Language of document : ECLI:EU:C:2023:791

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

19 ottobre 2023 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Rispetto dei diritti di proprietà intellettuale – Direttiva 2004/48/CE – Articolo 13 – Procedimento penale – Ambito di applicazione – Danni subiti dal titolare di un marchio come elemento costitutivo della violazione – Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (ADPIC) – Articolo 61 – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 51, paragrafo 1 – Attuazione del diritto dell’Unione – Competenza – Articolo 49, paragrafi 1 e 3 – Legalità e proporzionalità delle pene»

Nella causa C‑655/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Rayonen sad – Nesebar (Tribunale distrettuale di Nesebar, Bulgaria), con decisione del 14 ottobre 2021, pervenuta in cancelleria il 27 ottobre 2021, nel procedimento penale a carico di

G. ST. T.,

con l’intervento di:

Rayonna prokuratura Burgas, TO Nesebar,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da C. Lycourgos, presidente di sezione, O. Spineanu-Matei (relatrice), J.-C. Bonichot, S. Rodin e L.S. Rossi, giudici,

avvocato generale: G. Pitruzzella

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il governo austriaco, da A. Posch, J. Schmoll e A. Kögl, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da S.L. Kalėda e I. Zaloguin, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 27 aprile 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 13 della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (GU 2004, L 157, pag. 45), e dell’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale avviato a carico di G. ST. T. per contraffazione di marchi.

 Contesto normativo

 Diritto internazionale

3        L’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (in prosieguo: l’«accordo sugli ADPIC»), che costituisce l’allegato 1 C dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 e approvato con la decisione 94/800/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986‑1994) (GU 1994, L 336, pag. 1), include una parte III, intitolata «Tutela dei diritti di proprietà intellettuale».

4        L’articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC, contenuto nella sezione 5, intitolata «Procedimenti penali», di tale parte III, stabilisce quanto segue:

«I membri prevedono procedimenti penali e sanzioni da applicare almeno nei casi di contraffazione intenzionale di un marchio o di violazione del diritto d’autore su scala commerciale. I possibili provvedimenti comprendono pene detentive e/o pecuniarie sufficienti per costituire un mezzo di dissuasione, coerentemente con il livello delle sanzioni applicate per reati di corrispondente gravità. Ove opportuno, i possibili provvedimenti comprendono anche il sequestro, la confisca e la distruzione dei prodotti costituenti violazione e di qualsiasi materiale e strumento principalmente utilizzato nell’esecuzione del reato. I membri possono prevedere procedimenti penali e sanzioni da applicare in altri casi di violazione dei diritti di proprietà intellettuale, in particolare se si tratta di atti commessi deliberatamente e su scala commerciale».

 Diritto dellUnione

5        Secondo i termini del considerando 28 della direttiva 2004/48:

«In aggiunta alle misure, alle procedure e ai mezzi di ricorso di natura civile ed amministrativa previsti ai sensi della presente direttiva anche le sanzioni penali costituiscono, nei casi appropriati, un mezzo per assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale».

6        Ai sensi dell’articolo 1, intitolato «Oggetto», tale direttiva «concerne le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale».

7        L’articolo 2 di detta direttiva, intitolato «Campo d’applicazione», enuncia quanto segue:

«1.      Fatti salvi gli strumenti vigenti o da adottare nella legislazione comunitaria o nazionale, e sempre che questi siano più favorevoli ai titolari dei diritti, le misure, le procedure e i mezzi di ricorso di cui alla presente direttiva si applicano, conformemente all’articolo 3, alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale come previsto dalla legislazione comunitaria e/o dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato.

2.      La presente direttiva si applica fatto salvo il disposto delle norme specifiche sull’attuazione dei diritti e sulle eccezioni contenute nella legislazione comunitaria in materia di diritto d’autore e diritti connessi al diritto d’autore, segnatamente nella direttiva 91/250/CEE [del Consiglio, del 14 maggio 1991, relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore (GU 1991, L 122, pag. 42)], in particolare l’articolo 7 della medesima, o nella direttiva 2001/29/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (GU 2001, L 167, pag. 10)], e in particolare gli articoli da 2 a 6 e l’articolo 8 di quest’ultima.

3.      La presente direttiva fa salv[i]:

(...)

b)      gli obblighi incombenti agli Stati membri in forza di convenzioni internazionali, in particolare dell’accordo sugli ADPIC, inclusi quelli concernenti i procedimenti e le sanzioni penali;

c)      le eventuali disposizioni nazionali degli Stati membri concernenti i procedimenti e le sanzioni penali per quanto riguarda le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale».

8        L’articolo 13 della stessa direttiva, intitolato «Risarcimento del danno», così dispone:

«1.      Gli Stati membri assicurano che, su richiesta della parte lesa, le competenti autorità giudiziarie ordinino all’autore della violazione, implicato consapevolmente o con ragionevoli motivi per esserne consapevole in un’attività di violazione di risarcire al titolare del diritto danni adeguati al pregiudizio effettivo da questo subito a causa della violazione.

Allorché l’autorità giudiziaria fissa i danni:

a)      tiene conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno subito dalla parte lesa, i benefici realizzati illegalmente dall’autore della violazione, e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione;

b)      oppure in alternativa alla lettera a) può fissare, in casi appropriati, una somma forfettaria in base ad elementi quali, per lo meno, l’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti qualora l’autore della violazione avesse richiesto l’autorizzazione per l’uso del diritto di proprietà intellettuale in questione.

2.      Nei casi in cui l’autore della violazione è stato implicato in un’attività di violazione senza saperlo o senza avere motivi ragionevoli per saperlo, gli Stati membri possono prevedere la possibilità che l’autorità giudiziaria disponga il recupero dei profitti o il pagamento di danni che possono essere predeterminati».

9        Ai sensi dell’articolo 16 di detta direttiva, intitolato «Sanzioni degli Stati membri»:

«Fatte salve le misure, le procedure ed i mezzi di ricorso di natura civile e amministrativa e previsti dalla presente direttiva, gli Stati membri possono applicare altre appropriate sanzioni nei casi in cui il diritto di proprietà intellettuale sia stato violato».

 Diritto bulgaro

 Codice penale

10      L’articolo 172b del Nakazatelen kodeks (codice penale), nella versione applicabile ai fatti del procedimento principale (in prosieguo: il «codice penale»), dispone quanto segue:

«(1)      Chi utilizza nel commercio un marchio (...) oggetto di un diritto esclusivo senza il consenso del titolare di detto diritto (...) è punito con la reclusione fino a 5 anni e una multa fino a 5 000 [leva bulgari (BGN)].

(2)      Ove il fatto di cui al paragrafo 1 sia ripetuto oppure ne conseguano effetti gravemente dannosi, è irrogata la pena della reclusione da 5 a 8 anni e una multa da BGN 5 000 a BGN 8 000.

(3)      L’oggetto del reato, indipendentemente dall’identità del suo proprietario, viene confiscato e distrutto».

 Il vecchio ZMGO e il nuovo ZMGO

11      L’articolo 13 dello zakon za markite i geografskite oznachenia (legge in materia di marchi e indicazioni geografiche, DV n. 81, del 14 settembre 1999), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: il «vecchio ZMGO»), prevedeva quanto segue:

«(1)      Il diritto su un marchio comprende il diritto del titolare di quest’ultimo di farne uso, disporne e vietare ai terzi l’uso nel commercio, senza il suo consenso, di qualsiasi segno:

1.      identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui il marchio è registrato;

2.      che, a motivo della sua identità o somiglianza con il marchio e dell’identità e somiglianza dei prodotti o servizi del marchio e del segno, comporta un rischio di confusione per i consumatori, che include un rischio di associazione tra il segno e il marchio.

3.      identico o simile al marchio per prodotti o servizi che non sono identici o simili a quelli per cui il marchio è registrato, se quest’ultimo gode di notorietà sul territorio della Repubblica di Bulgaria e l’uso ingiustificato del segno consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio (...) o arreca loro pregiudizio.

(2)      L’uso nel commercio ai sensi del paragrafo 1 consiste:

1.      nell’apporre il segno sui prodotti o sul loro imballaggio;

2.      nell’offrire i prodotti con tale segno o immetterli nel commercio, detenerli a tali fini, o anche offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

3.      nell’importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

(...)».

12      L’articolo 76b di tale legge, intitolato «Casi specifici di risarcimento», prevedeva quanto segue:

«(1)      Quando la domanda è fondata, ma insufficientemente determinata nell’ammontare, il ricorrente può chiedere a titolo di risarcimento:

1.      da BGN 500 a BGN 100 000; con determinazione dell’importo preciso lasciata alla valutazione del giudice nelle condizioni previste all’articolo 76a, paragrafi 2 e 3, o

2.      l’equivalente dei prezzi al dettaglio di prodotti legalmente fabbricati, identici o simili ai prodotti oggetto della violazione.

(2)      Per determinare il risarcimento ai sensi del paragrafo 1, si tiene conto anche dei profitti realizzati in conseguenza della violazione».

13      L’articolo 81 di detta legge, intitolato «Violazioni e sanzioni amministrative», prevedeva quanto segue:

«(1)      Chiunque faccia uso nel commercio, ai sensi dell’articolo 13, di prodotti o servizi sui quali è apposto un segno identico o simile a un marchio registrato, senza il consenso del suo titolare, è punito con sanzione pecuniaria da BGN 500 a BGN 1 500; alle imprese individuali e alle persone giuridiche è applicata una sanzione pecuniaria da BGN 1 000 a BGN 3 000.

(2)      In caso di reiterazione della violazione di cui al paragrafo 1, la persona fisica è punita con sanzione pecuniaria da BGN 1 500 a BGN 3 000, le imprese individuali e le persone giuridiche con sanzione pecuniaria da BGN 3 000 a BGN 5 000.

(3)      La violazione è reiterata quando è commessa nel periodo di un anno decorrente dall’entrata in vigore della decisione che infligge al suo autore una sanzione amministrativa per lo stesso tipo di violazione.

(...)

(5)      I prodotti di cui al paragrafo 1, chiunque sia il loro proprietario, sono confiscati a favore dello Stato e destinati alla distruzione, cui possono assistere il titolare del marchio o una persona da questi autorizzata.

(...)».

14      Il vecchio ZMGO è stato abrogato e sostituito dallo zakon za markite i geografskite oznachenia (legge sui marchi e sulle indicazioni geografiche, DV n. 98 del 13 dicembre 2019 (in prosieguo: il «nuovo ZMGO»). L’articolo 13 del nuovo ZMGO contiene lo stesso testo dell’articolo 13 del vecchio ZMGO abrogato.

15      L’articolo 127 del nuovo ZMGO, intitolato «Violazioni e sanzioni amministrative», al paragrafo 1 prevede quanto segue:

«Chiunque faccia uso nel commercio, ai sensi dell’articolo 13, paragrafi 1 e 2, di prodotti o servizi sui quali è apposto un segno identico o simile a un marchio registrato, senza il consenso del suo titolare, è punito con una sanzione pecuniaria da BGN 2 000 a BGN 10 000; alle imprese individuali e alle persone giuridiche è applicata una sanzione pecuniaria da BGN 3 000 a BGN 20 000».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

16      G. ST. T. è la proprietaria di un’impresa individuale che esercita un’attività di vendita di capi di abbigliamento.

17      Nel corso del 2016, alcuni agenti del Ministero dell’Interno bulgaro hanno effettuato un controllo in un locale commerciale locato da tale impresa nel comune di Nesebar (Bulgaria) e hanno proceduto al sequestro di prodotti ivi offerti in vendita. La perizia giudiziaria disposta ha evidenziato che i segni apposti su tali prodotti erano simili a marchi registrati e ha stimato il valore totale di detti prodotti in BGN 1 404 590 (circa EUR 718 000) «quali originali» e in BGN 80 201 (circa EUR 41 000) «quali imitazioni».

18      La Rayonna prokuratura Burgas, TO Nesebar (Procura distrettuale di Burgas, unità territoriale di Nesebar, Bulgaria) ha considerato che G. ST. T., senza il consenso dei titolari dei diritti esclusivi, aveva infatti fatto uso nel commercio di marchi oggetto di tali diritti esclusivi e tale attività aveva causato «effetti gravemente dannosi», cosicché l’interessato è stato rinviato dinanzi al Rayonen sad – Nesebar (Tribunale distrettuale di Nesebar, Bulgaria), giudice del rinvio, per il reato di contraffazione aggravata previsto all’articolo 172b, paragrafo 2, del codice penale.

19      Nessuna delle persone giuridiche lese ha proposto domanda di risarcimento nei confronti di G. ST. T., né si è costituita parte civile nell’ambito di tale procedimento.

20      Il giudice del rinvio espone, in sostanza, che, nell’ambito della facoltà di cui dispongono gli Stati membri, conformemente al considerando 28 della direttiva 2004/48, di prevedere sanzioni penali in caso di violazione dei diritti di proprietà intellettuale, la Repubblica di Bulgaria ha introdotto l’articolo 172b, paragrafi 1 e 2, del codice penale. Tale disposizione, al suo paragrafo 1, qualifica come reato l’uso di un marchio nel commercio senza il consenso del titolare del diritto esclusivo e riguarda, al suo paragrafo 2, il caso in cui tale atto sia stato commesso ripetutamente o abbia causato «effetti gravemente dannosi». Tale Stato membro avrebbe altresì introdotto, all’articolo 81, paragrafo 1, del vecchio ZMGO, da allora sostituito dall’articolo 127, paragrafo 1, del nuovo ZMGO, un illecito amministrativo destinato a sanzionare i medesimi fatti.

21      In primo luogo, il giudice del rinvio si chiede se una disposizione nazionale, come l’articolo 172b, paragrafo 2, del codice penale, secondo la quale i danni subiti dal titolare del marchio fanno parte degli elementi costitutivi del reato da essa istituito, sia conforme alle norme relative ai danni causati dall’esercizio illecito di diritti di proprietà intellettuale introdotte dalla direttiva 2004/48 e, in caso affermativo, se il meccanismo di determinazione del danno fondato su una presunzione, ossia basato sul valore dei prodotti offerti in vendita al prezzo al dettaglio di prodotti legalmente fabbricati, introdotto dalla giurisprudenza bulgara, sia conforme a tali norme.

22      In secondo luogo, il giudice del rinvio ricorda che il principio di legalità dei reati e delle pene, sancito all’articolo 49, paragrafo 1, della Carta, presuppone che una normativa rientrante nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione fissi chiaramente i limiti della condotta integrante un reato e, in particolare, definisca gli elementi costitutivi del reato in questione. Orbene, nella legislazione bulgara esisterebbero disposizioni che definiscono la stessa condotta, vale a dire l’uso nel commercio di un marchio senza il consenso del titolare del diritto esclusivo, come un illecito amministrativo (articolo 81, paragrafo 1, del vecchio ZMGO e articolo 127, paragrafo 1, del nuovo ZMGO) e come un reato (articolo 172b del codice penale). Tuttavia, tale normativa non conterrebbe criteri distintivi di qualificazione come reato o illecito amministrativo. Tale mancanza di criteri chiari e precisi condurrebbe a prassi contraddittorie e a un trattamento diverso di soggetti che hanno commesso praticamente gli stessi atti.

23      In terzo luogo, il giudice del rinvio chiede se il principio di proporzionalità sancito all’articolo 49, paragrafo 3, della Carta osti a una normativa come quella bulgara, tenuto conto della severità delle sanzioni previste per punire il reato di cui all’articolo 172b, paragrafo 2, del codice penale, vale a dire una lunga pena detentiva cumulata con un’elevata pena pecuniaria. Tale giudice precisa, in tale contesto, che le possibilità di riduzione della pena e di sospensione dell’esecuzione sono limitate e che tali pene sono accompagnate dalla confisca e dalla distruzione dei prodotti contraffatti.

24      In tale contesto, il Rayonen sad – Nesebar (Tribunale distrettuale di Nesebar) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la normativa e la giurisprudenza, le quali stabiliscono che i danni subiti dal titolare del diritto rappresentano elementi costitutivi dei reati previsti dall’articolo 172b, paragrafi 1 e 2, del [codice penale], siano conformi alle disposizioni introdotte dalla direttiva [2004/48] riguardanti i danni derivanti dall’esercizio illecito di diritti di proprietà intellettuale.

2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione: se la presunzione automatica introdotta dalla giurisprudenza nella Repubblica di Bulgaria ai fini della determinazione del danno – corrispondente al valore dei prodotti offerti in vendita, calcolato in base ai prezzi di vendita al dettaglio dei prodotti fabbricati legalmente – sia conforme alle disposizioni della direttiva [2004/48].

3)      Se siano compatibili con il principio di legalità dei reati [e delle pene] sancito dall’articolo 49 della Carta normative in cui non figura una distinzione tra un illecito amministrativo (articolo 127, paragrafo 1, del [nuovo ZMGO] e articolo 81, paragrafo 1, del [vecchio ZMGO], il reato previsto dall’articolo 172b, paragrafo 1, del [codice penale] e, nel caso di risposta negativa alla prima questione, il reato previsto dal successivo paragrafo 2 di quest’ultimo articolo.

4)      Se le pene stabilite dall’articolo 172b, paragrafo 2, del [codice penale] (pena detentiva da 5 a 8 anni, nonché multa da BGN 5000 a BGN 8000) rispettino il principio (secondo cui la misura della pena non deve essere sproporzionata rispetto al reato) formulato dall’articolo 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulle questioni prima e seconda

25      Con le sue questioni prima e seconda, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 13 della direttiva 2004/48 debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa e a una giurisprudenza nazionali in forza delle quali l’entità del danno subito rientra tra gli elementi costitutivi del reato di contraffazione aggravata di marchio. In caso di risposta negativa, esso si chiede se un meccanismo presuntivo di determinazione dei danni sia conforme alle norme fissate dalla medesima direttiva.

26      A tal riguardo, occorre rilevare che l’articolo 2 della direttiva 2004/48, relativo all’ambito di applicazione di quest’ultima, prevede, ai paragrafi 1 e 2, che le misure, le procedure e i mezzi di ricorso da essa previsti si applichino alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale come previsto dalla legislazione dell’Unione o dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato e che tale direttiva si applica fatto salvo il disposto sulle norme specifiche sull’attuazione dei diritti e sulle eccezioni contenute nella legislazione dell’Unione in materia di diritto d’autore e diritti connessi al diritto d’autore.

27      Tuttavia, lo stesso articolo 2 della direttiva 2004/48 aggiunge, al paragrafo 3, lettere b) e c), che quest’ultima fa salvi gli obblighi incombenti agli Stati membri in forza di convenzioni internazionali, in particolare dell’accordo sugli ADPIC, inclusi quelli concernenti i procedimenti e le sanzioni penali, e le eventuali disposizioni nazionali concernenti tali procedimenti o sanzioni per quanto riguarda le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale.

28      Inoltre, l’articolo 16 di tale direttiva precisa che, fatti salvi le misure, le procedure ed i mezzi di ricorso di natura civile e amministrativa e previsti da quest’ultima, gli Stati membri possono applicare altre appropriate sanzioni nei casi in cui il diritto di proprietà intellettuale sia stato violato.

29      Infine, il considerando 28 di detta direttiva enuncia che anche le sanzioni penali costituiscono, nei casi appropriati, un mezzo per assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, oltre a dette misure, procedure e mezzi di ricorso di natura civile e amministrativa previsti ai sensi della stessa direttiva.

30      Da tali disposizioni e da tale considerando risulta che la direttiva 2004/48 non disciplina le procedure e le sanzioni penali in caso di violazione dei diritti di proprietà intellettuale, pur riconoscendo agli Stati membri la facoltà di legiferare in virtù del diritto nazionale o internazionale per prevedere sanzioni, anche di natura penale, che essi ritengano appropriate in caso di violazione di tali diritti.

31      Secondo una giurisprudenza costante, spetta alla Corte esaminare le condizioni in presenza delle quali essa viene adita dal giudice nazionale, al fine di verificare la propria competenza o la ricevibilità della domanda ad essa sottoposta. A tal riguardo, la Corte ha costantemente sottolineato che il procedimento ex articolo 267 TFUE costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto dell’Unione loro necessari per risolvere le controversie che essi sono chiamati a dirimere e che la ratio del rinvio pregiudiziale non risiede nell’esprimere pareri consultivi su questioni generiche o teoriche, bensì nella necessità di dirimere concretamente una controversia. Come risulta dalla formulazione stessa dell’articolo 267 TFUE, la decisione pregiudiziale richiesta dev’essere «necessaria» al fine di consentire al giudice del rinvio di «emanare la sua sentenza» nella causa della quale è investito [sentenza del 22 marzo 2022, Prokurator Generalny e a. (Sezione disciplinare della Corte suprema – Nomina), C‑508/19, EU:C:2022:201, punti da 59 a 61 e giurisprudenza citata].

32      Orbene, poiché la direttiva 2004/48 non si applica alle norme nazionali relative ai procedimenti penali e alle sanzioni penali in caso di violazione dei diritti di proprietà intellettuale, l’interpretazione di tale direttiva richiesta dal giudice del rinvio con la prima e la seconda questione non è necessaria per la soluzione della controversia oggetto del procedimento principale, che è un procedimento puramente penale.

33      Ne consegue che le questioni pregiudiziali prima e seconda sono irricevibili.

 Sulle questioni terza e quarta

 Sulla competenza della Corte

34      Con le questioni terza e quarta, il giudice del rinvio chiede l’interpretazione dell’articolo 49 della Carta al fine di verificare la compatibilità con quest’ultimo dell’articolo 172b, paragrafo 2, del codice penale.

35      Anzitutto, occorre ricordare che la Corte è competente a rispondere alle questioni pregiudiziali sottopostele qualora la situazione giuridica all’origine del procedimento principale rientri nella sfera di applicazione del diritto dell’Unione. A tal riguardo, secondo costante giurisprudenza, le disposizioni della Carta eventualmente richiamate non possono giustificare, di per sé, tale competenza (sentenza del 24 febbraio 2022, Viva Telecom Bulgaria, C‑257/20, EU:C:2022:125, punto 128 e giurisprudenza ivi citata).

36      Il governo austriaco sostiene che la Corte non è competente a rispondere alle questioni terza e quarta. Infatti, le disposizioni penali controverse nel procedimento principale non sarebbero attuative del diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta e non potrebbero, pertanto, essere valutate alla luce dell’articolo 49 della Carta.

37      Al riguardo, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, le disposizioni di quest’ultima si applicano agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, come risulta da una giurisprudenza costante, i diritti fondamentali garantiti dalla Carta si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, ma non al di fuori di esse (sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punti 17 e 19 e giurisprudenza citata, nonché del 5 maggio 2022, BPC Lux 2 e a., C‑83/20, EU:C:2022:346, punti 25 e 26).

38      La Corte ha già considerato che, quando gli Stati membri adempiono gli obblighi derivanti da un accordo internazionale concluso dall’Unione europea, che costituisce, a partire dalla sua entrata in vigore, parte integrante dell’ordinamento giuridico di quest’ultima, si deve ritenere che essi attuino il diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta [v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2020, Commissione/Ungheria (Istruzione superiore), C‑66/18, EU:C:2020:792, punti 69 e 213].

39      Orbene, l’accordo che istituisce l’OMC, che include l’accordo sugli ADPIC, è stato concluso dall’Unione e forma quindi parte integrante del diritto dell’Unione a partire dalla sua entrata in vigore, ossia dal 1º gennaio 1995 [v., in tal senso, sentenze del 15 marzo 2012, SCF, C‑135/10, EU:C:2012:140, punti 39 e 40 e giurisprudenza citata, e del 6 ottobre 2020, Commissione/Ungheria (Istruzione superiore), C‑66/18, EU:C:2020:792, punti da 69 a 71].

40      L’accordo sugli ADPIC persegue in particolare l’obiettivo di ridurre le distorsioni nel commercio internazionale garantendo, nel territorio di ciascuno dei membri dell’OMC, una protezione efficace e sufficiente dei diritti di proprietà intellettuale. La parte II di tale accordo contribuisce alla realizzazione di questo obiettivo mediante la previsione, per ciascuna delle principali tipologie di diritti di proprietà intellettuale, di norme che devono essere applicate da ciascun membro dell’OMC (sentenza del 18 luglio 2013, Daiichi Sankyo e Sanofi-Aventis Deutschland, C‑414/11, EU:C:2013:520, punto 58). Quanto alla parte III del medesimo accordo, che persegue anch’essa questo stesso obiettivo, essa verte sulla «tutela dei diritti di proprietà intellettuale» ed enuncia, in particolare, le procedure e le misure che i membri dell’OMC, per realizzare tale obiettivo, hanno l’obbligo di introdurre nella loro legislazione.

41      Infatti, l’articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC, contenuto nella sezione 5, intitolata «Procedimenti penali», della parte III di quest’ultimo, stabilisce che «i [membri dell’OMC] prevedono procedimenti penali e sanzioni da applicare almeno nei casi di contraffazione intenzionale di un marchio o di violazione del diritto d’autore su scala commerciale», che «[i] possibili provvedimenti comprendono pene detentive e/o pecuniarie sufficienti per costituire un mezzo di dissuasione, coerentemente con il livello delle sanzioni applicate per reati di corrispondente gravità» e che, «[o]ve opportuno, i possibili provvedimenti comprendono anche il sequestro, la confisca e la distruzione dei prodotti costituenti violazione e di qualsiasi materiale e strumento principalmente utilizzato nell’esecuzione del reato».

42      Ne risulta che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 30 delle sue conclusioni, quando gli Stati membri adempiono gli obblighi derivanti dall’accordo sugli ADPIC, inclusi quelli che derivano dall’articolo 61 di tale accordo, si deve considerare che essi attuano il diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta.

43      Infatti, l’obbligo derivante dall’articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC di prevedere procedimenti penali che, almeno nei casi di contraffazione intenzionale di un marchio o di violazione del diritto d’autore su scala commerciale, possano condurre a sanzioni effettive, dissuasive e proporzionate, vincola ciascuno dei membri dell’OMC, compresa l’Unione e i suoi Stati membri, e, come risulta dalla giurisprudenza ricordata al punto 39 della presente sentenza, fa parte del diritto dell’Unione, indipendentemente da atti di armonizzazione interna. La giurisprudenza della Corte di giustizia secondo cui uno Stato membro attua il diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, quando adempie all’obbligo, sancito da una disposizione del diritto dell’Unione, di prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive nei confronti di persone responsabili delle violazioni previste da tale disposizione (v., in tal senso, sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate e a., C‑537/16, EU:C:2018:193, punti 22 e 23), si applica in tale ipotesi. Il fatto che tale obbligo sia enunciato in un accordo internazionale concluso dall’Unione e non in un atto legislativo interno di quest’ultima è, al riguardo, irrilevante, come risulta dalla giurisprudenza ricordata al punto 38 della presente sentenza.

44      Di conseguenza, se uno Stato membro adempie l’obbligo enunciato all’articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC, tale Stato membro attua il diritto dell’Unione in modo tale che la Carta è applicabile.

45      Nel caso di specie, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, l’articolo 172b, paragrafi 1 e 2, del codice penale sembra costituire una disposizione di attuazione da parte del diritto bulgaro degli impegni derivanti dall’articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC.

46      Ne consegue che la Corte è competente a rispondere alla terza e alla quarta questione sollevate.

 Nel merito

–       Sulla terza questione

47      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 49, paragrafo 1, della Carta debba essere interpretato nel senso che il principio di legalità dei reati e delle pene osta a una normativa nazionale che prevede, in caso di uso nel commercio di un marchio senza il consenso del titolare del diritto esclusivo, che la stessa condotta possa essere qualificata tanto come illecito amministrativo quanto come reato, senza contenere criteri che consentano di delimitare l’illecito amministrativo rispetto al reato, o rispetto al reato aggravato.

48      Il giudice del rinvio espone che, secondo la normativa bulgara, taluni comportamenti possono costituire tanto un illecito amministrativo quanto un reato. Ciò avverrebbe nel caso dell’uso di un marchio nel commercio senza il consenso del titolare del diritto esclusivo, atto costitutivo non solo dell’illecito amministrativo di cui all’articolo 81, paragrafo 1, del vecchio ZMGO, applicabile ai fatti di cui al procedimento principale, ma anche del reato definito all’articolo 172b, paragrafo 1, del codice penale. Inoltre, il reato previsto all’articolo 172b, paragrafo 2, di tale codice coinciderebbe in parte, per quanto riguarda i suoi elementi costitutivi, con la fattispecie di cui all’articolo 172b, paragrafo 1, di detto codice, in quanto mirerebbe a reprimere anche detto uso vietato.

49      Al riguardo, in forza del principio di legalità dei reati e delle pene sancito all’articolo 49, paragrafo 1, della Carta, le disposizioni penali devono rispettare determinati requisiti di accessibilità e prevedibilità per quanto concerne sia la definizione del reato sia la determinazione della pena (sentenza dell’11 giugno 2020, Prokuratura Rejonowa w Słupsku, C‑634/18, EU:C:2020:455, punto 48).

50      Secondo la giurisprudenza della Corte, tale principio costituisce una particolare espressione del principio generale della certezza del diritto e implica, in particolare, che la legge definisca chiaramente i reati e le pene che li puniscono [v., in tal senso, sentenza dell’8 marzo 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld (Effetto diretto), C‑205/20, EU:C:2022:168, punto 47 e giurisprudenza citata].

51      Tale condizione è soddisfatta quando il singolo possa sapere, sulla base del dettato della disposizione pertinente e con l’eventuale l’aiuto dell’interpretazione che ne è data dai giudici e di un parere giuridico, quali atti ed omissioni implicano la sua responsabilità penale (v., in tal senso, sentenze del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B., C‑42/17, EU:C:2017:936, punto 56, e del 5 maggio 2022, BV, C‑570/20, EU:C:2022:348, punto 38 e giurisprudenza citata).

52      Nel caso di specie, l’articolo 172b del codice penale prevede che qualsiasi uso nel commercio di un marchio senza il consenso del titolare del diritto esclusivo costituisce reato e dà luogo all’irrogazione delle pene menzionate in tale disposizione.

53      È vero che, in forza della legge bulgara sui marchi, lo ZMGO, questo stesso comportamento è parimenti qualificato come illecito amministrativo e può dar luogo all’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria.

54      Pertanto, da tali disposizioni risulta che il medesimo comportamento, consistente nell’utilizzare nel commercio un marchio senza il consenso del titolare del diritto esclusivo, è qualificato come reato e come illecito amministrativo e, pertanto, può dar luogo sia a sanzioni penali sia a sanzioni amministrative.

55      Tuttavia, fatto salvo il rispetto dei principi generali del diritto dell’Unione, tra cui il principio di proporzionalità, oggetto della quarta questione, gli Stati membri possono imporre, per i medesimi fatti, una combinazione di sanzioni amministrative e penali (v., in tal senso, sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 34, e del 24 luglio 2023, Lin, C‑107/23 PPU, EU:C:2023:606, punto 84 e giurisprudenza citata).

56      Ne consegue che, purché la disposizione penale sia, in quanto tale, conforme ai requisiti derivanti dal principio di legalità dei reati e delle pene ricordati ai punti 50 e 51 della presente sentenza, tale principio non osta a che una normativa nazionale qualifichi una stessa condotta come reato e come illecito amministrativo e definisca quindi il comportamento sanzionato da tali infrazioni in termini simili, se non identici.

57      Orbene, l’uso nel commercio di un marchio senza il consenso del titolare del diritto esclusivo è chiaramente presentato, dall’articolo 172b del codice penale, come il reato che dà luogo alle pene ivi enunciate. In tali circostanze, conformemente alla giurisprudenza ricordata ai punti 50 e 51 della presente sentenza, il principio di legalità dei reati e delle pene enunciato all’articolo 49, paragrafo 1, della Carta, fatte salve le verifiche che il giudice del rinvio dovrà effettuare, deve essere considerato rispettato.

58      Per quanto riguarda la circostanza, rilevata dal giudice nazionale, che la normativa nazionale, in particolare l’articolo 81, paragrafo 1, del vecchio ZMGO e l’articolo 172b del codice penale, non contiene criteri che consentano di delimitare l’illecito amministrativo rispetto al reato, occorre osservare che un requisito secondo cui la normativa nazionale deve contenere siffatti criteri non deriva da tale principio.

59      Tenuto conto delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla terza questione che l’articolo 49, paragrafo 1, della Carta deve essere interpretato nel senso che il principio di legalità dei reati e delle pene non osta a una normativa nazionale che prevede, in caso di uso nel commercio di un marchio senza il consenso del titolare del diritto esclusivo, che la stessa condotta possa essere qualificata tanto come illecito amministrativo quanto come reato, senza contenere criteri che consentano di delimitare l’illecito amministrativo rispetto al reato, dato che la relativa fattispecie è descritta in termini simili, se non identici, nella legge penale e nella legge sui marchi.

–       Sulla quarta questione

60      Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 49, paragrafo 3, della Carta debba essere interpretato nel senso che osta a una disposizione normativa nazionale che, in caso di uso nel commercio di un marchio senza il consenso del titolare del diritto esclusivo, prevede l’irrogazione di sanzioni penali sia detentive sia pecuniarie, con pena detentiva da cinque a otto anni di reclusione quando tale uso risulti ripetuto o abbia causato effetti gravemente dannosi.

61      Al riguardo, il giudice del rinvio rileva che il limite inferiore di tale pena detentiva è estremamente elevato e che tale pena si cumula inoltre con una multa di importo parimenti elevato. Inoltre, le possibilità di cui dispone il giudice di ridurla o di sospenderne l’esecuzione sarebbero molto limitate. Infine, la misura aggiuntiva della confisca e della distruzione dei beni oggetto del reato contribuirebbe ad aumentare la severità complessiva delle sanzioni irrogate.

62      Conformemente all’articolo 49, paragrafo 3, della Carta, che si applica, come rilevato ai punti 44 e 45 della presente sentenza, nei limiti in cui la disposizione nazionale controversa nel procedimento principale attua l’articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC, le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato.

63      A tal riguardo, occorre ricordare che, pur lasciando la scelta e le modalità dei procedimenti penali e delle sanzioni applicabili alla discrezionalità dei membri dell’OMC, l’articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC impone a questi ultimi di sanzionare penalmente almeno talune violazioni del diritto di proprietà intellettuale, quali gli atti di contraffazione intenzionale di un marchio o di violazione del diritto d’autore su scala commerciale. Inoltre, tale articolo indica che le sanzioni devono includere «pene detentive e/o pecuniarie sufficienti per costituire un mezzo di dissuasione» e devono essere «[coerenti] con il livello delle sanzioni applicate per reati di corrispondente gravità». Ove opportuno, i possibili provvedimenti devono comprendere «anche il sequestro, la confisca e la distruzione dei prodotti costituenti violazione e di qualsiasi materiale e strumento principalmente utilizzato nell’esecuzione del reato».

64      Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 46 delle sue conclusioni, in assenza di misure legislative interne dell’Unione nel settore delle sanzioni applicabili, gli Stati membri restano competenti per determinare la natura e l’entità di tali sanzioni, nel rispetto, in particolare, del principio di proporzionalità [v., in tal senso, sentenza dell’11 febbraio 2021, K. M. (Sanzioni inflitte al comandante di un peschereccio), C‑77/20, EU:C:2021:112, punto 36 e giurisprudenza citata].

65      Secondo la giurisprudenza della Corte, conformemente a quest’ultimo principio, le misure repressive consentite da una normativa nazionale non devono eccedere i limiti di quanto è necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti da tale normativa. La severità delle sanzioni deve essere adeguata alla gravità delle violazioni che esse puniscono, in particolare garantendo che esse abbiano un effetto realmente dissuasivo, senza andare oltre quanto necessario per raggiungere tale obiettivo [v., in tal senso, sentenze dell’11 febbraio 2021, K. M. (Sanzioni inflitte al comandante di un peschereccio), C‑77/20, EU:C:2021:112, punti 37 e 38 e giurisprudenza citata, e del 14 ottobre 2021, Landespolizeidirektion Steiermark (Slot machine), C‑231/20, EU:C:2021:845, punto 45].

66      Pertanto, quando la normativa nazionale prevede un cumulo di sanzioni di natura penale, quale il cumulo di sanzioni pecuniarie e di pene detentive, le autorità competenti hanno l’obbligo di assicurarsi che la severità dell’insieme delle sanzioni inflitte non ecceda la gravità dell’infrazione constatata, pena la violazione del principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza del 5 maggio 2022, BV, C‑570/20, EU:C:2022:348, punti 49 e 50).

67      La Corte ha altresì dichiarato che il principio di proporzionalità esige che, nella determinazione della pena e nella fissazione dell’importo della sanzione pecuniaria, si tenga conto delle specifiche circostanze del caso di specie (v., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2018, Link Logistik N&N, C‑384/17, EU:C:2018:810, punto 45).

68      Nel valutare la proporzionalità delle pene, si deve anche tenere conto della possibilità di cui dispone il giudice nazionale di modificare la qualificazione del reato rispetto a quella indicata nell’atto di accusa, in modo tale da condurre all’applicazione di una pena meno severa, e di variare la pena in funzione della gravità del reato accertato [v., in tal senso, sentenze del 16 luglio 2015, Chmielewski, C‑255/14, EU:C:2015:475, punto 26, e dell’11 febbraio 2021, K. M. (Sanzioni inflitte al comandante di un peschereccio), C‑77/20, EU:C:2021:112, punto 51].

69      Nel caso di specie, in primo luogo, risulta dalla decisione di rinvio che l’articolo 172b, paragrafo 2, del codice penale, sul cui fondamento è stato avviato il procedimento a carico di G. ST. T., è volto a sanzionare l’uso nel commercio di un marchio senza il consenso del titolare del diritto esclusivo quando tale uso presenta una certa gravità, o per essere avvenuto ripetutamente, o per aver causato danni gravi.

70      Prevedendo, per la repressione di un tale atto, una pena detentiva da cinque a otto anni e una multa da BGN 5 000 a BGN 8 000, tale normativa nazionale appare idonea a conseguire gli obiettivi legittimi perseguiti dall’articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC, il quale impone di sanzionare penalmente e in modo sufficientemente dissuasivo, quanto meno, gli atti di contraffazione intenzionale di un marchio commessi su scala commerciale.

71      In secondo luogo, per quanto riguarda la questione se la misura non ecceda quanto necessario alla realizzazione degli obiettivi perseguiti, dalla decisione di rinvio risulta che la pena detentiva prevista per il reato di contraffazione aggravata di cui all’articolo 172b, paragrafo 2, del codice penale è fissata a una soglia minima di cinque anni, soglia che il giudice del rinvio considera «estremamente elevat[a]».

72      Inoltre, questa stessa disposizione prevede che, a tale pena detentiva, si aggiunga una sanzione pecuniaria di natura penale, di importo compreso tra BGN 5 000 e BGN 8 000, anch’essa considerata elevata da tale giudice.

73      Detto giudice menziona peraltro l’obbligo, enunciato all’articolo 172b, paragrafo 3, del codice penale, di infliggere misure supplementari consistenti nella confisca e nella distruzione dei beni oggetto del reato. Tali misure contribuiscono, secondo il medesimo giudice, ad aumentare la severità della sanzione complessivamente inflitta.

74      A tal riguardo, occorre osservare, come ricordato al punto 63 della presente sentenza, che l’articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC prevede che le sanzioni che i membri dell’OMC devono infliggere «comprendono pene detentive e/o pecuniarie sufficienti per costituire un mezzo di dissuasione». Facendo ricorso alle congiunzioni «e» e «o», tale disposizione autorizza quindi tali membri a prevedere, nella loro legislazione, il cumulo di una pena detentiva e di una pena pecuniaria ai fini della sanzione della condotta di cui trattasi.

75      Inoltre, detto articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC obbliga i membri dell’OMC a prevedere che, nei casi opportuni, le possibili sanzioni «comprend[a]no anche il sequestro, la confisca e la distruzione dei prodotti costituenti violazione e di qualsiasi materiale e strumento principalmente utilizzato nell’esecuzione del reato». Tali misure, oltre alle conseguenze finanziarie che comportano per il contraffattore, sono tali da contribuire all’efficacia della sanzione, in quanto evitano che merci che violano un diritto intellettuale possano restare sul mercato ed essere oggetto di un uso ulteriore.

76      Pertanto, sono le disposizioni stesse dell’articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC a richiedere un grado di severità sufficientemente elevato al fine di evitare che il comportamento censurato sia adottato o si ripeta.

77      Di conseguenza, non si può affermare che una normativa penale introdotta da uno Stato membro per reprimere atti di contraffazione di marchio che presentano una certa gravità sia sproporzionata per il solo fatto che essa prevede, in casi appropriati, oltre all’irrogazione di una sanzione pecuniaria e alla distruzione delle merci di cui trattasi nonché degli strumenti che sono serviti a commettere il reato, l’irrogazione di una pena detentiva.

78      Tuttavia, come risulta anche da detto articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC, che riflette al riguardo il requisito di proporzionalità parimenti enunciato all’articolo 49, paragrafo 3, della Carta, qualsiasi sanzione penale prevista da tale normativa deve essere adeguata alla gravità del reato corrispondente.

79      Orbene, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, la condotta illecita di cui all’articolo 172b del codice penale, consistente nell’«uso» nel commercio di un marchio senza il consenso del titolare del diritto esclusivo, sembra ricomprendere tutti gli atti di cui all’articolo 13 (1) e (2), dello ZMGO, sia vecchio che nuovo. Queste ultime disposizioni corrispondono, in sostanza, all’articolo 10, paragrafi 2 e 3, della direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1).

80      Risulta quindi che l’articolo 172b del codice penale può riguardare qualsiasi atto di uso, nel commercio, di un marchio senza il consenso del titolare del diritto esclusivo. Inoltre, in forza dell’articolo 172b, paragrafo 2, di tale codice, qualsiasi atto rispondente a tale descrizione e commesso ripetutamente o che abbia causato effetti gravemente dannosi è punito, in particolare, con la pena della reclusione di almeno cinque anni.

81      Sebbene una siffatta sanzione non sia necessariamente sproporzionata in taluni casi di contraffazione, si deve tuttavia constatare che una disposizione come l’articolo 172b, paragrafo 2, del codice penale, che associa una descrizione di reato particolarmente ampia a una pena detentiva di almeno cinque anni, non consente di garantire la capacità delle autorità competenti di assicurare in ciascun caso individuale, conformemente all’obbligo derivante dall’articolo 49, paragrafo 3, della Carta ricordato al punto 66 della presente sentenza, che la severità delle sanzioni inflitte non ecceda la gravità del reato accertato.

82      Tali autorità possono, infatti, essere indotte ad esaminare atti di uso non consentito di un marchio il cui effetto rimane particolarmente limitato nel commercio, pur se tali atti siano stati commessi intenzionalmente e ripetutamente.

83      Dette autorità possono anche essere indotte, al di fuori delle ipotesi relative a prodotti contraffatti, ad esaminare atti di uso non consentito di un marchio che, pur essendo commessi intenzionalmente, ripetutamente e con effetti considerevoli nel commercio, si rivelano illeciti solo dopo una valutazione complessa della portata del diritto esclusivo.

84      Prevedendo una pena detentiva di almeno cinque anni per tutti i casi di uso non consentito di un marchio nel commercio, una disposizione legislativa nazionale come quella oggetto della quarta questione sollevata rende eccessivamente difficile il compito delle autorità competenti di fissare, alla luce dell’insieme degli elementi rilevanti, una sanzione la cui entità non ecceda la gravità del reato accertato.

85      Infatti, il giudice del rinvio ha indicato che la possibilità offerta dal diritto penale bulgaro di fissare una pena inferiore al minimo edittale previsto all’articolo 172b, paragrafo 2, del codice penale è limitata ai casi in cui le circostanze attenuanti siano eccezionali o numerose. Tale giudice ha altresì indicato che la possibilità di sospendere l’esecuzione di una pena detentiva sussiste solo se tale pena non supera i tre anni. Tenuto conto della fissazione, all’articolo 172b, paragrafo 2, del codice penale, di una pena detentiva di almeno cinque anni per tutti i casi di uso non consentito di un marchio nel commercio, tali limitate possibilità di riduzione della pena e di sospensione condizionale dell’esecuzione possono rivelarsi insufficienti per ricondurre, in ciascun caso, la repressione ad una pena proporzionata a tale gravità.

86      Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla quarta questione che l’articolo 49, paragrafo 3, della Carta deve essere interpretato nel senso che osta a una disposizione normativa nazionale che, in caso di uso nel commercio di un marchio senza il consenso del titolare del diritto esclusivo, avvenuto ripetutamente o con effetti gravemente dannosi, prevede una pena minima di cinque anni di reclusione.

 Sulle spese

87      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,

deve essere interpretato nel senso che:

il principio di legalità dei reati e delle pene non osta a una normativa nazionale che prevede, in caso di uso nel commercio di un marchio senza il consenso del titolare del diritto esclusivo, che la stessa condotta possa essere qualificata tanto come illecito amministrativo quanto come reato, senza contenere criteri che consentano di delimitare l’illecito amministrativo rispetto al reato, dato che la relativa fattispecie è descritta in termini simili, se non identici, nella legge penale e nella legge sui marchi.

2)      L’articolo 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali,

deve essere interpretato nel senso che:

osta a una disposizione normativa nazionale che, in caso di uso nel commercio di un marchio senza il consenso del titolare del diritto esclusivo, avvenuto ripetutamente o con effetti gravemente dannosi, prevede una pena minima di cinque anni di reclusione.

Firme


*      Lingua processuale: il bulgaro.