CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
GIOVANNI PITRUZZELLA
presentate il 29 aprile 2021(1)
Causa C‑783/19
Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne
contro
GB
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Audiencia Provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona, Spagna)]
«Rinvio pregiudiziale – Protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari – Servizi – Nozione di evocazione – Comparabilità tra i prodotti – DOP «Champagne» – Uso della denominazione «Champanillo» per servizi di ristorazione»
1. La domanda di pronuncia pregiudiziale oggetto delle presenti conclusioni verte sull’interpretazione dell’articolo 103 del regolamento n. 1308/2013 (2).
2. Tale domanda è stata presentata nel quadro di una controversia tra il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (in prosieguo: il «CIVC») e GB avente ad oggetto l’uso nel commercio del segno CHAMPANILLO per designare dei locali commerciali adibiti ad attività di ristorazione.
I. Contesto giuridico
3. L’articolo 92, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 1308/2013, inserito nella sezione 2 di tale regolamento, dispone quanto segue:
«1. Le regole in materia di denominazioni di origine, indicazioni geografiche e menzioni tradizionali di cui alla presente sezione si applicano ai prodotti di cui all’allegato VII, parte II, punto 1, punti da 3 a 6 e punti 8, 9, 11, 15 e 16 (3).
2. Le regole di cui al paragrafo 1 sono basate:
a) sulla protezione dei legittimi interessi dei consumatori e dei produttori;
b) sull’assicurazione del buon funzionamento del mercato interno dei prodotti di cui trattasi e
c) sulla promozione della produzione di prodotti di qualità di cui alla presente sezione, consentendo nel contempo misure nazionali di politica della qualità».
4. Ai sensi dell’articolo 93, paragrafo 1, lettera a), di tale regolamento:
«1. Ai fini della [sezione 2 del regolamento n. 1308/2013] si intende per:
a) “denominazione di origine”, il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali e debitamente giustificati, di un paese che serve a designare un prodotto di cui all’articolo 92, paragrafo 1, conforme ai seguenti requisiti:
i) la qualità e le caratteristiche del prodotto sono dovute essenzialmente o esclusivamente a un particolare ambiente geografico e ai suoi fattori naturali e umani;
ii) le uve da cui è ottenuto il prodotto provengono esclusivamente da tale zona geografica;
iii) la produzione avviene in detta zona geografica e
iv) il prodotto è ottenuto da varietà di viti appartenenti alla specie Vitis vinifera (…)».
5. L’articolo 103, paragrafo 2, del medesimo regolamento, intitolato «Protezione», prevede:
«Le denominazioni di origine protette [(DOP)] e le indicazioni geografiche protette [(IGP)] e i vini che usano tali denominazioni protette in conformità con il relativo disciplinare sono protette contro:
a) qualsiasi uso commerciale diretto o indiretto del nome protetto:
i) per prodotti comparabili non conformi al disciplinare del nome protetto, o
ii) nella misura in cui tale uso sfrutti la notorietà di una denominazione di origine o di una indicazione geografica;
b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto o servizio è indicata o se il nome protetto è una traduzione, una trascrizione o una traslitterazione o è accompagnato da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione”, “gusto”, “come” o espressioni simili;
(…)».
6. Conformemente all’articolo 104, prima frase, del regolamento n. 1308/2013, «[l]a Commissione crea e tiene aggiornato un registro elettronico delle [DOP] e delle [IGP] dei vini, accessibile al pubblico».
7. In forza dell’articolo 107, paragrafo 1, del regolamento n. 1308/2013, talune DOP di vini esistenti prima dell’entrata in vigore di tale regolamento sono automaticamente protette in virtù dello stesso e iscritte al registro di cui all’articolo 104 di detto regolamento. La denominazione «Champagne» è una DOP ai sensi dell’articolo 93, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1308/2013 registrata a livello dell’Unione (4) e protetta in forza dell’articolo 107, paragrafo 1, di tale regolamento in quanto esistente prima dell’entrata in vigore dello stesso. Questa denominazione è riservata ai vini spumanti di qualità (bianchi o rosé) quali definiti all’allegato VII, parte II, punto 5, del regolamento n. 1308/2013, prodotti, conformemente alle specifiche definite nel relativo disciplinare, in certe zone o villaggi dei dipartimenti francesi della Marne e dell’Aube nonché nella regione del Grand Est.
II. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte
8. Il CIVC, appellante nel procedimento principale, è un organismo semi-pubblico dotato di personalità giuridica, riconosciuto in diritto francese e incaricato di proteggere gli interessi dei produttori di champagne. Il CIVC ha intentato un’azione dinanzi allo Juzgado mercantil de Barcelona (Tribunale di commercio di Barcellona, Spagna) al fine di ottenere da GB, appellato nel procedimento principale, la cessazione dell’uso, incluso nei social network (Instagram e Facebook), del segno CHAMPANILLO, il ritiro dal mercato e da Internet di ogni insegna e documento pubblicitario o commerciale sui quali figura detto segno nonché la soppressione del nome di dominio «champanillo.es». GB si è costituito in giudizio facendo valere che il segno CHAMPANILLO è utilizzato come nome commerciale di locali adibiti a ristorazione (dei «tapas bar» situati nella comunità autonoma di Catalogna), senza alcun rischio di confusione con i prodotti coperti dalla denominazione «Champagne» e senza alcun intento parassitario della rinomanza di tale denominazione.
9. Lo Juzgado mercantil de Barcelona (Tribunale di commercio di Barcellona) ha respinto tutte le domande del CIVC. Esso ha ritenuto che l’uso del segno CHAMPANILLO non integrasse un’evocazione in violazione della DOP «Champagne», poiché era diretto a designare non una bevanda alcolica ma dei locali di ristorazione – in cui non si commercializza champagne – e dunque dei prodotti diversi da quelli protetti dalla DOP, rivolti ad un pubblico diverso. Nei motivi di tale sentenza, lo Juzgado mercantil de Barcelona (Tribunale di commercio di Barcellona) ha rinviato all’orientamento espresso dal Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna) in una sentenza del 2016, in cui si è escluso che l’uso del termine CHAMPÌN per commercializzare una bevanda gassata senza alcol a base di frutta, destinata al consumo nel corso di feste per bambini, violasse la DOP «Champagne», data la differenza tra i prodotti interessati e il pubblico cui erano destinati e malgrado la somiglianza fonetica tra i due segni (5).
10. Il CIVC ha impugnato la sentenza dello Juzgado mercantil de Barcelona (Tribunale di commercio di Barcellona) dinanzi all’Audiencia provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona, Spagna). Quest’ultima espone: i) che GB ha tentato per due volte di registrare il segno CHAMPANILLO come marchio presso l’ufficio dei brevetti spagnolo e che tali domande sono state respinte, con decisioni dell’8 febbraio 2011 e del 14 aprile 2015, a seguito di opposizione da parte del CIVC; ii) che GB utilizza come supporto grafico per pubblicizzare i suoi locali l’immagine di due coppe contenenti una bevanda spumante; iii) che il CIVC ha prodotto documenti che attestano che fino al 2015 GB commercializzava nei suoi locali un vino (6) spumante denominato «Champanillo» e che le vendite sono cessate solo a seguito di un intervento del CIVC.
11. Il giudice del rinvio rileva che sia l’articolo 13 del regolamento n. 510/2006 (7), sia l’articolo 103 del regolamento n. 1308/2013 tutelano le DOP in nei confronti di prodotti, con la sola eccezione dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), che menziona altresì i servizi. Esso afferma provare dubbi circa la portata e la corretta interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione sulla protezione delle DOP in una situazione in cui il segno in conflitto con una tale denominazione è utilizzato nel commercio per designare non dei prodotti ma dei servizi.
12. È in tale contesto che l’Audiencia Provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona) ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se la portata della protezione di [una] denominazione di origine consenta di tutelarla non solo rispetto a prodotti simili, ma anche nei confronti di servizi che potrebbero essere connessi alla distribuzione diretta o indiretta di tali prodotti.
2) Se il rischio di violazione per evocazione di cui ai citati articoli dei regolamenti comunitari richieda che si esegua principalmente un’analisi della denominazione utilizzata[,] per determinarne l’effetto sul consumatore medio, o s[e], al fine di esaminare tale rischio di violazione per evocazione[,] occorra determinare in via preliminare se si tratti di prodotti uguali, prodotti simili o prodotti complessi che contengano, fra i loro componenti, un prodotto tutelato da una denominazione di origine.
3) Se il rischio di violazione per evocazione debba essere stabilito con parametri oggettivi quando sussista una coincidenza totale o molto elevata fra i nomi, o se debba essere graduato in considerazione dei prodotti e servizi evocativi ed evocati al fine di concludere che il rischio di evocazione è lieve o irrilevante.
4) Se la protezione prevista dalla normativa di riferimento nei casi di rischio di evocazione o sfruttamento sia una protezione specifica, propria delle peculiarità di questi prodotti, o se la protezione debba necessariamente essere collegata alle norme sulla concorrenza sleale».
13. Hanno presentato osservazioni ai sensi dell’articolo 23 dello statuto della Corte il CIVC, i governi francese e italiano e la Commissione. A titolo di misura di organizzazione del procedimento ai sensi dell’articolo 61, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, quest’ultima ha invitato le parti nel procedimento principale e gli interessati ai sensi dell’articolo 23 dello statuto a rispondere per iscritto a taluni quesiti. Il CIVC, GB, i governi francese e italiano e la Commissione hanno dato seguito a tale misura.
III. Analisi
A. Osservazioni preliminari
14. Prima di procedere all’esame delle questioni pregiudiziali occorre apportare alcune precisazioni al quadro normativo esposto nella decisione di rinvio.
15. Emerge, in primo luogo, da tale ordinanza che l’Audiencia provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona) considera applicabili alla controversia principale sia la convenzione bilaterale tra la Repubblica francese e lo Stato spagnolo del 27 giugno 1973 sulla tutela delle denominazioni di origine, delle indicazioni di provenienza e delle denominazioni di taluni prodotti (8), sia, in virtù di tale convenzione, il decreto n. 2010-1441 del 22 novembre 2010, relativo alla denominazione di origine controllata «Champagne» (9) e l’articolo L 643-1 del codice rurale francese (10). Secondo il giudice del rinvio tali disposizioni del diritto francese «si integrano» con le disposizioni applicabili del diritto dell’Unione.
16. Ora, come correttamente evidenziato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, la Corte ha già avuto modo di precisare, con riferimento al regolamento n. 1234/2007 (11) (abrogato e sostituito a partire dal 20 dicembre 2013 dal regolamento n. 1308/2013), che il regime di protezione delle denominazioni di origine istituito dalla legislazione dell’Unione è «uniforme e esclusivo» e osta sia all’applicazione di un regime di protezione nazionale di indicazioni geografiche protette in forza di tale legislazione (12), sia all’applicazione di un regime di protezione previsto da trattati che vincolano due Stati membri (13).
17. In secondo luogo, sebbene nella formulazione delle questioni pregiudiziali l’Audencia provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona) non faccia riferimento espresso ad alcuna specifica disposizione dei regolamenti dell’Unione in materia di protezione delle DOP, nei motivi dell’ordinanza di rinvio tale giudice si riferisce, come si è visto, oltre che all’articolo 103 del regolamento n. 1308/2013, altresì all’articolo 13 del regolamento n. 510/2006 (14). Tuttavia, l’articolo 1, paragrafo 1, secondo comma, di tale regolamento (15) esclude espressamente dal suo ambito di applicazione i prodotti del settore vitivinicolo. Pertanto, né il regolamento n. 510/2006, né il regolamento n. 1151/2012, che lo ha sostituito, si applicano alla controversia principale.
18. Ciononostante, poiché le disposizioni in materia di protezione delle indicazioni geografiche contenute nei diversi regolamenti settoriali sono redatte in termini largamente coincidenti, la Corte riconosce, per giurisprudenza costante, ai principi elaborati nel quadro dell’interpretazione dei singoli regimi di protezione un’applicazione trasversale (16).
19. Per quanto concerne, infine, l’applicazione ratione temporis della normativa dell’Unione, nonostante non vi sia un’espressa indicazione in tal senso nell’ordinanza di rinvio, appare evidente che le condotte contro le quali è diretta l’azione del CIVC sono state, almeno in parte, commesse dopo l’entrata in vigore del regolamento n. 1308/2013. Ne consegue che le questioni pregiudiziali devono intendersi come dirette a ottenere un’interpretazione dell’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento n.1308/2013. Inoltre, sebbene anche tale elemento non risulti espressamente dall’ordinanza di rinvio, è possibile che alcuni degli illeciti asseritamente commessi da GB in violazione della DOP «Champagne» siano stati iniziati nel periodo di vigenza del regolamento n. 1234/2007. Pertanto, anche se nell’esame delle questioni pregiudiziali mi riferirò unicamente all’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013, le risposte che suggerirò di apportare a tali questioni valgono altresì ai fini dell’interpretazione dell’articolo 118 quatordecies del regolamento n. 1234/2007, come modificato dal regolamento n. 491/2009 (17), redatto in termini sostanzialmente identici.
B. Sulla prima questione pregiudiziale
20. Con la sua prima questione pregiudiziale il giudice del rinvio chiede in sostanza se le DOP sono protette solo contro pratiche che si riferiscono a prodotti identici o comparabili a quelli designati dalla denominazione in questione o anche nei confronti di pratiche relative a servizi connessi alla distribuzione diretta o indiretta di tali prodotti.
21. Tale questione è formulata in termini ampi, suscettibili di ricomprendere tutti i comportamenti vietati ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento n. 1308/2013.
22. Emerge tuttavia sia dal fascicolo del procedimento principale (18) sia dalla formulazione della seconda e della terza questione pregiudiziale e dai motivi dell’ordinanza di rinvio che i dubbi dell’Audiencia provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona) e la controversia che tale giudice è chiamato a dirimere riguardano specificamente la protezione per evocazione prevista alla lettera b) del paragrafo 2 di tale articolo.
23. Ciononostante, nelle rispettive osservazioni scritte, sia il CIVC che la Commissione si sono espressamente riferiti anche alla lettera a) di tale paragrafo, mentre il governo francese ha esaminato la prima questione pregiudiziale con riferimento all’insieme dei comportamenti vietati dall’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento n. 1308/2013, incluse le pratiche di cui alle lettere c) e d) di tale disposizione (19).
24. A titolo di misura di organizzazione del procedimento, la Corte ha invitato le parti e gli interessati ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto a pronunciarsi sulla possibilità di applicare alla controversia principale l’articolo 103, paragrafo 2, lettera a), ii), del regolamento n. 1308/2013, disposizione che vieta l’uso commerciale diretto o indiretto della denominazione protetta che sfrutti la notorietà di quest’ultima. La questione posta dalla Corte faceva espresso riferimento al punto 31 della sentenza del 7 giugno 2018 Scotch Whisky Association (20) (in prosieguo: la «sentenza Scotch Whisky Association»), in cui, pronunciandosi sull’interpretazione dell’articolo 16, lettera a), del regolamento n. 110/2008 (21), la Corte ha precisato che «le situazioni che possono rientrare nell’ambito [di tale disposizione] devono rispondere al requisito di un impiego, da parte del segno controverso, dell’indicazione geografica registrata in modo identico, o quantomeno fortemente simile, da un punto di vista fonetico e/o visivo».
25. È indubbio che la DOP «Champagne» e il segno controverso, CHAMPANILLO, presentano un certo grado di somiglianza dal punto di vista fonetico e visuale, in particolare se la comparazione è effettuata tenendo conto della traduzione in spagnolo della prima, «Champán» (22). In effetti, ad eccezione dell’accento, quest’ultima è interamente riprodotta e immediatamente percepibile sia visualmente che foneticamente, nella denominazione contestata. È dunque lecito chiedersi, anche al fine di delimitare la portata della prima questione pregiudiziale, se l’articolo 103, paragrafo 2, lettera a), ii), del regolamento n. 1308/2013 sia comunque applicabile ad una situazione come quella della controversia principale, vale a dire se l’uso del segno contestato possa costituire «uso» della DOP «Champagne» ai sensi di tale disposizione (23).
26. Come la Commissione, sono tuttavia incline a rispondere negativamente a tale interrogativo e a ritenere che i comportamenti contestati dal CIVC debbano essere esaminati alla luce della sola lettera b) dell’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento n. 1308/2013.
27. In effetti, se è vero che la nozione di «uso» di un’indicazione geografica protetta ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera a), di tale regolamento è suscettibile di includere anche l’impiego, nel segno controverso, di una siffatta indicazione «in modo fortemente simile da un punto di vista fonetico e/o visivo» (24), le precisazioni apportate dalla Corte nella sentenza Scotch Whisky Association conducono a ritenere che il livello di somiglianza richiesto tra i segni in conflitto, affinché sia riscontrabile un tale impiego, sia particolarmente elevato e prossimo all’identità. Al punto 29 di tale sentenza, la Corte ha infatti chiarito che rientra nell’ambito di applicazione di detta disposizione un uso dell’indicazione geografica protetta «in una forma che presenti collegamenti così stretti con quest’ultima, da un punto di vista fonetico e/o visivo, che il segno controverso risulti evidentemente legato ad essa in modo inscindibile».
28. Ora, il raffronto tra i segni in conflitto nella controversia principale non soddisfa, a mio avviso, un tale test. In particolare, la situazione di cui al procedimento principale si distingue da quella che costituiva oggetto della causa che ha dato luogo alla sentenza CIVC, in cui pure si trattava della riproduzione, come parte della denominazione di un prodotto, di una traduzione della DOP «Champagne». In effetti, in quel caso, il segno «Champagner» (traduzione in tedesco della denominazione «Champagne») era utilizzato isolatamente nella denominazione contestata, seppur seguito dalla menzione «Sorbet». Il segno oggetto di contestazione nel procedimento principale, invece, si allontana sensibilmente, sia visualmente sia foneticamente, dalla denominazione in spagnolo «Champàn» a causa dell’aggiunta a tale denominazione del suffisso «illo».
29. Rilevo peraltro che tale aggiunta sembra invece permettere di stabilire una forte somiglianza, se non una vera e propria identità, concettuale tra la denominazione «Champagne» e il segno controverso, se, come sembra emergere dal fascicolo, quest’ultimo significa letteralmente «piccolo champagne» e corrisponde grossomodo, in italiano, al termine gergale «champagnino» (in francese «petit champagne»). Tale fattore depone, a mio avviso, a maggior ragione in favore della riconduzione delle pratiche contestate nella sfera di applicazione della lettera b) dell’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento n. 1308/2013, che, come si vedrà meglio in seguito, copre situazioni in cui si induce nella mente del consumatore di riferimento un’associazione tra il segno controverso e il prodotto che beneficia della DOP (25).
30. Osservo infine che, pronunciandosi sull’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 1151/2012, il cui testo è redatto in termini largamente coincidenti a quelli dell’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento n. 1308/2013, la Corte ha riconosciuto che tale disposizione contiene un elenco graduato di comportamenti vietati e che l’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1151/2012 deve necessariamente distinguersi da quello relativo alle altre norme sulla protezione delle denominazioni registrate ed in particolare da quello della lettera b) (26). Ora, un’interpretazione eccessivamente ampia della nozione di «uso» ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera a), ii), del regolamento n. 1308/2013, includendovi situazioni in cui la pratica asseritamente illecita consiste in un uso della denominazione protetta in una forma che non è sostanzialmente corrispondente a quella registrata, rischia di assottigliare eccessivamente la linea di demarcazione tra le fattispecie disciplinate in tale disposizione e quelle che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera b) di tale regolamento, rendendo difficoltoso mantenere un’effettiva autonomia tra le stesse.
31. Precisato quanto precede, la risposta alla prima questione pregiudiziale, come sopra delimitata, non comporta, a mio avviso, particolari difficoltà.
32. Il testo dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013 indica infatti espressamente che le DOP sono protette da qualsiasi «usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto o servizio è indicata» (27). Non vi è dubbio, da un punto di vista sia sintattico che di coerenza logica interna della norma enunciata, che tale disposizione si riferisce all’origine del prodotto o del servizio contraddistinto dal segno controverso. E non potrebbe essere altrimenti, come correttamente rilevato dal governo italiano, dal momento che, conformemente alla definizione contenuta all’articolo 93, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1308/2013, le DOP designano un prodotto ai sensi dell’articolo 92, paragrafo 1, di tale regolamento e non possono dunque essere registrate per servizi.
33. L’interpretazione letterale dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013 milita dunque nel senso di una protezione delle DOP contro le pratiche che rientrano nel suo ambito di applicazione anche laddove tali pratiche riguardino servizi.
34. Nel medesimo senso milita anche un’interpretazione teleologica di tale disposizione.
35. La Corte ha riconosciuto che il regolamento n. 1308/2013 costituisce uno strumento della politica agricola comune mirante, tra l’altro, a impedire che terzi si avvantaggino abusivamente della reputazione discendente dalla qualità dei prodotti muniti di indicazioni geografiche registrate in forza delle sue disposizioni (28).
36. L’articolo 103, paragrafo 2, di tale regolamento predispone dunque una protezione ad ampio raggio che, in conformità con quanto enunciato alla prima frase del considerando 97 del medesimo regolamento, è destinata ad estendersi a tutti gli «usi che sfruttano la notorietà dei prodotti» coperti da una di tali indicazioni.
37. Più specificamente, la lettera b) del paragrafo 2, di questo articolo vieta ogni pratica diretta a sfruttare indebitamente la reputazione di una DOP (o di una IGP) tramite un’associazione con essa.
38. In tale contesto, un’interpretazione dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013 che non consentisse di tutelare una DOP nel caso in cui il segno contestato designi un servizio e non un prodotto non solo non sarebbe coerente con l’ampia portata riconosciuta dalla Corte alla protezione delle indicazioni geografiche registrate, ma, come correttamente osservato dal governo italiano, non consentirebbe di raggiungere pienamente l’obiettivo di tutela enunciato alla prima frase del considerando 97 di detto regolamento. Uno sfruttamento indebito della notorietà di un prodotto coperto da DOP è infatti suscettibile di realizzarsi non solo nel caso in cui la pratica vietata dall’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013 si riferisca a un prodotto, ma anche ove riguardi un servizio.
39. Al fine di rispondere agli obiettivi stabiliti dal regolamento n. 1308/2013, tale disposizione deve dunque applicarsi anche nei casi in cui la DOP è evocata nel contesto della commercializzazione di un servizio. Tale conclusione emerge peraltro chiaramente dalla seconda frase del considerando 97 di tale regolamento, cui rinviano sia il CIVC che i governi francese e italiano e la Commissione, la quale enuncia che «[p]er incoraggiare la concorrenza leale (…) la protezione [delle DOP e delle IGP] dovrebbe essere estesa anche ai prodotti e ai servizi non disciplinati da [detto] regolamento, inclusi quelli non compresi nell’allegato I dei trattati» (29). Va inoltre osservato che, con specifico riferimento alle denominazioni di origine e alle indicazioni geografiche protette di vini, il considerando 92 del medesimo regolamento incoraggia un allineamento con il regolamento n. 1151/2012, recante la normativa trasversale di qualità dell’Unione. A sua volta, il considerando 32 di questo regolamento, nel precisare che «[l]a tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dovrebbe essere estesa ai casi di usurpazione, imitazione ed evocazione dei nomi registrati relativi sia a beni che a servizi», si riferisce espressamente all’esigenza di garantire un livello di tutela «analogo a quello che vige nel settore vitivinicolo».
40. Sulla base dell’insieme delle considerazioni che precedono, suggerisco dunque alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013 deve essere interpretato nel senso che sono suscettibili di rientrare nell’ambito di applicazione di tale disposizione anche atti di usurpazione, imitazione o evocazione di una DOP che si riferiscono a servizi.
41. Prima di continuare la mia analisi, desidero precisare, per l’ipotesi in cui la Corte decidesse di non limitare la risposta alla prima questione pregiudiziale alla sola interpretazione dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013, che la medesima portata che suggerisco alla Corte di conferire a tale disposizione deve, a mio avviso, essere riconosciuta anche all’articolo 103, paragrafo 2, lettera a), ii), di tale regolamento.
42. In effetti, per un verso, il testo di tale disposizione, nel riferirsi a «qualsiasi uso commerciale diretto o indiretto» (30) non consente di limitare il suo ambito di applicazione a usi che si riferiscono unicamente a prodotti, ad esclusione di quelli relativi a servizi. Inoltre, nel precisare che il divieto si applica «nella misura in cui tale uso sfrutti la notorietà di una denominazione di origine o di una indicazione geografica», detta disposizione pone espressamente l’accento sugli effetti dell’uso e non su una sua particolare tipologia. Per altro verso, le medesime considerazioni relative agli obiettivi del regolamento n. 1308/2013 e all’ampiezza della protezione accordata da quest’ultimo alle indicazioni geografiche registrate in forza delle sue disposizioni, esposte ai paragrafi 35 e 36 delle presenti conclusioni, valgono altresì ai fini di un’interpretazione teleologica dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera a), ii), di detto regolamento (31).
C. Sulla seconda e la terza questione pregiudiziale
43. Con la seconda e la terza questione pregiudiziale, che è opportuno trattare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza quali siano i criteri da applicare nel valutare l’esistenza di un’evocazione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013. In particolare, l’Audiencia provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona) si interroga sul ruolo da attribuire, in tale valutazione, al raffronto tra il prodotto coperto dalla DOP e il prodotto (o il servizio) in relazione al quale è usato il segno controverso e sulla necessità di accertare previamente l’identità o la somiglianza tra tali prodotti ovvero l’esistenza di un collegamento di altro genere fra questi (o tra il prodotto DOP e il servizio in causa).
44. In proposito, osservo anzitutto che se l’articolo 103, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1308/2013 precisa che l’uso diretto o indiretto di una DOP è vietato sia laddove riguardi «prodotti comparabili» non conformi al disciplinare di quest’ultima [lettera a), i)], sia nella misura in cui tale uso sfrutti la notorietà della DOP [lettera a), ii)], la lettera b) del paragrafo 2 di tale articolo non contiene nessuna indicazione né nel senso di una limitazione della tutela per evocazione alle sole ipotesi in cui i prodotti contraddistinti dalla DOP e i prodotti o i servizi per i quali è utilizzato il segno controverso sono «comparabili» o «simili», né nel senso di un’estensione di tale tutela ai casi in cui tale segno si riferisca a prodotti e/o servizi dissimili da quelli che beneficiano della DOP (32). D’altro canto la nozione di «somiglianza tra i prodotti» quale applicata nel diritto dei marchi (33), cui sembra far riferimento il giudice del rinvio, appare estranea alla tutela delle indicazioni geografiche, in cui invece viene in rilievo, come si è visto, la nozione di «comparabilità fra i prodotti» (34), nozione che sembra peraltro dover essere interpretata in termini più restrittivi (35).
45. In tale contesto, contrariamente a quanto sembrano sostenere il CIVC e il governo francese, non ritengo che il chiarimento apportato dalla Corte, secondo cui la tutela delle denominazioni registrate contro l’evocazione prescinde dall’accertamento dell’esistenza di un rischio di confusione (36), rivesta un’importanza decisiva al fine di determinare se l’ambito di applicazione di tale tutela debba ritenersi limitato ai soli prodotti e/o servizi comparabili al prodotto che beneficia della DOP. In effetti, un rischio di confusione può essere escluso – ad esempio nei casi, espressamente previsti dall’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013, in cui l’origine del prodotto o del servizio è indicata o in cui siano utilizzate diciture quali «metodo» o «imitazione» – anche laddove i prodotti coperti dalla DOP e i prodotti o i servizi ai quali si applica il segno controverso siano identici o comparabili.
46. Ciò detto, se è indubbio che l’ambito di applicazione, per così dire, «naturale» della tutela delle DOP per evocazione è costituito dalle situazioni in cui, a causa dell’identità o della comparabilità tra i prodotti che beneficiano della denominazione protetta e i prodotti o i servizi contraddistinti dal segno controverso, l’uso di quest’ultimo consente al suo titolare di appropriarsi delle qualità tipiche riconosciute ai primi, emerge, come si è visto (37), dallo stesso preambolo del regolamento n. 1308/2013 ed è chiaramente affermato dalla giurisprudenza della Corte, che le DOP sono, più in generale, tutelate contro qualunque sfruttamento abusivo della reputazione che si collega ai prodotti che ne sono muniti.
47. Come ho già avuto modo di osservare nelle mie conclusioni nella causa Fundación Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso Manchego (C‑614/17, EU:C:2019:11, paragrafo 17), la tutela per evocazione costituisce una forma di protezione sui generis, non vincolata al criterio dell’ingannevolezza – che presuppone l’idoneità del segno confliggente con la denominazione registrata a indurre il pubblico in errore circa la provenienza geografica o le qualità del prodotto – e non riconducibile a una tutela di stampo meramente confusorio. Il suo obiettivo principale è da ricercare nella protezione del patrimonio qualitativo e della reputazione delle denominazioni registrate contro atti di parassitismo.
48. L’esistenza di un’evocazione va dunque valutata in base a criteri specifici alla protezione accordata alle DOP e funzionali al raggiungimento delle finalità proprie della normativa dell’Unione in materia di qualità.
49. La Corte ha progressivamente precisato i criteri che presiedono a una tale valutazione. Essa ha così statuito che la nozione di «evocazione» ricomprende anzitutto un’ipotesi in cui il termine utilizzato per designare un prodotto incorpori una parte di una denominazione registrata, di modo che il consumatore, «in presenza del nome del prodotto, sia indotto a raffigurarsi, come immagine di riferimento, la merce che beneficia di tale denominazione» (38).
50. Nella sentenza Scotch Whisky Association, con riferimento all’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008, la Corte ha tuttavia precisato che né la parziale incorporazione di una denominazione registrata nella denominazione controversa, né una similarità fonetica e visiva con la prima riscontrata nella seconda costituiscono presupposti essenziali per accertare l’esistenza di un’evocazione (39). Quest’ultima può infatti risultare anche dalla sola «prossimità concettuale» tra la denominazione registrata e il segno controverso (40). A tal fine, non è sufficiente che l’elemento controverso del segno in questione susciti nella mente del pubblico di riferimento una qualsivoglia associazione con la denominazione registrata o con la relativa zona geografica. Occorre invece «un nesso sufficientemente diretto ed univoco» tra detto elemento e la denominazione registrata (41).
51. Secondo la Corte, il criterio determinante nell’accertare se si è in presenza di «evocazione» di una DOP ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento n. 1308/2013, come delle corrispondenti disposizioni dei regolamenti che disciplinano i diversi regimi di qualità dell’Unione è dunque «se il consumatore, in presenza di una denominazione controversa, sia indotto ad avere direttamente in mente, come immagine di riferimento, la merce protetta dalla DOP» (42). La Corte ha peraltro precisato che non può escludersi un’evocazione anche laddove l’elemento controverso non sia costituito da una denominazione bensì da segni figurativi, che, a motivo della loro vicinanza concettuale con la denominazione registrata, siano in grado di richiamare in modo diretto e univoco alla mente del consumatore i prodotti che beneficiano di tale denominazione (43).
52. È certo vero che i principi sopra esposti sono stati elaborati dalla Corte con riferimento a situazioni nelle quali i prodotti coperti dalla denominazione registrata e i prodotti contraddistinti dal segno controverso erano largamente comparabili.
53. Tuttavia, nel delineare progressivamente i criteri di valutazione dell’esistenza di un’evocazione, la Corte ha, in modo sempre più evidente, posto l’accento sul processo di associazione mentale tra segno controverso e prodotto che beneficia della DOP o dell’IGP. In tale contesto, la somiglianza tra i prodotti in causa, sia dal punto di vista merceologico che della loro concreta apparenza, è stata considerata alla stregua di un elemento di valutazione dell’idoneità delle similarità fonetiche, visive e concettuali riscontrate tra i segni in conflitto a indurre la necessaria associazione mentale piuttosto che come una precondizione ai fini dell’accertamento dell’esistenza di un’evocazione (44).
54. Più in generale, come ho già avuto modo di osservare nelle mie conclusioni nella causa Fundación Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso Manchego (45), emerge dalla giurisprudenza della Corte (46) che l’analisi circa l’esistenza di un’evocazione deve tener conto di ogni riferimento implicito o esplicito alla denominazione registrata, che si tratti di elementi verbali o figurativi inclusi nell’etichetta del prodotto convenzionale (47) o figuranti sul suo imballaggio, o di elementi che riguardano la forma o la presentazione al pubblico di tale prodotto (48). Tale analisi deve prendere in considerazione altresì l’identità o il grado di somiglianza tra i prodotti in causa e le modalità di commercializzazione di questi, anche per quanto riguarda i rispettivi canali di vendita, nonché elementi che consentano di accertare l’intenzionalità del richiamo al prodotto coperto dalla denominazione protetta o, viceversa, la sua casualità. L’accertamento dell’esistenza di un’evocazione procede pertanto dalla valutazione di un insieme di indici senza che la presenza o l’assenza di uno di tali indici consenta di per sé sola di affermare o di escludere l’esistenza di un’evocazione.
55. Sulla base di quanto precede ritengo che l’identità o la comparabilità tra il prodotto che beneficia di una DOP o di un’IGP e il prodotto (o il servizio) contraddistinto dal segno controverso o tra il primo e un ingrediente caratterizzante del secondo (49) non costituisca un elemento da valutare in via preliminare al fine di eventualmente escludere a priori un’evocazione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013.
56. Nondimeno, una tale identità o comparabilità, o la sua assenza, costituisce un elemento che deve essere preso in considerazione al fine di valutare, nel quadro di un esame dell’insieme delle circostanze pertinenti, se ricorrano in concreto gli estremi di una siffatta evocazione. La circostanza che tali prodotti presentino caratteristiche obiettive comuni, che corrispondano a occasioni di consumo identiche, o che abbiano un’apparenza analoga, ma anche che siano concorrenti o complementari (50), è dunque un elemento di valutazione pertinente, così come, nel caso in cui il segno controverso si riferisca a un servizio, il fatto che quest’ultimo sia collegato alla distribuzione del prodotto coperto dalla denominazione registrata o di un prodotto identico o comparabile.
57. Alla luce degli interrogativi posti dal giudice del rinvio occorre ancora apportare alcuni chiarimenti sulla nozione di consumatore di riferimento nei giudizi di evocazione e sulla «graduabilità» dell’evocazione. Di seguito, saranno fornite alcune indicazioni sull’applicazione dei principi sopra esposti alla controversia principale.
1. Sul pubblico di riferimento
58. Poiché, come si è visto, l’accertamento di un’evocazione vietata dall’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento n. 1308/2013 non richiede la prova dell’esistenza di un rischio di confusione, il pubblico di riferimento, la cui percezione assume rilievo al fine di valutare se il segno controverso è in grado di suscitare un’associazione illecita con la denominazione registrata, non è costituito, contrariamente a quanto sembra aver considerato lo Juzgado mercantil de Barcelona (Tribunale di commercio di Barcellona) nella sentenza appellata dinanzi al giudice del rinvio, dalla sola cerchia dei soggetti cui sono destinati i prodotti contraddistinti da tale denominazione.
59. Alla luce, in particolare, degli obiettivi di protezione della concorrenza leale e di tutela del consumatore perseguiti dai dispositivi di tutela delle AOP e delle IGP, la Corte ha precisato che, nei giudizi relativi all’esistenza di un’evocazione di tali denominazioni, spetta al giudice nazionale fare riferimento alla percezione di un «consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto» (51) e che, tenuto conto della necessità di garantire una protezione effettiva e uniforme di dette denominazioni nell’intero territorio dell’Unione, tale nozione riguarda il consumatore europeo (52) e non soltanto, come sembra erroneamente ritenere GB, un consumatore dello Stato membro in cui si fabbrica il prodotto (o si fornisce il servizio) che dà luogo all’evocazione della denominazione registrata (53).
2. Sulla «graduabilità» dell’evocazione
60. Nella sua terza questione pregiudiziale, il giudice del rinvio fa rifermento alla possibilità di graduare il «rischio di evocazione», in particolare alla luce del raffronto tra prodotti evocati e prodotti e servizi evocativi, e di escludere dall’ambito di applicazione dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013 le fattispecie in cui tale rischio è lieve o irrilevante.
61. In proposito ho già chiarito sopra che la valutazione da condursi in applicazione di tale disposizione deve essere effettuata alla luce dell’insieme dei fattori pertinenti, tra i quali figura altresì la comparabilità tra i prodotti in causa (o tra i prodotti che beneficiano della denominazione registrata e il servizio contraddistinto dal segno controverso), senza tuttavia che l’assenza o il ridotto grado di tale comparabilità consenta di escludere automaticamente l’esistenza di un’evocazione.
62. Ciò detto, se il giudice nazionale, al quale spetta condurre tale valutazione (54), basandosi sulla presunta reazione del consumatore (55) giunge alla conclusione che quest’ultimo è indotto, in presenza del segno controverso, ad «avere direttamente in mente, come immagine di riferimento», la merce protetta dalla denominazione registrata, l’uso di tale segno incorre nel divieto di cui all’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013. Se, invece, a giudizio di detto giudice, una siffatta associazione di idee non è suscettibile di realizzarsi, un’evocazione ai sensi di tale disposizione deve considerarsi esclusa.
63. La nozione di «evocazione» non è dunque suscettibile di graduazione. I contorni di tale nozione sono già stati individuati dalla Corte nella sentenza Scotch Whisky, in cui, come ho già ricordato al paragrafo 50 delle presenti conclusioni, essa ha precisato che solo in presenza di «un nesso sufficientemente diretto ed univoco» (56) tra il segno controverso e la denominazione registrata gli estremi di tale nozioni sono da considerarsi integrati (57). In assenza di un tale nesso «qualificato», anche ove vi sia un riferimento alla denominazione registrata e i prodotti in causa siano comparabili, l’evocazione deve essere esclusa.
3. Applicazione nelle circostanze del procedimento principale
64. Sebbene, come si è già detto, spetti al giudice del rinvio pronunciarsi sulla fattispecie sottoposta al suo giudizio alla luce dell’insieme degli elementi sopra esposti, la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può tuttavia fornire, ove necessario, precisazioni dirette a guidare tale giudice nella sua decisione (58).
65. Nel caso in cui, come nella controversia principale, si tratti di accertare l’esistenza di un’evocazione con riferimento all’uso di una denominazione, il giudice nazionale dovrà, in base alla giurisprudenza sopra richiamata, tener conto dell’eventuale incorporazione parziale della denominazione registrata nella denominazione controversa, di una similarità fonetica e/o visiva di quest’ultima con la denominazione registrata (59), o ancora di una somiglianza concettuale tra i termini in conflitto, pur se di lingue diverse (60).
66. Nelle circostanze del procedimento principale, la DOP «Champagne», nella forma in cui è stata registrata, è stata parzialmente incorporata nella denominazione controversa. La traduzione in spagnolo di tale DOP («Champàn») ha fatto invece oggetto di un’incorporazione totale (ad eccezione dell’accento). Ne risulta una rilevante somiglianza sia visiva che fonetica tra le due denominazioni, sia che si tenga conto della forma in cui la DOP «Champagne» è stata registrata sia che si consideri la traduzione in spagnolo di tale denominazione. Dal punto di vista concettuale, come si è già avuto modo di rilevare, parrebbe esistere un nesso diretto con il prodotto coperto dalla DOP «Champagne», se – come sembra, ma come spetta al giudice del rinvio confermare – in spagnolo il termine «Champanillo» significa letteralmente «piccolo champagne».
67. Per quanto riguarda gli elementi che non attengono al raffronto tra le denominazioni in conflitto, il giudice del rinvio dovrà considerare anzitutto il nesso esistente tra il prodotto coperto dalla DOP Champagne e il servizio contraddistinto dal segno controverso, nesso che sembra difficilmente contestabile trattandosi di servizi di ristorazione, vale a dire di servizi suscettibili di essere direttamente collegati alla commercializzazione di champagne o di prodotti «comparabili». L’intensità di tale nesso dovrà essere valutata accertando se, come sembra essere il caso, la vendita di champagne o di bevande dello stesso tipo non è inusuale anche nel settore della ristorazione in cui opera GB (61).
68. Un ulteriore elemento di cui il giudice del rinvio dovrà tener conto nella sua valutazione è la circostanza che la denominazione controversa si accompagna, nelle insegne e nei messaggi pubblicitari utilizzati da GB, ad un’immagine in cui sono raffigurati due bicchieri a forma di coppa con piede (tipicamente utilizzati per il consumo di champagne) contenenti una bevanda spumante, che si incrociano rappresentando l’atto di un brindisi. Nonostante il colore rosso della bevanda, tale raffigurazione presenta un indubbio potenziale evocativo al contempo del prodotto coperto dalla DOP «Champagne» e delle occasioni tipicamente collegate al suo consumo.
69. Infine, sebbene l’intenzionalità della condotta non sia richiesta ai fini dell’accertamento di un’evocazione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento n. 1308/2013 (62), essa costituisce un elemento di cui tener conto nel quadro di tale accertamento (63). Ora, l’insieme dei fattori sopra menzionati – inclusa la commercializzazione, in passato, nei locali contraddistinti dal segno controverso di un vino spumante sotto la medesima denominazione CHAMPANILLO – globalmente considerati, sembrano piuttosto militare per il carattere non fortuito del richiamo alla DOP «Champagne».
70. In conclusione, su riserva degli accertamenti che incombe al giudice del rinvio effettuare, sono propenso, alla luce degli elementi che emergono dal fascicolo, a ritenere che, in presenza del segno «Champanillo», quale utilizzato da GB per contraddistinguere e pubblicizzare i suoi servizi di ristorazione, un consumatore medio europeo normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto sia indotto ad avere direttamente in mente, come immagine di riferimento, il prodotto protetto dalla DOP «Champagne» e che dunque ricorrano gli estremi di un’evocazione vietata ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013.
4. Conclusioni sulla seconda e la terza questione pregiudiziale
71. In base all’insieme delle considerazioni che precedono suggerisco alla Corte di rispondere alla seconda e alla terza questione pregiudiziale nel senso che, per determinare se esista evocazione di una DOP ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento n. 1308/2013, non è necessario stabilire in via preliminare che il prodotto coperto dalla DOP e il prodotto o il servizio contraddistinto dal segno controverso siano identici o comparabili ovvero che quest’ultimo prodotto includa, tra i suoi ingredienti, il prodotto coperto dalla DOP. Una tale identità o comparabilità, o la sua assenza, costituisce tuttavia un elemento che il giudice nazionale deve prendere in considerazione, congiuntamente ad ogni altro elemento pertinente, ai fini della valutazione dell’esistenza di un’evocazione ai sensi della suddetta disposizione.
D. Sulla quarta questione pregiudiziale
72. Con la quarta questione pregiudiziale, l’Audiencia provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona) chiede in sostanza alla Corte se la tutela contro l’evocazione prevista dall’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento n. 1308/2013 richieda l’accertamento dell’esistenza di una concorrenza sleale.
73. Come si è detto, la tutela delle denominazioni registrate predisposta dalla normativa dell’Unione in materia di qualità risponde a criteri propri e funzionali alla realizzazione degli obiettivi perseguiti da tale normativa (64). Tali criteri sono esaustivamente indicati nelle disposizioni che disciplinano le diverse ipotesi di violazione delle denominazioni registrate inserite nei regolamenti settoriali e trasversali che recano detta normativa (65). Tali disposizioni devono inoltre essere applicate in modo uniforme su tutto il territorio dell’Unione.
74. Trattandosi in particolare della tutela delle denominazioni registrate contro l’evocazione, emerge dalle risposte apportate alle prime tre questioni pregiudiziali che tale tutela non presuppone l’accertamento né dell’esistenza di una relazione di concorrenza tra i prodotti coperti dalla denominazione registrata e i prodotti o i servizi per i quali è utilizzato il segno controverso o di un rischio di confusione da parte del consumatore in relazione a tali prodotti e/o servizi, né dell’intenzionalità delle condotte suscettibili di dar luogo ad evocazione.
75. Pertanto, se, come osservato dalla Commissione, non è escluso che una stessa condotta possa integrare al contempo gli estremi di una pratica vietata dall’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013 e di un atto di concorrenza sleale ai sensi del diritto nazionale applicabile, l’ambito di applicazione di tale disposizione è più ampio e non si limita alle ipotesi in cui tale condotta è posta in essere da un concorrente.
76. Suggerisco perciò di rispondere alla quarta questione pregiudiziale dichiarando che la tutela contro l’evocazione prevista dall’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013 non è limitata alle sole ipotesi in cui la pratica che dà luogo a evocazione integra gli estremi di un atto di concorrenza sleale ai sensi delle pertinenti disposizioni del diritto nazionale applicabile.
IV. Conclusione
77. Sulla base dell’insieme delle considerazioni che precedono suggerisco alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali poste dall’Audiencia provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona, Spagna):
L’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli, dev’essere interpretato nel senso che sono suscettibili di rientrare nell’ambito di applicazione di tale disposizione anche atti di usurpazione, imitazione o evocazione di una DOP che si riferiscono a servizi.
Per determinare se esista evocazione di una denominazione di origine protetta ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento n. 1308/2013, non è necessario stabilire in via preliminare che il prodotto che beneficia di tale denominazione e il prodotto o il servizio contraddistinto dal segno controverso siano identici o comparabili ovvero che quest’ultimo prodotto includa, tra i suoi ingredienti, il prodotto che beneficia dalla denominazione di origine protetta. Una tale identità o comparabilità, o la sua assenza, costituisce tuttavia un elemento che il giudice nazionale è tenuto a prendere in considerazione, congiuntamente ad ogni altro elemento pertinente, ai fini della valutazione dell’esistenza di un’evocazione ai sensi della suddetta disposizione.
La tutela contro l’evocazione prevista dall’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013 non è limitata alle sole ipotesi in cui la pratica che dà luogo a evocazione integra gli estremi di un atto di concorrenza sleale ai sensi delle pertinenti disposizioni del diritto nazionale applicabile.