SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

27 marzo 2019 (*)

«Impugnazione – Dumping – Importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle loro componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Cina – Dazio antidumping definitivo – Regolamento (CE) n. 1225/2009 – Articolo 3, paragrafo 7 – Articolo 9, paragrafo 4 – Ambito di applicazione temporale del regolamento (UE) n. 1168/2012»

Nella causa C‑236/17 P,

avente ad oggetto un’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta l’8 maggio 2017,

Canadian Solar Emea GmbH, con sede in Monaco (Germania),

Canadian Solar Manufacturing (Changshu) Inc., con sede in Changshu (Cina),

Canadian Solar Manufacturing (Luoyang) Inc., con sede in Luoyang (Cina),

Csi Cells Co. Ltd, con sede in Suzhou (Cina),

Csi Solar Power Group Co. Ltd, già Csi Solar Power (China) Inc., con sede in Suzhou,

rappresentate da J. Bourgeois e A. Willems, avocats, nonché da S. De Knop, M. Meulenbelt e B. Natens, advocaten,

ricorrenti,

procedimento in cui le altre parti sono:

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da H. Marcos Fraile, in qualità di agente, assistita da N. Tuominen, avocată,

convenuto in primo grado,

Commissione europea, rappresentata da N. Kuplewatzky, J.‑F. Brakeland e T. Maxian Rusche, in qualità di agenti,

interveniente in primo grado,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da T. von Danwitz, presidente della Settima Sezione, facente funzione di presidente della Quarta Sezione, K. Jürimäe, C. Lycourgos (relatore), E. Juhász e C. Vajda, giudici,

avvocato generale: E. Tanchev

cancelliere: L. Hewlett, amministratrice principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 20 giugno 2018,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 3 ottobre 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con la loro impugnazione, le società Canadian Solar Emea GmbH, Canadian Solar Manufacturing (Changshu) Inc., Canadian Solar Manufacturing (Luoyang), Inc., Csi Cells Co. Ltd e Csi Solar Power Group Co. Ltd, già Csi Solar Power (China) Inc. (in prosieguo: la «Csi Solar Power»), chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 28 febbraio 2017, Canadian Solar Emea e a./Consiglio (T‑162/14, non pubblicata; in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2017:124), nella parte in cui, con quest’ultima, il Tribunale ha respinto il loro ricorso diretto ad ottenere l’annullamento del regolamento di esecuzione (UE) n. 1238/2013 del Consiglio, del 2 dicembre 2013, che istituisce un dazio antidumping definitivo e riscuote definitivamente il dazio provvisorio sulle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle loro componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese (GU 2013, L 325, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento controverso»), nella parte in cui si applica alle ricorrenti.

2        Con la sua impugnazione incidentale, la Commissione europea chiede l’annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale, da un lato, ha respinto l’eccezione di irricevibilità da essa sollevata e, dall’altro, avrebbe commesso un errore di diritto nell’interpretazione del regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 343, pag. 51; in prosieguo: il «regolamento di base»).

 Contesto normativo

 Regolamento di base

3        L’articolo 1, paragrafi 2 e 3, del regolamento di base prevede quanto segue:

«2.      Un prodotto è considerato oggetto di dumping quando il suo prezzo all’esportazione nella Comunità è inferiore ad un prezzo comparabile del prodotto simile, applicato nel paese esportatore nell’ambito di normali operazioni commerciali.

3.      Il paese esportatore è di norma il paese d’origine. Esso, tuttavia, può essere un paese intermedio, salvo quando i prodotti transitano semplicemente in questo paese oppure non sono ivi fabbricati o il loro prezzo in questo paese non è comparabile».

4        L’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), di tale regolamento stabilisce che:

«Nel caso di importazioni in provenienza da paesi non retti da un’economia di mercato, il valore normale è determinato in base al prezzo o al valore costruito in un paese terzo ad economia di mercato oppure al prezzo per l’esportazione da tale paese terzo ad altri paesi; compresa la Comunità, oppure, qualora ciò non sia possibile, su qualsiasi altra base equa, compreso il prezzo realmente pagato o pagabile nella Comunità per un prodotto simile, se necessario debitamente adeguato per includere un equo margine di profitto.

Un paese terzo ad economia di mercato viene opportunamente selezionato, tenendo debitamente conto di tutte le informazioni attendibili di cui si disponga al momento della scelta. Si deve inoltre tener conto dei termini e, se lo si ritiene opportuno, viene utilizzato un paese terzo ad economia di mercato sottoposto alla stessa inchiesta.

Le parti interessate sono informate subito dopo l’apertura dell’inchiesta in merito al paese terzo ad economia di mercato che si prevede di utilizzare e hanno dieci giorni di tempo per presentare osservazioni».

5        In forza dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), di tale regolamento, «la domanda di cui alla lettera b) dev’essere fatta per iscritto e deve contenere prove sufficienti in ordine al fatto che il produttore oper[i] in condizioni di economia di mercato» e, a tal riguardo, soddisfi taluni criteri elencati in modo preciso. Tale disposizione aggiunge:

«Si procede ad un accertamento se il produttore soddisfa i criteri summenzionati entro tre mesi dall’avvio dell’inchiesta, dopo aver sentito il comitato consultivo e dopo aver dato all’industria comunitaria la possibilità di presentare osservazioni. Quest’accertamento resta valido durante l’inchiesta».

6        L’articolo 3, del medesimo regolamento, intitolato «Accertamento di un pregiudizio», ai paragrafi 6 e 7, enuncia quanto segue:

«6.      Deve essere dimostrato, in base a tutti gli elementi di prova, presentati a norma del paragrafo 2, che le importazioni oggetto di dumping causano pregiudizio ai sensi del presente regolamento. In particolare, occorre dimostrare che il volume e/o i prezzi individuati a norma del paragrafo 3 hanno sull’industria comunitaria gli effetti contemplati nel paragrafo 5 e che questa incidenza si manifesta in maniera che può essere considerata [importante].

7.      Oltre alle importazioni oggetto di dumping, vengono esaminati i fattori noti che contemporaneamente causano pregiudizio all’industria comunitaria per evitare che il pregiudizio dovuto a tali fattori sia attribuito alle importazioni oggetto di dumping a norma del paragrafo 6. I fattori che possono essere presi in considerazione a questo proposito comprendono, tra l’altro, il volume e i prezzi delle importazioni non vendute a prezzi di dumping, la contrazione della domanda oppure le variazioni dell’andamento dei consumi, le restrizioni commerciali attuate da produttori di paesi terzi e comunitari [e] la concorrenza tra gli stessi, nonché gli sviluppi tecnologici e le prestazioni dell’industria comunitaria in materia di esportazioni e di produttività».

7        L’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base, relativo all’imposizione di dazi definitivi, dispone quanto segue:

«Quando dalla constatazione definitiva dei fatti risulta l’esistenza di dumping e di un conseguente pregiudizio e quando gli interessi della Comunità esigono un intervento a norma dell’articolo 21, il Consiglio [dell’Unione europea], deliberando su una proposta presentata dalla Commissione dopo aver sentito il comitato consultivo, istituisce un dazio antidumping definitivo. La proposta è adottata dal Consiglio a meno che questo non decida a maggioranza semplice di respingerla entro un mese dalla sua presentazione da parte della Commissione. (…) L’importo del dazio antidumping non deve superare il margine di dumping accertato e dovrebbe essere inferiore a tale margine, qualora un importo inferiore sia sufficiente per eliminare il pregiudizio causato all’industria comunitaria».

8        Ai sensi dell’articolo 17 del regolamento di base:

«1.      Nei casi in cui il numero di denunzianti, esportatori o importatori, tipi di prodotto o operazioni [sia] molto elevato, l’inchiesta può essere limitata ad un numero adeguato di parti, prodotti o operazioni con l’utilizzazione di campioni statisticamente validi, sulla base delle informazioni disponibili al momento della selezione, oppure al massimo volume rappresentativo della produzione, delle vendite o delle esportazioni che possa essere adeguatamente esaminato entro il periodo di tempo disponibile.

(…)».

9        Il 12 dicembre 2012 è stato adottato il regolamento (UE) n. 1168/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica il regolamento n. 1225/2009 (GU 2012, L 344, pag. 1). A norma dell’articolo 1 del regolamento n. 1168/2012:

«Il regolamento [di base] è così modificato:

1)      l’articolo 2, paragrafo 7, è così modificato:

a)      alla lettera c), penultima frase, le parole “entro tre mesi dall’avvio dell’inchiesta” sono sostituite dalle seguenti: “di regola entro sette mesi, ma in ogni caso non oltre otto mesi dall’avvio dell’inchiesta”;

b)      è aggiunta la lettera seguente:

“d)      Se la Commissione ha svolto un esame limitato a norma dell’articolo 17, l’accertamento di cui alle lettere b) e c) del presente paragrafo è limitato alle parti incluse nell’esame e ai produttori che ricevono un trattamento individuale ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 3.”;

2)      all’articolo 9, paragrafo 6, la prima frase è sostituita dalla seguente:

“Se la Commissione ha svolto un esame limitato a norma dell’articolo 17, il dazio antidumping applicato a importazioni provenienti da esportatori o da produttori che si sono manifestati conformemente all’articolo 17, ma che non sono stati inseriti nell’esame, non supera la media ponderata del margine di dumping stabilito per le parti inserite nel campione, indipendentemente dal fatto che il valore normale per tali parti sia determinato sulla base dell’articolo 2, paragrafi da 1 a 6, o dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a)”».

10      In forza degli articoli 2 e 3 del regolamento n. 1168/2012, quest’ultimo si applica, a partire dal 15 dicembre 2012, a tutte le nuove inchieste e alle inchieste in corso ed entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Tale pubblicazione è avvenuta il 14 dicembre 2012.

 Regolamento controverso

11      Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento controverso, è istituito un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di moduli o di pannelli fotovoltaici in silicio cristallino e di celle del tipo utilizzato nei moduli o nei pannelli fotovoltaici in silicio cristallino, originari o provenienti dalla Cina e classificati con determinati codici della nomenclatura combinata di cui all’allegato I del regolamento (CEE) n. 2658/87 del Consiglio, del 23 luglio 1987, relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune (GU 1987, L 256, pag. 1), nella versione applicabile al momento dell’adozione del regolamento controverso. Il paragrafo 2 di tale articolo stabilisce l’aliquota del dazio antidumping definitivo applicabile al prezzo netto franco frontiera dell’Unione europea, al lordo del dazio, per i prodotti descritti nel paragrafo 1 dello stesso articolo e fabbricati dalle società elencate in detto paragrafo 2.

12      Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento controverso, che si applica a taluni prodotti indicati con riferimento ai codici di detta nomenclatura combinata e fatturati da società i cui impegni sono stati accettati dalla Commissione ed i cui nominativi figurano nell’elenco di cui all’allegato della decisione di esecuzione 2013/707/UE della Commissione, del 4 dicembre 2013, relativa alla conferma dell’accettazione di un impegno offerto in relazione ai procedimenti antidumping e antisovvenzioni relativi alle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese per il periodo di applicazione di misure definitive (GU 2013, L 325, pag. 214), le importazioni dichiarate per l’immissione in libera pratica sono esenti dal dazio antidumping istituito dall’articolo 1 del regolamento controverso, qualora determinate condizioni siano soddisfatte.

13      L’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento controverso stabilisce che un’obbligazione doganale sorge all’atto dell’accettazione della dichiarazione d’immissione in libera pratica ogniqualvolta sia accertata l’inosservanza di una o più delle condizioni elencate al paragrafo 1 di tale articolo oppure laddove la Commissione ritiri la propria accettazione dell’impegno.

 Fatti

14      Le ricorrenti appartengono al gruppo Canadian Solar. La Canadian Solar Manufacturing (Changshu), la Canadian Solar Manufacturing (Luoyang), la Csi Cells Co. e la Csi Solar Power sono produttori esportatori di celle e di moduli fotovoltaici in silicio cristallino. La Canadian Solar Emea si presenta come il loro importatore associato, avente sede nell’Unione.

15      Il 6 settembre 2012, la Commissione ha pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea un avviso di apertura di un procedimento antidumping relativo alle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti chiave (celle e wafer) originari della Repubblica popolare cinese (GU 2012, C 269, pag. 5).

16      Il gruppo Canadian Solar ha collaborato nell’ambito di tale procedimento.

17      Il 21 settembre 2012, le ricorrenti hanno depositato una domanda nella quale hanno richiesto di essere selezionate nel campione, previsto all’articolo 17 del regolamento di base. Tuttavia, tale domanda non è stata accolta.

18      In parallelo, l’8 novembre 2012, la Commissione ha pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea un avviso di apertura di un procedimento antisovvenzioni relativo alle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti chiave (celle e wafer) originari della Repubblica popolare cinese (GU 2012, C 340, pag. 13).

19      In data 13 novembre 2012, le ricorrenti, che hanno la qualità di produttori esportatori, hanno depositato, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base, talune richieste per la concessione del trattamento riservato alle imprese operanti in economia di mercato (in prosieguo: il «TEM»).

20      Il 3 gennaio 2013, la Commissione ha informato le ricorrenti che le loro richieste non sarebbero state esaminate.

21      Il 1o marzo 2013, la Commissione ha adottato il regolamento (UE) n. 182/2013, che dispone la registrazione delle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti chiave (celle e wafer) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese (GU 2013, L 61, pag. 2).

22      Il 4 giugno 2013, la Commissione ha adottato il regolamento (UE) n.°513/2013, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle e wafer) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese e che modifica il regolamento n. 182/2013 (GU 2013, L 152, pag. 5; in prosieguo: il «regolamento provvisorio»).

23      Il 2 agosto 2013, la Commissione ha adottato la decisione n. 2013/423/UE, che accetta un impegno offerto in relazione al procedimento antidumping relativo alle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle e wafer) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese (GU 2013, L 209, pag. 26), da parte di un gruppo di produttori esportatori cinesi che hanno collaborato, che sono elencati nell’allegato di detta decisione, e tra i quali si annoveravano la Canadian Solar Manufacturing (Changshu), la Canadian Solar Manufacturing (Luoyang), la Csi Cells Co. e la Csi Solar Power, in collaborazione con la Camera di commercio cinese per l’importazione e l’esportazione di macchinari e di prodotti elettronici (in prosieguo: la «CCCME»).

24      Lo stesso giorno, la Commissione ha adottato il regolamento (UE) n. 748/2013, che modifica il regolamento UE n. 513/2013 (GU 2013, L 209, pag. 1), al fine di tenere conto della decisione 2013/423. In sostanza, fermo restando il rispetto di determinate condizioni, l’articolo 6 del regolamento n. 513/2013, come modificato dal regolamento n. 748/2013, prevede in particolare che le importazioni di taluni prodotti enumerati da detto regolamento, dichiarate per l’immissione in libera pratica e fatturate da società i cui impegni sono stati accettati dalla Commissione e i cui nominativi sono elencati all’allegato della decisione 2013/423, sono esenti dal dazio antidumping provvisorio istituito dall’articolo 1 del medesimo regolamento.

25      Il 27 agosto 2013, la Commissione ha comunicato i principali fatti e considerazioni in base ai quali essa intendeva proporre l’istituzione di dazi antidumping sulle importazioni dei moduli e delle relative componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Cina.

26      In seguito alla notifica delle conclusioni definitive dei procedimenti antidumping e antisovvenzioni, i produttori esportatori, in collaborazione con la CCCME, hanno presentato una notifica di modifica della loro iniziale offerta di impegno.

27      Il 2 dicembre 2013, il Consiglio ha adottato il regolamento controverso. Avendo collaborato all’inchiesta antidumping, ma non essendo state selezionate nel campione di cui all’articolo 17 del regolamento di base, i produttori esportatori del gruppo Canadian Solar sono stati iscritti nell’allegato I del regolamento controverso. Le società iscritte in detto elenco si sono viste imporre, in forza dell’articolo 1 del medesimo regolamento, un dazio antidumping del 41,3%. A determinate condizioni, l’articolo 3 di tale regolamento esentava dal dazio istituito dal suo articolo 1 le importazioni fatturate dalle società i cui impegni erano stati accettati dalla Commissione e i cui nominativi erano elencati nell’allegato della decisione di esecuzione 2013/707, tra le quali si annoveravano i suddetti produttori esportatori.

28      Il 2 dicembre 2013, nell’ambito del procedimento parallelo antisovvenzioni, il Consiglio ha altresì adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 1239/2013 del Consiglio che istituisce un dazio compensativo definitivo sulle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e dei relativi componenti chiave (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese (GU 2013, L 325, pag. 66).

29      Il 4 dicembre 2013 la Commissione ha adottato la decisione di esecuzione 2013/707, mediante la quale ha accettato l’impegno offerto dai produttori esportatori elencati nel suo allegato, in collaborazione con la CCCME, nell’ambito dei procedimenti antidumping e antisovvenzioni relativi alle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Cina per il periodo di applicazione di misure definitive.

30      In seguito al deposito del ricorso di annullamento nell’ambito della causa che ha dato luogo alla sentenza impugnata, la Commissione ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) 2015/866, del 4 giugno 2015, che revoca l’accettazione dell’impegno per tre produttori esportatori a norma della decisione di esecuzione 2013/707 (GU 2015, L 139, pag. 30). In forza dell’articolo 1 di detto regolamento di esecuzione, l’accettazione dell’impegno per quanto riguarda, fra l’altro, la Canadian Solar Manufacturing (Changshu), la Canadian Solar Manufacturing (Luoyang), la Csi Cells Co. e la Csi Solar Power, è revocata. Tale regolamento di esecuzione è entrato in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, vale a dire il 6 giugno 2015.

31      La Commissione ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) 2017/367 della Commissione, del 1o marzo 2017, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle loro componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese in seguito ad un riesame in previsione della scadenza a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (UE) 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio, e che chiude il riesame intermedio parziale a norma dell’articolo 11, paragrafo 3, del regolamento (UE) 2016/1036 (GU 2017, L 56, pag. 131).

 Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

32      A sostegno del loro ricorso, le ricorrenti hanno dedotto sei motivi, vertenti, ciascuno, su una violazione di taluni articoli del regolamento di base: il primo, su una violazione dell’articolo 5, paragrafi 10 e 11; il secondo, su una violazione degli articoli 1 e 17; il terzo, su una violazione dell’articolo 2; il quarto, su una violazione dell’articolo 1, paragrafo 4, del medesimo regolamento; il quinto, su una violazione dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), e, il sesto, su una violazione dell’articolo 3 e dell’articolo 9, paragrafo 4.

33      Il Tribunale ha, innanzitutto, respinto l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio e dalla Commissione, concludendo, in particolare, che l’accettazione di un’offerta di impegno non incide né sulla ricevibilità del ricorso proposto avverso un atto che istituisce un dazio antidumping né sulla valutazione dei motivi fatti valere a sostegno di quest’ultimo e che le ricorrenti conservavano un interesse a vedere annullato il regolamento controverso.

34      Di seguito, il Tribunale ha esaminato i motivi dedotti dalle ricorrenti a sostegno del loro ricorso. Ha respinto i primi tre motivi in quanto irricevibili e gli ultimi tre motivi in quanto infondati. Di conseguenza, il Tribunale ha respinto il ricorso nella sua interezza.

 Conclusioni delle parti

35      Con la loro impugnazione, le ricorrenti chiedono che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata;

–        accogliere la domanda formulata nel ricorso di primo grado e annullare il regolamento controverso, nella parte in cui riguarda le ricorrenti;

–        condannare la convenuta in primo grado a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalle parti ricorrenti, sia in primo grado che in sede di impugnazione;

–        condannare tutte le altre parti nel procedimento d’impugnazione a sopportare le proprie spese, oppure, in subordine,

–        annullare la sentenza impugnata;

–        rinviare la causa dinanzi al Tribunale affinché statuisca nuovamente;

–        riservare la decisione in merito alle spese sostenute in primo grado e in sede di impugnazione, fino alla sentenza definitiva del Tribunale, e

–        condannare tutte le altre parti nel procedimento d’impugnazione a sopportare le proprie spese.

36      Il Consiglio chiede che la Corte voglia:

–        respingere l’impugnazione, e

–        condannare le ricorrenti alle spese relative all’impugnazione e al procedimento dinanzi al Tribunale.

37      La Commissione chiede che la Corte voglia:

–        respingere l’impugnazione, e

–        condannare le ricorrenti alle spese.

38      Con la sua impugnazione incidentale, la Commissione, sostenuta dal Consiglio, chiede che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata;

–        dichiarare irricevibile il ricorso di primo grado, oppure

–        in subordine, dichiarare privo di oggetto il ricorso di primo grado, oppure

–        in ulteriore subordine, dichiarare infondato il ricorso di primo grado e riformare l’interpretazione del nesso di causalità, ai sensi dell’articolo 3 del regolamento di base, data dal Tribunale nell’ambito del sesto motivo del ricorso di primo grado, e

–        condannare le ricorrenti alle spese.

39      Le ricorrenti chiedono che la Corte voglia:

–        respingere integralmente l’impugnazione incidentale;

–        condannare la Commissione a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalle ricorrenti nell’ambito del ricorso di primo grado e dell’impugnazione incidentale, e

–        condannare il Consiglio a sopportare le proprie spese.

 Sull’impugnazione incidentale

40      L’impugnazione incidentale proposta dalla Commissione mira, in via principale, a contestare la ricevibilità del ricorso di primo grado, ciò che costituisce una questione preliminare a quelle relative al merito sollevate nell’impugnazione principale. È quindi opportuno esaminarla per prima.

41      A sostegno della sua impugnazione incidentale, la Commissione, sostenuta dal Consiglio, solleva tre motivi. Il primo motivo, dedotto a titolo principale, verte su un errore di diritto là dove il Tribunale ha considerato il regolamento controverso idoneo, di per sé, a produrre conseguenze giuridiche per le ricorrenti. Il secondo motivo, fatto valere in subordine, verte su un difetto di motivazione e su un errore di diritto là dove il Tribunale ha dichiarato che l’interesse delle ricorrenti all’annullamento del regolamento controverso era sempre attuale alla data di pronuncia della sentenza impugnata. Il terzo motivo, invocato in ulteriore subordine, verte su un errore di diritto, in quanto il Tribunale ha affermato che l’articolo 3 e l’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base impongono un’analisi in due fasi, consistente, in un primo tempo, a dimostrare l’assenza di interruzione del nesso di causalità tra il dumping e il pregiudizio e, in un secondo tempo, a modulare il margine di dumping, e quindi potenzialmente l’aliquota del dazio, sulla base di un’imputazione dei diversi fattori di pregiudizio.

 Sul primo motivo dell’impugnazione incidentale

 Argomenti delle parti

42      Il primo motivo dell’impugnazione incidentale, sollevato in via principale, si articola in due capi.

43      Col primo capo di tale motivo, che si riferisce ai punti da 41 a 47 della sentenza impugnata, la Commissione fa valere che il Tribunale non ha sufficientemente motivato la propria conclusione che il regolamento controverso, e non la decisione di esecuzione 2013/707, incide sulla situazione giuridica delle ricorrenti e che, in ogni caso, nel formulare siffatta conclusione, il Tribunale ha violato il principio generale del diritto dell’Unione relativo all’equilibrio istituzionale nonché gli articoli 8 e 9 del regolamento di base.

44      La Commissione ritiene, in primo luogo, che la conclusione del Tribunale secondo cui occorre chiedere l’annullamento del regolamento controverso come mezzo adeguato per contestare le conclusioni relative all’esistenza di un dumping, di un pregiudizio e di un nesso di causalità trascura del tutto il fatto che le ricorrenti dovevano impugnare la decisione di esecuzione 2013/707 ove il loro obiettivo fosse quello di contestare tali conclusioni. Tuttavia, le valutazioni del Tribunale fonderebbero unicamente la conclusione secondo cui un ricorso potrebbe essere proposto o contro il regolamento controverso o contro la decisione di esecuzione 2013/707. Ne conseguirebbe un difetto di motivazione, poiché sarebbe impossibile dedurre dalla sentenza impugnata la ragione per la quale il regolamento controverso sarebbe necessariamente, se non addirittura abitualmente, l’atto da impugnare e non la decisione di esecuzione 2013/707, dalla quale derivano in realtà i diritti e/o gli obblighi per l’importatore interessato.

45      In secondo luogo, la Commissione deduce che il Tribunale, quando ha dichiarato che il ricorso deve essere proposto contro il regolamento controverso e non contro la decisione di esecuzione 2013/707, ha violato il principio generale dell’equilibrio istituzionale nonché la ripartizione dei poteri tra il Consiglio e la Commissione, quale sancita agli articoli 8 e 9 del regolamento di base. Infatti, la conclusione del Tribunale implicherebbe che tale decisione di esecuzione non sia, di per sé, autosufficiente, ma debba essere convalidata mediante i diritti e gli obblighi autosufficienti creati dal Consiglio attraverso l’adozione del regolamento controverso.

46      Inoltre, la Commissione osserva che tali errori di diritto non possono essere sanati mediante la conclusione, formulata al punto 42 della sentenza impugnata, secondo la quale i giudici dell’Unione avrebbero «implicitamente, ma necessariamente» confermato la ricevibilità di ricorsi contro regolamenti che istituiscono dazi definitivi proposti da parti interessate il cui impegno era stato accettato. Da un lato, semplicemente tale questione non sarebbe stata affrontata nella giurisprudenza citata in detto punto e, dall’altro, tale giurisprudenza sarebbe in diretta contraddizione con la sentenza del 29 marzo 1979, NTN Toyo Bearing e a./Consiglio (113/77, EU:C:1979:91).

47      Con il secondo capo del primo motivo dell’impugnazione incidentale, la Commissione sostiene che l’accettazione di un impegno è un atto favorevole, la cui adozione è stata chiesta dalle ricorrenti e che non pregiudica la situazione giuridica di queste ultime. La conclusione in senso contrario operata dal Tribunale al punto 46 della sentenza impugnata, anche supponendo che fosse corretta, dimostrerebbe solo un interesse a chiedere l’annullamento della decisione di esecuzione 2013/707, ma non quello del regolamento controverso. Detto punto 46 della sentenza impugnata sarebbe inficiato da due errori di diritto.

48      In primis, tale punto 46 non esporrebbe alcun ragionamento che spieghi la ragione in base alla quale l’accettazione di un impegno da parte della Commissione sarebbe diversa da una decisione della Commissione che dichiari compatibile con il mercato interno una concentrazione ad essa notificata, da una dichiarazione della Commissione che dichiari che un accordo non è in contrasto con l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE oppure da una decisione che dichiari compatibile con il mercato interno un aiuto di Stato notificato.

49      In secundis, la Commissione sostiene che l’articolo 8 del regolamento di base non prevede l’adozione di un atto separato dopo che la Commissione abbia terminato la sua inchiesta sul dumping e sul pregiudizio. Orbene, la conclusione del Tribunale implicherebbe che una società che offre un impegno sia tenuta a contestare in modo anticipato la decisione recante accettazione dell’impegno prima ancora che l’inchiesta antidumping sia conclusa diversi mesi dopo.

50      La Commissione indica, per scrupolo di completezza, che il punto 47 della sentenza impugnata contiene due errori di diritto. Da un lato, l’affermazione del Tribunale secondo cui il regolamento controverso ha modificato la situazione giuridica delle ricorrenti per quanto riguarda i «dazi antidumping sui prodotti non oggetto dell’impegno» discenderebbe da un errore di diritto collegato all’interpretazione dell’offerta di impegno o ad uno snaturamento degli elementi di prova da parte del Tribunale, se tale offerta doveva essere qualificata come un «elemento di fatto». Invero, secondo la Commissione, le ricorrenti non avevano il diritto di vendere il prodotto in questione in modo diverso da quanto previsto nelle disposizioni dell’impegno, come risulta chiaramente e senza ambiguità dal testo dell’offerta di impegno. Pertanto, i dazi avrebbero potuto colpire unicamente i prodotti che oltrepassavano il livello annuale e non i «prodotti non oggetto dell’impegno».

51      Dall’altro, poiché i dazi sui «prodotti [...] che oltrepassano il livello annuale» sono già stati inclusi nell’offerta di impegno, non si tratterebbe quindi di un nuovo diritto o di un nuovo obbligo derivante dal regolamento controverso.

52      Le ricorrenti ritengono che il primo motivo dell’impugnazione incidentale debba essere respinto.

 Giudizio della Corte

53      Con il primo motivo dell’impugnazione incidentale, la Commissione fa valere, in sostanza, che il Tribunale, ai punti da 41 a 47 della sentenza impugnata, ha commesso un errore di diritto nel considerare il regolamento controverso idoneo, di per sé, a produrre conseguenze giuridiche per le ricorrenti.

54      Il primo capo di detto motivo verte, in sostanza, sul fatto che il Tribunale non ha sufficientemente motivato la propria conclusione secondo cui il regolamento controverso – e non la decisione di esecuzione 2013/707, mediante la quale la Commissione ha accettato l’impegno offerto dai produttori esportatori elencati nel suo allegato, tra cui figurano quelli appartenenti al gruppo Canadian Solar – incide sulla situazione giuridica delle ricorrenti e sul fatto che, in ogni caso, nel formulare siffatta conclusione, il Tribunale ha violato il principio dell’equilibrio istituzionale.

55      In primo luogo, si deve rilevare che, contrariamente a quanto argomentato dalla Commissione, ai punti da 41 a 47 della sentenza impugnata il Tribunale non afferma che il regolamento controverso debba necessariamente, se non addirittura di regola, essere l’atto impugnato, né che il ricorso di annullamento dovesse essere proposto contro detto regolamento, e non contro la decisione di esecuzione 2013/707. Occorre pertanto constatare che la tesi della Commissione deriva da una lettura erronea della sentenza impugnata. Ciò posto, non si può addebitare al Tribunale di non avere motivato ciò che non ha affermato.

56      In secondo luogo, si deve constatare, da un lato, che, se la tesi della Commissione dovesse essere accettata, ciò equivarrebbe ad impedire alle imprese, il cui impegno di prezzo minimo all’importazione (in prosieguo: il «PMI») sia stato accettato dalla Commissione, di impugnare un regolamento che istituisce nei loro confronti un dazio antidumping definitivo. Ora, come indicato dal Tribunale, al punto 42 della sentenza impugnata, né il Tribunale né la Corte hanno, nelle loro sentenze citate in detto punto, giudicato come irricevibile il ricorso di annullamento proposto da un’impresa nei confronti di un regolamento che le impone dazi antidumping definitivi, per il motivo che un impegno di PMI offerto da tale impresa era stato accettato dalla Commissione.

57      Dall’altro lato, si deve rilevare che il regolamento controverso incide necessariamente sulla situazione giuridica delle ricorrenti in quanto, se un siffatto regolamento fosse annullato, l’offerta di impegno sarebbe caducata. Ebbene, ciò è proprio quello che il Tribunale ha rilevato al punto 45 della sentenza impugnata.

58      Si deve inoltre ricordare che, come risulta dai punti 44 e 45 della sentenza impugnata, le ricorrenti continuano ad essere soggette ai dazi antidumping previsti dal regolamento controverso, a norma dei suoi articoli 1 e 3, per le importazioni che vanno oltre il livello annuo previsto nell’impegno di PMI.

59      In tale contesto, la Commissione non può validamente sostenere che il Tribunale ha violato il principio dell’equilibrio istituzionale. Al contrario, la posizione della Commissione secondo cui, qualora l’obiettivo delle ricorrenti fosse quello di contestare le conclusioni relative all’esistenza di pratiche di dumping, esse dovevano impugnare la decisione di esecuzione 2013/707, può essere accettata solo laddove il Consiglio fosse obbligato, in seguito all’accettazione da parte della Commissione di un impegno di PMI offerto da un’impresa, ad adottare un regolamento istitutivo di misure antidumping definitive. Tuttavia, la competenza del Consiglio a tale riguardo non è una competenza vincolata, come risulta dall’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base, ai sensi del quale la proposta della Commissione è adottata dal Consiglio, a meno che esso non decida di respingerla.

60      Si deve ricordare, a tal riguardo, che il ruolo della Commissione s’inserisce nell’ambito del processo decisionale del Consiglio. Come risulta dalle disposizioni del regolamento di base, la Commissione ha l’onere di condurre indagini e di decidere, sulla base di queste ultime, di dichiarare concluso il procedimento o, al contrario, di proseguirlo adottando provvedimenti provvisori e proponendo al Consiglio l’adozione di misure definitive. Spetta tuttavia al Consiglio pronunciarsi in via definitiva (v., in tal senso, sentenza del 14 marzo 1990, Nashua Corporation e a./Commissione e Consiglio, C‑133/87 e C‑150/87, EU:C:1990:115, punto 8).

61      Pertanto, si deve respingere il primo capo del primo motivo dell’impugnazione incidentale.

62      Per quanto riguarda il secondo capo di tale primo motivo, secondo cui l’accettazione di un impegno di PMI costituirebbe un atto favorevole alle ricorrenti, che non pregiudica la situazione giuridica di queste ultime, contrariamente a quanto risulterebbe dal punto 46 della sentenza impugnata, è sufficiente notare che tale questione è irrilevante, dato che l’atto oggetto del ricorso di annullamento che il Tribunale ha giudicato ricevibile è il regolamento controverso e non la decisione di esecuzione 2013/707, mediante la quale la Commissione ha accettato tale impegno.

63      In merito ai due errori di diritto che inficerebbero il punto 47 della sentenza impugnata, che la Commissione afferma di dedurre solo per scrupolo di completezza, quand’anche fossero dimostrati, tali errori non potrebbero, alla luce di quanto emerge dai punti da 53 a 60 della presente sentenza, avere una qualsivoglia incidenza sulla validità della conclusione del Tribunale secondo cui l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio e dalla Commissione doveva essere respinta per il motivo che il regolamento controverso incide sulla situazione giuridica delle ricorrenti.

64      Si deve aggiungere che la Corte ha già statuito che il legislatore dell’Unione, in sede di adozione di tale regolamento, ha istituito misure di difesa commerciale che costituiscono un insieme o «pacchetto», le quali mirano ad un risultato comune, ossia l’eliminazione dell’effetto pregiudizievole sull’industria dell’Unione del dumping cinese relativo ai prodotti interessati, preservando al contempo l’interesse di tale industria, e che l’articolo 3 di detto regolamento non era separabile dal resto delle disposizioni del medesimo regolamento (v., in tal senso, sentenza del 9 novembre 2017, SolarWorld/Consiglio, C‑204/16 P, EU:C:2017:838, punti 44 e 55).

65      Di conseguenza, il primo motivo dell’impugnazione incidentale dev’essere respinto.

 Sul secondo motivo dell’impugnazione incidentale

 Argomenti delle parti

66      Con il secondo motivo dell’impugnazione incidentale, sollevato in subordine, la Commissione, sostenuta dal Consiglio, fa valere che, anche volendo ritenere che il Tribunale abbia a giusto titolo considerato, al punto 47 della sentenza impugnata, che il regolamento controverso ha modificato la situazione giuridica delle ricorrenti poiché è solo in forza di tale regolamento che esse devono pagare dazi sui pannelli solari di cui trattasi al di là del volume annuale, il ricorso di annullamento dinanzi al Tribunale sarebbe divenuto privo di oggetto il giorno dell’entrata in vigore del regolamento di esecuzione 2015/866, recante la revoca dell’accettazione dell’impegno offerto dalle ricorrenti.

67      La Commissione constata che il livello annuale di importazioni del prodotto di cui trattasi, previsto nell’accettazione dell’offerta di impegno delle ricorrenti, non è mai stato raggiunto prima dell’entrata in vigore di tale regolamento di esecuzione. Quindi, se anche le ricorrenti avessero tratto un interesse ad agire dalla clausola dell’impegno che prevedeva il pagamento di dazi per i prodotti importati al di là di detto livello annuale, tale interesse avrebbe, in ogni caso, cessato di esistere alla data di entrata in vigore di detto regolamento di esecuzione, circostanza che avrebbe indotto a constatare che, a tale data, il ricorso di annullamento era divenuto privo di oggetto. A tal riguardo, il Tribunale avrebbe omesso di rispondere ad un argomento in tal senso sollevato dalla Commissione nel corso dell’udienza dinanzi al Tribunale.

68      La Commissione aggiunge che, anche supponendo che il Tribunale abbia risposto a siffatto argomento, al punto 47 della sentenza impugnata, la sua risposta non affronta la questione sollevata dalla Commissione. Infatti, è proprio perché la Commissione ha revocato l’accettazione dell’impegno nei confronti delle ricorrenti a seguito del mancato rispetto di quest’ultimo che le conseguenze giuridiche di tale accettazione non potevano più procurare alle ricorrenti un legittimo interesse ad agire.

69      Le ricorrenti ritengono che tale motivo debba essere respinto in quanto incomprensibile e, in ogni caso, inconferente.

 Giudizio della Corte

70      Si deve rilevare che il rigetto del primo motivo del ricorso incidentale implica il rigetto del secondo motivo. In effetti, dalla valutazione che ha portato al rigetto del primo motivo risulta che il regolamento controverso produce effetti sulla situazione giuridica delle ricorrenti, a prescindere dall’esistenza della decisione di esecuzione 2013/707.

71      Di conseguenza, il fatto che il regolamento di esecuzione 2015/866 abbia revocato l’accettazione dell’impegno offerto dalle ricorrenti prevista dalla suddetta decisione di esecuzione 2013/707, mentre il livello annuale di importazioni del prodotto in questione, previsto in detto impegno, non è mai stato raggiunto, non può avere alcuna incidenza sulla constatazione che il regolamento controverso incide sulla situazione giuridica delle ricorrenti e che, di conseguenza, queste ultime erano legittimate ad introdurre dinanzi al Tribunale un ricorso di annullamento avverso quest’ultimo regolamento.

72      Si deve pertanto respingere il secondo motivo dell’impugnazione incidentale.

 Sul terzo motivo dell’impugnazione incidentale

73      Con il terzo motivo dell’impugnazione incidentale, dedotto in ulteriore subordine, la Commissione afferma che il Tribunale ha commesso un errore nell’interpretazione dell’articolo 3 del regolamento di base nonché dell’articolo 9, paragrafo 4, del medesimo regolamento, nell’ambito dell’esame del sesto motivo sollevato dinanzi ad esso dalle ricorrenti, là dove ha affermato che tali disposizioni imponevano di effettuare l’analisi di imputazione allo scopo di «di evitare di concedere all’industria dell’Unione una protezione eccedente quanto necessario».

74      È sufficiente rilevare, a tal proposito, che, conformemente all’articolo 169, paragrafo 1, e all’articolo 178, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, qualunque impugnazione, principale o incidentale, può avere come obiettivo unicamente l’annullamento, totale o parziale, della decisione del Tribunale.

75      Nel caso di specie, dato che il motivo in questione è stato respinto, la Commissione ha ottenuto, dinanzi al Tribunale, il rigetto del ricorso di annullamento del regolamento controverso conformemente a quanto da essa richiesto nell’ambito di detto ricorso. Il terzo motivo dell’impugnazione incidentale, che in realtà mira unicamente ad ottenere una sostituzione di elementi della motivazione per quanto riguarda l’interpretazione dell’articolo 3 del regolamento di base nonché dell’articolo 9, paragrafo 4, del medesimo regolamento non può, pertanto, essere accolto (v., in tal senso, sentenza del 13 gennaio 2015, Consiglio/Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht, da C‑401/12 P a C‑403/12 P, EU:C:2015:4, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

76      Ne consegue che il terzo motivo di impugnazione deve essere respinto in quanto irricevibile.

77      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre respingere l’impugnazione incidentale nella sua interezza.

 Sull’impugnazione

78      A sostegno della loro impugnazione, le ricorrenti deducono quattro motivi.

 Sul primo motivo

 Argomenti delle parti

79      Il primo motivo verte su un errore di diritto là dove il Tribunale, ai punti da 64 a 74 della sentenza impugnata, ha imposto alle ricorrenti l’onere di dimostrare il loro interesse a sollevare il primo e il secondo motivo del loro ricorso di annullamento e, in ogni caso, su un errore nella qualificazione giuridica dei fatti, dato che le ricorrenti ben vantavano un siffatto interesse.

80      Esse fanno valere, in primo luogo, che, per analogia, avendo applicato alla possibilità di sollevare motivi isolati la giurisprudenza della Corte secondo cui ogni ricorrente è tenuto a dimostrare di avere un interesse ad agire, vale a dire un interesse ad ottenere l’annullamento dell’atto impugnato, il Tribunale è incorso in errore di diritto per quattro ragioni.

81      Sotto un primo profilo, la valutazione del Tribunale sarebbe in contrasto con la giurisprudenza della Corte, che imporrebbe alle ricorrenti di dimostrare soltanto un interesse all’annullamento dell’atto impugnato.

82      Inoltre, il Tribunale avrebbe omesso di distinguere i motivi primo e secondo del ricorso di annullamento dalle situazioni nelle quali un motivo è irricevibile perché il ricorrente non ha titolo a sollevarlo. Tali situazioni, delineate dalla giurisprudenza della Corte, riguarderebbero, da un lato, il caso in cui un motivo non concerne un ricorrente, ma persegue l’interesse generale o gli interessi della legge, e, dall’altro il caso di un motivo che riguarda regole che, come il regolamento interno di un’istituzione, non sono intese a garantire la tutela dei singoli. Tuttavia, i motivi primo e secondo del ricorso di annullamento non riguardavano questo tipo di situazione e il Tribunale non avrebbe compiuto affermazioni in tal senso.

83      Sotto un secondo profilo, le ricorrenti lamentano una violazione dei loro diritti della difesa, in quanto il Tribunale avrebbe loro impedito di sollevare i motivi da esse ritenuti appropriati, in violazione dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

84      Sotto un terzo profilo, le ricorrenti affermano che, quand’anche si dovesse ammettere che esse erano tenute a dimostrare il loro interesse a sollevare il primo e il secondo motivo del ricorso di annullamento, la conclusione del Tribunale secondo cui tali motivi sono irricevibili violerebbe il loro diritto ad un ricorso effettivo, sancito all’articolo 47 della Carta. Infatti, le ricorrenti avrebbero dovuto proporre un ricorso di annullamento entro il termine previsto dall’articolo 263, sesto comma, TFUE al fine di evitare la prescrizione dei loro diritti, dato che, in caso contrario, alla luce della giurisprudenza derivante dalla sentenza del 9 marzo 1994, TWD Textilwerke Deggendorf (C‑188/92, EU:C:1994:90), si sarebbero assunte il rischio di essere private della possibilità di contestare la validità del regolamento controverso dinanzi al giudice di uno Stato membro nell’ambito di una domanda pregiudiziale.

85      A tal riguardo, le ricorrenti osservano che, secondo il Tribunale, il loro interesse a sollevare i primi due motivi del ricorso di annullamento sarebbe ipotetico, il che implicherebbe che, se il loro interesse a sollevare tali motivi sorgesse in un momento successivo alla scadenza del termine di due mesi di cui all’articolo 263, sesto comma, TFUE, sarebbe impedito loro di stare in giudizio. Una simile situazione sarebbe ancora più problematica, dato che una delle ricorrenti, la Canadian Solar Emea, società importatrice, sarebbe stata legittimata a contestare la validità del regolamento controverso dinanzi a un giudice nazionale in qualsiasi momento qualora non fosse stata collegata alle altre ricorrenti, che, a loro volta, sono società esportatrici.

86      Sotto un quarto profilo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha violato il loro diritto al contraddittorio, poiché la questione della ricevibilità dei primi due motivi del ricorso di annullamento non è stata pienamente discussa dinanzi al Tribunale. In effetti, tale questione non sarebbe stata sollevata dal Consiglio e dalla Commissione nel corso della fase scritta del procedimento, né affrontata in modo completo nel corso dell’udienza dinanzi al Tribunale, il che avrebbe impedito alle ricorrenti di dimostrare che esse producevano ed esportavano verso l’Unione, ed importavano nell’Unione, moduli originari di un paese terzo, ma provenienti dalla Cina, ed importavano nell’Unione moduli originari della Cina, ma provenienti da un paese terzo.

87      In secondo luogo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha commesso un errore nella qualificazione giuridica dei fatti quando ha affermato, ai punti da 69 a 73 della sentenza impugnata, che esse non avevano un interesse a sollevare il primo e il secondo motivo del ricorso di annullamento.

88      Da un lato, da una giurisprudenza costante della Corte risulterebbe che le ricorrenti hanno un interesse ad agire per evitare che le istituzioni ripetano errori basati su un’interpretazione errata delle disposizioni del regolamento di base, ciò che sarebbe peraltro avvenuto nel caso di specie, poiché la Commissione ha adottato un nuovo regolamento, segnatamente il regolamento di esecuzione 2017/367, che proroga la durata del regolamento controverso per un ulteriore periodo di diciotto mesi e che riprodurrebbe gli stessi errori.

89      Dall’altro lato, i motivi sollevati dalle ricorrenti riguardavano la portata dell’inchiesta antidumping, che a sua volta si sarebbe ripercossa sul dumping, sul pregiudizio, sul nesso di causalità e sulle valutazioni dell’interesse dell’Unione che hanno indotto il Consiglio ad adottare il regolamento controverso.

90      Il Consiglio e la Commissione chiedono di respingere il primo motivo in quanto in parte irricevibile e in parte infondato, e, in ogni caso, infondato in toto.

 Giudizio della Corte

91      Innanzitutto, il Tribunale ha ricordato a giusto titolo, al punto 64 della sentenza impugnata, che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, un ricorso di annullamento proposto da una persona fisica o giuridica è ricevibile solo ove quest’ultima abbia un interesse all’annullamento dell’atto impugnato. Un siffatto interesse presuppone che l’annullamento di detto atto possa produrre, di per sé, conseguenze giuridiche e che il ricorso possa pertanto, con il suo esito, procurare un beneficio alla parte che lo ha proposto. La prova di un interesse di questo tipo, che va valutato con riferimento al giorno di proposizione del ricorso e che costituisce il presupposto essenziale e preliminare di qualsiasi azione giurisdizionale, deve essere fornita dal ricorrente (sentenza del 18 ottobre 2018, Gul Ahmed Textile Mills/Consiglio, C‑100/17 P, EU:C:2018:842, punto 37).

92      Come pure affermato dal Tribunale ai punti 65 e 66 della sentenza impugnata, l’interesse ad agire di un ricorrente deve essere concreto ed attuale. Non può riguardare una situazione futura ed ipotetica. Detto interesse deve sussistere, alla luce dell’oggetto del ricorso, al momento della presentazione di quest’ultimo, a pena di irricevibilità, e perdurare fino alla pronuncia della decisione del giudice, pena il non luogo a statuire (sentenza del 17 settembre 2015, Mory e a./Commissione, C‑33/14 P, EU:C:2015:609, punti 56 e 57 nonché giurisprudenza ivi citata). Il giudice adito può sollevare d’ufficio e in qualsiasi momento del procedimento la mancanza di interesse di una parte a mantenere la propria domanda a causa del verificarsi di un fatto intervenuto successivamente alla data dell’atto introduttivo del giudizio (v., in tal senso, sentenza del 18 ottobre 2018, Gul Ahmed Textile Mills/Consiglio, C‑100/17 P, EU:C:2018:842, punto 38).

93      Per quanto riguarda l’affermazione secondo cui il Tribunale avrebbe ingiustamente imposto alle ricorrenti di dimostrare il loro interesse a sollevare il primo e il secondo motivo del loro ricorso di annullamento, si deve ricordare, in primo luogo, che la Corte ha già dichiarato che un motivo di annullamento è irricevibile a causa della mancanza di interesse ad agire qualora, anche supponendo che detto motivo sia fondato, l’annullamento dell’atto impugnato sulla base di tale motivo non sia idoneo a dare soddisfazione al ricorrente (v., in tal senso, sentenza del 9 giugno 2011, Evropaïki Dynamiki/BCE, C‑401/09 P, EU:C:2011:370, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

94      Per quanto riguarda l’affermazione secondo cui il Tribunale avrebbe commesso un errore nella qualificazione giuridica dei fatti, occorre rilevare che, certamente, dalla giurisprudenza della Corte risulta che, in determinate circostanze, un ricorrente può mantenere un interesse a chiedere l’annullamento di un atto abrogato in pendenza di giudizio, per indurre l’autore dell’atto impugnato ad apportare, in futuro, le modifiche appropriate ed evitare così il rischio di ripetizione dell’illegittimità che asseritamente inficia tale atto (sentenza del 6 settembre 2018, Bank Mellat/Consiglio, C‑430/16 P, EU:C:2018:668, punto 64).

95      Tuttavia, l’eventuale persistere di un siffatto interesse, al fine di evitare che le istituzioni ripetano errori fondati su un’errata interpretazione di una disposizione di diritto dell’Unione, non può essere ammesso in una situazione in cui l’interesse ad agire della ricorrente non è mai esistito.

96      Pertanto, dato che, alla data dell’introduzione del ricorso di annullamento, le ricorrenti non hanno dimostrato il loro interesse a sollevare i primi due motivi – là dove tale interesse deve, conformemente alla giurisprudenza citata ai punti 91 e 92 della presente sentenza, essere valutato con riferimento al giorno di proposizione del ricorso e non può riguardare una situazione futura ed ipotetica – esse non possono dimostrare un siffatto interesse facendo valere la necessità di evitare che le istituzioni ripetano errori fondati su un’errata interpretazione di una disposizione di diritto dell’Unione.

97      Per quanto riguarda l’affermazione secondo cui, dato che il primo e il secondo motivo del ricorso di annullamento riguardavano la portata dell’inchiesta antidumping, detti motivi dovrebbero essere dichiarati ricevibili, si deve constatare che tale affermazione non può essere accolta. Infatti, la circostanza che, nel merito, motivi di questo tipo riguardino taluni elementi dell’inchiesta, quali, in particolare, il dumping, il pregiudizio o il nesso causale, non potrebbe, di per sé sola, comportare la ricevibilità di questi motivi in una situazione in cui le ricorrenti non hanno dimostrato un interesse a sollevarli.

98      Ne consegue che giustamente il Tribunale, al punto 74 della sentenza impugnata, ha concluso, sulla base della giurisprudenza della Corte ricordata ai punti 91 e 92 della presente sentenza, che i primi due motivi del ricorso di annullamento dovevano essere respinti in quanto irricevibili.

99      In secondo luogo, per quanto concerne l’argomento secondo cui il Tribunale avrebbe violato l’articolo 47 della Carta, si deve sottolineare, in merito alla tutela da esso conferita, che detto articolo non ha per oggetto di modificare il sistema di controllo giurisdizionale previsto dai Trattati, ed in particolare le norme relative alla ricevibilità dei ricorsi proposti direttamente dinanzi al giudice dell’Unione, come si evince altresì dalle spiegazioni relative a tale articolo 47, le quali, conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE e all’articolo 52, paragrafo 7, della Carta, devono essere prese in considerazione ai fini dell’interpretazione di quest’ultima (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2013, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio, C‑583/11 P, EU:C:2013:625, punto 97 e giurisprudenza ivi citata).

100    Di conseguenza, si deve constatare che la tutela conferita dall’articolo 47 della Carta non esige che un singolo possa proporre in modo incondizionato un ricorso di annullamento contro atti legislativi dell’Unione direttamente dinanzi al giudice dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2013, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio, C‑583/11 P, EU:C:2013:625, punto 105).

101    In tali circostanze, le ricorrenti non possono validamente sostenere che l’onere di dimostrare un interesse a sollevare un determinato motivo di annullamento violerebbe il loro diritto a un ricorso effettivo, quale previsto all’articolo 47 della Carta.

102    Inoltre, per quanto riguarda l’affermazione secondo cui il Tribunale avrebbe violato il diritto al contraddittorio delle ricorrenti, derivante da tale articolo della Carta, si deve constatare che queste ultime non contestano il fatto che, in occasione dell’udienza dinanzi al Tribunale, i diversi intervenienti abbiano discusso in merito all’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio riguardo ai primi due motivi del ricorso di annullamento. Pertanto, le ricorrenti non possono validamente sostenere che il Tribunale non ha consentito loro di dibattere tutte le questioni di diritto che sono state decisive per l’esito del procedimento né di fornire gli elementi di prova necessari a sostegno della loro posizione.

103    In terzo luogo, per quanto riguarda l’argomento secondo cui, alla luce della giurisprudenza derivante dalla sentenza del 9 marzo 1994, TWD Textilwerke Deggendorf (C‑188/92, EU:C:1994:90), la conclusione del Tribunale ostacolerebbe la legittimazione delle ricorrenti a stare in giudizio qualora il loro interesse a far valere il primo e il secondo motivo nascesse in un momento successivo alla scadenza del termine di due mesi di cui all’articolo 263, sesto comma, TFUE, è sufficiente rilevare che, in una situazione del genere, la giurisprudenza in questione non osterebbe, in linea di principio, alla loro possibilità di sollevare motivi di questo tipo dinanzi a un giudice nazionale.

104    In considerazione di quanto precede, il primo motivo d’impugnazione deve essere respinto.

 Sul secondo motivo

105    Il secondo motivo verte su un errore di diritto, da un lato, là dove il Tribunale ha richiesto alle ricorrenti di fornire la prova del loro interesse a sollevare il terzo motivo del ricorso di annullamento e, dall’altro, là dove esso ha interpretato erroneamente l’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base, letto in combinato disposto con l’articolo 1, paragrafo 3, di tale regolamento.

106    In primo luogo, per le stesse ragioni esposte ai punti da 91 a 98 della presente sentenza, occorre respingere l’argomento secondo cui il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto quando ha richiesto alle ricorrenti di dimostrare il loro interesse a sollevare il terzo motivo del ricorso di annullamento.

107    In secondo luogo, riguardo all’argomento relativo a un eventuale errore commesso dal Tribunale nell’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base, letto in combinato disposto con l’articolo 1, paragrafo 3, di tale regolamento, è sufficiente rilevare che i punti da 90 a 95 della sentenza impugnata, ai quali si riferisce detto argomento, fanno parte di una valutazione del Tribunale formulata ad abundantiam. Ne consegue che tale argomento è inconferente.

108    Di conseguenza, si deve respingere il secondo motivo di impugnazione.

 Sul terzo motivo

109    Il terzo motivo verte sul fatto che il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel dichiarare, da un lato, che il regolamento n. 1168/2012 si applica all’inchiesta antidumping sfociata nell’adozione del regolamento controverso e, dall’altro, che quest’ultimo non è inficiato da un errore di diritto nonostante la Commissione non si sia pronunciata sulla domanda delle ricorrenti diretta ad ottenere il TEM.

 Argomenti delle parti

110    Per quanto riguarda, in primo luogo, l’applicazione del regolamento n. 1168/2012, le ricorrenti ricordano che detto regolamento, che ha modificato il regolamento di base, fa seguito alla sentenza del 2 febbraio 2012, Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (C‑249/10 P, EU:C:2012:53), nella quale la Corte ha dichiarato che l’omissione, da parte della Commissione, di statuire su una richiesta di TEM costituiva una violazione del regolamento di base, inficiando di conseguenza il regolamento istitutivo dei dazi antidumping oggetto della causa che aveva dato luogo a tale sentenza.

111    Esse ritengono che la modifica introdotta nella presente causa dal regolamento n. 1168/2012 abbia limitato il diritto di chiedere il TEM ai soli produttori esportatori inclusi nel campione dell’inchiesta antidumping di cui trattasi. Tuttavia, il Tribunale di primo grado avrebbe erroneamente dichiarato che detta modifica era applicabile alla presente inchiesta antidumping e che non si trattava di un’applicazione retroattiva della legge, con la motivazione che il superamento del termine applicabile per decidere su una richiesta di TEM non aveva creato una situazione definitivamente costituita in capo alle ricorrenti.

112    Ad avviso di queste ultime, una siffatta conclusione del Tribunale le priva del diritto di far esaminare la loro richiesta di TEM e indebitamente autorizza la Commissione a sottrarsi al suo dovere di statuire in merito ad essa. Dato che la concessione del TEM avrebbe comportato l’utilizzo dei prezzi e dei costi delle ricorrenti, in luogo di quelli di un produttore di un paese analogo, per stabilire il valore normale applicabile, il fatto che la Commissione abbia omesso di statuire su tale domanda avrebbe comportato un cambiamento definitivo che incide in senso negativo ed irrevocabile sui diritti delle ricorrenti.

113    Queste ultime ritengono che il testo dell’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base, prima e dopo la modifica introdotta dal regolamento n. 1168/2012, non lasci spazio ad alcun dubbio. Infatti, prima di tale modifica, detta disposizione precisava che i produttori esportatori non inseriti nel campione, come le ricorrenti, erano legittimati a chiedere il TEM e che la Commissione aveva l’obbligo di pronunciarsi a favore o contro la sua concessione.

114    In seguito a tale modifica, l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base si applicherebbe, a partire dal 15 dicembre 2012, a tutte le nuove inchieste e alle inchieste in corso. Tuttavia, nella presente causa, il termine imposto alla Commissione per pronunciarsi sulla richiesta di TEM delle ricorrenti sarebbe scaduto il 6 dicembre 2012, vale a dire prima dell’entrata in vigore della modifica introdotta dal regolamento n. 1168/2012. Al mancato compimento della fase consistente nella statuizione sulla concessione del TEM non può essere posto rimedio attraverso un’applicazione retroattiva di quest’ultimo regolamento.

115    Le ricorrenti sottolineano che dal tenore letterale stesso della disposizione transitoria della modifica introdotta dal regolamento n. 1168/2012 risulta che tale modifica non si applica a tale fase nell’ambito della presente inchiesta antidumping, atteso che l’obbligo per la Commissione di pronunciarsi in merito alla concessione di un TEM è una norma di carattere sostanziale e non procedurale. Pertanto, la giurisprudenza della Corte sull’applicazione nel tempo delle norme di carattere procedurale, richiamata dal Tribunale ai punti 157, 159 e 160 della sentenza impugnata, sarebbe inappropriata.

116    La scadenza del termine per statuire sulla domanda di TEM avrebbe, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, in concreto creato una situazione divenuta definitiva nei confronti delle ricorrenti, nel senso che la Commissione non avrebbe, contrariamente all’obbligo ad essa incombente, rispettato la fase consistente nel pronunciarsi sulla concessione o meno di un TEM.

117    Le ricorrenti sostengono che, ove la Commissione avesse statuito in merito, la sua decisione non avrebbe potuto essere modificata in un momento successivo dell’inchiesta antidumping a svantaggio delle ricorrenti, a meno che non venissero in essere nuove informazioni non disponibili alla data in cui si era statuito in merito alla concessione di un TEM. L’applicazione del regolamento n. 1168/2012 alla richiesta di TEM presentata dalle ricorrenti priverebbe pertanto ex post queste ultime del loro diritto di ottenere l’esame di tale domanda, sebbene sia pacifico che esse possedevano tale diritto alla data in cui la Commissione doveva statuire su tale domanda.

118    A tal proposito, l’interpretazione delle ricorrenti riguardante l’applicazione del regolamento n. 1168/2012 non sarebbe in contrasto con il tenore letterale delle disposizioni di tale regolamento e, anche supponendo che lo fosse, la modifica introdotta da detto regolamento, nella misura in cui si applica alle ricorrenti, sarebbe illegittima poiché incompatibile con i principi di certezza del diritto e di non retroattività.

119    In secondo luogo, le ricorrenti contestano al Tribunale di aver commesso un errore di diritto quando ha dichiarato, ai punti da 162 a 165 della sentenza impugnata, che il fatto che la Commissione non avesse statuito in merito alla domanda delle ricorrenti volta ad ottenere il TEM non comportava l’annullamento del regolamento controverso. Infatti, dato che la modifica introdotta dal regolamento n. 1168/2012 non era applicabile alla presente inchiesta antidumping, la Commissione avrebbe dovuto statuire sulla domanda di SEM delle ricorrenti.

120    Il Consiglio e la Commissione sostengono che il terzo motivo è, in parte, irricevibile e, in parte, infondato.

121    Per quanto riguarda la ricevibilità di detto motivo, essi sostengono, in sostanza, che l’argomento delle ricorrenti, secondo cui il Tribunale avrebbe trascurato il fatto che il termine impartito alla Commissione per statuire sulla richiesta di TEM delle ricorrenti fosse scaduto prima dell’entrata in vigore di tale modifica, è irricevibile, dato che le ricorrenti reiterano gli stessi argomenti da esse sollevati dinanzi al Tribunale. Inoltre, la tesi secondo cui detta modifica potrebbe essere illegittima nella misura in cui si applica alle ricorrenti, costituirebbe un motivo nuovo e, come tale, irricevibile. Infatti, le ricorrenti non avrebbero sollevato dinanzi al Tribunale alcuna eccezione di illegittimità, ai sensi dell’articolo 277 TFUE, contro l’articolo 2 del regolamento di base, nella sua versione conseguente alla modifica introdotta dal regolamento n. 1168/2012.

 Giudizio della Corte

–       Sulla ricevibilità

122    Le eccezioni di irricevibilità del Consiglio e della Commissione non possono essere accolte.

123    Infatti, in primis, l’argomento delle ricorrenti secondo cui il Tribunale ha commesso un errore di diritto quando ha trascurato il fatto che il termine impartito alla Commissione per statuire in merito alla richiesta di TEM delle ricorrenti fosse scaduto prima dell’entrata in vigore del regolamento n. 1168/2012, mira, come osserva l’avvocato generale al paragrafo 43 delle sue conclusioni, a rimettere in discussione l’applicazione, da parte del Tribunale, della norma transitoria di cui all’articolo 2 di tale regolamento e, in particolare, il punto 152 della sentenza impugnata.

124    Si deve ricordare, a tale riguardo, che, quando un ricorrente contesta l’interpretazione o l’applicazione del diritto dell’Unione operata dal Tribunale, i punti di diritto esaminati in primo grado possono essere nuovamente discussi in sede di impugnazione. Infatti, se un ricorrente non potesse, in tale maniera, basare l’impugnazione su motivi e argomenti già utilizzati dinanzi al Tribunale, il procedimento di impugnazione sarebbe parzialmente privato del suo significato (sentenza del 9 novembre 2017, SolarWorld/Consiglio, C‑204/16 P, EU:C:2017:838, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).

125    Non si può pertanto affermare che le ricorrenti mirano ad ottenere un mero riesame del ricorso presentato dinanzi al Tribunale.

126    In secundis, senza che occorra pronunciarsi sull’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio e dalla Commissione, secondo cui l’argomento delle ricorrenti relativo all’illegittimità del regolamento n. 1168/2012 costituirebbe un motivo nuovo, si deve constatare che tale argomento è, in ogni caso, irricevibile perché le ricorrenti si limitano ad affermare che questo regolamento è illegittimo a motivo della sua incompatibilità con i principi di certezza del diritto e di irretroattività, senza fornire il minimo elemento a sostegno di una simile affermazione.

127    Infatti, gli elementi dell’impugnazione che non contengono alcuna argomentazione volta specificamente a identificare l’errore di diritto da cui sarebbe inficiata la sentenza impugnata devono essere respinti in quanto irricevibili (v., in tal senso, ordinanza del 18 ottobre 2018, Alex/Commissione, C‑696/17 P, non pubblicata, EU:C:2018:848, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).

128    Ne consegue che, fatta eccezione per l’argomento relativo all’illegittimità del regolamento n. 1168/2012, il terzo motivo dell’impugnazione è ricevibile.

–       Nel merito

129    Con il terzo motivo, le ricorrenti fanno valere che il Tribunale ha commesso un errore di diritto, da un lato, quando ha dichiarato che il regolamento n. 1168/2012 si applicava all’inchiesta antidumping sfociata nell’adozione del regolamento controverso e, dall’altro, quando ha considerato che quest’ultimo regolamento non è inficiato da un errore benché la Commissione non si sia pronunciata sulla domanda delle ricorrenti diretta ad ottenere il TEM.

130    Va osservato, in primo luogo, che, come giustamente dichiarato dal Tribunale al punto 153 della sentenza impugnata, il tenore letterale dell’articolo 2 del regolamento n. 1168/2012 osta all’interpretazione dell’ambito di applicazione di detto regolamento sostenuta dalle ricorrenti. Infatti, tale articolo precisa chiaramente che il regolamento si applica, a partire dal 15 dicembre 2012, a tutte le nuove inchieste e alle inchieste in corso. Orbene, le ricorrenti non contestano che, a tale data, l’inchiesta antidumping che ha portato all’adozione del regolamento controverso era in corso. In effetti, a tale data, il Consiglio non aveva adottato né misure definitive sulla base dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base né una decisione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, di tale regolamento.

131    Inoltre, dato che l’articolo 2 del regolamento n. 1168/2012 fa riferimento, senza ulteriori indicazioni, a «tutte [le] inchieste in corso», le ricorrenti non possono validamente sostenere che tale articolo si riferisce unicamente alle inchieste in corso nelle quali il termine per pronunciarsi su una richiesta di TEM non sia ancora trascorso.

132    In secondo luogo, occorre rilevare che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, il superamento del termine per statuire su una domanda di TEM applicabile ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base, nella sua versione anteriore al regolamento n. 1168/2012, senza che la Commissione abbia adottato una decisione in merito a tale domanda, non ha creato una situazione definitivamente costituita in capo alle ricorrenti.

133    Da un lato, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 74 delle sue conclusioni, la Commissione poteva validamente statuire sulla richiesta di TEM dopo la scadenza del termine di tre mesi di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base, nella sua versione anteriore al regolamento n. 1168/2012.

134    A tale riguardo, la Corte ha infatti già dichiarato che, anche se la Commissione ha adottato una decisione sulla richiesta di TEM, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), essa può modificare la sua decisione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 1o ottobre 2009, Foshan Shunde Yongjian Housewares & Hardware/Consiglio, C‑141/08 P, EU:C:2009:598, punti da 111 a 113).

135    Dall’altro lato, come giustamente sottolineato dal Tribunale al punto 160 della sentenza impugnata, la situazione delle ricorrenti è stata fissata in modo definitivo soltanto in seguito all’entrata in vigore del regolamento controverso e, fino all’adozione di quest’ultimo, le ricorrenti non avevano acquisito alcuna certezza riguardo ai loro eventuali diritti ed obblighi derivanti dall’applicazione del regolamento di base.

136    Si deve ricordare a tal riguardo che, come è già stato rilevato al punto 60 della presente sentenza, il ruolo della Commissione s’inserisce nell’ambito del processo decisionale del Consiglio, e che essa ha il compito, risultante dalle disposizioni del regolamento di base, di condurre indagini e di decidere, sulla base di queste ultime, di porre termine alla procedura o, al contrario, di proseguirla adottando provvedimenti provvisori e proponendo al Consiglio l’adozione di misure definitive. Spetta tuttavia al Consiglio esprimersi in via definitiva.

137    Pertanto, si deve constatare che, alla data dell’entrata in vigore del regolamento n. 1168/2012, la situazione delle ricorrenti non era divenuta definitiva.

138    Ne consegue che il superamento del termine applicabile, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base, nella sua versione anteriore al regolamento n. 1168/2012, per statuire su una domanda di TEM, senza che la Commissione abbia adottato una decisione in merito a tale domanda non ha avuto alcun’incidenza sull’applicabilità di quest’ultimo regolamento all’inchiesta antidumping sfociata nell’adozione del regolamento controverso.

139    Risulta da quanto precede che il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto quando ha considerato che, in sostanza, il fatto che la Commissione non abbia statuito sulla domanda delle ricorrenti diretta da ottenere il TEM non era tale da comportare l’annullamento del regolamento controverso.

140    Di conseguenza, in considerazione di quanto precede, il terzo motivo dell’impugnazione deve essere respinto.

 Sul quarto motivo

141    Con il quarto motivo, le ricorrenti deducono che, ai punti 202 e da 205 a 216 della sentenza impugnata, il Tribunale ha commesso un errore di diritto quando ha consentito al Consiglio di fissare il dazio antidumping a un livello tale da compensare il pregiudizio derivante da fattori diversi dalle importazioni oggetto di dumping e quando ha indebitamente invertito l’onere della prova.

 Argomenti delle parti

142    In primo luogo, le ricorrenti sostengono che il criterio applicato dal Tribunale, secondo cui occorre prendere in considerazione l’effetto pregiudizievole di altri fattori solo se questo effetto è di un’importanza tale che risulti interrotto il nesso di causalità tra il pregiudizio subito e le importazioni oggetto di dumping, si fonda su un’interpretazione errata dell’articolo 3, paragrafo 7, del regolamento di base, letto in combinato disposto con l’articolo 9, paragrafo 4, del medesimo regolamento.

143    Infatti, in primis, le ricorrenti affermano che, per calcolare il margine di pregiudizio e, quindi, per fissare il dazio antidumping sulla base dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base, il Consiglio è tenuto a scartare ogni pregiudizio causato da fattori diversi dalle importazioni oggetto di dumping. Siffatto obbligo del Consiglio giocherebbe un ruolo durante due distinte fasi procedurali, vale a dire per determinare l’esistenza di un pregiudizio e per fissare il livello del dazio antidumping conformemente all’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base. Tali obblighi avrebbero lo scopo di bilanciare gli interessi degli importatori, dell’industria e dei consumatori dell’Unione, nonché dei produttori esportatori dell’Unione, e costituirebbero, nell’ambito delle misure di difesa commerciale dell’Unione, l’espressione del principio generale di proporzionalità.

144    Da un lato, il Consiglio e la Commissione sarebbero tenuti, al fine di stabilire l’esistenza di un pregiudizio, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 7, del regolamento di base, di accertarsi che il pregiudizio causato dalle importazioni oggetto di dumping, previa esclusione del pregiudizio causato da altri fattori, resti «importante» e che detti altri fattori non abbiano interrotto il nesso di causalità tra tali importazioni e il pregiudizio.

145    Dall’altro lato, le ricorrenti affermano che, anche quando detto nesso di causalità non sia interrotto, i dazi antidumping possono risarcire l’industria dell’Unione solo nella misura del pregiudizio causato dalle importazioni oggetto di dumping e non nella misura del «pregiudizio autonomo» causato da altri fattori. Decidere diversamente equivarrebbe a conferire all’industria dell’Unione una tutela che va al di là di quanto necessario. Di conseguenza, il Consiglio, al fine di fissare il dazio antidumping conformemente all’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base, dovrebbe apportare correzioni a titolo del pregiudizio causato da altri fattori.

146    In secundis, le ricorrenti aggiungono, anzitutto, che, sebbene il Tribunale abbia riconosciuto che almeno tre ulteriori fattori avevano contribuito al pregiudizio subito dall’industria dell’Unione, e sebbene il Consiglio abbia ammesso che né esso né la Commissione avevano negato il pregiudizio causato da tali fattori, il Tribunale ha omesso di esporre i motivi in base ai quali l’incidenza di tali tre ulteriori fattori non era significativa, in tal modo violando il suo obbligo di motivazione, ai sensi dell’articolo 296 TFUE. Inoltre, alla luce delle constatazioni del Tribunale riguardanti il contributo di tali tre fattori al pregiudizio subito dall’industria dell’Unione, il Tribunale avrebbe dovuto obbligare il Consiglio a ridurre il dazio antidumping nella misura dell’effetto cumulato di tali altri fattori. Infine, quando ha affermato che i suddetti fattori avevano avuto un’incidenza e ha poi concluso, senza alcun fatto dimostrato a sostegno di ciò, che tale incidenza non era significativa, il Tribunale sarebbe incorso in un errore sulla qualificazione dei fatti.

147    In secondo luogo, per quanto riguarda l’asserita violazione dell’onere della prova, le ricorrenti addebitano al Tribunale di imporre loro di quantificare, con prove a sostegno, l’incidenza dei tre ulteriori fattori all’origine del pregiudizio causato all’industria dell’Unione.

148    Innanzitutto, il Consiglio e la Commissione sarebbero tenuti a basare il loro accertamento del pregiudizio su prove positive nonché su un esame obiettivo di tutti i fatti pertinenti a loro disposizione. Secondo le ricorrenti, spetta a tali istituzioni fornire la prova delle correzioni da apportare a titolo del pregiudizio causato dagli altri fattori. In effetti, nulla autorizzerebbe a far gravare detto onere sui produttori esportatori, in particolare quando la giustificazione di tale inversione dell’onere della prova sia legata esclusivamente al fatto che la valutazione che compete a queste istituzioni è troppo complessa.

149    Inoltre, il Tribunale avrebbe imposto alle ricorrenti un onere della prova che sarebbe impossibile da soddisfare. Infatti, esse affermano di non avere accesso alle informazioni necessarie a calcolare l’impatto degli altri fattori.

150    Infine, le ricorrenti ritengono che, in applicazione del principio di buona amministrazione, ai sensi dell’articolo 41 della Carta, il Tribunale non può consentire al Consiglio e alla Commissione di avvalersi della complessità di una valutazione per astenersi dal procedere ad una valutazione richiesta dalla legge, in particolare quando tale astensione leda gli operatori economici.

151    Il Consiglio e la Commissione chiedono alla Corte di respingere il quarto motivo, al contempo chiedendo alla Corte di procedere ad una sostituzione di elementi della motivazione.

152    Tali istituzioni fanno valere, in sostanza, che le conclusioni del Tribunale che appaiono ai punti 185 e da 191 a 193 della sentenza impugnata lasciano intendere, erroneamente, che il livello dei dazi antidumping dovrebbe essere ridotto a causa dell’esistenza di fattori, diversi dalle importazioni oggetto di dumping, che potrebbero incidere sul pregiudizio.

153    Esse affermano che, da un lato, il calcolo del margine di pregiudizio ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base e, dall’altro, la determinazione dell’esistenza di un pregiudizio, ai sensi dell’articolo 3 di detto regolamento, rappresentano due diverse fasi. Al fine di stabilire il margine del pregiudizio, il Consiglio e la Commissione effettuerebbero il loro calcolo sulla base dei prezzi, degli utili e dei costi di produzione dell’industria dell’Unione, senza tener conto dei «[fattori noti diversi d]alle importazioni oggetto di dumping», che potrebbero aver contribuito al pregiudizio subito dall’industria dell’Unione, dato che tali elementi sono pertinenti solo per l’esame dell’interruzione del nesso di causalità, ai sensi dell’articolo 3 del regolamento di base.

154    Secondo la giurisprudenza della Corte, durante la determinazione del margine di pregiudizio ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base non vi sarebbe luogo per un’analisi di imputazione. La Corte, in tale giurisprudenza, avrebbe dichiarato che, sebbene il Consiglio e la Commissione avessero trascurato, nella loro analisi di imputazione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 7, del regolamento di base, un fattore che avrebbe potuto contribuire al pregiudizio, un errore di questo tipo non era tale da comportare l’annullamento dei regolamenti contestati nei procedimenti in questione, dato che tali istituzioni avevano dimostrato che detto ulteriore fattore non era atto ad interrompere il nesso di causalità. Di conseguenza, la Corte ammetterebbe una sola analisi di imputazione, che interverrebbe nella fase della dell’accertamento del nesso di causalità.

155    Pertanto, l’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base non potrebbe essere interpretato nel senso che il dazio antidumping debba essere ridotto al fine di tener conto dell’effetto di altri fattori. Non sussisterebbe alcun obbligo di questo tipo nel sistema dell’Organizzazione mondiale del Commercio (OMC) o nella prassi dei principali partner commerciali dell’Unione, di cui quest’ultima tiene conto, conformemente al considerando 4 del regolamento di base.

156    In subordine, il Consiglio fa valere che tale quarto motivo è irricevibile e, in ogni caso, infondato. La Commissione sostiene, in subordine, che detto motivo è inconferente e, comunque, infondato.

 Giudizio della Corte

157    Le ricorrenti fanno valere che il Tribunale, ai punti da 205 a 216 della sentenza impugnata, è incorso in un errore di diritto quando ha permesso al Consiglio di fissare il dazio antidumping a un livello tale da compensare il pregiudizio derivante da fattori diversi dalle importazioni oggetto di dumping, in violazione dell’articolo 3, paragrafo 7, del regolamento di base, letto in combinato disposto con l’articolo 9, paragrafo 4, di tale regolamento. Esse sostengono altresì che, ai punti 202 e 205 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe indebitamente invertito l’onere della prova.

158    Il Consiglio e la Commissione chiedono una sostituzione di elementi della motivazione, sostenendo che la valutazione del Tribunale di cui ai punti 185 e da 191 a 193 della sentenza impugnata contiene un’interpretazione errata dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base, nella parte in cui essa implica che il livello dei dazi antidumping debba essere ridotto a causa dell’esistenza di fattori, diversi dalle importazioni oggetto di dumping, che potrebbero compromettere il pregiudizio.

159    In via preliminare, si deve rilevare che detta domanda di sostituzione di elementi della motivazione è ricevibile nella parte in cui costituisce una difesa avverso il quarto motivo dedotto dalle ricorrenti (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punto 42), e che tale domanda si riferisce ai punti 185 e da 191 a 193 della sentenza impugnata, i quali contengono, come risulta dal punto 196 di tale sentenza, i principi sulla base dei quali il Tribunale ha esaminato la fondatezza degli argomenti delle ricorrenti relativi alla loro sesto motivo di annullamento e la cui valutazione è rimessa in discussione nell’ambito del presente quarto motivo.

160    Pertanto, nell’ambito dell’analisi di tale quarto motivo, occorre esaminare, in primo luogo, la fondatezza di tale domanda di sostituzione di elementi della motivazione.

161    Al punto 191 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che, sebbene l’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base non imponesse alle istituzioni dell’Unione alcun metodo particolare al fine di garantire che il dazio antidumping non andasse al di là di quanto necessario per rimediare agli effetti pregiudizievoli delle importazioni del prodotto oggetto di dumping, queste ultime dovevano, in tale contesto, tener conto delle conclusioni da esse raggiunte nell’ambito delle analisi effettuate a norma dell’articolo 3, paragrafi 6 e 7, di tale regolamento.

162    Il Tribunale ha aggiunto, al punto 192 della sentenza impugnata, che, se così non fosse, sussisterebbe il rischio che le misure di difesa commerciale in questione vadano al di là di quanto è necessario alla luce dell’obiettivo da esse perseguito, vale a dire l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli, così che esse potrebbero anche fornire una protezione nei confronti degli effetti negativi di fattori diversi dalle importazioni oggetto di dumping.

163    Orbene, tale valutazione non è inficiata da un errore di diritto.

164    Occorre ricordare che l’articolo 3, paragrafo 7, del regolamento di base prevede che i fattori noti, diversi dalle importazioni oggetto di dumping, che contemporaneamente causano un pregiudizio all’industria dell’Unione, vengono esaminati in modo da evitare che il pregiudizio dovuto a tali altri fattori sia attribuito alle importazioni oggetto di dumping a norma del paragrafo 6 di detto articolo 3. Quest’ultimo paragrafo precisa che deve essere dimostrato, in base a tutti gli elementi di prova pertinenti presentati, che le importazioni oggetto di dumping causano un pregiudizio importante all’industria dell’Unione.

165    Durante l’accertamento di quest’ultimo, le istituzioni dell’Unione sono tenute a valutare se il pregiudizio che esse intendono prendere in considerazione provenga effettivamente dalle importazioni oggetto di dumping e ad escludere ogni pregiudizio derivante da altri fattori e, in particolare, quello eventualmente causato dallo stesso comportamento dei produttori dell’Unione (sentenza del 16 aprile 2015, TMK Europe, C‑143/14, EU:C:2015:236, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

166    A tal titolo, spetta al Consiglio e alla Commissione verificare se gli effetti di detti altri fattori non siano stati tali da interrompere il nesso di causalità tra le importazioni di cui trattasi, da un lato, e il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione, dall’altro. Spetta loro altresì verificare – come giustamente ricordato dal Tribunale al punto 185 della sentenza impugnata – che il danno riconducibile a detti altri fattori non venga conteggiato nella determinazione del pregiudizio, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 7, del regolamento di base, e che, di conseguenza, il dazio antidumping imposto non ecceda quanto necessario ad eliminare il pregiudizio provocato dalle importazioni oggetto di dumping (sentenza del 16 aprile 2015, TMK Europe, C‑143/14, EU:C:2015:236, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

167    Quest’ultimo requisito è fondato sull’obiettivo delle norme di cui all’articolo 3, paragrafi 6 e 7, del regolamento di base, secondo cui l’industria dell’Unione non può ottenere una tutela che vada al di là di quanto necessario per contrastare gli effetti pregiudizievoli delle importazioni oggetto di dumping (v., in tal senso, in materia di sovvenzioni, sentenza del 3 settembre 2009, Moser Baer India/Consiglio, C‑535/06 P, EU:C:2009:498, punto 90, nonché, in materia di misure antidumping, sentenza del 19 dicembre 2013, Transnational Company «Kazchrome» e ENRC Marketing/Consiglio, C‑10/12 P, non pubblicata, EU:C:2013:865, punto 39).

168    Orbene, in tale contesto, va osservato che il Tribunale ha correttamente rilevato che l’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base mira anch’esso a garantire tale obiettivo. Infatti, ai sensi di tale disposizione, qualora dalla constatazione definitiva dei fatti risulti l’esistenza di dumping e di un conseguente pregiudizio e quando gli interessi dell’Unione esigano un intervento, il Consiglio istituisce un dazio antidumping definitivo, il cui importo non deve superare il margine di dumping accertato, se non addirittura essere inferiore a tale margine, qualora un dazio inferiore sia sufficiente per eliminare il pregiudizio causato all’industria dell’Unione.

169    Affinché l’importo del dazio antidumping istituito a norma dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base non vada al di là di quanto necessario per contrastare gli effetti pregiudizievoli delle importazioni oggetto di dumping, è necessario che detto importo non tenga conto degli effetti pregiudizievoli causati da fattori diversi da tali importazioni. In altre parole, è necessario, come emerge, in sostanza, dai punti 191 e 192 della sentenza impugnata, che il Consiglio e la Commissione tengano conto, ai fini della determinazione di tale importo, delle conclusioni alle quali dette istituzioni sono pervenute all’esito dell’esame relativo alla determinazione dell’esistenza del pregiudizio, ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 6 e 7, del medesimo regolamento.

170    Tale conclusione è, inoltre, confermata dal tenore letterale dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base, il quale, nella prima frase, si riferisce al «dumping e [al] conseguente pregiudizio». Pertanto, come giustamente rilevato dal Tribunale, al punto 189 della sentenza impugnata, il termine «pregiudizio», nell’ultima frase di detto paragrafo, deve essere inteso nello stesso modo, come riferito al pregiudizio risultante dal dumping, vale a dire, al pregiudizio causato unicamente dalle importazioni oggetto di dumping.

171    La stessa constatazione è suffragata anche dall’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, dal quale risulta che i dazi antidumping devono essere fissati in un importo adeguato a ciascun caso ed imposti senza discriminazioni sulle importazioni di un prodotto, indipendentemente dalla fonte, per le quali sia stato accertato che sono oggetto di dumping e che causano pregiudizio.

172    Pertanto, la domanda di sostituzione di elementi della motivazione presentata dalla Commissione e dal Consiglio deve essere respinta.

173    Per quanto riguarda il motivo dedotto dalle ricorrenti, occorre in primo luogo ricordare che, come risulta dai punti da 164 a 172 della presente sentenza, il Tribunale non ha interpretato l’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base nel senso che esso consente al Consiglio di fissare il dazio antidumping a un livello tale da compensare il pregiudizio causato da fattori diversi dalle importazioni oggetto di dumping.

174    Inoltre, si deve rilevare che il Tribunale ha affermato, al punto 206 della sentenza impugnata, che, in ogni caso, dall’esame dei passaggi pertinenti dei regolamenti provvisorio e controverso non è emerso che nella determinazione del pregiudizio sono stati presi in considerazione fattori diversi dalle importazioni oggetto di dumping. Il Tribunale ha aggiunto che ciò vale a maggior ragione in quanto le ricorrenti non hanno fatto valere alcun errore manifesto di valutazione per quanto riguarda l’analisi dei suddetti fattori.

175    Ebbene, in materia di politica commerciale comune, e specialmente nell’ambito delle misure di difesa commerciale, le istituzioni dell’Unione godono di un ampio potere discrezionale in considerazione della complessità delle situazioni economiche, politiche e giuridiche che devono esaminare (sentenza del 3 settembre 2009, Moser Baer India/Consiglio, C‑535/06 P, EU:C:2009:498, punto 85 e giurisprudenza ivi citata).

176    Nel caso di specie, si deve constatare che le ricorrenti non contestano in modo circostanziato e specifico l’affermazione compiuta dal Tribunale al punto 206 della sentenza impugnata, secondo cui le ricorrenti non hanno fatto valere dinanzi ad esso alcun errore manifesto di valutazione da parte delle istituzioni per quanto riguarda l’analisi, in sede di determinazione del pregiudizio, dei fattori diversi dalle importazioni oggetto di dumping.

177    Ciò posto, l’argomento delle ricorrenti relativo al fatto che il Tribunale avrebbe consentito al Consiglio e alla Commissione di imporre un livello di dazio antidumping tale da compensare tanto il pregiudizio causato dalle importazioni controverse quanto quello causato da altri fattori non può essere accolto.

178    In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento relativo all’inversione dell’onere della prova, si deve ricordare che certamente il Consiglio e la Commissione sono tenuti a valutare se il pregiudizio che intendono prendere in considerazione per adottare la misura antidumping provenga effettivamente dalle importazioni oggetto di dumping e ad escludere ogni pregiudizio derivante da altri fattori. Tuttavia, come giustamente ricordato dal Tribunale al punto 188 della sentenza impugnata, spetta alle parti che invocano l’illegittimità di un regolamento antidumping apportare gli elementi di prova atti a dimostrare che altri fattori, oltre alle importazioni, hanno potuto avere un’importanza tale da rimettere in discussione la sussistenza del nesso causale tra il pregiudizio subito dall’industria comunitaria e le importazioni oggetto di dumping (v., in tal senso, sentenza del 16 aprile 2015, TMK Europe, C‑143/14, EU:C:2015:236, punti 41 e 42 e giurisprudenza ivi citata).

179    A tale proposito, al punto 205 della sentenza impugnata, il Tribunale ha constatato che le ricorrenti non avevano presentato al Tribunale alcun argomento né tanto meno prove idonei a dimostrare che i fattori da esse richiamati avessero un’incidenza di importanza tale che l’esistenza di un pregiudizio causato all’industria dell’Unione, nonché quella del nesso causale tra detto pregiudizio e le importazioni oggetto di dumping, non fossero più affidabili in relazione all’obbligo del Consiglio e della Commissione di escludere ogni pregiudizio derivante da altri fattori. Ebbene, tale constatazione non è stata censurata dinanzi alla Corte.

180    Inoltre, il Tribunale ha affermato, al punto 202 della sentenza impugnata, che le ricorrenti non hanno né contestato né dimostrato dinanzi ad esso l’erroneità della dichiarazione del Consiglio secondo cui non era possibile una quantificazione degli effetti imputabili ad altri fattori. Ebbene, le ricorrenti non rimettono in discussione, nella loro impugnazione, tale affermazione del Tribunale relativa alla mancata contestazione, da parte delle stesse, nell’ambito del ricorso di primo grado, delle dichiarazioni del Consiglio.

181    Pertanto, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto per quanto riguarda l’applicazione dei criteri relativi all’assunzione delle prove.

182    Ne consegue che il quarto motivo deve essere respinto.

183    Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso dev’essere respinto.

 Sulle spese

184    Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è respinta, la Corte statuisce sulle spese.

185    L’articolo 138, paragrafo 1, di tale regolamento, che si applica al procedimento d’impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo regolamento, prevede che la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

186    Le società Canadian Solar Emea, Canadian Solar Manufacturing (Changshu), Canadian Solar Manufacturing (Luoyang), Csi Cells Co. nonché Csi Solar Power, rimaste soccombenti nella loro impugnazione principale, devono essere condannate alle spese relative a detto procedimento di impugnazione, avendone il Consiglio nonché la Commissione fatto domanda.

187    Ai sensi dell’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura, anch’esso applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, dello stesso regolamento, la Commissione, intervenuta nel procedimento relativo all’impugnazione principale, sopporterà le proprie spese.

188    La Commissione, rimasta soccombente nella sua impugnazione incidentale, deve essere condannata alle spese relative all’impugnazione incidentale, avendone le società Canadian Solar Emea, Canadian Solar Manufacturing (Changshu), Canadian Solar Manufacturing (Luoyang), Csi Cells Co. e Csi Solar Power fatto domanda.

189    Ai sensi dell’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura, anch’esso applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, dello stesso regolamento, il Consiglio, intervenuto nel procedimento relativo all’impugnazione incidentale, sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Le impugnazioni sono respinte.

2)      Le società Canadian Solar Emea GmbH, Canadian Solar Manufacturing (Changshu) Inc., Canadian Solar Manufacturing (Luoyang) Inc., Csi Cells Co. Ltd e Csi Solar Power Group Co. Ltd sono condannate alle spese relative all’impugnazione principale.

3)      La Commissione europea sopporta le proprie spese relative all’impugnazione principale.

4)      La Commissione europea è condannata alle spese relative all’impugnazione incidentale.

5)      Il Consiglio dell’Unione europea sopporta le proprie spese relative all’impugnazione incidentale.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.