CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 19 dicembre 2018 (1)

Causa C431/17

Monachos Eirinaios, kata kosmon Antonios Giakoumakis tou Emmanouil

contro

Dikigorikos Syllogos Athinon

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Symvoulio tis Epikrateias (Consiglio di Stato, Grecia))

«Direttiva 98/5/CE – Articolo 3 – Articolo 6 – Iscrizione di un monaco come avvocato in uno Stato membro diverso da quello nel quale egli ha conseguito il suo titolo professionale – Norme nazionali che vietano l’iscrizione»






1.        Può un uomo servire due padroni? Se uno dei padroni è Dio, un cristiano può trovare una prima guida nei Vangeli: «Nessuno può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e Mammona» (2) (l’impeccabile confronto giuridico tra Gesù di Nazareth e un dottore della legge tramandato nella parabola del Buon Samaritano dimostra in modo chiaro, tuttavia, che è perfettamente possibile servire Dio ed esercitare la professione di avvocato (3)). Se un monaco intende iscriversi nell’albo dell’ordine degli avvocati di uno Stato membro diverso da quello in cui ha conseguito il suo titolo professionale e servire così sia la giustizia che Dio, è altresì necessario esaminare la direttiva 98/5/CE (4).

2.        Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale il Symvoulio tis Epikrateias (Consiglio di Stato, Grecia; in prosieguo: «il giudice del rinvio») chiede se sia compatibile con la direttiva 98/5 il fatto che l’autorità competente rifiuti l’iscrizione di Monachos Eirinaios (5), monaco presso un monastero in Grecia, come avvocato esercente la sua attività con il titolo professionale di origine per il motivo che i monaci semplicemente non possono, ai sensi del diritto nazionale, essere iscritti negli albi degli ordini degli avvocati. Ciò pone la questione di come armonizzare le disposizioni della direttiva 98/5 relative all’iscrizione degli avvocati che esercitano la professione con il titolo professionale di origine, le quali istituiscono obblighi imperativi, con quelle concernenti le norme professionali e deontologiche applicabili a detti avvocati, che lasciano agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità. L’interpretazione della Corte dovrà garantire che la direttiva venga interpretata in maniera coerente e uniforme.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

 Direttiva 98/5

3.        Il considerando 1 della direttiva 98/5 evidenzia l’importanza che ha la facoltà, per i cittadini degli Stati membri, di esercitare, nell’ambito di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato, una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui essi hanno acquisito le loro qualifiche professionali. I considerando 2 e 3 spiegano che la direttiva offre uno strumento alternativo alla direttiva 89/48 per ottenere l’ammissione alla professione di avvocato nello Stato membro ospitante (6).

4.        A norma del considerando 5, un’azione «comunitaria in materia è giustificata non solo perché rispetto al sistema generale di riconoscimento offre agli avvocati un metodo più semplice che consente loro di integrarsi nella professione di uno Stato membro ospitante, ma anche perché, dando agli avvocati la possibilità di esercitare stabilmente con il loro titolo professionale d’origine in uno Stato membro ospitante, risponde alle esigenze degli utenti del diritto, che a motivo del flusso crescente delle attività commerciali, dovuto particolarmente alla creazione del mercato interno, chiedono consulenze in occasione di operazioni transfrontaliere nelle quali si trovano spesso strettamente connessi il diritto internazionale, il diritto comunitario e i diritti nazionali».

5.        Il considerando 6 spiega che un’azione comunitaria è giustificata anche dal fatto che «alcuni Stati membri già consentono ad avvocati provenienti da altri Stati membri di esercitare attività professionali, sotto forma diversa dalla prestazione di servizi, sul proprio territorio con il loro titolo professionale d’origine; che, tuttavia, negli Stati membri che riconoscono tale diritto le modalità del suo esercizio sono profondamente diverse in relazione, ad esempio, al campo di attività e all’obbligo di iscrizione presso le autorità competenti; che una siffatta disparità di situazioni dà luogo a disparità di trattamento e a distorsioni della concorrenza fra gli avvocati degli Stati membri e costituisce un ostacolo alla loro libera circolazione; che solo una direttiva che stabilisca le condizioni per l’esercizio della professione, sotto forma diversa dalla prestazione di servizi, da parte degli avvocati che esercitano la loro attività con il loro titolo professionale di origine, è in grado di risolvere questi problemi e di dare, in tutti gli Stati membri, identiche possibilità agli avvocati ed agli utenti del diritto».

6.        Il considerando 7 sottolinea che la direttiva si astiene dal disciplinare situazioni giuridiche puramente interne e che lascia impregiudicate le norme nazionali dell’ordinamento professionale, salvo qualora ciò risulti indispensabile per consentire di conseguire pienamente i suoi scopi. In particolare, essa non lede in alcun modo la disciplina nazionale relativa all’accesso alla professione di avvocato e al suo esercizio con il titolo professionale nello Stato membro ospitante.

7.        Il considerando 8 spiega che «occorre sottoporre gli avvocati contemplati dalla presente direttiva all’obbligo di iscriversi presso l’autorità competente dello Stato membro ospitante, in modo che questa possa accertare che essi ottemperano alle regole professionali e deontologiche ivi vigenti; che resta riservata al diritto applicabile agli avvocati dello Stato membro ospitante la disciplina degli effetti di detta iscrizione relativamente alle circoscrizioni giudiziarie e ai vari ordini e gradi di giurisdizione dinanzi ai quali gli avvocati possono patrocinare».

8.        Il considerando 9 enuncia che «gli avvocati non integrati nella professione dello Stato membro ospitante sono tenuti ad esercitare nello Stato membro ospitante con il titolo professionale di origine, onde garantire la corretta informazione dei consumatori e permettere di distinguere questi avvocati e gli avvocati dello Stato membro ospitante che esercitano con il titolo professionale rilasciato da quest’ultimo».

9.        L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva stabilisce che lo scopo di quest’ultima consiste nel facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquisita la qualifica professionale. L’articolo 1, paragrafo 2, definisce un «avvocato» come «ogni persona, avente la cittadinanza di uno Stato membro, che sia abilitata ad esercitare le proprie attività professionali facendo uso di uno dei seguenti titoli professionali: (…) Grecia: Δικηγόρος [Dikigoros] (…) Cipro: Δικηγόρος [Dikigoros]».

10.      L’articolo 2 stabilisce il diritto di ogni avvocato all’esercizio permanente delle attività professionali precisate all’articolo 5 in tutti gli altri Stati membri con il proprio titolo professionale di origine.

11.      In conformità all’articolo 3:

«1. L’avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l’autorità competente di detto Stato membro.

2. L’autorità competente dello Stato membro ospitante procede all’iscrizione dell’avvocato su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine. Essa può esigere che l’attestato dell’autorità competente dello Stato membro di origine non sia stato rilasciato prima dei tre mesi precedenti la sua presentazione. Essa dà comunicazione dell’iscrizione all’autorità competente dello Stato membro di origine».

12.      L’articolo 4 prevede che l’avvocato il quale esercita nello Stato membro ospitante con il proprio titolo professionale di origine «è tenuto ad esercitare facendo uso di questo titolo, che deve essere indicato nella lingua o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro di origine, comunque in modo comprensibile e tale da evitare confusioni con il titolo professionale dello Stato membro ospitante».

13.      L’articolo 5, paragrafo 1, definisce il campo di attività dell’avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine come «le stesse attività professionali dell’avvocato che esercita con il corrispondente titolo professionale dello Stato membro ospitante». Detto avvocato può, in particolare, «offrire consulenza legale sul diritto del proprio Stato membro d’origine, sul diritto comunitario, sul diritto internazionale e sul diritto dello Stato membro ospitante. Esso rispetta comunque le norme di procedura applicabili dinanzi alle giurisdizioni nazionali».

14.      L’articolo 6, paragrafo 1, prevede che, «indipendentemente dalle regole professionali e deontologiche cui è soggetto nel proprio Stato membro di origine, l’avvocato che esercita con il proprio titolo professionale d’origine è soggetto alle stesse regole professionali e deontologiche cui sono soggetti gli avvocati che esercitano col corrispondente titolo professionale dello Stato membro ospitante per tutte le attività che esercita sul territorio di detto Stato». Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, lo Stato membro ospitante «può imporre all’avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine l’obbligo di sottoscrivere un’assicurazione per la responsabilità professionale o l’obbligo di affiliarsi ad un fondo di garanzia professionale, secondo la normativa che disciplina le attività professionali esercitate sul suo territorio».

15.      L’articolo 7 della direttiva riguarda i procedimenti disciplinari nel caso in cui l’avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine non ottemperi agli obblighi vigenti nello Stato membro ospitante. In conformità all’articolo 7, paragrafo 1, «si applicano le regole di procedura, le sanzioni e i mezzi di ricorso previsti dallo Stato membro ospitante». L’articolo 7, paragrafi da 2 a 5, dispone che:

«2. Prima di avviare un procedimento disciplinare nei confronti dell’avvocato che esercita con il proprio titolo professionale d’origine, l’autorità competente dello Stato membro ospitante ne dà comunicazione con la massima sollecitudine all’autorità competente dello Stato membro di origine fornendo a questa ogni informazione utile.

Il primo comma si applica, mutatis mutandis, allorché un procedimento disciplinare è avviato dall’autorità competente dello Stato membro d’origine (…).

3. Senza pregiudizio del potere decisionale dell’autorità competente dello Stato membro ospitante, questa coopera per tutto lo svolgimento del procedimento disciplinare con l’autorità competente dello Stato membro di origine. (…)

4. L’autorità competente dello Stato membro di origine decide, secondo le proprie norme sostanziali e procedurali, quali conseguenze debbano trarsi dalla decisione presa dall’autorità competente dello Stato membro ospitante nei confronti dell’avvocato che ivi esercita con il proprio titolo professionale d’origine.

5. Pur non costituendo una condizione preliminare della decisione dell’autorità competente dello Stato membro ospitante, la revoca temporanea o definitiva dell’abilitazione all’esercizio della professione disposta dall’autorità competente dello Stato membro di origine comporta automaticamente, per l’avvocato che ne è oggetto, il divieto temporaneo o definitivo di esercitare con il proprio titolo professionale di origine nello Stato membro ospitante.

16.      L’articolo 9 prevede che «le decisioni con cui viene negata o revocata l’iscrizione di cui all’articolo 3 e le decisioni che infliggono sanzioni disciplinari devono essere motivate». Tali decisioni devono essere soggette a ricorso giurisdizionale.

 Diritto nazionale

 Decreto del Presidente della Repubblica n. 152/2000

17.      La direttiva 98/5 è stata recepita nell’ordinamento giuridico ellenico con il decreto n. 152/2000, relativo alla «facilitazione dell’esercizio permanente della professione di avvocato in Grecia per avvocati che hanno acquistato la loro qualifica in un altro Stato membro dell’Unione europea» ((Proedriko Diatagma 152/2000, Diefkolynsi tis monimis askisis tou dikigorikoy epaggelmatos stin Ellada apo dikigorous pou apektisan ton epaggelmatiko tous titlo se allo kratos-melos tis EE; in prosieguo: il «decreto presidenziale»).

18.      L’articolo 5, paragrafo 1, stabilisce che per l’esercizio della professione in Grecia l’avvocato deve iscriversi nell’albo dell’ordine degli avvocati nel circondario in cui intende esercitare la sua attività, nonché tenere lo studio nello stesso circondario. L’articolo 5, paragrafo 2, enuncia che sulla domanda d’iscrizione decide il consiglio del citato ordine degli avvocati dopo che l’interessato ha prodotto i seguenti documenti: (i) atto ufficiale dal quale risulti la cittadinanza di uno Stato membro; (ii) certificato del casellario penale; e (iii) certificato di iscrizione, proveniente dall’autorità competente dello Stato di origine che ha rilasciato il titolo professionale o da altra autorità competente dello Stato di origine.

19.      L’articolo 8, paragrafo 1, prevede inoltre che, «indipendentemente dalle norme professionali e deontologiche cui è soggetto nel proprio Stato di origine, l’avvocato è soggetto alle stesse norme professionali e deontologiche degli altri avvocati membri dell’Ordine degli avvocati interessato, per tutte le attività che esercita nel territorio della Repubblica ellenica. In particolare, egli è soggetto (…) [a] tutte le norme che disciplinano l’esercizio dell’attività forense in Grecia, in particolare quelle che si riferiscono alle incompatibilità e all’esercizio di attività estranee ad essa, al segreto professionale, alla deontologia professionale, alla pubblicità, alla dignità professionale e al corretto esercizio delle funzioni».

 Codice Forense

20.      L’articolo 1 della legge n. 4194/2013 (in prosieguo: il «Codice Forense») stabilisce che l’avvocato è un pubblico ufficiale la cui funzione costituisce un fondamento dello Stato di diritto. Nell’esercizio dei suoi doveri l’avvocato conserva la libertà del trattamento del caso e non accetta consigli o ordini contrari alla legge o incompatibili con gli interessi del suo cliente (7).

21.      L’articolo 6 è intitolato «Condizioni per diventare avvocato – cause di impedimento». Esso stabilisce due requisiti positivi per essere avvocato, in particolare (i) essere in possesso della cittadinanza ellenica o della cittadinanza di un altro Stato membro o di uno Stato SEE, e (ii) avere una laurea in legge, insieme a quattro cause di impedimento, tra cui vi è quella di non rivestire lo status di sacerdote o monaco.

22.      L’articolo 7, paragrafo 1, è intitolato «Perdita automatica dello status di avvocato». Esso prevede, in particolare, che colui il quale è sacerdote o un monaco o è nominato in ruolo, o occupa un qualsivoglia posto di dipendente con contratto di lavoro o rapporto impiegatizio presso un qualsivoglia ufficio di una persona giuridica di diritto pubblico, perde automaticamente lo status di avvocato e viene cancellato dall’albo dell’ordine di cui è membro (8). L’avvocato che rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, è tenuto a presentare una dichiarazione all’ordine di cui è membro e a dimettersi (9).

23.      L’articolo 23 prevede che l’avvocato ha l’obbligo di avere la sede e lo studio nel circondario del tribunale di primo grado al quale è assegnato. L’articolo 82 stabilisce che non è consentito all’avvocato di fornire le sue prestazioni senza un corrispettivo economico, fuorché in alcuni casi eccezionali espressamente elencati.

 Carta Costituzionale della Chiesa di Grecia

24.      La legge n. 590/1977, sulla Carta Costituzionale della Chiesa di Grecia (Katastatikos Chartis tis Ekklisias tis Ellados), stabilisce all’articolo 39 che i monasteri sono edifici sacri, in cui gli uomini e le donne che vi sono ospitati possono condurre una vita ascetica, conformemente ai voti monacali e agli antichi Canoni della vita monastica e alle tradizioni della Chiesa Ortodossa. I monasteri operano sotto la vigilanza spirituale del Vescovo competente.

25.      L’articolo 56, paragrafo 3, vieta a colui che è sottoposto alla disciplina monastica di spostarsi fuori dei confini della sua circoscrizione ecclesiastica senza l’autorizzazione del suo superiore. Se egli intende rimanere in un’altra circoscrizione per più di due mesi in uno stesso anno, ininterrottamente o meno, necessita anche dell’autorizzazione del Metropolita competente.

 Legge sul Fondo Ecclesiastico Generale e sull’amministrazione dei Monasteri

26.      La legge n. 3414/1909 (Peri Genikou Ekklisastikou Tameiou kai dioikiseos Monastirion; in prosieguo: la «legge sul Fondo Ecclesiastico Generale e sull’amministrazione dei Monasteri») prevede, all’articolo 18, che quando una persona si assoggetta alla disciplina monastica, tutto il suo patrimonio si trasferisce al monastero, ad eccezione di una quota riservata ai suoi eredi in conformità al diritto di successione.

 Fatti, procedimento e questione pregiudiziale

27.      Monachos Eirinaios è un monaco presso un monastero in Grecia (10). Egli è altresì un avvocato abilitato ed è Stato membro del Pagkyprios Dikigorikos Syllogos (Ordine degli Avvocati di Cipro; in prosieguo: il «PDS») dall’11 dicembre 2014.

28.      Il 12 giugno 2015 il ricorrente ha chiesto di essere iscritto all’albo del Dikigorikos Syllogos Athinon (Ordine degli Avvocati di Atene, Grecia; in prosieguo: il «DSA») in qualità di avvocato che ha acquisito il relativo titolo in un altro Stato membro. Il 18 giugno 2015 il Consiglio del DSA ha respinto la sua domanda. Tale decisione si basava sull’articolo 8, paragrafo 1, del decreto presidenziale, a norma del quale le norme nazionali relative alle ipotesi di incompatibilità (quali, in particolare, lo status di sacerdote o di monaco) si applicano anche agli avvocati che desiderano esercitare in Grecia con il loro titolo professionale di origine.

29.      Il 29 settembre 2015, Monachos Eirinaios ha impugnato tale decisione dinanzi al giudice del rinvio.

30.      Il giudice in parola osserva che le norme professionali e deontologiche applicabili agli avvocati greci non consentono ai monaci l’esercizio dell’attività forense per le ragioni invocate dal DSA, vale a dire l’assenza delle garanzie circa la loro indipendenza, i dubbi relativi alla loro completa dedizione alle proprie funzioni e alla possibilità di trattare casi con spirito conflittuale, l’obbligo di insediamento concreto (e non fittizio) nel circondario del tribunale di primo grado competente e l’offerta di servizi solo verso corrispettivo. Se l’ordine degli avvocati competente fosse tenuto a iscrivere, ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 98/5, un monaco che abbia intenzione di esercitare l’attività forense con il suo titolo professionale di origine, esso dovrebbe poi constatare immediatamente l’avvenuta violazione delle norme professionali e deontologiche previste dal diritto nazionale, come ammesso dall’articolo 6 della direttiva in parola, in quanto tali norme proibiscono ai monaci di esercitare la professione di avvocato.

31.      Il giudice del rinvio richiama inoltre la propria giurisprudenza, nella quale ha dichiarato che la disposizione del Codice Forense precedentemente in vigore, in cui si stabilisce che i sacerdoti non possono acquisire la qualifica di avvocati, non era in contrasto con il principio di uguaglianza e con la libertà di esercizio di un’attività professionale. In primo luogo, il pubblico interesse impone che l’avvocato si dedichi esclusivamente all’esercizio delle sue funzioni e, in secondo luogo, l’esercizio della professione forense comporta la conflittualità, che è incompatibile con lo status di ministro del culto. (11) Il giudice del rinvio aveva inoltre dichiarato in precedenza che la disposizione di cui trattasi non è in contrasto con l’articolo 13 della Costituzione ellenica, con l’articolo 52 del trattato CE (divenuto articolo 49 TFUE) (in quanto i fatti del caso precedente si riferivano ad una situazione puramente interna) e con l’articolo 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (12).

32.      In tale contesto, il giudice del rinvio ha presentato una domanda di pronuncia pregiudiziale sulla seguente questione:

«Se l’articolo 3 della direttiva 98/5/CE debba essere inteso nel senso che l’iscrizione di un monaco della Chiesa di Grecia come avvocato nell’albo dell’autorità competente di uno Stato membro diverso da quello nel quale egli ha conseguito il suo titolo professionale, allo scopo di esercitare ivi la sua professione con il suo titolo professionale di origine, possa essere vietata dal legislatore nazionale per il motivo che i monaci della Chiesa di Grecia non possono, ai sensi del diritto nazionale, essere iscritti negli albi degli ordini degli avvocati, in quanto non sussistono, a causa del loro status, le garanzie riconosciute indispensabili per l’esercizio dell’attività forense».

33.      Monachos Eirinaios, i governi di Grecia e Paesi Bassi e la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte. All’udienza tenutasi il 18 settembre 2018 hanno presentato osservazioni orali Monachos Eirinaios, il DSA, il governo ellenico e la Commissione.

 Valutazione

 Diritto applicabile

34.      Varie direttive si applicano a diversi aspetti relativi alla situazione di colui che intende esercitare la professione di avvocato in un altro Stato membro. La direttiva 2005/36, difatti, riguarda il riconoscimento delle qualifiche professionali, mentre la direttiva 77/249/CEE del Consiglio concerne la libera prestazione di servizi (13). La direttiva 2006/123/CE si occupa di numerose attività nell’ambito del mercato interno, inclusa la prestazione di consulenza legale nel contesto sia dello stabilimento sia della fornitura di servizi (14). La direttiva 98/5 si applica a coloro che intendono esercitare in modo permanente la professione di avvocato nello Stato membro ospitante.

35.      Nelle sue osservazioni scritte, il governo dei Paesi Bassi ha affermato che, poiché la direttiva 98/5 non prevede norme professionali e deontologiche per gli avvocati, si può cercare un orientamento in altre direttive che potrebbero applicarsi.

36.      Non condivido tale tesi.

37.      La direttiva 77/249 si occupa della prestazione di servizi da parte degli avvocati e della libertà in materia di stabilimento (15). Tuttavia, il procedimento dinanzi al giudice del rinvio riguarda il rifiuto di un ordine degli avvocati di iscrivere un avvocato che ha acquisito la sua qualifica professionale in un altro Stato membro. L’oggetto della questione pregiudiziale è pertanto lo stabilimento in qualità di avvocato, che è disciplinato dalla direttiva 98/5 e non la libera prestazione di servizi di consulenza legale(16).

38.      La direttiva 2005/36 si applica agli avvocati che intendono stabilirsi immediatamente in base al titolo professionale dello Stato membro ospitante. Essa non pregiudica l’applicazione della direttiva 98/5 (17) e non rileva nel presente caso. Monachos Eirinaios desidera ottenere l’iscrizione per esercitare la professione forense con il proprio titolo cipriota.

39.      La direttiva 2006/123 è di certo applicabile ai servizi di consulenza legale e riguarda non soltanto la prestazione di servizi ma anche lo stabilimento (18). Tuttavia, l’articolo 25 di tale direttiva, invocato dal governo dei Paesi Bassi nelle sue osservazioni scritte, si applica solo all’esercizio di attività multidisciplinari economiche. Essere una persona sottoposta alla disciplina monastica («attività parallela» alla professione forense per Monachos Eirinaios) non rientra in tale rubrica.

40.      La situazione di Monachos Eirinaios è chiaramente compresa nell’ambito di applicazione della direttiva 98/5. Questi è un avvocato in possesso di un titolo professionale valido in uno Stato membro (che dunque rientra nell’ambito di applicazione personale della direttiva 98/5, come definito nell’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di quest’ultima) il quale intende esercitare in modo permanente la professione forense in un altro Stato membro con il proprio titolo professionale di origine (soddisfacendo pertanto l’elemento transfrontaliero e l’ambito di applicazione materiale della direttiva 98/5, come definito nell’articolo 1, paragrafo 1, della medesima). Ne consegue che la compatibilità con il diritto dell’Unione di norme nazionali che vietano ai monaci di essere iscritti come avvocati con il loro titolo professionale di origine, per il motivo che essi non offrono determinate garanzie necessarie per gli avvocati, deve essere valutata sulla base di tale direttiva.

 Osservazioni preliminari in merito alla direttiva 98/5

41.      Lo scopo della direttiva 98/5 consiste nel migliorare la libera circolazione degli avvocati facilitando l’esercizio permanente della loro professione in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquisita la qualifica professionale (19) (in prosieguo, per comodità, si farà riferimento a tali avvocati come «avvocati emigranti»).

42.      Al fine di promuovere il mercato interno, la direttiva mira a offrire identiche possibilità agli avvocati e agli utenti del diritto in tutti gli Stati membri. Essa tende in particolare a rispondere alle esigenze degli utenti del diritto che, a motivo del flusso crescente delle attività commerciali, dovuto alla creazione del mercato interno, chiedono consulenze in occasione di operazioni transfrontaliere nelle quali si trovano spesso strettamente connessi il diritto internazionale, il diritto comunitario e i diritti nazionali (20).

43.      La direttiva mira pertanto, in particolare, a porre fine alle disparità tra le norme nazionali relative ai requisiti d’iscrizione presso le autorità competenti, da cui derivavano ineguaglianze ed ostacoli alla libera circolazione (21). Il mutuo riconoscimento dei titoli professionali degli avvocati emigranti che desiderino esercitare con il titolo conseguito nello Stato membro di origine favorisce il raggiungimento degli obiettivi della direttiva (22).

44.      Tuttavia, mentre la direttiva concerne il diritto di stabilirsi, essa non disciplina l’accesso alla professione di avvocato né l’esercizio di tale professione con il titolo professionale rilasciato nello Stato membro ospitante (23).

45.      Nel perseguire i propri obiettivi, la direttiva deve trovare un equilibrio tra interessi diversi.

46.      In primo luogo, detta direttiva crea un equilibrio tra il diritto «automatico» degli avvocati emigranti di iscriversi presso l’autorità competente dello Stato membro ospitante senza alcun preventivo controllo da parte di quest’ultimo circa le loro qualifiche professionali (articolo 3, paragrafo 2) e l’esigenza di informare gli utenti del diritto circa l’ambito di competenza di tali avvocati – gli avvocati emigranti sono pertanto tenuti ad esercitare esclusivamente con il proprio titolo professionale di origine indicato nella lingua dello Stato membro di origine (articolo 4, paragrafo 1) (24).

47.      In secondo luogo, gli avvocati emigranti hanno il diritto di offrire consulenza legale, rappresentare e difendere i clienti, se necessario di concerto con un avvocato che eserciti dinanzi alla giurisdizione adita (articolo 5). D’altronde, essi devono iscriversi presso l’autorità competente dello Stato membro ospitante e sono soggetti agli obblighi e alle regole professionali e deontologiche di quest’ultimo (articoli 3 e 6) (25).

48.      Inoltre, sebbene l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 98/5 armonizzi i requisiti cui devono conformarsi gli avvocati che desiderano esercitare con il loro titolo professionale di origine, la direttiva (i) si astiene dal disciplinare situazioni giuridiche puramente interne (considerando 7); (ii) non lede in alcun modo la disciplina nazionale relativa all’accesso alla professione di avvocato e al suo esercizio con il titolo professionale dello Stato membro ospitante (considerando 7); e (iii) stabilisce che gli avvocati devono ottemperare alle regole professionali e deontologiche ivi vigenti (considerando 8 e articolo 6) (26).

49.      In sintesi, la direttiva 98/5 è una direttiva ibrida, che si occupa della libertà di stabilimento degli avvocati emigranti i quali desiderino esercitare con il proprio titolo professionale di origine, armonizzando determinati aspetti pur lasciando agli Stati membri un notevole grado di autonomia sotto altri profili. La promozione della libera circolazione è contemperata con l’esigenza di garantire che i consumatori siano tutelati, e che gli avvocati emigranti ottemperino ai propri obblighi professionali nello Stato membro ospitante in funzione di una corretta amministrazione della giustizia. Di conseguenza, vi è una potenziale tensione intrinseca tra l’ammissione all’esercizio della professione (articolo 3) e le regole che disciplinano l’esercizio della professione (articolo 6).

 La questione pregiudiziale

50.      Il giudice del rinvio si chiede, in sostanza, se l’articolo 3 della direttiva 98/5 debba essere inteso nel senso che siano ammesse norme nazionali che vietano ai monaci l’iscrizione come avvocati con il loro titolo professionale di origine, per il motivo che essi non offrono determinate garanzie indispensabili per l’esercizio dell’attività forense.

51.      Monachos Eirinaios e la Commissione sostengono che, secondo la giurisprudenza della Corte, l’articolo 3 della direttiva 98/5 ha realizzato una completa armonizzazione delle norme pertinenti. Presentare un documento attestante l’iscrizione presso l’autorità competente dello Stato membro di origine è l’unica condizione a cui può essere subordinata l’iscrizione dell’interessato nello Stato membro ospitante (27). Se poi quella persona offra o meno le varie garanzie necessarie per esercitare la professione forense sarà oggetto di verifica da parte del competente ordine degli avvocati in una fase successiva del processo.

52.      La Commissione aggiunge che la questione se l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 98/5 (che riguarda i procedimenti disciplinari nel caso in cui l’avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine non ottemperi agli obblighi vigenti nello Stato membro ospitante) sia applicabile a Monachos Eirinaios è esclusa dall’ambito del presente procedimento, che concerne soltanto il diritto di siffatto avvocato di iscriversi presso il DSA.

53.      All’udienza il DSA ha affermato che un’interpretazione sistematica degli articoli 3, paragrafo 2, e 6, paragrafo 1, della direttiva 98/5, alla luce dei considerando di quest’ultima, dovrebbe condurre alla conclusione che un ordine degli avvocati può rifiutarsi di iscrivere al proprio albo un avvocato che intenda esercitare con il proprio titolo professionale di origine, quando dai documenti presentati risulta che sussiste una causa di impedimento a tale iscrizione conformemente al diritto nazionale.

54.      Il governo ellenico sostiene che l’articolo 3 della direttiva 98/5 deve essere letto in combinato disposto con l’articolo 6 della medesima direttiva. Se un monaco venisse iscritto presso il DSA con il suo titolo professionale di origine, dovrebbe essere immediatamente cancellato in conformità alle regole professionali e deontologiche elleniche. Sarebbe un risultato assurdo. Il governo ellenico ritiene che un monaco non abbia l’indipendenza necessaria per esercitare la professione forense.

55.      Il governo dei Paesi Bassi afferma che l’articolo 3 della direttiva 98/5 deve essere interpretato nel senso che la normativa nazionale non può vietare ad un monaco di iscriversi e di esercitare come avvocato con il proprio titolo professionale di origine. L’articolo 6 della direttiva non prevede in modo tassativo tutte le regole professionali e deontologiche, che dovrebbero dunque essere esaminate alla luce di altre disposizioni di diritto derivato, come l’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/123.

 Iscrizione ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 98/5

56.      L’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 98/5 riguarda esclusivamente l’iscrizione degli avvocati emigranti presso l’autorità competente dello Stato membro ospitante. Detta disposizione prevede che tale autorità «procede all’iscrizione dell’avvocato» su presentazione del relativo certificato.

57.      Tale disposizione mira a porre fine alle disparità tra le norme nazionali relative ai requisiti d’iscrizione presso le autorità competenti e crea dunque un sistema per il mutuo riconoscimento dei titoli professionali degli avvocati emigranti (v. paragrafo 43 supra). Essa provvede ad armonizzare completamente i requisiti preliminari richiesti ai fini di esercitare il diritto di stabilimento conferito da tale direttiva. Un avvocato che intende esercitare in modo permanente in uno Stato membro diverso da quello in cui ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l’autorità competente di detto Stato membro. Quest’ultima è tenuta a procedere a tale iscrizione «su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine» (28).

58.      Secondo una costante giurisprudenza della Corte, l’unico requisito cui dev’essere subordinata l’iscrizione dell’interessato nello Stato membro ospitante è la presentazione di tale certificato all’autorità competente dello Stato membro ospitante. L’iscrizione da parte dello Stato membro è quindi obbligatoria e consente all’interessato di esercitare ivi con il suo titolo professionale di origine (29). Tale analisi è confermata dalla proposta della Commissione che, nelle osservazioni relative all’articolo 3, dichiara che «l’iscrizione è un diritto automatico se il richiedente fornisce prova della propria iscrizione presso l’autorità competente del proprio Stato membro di origine» (il corsivo è mio). L’iscrizione rappresenta per l’avvocato emigrante il mezzo per accedere all’esercizio della professione nello Stato membro ospitante.

59.      La Corte ha pertanto già dichiarato che i cittadini italiani i quali, dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza in Italia, hanno ottenuto una laurea in giurisprudenza in Spagna e sono stati iscritti come avvocati in detto Stato membro soddisfano tutti i requisiti necessari per essere iscritti all’albo degli avvocati in Italia, se presentano all’autorità competente il loro certificato di iscrizione presso l’autorità competente spagnola (30).

60.      Nello stesso ordine di idee, la Corte ha dichiarato, nella sentenza Wilson, che imporre agli avvocati, che intendano esercitare la loro attività con il titolo professionale d’origine, di partecipare a un colloquio per consentire al consiglio dell’ordine di controllare la padronanza, da parte loro, del linguaggio amministrativo e forense dello Stato membro ospitante è in contrasto con la direttiva 98/5 (31).

61.      Da tale giurisprudenza emerge che gli Stati membri non hanno la facoltà di introdurre ulteriori requisiti per l’iscrizione degli avvocati emigranti con il loro titolo professionale di origine.

62.      Da un certo punto di vista, pertanto, rispondere alla questione sollevata dal giudice del rinvio è semplice. L’articolo 3, paragrafo 2 della direttiva 98/5 vieta l’introduzione di requisiti supplementari, come quello di non essere monaco, ai fini dell’iscrizione con il titolo professionale di avvocato di origine.

63.      La conclusione in parola è inficiata dall’interazione tra l’articolo 3 e l’articolo 6 della direttiva 98/5 e dall’esistenza di norme nazionali ai sensi delle quali gli avvocati che siano (o diventino) monaci devono essere immediatamente cancellati dall’albo dell’Ordine degli avvocati o che impongono determinati obblighi, come quello di avere la sede e lo studio nel circondario del tribunale di primo grado in cui l’interessato è designato quale avvocato o quello di ricevere un corrispettivo per i propri servizi?

64.      Dalle informazioni presentate alla Corte risulta che la disposizione di diritto nazionale che vieta ad un monaco di diventare avvocato sia reintrodotta sotto forma di divieto di essere un monaco e di esercitare come avvocato (32). Se questa sia effettivamente la lettura corretta del diritto nazionale, è un aspetto che spetta al giudice nazionale verificare. Altre norme nazionali invocate dal DSA e dal governo ellenico comprendono l’obbligo di indipendenza, di completa dedizione ai propri doveri professionali, di insediamento con sede e studio nel circondario del tribunale di primo grado in cui si è designati come avvocati e l’offerta delle prestazioni solo verso corrispettivo. L’argomento dedotto consiste in sostanza nel fatto che, poiché chi ha lo status di monaco «violerà» le norme professionali e deontologiche, ne consegue che lo stesso non debba essere iscritto come avvocato sin dal principio.

65.      È importante iniziare questa parte dell’analisi ricordando esattamente su cosa verte (e, soprattutto su cosa non verte) la discussione. Il procedimento in oggetto concerne il caso di un avvocato emigrante che vuole stabilirsi ed esercitare con il proprio titolo professionale di origine. Esso non concerne il diritto della Grecia, o di un altro Stato membro, di fissare i requisiti in base ai quali una persona possa essere considerata un avvocato secondo le sue regole e possa esercitare con il suo titolo professionale.

66.      L’articolo 6 della direttiva 98/5 consente ad uno Stato membro di vietare ad un soggetto, in possesso dei requisiti per l’iscrizione conformemente all’articolo 3 della medesima direttiva, di esercitare la professione di avvocato in detto Stato con il suo titolo professionale di origine per il motivo che, trattandosi di una persona sottoposta alla disciplina religiosa, egli non può per definizione comportarsi come è richiesto per fornire le garanzie necessarie all’esercizio dell’attività forense?

67.      Orbene, ritengo che si debba effettuare una distinzione analitica tra la specifica norma ai sensi della quale un sacerdote o un monaco non possono essere avvocati, da un lato, e le diverse singole norme professionali e deontologiche invocate dal DSA (ad esempio, in relazione alla completa dedizione di un avvocato ai propri doveri professionali o all’insediamento con una sede o uno studio nella pertinente area geografica), dall’altro lato.

68.      Non ritengo che la norma precedente debba essere correttamente qualificata come una norma professionale e deontologica che rientra nella sfera di competenza dello Stato membro ospitante ai sensi dell’articolo 6 della direttiva 98/5. Mi sembra che siffatta norma, ad un esame più attento, stabilisca che le persone con particolari caratteristiche non dovrebbero essere autorizzate ad esercitare. La presunzione implicita è che, poiché un soggetto A possiede tali caratteristiche, una volta iniziato l’esercizio della professione egli si comporterà necessariamente in un determinato modo, che è inaccettabile in base al codice deontologico. Si tratta però di una presunzione; e le norme professionali e deontologiche sono concepite per disciplinare la condotta effettiva, non presunti comportamenti futuri. Se nell’esempio che ho appena formulato si sostituisce «un monaco» con «una persona con i capelli rossi», diverrà subito evidente per quale motivo una simile norma non è, propriamente parlando, una norma professionale e deontologica.

69.      Aggiungo che, per quanto mi consta, una norma di quel tipo priverebbe altresì il soggetto leso delle garanzie procedurali riconosciute dagli articoli 7 e 9 della direttiva 98/5. Se si parte dal presupposto che una persona con i capelli rossi (ad esempio) violerà automaticamente il dovere di riservatezza nei confronti di un cliente ed è pertanto sanzionato in anticipo con la cancellazione dall’albo dell’ordine degli avvocati prima ancora di iniziare ad esercitare, come potrebbe offrire una reale protezione l’attenta procedura bilaterale di cui all’articolo 7 tra lo Stato membro ospitante e lo Stato membro di origine o il diritto al ricorso giurisdizionale, di cui all’articolo 9?

70.      Dal momento che l’articolo 6 della direttiva 98/5 si applica soltanto a norme professionali e deontologiche, si evince che una norma nazionale, la quale imponga ad un monaco il divieto assoluto di esercitare la professione forense, non può essere applicata ad un avvocato emigrante in possesso dei requisiti per l’iscrizione ai sensi dell’articolo 3 e che intenda esercitare con il suo titolo professionale di origine.

71.      Che dire della seconda categoria di norme prima identificate?

72.      Risulta chiaramente dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 98/5 che gli avvocati che esercitano con il loro titolo professionale d’origine in uno Stato membro ospitante sono soggetti alle stesse norme professionali e deontologiche cui sono soggetti gli avvocati che esercitano con il titolo professionale di tale Stato membro (33). Ai sensi degli articoli 6 e 7 di tale direttiva, pertanto, tali avvocati sono tenuti al rispetto di due tipi di norme professionali e deontologiche: quelle dello Stato membro di origine e quelle dello Stato membro ospitante. In caso non lo facciano, essi incorreranno in sanzioni disciplinari ed eventualmente verrà in questione la loro responsabilità professionale (34).

73.      Ciò detto, mi sembra che le autorità competenti dello Stato membro ospitante non possano legittimamente presumere in anticipo che, dal momento che l’interessato è sottoposto alla disciplina religiosa (o, a questo punto, può trattarsi di un ateo o di un membro di un particolare gruppo politico o filosofico), automaticamente e inevitabilmente si comporterà in modo tale da violare le norme disciplinari degli avvocati di tale Stato membro. Piuttosto, dette autorità devono aspettare di vedere in che modo l’interessato effettivamente si comporti nell’esercizio della professione. Questo è, in definitiva, ciò che le norme professionali e deontologiche mirano a disciplinare.

74.      Come la Corte ha dichiarato nella sentenza Jakubowska, le norme professionali e deontologiche, contrariamente a quelle relative ai requisiti preliminari per l’iscrizione, non sono state oggetto di armonizzazione e possono quindi divergere considerevolmente da quelle in vigore nello Stato membro d’origine. L’inosservanza di dette norme può portare alla cancellazione dell’iscrizione dell’avvocato nello Stato membro ospitante (35). La Corte ha altresì sottolineato che la mancanza di conflitto d’interessi è indispensabile all’esercizio della professione forense ed implica, in particolare, che gli avvocati si trovino in una situazione di indipendenza nei confronti dei pubblici poteri e di altri operatori, di cui non devono subire l’influenza. Pertanto, il fatto che particolari norme professionali e deontologiche siano restrittive non è di per sé censurabile. Tuttavia, oltre a dover essere applicate indifferentemente a tutti gli avvocati iscritti in detto Stato membro, tali norme non devono eccedere quello che è necessario per conseguire il loro obiettivo (36).

75.      Nel compiere la necessaria valutazione, devono anzitutto essere individuati gli obiettivi perseguiti dalla normativa nazionale (37). Il giudice del rinvio ha suggerito che il motivo per cui va vietato ai monaci l’esercizio dell’attività forense consista nel fatto che il pubblico interesse impone che l’avvocato si dedichi esclusivamente all’esercizio delle sue funzioni, unitamente al fatto che l’esercizio della professione forense comporti una conflittualità, incompatibile con lo status di ministro del culto. Il giudice del rinvio menziona altresì il requisito dell’indipendenza professionale e della libertà di trattare i casi. Tra le specifiche norme professionali e deontologiche accessorie invocate a cui, si sostiene, un monaco non potrebbe conformarsi, sono compresi l’obbligo di avere una sede e uno studio nel circondario del tribunale di primo grado cui l’interessato è assegnato e l’obbligo di offrire prestazioni solo verso corrispettivo.

76.      Il ragionamento dedotto mi pare una combinazione di quanto può essere di fatto descritto come «obiettivi» (e di certo obiettivi lodevoli) – la tutela della corretta amministrazione della giustizia e la garanzia che il cliente abbia accesso ad una consulenza imparziale e ad un’appropriata rappresentanza professionale – e della ricorrente presunzione che una persona sottoposta alla disciplina religiosa non sia «ovviamente» in grado di comportarsi in modo compatibile con tali obiettivi. Per quanto riguarda i fatti particolari di un avvocato particolare, tale presunzione può di fatto essere corretta. Tuttavia, essa può anche essere errata. Ciò può essere più agevolmente dimostrato adducendo due esempi (immaginari).

77.      Il monaco X si accosta alla professione forense come ad un’attività intellettuale minore, accessoria, che integra la sua vita religiosa. Egli rifiuta regolarmente di trattare casi che riguardano persone «cattive»; adatta la sua consulenza legale in modo tale che quest’ultima sia conforme, sotto tutti gli aspetti, a quanto egli ritiene, moralmente, che il cliente debba fare per rispettare gli insegnamenti religiosi della Chiesa e non è disponibile in modo regolare nel circondario in cui è stato designato quale avvocato. La sua condotta nell’esercizio della professione viola chiaramente le dettagliate norme professionali e deontologiche dello Stato membro ospitante e vanifica le finalità di pubblico interesse di tali norme. È evidente che l’autorità competente di detto Stato possa (e anzi debba) avviare un procedimento disciplinare nei confronti del monaco X. Per quanto concerne i fatti che ho descritto, tale procedimento comporterà la cancellazione dall’albo dello Stato membro ospitante (aggiungo che detto monaco potrebbe anche trovarsi in difficoltà in base alle norme disciplinari del proprio Stato membro di origine). Tutto ciò avverrà tuttavia nel rispetto del principio del giusto processo; e il monaco X potrà adire un organo giurisdizionale per impugnare la decisione con cui viene radiato.

78.      Il monaco Y discute con i suoi superiori religiosi i requisiti professionali cui egli sarà chiamato a conformarsi se inizierà ad esercitare la professione di avvocato. Essi esaminano insieme le norme applicabili ad una ad una. Il monaco in parola ottiene la necessaria dispensa dall’obbligo di avere una sede e uno studio nel circondario in cui è stato designato. Viene convenuto che egli riscuoterà normali onorari per i suoi servizi e li verserà ad un’associazione di beneficienza designata. Lo stesso viene dispensato dall’obbligo di formale partecipazione alla preghiera comunitaria durante la giornata di lavoro in modo tale che egli si possa dedicare completamente ai suoi doveri di avvocato. I suoi superiori religiosi accettano di rispettare la sua indipendenza professionale. Su tali basi il monaco Y inizia ad esercitare la professione forense e la sua condotta in qualità di avvocato è irreprensibile. Per quanto riguarda i fatti che ho descritto, risulterebbe oggettivamente ingiustificato avviare un procedimento disciplinare nei suoi confronti, ancor più radiarlo dall’albo. Pur essendo un monaco, egli si sta conformando a tutte le norme professionali e deontologiche del caso.

79.      Ho deliberatamente fornito esempi immaginari. Non rientra nelle funzioni della Corte prevedere cosa succederà se o quando Monachos Eirinaios inizierà ad esercitare. L’unica conclusione a cui giungo a tale riguardo – e, a mio modesto avviso, l’unico aspetto della storia che la Corte deve affrontare per rispondere alla questione pregiudiziale sollevata – è che l’articolo 6 della direttiva 98/5 non consente ad uno Stato membro di vietare automaticamente ad una persona, in possesso dei requisiti per l’iscrizione di cui all’articolo 3, di esercitare la professione di avvocato in detto Stato con il suo titolo professionale di origine per il motivo che, trattandosi di una persona sottoposta alla disciplina religiosa, non può per definizione comportarsi come è richiesto per fornire le garanzie necessarie per l’esercizio dell’attività forense.

 Conclusione

80.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla questione sollevata dal Symvoulio tis Epikrateias (Consiglio di Stato, Grecia) come segue:

L’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica, deve essere interpretato nel senso che esso osta all’applicazione di una disciplina nazionale che vieta l’iscrizione di una persona come avvocato con il suo titolo professionale di origine a causa del suo status di monaco. L’articolo 6 della direttiva in parola non consente ad uno Stato membro di vietare automaticamente ad una persona, in possesso dei requisiti per l’iscrizione ai sensi dell’articolo 3, di esercitare la professione di avvocato in detto Stato con il suo titolo professionale di origine per il motivo che, in quanto persona sottoposta alla disciplina religiosa, non può per definizione comportarsi nel modo richiesto per fornire le garanzie necessarie per l’esercizio dell’attività forense.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      «Οὐδεὶς δύναται δυσὶ κυρίοις δουλεύειν· ἢ γὰρ τòν ἕνα μισήσει καὶ τòν ἕτερον ἀγαπήσει, ἢ ἑνòς ἀνθέξεται καὶ τοῦ ἑτέρου καταφρονήσει. Οὐ δύνασθε Θεῷ δουλεύειν καὶ μαμωνᾷ», Matteo, 6:24.


3      Luca, 10:25-37.


4      Direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica (GU 1998, L 77, pag. 36), da ultimo modificata dalla direttiva 2013/25/UE del Consiglio, del 13 maggio 2013, che adegua determinate direttive in materia di diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi a motivo dell’adesione della Repubblica di Croazia (GU 2013, L 158, pag. 368).


5      La normale traduzione di «Monachos Eirinaios» in inglese, lingua originale delle presenti conclusioni, sarebbe «Brother Eirinaios». Tuttavia, mantengo il termine «Monachos» (monaco) allo scopo di evitare le diverse percezioni e connotazioni che possono accompagnare le varie versioni linguistiche.


6      Direttiva 89/48/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989, L 19, pag. 16), abrogata dalla direttiva 2005/36 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (GU 2005, L 255, pag. 22).


7      Articolo 5.


8      Rispettivamente, articolo 7, paragrafo 1, lettere a) e c).


9      Articolo 7, paragrafo 2.


10      Il giudice del rinvio ha descritto Monachos Eirinaios come un monaco presso il Sacro Monastero di Petras, che si trova a Karditsa. Tuttavia, all’udienza il legale di Monachos Eirinaios ha precisato che quest’ultimo risiede attualmente sull’isola di Zante.


11      Giudice del rinvio (seduta plenaria), sentenza n. 2368/1988.


12      Giudice del rinvio, sentenza n. 1090/1989.


13      Direttiva del Consiglio, del 22 marzo 1977, intesa a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati (GU 1977, L 78, pag. 17), da ultimo modificata dalla direttiva 2013/25/UE del Consiglio, del 13 maggio 2013, che adegua determinate direttive in materia di diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi a motivo dell’adesione della Repubblica di Croazia (GU 2013, L 158, pag. 368).


14      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU 2006, L 376, pag. 36), considerando 33 e articolo 1, paragrafo 1.


15      Secondo considerando e articolo 1 della direttiva 77/249.


16      V. articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 98/5. V. anche, in tal senso, sentenza del 2 dicembre 2010, Jakubowska, C‑225/09, EU:C:2010:729.


17      Considerando 42 della direttiva 2005/36. La Corte ha dichiarato, con sentenza del 3 febbraio 2011, Ebert, C‑359/09, EU:C:2011:44 (una causa riguardante la direttiva 89/48, abrogata dalla direttiva 2005/36, e la direttiva 98/5), che le due direttive si completano, instaurando, per gli avvocati degli Stati membri, due modalità d’accesso alla professione d’avvocato in uno Stato membro ospitante con il titolo professionale di quest’ultimo: v. paragrafi da 27 a 35.


18      Considerando 33 e articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2006/123.


19      Considerando 1 e 5 e articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 98/5. V., anche, la proposta della Commissione, di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio intesa a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica, COM (94) 572 def. (in prosieguo: la «proposta della Commissione»), paragrafo 1.3.


20      Considerando 1, 5 e 6.


21      Considerando 6 della direttiva 98/5 e sentenza del 17 luglio 2014, Torresi, C‑58/13 e C‑59/13, EU:C:2014:2088, punto 37 e giurisprudenza ivi citata.


22      V., in tal senso, sentenza del 17 luglio 2014, Torresi, C‑58/13 e C‑59/13, EU:C:2014:2088, punto 36 e giurisprudenza ivi citata.


23      Sentenza del 17 luglio 2014, Torresi, C‑58/13 and C‑59/13, EU:C:2014:2088, punto 56.


24      Considerando 9. V., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2000, Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, C‑168/98, EU:C:2000:598, in cui la Corte ha dichiarato «che il legislatore comunitario, al fine di facilitare l’esercizio della libertà fondamentale di stabilimento di una determinata categoria di avvocati migranti, ha preferito, ad un sistema di controllo a priori di una qualifica nel diritto nazionale dello Stato membro ospitante, una formula che comprenda un’informazione per il consumatore, alcuni limiti alla portata o alle modalità di esercizio di determinate attività della professione, il cumulo delle norme professionali e deontologiche da osservare, l’assicurazione obbligatoria, nonché un regime disciplinare che associa le autorità competenti dello Stato membro di origine e dello Stato membro ospitante. Lo stesso legislatore non ha soppresso l’obbligo di conoscenza del diritto nazionale applicabile nelle pratiche trattate dall’avvocato interessato, ma ha semplicemente dispensato quest’ultimo dalla dimostrazione preventiva del possesso di tale conoscenza» (punto 43). Aggiungo che, poiché il titolo professionale per un avvocato greco abilitato e per un avvocato cipriota abilitato è lo stesso («Δικηγόρος»), a mio parere il DSA sarebbe legittimato a chiedere a Monachos Eirinaios di specificare che egli non è in possesso dell’abilitazione ellenica – magari, utilizzando il termine «(Κύπρος)» dopo il suo titolo. V. precedenti paragrafi 8 e 9.


25      V. proposta della Commissione, paragrafo 2.


26      V. anche la proposta della Commissione, paragrafo 3.3, la quale sottolinea che la proposta si limita a stabilire requisiti minimi cui devono conformarsi gli avvocati emigranti. Per il resto, essa rinvia in particolare alle regole professionali e disciplinari applicabili nello Stato membro ospitante cui sono soggetti gli avvocati che esercitano con il titolo professionale di detto Stato.


27      Sentenza del 19 settembre 2006, Wilson, C‑506/04, EU:C:2006:587, punti 66 e 67.


28      Sentenza del 17 luglio 2014, Torresi, C‑58/13 e C‑59/13, EU:C:2014:2088, punto 38 e giurisprudenza ivi citata.


29      Sentenza del 17 luglio 2014, Torresi, C‑58/13 e C‑59/13, EU:C:2014:2088, punto 39 e giurisprudenza ivi citata.


30      Sentenza del 17 luglio 2014, Torresi, C‑58/13 e C‑59/13, EU:C:2014:2088, punti 9 e 40.


31      Sentenza del 19 settembre 2006, C‑506/04, EU:C:2006:587, punto 77. V., anche, sentenza del 19 settembre 2006, Commissione/Lussemburgo, C‑193/05, EU:C:2006:588, punto 40.


32      Articolo 7, paragrafo 1, lettera a), del Codice Forense, v. supra, paragrafo 22.


33      Sentenza del 3 febbraio 2011, Ebert, C‑359/09, EU:C:2011:44, punto 39 e giurisprudenza ivi citata.


34      Sentenza del 19 settembre 2006, Wilson, C‑506/04, EU:C:2006:587, punto 74.


35      Sentenza del 2 dicembre 2010, C‑225/09, EU:C:2010:729, punto 57.


36      Sentenza del 2 dicembre 2010, Jakubowska, C‑225/09, EU:C:2010:729, punti da 59 a 62.


37      V., in tal senso, e soltanto per analogia, sentenza del 21 ottobre 1999, Zenatti, C‑67/98, EU:C:1999:514, punti 26 e 30.