CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 23 gennaio 2014 (1)

Causa C‑377/12

Commissione europea

contro

Consiglio dell’Unione europea

«Ricorso di annullamento – Decisione 2012/272/UE – Cooperazione allo sviluppo – Trasporti – Ambiente – Riammissione dei cittadini di paesi terzi – Base giuridica rientrante nel titolo V del Trattato FUE»






Indice


I – Introduzione

II – Contesto normativo

III – Antefatti della controversia

IV – Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

V – Analisi

A – Argomenti delle parti

B – Stato della giurisprudenza pertinente e determinazione del criterio applicabile

C – Genesi, contenuto e impianto sistematico dell’APC

D – Cooperazione allo sviluppo nel diritto dell’Unione e qualificazione dell’APC

E – Sull’aggiunta delle basi giuridiche relative ai trasporti

F – Sull’aggiunta della base giuridica relativa all’ambiente

G – Sull’aggiunta della base giuridica relativa alla riammissione dei cittadini di paesi terzi

1. Il contenuto dell’APC

2. Migrazione e politica di cooperazione allo sviluppo

3. L’articolo 26 dell’APC alla luce della prassi anteriore

4. L’attuale prassi in materia di accordi di riammissione

H – Sul mantenimento, nel tempo, degli effetti della decisione annullata

VI – Sulle spese

VII – Conclusione


I –    Introduzione

1.        Con il presente ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di annullare la decisione del Consiglio, del 14 maggio 2012, 2012/272/UE, relativa alla firma, a nome dell’Unione, dell’accordo quadro di partenariato e cooperazione tra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica delle Filippine, dall’altra (2) (in prosieguo: la «decisione impugnata»), nella misura in cui il Consiglio dell’Unione europea ha provveduto all’aggiunta delle basi giuridiche relative ai trasporti, alla riammissione dei cittadini di Stati terzi e all’ambiente.

II – Contesto normativo

2.        L’articolo 26 dell’accordo quadro di partenariato e cooperazione tra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica delle Filippine, dall’altra (in prosieguo: l’«APC») (3), rubricato «Cooperazione in materia di migrazione e sviluppo» e contenuto nel titolo V relativo alla cooperazione in materia di migrazione e lavoro marittimo, dispone quanto segue:

«1.      Le Parti ribadiscono l’importanza della gestione congiunta dei flussi migratori tra i rispettivi territori. Al fine di intensificare la cooperazione, le Parti instaurano un meccanismo di dialogo e consultazione globale su tutte le questioni attinenti alla migrazione. Le questioni inerenti alla migrazione saranno inserite nelle strategie nazionali/nel quadro nazionale di sviluppo socioeconomico dei paesi di origine, transito e destinazione dei migranti.

2.      La cooperazione tra le Parti si basa su una valutazione delle esigenze specifiche realizzata in consultazione reciproca e di concerto tra le Parti e si svolge conformemente al diritto nazionale e dell’Unione vigente. La cooperazione verterà in particolare sui seguenti aspetti:

a)      i fattori espulsivi e attrattivi della migrazione;

b)      lo sviluppo e l’applicazione della legislazione e delle prassi nazionali in materia di protezione e diritti dei migranti, onde conformarsi alle disposizioni degli strumenti internazionali applicabili che garantiscono il rispetto dei diritti dei migranti;

c)      lo sviluppo e l’applicazione della legislazione e delle prassi nazionali per quanto riguarda la protezione internazionale, onde conformarsi alle disposizioni della convenzione relativa allo status dei rifugiati (…) e garantire il rispetto del principio di non respingimento;

d)      le norme di ammissione, i diritti e lo status delle persone ammesse, la garanzia di un trattamento equo, le possibilità di integrazione per gli stranieri che soggiornano legalmente nel loro territorio, l’istruzione e la formazione e le misure contro il razzismo, la discriminazione e la xenofobia;

e)      la definizione di un’efficace politica di prevenzione per gestire la presenza sul loro territorio di cittadini dell’altra Parte che non soddisfino o non soddisfino più le condizioni d’ingresso, soggiorno o residenza nel territorio della Parte interessata, il traffico e la tratta di esseri umani, compreso l’esame delle modalità di lotta contro le reti di passatori e di trafficanti di persone e di protezione delle vittime di tali attività;

f)      il rimpatrio, in condizioni di rispetto della dignità umana, delle persone definite al paragrafo 2, lettera e), del presente articolo compresa la promozione del ritorno volontario e duraturo nei paesi di origine, e la loro ammissione/riammissione ai sensi del paragrafo 3 del presente articolo. Il rimpatrio di tali persone avviene nel debito rispetto del diritto delle Parti di concedere permessi di soggiorno o autorizzazioni a soggiornare per motivi caritatevoli o umanitari e del principio di non respingimento;

g)      le questioni di reciproco interesse in materia di visti e sicurezza dei documenti di viaggio e la gestione delle frontiere;

h)      le questioni attinenti a migrazione e sviluppo, tra cui lo sviluppo delle risorse umane, la protezione sociale, l’ottimizzazione dei benefici della migrazione, la parità uomo-donna e lo sviluppo, l’assunzione in base a principi etici e la migrazione circolare, e l’integrazione dei migranti.

3.      Nell’ambito della cooperazione in questo campo, e fatta salva la necessità di proteggere le vittime della tratta di esseri umani, le Parti convengono inoltre che:

a)      le Filippine riammettono tutti i loro cittadini definiti al paragrafo 2, lettera e), del presente articolo presenti sul territorio di uno Stato membro su richiesta di quest’ultimo, senza ritardi indebiti, una volta che sia accertata la cittadinanza e che si sia proceduto al debito trattamento nello Stato membro;

b)      ciascuno Stato membro riammette tutti i suoi cittadini definiti al paragrafo 2, lettera e), del presente articolo presenti sul territorio delle Filippine su richiesta di queste ultime, senza ritardi indebiti, una volta che sia accertata la cittadinanza e che si sia proceduto al debito trattamento nelle Filippine;

c)      [g]li Stati membri e le Filippine forniscono ai propri cittadini i documenti d’identità necessari a tal fine. Tutte le richieste di ammissione o di riammissione sono trasmesse dallo Stato richiedente all’autorità competente dello Stato destinatario della richiesta;

Se la persona interessata non possiede opportuni documenti di identità o altre prove della sua cittadinanza, le Filippine o lo Stato membro chiedono immediatamente alla rappresentanza diplomatica o consolare competente di accertarne la cittadinanza, se necessario mediante un colloquio; una volta accertato che si tratta di un cittadino delle Filippine o dello Stato membro, le autorità delle Filippine o dello Stato membro rilasciano gli opportuni documenti.

4.      Le Parti convengono di concludere appena possibile un accordo sull’ammissione-riammissione dei loro cittadini che contenga una disposizione sulla riammissione dei cittadini di altri paesi e degli apolidi».

3.        L’articolo 34 dell’APC, relativo all’ambiente e alle risorse naturali, prevede quanto segue:

«1.      Le Parti convengono che la cooperazione in questo settore promuoverà la salvaguardia e il miglioramento dell’ambiente ai fini dello sviluppo sostenibile. In tutte le attività intraprese dalle Parti a norma del presente accordo si tiene conto dell’applicazione dei risultati del vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile e degli accordi ambientali multilaterali pertinenti di cui sono firmatarie.

2.      Le Parti convengono che è necessario salvaguardare e gestire in modo sostenibile le risorse naturali e la diversità biologica a vantaggio di tutte le generazioni, tenendo conto delle loro esigenze di sviluppo.

3.      Le Parti convengono di collaborare per far sì che le politiche commerciali e quelle ambientali si sostengano a vicenda e per promuovere l’integrazione delle considerazioni ambientali in tutti i settori di cooperazione.

4.      Le Parti si sforzano di proseguire e intensificare la cooperazione nell’ambito dei programmi regionali per la tutela dell’ambiente con l’obiettivo di:

a)      aumentare la sensibilizzazione ecologica e la partecipazione locale alle iniziative di tutela ambientale e sviluppo sostenibile, compresa la partecipazione delle comunità culturali/popolazioni indigene e delle comunità locali;

b)      sviluppare capacità in termini di adeguamento al cambiamento climatico, mitigazione dei suoi effetti ed efficienza energetica;

c)      sviluppare capacità per la partecipazione e l’attuazione degli accordi ambientali multilaterali, tra cui quelli riguardanti la biodiversità e la biosicurezza;

d)      promuovere tecnologie, prodotti e servizi rispettosi dell’ambiente, anche mediante l’uso di strumenti normativi e di strumenti basati sul mercato;

e)      migliorare la gestione delle risorse naturali, compresa la governance nel settore forestale e la lotta contro il disboscamento illegale e il relativo commercio di legname, e promuovere la sostenibilità delle risorse naturali, compresa la gestione delle foreste;

f)      garantire una gestione efficace dei parchi nazionali e delle zone protette così come la designazione e la protezione delle zone di biodiversità e degli ecosistemi fragili, con la debita considerazione per le comunità locali e indigene che vivono all’interno o nei pressi di queste zone;

g)      prevenire i movimenti transfrontalieri illeciti di rifiuti solidi e pericolosi e di altri tipi di rifiuti;

h)      tutelare l’ambiente costiero e marino e garantire una gestione efficace delle risorse idriche;

i)      garantire la tutela e la conservazione del suolo nonché la gestione sostenibile delle terre, compreso il ripristino delle miniere già sfruttate o abbandonate;

j)      promuovere lo sviluppo delle capacità di gestione delle catastrofi e dei rischi;

k)      promuovere modelli di produzione e di consumo sostenibili nelle loro economie.

5.      Le Parti favoriscono l’accesso reciproco ai loro programmi in questo settore secondo le modalità specifiche dei programmi stessi».

4.        L’articolo 38 dell’APC, relativo ai trasporti, è formulato come segue:

«1.      Le Parti convengono di collaborare nei settori rilevanti della politica dei trasporti nell’intento di migliorare le possibilità d’investimento e la circolazione delle merci e dei passeggeri, promuovere la sicurezza dei trasporti marittimi e aerei, gestire l’impatto ambientale dei trasporti e rendere più efficienti i sistemi di trasporto.

2.      La cooperazione fra le Parti in questo settore è volta a promuovere:

a)      lo scambio di informazioni sulle rispettive politiche, normative e pratiche in materia di trasporti, in particolare per quanto concerne i trasporti urbani, rurali, marittimi e aerei, l’aspetto logistico dei trasporti e l’interconnessione e l’interoperabilità delle reti di trasporto multimodali, nonché la gestione delle strade, delle ferrovie, dei porti e degli aeroporti;

b)      lo scambio di opinioni sui sistemi di navigazione satellitare europeo (segnatamente Galileo), con particolare attenzione alle questioni di comune interesse riguardanti la normativa, il settore industriale e lo sviluppo del mercato;

c)      il proseguimento del dialogo sui servizi di trasporto aereo per garantire senza indebiti ritardi la certezza giuridica degli accordi bilaterali sui servizi aerei in vigore tra i singoli Stati membri e le Filippine;

d)      il proseguimento del dialogo sul potenziamento delle reti infrastrutturali e delle operazioni di trasporto aereo per garantire la rapidità, l’efficienza, la sostenibilità e la sicurezza della circolazione di persone e merci e la promozione dell’applicazione del diritto della concorrenza e della regolamentazione economica del settore aereo, favorendo la convergenza normativa e l’attività delle imprese, e vagliare la possibilità di sviluppare ulteriormente le relazioni nel settore del trasporto aereo. È opportuno incentivare ulteriormente i progetti di cooperazione di comune interesse nel settore del trasporto aereo;

e)      il dialogo sulla politica e sui servizi di trasporto marittimo, in particolare per promuovere lo sviluppo dell’industria del trasporto marittimo, affrontando tra l’altro aspetti come:

i)      lo scambio di informazioni sulle disposizioni legislative e regolamentari riguardanti i trasporti marittimi e i porti;

ii)      la promozione dell’accesso illimitato, su base commerciale, ai mercati e agli scambi marittimi internazionali, la non introduzione di clausole di ripartizione del carico, la concessione del trattamento nazionale e della clausola NPF per le navi gestite da cittadini o imprese dell’altra Parte e le questioni pertinenti connesse ai servizi di trasporto “porta a porta” che comprendono una tratta marittima, tenendo conto del diritto nazionale delle Parti;

iii)      la gestione efficace dei porti e l’efficienza dei servizi di trasporto marittimo e

iv)      la promozione della cooperazione per gli aspetti del trasporto marittimo di comune interesse e per quanto riguarda il lavoro marittimo e l’istruzione/formazione dei marittimi a norma dell’articolo 27;

f)      un dialogo sull’effettiva applicazione delle norme in materia di sicurezza dei trasporti e di prevenzione dell’inquinamento, specie per quanto riguarda i trasporti marittimi, compresa la lotta alla pirateria, e i trasporti aerei, in linea con le convenzioni internazionali pertinenti di cui le Parti sono firmatarie, e delle norme, compresa la cooperazione nei consessi internazionali pertinenti, volte a garantire una migliore applicazione delle normative internazionali. A tal fine, le Parti promuoveranno la cooperazione e l’assistenza tecnica per le questioni connesse alla sicurezza dei trasporti e le considerazioni ambientali, in particolare, ma non solo, per quanto riguarda l’istruzione e la formazione nei settori marittimo e aereo, le operazioni di ricerca e salvataggio, gli incidenti e le relative indagini. Le Parti si concentreranno anche sulla promozione di modi di trasporto rispettosi dell’ambiente».

III – Antefatti della controversia

5.        Il 25 novembre 2004, su raccomandazione della Commissione, il Consiglio ha autorizzato quest’ultima a negoziare un accordo quadro di partenariato tra l’Unione europea, i suoi Stati membri e la Repubblica delle Filippine. I negoziati sono stati avviati a Manila (Filippine) nel mese di febbraio del 2009 e si sono conclusi all’inizio del mese di giugno del 2010. Il 25 giugno 2010 l’accordo è stato infine parafato dalla Commissione e dalla Repubblica delle Filippine.

6.        Di conseguenza, la Commissione ha adottato, il 6 settembre 2010, una proposta di decisione del Consiglio relativa alla firma di un accordo quadro di partenariato e cooperazione tra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica delle Filippine, dall’altra (4), proposta all’epoca fondata sugli articoli 207 TFUE e 209 TFUE in combinato disposto con l’articolo 218, paragrafo 5, TFUE.

7.        In seguito ad un accordo raggiunto il 28 gennaio 2011 in seno al Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) (5), intervenuto successivamente al parere del servizio giuridico del Consiglio, quest’ultimo ha adottato, all’unanimità, la decisione impugnata basandola non soltanto sul fondamento degli articoli 207 TFUE e 209 TFUE, relativi al commercio e allo sviluppo, ma, altresì, degli articoli 91 TFUE e 100 TFUE, relativi ai trasporti, 79, paragrafo 3, TFUE, relativo alla riammissione dei cittadini di Stati terzi, e 191, paragrafo 4, TFUE, relativo all’ambiente, il tutto in combinato disposto con l’articolo 218, paragrafo 5, TFUE (6).

8.        La Commissione, ritenendo che l’APC non contenesse obblighi eccedenti l’obiettivo legato al commercio e alla cooperazione allo sviluppo, ha considerato non necessaria l’aggiunta, tra le basi giuridiche della decisione impugnata, degli articoli 79, paragrafo 1, TFUE, 91 TFUE, 100 TFUE e 191, paragrafo 4, TFUE e ha proposto, il 6 agosto 2012, il presente ricorso sul fondamento dell’articolo 263 TFUE.

IV – Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

9.        La Commissione chiede che la Corte voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        mantenere, tuttavia, gli effetti della decisione e

–        condannare il Consiglio alle spese.

10.      Il Consiglio chiede che la Corte voglia:

–        respingere il ricorso e

–        condannare la Commissione alle spese.

11.      Con ordinanze del 29 novembre, 18 e 20 dicembre 2012 e del 25 gennaio 2013, il presidente della Corte ha ammesso l’intervento a sostegno delle conclusioni del Consiglio, rispettivamente, dell’Irlanda, del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, della Repubblica federale di Germania, della Repubblica ceca, della Repubblica ellenica e della Repubblica d’Austria.

12.      La Commissione europea, il Consiglio, la Repubblica federale di Germania, l’Irlanda, la Repubblica ellenica e il Regno Unito sono stati sentiti all’udienza tenutasi innanzi alla Corte il 22 ottobre 2013.

V –    Analisi

A –    Argomenti delle parti

13.      A sostegno del ricorso, la Commissione deduce un unico motivo secondo cui il Consiglio, aggiungendo alla decisione impugnata le basi giuridiche contestate relative ai trasporti, all’ambiente e alla riammissione dei cittadini di paesi terzi, ha violato le disposizioni dei Trattati e la giurisprudenza della Corte per quanto attiene alla scelta della base giuridica.

14.      La Commissione ritiene che, benché l’APC riguardi una moltitudine di settori, esso persegue un unico obiettivo consistente nel realizzare la cooperazione allo sviluppo prevista all’articolo 209 TFUE. Pertanto, l’APC deve essere qualificato come accordo di cooperazione allo sviluppo conformemente alla sentenza Portogallo/Consiglio (7).

15.      A sostegno della propria tesi, la Commissione fa valere, in primo luogo, che i tre settori d’azione contestati fanno parte dei settori ricompresi sia nel consenso europeo in materia di sviluppo (8), sia nello strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (9). In secondo luogo, la Commissione procede dimostrando, settore per settore, che l’APC non contiene, in realtà, obblighi di portata tale da costituire obiettivi distinti da quelli della cooperazione allo sviluppo. Per quanto riguarda i trasporti, la ricorrente sostiene che l’articolo 38 dell’APC comporterebbe semplicemente un impegno generale a cooperare. Essa compie la stessa constatazione con riferimento all’articolo 34 dell’APC e alle prescrizioni in materia ambientale in esso contenute, in quanto si sarebbe in presenza soltanto di principi generali, linee direttrici e altre dichiarazioni d’intenti. Peraltro, il nesso tra la cooperazione allo sviluppo e lo sviluppo sostenibile sarebbe stato riaffermato in occasione del documento finale della Conferenza di Rio+20. Inoltre, la Commissione ritiene che l’articolo 26, paragrafi 3 e 4, dell’APC non abbia come effetto quello di trasformare l’APC in un accordo di riammissione. La riammissione sarebbe, invece, trattata nell’APC come uno degli aspetti della cooperazione allo sviluppo, e la lotta all’immigrazione clandestina costituisce un obiettivo rientrante in detta cooperazione. In ogni caso, l’articolo 26, paragrafi 3 e 4, dell’APC altro non sarebbe se non una dichiarazione dell’intento di concludere, in futuro, un accordo di riammissione e si limiterebbe a riprodurre alcuni principi di base del diritto internazionale generale, mentre invece gli accordi di riammissione (10) conclusi dall’Unione andrebbero ben oltre, concretizzando i summenzionati principi ed esponendo dettagliatamente le norme relative alla procedura di riammissione, al campo di applicazione, ai mezzi di prova, ecc. In fin dei conti, detto articolo 26 sarebbe una disposizione atta ad estendere la cooperazione analogamente all’estensione realizzata dall’articolo 49 dell’APC, senza modificare per questo la natura dell’accordo in questione (11).

16.      Infine, la Commissione ha espresso le proprie preoccupazioni per quanto riguarda gli effetti giuridici indesiderati che deriverebbero dall’aggiunta illegittima dell’articolo 79, paragrafo 3, TFUE, alle basi giuridiche della decisione impugnata. L’inserimento di tale articolo comporterebbe l’applicazione dei protocolli n. 21 e n. 22 e, pertanto, l’incompatibilità delle procedure che disciplinano l’adozione della decisione. Tale aggiunta sarebbe, così, fonte di incertezza giuridica, sia sul piano interno, per quanto riguarda il grado di esercizio delle competenze dell’Unione stessa, ai sensi degli articoli 3, paragrafo 2, TFUE e 4, paragrafo 2, TFUE, l’ampiezza delle rispettive prerogative delle istituzioni dell’Unione o ancora le conseguenze procedurali per l’adozione della decisione controversa, sia sul piano esterno, tenuto conto dell’applicabilità a geometria variabile dell’APC, poco comprensibile per lo Stato terzo contraente.

17.      Nell’intento di ottenere, da parte della Corte, delucidazioni relativamente a tali diversi aspetti, al fine di dedurne le conseguenze che ne discenderanno sulla propria prassi abituale in materia, la Commissione chiede nondimeno alla Corte, nel caso in cui dovesse accogliere il ricorso, di mantenere gli effetti della decisione impugnata.

18.      Al pari, in sostanza, di tutte le parti intervenienti a suo sostegno, il Consiglio, pur concordando con l’opinione della Commissione sullo stato della giurisprudenza esistente in materia di scelta della base giuridica, contesta, da parte sua, la qualificazione dell’APC come accordo di cooperazione allo sviluppo, ai sensi della citata giurisprudenza Portogallo/Consiglio. Le relazioni esterne tra l’Unione, i suoi Stati membri e gli Stati terzi assumono ormai la forma di una cooperazione e di un partenariato globali che non sarebbero riducibili al semplice aspetto «cooperazione allo sviluppo». Tale cooperazione e tale partenariato sarebbero talmente globali che risulterebbe impossibile distinguere, all’interno degli accordi che li concretizzano, un settore principale prevalente su uno o più settori accessori. In tale contesto, non è applicabile in questo caso la citata sentenza Portogallo/Consiglio, quanto piuttosto la giurisprudenza classica della Corte (12). Occorre quindi esaminare la natura degli impegni assunti. Solamente un impegno concreto o sostanziale necessiterebbe dell’aggiunta di una base giuridica corrispondente.

19.      Per quanto riguarda l’APC, sia il preambolo sia l’articolo 2 dimostrerebbero che la cooperazione allo sviluppo non è che un aspetto, tra gli altri, della cooperazione globale istituita dall’APC. L’APC, infatti, non privilegerebbe nessun settore particolare. Inoltre, l’articolo 38 dell’APC conterrebbe degli obblighi specifici in materia di trasporti che andrebbero ben oltre un semplice impegno a cooperare e che sarebbero di una portata non paragonabile alle disposizioni riguardanti i trasporti contenute nell’accordo di cooperazione tra la Comunità europea e la Repubblica dell’India sulla compartecipazione e sullo sviluppo (in prosieguo: l’ «accordo con la Repubblica dell’India») (13) sul quale verteva la citata sentenza Portogallo/Consiglio. Essi non sarebbero neppure ricollegabili in via esclusiva all’obiettivo di sviluppo della Repubblica delle Filippine. L’inserimento di una specifica base giuridica per i trasporti sarebbe dunque necessario in conformità ai principi elaborati dalla Corte (14).

20.      In materia di riammissione, il Consiglio sostiene che la necessità di inserire l’articolo 79, paragrafo 3, TFUE deriva dal fatto che l’articolo 26, paragrafi 3 e 4, dell’APC conterrebbe dei chiari impegni giuridici e che, anche se dovesse trattarsi semplicemente di ribadire principi generali già stabiliti dal diritto internazionale, la presenza di tali articoli in un accordo bilaterale comporterebbe delle conseguenze giuridiche dirette necessariamente più rilevanti. Inoltre, l’impegno contenuto nell’articolo 26, paragrafo 4, dell’APC potrebbe essere qualificato come obbligo di mezzi, il quale costituirebbe, di fatto, una leva importante affinché l’Unione ottenga, nel settore in questione, dei risultati dallo Stato terzo contraente. Allo stesso modo, il fatto che l’articolo 34, paragrafo 5, dell’APC preveda che le parti contraenti possano reciprocamente accedere ai programmi che le medesime hanno stabilito in materia ambientale giustificherebbe l’aggiunta dell’articolo 191, paragrafo 4, TFUE alle basi giuridiche della decisione impugnata poiché tale disposizione prevede proprio in quest’ambito la cooperazione con gli Stati terzi. L’articolo 34, paragrafo 2, dell’APC conterrebbe del pari un chiaro obbligo il cui rispetto potrebbe essere giuridicamente imposto. A differenza dell’accordo con la Repubblica dell’India, al centro della citata sentenza Portogallo/Consiglio, l’APC conterrebbe dunque degli impegni concreti con riferimento alle azioni da intraprendere per la protezione dell’ambiente.

21.      Il Consiglio precisa di non aver ritenuto utile inserire ulteriori basi giuridiche non avendo individuato, nelle altre disposizioni dell’APC, settori nei quali fossero enunciati degli impegni concreti, sostanziali. Quanto ai pretesi effetti giuridici indesiderati, il Consiglio ricorda che, secondo un principio giurisprudenziale consolidato, non sono le procedure a definire il fondamento normativo di un atto, ma è il fondamento normativo di un atto che determina le procedure da seguire per la sua adozione (15). In ogni caso, l’APC conterrebbe, nel preambolo, un riferimento alla specifica situazione degli Stati membri ai quali si applicano i protocolli n. 21 e n. 22 ed è quindi chiaro che se tali Stati membri non desiderano prendere parte, in quanto tali, agli obblighi internazionali previsti dall’articolo 79, paragrafo 3, TFUE, possono comunque farlo separatamente in qualità di parti contraenti distinte dell’accordo misto. In altri termini, l’articolo 26, paragrafo 3, dell’APC non si applicherà agli Stati membri oggetto dei protocolli n. 21 e n. 22, ma potrebbe essere reso applicabile a tali Stati in virtù della ratifica da parte dei medesimi dell’accordo, in qualità di parti contraenti. Per questo stesso motivo, l’adozione di decisioni separate non sarebbe necessaria. Infine, la giurisprudenza della Corte in materia di compatibilità delle basi giuridiche si rivelerebbe ultimamente piuttosto flessibile (16). Infine, il Consiglio aderisce alla posizione della Commissione in merito alla necessità di salvaguardare gli effetti della decisione impugnata nell’ipotesi di annullamento della medesima.

22.      Nella memoria di replica la Commissione afferma che la citata giurisprudenza Portogallo/Consiglio trova applicazione anche per quanto riguarda gli accordi di partenariato e cooperazione e sostiene che le disposizioni e gli obiettivi dell’APC e dell’accordo con la Repubblica dell’India sono paragonabili. Se è vero che, conformemente all’articolo 21 TUE, gli accordi di cooperazione allo sviluppo devono perseguire gli obiettivi ivi fissati, resta il fatto che la finalità preponderante di tali accordi è la cooperazione allo sviluppo, la quale non è riducibile alla sola concessione di aiuti finanziari ai paesi in via di sviluppo. L’APC è effettivamente un accordo avente come finalità prevalente la cooperazione allo sviluppo, come dimostra in particolare il titolo VI del medesimo. L’obiettivo dello sviluppo emerge, altresì, dall’articolo 26. Peraltro, i documenti di programmazione pluriennali per le Filippine (17), adottati sulla base del regolamento n. 1905/2006, confermano il carattere multidimensionale della cooperazione allo sviluppo condotta con questo Stato. La Commissione sottolinea l’incoerenza dell’analisi del Consiglio, il quale non ha ritenuto utile l’inserimento di ulteriori basi giuridiche. Mostra, inoltre, il proprio disaccordo con la tesi secondo cui, poiché gli Stati membri sono anche parti all’APC, il loro comune accordo sarebbe stato necessario per l’adozione della decisione impugnata, nella misura in cui tale decisione è stata adottata a maggioranza qualificata e che una procedura di adozione di comune accordo è del tutto estranea ai trattati. Da ultimo, la Commissione nega la pertinenza della citata sentenza del 3 settembre 2009, Parlamento/Consiglio che, a suo avviso, non riguardava procedure incompatibili.

23.      Nella controreplica, il Consiglio insiste sui profondi cambiamenti che hanno interessato la natura degli accordi attualmente negoziati dall’Unione con i paesi terzi, in quanto tali accordi realizzano ormai una maggiore cooperazione che mira ad un’effettiva gestione dei vari settori interessati. Persuaso che tali accordi siano di natura diversa da quello che ha dato origine alla citata sentenza Portogallo/Consiglio invita, quindi, la Corte ad adottare una diversa posizione ritenendo che ogni settore debba essere considerato in maniera indipendente rispetto all’esistenza di un programma di aiuto allo sviluppo. Sostiene che gli obblighi racchiusi nell’APC perdurerebbero anche una volta raggiunti gli obiettivi legati allo sviluppo. Nessuna cessazione dell’accordo sarebbe prevista a partire dal momento in cui la Repubblica delle Filippine si sarà conformata alle regole e norme contenute nell’APC. Nello stesso ordine di idee, il Consiglio sostiene che i considerando e le disposizioni relativi al rispetto dei diritti dell’uomo, dei principi democratici, dello Stato di diritto e alla possibile sospensione dell’accordo in caso di mancato rispetto dei suddetti diritti e principi sarebbe un’ulteriore prova del fatto che l’APC non è un atto riducibile alla politica di cooperazione allo sviluppo. Nei tre settori controversi, il Consiglio sostiene che la forza degli impegni giuridici contenuti nell’APC richiede l’aggiunta delle corrispondenti basi giuridiche, mentre ciò non si verifica negli altri settori oggetto, a margine, dell’accordo. In ogni caso, non sarebbe possibile applicare alle disposizioni del titolo V TFUE la giurisprudenza relativa a elementi principali e accessori, salvo ignorare i protocolli n. 21 e n. 22.

B –    Stato della giurisprudenza pertinente e determinazione del criterio applicabile

24.      Le parti hanno ampiamente dibattuto in merito alla questione se il principio enunciato dalla Corte nella citata sentenza Portogallo/Consiglio trovasse applicazione in presenza di un accordo quale l’APC. Il Consiglio ha argomentato, in particolare, nel senso che tale giurisprudenza non dovrebbe essere applicata non essendo l’APC un accordo di cooperazione allo sviluppo.

25.      In via preliminare, intendo relativizzare l’opposizione del Consiglio in merito all’applicazione della citata sentenza Portogallo/Consiglio ai fini della determinazione della base giuridica della decisione impugnata (18). In effetti, a mio avviso, il principio giurisprudenziale espresso dalla Corte in tale sentenza costituisce solo una declinazione particolare, l’altra faccia della stessa medaglia, se così posso dire, medaglia che rappresenta le regole da seguire per determinare le basi giuridiche necessarie all’adozione di un atto dell’Unione.

26.      Le sentenze richiamate dal Consiglio sono quelle in cui la Corte ha ricordato che a) la scelta della base giuridica di un atto non dipende dal solo convincimento del suo autore, ma deve, all’opposto, fondarsi su elementi oggettivi suscettibili di sindacato giurisdizionale tra i quali figurano, in particolare, lo scopo e il contenuto dell’atto e b) quando l’esame di un atto dimostra che esso persegue una duplice finalità o che possiede una duplice componente e se una di queste è identificabile come principale o preponderante, mentre l’altra, invece, è solo accessoria, l’atto deve essere fondato su una sola base giuridica, quella della finalità preponderante, salvo il caso in cui venga accertato, eccezionalmente, che l’atto persegue contemporaneamente diversi obiettivi connessi inscindibilmente senza che uno sia subordinato e indiretto rispetto all’altro (19).

27.      Non credo che la Corte abbia detto nulla di diverso quando, con riferimento ad un accordo di cooperazione allo sviluppo, ha ritenuto che la presenza, in un tale accordo, di clausole riguardanti materie specifiche diverse non possa modificare la qualificazione dell’accordo, la quale deve essere compiuta tenendo presente l’obiettivo essenziale del medesimo, principale o preponderante per usare le parole utilizzate nella giurisprudenza citata dal Consiglio, e non già in funzione di clausole particolari, purché tali clausole non comportino, nelle materie specifiche considerate, obblighi di portata tale da costituire, in realtà, obbiettivi distinti, e quindi né subordinati, né indiretti, da quelli della cooperazione allo sviluppo (20).

28.      Pertanto, non ritengo che, contrariamente a quanto ha lasciato intendere il Consiglio, nel determinare la base giuridica di un atto si applichi un criterio diverso a seconda che ci si trovi nell’ambito della politica di cooperazione allo sviluppo o nell’ambito di un’altra politica.

29.      L’unica sfumatura, e avrò modo di ritornare su questo punto, consiste nel fatto che la cooperazione allo sviluppo beneficia di una definizione talmente ampia a livello dell’Unione che è forse ben più delicato dimostrare la sussistenza, accanto alla moltitudine di settori che essa può ricoprire, di uno o di alcuni obiettivi che siano allo stesso tempo distinti da quelli perseguiti dalla cooperazione allo sviluppo e inscindibili per l’atto in questione.

30.      Ciò precisato, e tenuto conto del fatto che la decisione impugnata ha ad oggetto l’autorizzazione alla firma dell’APC, è evidente che occorre esaminare tale decisione congiuntamente a quest’ultimo. Si tratta, quindi, di capire se l’APC costituisca, tenuto conto del contesto, dello scopo e del contenuto del medesimo, un accordo che ha come finalità preponderante la cooperazione allo sviluppo e che può avere solamente in via incidentale, secondariamente, implicazioni nei settori dei trasporti, dell’ambiente o della riammissione dei cittadini di paesi terzi, ovvero se l’APC sia un accordo che riguarda in maniera inscindibile, tanto la cooperazione allo sviluppo quanto i trasporti, l’ambiente e la riammissione.

C –    Genesi, contenuto e impianto sistematico dell’APC

31.      Non può non rilevarsi, anche se ciò non risulta decisivo (21), che, contrariamente all’accordo internazionale oggetto della citata sentenza Portogallo/Consiglio (22), il titolo dell’APC non contiene alcun riferimento allo sviluppo. L’impressione, a priori, è dunque quella della realizzazione di una cooperazione effettivamente globale, come sostiene il Consiglio, vale a dire non limitata, trattandosi di un accordo quadro di cooperazione e partenariato (23).

32.      Composto da 58 articoli, l’APC è suddiviso in otto titoli che riguardano rispettivamente la natura e l’ambito di applicazione, il dialogo politico e la cooperazione, il commercio e gli investimenti, la cooperazione in materia di giustizia e sicurezza, la cooperazione in materia di migrazione e lavoro marittimo, la cooperazione economica, la cooperazione allo sviluppo e in altri settori, il quadro istituzionale e, da ultimo, le disposizioni finali.

33.      Dall’esame del preambolo emergono due grandi tematiche accomunate dall’intento di conservare il carattere inclusivo delle relazioni reciproche delle parti contraenti (24) e del rispetto dei principi democratici e dei diritti umani (25). Da un lato, le parti esprimono l’intenzione di ricavare dei benefici comuni dall’APC (26) mettendo in risalto i settori di reciproco interesse e i valori comuni (27). Ciò si traduce, in particolare, in preoccupazioni connesse alla promozione del progresso economico e sociale a beneficio delle rispettive popolazioni e allo sviluppo economico e sociale sostenibile, all’eliminazione della povertà e al conseguimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio (28), alla promozione dello sviluppo sostenibile e della lotta contro il cambiamento climatico, ad una maggiore cooperazione nel campo della giustizia e della sicurezza, alla cooperazione a favore della migrazione e dello sviluppo, alla applicazione delle norme sociali minime e al commercio (29). Dall’altro lato, emerge dal preambolo che le parti contraenti si sono focalizzate, altresì, su settori aventi una portata socio‑economica meno ovvia, ma che riecheggiano un certo numero di impegni al fine di garantire la pace e la sicurezza internazionali. In questo senso, appare come una preoccupazione costante per le parti la lotta al terrorismo, al traffico di stupefacenti, alle violazioni gravi del diritto umanitario internazionale, alle armi di distruzione di massa e al commercio illegale di armi leggere e di piccolo calibro (30).

34.      Questo insieme di preoccupazioni trova conferma nel testo degli articoli 1 e 2 dell’APC dedicati, rispettivamente, ai principi generali e alle finalità della cooperazione. Per quanto riguarda i principi generali, l’impegno a promuovere lo sviluppo sostenibile, ad affrontare le sfide connesse ai cambiamenti climatici e a contribuire al conseguimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio è enunciato poco dopo il riferimento ai principi democratici e ai diritti umani quale elemento essenziale dell’APC (31). A sua volta, l’articolo 2 elenca non meno di undici categorie di obiettivi perseguiti dalla cooperazione e dal partenariato istituiti dall’APC, le quali coprono «tutti i settori di reciproco interesse» (32) in cui le parti si impegnano ad un dialogo approfondito e all’intensificazione della promozione della cooperazione. Il termine «sviluppo» compare soltanto al punto h), che costituisce una sorta di disposizione «onnicomprensiva» di «tutti gli altri settori di reciproco interesse» fino a quel momento non menzionati nel testo. Il punto h) indica non meno di 22 settori diversi, che vanno dalla cooperazione allo sviluppo alle statistiche passando per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, il dialogo interculturale e interconfessionale, nonché la pesca.

35.      L’articolo 29 dell’APC contenuto nel titolo VI dedicato all’economia, alla cooperazione allo sviluppo e agli altri settori è dedicato esclusivamente alla cooperazione allo sviluppo. Ai sensi di tale articolo, detta cooperazione ha come scopo principale di «favorire lo sviluppo sostenibile onde contribuire alla riduzione della povertà e al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo concordati a livello internazionale» (33). Le parti si impegnano ad instaurare un dialogo costante su questo tema che verta, in particolare, sulla promozione dello sviluppo umano e sociale, la promozione di una crescita economica inclusiva e sostenuta, la promozione della sostenibilità ambientale, il potenziamento delle capacità per favorire una maggiore integrazione nell’economia mondiale e nel sistema commerciale internazionale, la promozione della riforma del settore pubblico o, ancora, l’adeguamento ai principi internazionali dell’erogazione e dell’efficacia degli aiuti (34).

36.      Accanto a questa disposizione, dedicata specificamente alla cooperazione allo sviluppo, alcuni articoli si riferiscono, isolatamente, al concetto di sviluppo, cosicché, per certi settori dell’APC, il testo stabilisce in via incidentale un nesso tra i progressi da realizzare o gli obiettivi da raggiungere per mezzo del partenariato e lo sviluppo (35).

37.      Lo scopo dello sviluppo dello Stato terzo contraente non è, quindi, compiutamente esplicitato nell’APC. Per convincersene, è sufficiente un rapido confronto con l’accordo con la Repubblica dell’India (36). Non ci si potrebbe, tuttavia, limitare a questa semplice costatazione per giungere alla conclusione che la cooperazione allo sviluppo non è altro che una preoccupazione secondaria dell’APC. Risulta necessario, al contrario, chiedersi se l’APC rifletta le nuove modalità attraverso cui l’Unione esprime oramai la propria politica di cooperazione allo sviluppo.

D –    Cooperazione allo sviluppo nel diritto dell’Unione e qualificazione dell’APC

38.      Poiché la Corte non ha ancora avuto modo di pronunciarsi sulla cooperazione allo sviluppo nel contesto successivo al Trattato di Lisbona, la giurisprudenza della Corte su questo tema è legata agli articoli da 177 a 181 CE e alle precedenti versioni dei medesimi. Ai sensi di tali articoli, la cooperazione allo sviluppo era definita come volta «non solo allo sviluppo economico e sociale sostenibile di tali paesi, al loro inserimento armonioso e progressivo nell’economia mondiale e alla lotta contro la povertà, ma anche allo sviluppo e al consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, nonché al rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, rispettando nel contempo gli impegni assunti nell’ambito delle Nazioni Unite e delle altre organizzazioni internazionali» (37). La Corte ha, per di più, preso atto della svolta avviata all’inizio degli anni 2000, volta a rafforzare il carattere multidimensionale della politica di cooperazione allo sviluppo, annunciata da una comunicazione della Commissione (38), poi confermata dal consenso europeo del 2006 e dal regolamento n. 1905/2006 (39). La Corte ha così dichiarato che «se non si devono limitare gli obiettivi dell’attuale politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo alle misure direttamente intese alla lotta contro la povertà, occorre nondimeno, perché una misura rientri in tale politica, che essa contribuisca al perseguimento degli obiettivi di sviluppo economico e sociale di quest’ultima» (40). Inoltre, la Corte ha dichiarato che «perché la Comunità possa adottare una misura concreta (…) nell’ambito della sua politica di cooperazione allo sviluppo, tale misura deve rientrare, sia per finalità sia per contenuto, nell’ambito di applicazione delle competenze che il Trattato CE le attribuisce in materia. Non rientra in tale ambito una misura che, pur contribuendo allo sviluppo economico e sociale di paesi in via di sviluppo, abbia la finalità primaria di attuare [un’altra politica] (41)».

39.      L’articolo 208 TFUE prevede, che «[l]a politica dell’Unione nel settore della cooperazione allo sviluppo è condotta nel quadro dei principi e obiettivi dell’azione esterna dell’Unione» e precisa che il suo obiettivo principale «è la riduzione e, a termine, l’eliminazione della povertà». L’Unione deve, inoltre, tener «conto degli obiettivi della cooperazione allo sviluppo nell’attuazione delle politiche che possono avere incidenze sui paesi in via di sviluppo». Visto il rinvio ai principi e agli obiettivi dell’azione esterna dell’Unione, la lettura dell’articolo 208 TFUE deve essere completata da quella dell’articolo 21 TUE. A mio avviso, e le parti non l’hanno peraltro contestato, la giurisprudenza vertente su dette disposizioni conserva dunque la propria pertinenza per l’interpretazione dell’articolo 208 TFUE, sebbene quest’ultimo si limiti a evocare la sola riduzione o eliminazione della povertà.

40.      Riconosco volentieri, al pari di quanto ha sostenuto la Commissione, che la cooperazione allo sviluppo, così come definita oggi dal diritto dell’Unione, costituisce una politica multidimensionale. Ai sensi del consenso europeo per lo sviluppo (42), l’obiettivo centrale della cooperazione allo sviluppo è l’eliminazione della povertà nel contesto dello sviluppo sostenibile (43), il quale include «il buon governo, i diritti umani e gli aspetti politici, economici, sociali e ambientali» (44). La posizione del Consiglio è, a questo riguardo, un po’ sorprendente allorché sostiene che la presenza nell’APC di considerazioni relative ai diritti umani e ai principi democratici, così come allo Stato di diritto costituirebbe una prova supplementare a sostegno del fatto che l’APC non può essere ridotto ad un accordo di cooperazione allo sviluppo. In effetti, lo stesso Consiglio ha evidenziato il nesso tra lo sviluppo sostenibile e detti diritti e principi nel consenso europeo per lo sviluppo di cui è, almeno parzialmente, l’autore (45), e ciò nonostante l’oggetto di detto consenso fosse quello di offrire «per la prima volta una visione comune che guida l’azione dell’UE, a livello di Stati membri e di Comunità, nella cooperazione allo sviluppo» (46).

41.      Sempre in occasione di tale consenso, l’Unione si è impegnata «a promuovere la coerenza [delle politiche] in materia di sviluppo, basata sulla garanzia [che essa] terrà conto degli obiettivi di cooperazione allo sviluppo (…) e che queste politiche sosterranno gli obiettivi di sviluppo» (47). Il carattere profondamente multidimensionale è messo in evidenza dal fatto che l’eliminazione della povertà richiede, secondo il consenso europeo, che siano incluse «tutta una serie di attività riguardanti lo sviluppo, tra cui il governo democratico e le riforme politiche, economiche e sociali, la prevenzione dei conflitti, la giustizia sociale, la promozione dei diritti umani e l’accesso equo ai pubblici servizi, l’istruzione, la cultura, la sanità (…) l’ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali, la crescita economica favorevole ai poveri, il commercio e lo sviluppo, la migrazione e lo sviluppo, la sicurezza alimentare, i diritti dei bambini, la parità di genere e la promozione della coesione sociale e del lavoro dignitoso» (48).

42.      Pertanto, alla luce della giurisprudenza già richiamata supra nonché degli elementi contenuti nel consenso europeo in materia di sviluppo e malgrado il carattere assai ampio della cooperazione attuata e la mancanza di una più marcata esplicitazione degli obiettivi di sviluppo dello Stato terzo contraente, l’APC mi sembra effettivamente costituito da una componente significativa connessa alla politica di cooperazione allo sviluppo condotta dall’Unione. La circostanza che l’APC non contenga diposizioni relative alla sua cessazione a partire dal momento in cui la Repubblica delle Filippine si sarà conformata alle regole e norme previste nell’APC non incide a questo riguardo (49).

43.      Ai sensi del consenso europeo in materia di sviluppo, i settori di azione dell’Unione in materia sono definiti in modo talmente ampio che una connessione con lo sviluppo potrebbe essere individuata, in ogni caso e qualunque fosse il settore interessato (50). Come ha giustamente sostenuto il Consiglio, la prassi dell’Unione nelle relazioni esterne con i paesi che possiedono un livello di sviluppo meno avanzato si è effettivamente evoluta in modo considerevole e si è passati da un sistema basilare di assistenzialismo all’attuazione di accordi completi e approfonditi nei quali, allorquando i benefici sono descritti come reciproci, non si è più in presenza di una formula diplomatica e la relazione appare molto meno asimmetrica e, pertanto, più equilibrata. È, tuttavia, per questo motivo che, se pure posso ammettere il carattere multidimensionale della cooperazione allo sviluppo, nutro, invece, maggiori difficoltà nel considerare sufficiente la sola base giuridica relativa alla cooperazione allo sviluppo allorquando settori così numerosi e diversi rientrano in uno stesso accordo. Invito, a questo riguardo, a una certa prudenza, proprio perché la determinazione della base giuridica appropriata «riveste un’importanza costituzionale» (51) per l’Unione.

44.      Tuttavia, un accordo come l’APC può certamente riguardare una serie di settori diversi e, al contempo, restare ricompreso nell’ambito dei soli obiettivi perseguiti dalla cooperazione allo sviluppo fintanto che le disposizioni riguardanti tali materie specifiche diverse mirino esclusivamente a fissare il quadro della cooperazione e si limitino a determinare i settori che sono oggetto della cooperazione e a precisarne determinate azioni o determinati aspetti, senza mai che dette disposizioni contengano una regolamentazione relativa alle modalità concrete di attuazione della cooperazione all’interno di ciascun settore specifico preso in considerazione (52).

45.      Alla luce di queste precisazioni, devo ora verificare se, tra i numerosi e svariati settori dell’APC, le disposizioni dedicate ai trasporti, all’ambiente e alla riammissione dei cittadini dei paesi terzi contribuiscano, ai sensi della giurisprudenza della Corte, «agli obiettivi di sviluppo economico e sociale» della politica di cooperazione allo sviluppo e abbiano, per oggetto principale, l’applicazione di questa politica o se, al contrario, contengano una disciplina delle modalità concrete di applicazione della cooperazione in questi settori specifici in modo da costituire, in realtà, degli obiettivi distinti che non sono né subordinati, né indiretti rispetto agli obiettivi della cooperazione allo sviluppo.

E –    Sull’aggiunta delle basi giuridiche relative ai trasporti

46.      All’articolo 2, lettera h), dell’APC e in altri settori di interesse reciproco citati nell’APC figurano i trasporti. L’articolo 38, paragrafo 1, dell’APC ribadisce, quanto ad esso, la volontà delle parti di cooperare nei settori connessi alla politica dei trasporti, «nell’intento di migliorare le possibilità d’investimento e la circolazione delle merci e dei passeggeri, promuovere la sicurezza dei trasporti marittimi e aerei, gestire l’impatto ambientale dei trasporti e rendere più efficienti i sistemi di trasporto». I settori promossi nell’ambito della cooperazione riguardano lo scambio di informazioni sulle rispettive normative relative a tutte le rotte di trasporto, gli scambi di opinioni sul sistema di navigazione satellitare europeo, il dialogo sul trasporto aereo e il proseguimento del dialogo che dovrebbe favorire la convergenza normativa, il dialogo sui trasporti marittimi (attraverso gli scambi di informazioni relative alle normative e la promozione di un accesso illimitato ai mercati marittimi internazionali, la gestione efficace dei porti e la promozione della cooperazione per gli aspetti di comune interesse in materia) e, infine, un dialogo sulla effettiva applicazione degli standard in materia di sicurezza dei trasporti e di prevenzione dell’inquinamento.

47.      È pur vero che, come l’ha precisato il Consiglio, l’APC è, su questo aspetto, più approfondito rispetto all’accordo con la Repubblica dell’India su cui verte la citata causa Portogallo/Consiglio (53). Tuttavia, nessuna conclusione giuridica può essere dedotta da questo semplice dato di fatto senza esaminare il contenuto dell’articolo 38 dell’APC.

48.      Orbene, anzitutto, rilevo che il settore dei trasporti costituisce una delle dimensioni della politica di cooperazione allo sviluppo quale definita dal consenso europeo (54) e che i provvedimenti adottati in tale settore ben possono essere ricondotti a quest’ultima. L’articolo 38 dell’APC è redatto in modo tale da far sì che possa essere stabilito con facilità un collegamento con gli obiettivi perseguiti dalla cooperazione allo sviluppo. La cooperazione che esso realizza riveste una duplice dimensione, relativa alla sicurezza e all’ambiente. Si può agevolmente ammettere che la messa in sicurezza dei trasporti dello Stato terzo contraente attraverso la sua accessione agli standard minimi internazionali dovrebbe contribuire tanto alla stabilizzazione e alla sostenibilità della sua rete di trasporti, quanto all’inserimento armonioso e progressivo nell’economia mondiale di questo settore.

49.      Inoltre, diversamente da quanto sostenuto dal Consiglio, sulla base della lettura di tale articolo 38 dell’APC, non ritengo che esso preveda le modalità concrete di realizzazione della cooperazione in questo settore, né che consenta di identificare degli obblighi positivi e concreti, a carico delle parti, che andrebbero al di là del semplice impegno generale a cooperare nel settore dei trasporti. Non individuo obblighi specifici rispetto a quelli contenuti nel resto dell’accordo, fatti salvi i settori dell’ambiente e della riammissione dei cittadini di paesi terzi, sui quali mi soffermerò in seguito. L’articolo 38 dell’APC, ben lungi dal raggiungere il livello di dettaglio dell’articolo 91 TFUE, per esempio, si limita così a prevedere degli scambi di informazioni o di punti di vista e un dialogo fra le parti. L’articolo 38 dell’APC non mi sembra nemmeno paragonabile alle disposizioni oggetto del parere 1/08, invocato dal Consiglio, riguardo alle quali la Corte ha ritenuto necessaria l’aggiunta della base giuridica relativa ai trasporti (55).

50.      Pertanto, le preoccupazioni espresse in tale articolo, senza implicare obblighi giuridici specifici, né costituire un obiettivo distinto, si rivelano coerenti con gli obiettivi della politica di cooperazione allo sviluppo e completamente ricollegabili a quest’ultima (56). È quindi d’uopo concludere su questo punto che, conformemente a quanto sostenuto dalla Commissione, il Consiglio ha erroneamente inserito gli articoli 91 TFUE e 100 TFUE relativi ai trasporti come basi giuridiche della decisione controversa.

F –    Sull’aggiunta della base giuridica relativa all’ambiente

51.      L’articolo 34 dell’APC è dedicato all’ambiente e alle risorse naturali. Questo settore della cooperazione è presentato come un settore d’interesse reciproco, ai sensi dell’articolo 2, lettera h), dell’APC. Occorre osservare che anche altre disposizioni dell’accordo evocano tematiche connesse all’ambiente(57).

52.      La cooperazione deve promuovere, ex articolo 34, paragrafo 1, dell’APC, la salvaguardia e il miglioramento dell’ambiente ai fini dello sviluppo sostenibile. Il paragrafo 2 prende atto della necessità di preservare e gestire in modo sostenibile le risorse naturali e la diversità biologica. Ai sensi del paragrafo 3, le parti convengono che le preoccupazioni legate all’ambiente devono essere integrate in tutti i settori della cooperazione. Da ultimo, il paragrafo 4 elenca gli ambiti nei quali la cooperazione deve essere perseguita, o addirittura rafforzata, all’interno dei programmi regionali. Ciò avviene nell’ambito della sensibilizzazione alle questioni ecologiche e della partecipazione delle popolazioni indigene in materia di sviluppo sostenibile, dello sviluppo della capacità in termini di adeguamento al cambiamento climatico, dello sviluppo delle capacità di partecipare agli accordi multilaterali e la loro attuazione, della promozione delle tecnologie, prodotti e servizi rispettosi dell’ambiente, del miglioramento delle risorse naturali, della gestione dei parchi nazionali e delle zone protette, della prevenzione dei movimenti transfrontalieri illeciti di rifiuti pericolosi, della tutela dell’ambiente marino, costiero, terrestre, della promozione dello sviluppo delle capacità di gestione delle catastrofi e, infine, della promozione di modelli di consumo e di produzione sostenibili. Si prevede inoltre che le parti favoriscano l’accesso reciproco ai programmi realizzati (58).

53.      Il Consiglio ritiene che l’articolo 34 dell’APC sia una disposizione particolareggiata che non avrebbe equivalenti nell’accordo con la Repubblica dell’India oggetto della citata causa Portogallo/Consiglio. Tale articolo prevedrebbe, quanto meno nel suo paragrafo 2, un chiaro obbligo il cui rispetto può essere giuridicamente imposto. L’accesso ai programmi e alle azioni dell’Unione rientrerebbe nella cooperazione ambientale condotta con i paesi terzi e prevista all’articolo 191, paragrafo 4, TFUE.

54.      Al pari della Commissione, ho difficoltà a lasciarmi persuadere dalla posizione del Consiglio. Da un lato, l’articolo 34 dell’APC è esplicitamente previsto quale disposizione trasversale in quanto le preoccupazioni ambientali devono «essere prese in considerazione in tutte le attività intraprese dalle parti a norma del presente accordo» (59). Dall’altro lato, analogamente a quanto avviene per il settore dei trasporti, i temi sui quali dovrà svolgersi la cooperazione sono semplicemente elencati. Diversamente dalla tesi del Consiglio, non ritengo che l’articolo 34, paragrafo 2, dell’APC sancisca un obbligo chiaro. Il Consiglio sostiene che tale disposizione potrebbe essere fatta valere in giudizio e da questa semplice circostanza trae la giustificazione dell’inserimento della corrispondente base giuridica.

55.      Da parte mia, mi limiterò a ricordare che le disposizioni contenute in un accordo internazionale sono dotate di una forza giuridica innegabile e che il rispetto degli obblighi internazionali può, chiaramente, essere ottenuto azionando i meccanismi appropriati. Il criterio della possibilità di far valere in giudizio gli obblighi di cui trattasi internazionalmente non mi pare, in ogni caso, né pertinente, né sufficiente nel decidere sulle basi giuridiche di un atto dell’Unione. Inoltre, tale paragrafo 2 è formulato in termini estremamente generali, che sono in principio espressione di semplici dichiarazioni di intenti. A questo proposito, non ritengo che il contenuto dell’articolo 34 dell’APC sia così distante da quello dell’articolo 17 dell’accordo con la Repubblica dell’India oggetto della citata causa Portogallo/Consiglio (60). Al pari della Commissione, riscontro il collegamento naturale, peraltro richiamato dall’articolo 34, paragrafo 1, dell’APC, tra, da una parte, la promozione e la salvaguardia dell’ambiente e, dall’altra, lo sviluppo sostenibile (61). L’eliminazione della povertà, obiettivo ultimo della cooperazione allo sviluppo ai sensi dell’articolo 208 TFUE, presenta anche una «dimension[e] ambientale» (62). Infine, l’articolo 34, paragrafo 5, il quale recita che le parti «favoriscono l’accesso reciproco ai loro programmi», non contiene un obbligo giuridico chiaramente identificabile come scindibile dalla cooperazione allo sviluppo.

56.      È quindi d’uopo concludere su questo punto affermando che il Consiglio ha, a torto, inserito l’articolo 191, paragrafo 4, TFUE, relativo all’ambiente, come base giuridica della decisione controversa, dal momento che l’articolo 34 dell’APC non ha come effetto quello di rendere l’ambiente una componente essenziale dell’accordo in questione.

G –    Sull’aggiunta della base giuridica relativa alla riammissione dei cittadini di paesi terzi

57.      Preciso innanzitutto che le difficoltà giuridiche e, in particolare, procedurali, reali o supposte, invocate dalla Commissione non sono, in ogni caso, tali da influenzare la decisione della Corte quanto alla determinazione della base giuridica della decisione impugnata. In effetti, da una costante giurisprudenza emerge che non sono le procedure a definire il fondamento normativo di un atto, ma è il fondamento normativo di un atto che determina le procedure da seguire per la sua adozione (63).

58.      Al fine di verificare se l’inserimento di una delle disposizione del titolo V del Trattato FUE implicanti, quindi, l’applicazione dei protocolli n. 21 e n. 22 sarebbe stata necessaria (64), è opportuno, in un primo momento, analizzare il contenuto preciso dell’APC sulle tematiche della migrazione e della riammissione. Procederò, in un secondo momento, a fare il punto sui rapporti tra queste tematiche e la cooperazione allo sviluppo per verificare se possa essere stabilita una connessione tra, da una parte, gli obiettivi perseguiti dalla cooperazione allo sviluppo e, dall’altra parte, l’articolo 26 dell’APC. In seguito, mostrerò che l’inserimento di clausole di riammissione rientra in una prassi del passato essenzialmente funzionale agli interessi dell’Unione e metterò in luce le differenze sostanziali tra le previsioni dell’articolo 26 dell’APC e gli accordi di riammissione conclusi recentemente dall’Unione. Infine, riesaminerò brevemente la questione dell’effetto utile dei protocolli n. 21 e n. 22.

1.            Il contenuto dell’APC

59.      Da un lato, occorre ricordare che il preambolo dell’APC dispone che le disposizioni dell’accordo «che rientrano nell’ambito di applicazione della parte terza, titolo V, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea vincolano il Regno Unito e l’Irlanda in quanto Parti contraenti distinte o, in alternativa, in quanto Stati membri dell’Unione europea, conformemente al protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia allegato al trattato sull’Unione europea e al [trattato FUE]. Le medesime disposizioni si applicano alla Danimarca, in conformità del protocollo sulla posizione della Danimarca allegato ai suddetti trattati».

60.      Dall’altro lato, l’articolo 26 dell’APC è inserito nel titolo V dedicato alla cooperazione in materia di migrazione e lavoro marittimo ed è intitolato «Cooperazione in materia di migrazione e sviluppo». L’articolo 26, paragrafo 1, dell’APC riafferma l’importanza della gestione dei flussi migratori e la volontà delle parti di stabilire un meccanismo di dialogo e di consultazione su tutte le questioni attinenti alla migrazione, le quali devono, in particolare, essere inserite nelle strategie nazionali di sviluppo. La cooperazione in questo settore sarà incentrata, ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 2, dell’APC, sui fattori espulsivi e attrattivi della migrazione, lo sviluppo e l’applicazione di legislazioni e di prassi nazionali in materia di protezione e di diritti dei migranti, lo sviluppo e l’applicazione di legislazioni e di prassi nazionali relative alla protezione internazionale, le norme di ammissione, i diritti e lo status delle persone ammesse, la definizione di una politica di lotta per gestire la presenza sul proprio territorio di cittadini dell’altra parte che non soddisfino o non soddisfino più le condizioni di ingresso, soggiorno o residenza nel territorio della parte interessata, la lotta contro il traffico e la tratta di esseri umani, il rimpatrio in condizioni di rispetto della dignità umana, le questioni di reciproco interesse in materia di visti e sicurezza dei documenti di viaggio e della gestione delle frontiere e, infine, le questioni attinenti alla migrazione e allo sviluppo.

61.      L’articolo 26, paragrafo 3, dell’APC stabilisce l’obbligo, a carico di ciascuna delle parti contraenti, di riammettere i propri cittadini che si trovassero in situazione di entrata, soggiorno o residenza irregolari sul territorio dell’altra parte. Tale riammissione deve essere effettuata su richiesta di quest’ultima parte contraente «senza ritardi indebiti, una volta che sia accertata la cittadinanza e che [siano rispettate le regole procedurali]». Si prevede, inoltre, il rilascio dei documenti necessari e la comunicazione tra le autorità competenti dello Stato richiedente e lo Stato destinatario della richiesta. È altresì presa in considerazione l’ipotesi in cui una persona sia sprovvista dei documenti d’identità.

62.      Da ultimo, l’articolo 26, paragrafo 4, dell’APC indica che le parti hanno convenuto la conclusione, appena possibile, di un accordo di riammissione che dovrà contenere almeno una disposizione sulla riammissione dei cittadini di altri paesi, diversi da quelli dell’APC, e degli apolidi.

2.            Migrazione e politica di cooperazione allo sviluppo

63.      Ai sensi del consenso europeo in materia di sviluppo, la realizzazione degli Obiettivi del Millennio richiede di porre in essere «[una serie di] attività riguardanti lo sviluppo (…) [senza tralasciare] (…) la migrazione e lo sviluppo» (65) e il dialogo politico approfondito verterà sulla «lotta contro (…) l’immigrazione clandestina» (66). Si tratta in particolare di «trasformare la migrazione in un fattore positivo di sviluppo» (67) che costituisca «la più efficace risposta a lungo termine alla migrazione forzata e clandestina» (68) e, in particolare, si richiede alla Commissione di integrare le questioni relative alla migrazione e ai rifugiati nelle strategie nazionali e regionali e nei partenariati conclusi con i paesi interessati (69).

64.      Il regolamento n. 1905/2006 adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio sul solo fondamento dell’articolo 179, paragrafo 1, CE, prevede che i programmi tematici posti in essere includano la migrazione. Il considerando 16 richiama gli obiettivi fissati dal Consiglio europeo di Bruxelles e, in particolare, quello di intensificare nelle relazioni con i paesi terzi l’assistenza finanziaria della Comunità nel settore che presenta una connessione con le problematiche inerenti alla migrazione. Tale obiettivo è riportato nell’articolo 5, paragrafo 2, lettera i), del regolamento n. 1905/2006 che prevede: «la cooperazione con i paesi partner e le riforme delle politiche nel campo della migrazione e dell’asilo e (…) [delle] iniziative di sviluppo di capacità per assicurare la formulazione e attuazione di politiche di migrazione a favore dello sviluppo volte ad affrontare le cause prime della migrazione» (70).

65.      Sembra quindi possibile a priori ritenere che una misura volta a lottare contro l’immigrazione clandestina contribuisca anche alla realizzazione degli obiettivi della politica di cooperazione allo sviluppo. Rimane, tuttavia, da verificare se una tale connessione possa essere stabilita per quanto riguarda le clausole dette di riammissione.

3.            L’articolo 26 dell’APC alla luce della prassi anteriore

66.      L’inserimento, in alcuni accordi di cooperazione conclusi dall’Unione, delle disposizioni dedicate alla riammissione dei cittadini di paesi terzi e che prevedono la conclusione successiva di un accordo di riammissione non è nuova, ma rientra, al contrario, in una prassi risalente. Un documento del Consiglio del 1999 sulle ripercussioni dell’entrata in vigore del trattato di Amsterdam (71) menziona la volontà del Consiglio, a partire dal 1995, di fissare un nesso tra il rimpatrio di persone irregolarmente presenti sul territorio di uno Stato membro e la conclusione di accordi europei di associazione e di cooperazione, accordandosi su clausole di riammissione da inserire in tali accordi. Tale documento propone di adattare le «clausole di riammissione» al nuovo quadro giuridico dell’epoca sottolineando che «il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare in uno Stato membro è uno degli obiettivi della politica dell’immigrazione». È interessante notare che, all’epoca, le clausole di riammissione non risultano descritte come volte a perseguire un obiettivo della politica di cooperazione allo sviluppo (72).

67.      In effetti l’articolo 26 dell’APC, che costituisce proprio tale clausola di riammissione, realizza un cambiamento notevole nel campo lessicale di detto accordo. L’uso del presente indicativo lascia, in effetti, pensare che, invece di limitarsi unicamente ad elencare i settori di cooperazione, l’articolo 26 dell’APC prevede chiaramente, a carico delle parti, obblighi che corrispondono a impegni giuridici concreti. Tale articolo presenta un livello di precisione più approfondito rispetto alle disposizioni relative ai trasporti e all’ambiente, per non citarne che alcune. Nell’ambito dello stesso articolo 26 dell’APC si possono distinguere, a mio avviso nettamente, i paragrafi 1 e 2, che si pongono piuttosto nella continuità del resto dell’APC, prevedendo, cioè, delle dichiarazioni di intenti o degli impegni a cooperare su temi precisi, ma senza che i mezzi di tale cooperazione e i risultati da raggiungere siano effettivamente precisati dai paragrafi 3 e 4. Questi ultimi, in effetti, segnano un netto contrasto in quanto stabiliscono un obbligo chiaro e non ambiguo (73) e anticipano concretamente il contenuto dei risultati da raggiungere («le Filippine riammettono», «ogni Stato membro riammette») e lo strumento da utilizzare successivamente (74) per raggiungere un obiettivo giuridico chiaramente determinato che è quello dell’estensione dell’obbligo di riammissione di cittadini di altri paesi terzi e apolidi.

68.      Pertanto, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, le prescrizioni dell’articolo 26, paragrafi 3 e 4, dell’APC non possono essere ridotte a semplici dichiarazioni di intenti enunciate nel quadro della cooperazione allo sviluppo. Poco importa sapere se tali principi di riammissione si limitano o meno ad essere la trascrizione, a diritto invariato, dei principi di diritto internazionale consuetudinario, poiché la loro presenza in un accordo multilaterale comporta, manifestamente, conseguenze giuridiche proprie. Inoltre, si deve rilevare che l’estensione della riammissione ai cittadini di paesi terzi o agli apolidi non deriva dal diritto internazionale consuetudinario. L’articolo 26, paragrafo 4, nel fissare l’obiettivo di tale ampiamento, da raggiungere mediante un accordo internazionale, va quindi al di là di ciò che è correntemente riconosciuto in questo contesto.

69.      Tale asimmetria, tale rottura nell’ambito dell’articolo 26 dell’APC, può essere spiegata tenuto conto, precisamente, della prassi anteriore che ho appena menzionato. In effetti, è risaputo che il flusso migratorio più importante è quello tra le Filippine e l’Unione e che i cittadini dell’Unione migrano verso le Filippine in misura molto inferiore. Pertanto, gli assi della cooperazione in materia di migrazioni sono stati formulati in modo da riflettere tale asimmetria focalizzandosi piuttosto sulla protezione dei migranti, sulla riflessione da condurre per un trattamento equo e un’integrazione degli stranieri che soggiornano legalmente o ancora per la concessione di un’autorizzazione di soggiorno per motivi caritatevoli o umanitari. Questi assi sono oggetto dei paragrafi 1 e 2 dell’articolo 26 dell’APC.

70.      Per contro, i paragrafi 3 e 4 dell’articolo 26 dell’APC ripristinano l’equilibrio e contengono disposizioni che si allontanano dalle preoccupazioni iniziali dell’APC, quale lo sviluppo armonioso delle Filippine, per integrare un obiettivo proprio all’Unione e tutelare i suoi interessi: l’impegno da parte dello Stato terzo contraente di farsi carico dei propri cittadini in situazione irregolare sul territorio dell’Unione. Come il Consiglio stesso ha ammesso, le clausole relative alla riammissione introdotte in vari tipi di accordo di partenariato concluso dall’Unione costituiscono una leva importante, cioè, un mezzo, per quest’ultima, per ottenere dai propri contraenti un corrispettivo che avrebbe difficoltà ad ottenere diversamente, vale a dire al di fuori dell’ambito della cooperazione, nella presente fattispecie della cooperazione allo sviluppo, promessa dall’Unione.

71.      L’articolo 26, paragrafi 3 e 4, dell’APC esprime, quindi, piuttosto, una visione difensiva, oltre a promuovere gli interessi dell’Unione. Si tratta di premunire l’Unione e gli Stati membri contro gli inadempimenti dello Stato terzo contraente in materia di gestione dei flussi migratori.

72.      Vero è che, così considerato, il collegamento con gli obiettivi perseguiti dalla cooperazione allo sviluppo risulta molto più debole. Tuttavia, occorre necessariamente constatare che un tale impegno non sussisterebbe senza la cooperazione globale attuata dall’APC, la quale è incentrata sullo sviluppo dello Stato terzo contraente. In applicazione dei principi giurisprudenziali richiamati al paragrafo 26 delle presenti conclusioni e per i motivi che ho appena esposto, occorre constatare che, sebbene la clausola di riammissione contenuta nei paragrafi 3 e 4 dell’articolo 26 dell’APC implichi degli obblighi giuridici, essa non ha come conseguenza quella di rendere la riammissione un obiettivo distinto da quello perseguito dall’APC, ma costituisce, al contrario, nel contesto particolare della negoziazione degli accordi di cooperazione allo sviluppo un obiettivo non autonomo, quindi soltanto subordinato o indiretto, che non necessita dell’inserimento di una base giuridica propria.

73.      È dunque ancora una volta a torto che il Consiglio ha aggiunto l’articolo 79, paragrafo 3, TFUE alle basi giuridiche della decisione impugnata.

74.      Il Consiglio e i governi intervenuti a suo sostegno hanno, in particolare, giustificato la propria posizione favorevole all’inserimento, che ritenevano necessario, dell’articolo 79, paragrafo 3, TFUE adducendo la necessità di preservare l’effetto utile dei protocolli n. 21 e n. 22. Intendo quindi ora dimostrare che, nonostante l’assenza dalla base giuridica della decisione impugnata dell’articolo 79, paragrafo 3 TFUE, tale effetto utile sarà preservato e che gli Stati membri interessati dai protocolli n. 21 e n. 22 potranno, se del caso e quando sarà il momento, far valere i loro diritti.

4.            L’attuale prassi in materia di accordi di riammissione

75.      Una panoramica dell’attuale prassi in materia di accordi di riammissione risulta utile a questo titolo, in particolare per rendersi conto di quale potrebbe essere il contenuto del futuro accordo. Due accordi di riammissione sono stati recentemente conclusi: si tratta dell’accordo con la Georgia (75), menzionato dalla Commissione, e dell’accordo con il Pakistan (76). Questi due accordi sono stati conclusi sul fondamento giuridico dell’articolo 79, paragrafo 3, TFUE. Essi presentano una struttura e un contenuto comparabili.

76.      In questi due accordi sono richiamati l’importanza della lotta contro l’immigrazione clandestina e la necessità di instaurare su base di reciprocità delle procedure rapide ed efficaci. La riammissione riguarda sia i cittadini degli Stati contraenti, sia i cittadini di paesi terzi e gli apolidi. I due accordi stabiliscono, altresì, in modo preciso e dettagliato, la procedura che deve essere seguita, in particolare il contenuto della domanda, i criteri per la trasmissione della medesima, i mezzi di prova ai fini di stabilire la cittadinanza e, per gli apolidi e i cittadini di Stati terzi, i termini da rispettare per decidere sulla domanda, le condizioni di trasferimento e di trasporto delle persone riammesse, i principi e le procedure delle operazioni di transito, la determinazione dell’onere dei costi, i principi relativi alla protezione dei dati e prevedono una clausola di non incidenza sul diritto internazionale. Questi accordi sono innegabilmente più completi rispetto alla sola disposizione dell’articolo 26, paragrafi 3 e 4 dell’APC, il quale, come correttamente rilevato dalla Commissione, non può, quindi, essere considerato di per sé un accordo di riammissione.

77.      Se, come ritengo, l’articolo 79, paragrafo 3, TFUE è stato inserito a torto quale base giuridica dell’APC, si deve altresì affermare, in modo irrevocabile e inequivoco, che il futuro accordo internazionale, previsto dall’articolo 26, paragrafo 4, dell’APC, non può essere concluso sul fondamento della cooperazione allo sviluppo, ma dovrà necessariamente esserlo sulla base di detto articolo 79 TFUE. Proprio al momento della stipulazione di tale accordo, allorquando l’Unione si accingerà a concludere un atto fondato su una disposizione del titolo V del Trattato FUE, l’effetto utile dei protocolli n. 21 e n. 22 sarà pienamente preservato, congiuntamente ai diritti degli Stati membri interessati.

H –    Sul mantenimento, nel tempo, degli effetti della decisione annullata

78.      Conformemente alla richiesta delle parti e al fine di non rallentare ulteriormente l’entrata in vigore dell’APC occorre accogliere la domanda delle medesime. La Corte dovrebbe inoltre avvalersi della possibilità concessale dall’articolo 264, paragrafo 2, TFUE mantenendo gli effetti della decisione annullata fino all’adozione di una nuova decisione.

VI – Sulle spese

79.      Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, il Consiglio va condannato alle spese. Inoltre, in applicazione dell’articolo 140, paragrafo 1, di detto regolamento, le parti intervenienti nel presente procedimento sopporteranno le proprie spese.

VII – Conclusione

80.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di statuire come segue:

1)      La decisione 2012/272/UE del Consiglio, del 14 maggio 2012, relativa alla firma, a nome dell’Unione dell’accordo quadro di partenariato e cooperazione tra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica delle Filippine, dall’altra, è annullata.

2)      Gli effetti della decisione 2012/272 sono mantenuti fino all’adozione di una nuova decisione.

3)      Il Consiglio dell’Unione europea è condannato alle spese.

4)      La Repubblica ceca, la Repubblica federale di Germania, l’Irlanda, la Repubblica ellenica, la Repubblica d’Austria e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopporteranno le proprie spese.


1 –      Lingua originale: il francese.


2 –      GU L 134, pag. 3.


3 –      Il testo delle disposizioni pertinenti per la trattazione del presente ricorso è qui di seguito riprodotto, quale discende dal documento del Consiglio n. 15616/10, del 21 gennaio 2011 (per la versione inglese, v. anche il documento n. 15616/10 COR 1, del 25 gennaio 2011). Si deve osservare che, durante il presente procedimento, la Commissione ha presentato una proposta di decisione del Consiglio relativa alla proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell’accordo quadro di partenariato e cooperazione tra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica delle Filippine, dall’altra [COM(2013) 925 def. del 18 dicembre 2013], decisione cui è previsto di allegare l’APC [v. COM(2013) 925 def. Allegato 1]. A fini di precisione, si osserverà che il testo dell’APC, come trasfuso in quest’ultimo documento, presenta alcune lievi sfumature formali rispetto al testo risultante dal documento del Consiglio n. 15616/10, del 21 gennaio 2011, su cui si fondano le presenti conclusioni.


4 –      V. COM(2010) 460 def., del 6 settembre 2010.


5 –      V. documento 5882/11, del 28 gennaio 2011.


6–      Secondo il Consiglio, questa aggiunta è il frutto di una riflessione più ampia, realizzata al proprio interno, sulla prassi da adottare in presenza di accordi internazionali conclusi dall’Unione e dai suoi Stati membri riguardante, almeno in parte, le disposizioni del titolo V della terza parte del Trattato FUE. In effetti, il 18 aprile 2012, il Coreper aveva invitato il Consiglio a includere le basi giuridiche relative alle summenzionate disposizioni e a procedere allo stesso modo per gli altri tre accordi quadro di partenariato in fase di conclusione. In un documento datato 8 maggio 2012 (doc. 9196/1/12 REV 1), il Consiglio ha indicato le conseguenze procedurali che, a suo avviso, deriverebbero da un tale inserimento e ha allegato, in particolare, una dichiarazione della Commissione nella quale essa sottolinea il proprio disaccordo relativo all’inserimento delle basi giuridiche di cui sopra.


7 –      Sentenza del 3 dicembre 1996, (C‑268/94, Racc. pag. I‑6177, punto 39).


8 –      Dichiarazione congiunta del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in seno al Consiglio, al Parlamento europeo e alla Commissione sulla politica di sviluppo dell’Unione europea intitolato «Il consenso europeo» (GU 2006, C 46, pag. 1).


9 –      Regolamento (CE) n. 1905/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, che istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (GU L 378, pag. 41).


10 –      La Commissione fa ivi riferimento all’accordo tra l’Unione europea e la Georgia relativo alla riammissione delle persone in posizione irregolare, approvato dalla decisione del Consiglio 2011/118/UE del 18 gennaio 2011 (GU L 52, pag. 45).


11 –      La Commissione cita, a questo riguardo, la sentenza Portogallo/Consiglio, cit., punto 47.


12 –      Il Consiglio menziona il parere 2/00 del 6 dicembre 2001 (Racc. pag. I‑9713, punto 22) e le sentenze del 30 gennaio 2001, Spagna/Consiglio (C‑36/98, Racc. pag. I‑779, punto 59), del 19 settembre 2002, Huber (C‑336/00, Racc. pag. I‑7699, punto 31), dell’11 settembre 2003, Commissione/Consiglio (C‑211/01, Racc. pag. I‑8913, punti 39 e 40) e del 29 aprile 2004, Commissione/Consiglio (C‑338/01, Racc. pag. I‑4829, punto 55).


13 –      GU 1994, L 223, pag. 24.


14 –      Il Consiglio rinvia qui al parere 1/08 del 30 novembre 2009 (Racc. pag. I‑11129).


15 –      Il Consiglio cita, a tale riguardo, la sentenza del 19 luglio 2012, Parlamento/Consiglio (C‑130/10, punto 80).


16 –      Il Consiglio si riferisce ivi alla sentenza del 3 settembre 2009, Parlamento/Consiglio (C‑166/07, Racc. pag. I‑7135, punto 69).


17 –      La Commissione cita a questo proposito il documento di strategia CE‑Filippine 2007‑2013 (disponibile al seguente indirizzo http://eeas.europa.eu/philippines/csp/07_13_fr.pdf) e il programma indicativo pluriennale per le Filippine 2007‑2010 (disponibile al seguente indirizzo http://eeas.europa.eu/philippines/csp/mip_07_10_en.pdf).


18 –      Il Consiglio ha esso stesso abbozzato un cambiamento in tal senso in occasione dell’udienza innanzi alla Corte.


19 –      V. la giurisprudenza citata alla nota 12 delle presenti conclusioni.


20 –      Sentenza Portogallo/Consiglio, cit., (punto 39).


21 –      V., per analogia, sentenza del 23 febbraio 1999, Parlamento/Consiglio (C‑42/97, Racc. pag. I‑869, punto 37).


22 –      Si trattava di un accordo di cooperazione relativo al partenariato e allo sviluppo (v. nota 13 delle presenti conclusioni. Il corsivo è mio).


23 –      Nel corso dell’udienza e a sostegno della propria tesi, il Consiglio ha sostenuto di non aver conferito mandato alla Commissione per negoziare un accordo di cooperazione allo sviluppo. La Commissione ha contestato tale affermazione. Il fascicolo presentato alla Corte è tuttavia privo di ulteriori informazioni relative a detto mandato, evocato soltanto al momento della fase orale della procedura.


24 –      Considerando 2 dell’APC.


25 –      Considerando 4 dell’APC.


26 –      Considerando 15 e 22 dell’APC.


27 –      Idem.


28 –      V. risoluzione adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite l’8 settembre 2000 intitolata «Dichiarazione del Millennio» (A/55/L.2) (in prosieguo: il «Millennio»). Per gli otto obiettivi del Millennio, v. punto 6 del consenso europeo in materia di sviluppo, cit.


29 –      Considerando 5, 6, da 17 a 19 e 21.


30 –      Considerando da 7 a 13 dell’APC. In relazione a quest’ultimo settore, la Corte ha già dichiarato che la lotta alla proliferazione di armi leggere e di piccolo calibro può essere considerata uno strumento per perseguire gli obiettivi della politica di cooperazione allo sviluppo [sentenza del 20 maggio 2008, Commissione/Consiglio (C‑91/05, Racc. pag. I‑3651)].


31 –      Articolo 1, paragrafi 1 e 3, dell’APC. Sulla nozione di elementi essenziali, v. articolo 53, paragrafo 5, lettera b), dell’APC.


32 –      Frase introduttiva dell’articolo 2 dell’APC.


33 –      Articolo 29, paragrafo 1, dell’APC.


34 –      Articolo 29, paragrafo 2, dell’APC.


35 –      L’APC menziona, in particolare, la promozione della crescita e dello sviluppo (articolo 12), dello sviluppo socio-economico (articoli 26, 28, 40) e dello sviluppo sostenibile (articoli da 33 a 35).


36 –      V., in particolare, considerando da 7 a 10 e articolo 1, paragrafo 2, comma 2, quarto trattino, dell’accordo con la Repubblica dell’India.


37 –      Sentenza del 23 ottobre 2007, Parlamento/Commissione (C‑403/05, Racc. pag. I‑9045, punto 56) e del 20 maggio 2008, Commissione/Consiglio, cit., punto 65.


38 –      Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo «La politica di sviluppo della Comunità europea» [COM(2000) 212 def. del 26 aprile 2000].


39 –      V. sentenze del 23 ottobre 2007, Parlamento/Commissione, cit. (punti 57 e 58) e del 20 maggio 2008, Commissione/Consiglio, cit., punto 66.


40 –      Sentenza del 20 maggio 2008, Commissione/Consiglio, cit., punto 67.


41 –      Ibidem, punti 71 e 72.


42 –      V. supra, punto 15.


43 –      V. punti 5 e 42 del consenso europeo in materia di sviluppo.


44 –      Punto 7 del consenso europeo in materia di sviluppo.


45 –      V. punto 4 del consenso europeo in materia di sviluppo.


46 –      Punto 3 del consenso europeo in materia di sviluppo.


47 –      Punto 9 del consenso europeo in materia di sviluppo.


48 –      Punto 12 del consenso europeo in materia di sviluppo.


49 –      L’accordo con la Repubblica dell’India era concluso per una durata di cinque anni e rinnovato automaticamente di anno in anno, salvo possibilità di denuncia (v. articolo 29 di detto accordo). Non prevedeva la cessazione dal momento del raggiungimento degli obiettivi di sviluppo. L’articolo 57 dell’APC è dunque, su questo punto, del tutto paragonabile all’articolo 29 dell’accordo concluso con la Repubblica dell’India, sebbene la Corte lo abbia qualificato come accordo di cooperazione allo sviluppo.


50 –      V. punti 70 e segg. del consenso europeo in materia di sviluppo.


51 –      Parere 1/08, cit., punto 110.


52 –      V. sentenza Portogallo/Consiglio, cit., punto 45.


53 –      V., in particolare, articolo 4, paragrafo 3, dell’accordo con la Repubblica dell’India.


54 –      V. punti 77 e segg. del consenso.


55 –      Il citato parere 1/08 riguardava l’Accordo generale sugli scambi di servizi (in prosieguo: il «GATS»), che copriva, in particolare, i servizi di trasporti. Gli scambi dei servizi di trasporti rientravano, secondo la Corte, nell’«oggetto stesso del GATS e dei suoi accordi, i quali eser[citavano], peraltro, un effetto diretto e immediato sugli scambi di ciascuno dei tipi di servizi così interessati» (punto 167). Inoltre, la Corte ha dichiarato che gli accordi in questione contenevano «un numero relativamente elevato di disposizioni aventi l’effetto di modificare impegni sia orizzontali che settoriali adottati dalla Comunità e dai suoi Stati membri» (punto 168) e «delle disposizioni relative agli impegni settoriali in materia di servizi di trasporto, i quali a volte proced[evano] all’estensione delle limitazioni settoriali a taluni nuovi Stati membri, a volte introduc[evano] limitazioni di questo tipo in capo ad essi» (punto 170). La Corte ne ha dedotto che la parte «trasporti» del GATS rientrava nel settore della politica dei trasporti e non di quello della politica commerciale comune. È evidente che l’articolo 38 dell’APC non possiede la stessa incidenza in materia ed è dotato di un’intensità giuridica inferiore.


56 –      V. sentenza del 20 maggio 2008, Commissione/Consiglio, cit., punto 65.


57 –      V., in particolare, articoli 27, paragrafo 2, 29, paragrafo 2, lettera c), e 38, paragrafo 1, dell’APC.


58 –      Articolo 34, paragrafo 5, dell’APC.


59 –      Articolo 34, paragrafo 1, ultima parte, dell’APC.


60 –      Ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, primo comma, dell’accordo con la Repubblica dell’India «[l]e parti contraenti riconoscono la necessità di tener conto della tutela ambientale come parte integrante della cooperazione economica e allo sviluppo. Esse ribadiscono altresì l’importanza delle questioni ambientali e la volontà di instaurare una cooperazione per la tutela e il miglioramento dell’ambiente, ponendo l’accento [in particolare] sull’inquinamento dell’acqua, del suolo e dell’aria, sull’erosione, sulla deforestazione e sulla gestione sostenibile delle risorse naturali, tenendo conto dei lavori svolti nei consessi internazionali».


61 –      La garanzia di un ambiente sostenibile costituisce uno degli otto Obiettivi di sviluppo del Millennio: v. punto 6 del consenso europeo in materia di sviluppo.


62 –      Punto 12 del consenso europeo in materia di sviluppo.


63 –      Sentenza Parlamento/Consiglio, cit., punto 80. Per quanto riguarda lo specifico caso di un’eventuale applicazione dei protocolli n. 21 e n. 22, v. paragrafo 40 delle conclusioni dell’avvocato generale Bot presentate nella causa C‑43/12, Commissione/Parlamento e Consiglio, pendente dinanzi alla Corte.


64 –      La prassi attuale fa emergere, come ha sottolineato la Commissione, un’enorme confusione. Per esempio, la decisione del Consiglio, del 24 luglio 2006, relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, del protocollo per combattere il traffico di migranti per via terrestre, aerea e marittima allegato alla convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale relativamente alle disposizioni del protocollo nella misura in cui rientrano nell’ambito di applicazione degli articoli 179 e 181A del trattato che istituisce la Comunità europea (GU L 262, pag. 24), è stata adottata sul fondamento degli articoli 179 e 181A del Trattato CE. La decisione del Consiglio, del 21 dicembre 2011, relativa alla firma, a nome dell’Unione europea, e all’applicazione provvisoria di alcune disposizioni dell’accordo di partenariato e cooperazione tra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica dell’Iraq, dall’altra (GU L 204, pag. 18), è stata adottata sul fondamento degli articoli 79, paragrafo 3, TFUE, 91 TFUE, 100 TFUE, 192, paragrafo 1, TFUE, 194 TFUE, 207 TFUE e 209 TFUE in combinato disposto con l’articolo 218, paragrafo 5, TFUE. La decisione del Consiglio, del 14 maggio 2012, relativa alla firma, a nome dell’Unione, dell’accordo quadro di partenariato e cooperazione tra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Mongolia, dall’altra (GU L 134, pag. 4), è stata adottata sul fondamento dei soli articoli 79, paragrafo 3 TFUE, 207 TFUE e 209 TFUE in combinato disposto con l’articolo 218, paragrafo 5, TFUE. La decisione, di pari data, relativa alla firma, a nome dell’Unione, dell’accordo quadro globale di partenariato e cooperazione tra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica socialista del Vietnam, dall’altra (GU L 137, pag. 1), è, invece, stata adottata sul fondamento dei soli articoli 79, paragrafo 3, TFUE, 91 TFUE, 100 TFUE, 207 TFUE e 209 TFUE in combinato disposto con l’articolo 218, paragrafo 5, TFUE.


65 –      Punto 12 del consenso europeo in materia di sviluppo.


66 –      Punto 17 del consenso europeo in materia di sviluppo.


67 –      Punto 38 del consenso europeo in materia di sviluppo.


68 –      Punto 40 del consenso europeo in materia di sviluppo.


69 –      V. punto 110 del consenso europeo in materia di sviluppo.


70 –      V. inoltre articolo16 del regolamento n. 1905/2006.


71 –      Conseguenze dell’entrata in vigore del trattato di Amsterdam sulle clausole di riammissione negli accordi comunitari e negli accordi tra la Comunità europea, gli Stati membri e i paesi terzi (accordi misti) – Adozione di una decisione del Consiglio (documento 13409/99 del 25 novembre 1999).


72 –      L’accordo di Cotonou, adottato, in particolare, sul fondamento dell’articolo 300 CE, sembra essere il primo ad avere previsto una clausola di riammissione nella sua formulazione «post‑Amsterdam» [v. articolo 13 dell’accordo di partenariato tra gli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall’altro, firmato a Cotonou il 23 giugno 2000 (GU L 317, pag. 3)]. La Corte non si è, tuttavia, pronunciata né in generale su questa prassi né, in particolare, sull’articolo 13 dell’accordo di Cotonou.


73 –      V. articolo 26, paragrafo 3, dell’APC.


74 –      V. articolo 26, paragrafo 4, dell’APC.


75 –      Accordo di riammissione delle persone in posizione irregolare tra l’Unione europea e la Georgia (GU 2011, L 52, pag. 47).


76 –      Accordo tra la Comunità europea e la Repubblica islamica del Pakistan sulla riammissione delle persone in soggiorno irregolare (GU 2010, L 287, pag. 52).