Language of document : ECLI:EU:C:2023:843

Edizione provvisoria

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

9 novembre 2023 (*)

«Rinvio pregiudiziale –Politica comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria – Direttiva 2011/95/UE – Articolo 15 – Condizioni per la concessione della protezione sussidiaria – Presa in considerazione degli elementi relativi alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente nonché alla situazione generale nel paese di origine – Situazione umanitaria»

Nella causa C-125/22,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal rechtbank Den Haag, zittingsplaats ’s-Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s‑Hertogenbosch, Paesi Bassi), con decisione del 22 febbraio 2022, pervenuta in cancelleria il 22 febbraio 2022, nel procedimento

X,

Y,

i loro 6 figli minorenni

contro

Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da C. Lycourgos, presidente di sezione, O. Spineanu-Matei, J.-C. Bonichot, S. Rodin e L. S. Rossi (relatrice), giudici,

avvocato generale: P. Pikamäe

cancelliere: A. Lamote, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 23 marzo 2023,

considerate le osservazioni presentate:

–        per Y, X e i loro 6 figli minorenni, da S. Rafi, P. J. Schüller e J. W. J. van den Broek, advocaten;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da M. K. Bulterman, M. H. S. Gijzen, A. Hanje e J. M. Hoogveld, in qualità di agenti;

–        per il governo belga, da M. Jacobs e M. Van Regemorter, in qualità di agenti;

–        per il governo tedesco, da J. Möller e A. Hoesch, in qualità di agenti;

–        per il governo francese, da R. Bénard, A.-L. Desjonquères e J. Illouz, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da A. Azéma e F. Wilman, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’8 giugno 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 15 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da una parte, X e Y e i loro 6 figli minorenni, cittadini libici e, dall’altra, lo Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Segretario di Stato alla Giustizia e alla Sicurezza, Paesi Bassi; in prosieguo: il «Segretario di Stato»), in merito al rigetto, da parte di quest’ultimo, delle loro domande di protezione internazionale.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

3        I considerando 12, 16 e 34 della direttiva 2011/95 così recitano:

«(12)      Lo scopo principale della presente direttiva è quello, da una parte, di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri.

(...)

(16)      La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [in prosieguo: la “Carta”]. Essa mira in particolare ad assicurare il pieno rispetto della dignità umana, il diritto di asilo dei richiedenti asilo e dei familiari al loro seguito e a promuovere l’applicazione degli articoli 1, 7, 11, 14, 15, 16, 18, 21, 24, 34 e 35 di detta Carta, e dovrebbe pertanto essere attuata di conseguenza.

(...)

(34)      È necessario introdurre criteri comuni per l’attribuzione, alle persone richiedenti protezione internazionale, della qualifica di beneficiari della protezione sussidiaria. Tali criteri dovrebbero essere elaborati sulla base degli obblighi internazionali derivanti da atti internazionali in materia di diritti dell’uomo e sulla base della prassi esistente negli Stati membri».

4        L’articolo 2 di tale direttiva, recante il titolo «Definizioni», prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

a)      “protezione internazionale”: lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria quale definito alle lettere e) e g);

b)      “beneficiario di protezione internazionale”: la persona cui è stato concesso lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria quale definito alle lettere e) e g);

(...)

f)      “persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria”: cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito all’articolo 15, e al quale non si applica l’articolo 17, paragrafi 1 e 2, e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese;

g)      “status di protezione sussidiaria”: il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di un cittadino di un paese terzo o di un apolide quale persona avente titolo alla protezione sussidiaria;

h)      “domanda di protezione internazionale”: una richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, e che non sollecita esplicitamente un diverso tipo di protezione non contemplato nell’ambito di applicazione della presente direttiva e che possa essere richiesto con domanda separata;

i)      “richiedente”: qualsiasi cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non sia stata ancora adottata una decisione definitiva;

(...)».

5        L’articolo 4 di tale direttiva, intitolato «Esame dei fatti e delle circostanze», contenuto nel capo II di quest’ultima, relativo alla «[v]alutazione delle domande di protezione internazionale», così dispone:

«1.      Gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale. Lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda.

(...)

3.      L’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione:

a)      di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda (...)

b)      delle dichiarazioni e della documentazione pertinenti presentate dal richiedente che deve anche render noto se ha già subito o rischia di subire persecuzioni o danni gravi;

c)      della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare l’estrazione, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave;

(...)

4.      Il fatto che un richiedente abbia già subito persecuzioni o danni gravi o minacce dirette di siffatte persecuzioni o danni costituisce un serio indizio della fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni o del rischio effettivo di subire danni gravi, a meno che vi siano buoni motivi per ritenere che tali persecuzioni o danni gravi non si ripeteranno.

5.      Quando gli Stati membri applicano il principio in base al quale il richiedente è tenuto a motivare la sua domanda di protezione internazionale e qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo, la loro conferma non è comunque necessaria se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

a)      il richiedente ha compiuto sinceri sforzi per circostanziare la domanda;

b)      tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una spiegazione soddisfacente dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi;

c)      le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone;

d)      il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto buoni motivi per ritardarla; e

e)      è accertato che il richiedente è in generale attendibile».

6        Il paragrafo 2 dell’articolo 8 della stessa direttiva, intitolato «Protezione all’interno del paese d’origine», è così formulato:

«Nel valutare se il richiedente ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o corre rischi effettivi di subire danni gravi, oppure ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi in una parte del territorio del paese d’origine conformemente al paragrafo 1, gli Stati membri tengono conto al momento della decisione sulla domanda delle condizioni generali vigenti in tale parte del paese, nonché delle circostanze personali del richiedente, in conformità dell’articolo 4. A tal fine gli Stati membri assicurano che informazioni precise e aggiornate pervengano da fonti pertinenti, quali l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo».

7        Ai sensi dell’articolo 15 della direttiva 2011/95, intitolato «Danno grave», contenuto nel capo V di quest’ultima, relativo ai «[r]equisiti per la protezione sussidiaria»:

«Sono considerati danni gravi:

a)      la pena di morte o l’essere giustiziato; o

b)      la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine; o

c)      la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale».

8        L’articolo 18 di tale direttiva, intitolato «Riconoscimento dello status di protezione sussidiaria», enuncia quanto segue:

«Gli Stati membri riconoscono lo status di protezione sussidiaria a un cittadino di un paese terzo o a un apolide aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria in conformità dei capi II e V».

 Diritto dei Paesi Bassi

9        L’articolo 29 della Vreemdelingenwet 2000 (legge sugli stranieri del 2000), del 23 novembre 2000 (Stb. 2000, n. 495), nella versione applicabile al procedimento principale, dispone, al paragrafo 1, quanto segue:

«1.      Il permesso di soggiorno temporaneo (...) può essere concesso al cittadino straniero che:

a)      possieda lo status di rifugiato; o

b)      dimostri sufficientemente di avere valide ragioni per supporre che, in caso di espulsione, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno, vale a dire:

1.      la pena di morte o l’essere giustiziato;

2.      la tortura, trattamenti o sanzioni inumani o degradanti; o

3.      la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

10      Il 28 gennaio 2018, X e Y, due coniugi di cittadinanza libica, hanno presentato, anche a nome dei loro sei figli minorenni, domande di protezione internazionale presso il Segretario di Stato, rilevando che, in caso di rimpatrio in Libia, correrebbero un rischio effettivo di subire «danni gravi», ai sensi dell’articolo 15, lettere b) e/o c), della direttiva 2011/95.

11      A sostegno delle loro domande di protezione internazionale, X e Y hanno invocato fatti relativi sia alle loro circostanze personali sia alla situazione generale del loro paese d’origine, in particolare al livello generale di violenza in Libia e alle circostanze umanitarie che ne risulterebbero.

12      Più in particolare, X ha dichiarato di aver lavorato a Tripoli (Libia) dal 2012 fino al giugno 2017 come guardia del corpo di alti responsabili politici, in particolare due primi ministri, un vice primo ministro e diversi ministri. Egli afferma di essere stato vittima di una sparatoria al di fuori dell’orario di lavoro, nel corso della quale sarebbe stato colpito alla testa e alla guancia sinistra da un frammento di proiettile, e di essere stato successivamente destinatario di minacce di morte, in occasione di conversazioni telefoniche avvenute rispettivamente dopo circa cinque mesi e da uno a due anni a partire dalla data di tale sparatoria. X nutrirebbe sospetti sull’identità dei responsabili di tali atti, ma non potrebbe, tuttavia, fornirne prova. Inoltre, X ha invocato il fatto che suo fratello gli aveva riferito che alcune milizie tentavano di impadronirsi di un terreno che avrebbe ereditato dal padre e avevano minacciato di uccidere qualsiasi persona che vi si fosse opposta. Infine, X ha dichiarato che la sua partenza dalla Libia è stata dovuta anche alle difficili condizioni di vita a Tripoli, in particolare alla mancanza di carburante, di acqua potabile ed elettricità. Dal canto suo, Y ha fondato la sua domanda di protezione internazionale sul timore derivante dall’esperienza personale di X e dalla situazione generale di insicurezza in Libia, che le avrebbe anche causato problemi di salute.

13      Con decisioni distinte adottate il 24 dicembre 2020, il Segretario di Stato ha respinto le domande di protezione internazionale proposte da X e Y in quanto infondate. Da un lato, egli ha considerato che i richiedenti non dovevano temere danni gravi, ai sensi dell’articolo 15, lettera b), della direttiva 2011/15. Egli ha infatti ritenuto che le due minacce riferite non fossero credibili e che X non avesse dimostrato che la sparatoria di cui era stato vittima fosse stata rivolta specificamente contro di lui, né che sussistesse un legame tra tale violenza e la sua attività lavorativa di guardia del corpo di alti responsabili politici. Dall’altro lato, il Segretario di Stato ha ritenuto che spettasse a lui identificare i gruppi a rischio e stabilire l’esistenza di una situazione di rischio come quella indicata all’articolo 15, lettera c), di tale direttiva. Orbene, non ritenendo necessario valutare le condizioni generali di sicurezza in Libia, esso ha concluso che i ricorrenti non dovevano temere un danno grave nemmeno ai sensi di tale seconda disposizione.

14      X e Y hanno proposto ricorsi avverso tali decisioni dinanzi al rechtbank Den Haag, zittingsplaats ’s-Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s-Hertogenbosch, Paesi Bassi).

15      Tale giudice sottolinea anzitutto che le domande di protezione internazionale di cui trattasi nel procedimento principale sono suffragate sia da circostanze individuali e personali dei ricorrenti sia riguardo alla situazione generale di violenza e alle circostanze umanitarie risultanti da tale violenza nel paese di origine. Esso osserva, tuttavia, che non risulta che tali elementi, considerati separatamente, raggiungano il grado di individualizzazione del danno grave e la soglia di gravità della violenza indiscriminata richiesti per beneficiare della protezione sussidiaria prevista, rispettivamente, all’articolo 15, lettera b), e all’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95.

16      Secondo detto giudice, si porrebbe, pertanto, la questione se l’articolo 15 di tale direttiva debba essere interpretato nel senso che le manifestazioni di danno grave di cui a tale articolo 15 devono essere valutate in modo rigorosamente distinto, con la conseguenza che i fatti e le circostanze dedotti dal richiedente sarebbero pertinenti solo per fondare il timore di uno di tali danni gravi, o invece nel senso che occorre procedere a una valutazione complessiva e congiunta di tutti gli elementi pertinenti, relativi sia alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente, sia alla situazione generale nel paese d’origine, prima di determinare quale manifestazione di danni gravi tali fatti e tali circostanze consentano di suffragare.

17      Il giudice del rinvio ritiene, al riguardo, che la valutazione dell’esistenza di un rischio effettivo di danni gravi debba partire dalla considerazione del bisogno di protezione del richiedente e che la prima interpretazione dell’articolo 15 della direttiva 2011/95, riassunta al punto precedente, comporti una lacuna nella protezione offerta da tale disposizione, che priva di effetto utile il regime di protezione sussidiaria da essa previsto. La seconda interpretazione di tale articolo 15, riassunta al punto precedente, sarebbe, dal canto suo, conforme all’impianto sistematico di tale direttiva e agli obiettivi perseguiti da quest’ultima, come anche alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’interpretazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), di cui occorrerebbe tener conto nell’interpretazione dell’articolo 4 della Carta, in forza dell’articolo 52, paragrafo 3, di quest’ultima.

18      Inoltre, il giudice del rinvio chiede alla Corte di precisare il modo in cui i motivi relativi alla situazione personale del richiedente, quali identificati nella sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji (C-465/07, EU:C:2009:94), debbano essere presi in considerazione nell’ambito della valutazione effettuata ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95. In questo contesto, tale giudice chiede segnatamente che la Corte chiarisca se la considerazione della situazione individuale e delle circostanze personali di un richiedente la protezione internazionale vada oltre il requisito di individualizzazione, quale risultante dalla sentenza della Corte EDU del 17 luglio 2008, NA. c. Regno Unito (CE:ECHR:2008:0717JUD002590407, § 115), ossia se circostanze individuali diverse dalla mera provenienza da una zona di un determinato paese in cui si verificano «i casi più estremi di violenza generale», ai sensi di quest’ultima sentenza, possano fondare un timore di danni gravi quali definiti in tale disposizione.

19      In caso affermativo, il giudice del rinvio chiede alla Corte di indicare se, da un lato, fattori personali o il rischio di essere vittima di una «violenza penale» a causa di una situazione di violenza indiscriminata e, dall’altro, circostanze individuali non personali, quali l’esercizio di talune professioni e/o i luoghi di esercizio delle medesime, o il fatto di doversi recare in determinati luoghi per beneficiare di servizi di base, debbano essere presi in considerazione.

20      Tale giudice desidera altresì sapere in che modo il grado di violenza indiscriminata nel paese d’origine del richiedente, quale indicato all’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, debba essere preso in considerazione nella valutazione dell’esistenza di danni gravi, ai sensi di tale articolo 15, lettere a) e b). In particolare, esso chiede se la correlazione inversa tra la capacità del richiedente di dimostrare di essere colpito in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale e il grado di violenza indiscriminata richiesto affinché egli possa beneficiare della protezione sussidiaria, risultante dalla giurisprudenza scaturita dalla sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji (C-465/07, EU:C:2009:94, punto 39), si applichi anche alla valutazione riguardante i danni gravi di cui al suddetto articolo 15, lettera b), qualora esista un livello elevato di violenza generale nel paese di origine del richiedente, ma quest’ultimo non sia sufficiente, di per sé, a giustificare la concessione di una protezione sussidiaria.

21      Infine, il giudice del rinvio chiede se e a quali condizioni una situazione umanitaria che, contrariamente a quella considerata nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 18 dicembre 2014, M’Bodj (C-542/13, EU:C:2014:2452), sia la conseguenza diretta o indiretta degli atti di violenza commessi da un responsabile di danni gravi inflitti nel contesto di un conflitto armato internazionale o interno, e che possa comportare una violazione degli articoli 1, 4 e 19, paragrafo 2, della Carta, debba essere presa in considerazione per valutare una domanda di protezione sussidiaria. Tale giudice precisa, a tal riguardo, che esso si riferisce sia alla situazione umanitaria deliberatamente creata da un responsabile di danni gravi sia a quella scaturente dall’atteggiamento indifferente di quest’ultimo rispetto alle conseguenze di un conflitto armato per la popolazione civile.

22      In tale contesto, il rechtbank Den Haag, zittingsplaats ’s-Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s-Hertogenbosch) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 15 della direttiva [2011/95], in combinato disposto con l’articolo 2, lettera g), e con l’articolo 4 della medesima direttiva, nonché con [l’articolo 4 e l’articolo 19], paragrafo 2, della [Carta], debba essere interpretato nel senso che, per stabilire se un richiedente sia bisognoso di protezione sussidiaria, devono essere sempre esaminati e valutati, integralmente e congiuntamente, tutti gli elementi rilevanti che riguardano sia la situazione individuale e le circostanze personali del richiedente sia la situazione generale nel paese di origine, prima di indicare quale paventata manifestazione di danno grave possa essere suffragata da detti elementi.

2)      In caso di risposta negativa alla prima questione, se, nell’ambito della valutazione di cui all’articolo 15, lettera c), della direttiva [2011/95], l’esame degli elementi relativi alla situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, che la Corte ha già precisato devono essere presi in considerazione a tale titolo, vada al di là della verifica del requisito di individualizzazione, di cui alla sentenza della Corte EDU [del 17 luglio 2008,] NA./Regno Unito [(CE:ECHR:2008:0717JUD002590407)]. Se, per una medesima domanda di protezione sussidiaria, detti elementi possano essere presi in considerazione tanto nella valutazione di cui all’articolo 15, lettera b), della direttiva [2011/95] quanto nella valutazione di cui all’articolo 15, lettera c), di tale direttiva.

3)      Se l’articolo 15 della direttiva [2011/95] debba essere interpretato nel senso che, per valutare la necessità di protezione sussidiaria, la cosiddetta scala progressiva, che, come già precisato dalla Corte, deve essere applicata per valutare un asserito timore di danno grave ai sensi dell’articolo 15, lettera c), [di tale direttiva], deve essere applicata anche per valutare un asserito timore di danno grave ai sensi dell’articolo 15, lettera b), [di quest’ultima].

4)      Se l’articolo 15 della direttiva [2011/95], in combinato disposto con gli articoli 1, 4 e [l’articolo 19], paragrafo 2, della [Carta], debba essere interpretato nel senso che una situazione umanitaria che è conseguenza (in)diretta dell’azione e/o dell’omissione di un responsabile di danno grave deve essere presa in considerazione per valutare se un richiedente sia bisognoso di protezione sussidiaria».

23      Con decisione del presidente della Corte dell’8 aprile 2022, il procedimento nella presente causa è stato sospeso, in applicazione dell’articolo 55, paragrafo 1, lettera b), del regolamento di procedura della Corte, fino alla decisione conclusiva del giudizio nella causa Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Nozione di minaccia grave e individuale) (C-579/20).

24      A seguito del ritiro della domanda di pronuncia pregiudiziale in tale causa e della cancellazione di quest’ultima dal ruolo con ordinanza del 18 maggio 2022, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Nozione di minaccia grave e individuale) (C-579/20, EU:C:2022:416), il procedimento nella presente causa è stato di conseguenza ripreso il 20 maggio 2022.

 Sulla domanda di procedimento accelerato

25      Il giudice del rinvio ha chiesto che il presente rinvio pregiudiziale sia sottoposto a procedimento accelerato, conformemente all’articolo 105 del regolamento di procedura.

26      A sostegno della propria domanda, tale giudice ha fatto valere, in sostanza, che, sebbene i ricorrenti siano in situazione di soggiorno regolare fino alla sua pronuncia definitiva sulla controversia di cui al procedimento principale, i figli minorenni di X e di Y si trovavano in una situazione di insicurezza. A tal riguardo, detto giudice ha indicato che cinque dei sei figli minorenni di X e di Y hanno ricevuto un’assistenza educativa dal 22 aprile 2020 e che tali bambini erano gravemente minacciati nel loro sviluppo e crescevano in un contesto educativo pericoloso e instabile, nel quale erano testimoni e vittime di aggressioni e soffrivano di un sentimento di abbandono emotivo e fisico. Inoltre, il giudice del rinvio ha sottolineato che, secondo X e Y, il contesto di insicurezza in questione derivava anche dalla lunghezza della procedura oggetto del procedimento principale nonché dall’incertezza quanto all’esito di tale procedura.

27      L’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura stabilisce che, su domanda del giudice del rinvio o, in via eccezionale, d’ufficio, quando la natura della causa richiede un suo rapido trattamento, il presidente della Corte, sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, può decidere di sottoporre un rinvio pregiudiziale a procedimento accelerato, in deroga alle disposizioni di detto regolamento.

28      Nel caso di specie, il 20 maggio 2022, il presidente della Corte, sentiti la giudice relatrice e l’avvocato generale, ha deciso di respingere la domanda di cui al punto 25 della presente sentenza.

29      Occorre infatti ricordare che il procedimento accelerato costituisce uno strumento procedurale destinato a rispondere a una situazione di urgenza straordinaria (sentenza del 13 luglio 2023, Azienda Ospedale-Università di Padova, C-765/21, EU:C:2023:566, punto 26 e giurisprudenza citata).

30      Orbene, il giudice del rinvio non ha fornito tutti gli elementi che consentono di valutare l’esistenza di una siffatta situazione di urgenza straordinaria e, in particolare, i rischi incorsi qualora tale rinvio seguisse la procedura ordinaria. Sebbene tale giudice abbia menzionato rischi per lo sviluppo dei figli minori di X e di Y derivanti dal contesto familiare, sociale ed educativo nel quale essi sono inseriti, esso non ha tuttavia dimostrato che esiste un nesso tra la durata del procedimento dinanzi alla Corte e il prolungamento della situazione di insicurezza in cui si troverebbero tali figli. Inoltre, detto giudice non ha neppure esposto i motivi per i quali la sottoposizione al procedimento accelerato della presente causa permetterebbe di evitare tali rischi o di risolvere siffatta situazione di insicurezza, dato che l’incertezza giuridica che grava su tali figli quanto all’esito della procedura oggetto del procedimento principale non è, di per sé, sufficiente a giustificare il ricorso a un procedimento accelerato (v., in tal senso, ordinanza del presidente della Corte del 27 giugno 2016, S., C-283/16, EU:C:2016:482, punto 11 e giurisprudenza citata).

31      Peraltro, pur non essendo di per sé decisivo, il considerevole lasso di tempo intercorso tra, da un lato, la presentazione delle domande di protezione internazionale dei ricorrenti e le decisioni del Segretario di Stato di rigetto di tali domande, e, dall’altro, la proposizione del presente rinvio pregiudiziale non depone a favore dell’adozione di una decisione che sottoponga tale rinvio a procedimento accelerato (v., in tal senso, ordinanza del presidente della Corte del 27 giugno 2016, S., C-283/16, EU:C:2016:482, punto 12).

 Sulle questioni pregiudiziali

 Osservazioni preliminari

32      Al fine di rispondere alle questioni sollevate, occorre preliminarmente rilevare che, anzitutto, la direttiva 2011/95, adottata sul fondamento, segnatamente, dell’articolo 78, paragrafo 2, lettera b), TFUE, è diretta, in particolare, a istituire un regime uniforme di protezione sussidiaria. A tal proposito, dai considerando 12 e 34 di tale direttiva emerge che uno degli scopi principali di quest’ultima è quello di assicurare che tutti gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale, offrendo loro uno status adeguato [v., in tal senso, sentenze del 23 maggio 2019, Bilali, C-720/17, EU:C:2019:448, punto 35 e giurisprudenza citata, e del 10 giugno 2021, Bundesrepublik Deutschland (Nozione di «minaccia grave e individuale»), C-901/19, EU:C:2021:472, punti 22 e 34].

33      Inoltre, dall’articolo 18 della direttiva 2011/95, in combinato disposto con la definizione di «persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria», contenuta nell’articolo 2, lettera f), della medesima direttiva, e quella di «status di protezione sussidiaria», di cui all’articolo 2, lettera g), della stessa, risulta che lo status di protezione sussidiaria previsto da detta direttiva deve, in linea di principio, essere riconosciuto al cittadino di un paese terzo o all’apolide che, in caso di rinvio nel suo paese d’origine o nel paese in cui aveva la dimora abituale, corra un rischio effettivo di subire un danno grave, ai sensi dell’articolo 15 della stessa direttiva [sentenza del 10 giugno 2021, Bundesrepublik Deutschland (Nozione di «minaccia grave e individuale»), C-901/19, EU:C:2021:472, punto 23 e giurisprudenza citata].

34      Infine, la direttiva 2011/95 ha abrogato e sostituito, con effetto a partire dal 21 dicembre 2013, la direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12). Orbene, poiché tale mutamento normativo non ha dato luogo a una modifica né del regime giuridico della concessione della protezione sussidiaria né della numerazione delle disposizioni di cui trattasi, la giurisprudenza relativa alla direttiva 2004/83 è rilevante ai fini dell’interpretazione della direttiva 2011/95. In particolare, dato che la formulazione dell’articolo 15 della direttiva 2011/95 è identica a quella dell’articolo 15 della direttiva 2004/83, la giurisprudenza relativa a questa seconda disposizione è trasponibile alla prima [v., in tal senso, sentenza del 10 giugno 2021, Bundesrepublik Deutschland (Nozione di «minaccia grave e individuale»), C-901/19, EU:C:2021:472, punto 24].

 Sulla prima questione

35      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 15 della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che, al fine di stabilire se un richiedente protezione internazionale possa beneficiare della protezione sussidiaria, l’autorità nazionale competente deve esaminare tutti gli elementi pertinenti, relativi sia alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente sia alla situazione generale nel paese d’origine, prima di individuare il tipo di danno grave che tali elementi consentono eventualmente di comprovare.

36      In primo luogo, occorre rilevare che tale articolo 15 prevede tre tipi di «danni gravi» tali da giustificare la concessione della protezione sussidiaria a beneficio della persona che, in caso di rinvio nel suo paese di origine o nel paese nel quale aveva la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subirli.

37      Per quanto riguarda, da un lato, i motivi di cui alla lettera a) di detto articolo 15, ossia il rischio di «pena di morte o [di] essere giustiziato», e alla lettera b) di quest’ultimo, ossia il rischio di «tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante», tali «danni gravi» riguardano situazioni in cui il richiedente la protezione sussidiaria è esposto in modo specifico al rischio di un danno di un tipo particolare, che presuppone un chiaro grado di individualizzazione [sentenze del 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, EU:C:2009:94, punti 32 e 38, e del 10 giugno 2021, Bundesrepublik Deutschland (Nozione di «minaccia grave e individuale»), C-901/19, EU:C:2021:472, punto 25 e giurisprudenza citata].

38      Ne consegue che la concessione di una protezione sussidiaria ai sensi dell’articolo 15, lettere a) e b), della direttiva 2011/95 presuppone che sussistano motivi seri e comprovati per ritenere che il richiedente, se rinviato nel paese di origine o nel paese in cui aveva la dimora abituale, sarebbe esposto specificamente e individualmente a un rischio effettivo di essere soggetto alla pena di morte, di essere giustiziato, o di subire atti di tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti.

39      Ciò premesso, gli elementi relativi alla situazione generale del paese interessato, tra cui in particolare quelli attinenti al livello generale di violenza e di insicurezza in tale paese, devono parimenti essere esaminati in sede di valutazione dell’esistenza di un tale rischio. Infatti, un siffatto contesto generale consente di valutare, in modo più preciso, in che misura il richiedente sia realmente esposto al rischio di subire i danni gravi definiti all’articolo 15, lettera a) o lettera b), della direttiva 2011/95.

40      Quanto, dall’altro lato, al danno definito all’articolo 15, lettera c), di tale direttiva, costituito da una «minaccia grave e individuale alla vita o alla persona» del richiedente, occorre rilevare che tale disposizione riguarda il rischio di un danno «più generale» di quelli di cui alle lettere a) e b) del medesimo articolo. Viene infatti presa in considerazione, più ampiamente, una «minaccia (...) alla vita o alla persona» di un civile, piuttosto che determinate violenze. Inoltre, tale minaccia è inerente a una situazione generale di conflitto armato che determina una «violenza indiscriminata», termine che implica che essa possa estendersi ad alcune persone a prescindere dalla loro situazione personale e dalla loro identità, qualora tale violenza raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rimpatriato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire dette minacce [v., in tal senso, sentenza del 10 giugno 2021, Bundesrepublik Deutschland (Nozione di «minaccia grave e individuale»), C-901/19, EU:C:2021:472, punti 26 e 28 e giurisprudenza citata].

41      Nel consegue che, nel contesto di una situazione eccezionale come quella descritta al punto precedente della presente sentenza, la constatazione dell’esistenza di un rischio di «minaccia grave e individuale» ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 non è subordinata alla condizione che il richiedente fornisca la prova di essere specificamente riguardato in ragione di elementi propri della sua situazione personale [v., in tal senso, sentenze del 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, EU:C:2009:94, punto 43, e del 10 giugno 2021, Bundesrepublik Deutschland (Nozione di «minaccia grave e individuale»), C-901/19, EU:C:2021:472, punto 27].

42      Tuttavia, in altre situazioni meno eccezionali, gli elementi relativi alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente risultano pertinenti. Pertanto, più il richiedente è in grado di dimostrare di essere riguardato in modo specifico in ragione di elementi propri della sua situazione individuale o delle sue circostanze personali, meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinché possa beneficiare della protezione sussidiaria, ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 (v., in tal senso, sentenze del 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, EU:C:2009:94, punto 39, e del 30 gennaio 2014, Diakité, C-285/12, EU:C:2014:39, punto 31).

43      Ne consegue che l’articolo 15 della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che sia le circostanze relative alla situazione generale nel paese di origine, in particolare al livello generale di violenza e di insicurezza in tale paese, sia quelle relative alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente possono costituire elementi pertinenti per l’esame di una domanda di protezione sussidiaria da parte dell’autorità nazionale competente, indipendentemente dal tipo specifico di danno grave, ai sensi di tale articolo 15, che è oggetto di una siffatta valutazione.

44      A tal riguardo, occorre inoltre sottolineare che, sebbene ciascun tipo di danno grave di cui alle lettere da a) a c) dell’articolo 15 della direttiva 2011/95 costituisca un motivo autonomo di riconoscimento della protezione sussidiaria, le cui condizioni devono essere pienamente soddisfatte affinché tale protezione sia concessa, ciò non toglie, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi 30, 40 e 41 delle sue conclusioni, che tale articolo non istituisce un ordine gerarchico tra tali diversi tipi di danno grave e non impone alcun ordine nella valutazione dell’esistenza di un rischio effettivo di subire uno di tali danni gravi. Infatti, da un lato, una medesima domanda di protezione internazionale può far emergere l’esistenza di un rischio che il richiedente sia esposto a diversi tipi di danno grave in caso di ritorno nel suo paese d’origine o nel paese nel quale aveva la dimora abituale. Dall’altro lato, uno stesso elemento può servire a dimostrare l’esistenza di un rischio effettivo di subire più danni gravi ai sensi della suddetta disposizione.

45      In secondo luogo, l’interpretazione dell’articolo 15 della direttiva 2011/95, menzionata al punto 43 della presente sentenza, è corroborata dal contesto normativo in cui tale articolo 15 si inserisce.

46      A tal riguardo, risulta, anzitutto, dall’articolo 4 di tale direttiva, contenuto nel capo II di quest’ultima, relativo alla «[v]alutazione delle domande di protezione internazionale», e pertanto applicabile sia alle domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato sia a quelle dirette ad ottenere una protezione sussidiaria, ai sensi di detta direttiva, che l’esame dei fatti e delle circostanze alla base di una domanda di protezione internazionale si svolge in due fasi distinte. La prima fase riguarda l’accertamento delle circostanze di fatto suscettibili di costituire elementi di prova a sostegno della domanda, mentre la seconda fase riguarda la valutazione giuridica di tali elementi di prova e consiste nel decidere se, tenuto conto dei fatti che caratterizzano il caso di specie, i requisiti sostanziali previsti dall’articolo 15 della medesima direttiva per il riconoscimento della protezione sussidiaria siano soddisfatti [v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2022, Secretary of State for the Home Department (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese), C-349/20, EU:C:2022:151, punto 63 e giurisprudenza citata].

47      Sebbene ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2011/95, gli Stati membri possano esigere che il richiedente produca quanto prima, nel corso della prima di tali fasi, tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale, le autorità degli Stati membri devono tuttavia, se del caso, cooperare attivamente con quest’ultimo per determinare e integrare gli elementi pertinenti della domanda, trovandosi peraltro spesso in una posizione migliore rispetto al richiedente per accedere a determinati tipi di documenti [v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2022, Secretary of State for the Home Department (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese), C-349/20, EU:C:2022:151, punto 64 e giurisprudenza citata], fermo restando che, quando taluni aspetti delle dichiarazioni di un richiedente non sono suffragati da prove documentali o di altro tipo, tali aspetti non necessitano di una conferma purché siano soddisfatte le condizioni cumulative stabilite dall’articolo 4, paragrafo 5, lettere da a) a e) della medesima direttiva (sentenza del 2 dicembre 2014, A e a., da C-148/13 a C-150/13, EU:C:2014:2406, punto 58).

48      Di conseguenza, come considerato dall’avvocato generale ai paragrafi 34 e 41 delle sue conclusioni, l’autorità nazionale competente per la valutazione di una domanda di protezione internazionale è tenuta a esaminare, nel corso della prima fase di tale valutazione, tutte le circostanze fattuali pertinenti del caso di specie che possano costituire elementi di prova, prima di determinare, nel corso della seconda fase di detta valutazione, quale tipo di danno grave definito all’articolo 15 di tale direttiva detti elementi possano eventualmente suffragare, senza poter escludere elementi potenzialmente pertinenti per la valutazione di tale domanda per il solo motivo che il richiedente li ha dedotti a sostegno di un solo tipo di danno grave definito a tale articolo 15.

49      Inoltre, dall’articolo 4, paragrafo 3, di detta direttiva risulta che, tra gli elementi pertinenti che tale autorità deve prendere in considerazione quando procede all’esame di ciascuna domanda di protezione internazionale, figurano, in particolare, sia «tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine», ai sensi della lettera a) di tale disposizione, sia la «situazione individuale e [le] circostanze personali del richiedente», ai sensi della lettera c) di quest’ultima.

50      Pertanto, la Corte ha dichiarato che, anche se una domanda di protezione internazionale presentata ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della medesima direttiva non fa valere elementi propri della situazione del richiedente, dall’articolo 4, paragrafo 3, di quest’ultima discende che tale domanda deve essere oggetto di un esame effettuato su base individuale, ai fini del quale si deve tener conto di tutta una serie di elementi elencati in tale disposizione, nel quadro di una valutazione globale di tutte le circostanze rilevanti del caso di specie [v., in tal senso, sentenza del 10 giugno 2021, Bundesrepublik Deutschland (Nozione di «minaccia grave e individuale»), C-901/19, EU:C:2021:472, punti 40 e 41].

51      Peraltro, in forza dell’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2011/95, il fatto che un richiedente abbia già subito persecuzioni o danni gravi o minacce dirette di tali persecuzioni o danni può, in linea di principio, costituire un serio indizio del rischio effettivo del richiedente di subire danni gravi, cosicché tali circostanze, relative alla situazione personale del richiedente, devono sempre essere prese in considerazione nell’ambito della valutazione dell’esistenza di un rischio effettivo di subire uno dei danni gravi definiti all’articolo 15 della medesima direttiva, qualunque esso sia.

52      Infine, l’esigenza di procedere alla valutazione di una domanda di protezione internazionale tenendo conto di tutti gli elementi pertinenti, tra cui quelli ricordati al punto 49 della presente sentenza, e di cooperare attivamente con il richiedente a tal fine, è confermata all’articolo 8, paragrafo 2, di tale direttiva (v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2012, M., C-277/11, EU:C:2012:744, punto 67), in quanto esso impone alle autorità nazionali competenti, quando esaminano se un richiedente protezione internazionale abbia accesso alla protezione contro, segnatamente, ogni tipo di danno grave in una parte del territorio del paese di origine, conformemente al paragrafo 1 di tale disposizione, di tenere conto sia delle condizioni generali vigenti in tale parte del paese, sia delle circostanze personali del richiedente.

53      In terzo e ultimo luogo, l’interpretazione dell’articolo 15 della direttiva 2011/95 esposta ai punti 43 e 48 della presente sentenza è conforme agli obiettivi perseguiti da tale direttiva, quali ricordati al punto 32 della presente sentenza. Infatti, un esame delle domande di protezione internazionale che non tenga conto di tutte le circostanze pertinenti del caso di specie e, in particolare, dell’insieme degli elementi elencati all’articolo 4, paragrafo 3, di tale direttiva, prima di individuare il tipo di danno grave definito all’articolo 15 di quest’ultima che tali elementi potrebbero eventualmente suffragare, condurrebbe ad una violazione dell’obbligo che detta direttiva impone agli Stati membri di identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di tale protezione [v., in tal senso, sentenza del 10 giugno 2021, Bundesrepublik Deutschland (Nozione di «minaccia grave e individuale»), C-901/19, EU:C:2021:472, punto 44].

54      Una siffatta interpretazione è, peraltro, conforme all’articolo 4 e all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, che stabiliscono, rispettivamente, la proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti e la protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione, menzionati dal giudice del rinvio. A tal riguardo, occorre tuttavia osservare che, sebbene i diritti fondamentali garantiti in tali disposizioni debbano certamente essere rispettati nell’attuazione della direttiva 2011/95 e quindi anche in sede di valutazione delle domande di protezione sussidiaria alla luce dell’articolo 15 di quest’ultima, dette disposizioni non forniscono, nell’ambito della risposta alla presente questione pregiudiziale, indicazioni specifiche ulteriori quanto alla portata della necessità di procedere sistematicamente all’esame di tutti gli elementi pertinenti, relativi sia alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente, sia alla situazione generale nel paese d’origine, in occasione di una siffatta valutazione (v., per analogia, sentenze del 25 luglio 2018, Alheto, C-585/16, EU:C:2018:584, punto 129 e del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova, C-652/16, EU:C:2018:801, punto 64).

55      Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione che l’articolo 15 della direttiva 2011/95 dev’essere interpretato nel senso che, al fine di stabilire se un richiedente protezione internazionale possa beneficiare della protezione sussidiaria, l’autorità nazionale competente deve esaminare tutti gli elementi pertinenti, relativi sia alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente, sia alla situazione generale nel paese d’origine, prima di individuare il tipo di danno grave che tali elementi consentono eventualmente di comprovare.

 Sulla seconda questione

56      La seconda questione è sollevata nell’ipotesi di una risposta negativa alla prima questione. Ciò premesso, sebbene la risposta alla seconda parte della seconda questione derivi effettivamente dalla risposta affermativa data alla prima questione, nel senso che gli elementi relativi alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente possono risultare pertinenti nell’esame della fondatezza di una domanda di protezione internazionale alla luce tanto dell’articolo 15, lettera b), quanto dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, ciò non toglie che la prima parte della seconda questione conserva la sua rilevanza.

57      Il giudice del rinvio chiede infatti se, al fine di valutare l’esistenza di un rischio effettivo di subire una «minaccia grave e individuale alla vita o alla persona», ai sensi dell’articolo 15, lettera c), di tale direttiva, l’autorità nazionale competente debba prendere in considerazione, tra i diversi elementi pertinenti relativi alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente, elementi ulteriori rispetto al semplice fatto che egli provenga da una zona di un determinato paese in cui si verificano i «casi più estremi di violenza generale», ai sensi della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare della sentenza del 17 luglio 2008, NA. c. Regno Unito (CE:ECHR:2008:0717JUD 002590407, § 115), vale a dire da un’area in cui il grado di violenza raggiunge un livello tale che l’espulsione di una persona verso tale paese costituisce una violazione del divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti garantito dall’articolo 3 della CEDU.

58      In tali circostanze, occorre considerare che, con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che, al fine di valutare l’esistenza di un rischio effettivo di subire un danno grave ai sensi di tale disposizione, l’autorità nazionale competente deve poter prendere in considerazione elementi relativi alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente diversi dalla mera provenienza da una zona di un determinato paese in cui si verificano i «casi più estremi di violenza generale», ai sensi della sentenza della Corte EDU del 17 luglio 2008, NA. c. Regno Unito (CE:ECHR:2008:0717JUD002590407, § 115).

59      Al riguardo, occorre anzitutto rilevare che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo è, in linea di principio, pertinente per l’interpretazione dell’articolo 15 della direttiva 2011/95. Infatti, da un lato, dall’articolo 6, paragrafo 3, TUE risulta che il diritto fondamentale garantito all’articolo 3 della CEDU fa parte dei principi generali di diritto dell’Unione, di cui la Corte assicura il rispetto. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo deve quindi essere presa in considerazione per interpretare la portata di tale diritto nell’ordinamento giuridico dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, EU:C:2009:94, punto 28).

60      Dall’altro lato, dal considerando 16 della direttiva 2011/95 risulta che l’interpretazione delle disposizioni di quest’ultima deve essere effettuata nel rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta, tra cui in particolare l’articolo 4 della stessa [v., in tal senso, sentenza del 24 aprile 2018, MP (Protezione sussidiaria di una vittima di torture subite in passato), C-353/16, EU:C:2018:276, punto 36]. Orbene, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, poiché i diritti garantiti dall’articolo 4 della stessa corrispondono a quelli garantiti dall’articolo 3 della CEDU, il significato e la portata di tali diritti sono uguali a quelli loro conferiti da detto articolo 3 [v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2022, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Allontanamento – Cannabis per uso terapeutico), C-69/21, EU:C:2022:913, punto 60 e giurisprudenza citata], il che tuttavia non preclude che il diritto dell’Unione conceda a tali diritti una protezione più estesa. Nell’interpretazione dell’articolo 4 della Carta occorre quindi tenere conto dell’articolo 3 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, quale soglia di protezione minima [v., per analogia, sentenza del 22 giugno 2023, K.B. e F.S. (Rilevabilità d’ufficio di una questione in ambito penale), C-660/21, EU:C:2023:498, punto 41 e giurisprudenza citata].

61      Inoltre, dalle spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17), risulta che il diritto di cui all’articolo 19, paragrafo 2, di quest’ultima, ai sensi del quale nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, incorpora la giurisprudenza pertinente della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 3 della CEDU, al quale tale articolo 19, paragrafo 2, sostanzialmente corrisponde (v., in tal senso, sentenze del 18 dicembre 2014, M’Bodj, C-542/13, EU:C:2014:2452, punto 38 e giurisprudenza citata, e del 18 dicembre 2014, Abdida, C-562/13, EU:C:2014:2453, punto 47). Tale giurisprudenza è, pertanto, parimenti pertinente ai fini dell’interpretazione di tale diritto.

62      Ciò premesso, la Corte ha già dichiarato che è l’articolo 15, lettera b), della direttiva 2011/95 a corrispondere, in sostanza, all’articolo 3 della CEDU. Per contro, l’articolo 15, lettera c), di tale direttiva è una disposizione con un contenuto diverso da quello dell’articolo 3 della CEDU e deve pertanto essere interpretato autonomamente al fine, in particolare, di assicurare un ambito di applicazione proprio a tale disposizione, pur nel rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta e dalla CEDU (v., in tal senso, sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, EU:C:2009:94, punti 28 e 36).

63      A tal riguardo, occorre rilevare che l’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 si applica, certamente, alla situazione eccezionale in cui il grado di violenza indiscriminata risultante da un conflitto armato interno o internazionale è tale da far sussistere motivi seri e comprovati di ritenere che un civile rinviato nel paese o nella regione in questione correrebbe, per il solo fatto della sua presenza nel territorio di tale paese o di tale regione, un rischio effettivo di subire una minaccia grave e individuale alla sua vita o alla sua persona.

64      Tuttavia, come rilevato al punto 42 della presente sentenza, tale disposizione può applicarsi anche ad altre situazioni, nelle quali la combinazione, da un lato, di un grado di violenza indiscriminata meno elevato di quello che caratterizza una siffatta situazione eccezionale e, dall’altro, di elementi propri della situazione personale del richiedente è tale da concretizzare il rischio effettivo di subire una minaccia grave e individuale, ai sensi di detta disposizione.

65      Ne consegue che, in queste altre situazioni, gli elementi relativi alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente che l’autorità nazionale competente deve prendere in considerazione vanno necessariamente al di là della provenienza da una zona di un determinato paese in cui si verificano i «casi più estremi di violenza generale», ai sensi della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, e in particolare della sua sentenza del 17 luglio 2008, NA. c. Regno Unito (CE:ECHR:2008:0717JUD 002590407, § 115).

66      Pertanto, pur essendo pienamente compatibile con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 3 della CEDU (v., in tal senso, sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji, C‑465/07, EU:C:2009:94, punto 44), l’interpretazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 fornita dalla Corte accorda ai richiedenti protezione internazionale una protezione più ampia di quella offerta da detto articolo 3.

67      Alla luce degli interrogativi sollevati dal giudice del rinvio e ricordati al punto 19 della presente sentenza, occorre inoltre precisare che l’elenco di elementi pertinenti relativi alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente contenuto nell’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), di tale direttiva non ha carattere esaustivo, cosicché, nelle situazioni di cui al punto 64 della presente sentenza, l’autorità nazionale competente per la concessione della protezione sussidiaria deve procedere a una valutazione caso per caso, tenendo conto, eventualmente, di qualsiasi altro elemento relativo alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente che possa contribuire a concretizzare il rischio effettivo di subire un danno grave ai sensi dell’articolo 15, lettera c), di detta direttiva, tenuto conto del grado di violenza indiscriminata nel paese o nella regione interessati. In tale contesto, potrebbero in particolare essere ritenuti pertinenti elementi propri della vita privata, familiare o professionale del richiedente che possano essere ragionevolmente considerati quali fattori di aggravamento del rischio che quest’ultimo subisca tale danno grave, in caso di ritorno nel suo paese d’origine o nel paese in cui aveva la dimora abituale.

68      Inoltre, spetta all’autorità nazionale competente, come ricordato al punto 51 della presente sentenza e conformemente all’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2011/95, tenere conto della circostanza che il richiedente abbia già subito danni gravi o sia già stato destinatario di una minaccia diretta in tal senso, a meno che vi siano buoni motivi per ritenere che tale danno grave non si ripeterà.

69      Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, si deve rispondere alla seconda questione che l’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che, al fine di valutare l’esistenza di un rischio effettivo di subire un danno grave ai sensi di tale disposizione, l’autorità nazionale competente deve poter prendere in considerazione elementi relativi alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente diversi dalla mera provenienza da una zona di un determinato paese in cui si verificano i «casi più estremi di violenza generale», ai sensi della sentenza della Corte EDU del 17 luglio 2008, NA. c. Regno Unito (CE:ECHR:2008:0717JUD002590407, § 115).

 Sulla terza questione

70      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 15, lettera b), della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che l’intensità della violenza indiscriminata nel paese d’origine del richiedente può attenuare il requisito dell’individualizzazione dei danni gravi definiti da tale disposizione.

71      A tal riguardo, occorre ricordare che, come rilevato ai punti da 37 a 42 della presente sentenza, i danni gravi definiti all’articolo 15, lettera b), della direttiva 2011/95 presuppongono un chiaro grado di individualizzazione.

72      Infatti, come ricordato al punto 38 della presente sentenza, i danni relativi al rischio di «pena di morte o [di] essere giustiziato» e di «tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante», di cui all’articolo 15, lettere a) e b), di detta direttiva, riguardano situazioni in cui il richiedente la protezione sussidiaria è esposto specificamente e individualmente al rischio di un danno di un tipo particolare.

73      Sebbene, come sottolineato al punto 39 della presente sentenza, gli elementi pertinenti relativi alla situazione generale del paese d’origine del richiedente, tra cui in particolare quelli attinenti al livello generale di violenza e di insicurezza in tale paese, debbano essere esaminati anche in queste ipotesi, ciò non toglie che l’esistenza, in detto paese, di un certo livello di violenza e di insicurezza, per quanto elevato, non può attenuare la portata della condizione secondo la quale, per ritenere che sussista un rischio reale di danni gravi ai sensi dell’articolo 15, lettere a) e b), della direttiva 2011/95, deve essere dimostrato, tenendo conto, se del caso, di un tale livello di violenza, che il richiedente rischia realmente di essere esposto specificamente e individualmente a tali danni in caso di rimpatrio nel paese d’origine.

74      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla terza questione che l’articolo 15, lettera b), della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che l’intensità della violenza indiscriminata nel paese d’origine del richiedente non può attenuare il requisito dell’individualizzazione dei danni gravi definiti da tale disposizione.

 Sulla quarta questione

75      Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4, nonché con l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, debba essere interpretato nel senso che una situazione umanitaria che è conseguenza diretta o indiretta degli atti e/o delle omissioni di un responsabile di danni gravi inflitti nell’ambito di un conflitto armato internazionale o interno deve essere presa in considerazione nella valutazione di una domanda di protezione internazionale, ai sensi di tale articolo 15, lettera c).

76      La Commissione europea sostiene che tale questione è irricevibile, facendo valere, in sostanza, che, alla luce degli elementi probatori a sostegno delle domande di protezione internazionale di cui trattasi nel procedimento principale, la risposta a detta questione non è necessaria per risolvere la controversia oggetto del procedimento principale e che, in ogni caso, la decisione di rinvio non contiene le informazioni e le precisazioni necessarie a tal fine.

77      Secondo una costante giurisprudenza, sebbene le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di fatto e di diritto che egli individua sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza, ciò non toglie che il procedimento istituito dall’articolo 267 TFUE costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto dell’Unione loro necessari per risolvere le controversie che essi sono chiamati a dirimere. La ratio del rinvio pregiudiziale non risiede nell’esprimere pareri consultivi su questioni generiche o ipotetiche, bensì nella necessità di dirimere concretamente una controversia. Come risulta dalla formulazione stessa dell’articolo 267 TFUE, la decisione pregiudiziale richiesta deve essere «necessaria» al fine di consentire al giudice del rinvio di «emanare la sua sentenza» nella causa della quale è investito (sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C-924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punto 167 e giurisprudenza citata).

78      Pertanto, è segnatamente indispensabile, come enunciato all’articolo 94, lettera a), del regolamento di procedura, che la decisione di rinvio contenga un’esposizione sommaria dei fatti rilevanti quali constatati dal giudice del rinvio o, quanto meno, un’esposizione dei dati fattuali su cui le questioni sono fondate (sentenza del 3 dicembre 2019, Iccrea Banca, C-414/18, EU:C:2019:1036, punto 28 e giurisprudenza citata).

79      Nel caso di specie, come rilevato ai punti 11, 12 e 15 della presente sentenza, tra gli elementi probatori a sostegno delle domande di protezione internazionale di cui trattasi nel procedimento principale, quali dedotti dai ricorrenti e constatati dall’autorità nazionale competente e dal giudice del rinvio, figurano fatti relativi al livello generale di violenza e di insicurezza in Libia, alle condizioni di vita difficili a Tripoli nonché alla «situazione umanitaria» che ne risulterebbe.

80      Tuttavia, da detti elementi, quali esposti nella domanda di pronuncia pregiudiziale, non risulta affatto che tale situazione umanitaria sia la conseguenza diretta o indiretta degli atti e/o delle omissioni di un responsabile di gravi danni inflitti nell’ambito di un conflitto armato interno o internazionale, ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95.

81      Inoltre, il giudice del rinvio non indica chi sia il responsabile degli atti e/o delle omissioni in questione e in cosa consistano tali atti e/o tali omissioni.

82      Ne consegue che il giudice del rinvio non ha sufficientemente chiarito per quale motivo una risposta alla quarta questione sarebbe necessaria per consentirgli di risolvere la controversia oggetto del procedimento principale, e che esso non ha neppure esposto in maniera sufficiente i dati fattuali su cui tale questione è fondata.

83      In tali circostanze, la quarta questione deve essere dichiarata irricevibile.

 Sulle spese

84      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 15 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta,

dev’essere interpretato nel senso che:

al fine di stabilire se un richiedente protezione internazionale possa beneficiare della protezione sussidiaria, l’autorità nazionale competente deve esaminare tutti gli elementi pertinenti, relativi sia alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente, sia alla situazione generale nel paese d’origine, prima di individuare il tipo di danno grave che tali elementi consentono eventualmente di comprovare.

2)      L’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95

dev’essere interpretato nel senso che:

al fine di valutare l’esistenza di un rischio effettivo di subire un danno grave ai sensi di tale disposizione, l’autorità nazionale competente deve poter prendere in considerazione elementi relativi alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente diversi dalla mera provenienza da una zona di un determinato paese in cui si verificano i «casi più estremi di violenza generale», ai sensi della sentenza della Corte EDU del 17 luglio 2008, NA. c. Regno Unito (CE:ECHR:2008:0717JUD002590407, § 115).

3)      L’articolo 15, lettera b), della direttiva 2011/95

dev’essere interpretato nel senso che:

l’intensità della violenza indiscriminata nel paese d’origine del richiedente non può attenuare il requisito dell’individualizzazione dei danni gravi definiti da tale disposizione.

Firme


*      Lingua processuale: il neerlandese.