EU:C:2013:645, punti 34 e 35).

64      Per contro, adottando la decisione di divieto d’ingresso e di soggiorno oggetto del procedimento principale, i cui effetti hanno una dimensione europea, le autorità ungheresi hanno privato M.D. di ogni diritto di soggiorno nel territorio di tutti gli Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 16 gennaio 2018, E, C‑240/17, EU:C:2018:8, punto 42).

65      Dalle considerazioni che precedono risulta che uno Stato membro non può vietare l’ingresso nel territorio dell’Unione a un cittadino di un paese terzo, un cui familiare sia un cittadino dell’Unione, cittadino di tale Stato membro che non abbia mai esercitato la sua libertà di circolazione, senza che sia stata verificata l’esistenza di un rapporto di dipendenza, come descritto al punto 61 della presente sentenza, tra tale cittadino di un paese terzo e il familiare in parola. Incombe, al contrario, alle autorità nazionali di valutare, sul fondamento degli elementi che il cittadino di un paese terzo e il cittadino dell’Unione interessati devono poter liberamente apportare loro e procedendo, se necessario, alle ricerche necessarie, se esiste, tra queste due persone, un siffatto rapporto di dipendenza [v., in tal senso, sentenza del 27 febbraio 2020, Subdelegación del Gobierno en Ciudad Real (Coniuge di un cittadino dell’Unione), C‑836/18, EU:C:2020:119, punto 53].

66      In terzo luogo, occorre rilevare che M.D. è stato privato del suo diritto di soggiorno nel territorio ungherese sulla base del rilievo che la sua condotta costituiva una minaccia reale, diretta e grave per la sicurezza nazionale, e che l’adozione, nei suoi confronti, di una decisione di divieto d’ingresso e di soggiorno nel territorio dell’Unione è stata fondata sullo stesso motivo.

67      A questo proposito si deve ricordare che gli Stati membri possono derogare, a determinate condizioni, al diritto di soggiorno derivato, risultante dall’articolo 20 TFUE, per il familiare di un cittadino dell’Unione di cui al punto 58 della presente sentenza, al fine di garantire il mantenimento dell’ordine pubblico o la salvaguardia della sicurezza pubblica. Ciò può avvenire qualora tale cittadino di un paese terzo costituisca una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per l’ordine pubblico o la sicurezza pubblica o nazionale [v., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio), C‑82/16, EU:C:2018:308, punto 92 e giurisprudenza ivi citata].

68      Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 103 delle sue conclusioni, l’applicazione di una siffatta deroga non può essere fondata unicamente sui precedenti penali del cittadino di un paese terzo di cui trattasi. Essa può discendere, se del caso, solamente da una valutazione in concreto di tutte le circostanze pertinenti nella specie, alla luce del principio di proporzionalità, dei diritti fondamentali di cui la Corte garantisce il rispetto e, tra l’altro, dell’interesse superiore del figlio minore, cittadino dell’Unione. L’autorità nazionale competente può dunque prendere in considerazione, tra l’altro, la gravità dei reati commessi e il grado di severità delle susseguenti condanne nonché il periodo intercorso tra la data della loro pronuncia e la data in cui detta autorità statuisce. Qualora il rapporto di dipendenza tra detto cittadino di un paese terzo e un cittadino dell’Unione minorenne derivi dal fatto che il primo è genitore del secondo, occorre altresì prendere in considerazione l’età, lo stato di salute e la situazione familiare ed economica di tale cittadino dell’Unione minorenne [v., in tal senso, sentenza del 5 maggio 2022, Subdelegación del Gobierno en Toledo (Soggiorno di un familiare – Risorse insufficienti), C‑451/19 e C‑532/19, EU:C:2022:354, punto 53 e giurisprudenza ivi citata].

69      Pertanto, qualora sia accertato un rapporto di dipendenza, come descritto al punto 61 della presente sentenza, tra il cittadino di un paese terzo di cui trattasi e il suo familiare, cittadino dell’Unione, lo Stato membro interessato può vietare l’ingresso e il soggiorno nel territorio dell’Unione di tale cittadino di un paese terzo per motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale solo dopo aver tenuto in considerazione tutte le circostanze pertinenti, e segnatamente, se del caso, l’interesse superiore del figlio minore, cittadino dell’Unione.

70      Da tutte le considerazioni che precedono risulta che l’articolo 20 TFUE osta a che uno Stato membro adotti una decisione di divieto d’ingresso nel territorio dell’Unione nei confronti di un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione cittadino di tale Stato membro che non ha mai esercitato la propria libertà di circolazione, senza aver previamente esaminato se esista, tra tali persone, un rapporto di dipendenza che costringa, di fatto, detto cittadino dell’Unione a lasciare il territorio dell’Unione, considerato nel suo insieme, per seguire tale familiare e, in caso affermativo, se i motivi per i quali siffatta decisione è stata adottata giustifichino una deroga al diritto di soggiorno derivato di detto cittadino di un paese terzo.

–       Sulla direttiva 2008/115

71      In primo luogo, occorre esaminare se una decisione di divieto d’ingresso in tutto il territorio dell’Unione adottata, da uno Stato membro, nei confronti di un cittadino di un paese terzo rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115, qualora, come nel caso di specie, tale decisione intervenga dopo che detto cittadino ha lasciato il territorio di tale Stato membro, senza che sia stata adottata alcuna decisione di rimpatrio che lo riguardi.

72      A questo proposito, sotto un primo profilo, risulta dal considerando 2 della direttiva 2008/115 che la stessa persegue l’attuazione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità. Come risulta tanto dal titolo quanto dal tenore testuale dell’articolo 1 della stessa direttiva, quest’ultima stabilisce «norme e procedure comuni» che ciascuno Stato membro è tenuto ad applicare per il rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare [sentenza dell’8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio), C‑82/16, EU:C:2018:308, punto 100 e giurisprudenza ivi citata].

73      Fatte salve le deroghe previste all’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2008/115, le quali non appaiono applicabili in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, tale direttiva si applica a qualsiasi cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro sia irregolare. Inoltre, un cittadino di un paese terzo, poiché rientra nell’ambito di applicazione di detta direttiva, deve, in linea di principio, essere assoggettato alle norme e alle procedure comuni da essa previste ai fini del suo rimpatrio, e ciò fintanto che il suo soggiorno non sia stato, eventualmente, regolarizzato [sentenza del 22 novembre 2022, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Allontanamento – Cannabis per uso terapeutico), C‑69/21, EU:C:2022:913, punto 52 e giurisprudenza ivi citata].

74      L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 prevede, dal canto suo, che, una volta accertato il carattere irregolare del soggiorno, qualsiasi cittadino di un paese terzo, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5 dello stesso articolo e nella rigorosa osservanza dei requisiti stabiliti all’articolo 5 della stessa direttiva, dev’essere oggetto di una decisione di rimpatrio, la quale deve individuare, tra i paesi di cui all’articolo 3, punto 3, di detta direttiva, quello verso il quale dev’essere allontanato il cittadino di un paese terzo [sentenza del 22 novembre 2022, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Allontanamento – Cannabis per uso terapeutico), C‑69/21, EU:C:2022:913, punto 53 e giurisprudenza ivi citata].

75      Tuttavia, dall’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/115 risulta che dev’essere consentito a un cittadino di un paese terzo, il quale soggiorna in modo irregolare nel territorio di uno Stato membro pur godendo di un diritto di soggiorno in un altro Stato membro, di recarsi in quest’ultimo, anziché adottare direttamente, nei suoi confronti, una decisione di rimpatrio, salvo che ciò non sia imposto da ragioni relative all’ordine pubblico o alla sicurezza nazionale [sentenza del 24 febbraio 2021, M e a. (Trasferimento verso uno Stato membro), C‑673/19, EU:C:2021:127, punto 35].

76      Infine, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, gli Stati membri devono adottare una decisione di divieto d’ingresso se il cittadino di un paese terzo, che è stato oggetto di una decisione di rimpatrio, non ha rispettato l’obbligo di rimpatrio, o quando nessun termine per la partenza volontaria gli è stato concesso, il che può verificarsi, conformemente all’articolo 7, paragrafo 4, di tale direttiva, se l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale [sentenza dell’8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio), C‑82/16, EU:C:2018:308, punto 86]. Negli altri casi discende da tale articolo 11, paragrafo 1, che gli Stati membri possono corredare le decisioni di rimpatrio di un siffatto divieto d’ingresso.

77      Dalla giurisprudenza della Corte si evince che un divieto d’ingresso costituisce uno strumento diretto ad aumentare l’efficacia della politica dell’Unione in materia di rimpatrio, garantendo che, per un certo periodo dopo l’allontanamento di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare, quest’ultimo non potrà più ritornare legalmente sul territorio degli Stati membri [sentenza del 17 settembre 2020, JZ (Pena detentiva in caso di divieto d’ingresso), C‑806/18, EU:C:2020:724, punto 32].

78      Sotto un secondo profilo, la circostanza che, come nel caso di specie, un cittadino di un paese terzo sia oggetto di una decisione di divieto d’ingresso senza essere stato previamente destinatario di una decisione di rimpatrio non implica necessariamente che tale decisione di divieto d’ingresso esuli dall’ambito di applicazione della direttiva 2008/115.

79      È certo vero che dall’articolo 3, punto 6, e dall’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 risulta che, in linea di principio, l’adozione di una decisione di divieto d’ingresso nei confronti di un cittadino di un paese terzo non è concepibile senza che sia stata adottata una decisione di rimpatrio nei confronti di tale cittadino.

80      Tuttavia, nel caso di specie si evince dalla decisione di rinvio che la decisione con cui l’Ungheria ha vietato a M.D. di entrare nel territorio dell’Unione, con la motivazione che la sua condotta costituiva una minaccia reale, diretta e grave per la sicurezza nazionale di tale Stato membro, è stata adottata sulla scia della decisione con la quale detto Stato membro gli ha revocato, per un motivo identico, il diritto di soggiorno nel proprio territorio.

81      Orbene, dal testo stesso dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/115 risulta che, in un siffatto caso, lo Stato membro in cui soggiorna in modo irregolare il cittadino di un paese terzo è tenuto ad adottare una decisione di rimpatrio nei suoi confronti, anche qualora quest’ultimo sia titolare di un diritto di soggiorno in un altro Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 16 gennaio 2018, E, C‑240/17, EU:C:2018:8, punto 48).

82      A tal riguardo è irrilevante che, come sostenuto dal governo ungherese, l’assenza di una siffatta decisione di rimpatrio si spieghi, nel caso di specie, con la complessità del processo decisionale istituito dalla normativa nazionale. Infatti, secondo la costante giurisprudenza della Corte, uno Stato membro non può eccepire l’esistenza di disposizioni, prassi o situazioni del proprio ordinamento giuridico interno al fine di giustificare il mancato rispetto degli obblighi che gli incombono in forza del diritto dell’Unione [sentenze dell’8 settembre 2010, Carmen Media Group, C‑46/08, EU:C:2010:505, punto 69, e del 25 febbraio 2021, Commissione/Spagna (Direttiva sui dati personali – Settore penale), C‑658/19, EU:C:2021:138, punto 19 e giurisprudenza ivi citata].

83      Pertanto, sarebbe contrario all’obiettivo e al sistema generale della direttiva 2008/115 ritenere che una decisione di divieto d’ingresso nel territorio dell’Unione adottata nei confronti di un cittadino di un paese terzo per un motivo relativo alla salvaguardia della sicurezza nazionale esuli dall’ambito di applicazione di tale direttiva in ragione del fatto che detto cittadino di un paese terzo non è stato previamente oggetto di una decisione di rimpatrio.

84      Ritenere, in un caso del genere, che la direttiva 2008/115 non si applichi a tale decisione di divieto d’ingresso priverebbe indebitamente il citato cittadino di un paese terzo delle garanzie sostanziali e procedurali che gli Stati membri sono tenuti a rispettare, in forza di tale direttiva, quando intendono adottare una siffatta decisione di divieto d’ingresso.

85      Una tale conclusione non è rimessa in discussione dalla sentenza del 3 giugno 2021, Westerwaldkreis (C‑546/19, EU:C:2021:432), dal momento che la situazione oggetto della causa che ha dato luogo a tale sentenza era diversa da quella di cui trattasi nel procedimento principale. Infatti, la decisione di divieto d’ingresso in questione in detta sentenza era stata mantenuta, sebbene la decisione di rimpatrio cui si accompagnava fosse stata revocata.

86      Sotto un terzo profilo, neppure la circostanza che, alla data in cui è stata adottata una decisione di divieto d’ingresso e di soggiorno nei confronti di un cittadino di un paese terzo, quest’ultimo non si trovasse più in posizione di soggiorno irregolare nel territorio dello Stato membro che ha adottato tale decisione è sufficiente a escludere detta decisione dall’ambito di applicazione della direttiva 2008/115.

87      Infatti, da un lato, come rilevato al punto 77 della presente sentenza, una siffatta decisione di divieto ha lo scopo d’impedire al cittadino di un paese terzo di cui trattasi di ritornare nel territorio dell’Unione dopo aver lasciato quest’ultimo. Dall’altro lato, l’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 consente che una decisione di rimpatrio e una decisione di divieto d’ingresso siano adottate contestualmente, senza tuttavia imporlo affatto. Pertanto, non è sufficiente che una decisione di divieto d’ingresso sia adottata dopo la partenza del cittadino di un paese terzo dal territorio di uno Stato membro perché tale decisione di divieto esuli automaticamente dall’ambito di applicazione della direttiva in parola.

88      Si deve ritenere, dunque, che una decisione di divieto d’ingresso, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, debba essere considerata un divieto d’ingresso, ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 2008/115, e che la sua adozione sia soggetta all’osservanza delle garanzie previste da tale direttiva.

89      In secondo luogo, l’articolo 5 della direttiva 2008/115, che costituisce una norma generale che si impone agli Stati membri dal momento in cui essi attuano tale direttiva [sentenza del 22 novembre 2022, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Allontanamento – Cannabis per uso terapeutico), C‑69/21, EU:C:2022:913, punto 55], obbliga questi ultimi a tenere nella debita considerazione l’interesse superiore del bambino, la vita familiare e le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato. Pertanto, un siffatto obbligo grava su di essi anche quando intendono adottare una decisione di divieto d’ingresso, ai sensi dell’articolo 11 di detta direttiva.

90      Occorre altresì precisare che, in forza di tale articolo 5, gli Stati membri devono tenere nella debita considerazione l’interesse superiore del bambino prima di adottare una decisione di divieto d’ingresso, persino qualora il destinatario di tale decisione non sia un minore, bensì il padre di quest’ultimo [v., in tal senso, sentenza dell’11 marzo 2021, État belge (Rimpatrio del genitore di un minore), C‑112/20, EU:C:2021:197, punto 43].

91      Pertanto, detto articolo 5 osta a che una decisione di divieto d’ingresso, ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 2008/115, sia adottata nei confronti di un cittadino di un paese terzo senza che siano state previamente prese in considerazione le sue condizioni di salute nonché, se del caso, la sua vita familiare e l’interesse superiore del figlio minore.

92      Da tutte le considerazioni che precedono risulta che occorre rispondere alle questioni prima e seconda nel modo seguente:

–        l’articolo 20 TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato membro adotti una decisione di divieto d’ingresso nel territorio dell’Unione nei confronti di un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, cittadino di tale Stato membro che non ha mai esercitato la propria libertà di circolazione, senza aver previamente esaminato se esista, tra tali persone, un rapporto di dipendenza che costringa, di fatto, detto cittadino dell’Unione a lasciare tale territorio, considerato nel suo insieme, per seguire tale familiare e, in caso affermativo, se i motivi per i quali siffatta decisione è stata adottata giustifichino una deroga al diritto di soggiorno derivato di detto cittadino di un paese terzo;

–        l’articolo 5 della direttiva 2008/115 dev’essere interpretato nel senso che esso osta a che un cittadino di un paese terzo, che avrebbe dovuto essere destinatario di una decisione di rimpatrio, sia oggetto, immediatamente a seguito della decisione che gli ha revocato, per motivi connessi alla sicurezza nazionale, il diritto di soggiorno nel territorio dello Stato membro di cui trattasi, di una decisione di divieto d’ingresso nel territorio dell’Unione, adottata per motivi identici, senza che siano state previamente prese in considerazione le sue condizioni di salute nonché, se del caso, la sua vita familiare e l’interesse superiore del figlio minore.

 Sulla terza questione

93      Con la sua terza questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 20 TFUE e gli articoli 5 e 13 della direttiva 2008/115, in combinato disposto con gli articoli 20 e 47 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che, qualora un giudice nazionale sia investito di un ricorso avverso una decisione di divieto d’ingresso, adottata in forza di una normativa nazionale incompatibile con tale articolo 5, detto giudice possa basarsi su una normativa nazionale anteriore oppure sia tenuto ad applicare direttamente il citato articolo 5.

94      In primo luogo, dalla costante giurisprudenza della Corte risulta che, in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, vuoi qualora esso abbia omesso di trasporre la direttiva in diritto nazionale entro i termini, vuoi qualora l’abbia recepita in modo non corretto [sentenze del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a., da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 103, e dell’8 marzo 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld (Effetto diretto), C‑205/20, EU:C:2022:168, punto 17 e giurisprudenza ivi citata].

95      Una disposizione del diritto dell’Unione è, da un lato, incondizionata se sancisce un obbligo non soggetto ad alcuna condizione, né subordinato, per quanto riguarda la sua osservanza o i suoi effetti, all’emanazione di alcun atto da parte delle istituzioni dell’Unione o degli Stati membri e, dall’altro, sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo ed applicata dal giudice allorché sancisce un obbligo in termini non equivoci. Inoltre, anche se una direttiva lascia agli Stati membri un certo margine di discrezionalità per l’adozione delle modalità della sua attuazione, una disposizione di tale direttiva può essere considerata di carattere incondizionato e preciso se addossa agli Stati membri, in termini non equivoci, un’obbligazione di risultato precisa e assolutamente incondizionata quanto all’applicazione della regola da essa enunciata [sentenze del 19 gennaio 1982, Becker, 8/81, EU:C:1982:7, punto 25, e dell’8 marzo 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld (Effetto diretto), C‑205/20, EU:C:2022:168, punti 18 e 19 nonché giurisprudenza ivi citata].

96      Nel caso di specie, la questione sollevata dal giudice del rinvio si basa sulla premessa che il legislatore ungherese abbia disatteso le garanzie previste all’articolo 5 della direttiva 2008/115, non esigendo dall’autorità nazionale competente di tenere nella debita considerazione le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato nonché, se del caso, la sua vita familiare e l’interesse superiore del figlio minore, prima di adottare, nei confronti di tale cittadino, un divieto d’ingresso per motivi connessi alla sicurezza nazionale.

97      A tal riguardo occorre rilevare che, nella misura in cui l’articolo 5 della direttiva 2008/115 obbliga gli Stati membri a prendere nella debita considerazione tali elementi nell’attuazione della direttiva, tale articolo 5 è sufficientemente preciso e incondizionato per essere considerato dotato di un effetto diretto. Detto articolo può, quindi, essere invocato da un singolo ed essere applicato dalle autorità amministrative nonché dagli organi giurisdizionali degli Stati membri.

98      In particolare, qualora uno Stato membro oltrepassi il suo potere discrezionale adottando una normativa che non garantisce che l’autorità nazionale competente prenderà nella debita considerazione le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato nonché, se del caso, la sua vita familiare e l’interesse superiore del figlio minore, tale cittadino deve poter invocare direttamente l’articolo 5 di detta direttiva contro una normativa siffatta [v., per analogia, sentenza dell’8 marzo 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld (Effetto diretto), C‑205/20, EU:C:2022:168, punto 30].

99      In secondo luogo, occorre ricordare che, al fine di garantire l’effettività dell’insieme delle disposizioni del diritto dell’Unione, il principio del primato impone, in particolare, ai giudici nazionali di interpretare, per quanto possibile, il loro diritto interno in modo conforme al diritto dell’Unione. Ciò posto, l’obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale è soggetto ad alcuni limiti e non può, in particolare, servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale [sentenze del 16 giugno 2005, Pupino, C‑105/03, EU:C:2005:386, punto 47, e dell’8 marzo 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld (Effetto diretto), C‑205/20, EU:C:2022:168, punti 35 e 36 nonché giurisprudenza ivi citata].

100    Occorre altresì ricordare che il principio del primato impone al giudice nazionale che è incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto dell’Unione, l’obbligo, ove non possa procedere a un’interpretazione della normativa nazionale conforme alle prescrizioni del diritto dell’Unione, di garantire la piena efficacia delle prescrizioni di tale diritto nell’ambito della controversia di cui è investito, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi normativa o prassi nazionale, anche posteriore, contraria a una disposizione del diritto dell’Unione che abbia effetto diretto, senza dover chiedere o attendere la previa rimozione di tale normativa o prassi nazionale in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale [sentenze del 24 giugno 2019, Popławski, C‑573/17, EU:C:2019:530, punti 58 e 61, nonché dell’8 marzo 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld (Effetto diretto), C‑205/20, EU:C:2022:168, punto 37 e giurisprudenza ivi citata].

101    Pertanto, qualora l’articolo 5 della direttiva 2008/115 sia invocato da un singolo dinanzi a un giudice nazionale nei confronti di uno Stato membro che ne abbia fatto una trasposizione non corretta, tale giudice è tenuto a garantire la piena efficacia di detta disposizione del diritto dell’Unione dotata di effetto diretto e, ove non possa procedere a un’interpretazione della normativa nazionale conforme a tale articolo 5, a disapplicare, di propria iniziativa, le disposizioni nazionali che siano incompatibili con esso.

102    Al fine di garantire la piena efficacia dell’obbligo di prendere nella debita considerazione le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato nonché, se del caso, la sua vita familiare e l’interesse superiore del bambino, spetta, pertanto, al giudice nazionale investito di un ricorso avverso una decisione di divieto d’ingresso, adottata sulla base di una normativa nazionale che non può essere interpretata in modo conforme alle prescrizioni dell’articolo 5 della direttiva 2008/115, esaminare se sia possibile disapplicare unicamente la parte di tale normativa da cui deriverebbe l’impossibilità di tenere nella debita considerazione dette prescrizioni. Nel caso in cui una tale disapplicazione non fosse possibile, il giudice nazionale sarebbe tenuto a disapplicare integralmente detta normativa e a fondare la propria decisione direttamente su tale articolo 5.

103    Per contro, l’effetto diretto riconosciuto all’articolo 5 della direttiva 2008/115 non può imporre a un giudice nazionale che abbia disapplicato una normativa nazionale contraria a tale articolo 5 l’obbligo di applicare una normativa nazionale anteriore, la quale riconosca garanzie ulteriori rispetto a quelle derivanti da detto articolo 5.

104    Dalle considerazioni che precedono risulta che l’articolo 5 della direttiva 2008/115 dev’essere interpretato nel senso che, qualora sia investito di un ricorso avverso una decisione di divieto d’ingresso, adottata in forza di una normativa nazionale incompatibile con tale articolo 5 e che non può essere oggetto di un’interpretazione conforme, il giudice nazionale deve disapplicare detta normativa nei limiti in cui essa violi detto articolo e, laddove ciò risulti necessario per garantire la piena efficacia di quest’ultimo, applicare direttamente l’articolo medesimo alla controversia di cui è investito.

 Sulla quarta questione

105    Con la sua quarta questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 13 della direttiva 2008/115, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una prassi nazionale in forza della quale le autorità amministrative di uno Stato membro rifiutano di applicare una decisione giudiziaria definitiva che dispone la sospensione dell’esecuzione di una decisione di divieto d’ingresso, con la motivazione che quest’ultima decisione è già stata oggetto di una segnalazione nel SIS.

106    Nel caso di specie, risulta, più specificamente, dal fascicolo di cui dispone la Corte che, il 31 marzo 2021, il giudice del rinvio ha disposto la sospensione dell’esecuzione della decisione di divieto d’ingresso e di soggiorno di cui trattasi nel procedimento principale, in ragione sia dell’intenzione di tale giudice di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale sia delle conseguenze sfavorevoli, per M.D. nonché per il figlio minore dello stesso e la sua compagna, dell’esecuzione di tale decisione di divieto.

107    Fatta salva tale precisazione preliminare, occorre rilevare, in primo luogo, che, in forza dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, al cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso effettivo per contestare, in particolare, la regolarità della decisione di divieto d’ingresso di cui è oggetto. In base al paragrafo 2 di tale articolo, l’autorità o l’organo competente, investito di un siffatto ricorso, deve poter sospendere temporaneamente l’esecuzione di una tale decisione di divieto d’ingresso, a meno che la sospensione di quest’ultima sia già applicabile ai sensi del diritto interno.

108    Pertanto, se è vero che l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2008/115 non impone che il ricorso avverso una decisione di divieto d’ingresso abbia effetto sospensivo, nondimeno, qualora uno Stato membro non preveda una siffatta sospensione ipso iure, l’autorità o l’organo competente a esaminare tale ricorso deve disporre della possibilità di sospendere l’esecuzione di detta decisione (v., in tal senso, ordinanza del 5 maggio 2021, CPAS de Liège, C‑641/20, non pubblicata, EU:C:2021:374, punto 22).

109    Orbene, sarebbe contrario all’effetto utile di tale disposizione che un’autorità amministrativa possa rifiutare l’applicazione di una decisione con cui un organo giurisdizionale, investito di un ricorso avverso una decisione di divieto d’ingresso, ha disposto la sospensione dell’esecuzione di quest’ultima decisione (v., per analogia, sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626, punti da 55 a 59 e 66). Del resto, il diritto a un ricorso effettivo, sancito all’articolo 47 della Carta e concretizzato all’articolo 13 della direttiva 2008/115, sarebbe illusorio se l’ordinamento giuridico di uno Stato membro consentisse che una decisione giudiziaria definitiva e obbligatoria resti inoperante a danno di una parte (v., in tal senso, sentenze del 19 giugno 2018, Gnandi, C‑181/16, EU:C:2018:465, punto 52, e del 19 dicembre 2019, Deutsche Umwelthilfe, C‑752/18, EU:C:2019:1114, punti 35 e 36).

110    La circostanza che la decisione di divieto d’ingresso e di soggiorno di cui trattasi nel procedimento principale sia già stata oggetto di una segnalazione nel SIS da parte dello Stato membro interessato non può inficiare la conclusione enunciata al punto precedente della presente sentenza. Infatti, ai sensi dell’articolo 34, paragrafo 2, del regolamento n. 1987/2006, tale Stato membro è libero di cancellare dati inseriti nel SIS, segnatamente a seguito di una decisione giudiziaria che ha disposto la sospensione dell’esecuzione di detta decisione di divieto d’ingresso, la quale aveva motivato la segnalazione in parola.

111    Inoltre, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, la piena efficacia del diritto dell’Unione esige che il giudice chiamato a dirimere una controversia disciplinata da tale diritto possa concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia dell’emananda decisione giurisdizionale, qualora decida di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale. Pertanto, l’efficacia del sistema istituito dall’articolo 267 TFUE sarebbe compromessa se l’autorità di cui sono dotati tali provvedimenti provvisori potesse essere ignorata, in particolare, da un’autorità pubblica appartenente allo Stato membro nel quale tali provvedimenti sono stati adottati [v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, W.Ż. (Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche della Corte suprema – Nomina), C‑487/19, EU:C:2021:798, punto 142].

112    Da tutte le considerazioni che precedono risulta che l’articolo 13 della direttiva 2008/115, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta, dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una prassi nazionale in forza della quale le autorità amministrative di uno Stato membro rifiutano di applicare una decisione giudiziaria definitiva che dispone la sospensione dell’esecuzione di una decisione di divieto d’ingresso, con la motivazione che quest’ultima decisione è già stata oggetto di una segnalazione nel SIS.

 Sulle spese

113    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 20 TFUE dev’essere interpretato nel senso che:

esso osta a che uno Stato membro adotti una decisione di divieto d’ingresso nel territorio dell’Unione europea nei confronti di un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, cittadino di tale Stato membro che non ha mai esercitato la propria libertà di circolazione, senza aver previamente esaminato se esista, tra tali persone, un rapporto di dipendenza che costringa, di fatto, detto cittadino dell’Unione a lasciare tale territorio, considerato nel suo insieme, per seguire tale familiare e, in caso affermativo, se i motivi per i quali siffatta decisione è stata adottata giustifichino una deroga al diritto di soggiorno derivato di detto cittadino di un paese terzo.

2)      L’articolo 5 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare,

dev’essere interpretato nel senso che:

esso osta a che un cittadino di un paese terzo, che avrebbe dovuto essere destinatario di una decisione di rimpatrio, sia oggetto, immediatamente a seguito della decisione che gli ha revocato, per motivi connessi alla sicurezza nazionale, il diritto di soggiorno nel territorio dello Stato membro di cui trattasi, di una decisione di divieto d’ingresso nel territorio dell’Unione europea, adottata per motivi identici, senza che siano state previamente prese in considerazione le sue condizioni di salute nonché, se del caso, la sua vita familiare e l’interesse superiore del figlio minore.

3)      L’articolo 5 della direttiva 2008/115 dev’essere interpretato nel senso che:

qualora sia investito di un ricorso avverso una decisione di divieto d’ingresso, adottata in forza di una normativa nazionale incompatibile con tale articolo 5 e che non può essere oggetto di un’interpretazione conforme, il giudice nazionale deve disapplicare detta normativa nei limiti in cui essa violi detto articolo e, laddove ciò risulti necessario per garantire la piena efficacia di quest’ultimo, applicare direttamente l’articolo medesimo alla controversia di cui è investito.

4)      L’articolo 13 della direttiva 2008/115, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,

dev’essere interpretato nel senso che:

esso osta a una prassi nazionale in forza della quale le autorità amministrative di uno Stato membro rifiutano di applicare una decisione giudiziaria definitiva che dispone la sospensione dell’esecuzione di una decisione di divieto d’ingresso, con la motivazione che quest’ultima decisione è già stata oggetto di una segnalazione nel sistema d’informazione Schengen.

Firme


*      Lingua processuale: l’ungherese.