SENTENZA DEL TRIBUNALE DELLA FUNZIONE PUBBLICA DELL’UNIONE EUROPEA (Terza Sezione)

12 marzo 2014 (*)

«Funzione pubblica – Retribuzione – Assegni familiari – Assegno per figlio a carico – Ripetizione dell’indebito – Intento di indurre l’amministrazione in errore – Prova – Inopponibilità all’amministrazione del termine quinquennale per proporre domanda di ripetizione dell’indebito – Eccezione di illegittimità – Procedimento precontenzioso – Regola di concordanza – Eccezione di illegittimità sollevata per la prima volta nel ricorso – Ricevibilità»

Nella causa F‑128/12,

avente ad oggetto un ricorso proposto ai sensi dell’articolo 270 TFUE, applicabile al Trattato CEEA ai sensi del suo articolo 106 bis,

CR, funzionario del Parlamento europeo, residente in M. (Francia), rappresentato da A. Salerno e B. Cortese, avvocati,

ricorrente,

contro

Parlamento europeo, rappresentato da V. Montebello-Demogeot e E. Taneva, in qualità di agenti,

convenuto,

sostenuto da

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da M. Bauer e A. Bisch, in qualità di agenti,

interveniente,

IL TRIBUNALE DELLA FUNZIONE PUBBLICA
(Terza Sezione),

composto da S. Van Raepenbusch, presidente, R. Barents e K. Bradley (relatore), giudici,

cancelliere: J. Tomac, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 12 dicembre 2013,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con atto introduttivo depositato in cancelleria il 29 ottobre 2012, CR ha proposto dinanzi al Tribunale il presente ricorso diretto all’annullamento della decisione del Parlamento europeo di recuperare, al di là del termine di prescrizione quinquennale, somme indebitamente percepite a titolo di assegno per figlio a carico.

 Contesto normativo

2        L’articolo 67 dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea (in prosieguo: lo «Statuto») dispone:

«1. Gli assegni familiari comprendono:

(…)

b) l’assegno per figlio a carico;

(…)

2. I funzionari che percepiscono gli assegni familiari di cui al presente articolo debbono dichiarare gli assegni di uguale natura provenienti da altra fonte; questi ultimi assegni sono dedotti da quelli corrisposti a norma degli articoli 1, 2 e 3 dell’allegato VII [dello Statuto].

(…)».

3        Ai sensi dell’art. 85 dello Statuto:

«Qualsiasi somma percepita indebitamente dà luogo a ripetizione se il beneficiario ha avuto conoscenza dell’irregolarità del pagamento o se tale irregolarità era così evidente che egli non poteva non accorgersene.

La domanda di ripetizione deve essere presentata al più tardi entro un termine di cinque anni a decorrere dalla data in cui l’importo è stato versato. Tale termine non è opponibile all’autorità che ha il potere di nomina quando questa è in grado di stabilire che l’interessato ha indotto deliberatamente in errore l’amministrazione al fine di ottenere il versamento dell’importo considerato».

 Fatti

4        Il ricorrente, funzionario di grado AD 12, è entrato in servizio presso il Parlamento il 1° luglio 1983 e vi ha coperto, a partire da tale data, vari posti amministrativi. In particolare, a partire dal 1° gennaio 2004 e sino al mese di maggio 2008, egli è stato assegnato al servizio giuridico, in cui, tra il 1° febbraio 2005 e il 30 aprile 2008, faceva parte di un’unità che si occupava dei diritti statutari.

5        In quanto padre di quattro figli, il ricorrente ha beneficiato, a partire dal mese di ottobre 1991, dell’assegno per figlio a carico previsto dall’articolo 67, paragrafo 1, lettera b), dello Statuto.

6        Con nota del 13 ottobre 2011, il capo dell’unità «Diritti individuali e retribuzioni», in seno alla direzione «Gestione della vita amministrativa» della direzione generale del personale del Parlamento ha segnalato al ricorrente che i dati a disposizione del Parlamento facevano pensare che egli avesse il diritto di beneficiare di assegni per figlio a carico versati dalle autorità francesi e gli ha chiesto di presentare un documento giustificativo della Caisse d’allocations familiales (Cassa per gli assegni familiari; in prosieguo: la «CAF») del suo luogo di residenza riguardante la sua situazione, e cioè o un attestato di pagamento o un diniego di pagamento. Veniva poi precisato che, in caso di mancata presentazione di tale documento giustificativo entro il 31 ottobre 2011, in primo luogo, l’assegno per figlio a carico fino ad allora versato sarebbe stato ridotto dell’importo che il ricorrente poteva ricevere dalla CAF e, in secondo luogo, l’amministrazione avrebbe proceduto ad una revisione dettagliata del suo fascicolo nonché, se del caso, al recupero di ogni somma indebitamente corrisposta.

7        In seguito alla ricezione della nota del 13 ottobre 2011, il ricorrente ha preso contatto con la CAF per chiedere il documento giustificativo richiesto dal Parlamento e ha informato l’amministrazione di quest’ultimo che egli riteneva di non essere in grado di ottenerlo entro il termine fissato.

8        Con lettera in data 11 novembre 2011, il capo dell’unità «Diritti individuali e retribuzioni» ha informato il ricorrente che, poiché egli non aveva fornito il documento giustificativo richiesto entro il termine impartito, l’assegno per figlio a carico corrisposto dal Parlamento sarebbe stato ridotto d’ufficio, dal mese di dicembre 2011, in misura pari all’importo corrispondente alla somma che egli poteva ricevere dalla CAF. Nella nota si aggiungeva che tale riduzione sarebbe stata applicata retroattivamente a partire dalla nascita del secondo figlio del ricorrente, nel gennaio 1996, evento che aveva fatto sorgere il diritto all’assegno versato dalla CAF.

9        Con nota del 9 dicembre 2011, il direttore della direzione «Gestione della vita amministrativa» (in prosieguo: il «direttore») ha informato il ricorrente che l’esame del suo fascicolo aveva permesso di accertare che egli era beneficiario di assegni familiari versati dalla CAF «dal settembre 1999, in seguito alla nascita del [suo] secondo figlio». Secondo il direttore, il ricorrente aveva «deliberatamente indotto in errore l’amministrazione al fine di ottenere il versamento degli assegni familiari senza deduzione degli importi di uguale natura provenienti da altra fonte» poiché aveva omesso di informare l’amministrazione degli assegni nazionali da lui percepiti e di aggiornare i suoi dati nella scheda informativa annuale degli ultimi due anni. Di conseguenza, considerando che ricorrevano le condizioni dell’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto, il direttore ha informato il ricorrente di aver deciso, nella sua qualità di autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’«APN»), di procedere al recupero delle somme indebitamente percepite non soltanto a partire dagli ultimi cinque anni, ma a partire dal settembre 1999 operando, a tal fine, trattenute sul suo stipendio dal gennaio 2012 al gennaio 2014 (in prosieguo: la «decisione controversa»).

10      Con lettera del 5 gennaio 2012, la CAF ha risposto alla domanda di informazioni del ricorrente e gli ha rilasciato un estratto, per il periodo compreso tra il 1° aprile 1998 e il 31 dicembre 2011, delle prestazioni da lui percepite da quest’ultima, tra le quali una prestazione denominata «assegno di famiglia» versata a partire dal settembre 1999. Inoltre, la CAF specificava al ricorrente che non era possibile redigere un attestato a partire dal mese di gennaio 1996.

11      Il 7 marzo 2012, il ricorrente ha presentato, sul fondamento dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto, un reclamo contro la decisione controversa unicamente in quanto essa imponeva il recupero delle somme indebitamente percepite al di là del periodo quinquennale. Infatti, il ricorrente non contestava il recupero delle somme indebitamente percepite negli ultimi cinque anni.

12      Con decisione del 2 luglio 2012, il segretario generale del Parlamento, agendo in qualità di APN, ha respinto il reclamo, informando nel contempo il ricorrente che il servizio competente aveva proceduto a un nuovo calcolo dell’importo da recuperare sulla base delle informazioni comunicate con la lettera della CAF del 5 gennaio 2012.

 Procedimento e conclusioni delle parti

13      Con memoria pervenuta alla cancelleria del Tribunale il 1° marzo 2013, il Consiglio dell’Unione europea ha chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni del Parlamento. Con ordinanza dell’8 maggio 2013, il presidente della Terza Sezione del Tribunale ha accolto tale domanda, nonché le domande di trattamento riservato presentate rispettivamente dal ricorrente e dal Parlamento e riguardanti gli allegati acclusi all’atto introduttivo e al controricorso.

14      Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione controversa in quanto, in applicazione dell’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto, essa ha disposto il recupero di tutti gli importi indebitamente percepiti dal settembre 1999 e non soltanto di quelli indebitamente percepiti durante gli ultimi cinque anni;

–        in quanto necessario, annullare la decisione del 2 luglio 2012 recante rigetto del reclamo;

–        condannare il convenuto alla totalità delle spese.

15      Il Parlamento chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

16      Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare infondata l’eccezione di illegittimità sollevata contro l’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto;

–        respingere il ricorso in quanto infondato.

 In diritto

 Sulla domanda diretta all’annullamento della decisione di rigetto del reclamo

17      Secondo una giurisprudenza costante, una domanda di annullamento formalmente diretta contro la decisione di rigetto di un reclamo, nel caso in cui tale decisione sia priva di contenuto autonomo, ha l’effetto di sottoporre al giudizio del Tribunale l’atto contro il quale il reclamo è stato presentato (v., in questo senso, sentenza della Corte del 17 gennaio 1989, Vainker/Parlamento, 293/87, punto 8).

18      Nella fattispecie, risulta dai documenti agli atti che la decisione del 2 luglio 2012 recante rigetto del reclamo del ricorrente conferma la decisione controversa, precisando la motivazione dedotta a sostegno di quest’ultima. Orbene, in un’ipotesi del genere, è appunto la legittimità dell’atto lesivo iniziale che dev’essere esaminata prendendo in considerazione la motivazione contenuta nella decisione di rigetto del reclamo, motivazione che si presuppone coincida con tale atto (sentenza del Tribunale del 18 aprile 2012, Buxton/Parlamento, F‑50/11, punto 21, e giurisprudenza ivi citata). Di conseguenza, la domanda di annullamento diretta contro la decisione di rigetto del reclamo è priva di contenuto autonomo e, quindi, dev’essere considerata come formalmente diretta contro la decisione controversa, quale precisata dalla decisione di rigetto del reclamo (v., in questo senso, sentenza del Tribunale di primo grado del 10 giugno 2004, Eveillard/Commissione, T‑258/01, punto 32).

 Sulla domanda diretta all’annullamento della decisione controversa

19      Il ricorso dev’essere interpretato nel senso che deduce sostanzialmente, a sostegno della domanda diretta all’annullamento della decisione controversa, due motivi, relativi, il primo, alla violazione dell’articolo 85, secondo comma, seconda frase dello Statuto, e, il secondo, all’illegittimità, sollevata mediante eccezione, dell’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto.

20      Il Tribunale esaminerà innanzi tutto il motivo relativo all’illegittimità, sollevata mediante eccezione, dell’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto, poiché se tale eccezione di illegittimità dovesse essere accolta non sarebbe più necessario esaminare il primo motivo.

 Sul motivo tratto, mediante eccezione, dall’illegittimità dell’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto

21      Il ricorrente considera che la decisione controversa dev’essere annullata poiché essa si fonda sull’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto, disposizione che sarebbe a sua volta illegittima. Infatti, secondo il ricorrente, tale disposizione violerebbe il principio di certezza del diritto ed il principio di proporzionalità in quanto non prevede alcun termine di prescrizione per l’azione dell’amministrazione quando un funzionario l’abbia deliberatamente indotta in errore.

–       Sulla ricevibilità dell’eccezione di illegittimità

22      In via preliminare, si deve constatare che l’eccezione di illegittimità dell’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto non è stata menzionata in nessun modo nell’ambito del procedimento precontenzioso.

23      Vero è che il convenuto e l’interveniente non hanno opposto un’eccezione di irricevibilità al ricorrente. Al contrario, interrogate dal Tribunale, in udienza, sulla questione della ricevibilità dell’eccezione di illegittimità alla luce della regola di concordanza tra il reclamo e il successivo ricorso, esse si sono entrambe dichiarate d’accordo per distinguere il caso delle eccezioni di illegittimità, per le quali la regola della concordanza non dovrebbe essere applicata, dal caso degli altri motivi, per i quali la regola della concordanza, quale ricordata dal Tribunale dell’Unione europea nella sua sentenza del 25 ottobre 2013, Commissione/Moschonaki (T‑476/11 P, punti da 70 a 80 e 82) doveva essere applicata, e, pertanto, non hanno chiesto al Tribunale di dichiarare irricevibile l’eccezione di illegittimità sollevata.

24      Tuttavia, la concordanza tra il reclamo e il ricorso, da cui dipende la ricevibilità di quest’ultimo, costituisce una questione di ordine pubblico che spetta al giudice esaminare d’ufficio (sentenza del Tribunale del 17 luglio 2012, BG/Mediatore, F‑54/11, punto 57, e giurisprudenza ivi citata, che forma oggetto di impugnazione pendente dinanzi al Tribunale dell’Unione europea, causa T‑406/12 P).

25      Al riguardo, occorre ricordare che l’articolo 91, paragrafo 2, dello Statuto dispone che un ricorso dinanzi al giudice dell’Unione è ricevibile soltanto se l’APN ha ricevuto previamente un reclamo.

26      La giurisprudenza fa derivare dall’articolo 91, paragrafo 2, dello Statuto una regola di concordanza tra il reclamo, ai sensi di tale disposizione, e il ricorso che lo segue. Tale regola impone, a pena d’irricevibilità, che un motivo sollevato dinanzi al giudice dell’Unione sia già stato sollevato nell’ambito del procedimento precontenzioso, affinché l’APN sia stata in grado di conoscere le censure formulate dall’interessato nei confronti della decisione contestata. La regola della concordanza si giustifica con la finalità stessa del procedimento precontenzioso, il quale ha lo scopo di consentire un componimento amichevole delle controversie sorte tra i funzionari e l’amministrazione (sentenza Commissione/Moschonaki, cit., punti 71 e 72, e giurisprudenza ivi citata).

27      Inoltre, la giurisprudenza precisa che l’applicazione della regola della concordanza tra il ricorso e il reclamo, nonché il suo controllo da parte del giudice dell’Unione, devono garantire contemporaneamente il rispetto, da una parte, del principio di tutela giurisdizionale effettiva, il quale costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, espresso all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, affinché l’interessato possa essere in grado di contestare validamente una decisione dell’APN che gli arreca pregiudizio, e, dall’altra, del principio di certezza del diritto, affinché l’APN sia in grado di conoscere, sin dalla fase del reclamo, le censure formulate dall’interessato nei confronti della decisione contestata (sentenza Commissione/Moschonaki, cit., punto 82).

28      Infine, la giurisprudenza ha applicato la regola della concordanza ad un ricorso in cui è stata sollevata un’eccezione di illegittimità affermando che una siffatta eccezione, per essere ricevibile, dev’essere stata sollevata nel reclamo (sentenza del Tribunale dell’11 dicembre 2008, Reali/Commissione, F‑136/06, punti da 44 a 51, confermata con sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 27 ottobre 2010, Reali/Commissione, T‑65/09 P, punti da 46 a 49).

29      Il Tribunale considera tuttavia che, a partire dalla citata sentenza del 27 ottobre 2010, Reali/Commissione, la giurisprudenza riguardante il principio della tutela giurisdizionale effettiva alla luce dell’articolo 47 della Carta [v., ad esempio, sentenze della Corte del 6 novembre 2012, Otis e a., C‑199/11, punti da 54 a 63, e del 26 novembre 2013, Gascogne Sack Deutschland (già Sachsa Verpackung)/Commissione, C‑40/12 P, punti 75 e 76; sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 15 settembre 2011, Koninklijke Grolsch/Commissione, T‑234/07, punti 39 e 40] ha avuto sviluppi tali da giustificare che esso riesamini l’opportunità di applicare la regola della concordanza quando un’eccezione di illegittimità sia stata sollevata per la prima volta nel ricorso.

30      In particolare, nella citata sentenza Koninklijke Grolsch/Commissione, il Tribunale dell’Unione europea, dopo aver constatato che nessuna disposizione del diritto dell’Unione impone al destinatario di una comunicazione degli addebiti per violazione delle norme in materia di concorrenza di contestare i suoi singoli elementi di fatto o di diritto nel corso del procedimento amministrativo, a pena di non poterlo più fare successivamente in sede giurisdizionale, ha respinto l’argomento della Commissione europea che contestava la ricevibilità di un motivo per il fatto che esso non era stato sollevato in termini chiari e precisi nel corso del procedimento amministrativo (punti da 37 a 39). Infatti, il Tribunale dell’Unione europea ha dichiarato che, nelle circostanze descritte, un argomento del genere si risolveva nel limitare l’accesso della ricorrente alla giustizia e, più in particolare, il suo diritto ad essere sentita dinanzi ad un giudice. Orbene, come ha ricordato il Tribunale dell’Unione europea, il diritto ad un ricorso effettivo e all’accesso ad un giudice imparziale è garantito dall’articolo 47 della Carta (punto 40).

31      Anche se la giurisprudenza citata ai punti 27 e 28 della presente sentenza è stata elaborata in settori diversi da quello della funzione pubblica, la summenzionata sentenza Koninklijke Grolsch/Commissione riguarda la compatibilità con l’articolo 47 della Carta di una limitazione dell’accesso alla giustizia che non sia stata espressamente prevista dal legislatore. Si tratta pertanto di una situazione che presenta analogie con l’applicazione della regola della concordanza nel caso di un’eccezione di illegittimità, regola che, pur trovando il suo fondamento nell’articolo 91, paragrafo 1, dello Statuto, è di origine giurisprudenziale.

32      Orbene, a giudizio del Tribunale considerazioni relative, rispettivamente, alla finalità del procedimento precontenzioso, alla natura dell’eccezione di illegittimità e al principio della tutela giurisdizionale effettiva ostano a che un’eccezione di illegittimità sollevata per la prima volta in un ricorso sia dichiarata irricevibile per il solo motivo che essa non sia stata sollevata nel reclamo che ha preceduto il detto ricorso.

33      In primo luogo, per quanto riguarda la finalità del procedimento precontenzioso, risulta da una giurisprudenza costante che detto procedimento non ha ragion d’essere quando le censure sono dirette contro una decisione che l’APN non può riformare (sentenze della Corte del 16 marzo 1978, Ritter von Wüllerstorff und Urbair/Commissione, 7/77, punto 7, e del 14 luglio 1983, Detti/Corte di giustizia, 144/82, punto 16; sentenza del Tribunale di primo grado del 23 gennaio 2002, Gonçalves/Parlamento, T‑386/00, punto 34). Pertanto, la giurisprudenza ha escluso la necessità di presentare un reclamo contro decisioni adottate dalle commissioni giudicatrici di concorso (sentenza del Tribunale del 20 giugno 2012, Cristina/Commissione, F‑66/11, punto 34) o contro un rapporto informativo (sentenza della Corte del 3 luglio 1980, Grassi/Consiglio, 6/79 e 97/79, punto 15).

34      Analogamente, l’obbligo di sollevare un’eccezione di illegittimità nel reclamo a pena di irricevibilità non può rispondere alla finalità del procedimento precontenzioso quale ricordata al punto 24 della presente sentenza.

35      Infatti, tenuto conto del principio di presunzione di legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione europea, secondo il quale la normativa dell’Unione europea rimane pienamente efficace finché la sua illegittimità non è stata accertata da un giudice competente [sentenze della Corte del 13 febbraio 1979, Granaria, 101/78, punto 4; del 7 giugno 1988, Commissione/Grecia, 63/87, punto 10, e del 5 ottobre 2004, Commissione/Grecia, C‑475/01, punto 18; sentenze del Tribunale di primo grado del 30 settembre 1998, Losch/Corte di giustiza, T‑13/97, punto 99; del 30 settembre 1998, Chvatal e a./Corte di giustizia, T‑154/96, punto 112; del 12 luglio 2001, Kik/UAMI (Kik), T‑120/99, punto 55, e del 17 settembre 2008, Neurim Pharmaceuticals (1991)/UAMI – Eurim-Pharm Arzneimittel (Neurim PHARMACEUTICALS), T‑218/06, punto 52], l’APN non può scegliere di disapplicare un atto generale in vigore, che violi, a suo parere, una norma giuridica di rango superiore, al solo scopo di consentire la soluzione stragiudiziale della controversia (v., in questo senso, sentenza del Tribunale del 7 giugno 2011, Mantzouratos/Parlamento, F‑64/10, punto 22).

36      Una scelta del genere è a fortiori da escludere quando l’APN interessata agisce in una situazione di competenza vincolata, come avviene quando ricorrono le condizioni di applicazione dell’articolo 85 dello Statuto e l’amministrazione è tenuta a recuperare le somme indebitamente percepite da uno dei suoi agenti. Nell’ambito dell’esercizio di competenze vincolate, l’APN non è in grado di revocare o di modificare la decisione contestata dall’agente, quand’anche essa ritenesse fondata un’eccezione di illegittimità diretta contro la disposizione sulla base della quale la decisione impugnata è stata adottata.

37      D’altro canto, il fatto di sollevare per la prima volta nel ricorso un’eccezione di illegittimità non può pregiudicare il principio di certezza del diritto, poiché, anche se l’APN avesse avuto conoscenza, sin dalla fase del reclamo, di un’eccezione di illegittimità, essa non avrebbe potuto approfittare di una tale circostanza per risolvere la controversia con il suo agente mediante un componimento amichevole.

38      In secondo luogo, per quanto riguarda la natura dell’eccezione di illegittimità, secondo una giurisprudenza costante, l’articolo 277 TFUE costituisce l’espressione di un principio generale che garantisce a qualsiasi parte il diritto di contestare in via incidentale, al fine di ottenere l’annullamento di un atto contro il quale essa può proporre un ricorso, la validità di un atto anteriore di un’istituzione dell’Unione che costituisca il fondamento giuridico dell’atto impugnato, qualora questa parte non avesse il diritto di proporre un ricorso diretto contro tale atto, di cui essa subisce pertanto le conseguenze senza averne potuto chiedere l’annullamento (sentenze della Corte del 6 marzo 1979, Simmenthal/Commissione, 92/78, punto 39, e del 19 gennaio 1984, Andersen e a./Parlamento, 262/80, punto 6). L’articolo 277 TFUE ha infatti lo scopo di tutelare il singolo contro l’applicazione di un atto normativo illegittimo, fermo restando che gli effetti di una sentenza che accerta l’inapplicabilità sono limitati alle sole parti della controversia e che tale sentenza non mette in questione l’atto in sé stesso, divenuto inoppugnabile (sentenza del Tribunale di primo grado del 25 ottobre 2006, Carius/Commissione, T‑173/04, punto 45, e giurisprudenza ivi citata).

39      Orbene, anche supponendo che l’obbligo di sollevare un’eccezione di illegittimità nel reclamo, a pena di irricevibilità, possa rispondere alla finalità del procedimento precontenzioso, il Tribunale considera che la natura stessa dell’eccezione di illegittimità è quella di conciliare il principio di legalità e quello della certezza del diritto.

40      Infine, dalla formulazione letterale dell’articolo 277 TFUE risulta che la parte può mettere in discussione un atto di portata generale dopo la scadenza del termine di ricorso solo in occasione di una controversia dinanzi ad un giudice dell’Unione. Una siffatta eccezione non può dunque produrre pienamente i suoi effetti nell’ambito di un procedimento di reclamo amministrativo.

41      In terzo e ultimo luogo, il Tribunale ricorda che il principio della tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, che è oggi espresso all’articolo 47, secondo comma, della Carta e ai sensi del quale «[o]gni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (...) da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge». Tale comma corrisponde all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU») (sentenza della Corte del 28 febbraio 2013, Riesame Arango Jaramillo e a./BEI, C‑334/12 RX-II, punti 40 e 42).

42      Risulta dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, alla quale occorre fare riferimento conformemente all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, che il diritto a ricorrere dinanzi a un giudice non è assoluto. L’esercizio di tale diritto è soggetto a limitazioni, segnatamente per quanto riguarda le condizioni di ricevibilità di un ricorso. Anche se gli interessati devono aspettarsi che siano applicate norme che impongono condizioni di ricevibilità, l’applicazione che ne viene effettuata non deve tuttavia impedire ai singoli di avvalersi di un rimedio giuridico disponibile (v., in questo senso, Corte eur. D.U., sentenza Anastasakis c. Grecia del 6 dicembre 2011, ricorso n. 41959/08, non ancora pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, § 24; sentenza Riesame Arango Jaramillo e a./BEI, cit., punto 43; ordinanza della Corte del 16 novembre 2010 – Internationale Fruchtimport Gesellschaft Weichert/Commissione, C‑73/10 P, punto 53).

43      In particolare, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha precisato che le limitazioni al diritto di ricorrere dinanzi a un giudice relative alle condizioni di ricevibilità di un ricorso non possono restringere l’accesso alla giustizia offerto ad un singolo in maniera o ad un punto tale che detto diritto ne sia pregiudicato nella sua sostanza stessa. Siffatte limitazioni si conciliano con l’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU solo se tendono ad uno scopo legittimo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v. Corte eur. D.U., sentenze Liakopoulou c. Grecia del 24 maggio 2006, ricorso n. 20627/04, non pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, § 17; Kemp e altri c. Lussemburgo del 24 aprile 2008, ricorso n. 17140/05, non pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, § 47, e Viard c. Francia del 9 gennaio 2014, ricorso n. 71658/10, § 29). Infatti, il diritto di accesso a un giudice si trova pregiudicato quando la sua disciplina cessa di servire gli scopi di certezza del diritto e di buona amministrazione della giustizia e costituisce una sorta di barriera che impedisce al singolo di ottenere che la sua controversia sia decisa nel merito dal giudice competente (v. presa di posizione dell’avvocato generale Mengozzi per la sentenza Riesame Arango Jaramillo e a./BEI, cit., punti da 58 a 60; Corte eur. D.U., sentenza L’Erablière c. Belgio del 24 febbraio 2009, non ancora pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, ricorso n. 49230/07, § 35).

44      Orbene, la sanzione dell’irricevibilità di un’eccezione di illegittimità sollevata per la prima volta nel ricorso costituisce una limitazione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva non proporzionale allo scopo perseguito dalla regola della concordanza, ossia quello di consentire una composizione amichevole delle controversie tra il funzionario interessato e l’amministrazione (v., in questo senso, Corte eur. D.U., sentenza Liakopoulou c. Grecia, cit., § 20).

45      Al riguardo, il Tribunale ricorda che, secondo la giurisprudenza, sussiste la presunzione che ogni funzionario normalmente diligente conosca lo Statuto (sentenza del Tribunale di primo grado del 19 maggio 1999, Connolly/Commissione, T‑34/96 e T‑163/96, punto 168, e giurisprudenza ivi citata) e, più in particolare, le norme che disciplinano il suo stipendio (v. sentenza del Tribunale del 21 novembre 2013, Roulet/Commissione, F‑72/12 e F‑10/13, punto 48, e giurisprudenza ivi citata). Per contro, un’eccezione di illegittimità può indurre il Tribunale a valutare la legittimità di norme, che si presuppone che i funzionari conoscano, alla luce di principi generali o di norme giuridiche di rango superiore che possono eccedere il contesto delle norme statutarie. Per la natura stessa di un’eccezione di illegittimità, nonché del ragionamento che induce l’interessato a cercare e ad eccepire tale illegittimità, non si può esigere dal funzionario o dall’agente che presenta il reclamo, e che non dispone necessariamente delle adeguate competenze giuridiche, di formulare una siffatta eccezione nella fase precontenziosa, e ciò pena la successiva irricevibilità. Una siffatta declaratoria di irricevibilità costituisce pertanto una sanzione sproporzionata e ingiustificata per l’agente interessato.

46      Alla luce di tutto quanto precede, l’eccezione di illegittimità sollevata dev’essere dichiarata ricevibile.

–       Sulla prima parte dell’eccezione di illegittimità, relativa alla violazione del principio di certezza del diritto

47      Il ricorrente sostiene sostanzialmente che la mancanza di un termine di prescrizione per l’azione dell’amministrazione nell’ambito dell’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto permetterebbe all’APN di ritardare indefinitamente l’esercizio dei suoi poteri in materia di ripetizione dell’indebito. Pertanto, tale disposizione sarebbe in contrasto con il principio di certezza del diritto e la sua applicazione dovrebbe essere esclusa nella fattispecie a favore della prescrizione quinquennale.

48      Il Tribunale ricorda, in primo luogo, che la prescrizione, impedendo che siano rimesse in discussione all’infinito situazioni consolidate dal decorso del tempo, tende a rafforzare la certezza del diritto, ma può anche permettere che si consolidino situazioni che erano, per lo meno in origine, contrarie alla legge. Vi si fa pertanto ricorso nella misura risultante da un contemperamento tra l’esigenza di certezza del diritto e l’esigenza di legalità in funzione delle circostanze storiche e sociali che prevalgono nella società in una determinata epoca. Per questa ragione, la prescrizione è rimessa alla discrezione del solo legislatore. Il legislatore dell’Unione non può quindi incorrere nella censura del giudice dell’Unione a causa delle scelte che opera quanto all’introduzione di regole sulla prescrizione e alla fissazione dei relativi termini (sentenza del Tribunale di primo grado del 6 ottobre 2005, Sumitomo Chemical e Sumika Fine Chemicals/Commissione, T‑22/02 e T‑23/02, punti 82 e 83).

49      Il fatto di aver istituito l’inopponibilità all’amministrazione del termine di cinque anni per l’esercizio dell’azione di ripetizione dell’indebito quando l’amministrazione è in grado di dimostrare che l’interessato l’ha deliberatamente indotta in errore non presenta dunque di per sé profili di illegittimità in relazione al rispetto del principio della certezza del diritto (v., in questo senso, sentenza Sumitomo Chemical e Sumika Fine Chemicals/Commissione, cit., punto 83).

50      Inoltre, l’argomento del ricorrente secondo il quale, in mancanza di un termine di prescrizione, l’amministrazione potrebbe ritardare indefinitamente la sua azione è privo di ogni fondamento giuridico. Infatti, risulta da una giurisprudenza costante che, in mancanza di un termine di prescrizione fissato dal legislatore dell’Unione, la fondamentale esigenza di certezza del diritto osta a che l’amministrazione possa ritardare indefinitamente l’esercizio dei suoi poteri (v., per quanto riguarda la restituzione di aiuti di Stato, sentenza della Corte del 22 aprile 2008, Commissione/Salzgitter, C‑408/04 P, punto 100). In una situazione del genere, l’amministrazione interessata è obbligata ad agire entro un termine ragionevole dopo aver preso conoscenza dei fatti (v., per quanto riguarda la ripetizione di un indebito corrispondente ad un assegno di famiglia, sentenza del Tribunale di primo grado del 5 novembre 2002, Ronsse/Commissione, T‑205/01, punto 52; v. altresì, per quanto riguarda l’avvio di un procedimento disciplinare, sentenza del Tribunale di primo grado del 10 giugno 2004, François/Commissione, T‑307/01, punti 48 e 49; sentenza del Tribunale dell’8 marzo 2012, Kerstens/Commissione, F‑12/10, punti 124 e 125).

51      Ne consegue che la prima parte dell’eccezione di illegittimità dev’essere respinta in quanto infondata, senza che sia necessario che il Tribunale esamini la questione di stabilire se, nel caso di specie, l’amministrazione abbia agito entro un termine ragionevole, poiché il ricorrente non ha formulato censure nei confronti dell’amministrazione al riguardo.

–       Sulla seconda parte dell’eccezione di illegittimità, relativa alla violazione del principio di proporzionalità.

52      Il ricorrente ritiene che l’inopponibilità del termine di prescrizione quinquennale prevista dall’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto violi il principio di proporzionalità.

53      In particolare, il ricorrente sostiene che la giurisprudenza in materia di diritto della concorrenza ha ammesso termini di prescrizione fra tre e cinque anni. Per contro, la Corte di giustizia avrebbe deciso che il principio di proporzionalità osta all’applicazione di un termine di prescrizione trentennale nel contenzioso relativo al rimborso delle restituzioni all’esportazione indebitamente percepite nel contesto della tutela degli interessi finanziari dell’Unione.

54      Inoltre, il ricorrente rileva che l’articolo 73 bis del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio, del 25 giugno 2002, che stabilisce il regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee (GU L 248, pag. 1), risultante dalla modifica del detto regolamento da parte del regolamento (CE, Euratom) n. 1995/2006 del Consiglio, del 13 dicembre 2006 (GU L 390, pag. 1), prevede un termine di prescrizione di cinque anni per «i crediti [dell’Unione] nei confronti di terzi ed i crediti di terzi nei confronti [dell’Unione]».

55      Orbene, nella fattispecie, la ripetizione dell’indebito è effettuata per un periodo di oltre dodici anni, il che avrebbe esposto il ricorrente ad un lungo periodo di incertezza del diritto e al rischio di non essere più in grado di fornire la prova della regolarità del suo comportamento.

56      Il Tribunale considera innanzitutto che si deve respingere l’argomento del ricorrente secondo il quale, seguendo la giurisprudenza della Corte, un termine di prescrizione di 30 anni sarebbe di per sé incompatibile con il principio di proporzionalità e che, di conseguenza, l’assenza di ogni termine di prescrizione non potrebbe che essere illegittima.

57      Infatti, la sentenza della Corte del 5 maggio 2011, Ze Fu Fleischhandel e Vion Trading (C‑201/10 e C‑202/10), fatta valere dal ricorrente a sostegno della sua tesi, riguardava l’interpretazione del regolamento (CE, Euratom) n. 2988/95 del Consiglio, del 18 dicembre 1995, relativo alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità (GU L 312, pag. 1), il quale verte sui controlli, sulle misure e sulle sanzioni amministrative applicabili a irregolarità commesse da operatori economici (sentenza del Tribunale di primo grado del 22 novembre 2006, Italia/Commissione, T‑282/04, punto 83), e, pertanto, è ininfluente sui rapporti tra le istituzioni dell’Unione e i loro agenti.

58      In ogni caso, la citata sentenza Ze Fu Fleischhandel e Vion Trading non è tale da confortare la tesi del ricorrente. Infatti, ai punti 41 e 43 di tale sentenza, la Corte ha dichiarato che «non è escluso che una norma sulla prescrizione trentennale derivante da una disposizione di diritto civile possa sembrare necessaria e proporzionata (…) in relazione all’obiettivo perseguito da detta norma e definito dal legislatore nazionale», ma che, nella fattispecie, tale termine andava oltre quanto necessario «considerato l’obiettivo di tutela degli interessi finanziari dell’Unione, per il quale il legislatore dell’Unione ha ritenuto che una durata di prescrizione di quattro anni, o addirittura di tre anni, fosse già sufficiente».

59      L’inopponibilità all’amministrazione del termine di prescrizione quinquennale per il recupero di somme indebitamente percepite prevista dall’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto, non è pertanto di per sé in contrasto con il principio di proporzionalità. Tuttavia, è necessario esaminare se, alla luce dell’obiettivo perseguito dall’articolo 85 dello Statuto, il legislatore abbia nella fattispecie violato il principio di proporzionalità.

60      Il Tribunale ricorda innanzitutto che, secondo la giurisprudenza, in forza del principio di proporzionalità, la legittimità di una normativa dell’Unione è subordinata alla condizione che i mezzi che essa impiega siano idonei a realizzare l’obiettivo legittimamente perseguito dalla normativa stessa e non vadano al di là di ciò che è necessario per raggiungerlo, fermo restando che, qualora si presenti una scelta tra più misure appropriate, è necessario ricorrere, in linea di principio, alla meno restrittiva (sentenza del Tribunale del 28 marzo 2012, Rapone/Commissione, F‑36/10, punto 50).

61      L’obiettivo perseguito dall’articolo 85 dello Statuto è con ogni evidenza quello della tutela degli interessi finanziari dell’Unione nel contesto specifico dei rapporti tra le istituzioni dell’Unione e i loro agenti, vale a dire persone che sono vincolate a tali istituzioni dal dovere di lealtà specifico previsto dall’articolo 11 dello Statuto, il quale impone, in particolare, che il funzionario conformi la sua condotta al «dovere di servire esclusivamente [l’Unione]» e svolga gli incarichi affidatigli «nel rispetto del proprio dovere di lealtà verso [l’Unione]».

62      Orbene, è giocoforza constatare che l’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto obbliga l’amministrazione a recuperare integralmente le somme indebitamente versate nel caso particolare in cui essa è in grado di stabilire che l’agente interessato l’ha deliberatamente indotta in errore e ciò in violazione del dovere specifico di lealtà sopra menzionato.

63      In un contesto del genere, il Tribunale considera che l’inopponibilità del termine di prescrizione quinquennale non eccede quanto è necessario per conseguire l’obiettivo perseguito.

64      D’altro canto, l’inopponibilità all’amministrazione del termine di prescrizione quinquennale per agire per ripetizione dell’indebito nel caso previsto dall’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto è compatibile con l’articolo 73 bis del regolamento finanziario che fissa un termine di prescrizione di cinque anni «[f]atte salve le disposizioni di normative specifiche». Infatti, l’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto è appunto una «normativa specifica» che riguarda il caso particolare in cui un agente abbia deliberatamente indotto in errore la propria amministrazione.

65      Si deve pertanto respingere in quanto infondata la seconda parte dell’eccezione di illegittimità e, pertanto, l’eccezione di illegittimità nel suo complesso.

 Sul motivo relativo alla violazione dell’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto

66      Il ricorrente osserva che l’applicazione dell’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto è subordinata alla prova, da parte dell’amministrazione, dell’intenzione dell’agente interessato di indurla in errore e ritiene che, nella fattispecie, l’APN abbia applicato detta disposizione senza aver fornito tale prova. In particolare, secondo il ricorrente, la decisione controversa si basa su «mere constatazioni» che, alla luce dell’interpretazione «assai restrittiva» che sarebbe necessario dare all’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto, non sarebbero sufficienti per dimostrare la sua volontà di indurre l’amministrazione in errore.

67      Il Tribunale ricorda innanzitutto che, ai sensi dell’articolo 85, secondo comma, dello Statuto, la domanda di ripetizione di una somma indebitamente percepita deve essere presentata al più tardi entro un termine di cinque anni a decorrere dalla data in cui l’importo è stato versato. Tuttavia, tale termine di cinque anni non è opponibile all’APN quando quest’ultima è in grado di stabilire che l’interessato ha indotto deliberatamente in errore l’amministrazione al fine di ottenere il versamento dell’importo considerato.

68      Risulta dunque chiaramente dal tenore letterale dell’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto che spetta all’amministrazione provare l’intenzione dell’agente interessato di indurla in errore, il che non è del resto contestato dalle parti.

69      Nella fattispecie, il ricorrente chiede l’annullamento della decisione controversa soltanto in quanto essa riguarda la ripetizione dell’indebito per il periodo anteriore ai cinque anni summenzionati. In primo luogo, si deve quindi necessariamente constatare che il ricorrente non contesta di essere stato a conoscenza dell’irregolarità del versamento dell’assegno di famiglia, o che quest’ultima era così evidente che egli non poteva non esserne a conoscenza.

70      In secondo luogo, occorre rilevare che nella decisione controversa l’APN ha osservato che il ricorrente aveva omesso di dichiarare all’amministrazione gli assegni versati dalla CAF, malgrado il fatto che, a causa delle sue varie funzioni in seno al Parlamento, egli si fosse trovato in una posizione particolarmente privilegiata per sapere di essere tenuto a farlo. L’APN ha altresì menzionato il fatto che il ricorrente non aveva neppure risposto alla domanda di aggiornamento dei suoi dati nella scheda informativa annuale nel 2009 e nel 2010.

71      In terzo luogo, nella decisione recante rigetto del reclamo, l’APN menziona il fatto che il ricorrente aveva «effettuato a più riprese false dichiarazioni nel compilare sia le schede informative annuali per gli anni dal 1996 al 2005 sia le schede informative (…) trasmesse in occasione della nascita dei [suoi] figli» e, per quanto riguarda le schede informative annuali, che, durante il periodo dal 1996 al 1998 egli aveva sempre dichiarato che né lui, né la moglie avevano percepito «al di fuori delle Comunità» assegni familiari per i loro figli. Allo stesso modo, per il periodo dal 1999 al 2005, il ricorrente aveva confermato con la propria firma di non aver percepito assegni da altra fonte, in quanto egli non aveva apposto una crocetta nella casella relativa a tali assegni. Inoltre, contrariamente alle istruzioni contenute nelle schede informative annuali, egli non aveva mai allegato alle sue dichiarazioni attestati rilasciati dalla CAF. D’altro canto, l’APN precisa che, «in occasione della nascita del [suo] secondo, del [suo] terzo e del [suo] quarto figlio, [il ricorrente ha] effettuato false dichiarazioni dichiarando ogni volta, sulla scheda informativa da compilare ai fini della concessione degli assegni per figlio a carico, di non percepire da altra fonte un assegno di tale natura». Infine, l’APN osservava, da una parte, che il ricorrente non contestava il recupero delle somme indebitamente percepite per gli ultimi cinque anni e, dall’altra, che, a causa del suo grado elevato, della sua formazione come giurista e del fatto di aver lavorato nel settore della funzione pubblica, il ricorrente era in posizione particolarmente favorevole per conoscere l’obbligo, derivante dall’articolo 67, paragrafo 2, dello Statuto, di dichiarare gli assegni della stessa natura dell’assegno per figlio a carico.

72      Si deve dunque necessariamente constatare che l’APN ha basato la decisione controversa non su «mere constatazioni» come sostiene il ricorrente, ma sulla circostanza che quest’ultimo aveva reso false dichiarazioni all’amministrazione a più riprese e che tali false dichiarazioni provenivano da un funzionario di grado elevato, in possesso di esperienza come giurista nel settore della funzione pubblica e che non contestava che egli era ovvero avrebbe dovuto essere a conoscenza dell’irregolarità del versamento.

73      Orbene, a giudizio del Tribunale gli elementi di cui sopra possono sufficientemente provare sul piano giuridico la volontà del ricorrente di indurre l’amministrazione in errore e quindi ricorrono le condizioni poste per l’applicazione dell’articolo 85, secondo comma, seconda frase, dello Statuto.

74      Tale conclusione non può essere infirmata dall’affermazione del ricorrente secondo la quale, dopo la nascita del suo secondo figlio, egli avrebbe contattato telefonicamente l’amministrazione del Parlamento che gli avrebbe assicurato che non era necessario dichiarare gli assegni versati dalla CAF. Infatti, non soltanto il ricorrente non ha fornito al Tribunale alcun elemento tale da provare una siffatta affermazione, ma, inoltre, non ne trae alcuna conclusione né alcun argomento.

75      Di conseguenza, il presente motivo dev’essere respinto in quanto del tutto infondato in diritto.

76      Da tutto quanto precede risulta che il ricorso dev’essere respinto in quanto infondato.

 Sulle spese

77      Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, del regolamento di procedura, fatte salve le altre disposizioni del capo VIII del Titolo secondo di detto regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. In forza del paragrafo 2 dello stesso articolo, per ragioni di equità, il Tribunale può decidere che una parte soccombente sia condannata solo parzialmente alle spese, o addirittura che non debba essere condannata a tale titolo.

78      Dalla motivazione illustrata nella presente sentenza risulta che il ricorrente è rimasto soccombente. Inoltre, il Parlamento, nelle sue conclusioni, ha espressamente chiesto che il ricorrente sia condannato alle spese. Poiché le circostanze del caso di specie non giustificano l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura, il ricorrente deve sopportare le proprie spese ed è condannato a sopportare le spese sostenute dal Parlamento.

79      Conformemente all’articolo 89, paragrafo 4, del regolamento di procedura, la parte interveniente sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE DELLA FUNZIONE PUBBLICA
(Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      CR sopporterà le proprie spese ed è condannato a sopportare le spese sostenute dal Parlamento europeo.

3)      Il Consiglio dell’Unione europea, interveniente, sopporterà le proprie spese.

Van Raepenbusch

Barents

Bradley

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 12 marzo 2014.

Il cancelliere

 

       Il presidente

W. Hakenberg

 

      S. Van Raepenbusch


* Lingua processuale: il francese.