ConclusionsCONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
DÁMASO RUIZ-JARABO COLOMER
presentate il 20 novembre 2003 (1)Causa C-159/02
Turner
[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla House of Lords (Regno Unito)]
«Convenzione di Bruxelles – Divieto di agire in giudizio imposto dall'autorità giudiziaria (“anti-suit injunction”) – Compatibilità»
Introduzione 1.
La presente questione pregiudiziale, formulata dalla House of Lords, fornisce l’opportunità di dissipare ogni dubbio circa la compatibilità dei provvedimenti comunemente detti «
anti-suit-injunctions» con la Convenzione di Bruxelles
(2) . Si tratta di ingiunzioni con le quali l’autorità giudiziaria vieta ad una parte, a pena di incorrere nel reato di contempt [reato di mancata esecuzione di un ordine del giudice], di iniziare o continuare un procedimento dinanzi ad un altro organo giurisdizionale, anche se straniero. Nella causa che ci occupa, l’ingiunzione controversa è volta ad evitare che la parte interessata possa dar luogo ad un abuso processuale proponendo azioni a scopo vessatorio.
Fatti del procedimento principale 2.
I fatti che danno origine al presente procedimento pregiudiziale, quali si ricavano dall’esposizione di Lord Hobhouse of Woodborough contenuta nell’ordinanza di rinvio, possono essere riassunti come segue.
3.
Il sig. Gregory Paul Turner, cittadino britannico abilitato all’esercizio della professione di avvocato secondo il diritto inglese, era stato assunto come consulente legale di un gruppo di imprese da una delle società che ne facevano parte.
Il gruppo, denominato Chequepoint Group, era diretto dal sig. Grovit e raccoglieva alcune società costituite in paesi diversi, tra le quali figuravano, oltre alla China Security Ltd., società domiciliata ad Hong Kong che aveva assunto il sig. Turner, la Harada Ltd., con sede nel Regno Unito, e la Changepoint S.A., domiciliata in Spagna.
Il ruolo del sig. Turner, in qualità di consulente, comprendeva la prestazione di collaborazione e consulenza nelle questioni immobiliari e commerciali, la rappresentanza in giudizio nel Regno Unito e altri compiti di carattere giuridico relativi al gruppo.
4.
Il sig. Turner svolgeva la propria attività professionale a Londra. Tuttavia, nel maggio 1997 chiedeva di essere trasferito presso gli uffici del gruppo a Madrid, richiesta accolta dal suo datore di lavoro. Nel mese di novembre dello stesso anno veniva assegnato alla società Harada, con le stesse condizioni di lavoro. Pertanto, il sig. Turner doveva continuare ad eseguire le stesse mansioni che aveva svolto in precedenza.
5.
Dopo 35 giorni effettivi di lavoro a Madrid, il sig. Turner chiedeva la rescissione del suo contratto con la Harada, che nel marzo 1998 citava in giudizio dinanzi all’Employment Tribunal di Londra, organo giurisdizionale di primo grado competente in materia sociale. Egli affermava che vi erano stati tentativi di coinvolgerlo in comportamenti illegali riguardanti il trattamento irregolare delle trattenute relative ai contributi previdenziali. Tali artifizi equivalevano, secondo il ricorrente, ad un licenziamento senza giusta causa.
6.
L’Employment Tribunal respingeva l’eccezione di incompetenza sollevata dalla Harada, e tale decisione veniva confermata in appello.
Al termine del processo, l’Employment Tribunal accordava al sig. Turner il risarcimento dei danni.
7.
Nel frattempo, nel luglio 1998 la Changepoint e la Harada avevano avviato un procedimento contro il sig. Turner dinanzi ad un organo giurisdizionale di primo grado della capitale spagnola, chiedendo il risarcimento dei danni che asserivano di aver subito in conseguenza della condotta professionale inadempiente del sig. Turner.
Quest’ultimo riceveva l’atto di citazione intorno al 15 dicembre, ma si rifiutava di accettarne la notifica.
Nella domanda, che sarebbe stata formalizzata in un momento successivo, si esigeva dal sig. Turner il pagamento di un importo considerevole (più di 85 milioni di pesetas) a titolo di risarcimento per la mancata prestazione dei servizi dovuti alla Changepoint SA in forza del contratto. Venivano addotti sette esempi di mancato adempimento degli obblighi contrattuali da parte del sig. Turner e si lamentava inoltre il fatto che egli fosse indebitamente scomparso dall’ufficio di Madrid senza preavviso ed avesse poi presentato ricorso in Gran Bretagna, sostenendo pretese infondate, che occultavano la verità al giudice inglese.
8.
Il sig. Turner non si costituiva nel procedimento innanzi al giudice spagnolo. Il 18 dicembre 1998 chiedeva alla High Court di Londra
(3) di vietare al sig. Grovit, alla Harada ed alla Changepoint il proseguimento dell’azione promossa in Spagna. Il 22 dicembre la High Court accoglieva tale richiesta con un ordine temporaneo.
A seguito del rifiuto opposto dalla High Court, nel febbraio 1999, alla richiesta di prorogare il suddetto ordine, il sig. Turner si rivolgeva alla Court of Appeal, che il 28 maggio emetteva un’ingiunzione in forza della quale le società convenute dovevano, congiuntamente, e individualmente:
- «1.
- adottare tutti i provvedimenti necessari per desistere o indurre a desistere dalle pretese fatte valere contro il ricorrente nel procedimento avviato da uno o più dei convenuti innanzi al Tribunale di primo grado di Madrid n. 67, nel procedimento n. 70/98;
- 2.
- astenersi dal prendere qualsiasi iniziativa in relazione al procedimento avviato da uno o più dei convenuti dinanzi Tribunale di primo grado di Madrid, n. 67, nel procedimento n. 70/98, salvo ai fini dell’esecuzione del paragrafo 3, n. 1 del presente ordine;
- 3.
- astenersi dall’iniziare, continuare o incaricare una qualsiasi altra persona (inclusa qualsiasi società direttamente o indirettamente controllata dai convenuti o da uno di essi, o qualsiasi società del o associata al gruppo di società Chequepoint e inoltre, rispetto al primo convenuto, qualsiasi società di cui [egli] sia l’amministratore) ad iniziare o continuare qualsiasi altro procedimento contro il ricorrente (in relazione al suo contratto di lavoro) in Spagna o altrove, fatta salva la circostanza che il presente paragrafo non è applicabile ai procedimenti iniziati o continuati in Inghilterra o in Galles».
9.
La Court of Appeal reputava, a tali effetti, che il procedimento avviato a Madrid avesse l’unico scopo di perseguire o opprimere una parte, motivo per cui riteneva legittimo vietare alle società Changepoint e Harada, mediante ordine inibitorio, la continuazione del procedimento promosso all’estero. In tale decisione della Court of Appeal è implicita la constatazione che, in assenza del suddetto ordine, le convenute avrebbero persistito nel loro comportamento abusivo.
10.
Contro tale decisione le citate società hanno presentato ricorso dinanzi alla House of Lords.
Norme di diritto interno applicabili 11.
Gli ordini che impongono di non procedere, come quello di cui è causa nel procedimento principale trovano il loro fondamento giuridico nell’art. 37, n. 1, del Supreme Court Act 1981 (legge che disciplina i procedimenti dinanzi alla Corte Suprema) che ha il seguente tenore generale:
«La High Court può, con ordinanza, emettere un provvedimento inibitorio, con carattere interlocutorio o definitivo (...), in tutti i casi in cui lo ritenga giusto e opportuno».
La Court of Appeal ha poteri analoghi nell’ambito dei ricorsi in appello contro le decisioni della High Court.
12.
La giurisprudenza nazionale delimita i casi in cui è possibile adottare tali provvedimenti. Deve essere dimostrata la sussistenza di un comportamento illegittimo della parte destinataria del provvedimento, nonché l’esistenza di un interesse legittimo del richiedente a prevenire tale comportamento.
13.
Meritano tale protezione le persone esposte al rischio di abuso processuale, cioè le persone potenzialmente vittime di un comportamento iniquo nella forma di un procedimento a carattere temerario o vessatorio, a prescindere dalla circostanza che il procedimento sia stato promosso in Inghilterra, in Galles o all’estero.
Questione pregiudiziale 14.
Con ordinanza 13 dicembre 2001 la House of Lords ha deciso di sottoporre alla Corte di giustizia, a norma dell’art. 3, n. 1, del Protocollo 3 giugno 1971, sull’interpretazione della Convenzione di Bruxelles del 1968, la seguente questione pregiudiziale:
«Se sia o non sia compatibile con la Convenzione di Bruxelles concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968 (alla quale il Regno Unito ha aderito successivamente) l’emanazione di ordini inibitori nei confronti di convenuti che minacciano di iniziare o continuare procedimenti giudiziari in un altro Stato parte della Convenzione, quando tali convenuti stanno agendo in mala fede con l’intenzione di vanificare o ostacolare procedimenti regolarmente pendenti innanzi al giudice inglese».
Giudizio della House of Lords 15.
Nell’ordinanza di rinvio si espone che il potere esercitato dalla Court of Appeal nel presente caso non ha la pretesa di delimitare la competenza giurisdizionale di un giudice straniero, ma si giustifica per il fatto che la parte contro la quale è diretto l’ordine è soggetta
in personam alla competenza del giudice inglese. Perciò, il citato ordine inibitorio si dirige unicamente alla parte che compare dinanzi all’organo che lo emette, non al giudice straniero.
A dimostrare che ordini di questo tipo non comportano una valutazione della competenza del giudice straniero starebbe il fatto che essi vengono di regola pronunciati quando l’organo giurisdizionale straniero possiede o è disposto ad assumere la competenza a conoscere della causa.
Tuttavia, dato che riguardano indirettamente il giudice straniero, provvedimenti di tal genere devono essere adottati con estrema cautela e solo nel caso in cui risultino necessari per la buona amministrazione della giustizia.
16.
A ciò si correla il fatto che anche un procedimento pendente dinanzi ad un giudice inglese verrebbe sospeso se la sua prosecuzione lo rendesse iniquo per una delle parti.
Sebbene da quanto esposto si deduca che l’ordine emanato non è stato basato sulla considerazione che l’azione era stata proposta in un foro inappropriato (dottrina del
forum non conveniens), nell’ordinanza di rinvio si indica che determinare se il foro straniero fosse o meno adeguato è una questione rilevante al fine di provare l’effettività dell’abuso e incide nella valutazione circa l’opportunità di emettere un ordine come misura cautelare.
17.
La House of Lords asserisce che può essere fatta richiesta di un ordine inibitorio quando si dimostri un interesse legittimo simile a quello della parte che invoca un diritto contrattuale di non essere citata in giudizio in un determinato foro (per esempio, in virtù di una clausola di competenza esclusiva o di una clausola compromissoria).
18.
Di conseguenza, i tratti essenziali che inducono la Court of Appeal, in conformità del diritto inglese, ad emettere l’ordine controverso sono i seguenti:
- a)
- il richiedente è parte in un procedimento giurisdizionale esistente nel Regno Unito;
- b)
- i convenuti hanno avviato in mala fede e intendono continuare un altro procedimento contro il richiedente presso un altro giudice, allo scopo di vanificare o ostacolare il procedimento in Inghilterra;
- c)
- il giudice ritiene che, al fine di tutelare il legittimo interesse del richiedente nel procedimento inglese in corso, sia necessario concedergli un ordine inibitorio contro i convenuti.
19.
Del resto, nessuna disposizione della Convenzione di Bruxelles osterebbe all’adozione di provvedimenti di tal genere. Anzi, tali provvedimenti darebbero un contributo efficace alla realizzazione di uno degli obiettivi della Convenzione, cioè quello di limitare il rischio di decisioni tra loro incompatibili.
20.
Nell’ordinanza di rinvio viene inoltre precisato che spetta all’organo giurisdizionale inglese – e non al giudice spagnolo –, in esito all’esame degli elementi a sua disposizione, accertare se il procedimento promosso all’estero metta a repentaglio il regolare svolgimento del procedimento dinanzi ad esso pendente.
21.
Infine, il giudice del rinvio nega che il principio dell’uguaglianza tra i giudici dei paesi membri della Convenzione di Bruxelles possa venire indebolito per il fatto che non tutti i giudici hanno la facoltà di emettere ordini che vietano di agire in giudizio. Secondo la House of Lords, scopo della Convenzione non è raggiungere l’uniformità, bensì stabilire chiare regole che determinino la competenza giurisdizionale sul piano internazionale.
22.
A titolo di corollario, il giudice a quo aggiunge che, se la questione dell’interpretazione dovesse essere risolta unicamente dalla House of Lords, a suo avviso non esiste alcuna incompatibilità con la Convenzione.
Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia 23.
La domanda di pronuncia pregiudiziale è pervenuta nella cancelleria della Corte il 30 aprile 2002. Dopo lo svolgimento delle opportune procedure, si è tenuta un’udienza il 9 settembre 2003.
24.
Hanno presentato osservazioni i rappresentanti dei convenuti nella causa principale, i governi britannico, tedesco e italiano, e la Commissione.
Analisi della questione pregiudiziale 25.
Sia le parti convenute nella causa a qua, sia i governi tedesco e italiano e la Commissione sostengono che le ingiunzioni emesse dall’autorità giudiziaria, di cui si discute nel procedimento dinanzi alla Corte, sono incompatibili con la Convenzione di Bruxelles. Tra coloro che hanno presentato osservazioni, solo il Regno Unito fa propria l’analisi del giudice del rinvio, che difende la compatibilità di tali provvedimenti con la Convenzione.
26.
Tali provvedimenti inibitori risalgono al secolo XV, sebbene il loro significato si sia evoluto nel tempo, rimanendo comunque legato alla nozione di equità e ispirato al concetto di giudice della «common law». Secondo il governo britannico, le
anti-suit injunctions (espressione che si riferisce ad un ordine di porre termine al procedimento o di astenersene) non sono rivolte ad un organo giurisdizionale di un altro Stato, bensì ad una persona soggetta alla giurisdizione dell’organo che le emette. Per questo motivo, del pari alla House of Lords, il detto governo ritiene che la loro denominazione sia fuorviante e preferisce definire i provvedimenti in questione con il termine di «restraining orders» (ordini inibitori o ingiunzioni di non fare). Tali provvedimenti non implicano, quindi – secondo il detto governo –, che un giudice inglese si pronunci sulla competenza di un collega straniero, bensì costituiscono misure di organizzazione del procedimento, aventi natura simile alla misura che la Corte di giustizia ha considerato legittima nella causa Van Uden
(4) . La Convenzione di Bruxelles non pone restrizioni in merito alle misure che un giudice può accordare con il fine di tutelare l’oggetto della lite di cui conosce.
27.
Nel caso di specie, si trattava di evitare che l’esame della causa promossa dal sig. Turner venisse perturbato dalla moltiplicazione degli espedienti di ostruzionismo processuale intentati dai convenuti.
28.
Il governo del Regno Unito aggiunge che solo il giudice inglese può pronunciarsi sulla necessità di preservare l’integrità di un procedimento avviato in Inghilterra.
29.
Infine, il detto governo rileva che gli ordini di questo tipo facilitano la realizzazione di uno degli obiettivi della Convenzione di Bruxelles, che consiste nel ridurre la pluralità dei fori competenti a conoscere di una stessa controversia.
30.
Gli argomenti a sostegno dell’incompatibilità con la Convenzione che sono stati sviluppati nel corso del presente procedimento pregiudiziale si incentrano sull’idea che uno dei pilastri di tale strumento internazionale è costituito dall’instaurazione di una reciproca fiducia fra i diversi ordinamenti giurisdizionali nazionali, fiducia che gli ordini inibitori inglesi metterebbero in dubbio.
31.
Questa constatazione mi sembra decisiva
(5) . La cooperazione giudiziaria europea, di cui la Convenzione rappresenta una tappa importante, è impregnata del concetto di reciproca fiducia; ciò presuppone che ciascuno Stato riconosca la capacità degli altri ordinamenti di contribuire autonomamente, sebbene all’interno di un sistema armonizzato, a raggiungere gli obiettivi di integrazione prefissi
(6) . Non sono state neppure create strutture superiori con poteri di controllo, al di là del ruolo interpretativo attribuito alla Corte di giustizia, e ancor meno è stata concessa la possibilità che gli organi di uno Stato determinato si arroghino il potere di risolvere le difficoltà che la stessa iniziativa europea intende appianare.
32.
Sarebbe contrario a questo spirito prevedere che un organo giurisdizionale di uno Stato membro possa, seppure indirettamente, incidere sulla competenza del giudice di un altro Stato contraente a conoscere di un dato procedimento
(7) .
33.
Risulta inoltre insito nel principio di reciproca fiducia il fatto che le questioni fondamentali riguardanti la competenza dei giudici di uno Stato si risolvano in base a regole uniformi ovvero, il che è lo stesso, che ciascun organo giurisdizionale si trovi, a tali effetti, su un piano di parità con gli altri.
Per tale ragione, non sembra convincente l’argomento secondo cui, all’interno della Convenzione di Bruxelles, niente impedirebbe espressamente agli organi giurisdizionali di compiere interventi come quelli controversi nella causa a qua. La Convenzione intende offrire un sistema completo, per cui dobbiamo chiederci se una misura che incide sulla sfera di applicazione della Convenzione ricada nel regime comune da quest’ultima instaurato. Al riguardo, la risposta in senso negativo esprime l’opinione prevalente.
Uno studio di diritto comparato dimostra che ordini di questo tipo esistono solo negli ordinamenti nati dalla tradizione della «common law». Un siffatto squilibrio vanifica il sistema instaurato dalla Convenzione, che non prevede meccanismi capaci di dirimere un conflitto tra un «ordine inibitorio» emesso da un giudice inglese, basato sul carattere abusivo del procedimento straniero, ed una eventuale differente valutazione da parte del giudice spagnolo. Difficilmente si potrebbe accettare l’idea che lo Stato da cui tale ordine inibitorio promana possa unilateralmente attribuire carattere esclusivo alla competenza che intende proteggere. Se tutti i giudici europei si arrogassero un simile potere, sarebbe il caos. Se fossero solo i giudici inglesi a farne uso, eserciterebbero per proprio conto una funzione distributiva che la Convenzione di Bruxelles affida a criteri meno flessibili, ma più obiettivi, che si impongono a tutti in uguale misura
(8) .
La Convenzione non contiene neppure una regola che possa intervenire nel caso in cui due organi giurisdizionali di Stati il cui ordinamento autorizza ordini inibitori emanino due ordini contrastanti
(9) , anche se tale situazione si è verificata tra diversi Stati appartenenti al sistema della «common law». Esemplare in proposito è il caso Laker Airways, che opponeva diversi organi giurisdizionali inglesi e statunitensi
(10) .
34.
Il governo britannico, seguendo il ragionamento della House of Lords, insiste nel sostenere che gli ordini di cui trattasi non hanno ad oggetto la competenza del giudice spagnolo, ma si dirigono unicamente alla parte che ha promosso un’azione legale con l’unico intento di ostacolare lo sviluppo di un altro procedimento avviato in un altro foro.
Tale analisi è corretta dal punto di vista formale. Tuttavia, non si può negare che, vietando ad una parte, sotto minaccia di sanzioni, di continuare un’azione avviata dinanzi ad un determinato organo giurisdizionale, si venga a privare quest’ultimo della competenza necessaria per risolvere la controversia, interferendo direttamente nel suo potere giurisdizionale sovrano. Sebbene la dottrina inglese abbia per un certo periodo sostenuto questa tesi, gli autori più recenti ammettono che tale argomento non è valido
(11) , dato che, affinché un giudice conosca di una lite, è necessario che il ricorrente eserciti il corrispondente diritto di agire. Se il ricorrente viene privato di questa possibilità, significa che si sta interferendo nella competenza del giudice straniero, tenuto conto del fatto che non gli si permette di trattare né di risolvere la causa. La dottrina
(12) e la giurisprudenza
(13) americane hanno riconosciuto che la distinzione tra un ordine
in personam, che è rivolto ad una parte di un procedimento, e un ordine che si dirige al giudice straniero è indubbiamente artificiale.
35.
Gli effetti degli ordini inibitori somigliano a quelli prodotti dall’applicazione della dottrina del
forum non conveniens, che ammette la possibilità di declinare la competenza a conoscere di cause che sono state presentate dinanzi ad una giurisdizione non appropriata. Orbene, anche gli ordini inibitori, per quanto abbiano come destinatari le parti e non l’organo giurisdizionale, presuppongono una qualche valutazione sul fatto se sia o meno adeguato promuovere un’azione in giudizio dinanzi ad un organo giurisdizionale specifico. Tuttavia, salvo determinate eccezioni, che non sono applicabili alla fattispecie, la Convenzione non autorizza il sindacato della competenza di un giudice da parte di un organo giurisdizionale di un altro Stato contraente
(14) .
36.
Per di più, il sistema che prevede il mutuo riconoscimento delle decisioni pronunciate negli Stati contraenti senza che sia necessario ricorrere ad alcun procedimento, previsto all’art. 26 della Convenzione, benché contempli l’eccezione relativa all’ordine pubblico (art. 27, n. 1), esclude espressamente la competenza dall’ambito di quest’ultima (art. 28), di modo che potrebbe crearsi il paradosso per cui il giudice che ha emesso una
anti-suit injunction si potrebbe vedere costretto ad accordare l’
exequatur ad una sentenza che è stata pronunciata a dispetto del suo espresso divieto. Il giudice inglese, in un momento o nell’altro, deve pur sindacare la competenza del giudice straniero prima di emettere un ordine inibitorio, ciò che si pone chiaramente in contrasto con la lettera, con lo spirito e con l’obiettivo della Convenzione di Bruxelles.
37.
Infine, viene rilevato che gli ordini inibitori sono rimedi di natura procedurale, ambito non coperto dal citato accordo internazionale. Essi costituirebbero strumenti simili alle misure cautelari o conservative, la cui compatibilità con il sistema europeo è assolutamente indubbia.
È vero che la Convenzione fa soltanto un accenno a norme di organizzazione del procedimento. Per questo motivo gli Stati contraenti sono liberi di organizzare come meglio credono i procedimenti che si svolgono dinanzi ai loro organi giurisdizionali. Ciononostante, gli Stati devono garantire che le disposizioni adottate in tale contesto non calpestino la filosofia del citato testo. In altre parole, l’autonomia normativa di cui dispongono gli Stati in materia processuale trova limiti nel rispetto del regime generale instaurato dalla Convenzione
(15) .
Conclusione 38.
In considerazione di quanto esposto in precedenza, propongo alla Corte di giustizia di risolvere la questione posta dalla House of Lords dichiarando che:
«La Convenzione 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, dev’essere interpretata nel senso che osta alla possibilità che i giudici di uno Stato contraente emettano ordini rivolti alle parti in causa, obbligandoli ad astenersi dall’avviare o continuare procedimenti dinanzi ad organi giurisdizionali di altri Stati contraenti».
- 1 –
- Lingua originale: lo spagnolo.
- 2 –
- Convenzione del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (in prosieguo: la «Convenzione di Bruxelles» o, semplicemente, la «Convenzione»). Pubblicata, nella versione consolidata che qui interessa (GU 1990, C 189, pag. 2).
- 3 –
- Suprema Corte, competente ad emettere ordini inibitori (v., infra, punto 11).
- 4 –
- Sentenza 17 novembre 1998, causa C-391/95, Van Uden Maritime (Racc. pag. I-7091).
- 5 –
- Come, del resto, lo è per la corrente maggioritaria della dottrina autorevole. V. Ch. Dohm, Die Einrede ausländischer Rechtshängigkeit im deutschen internationalen Zivilprozeßrecht, Berlino, 1996, pag. 207; D. Jasper: Forum Shopping in England und Deutschland, Berlino, 1990, pag. 90; E. Jayme e Ch. Kohler, Europäisches Kollisionsrecht 1994: Quellenpluralismus und offene Kontraste, Praxis des internationalen Privat- und Verfahrensrechts (IPRAX), 1994, pag. 405, in particolare pag. 412.
- 6 –
- A titolo illustrativo, si ricorda che il sedicesimo ‘considerando’ del preambolo del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1), indica che «la reciproca fiducia nella giustizia in seno alla Comunità implica che le decisioni emesse in un altro Stato membro siano riconosciute di pieno diritto, ossia senza che sia necessario esperire alcun procedimento, salvo che vi siano contestazioni». Il diciassettesimo ‘considerando’ aggiunge che «la reciproca fiducia implica altresì che il procedimento inteso a rendere esecutiva, in un determinato Stato membro, una decisione emessa in un altro Stato membro si svolga in modo efficace e rapido. A tal fine la dichiarazione di esecutività di una decisione dovrebbe essere rilasciata in modo pressoché automatico, a seguito di un controllo meramente formale dei documenti prodotti e senza che il giudice possa rilevare d’ufficio i motivi di diniego dell’esecuzione indicati nel presente regolamento».
- 7 –
- Situazione che si porrebbe in contrasto anche con il diritto soggettivo di scegliere il foro, che l’attore può trarre dalla Convenzione. V., in tal senso, J. Kropholler, Europäisches Zivilprozeßrecht, 7a ed., Heidelberg, 2002, pagg. 345, 346 e segg.
- 8 –
- H. Muir-Watt, Des conceptions divergentes du droit fondamental d’accéder à la justice dans l’espace conventionnel européen, Revue générale des procédures, n. 4, ottobre/dicembre 1999, pag. 761.
- 9 –
- Nello stesso senso, W. Hau, Zum Verhältnis von Art. 21 zu Art. 22 EuGVÜ, IPrax, 1996, pag. 44, in particolare 9.48. T.C. Hartley, Antisuit injunctions and the Brussels Jurisdiction and Judgments Convention, International and Comparative Law Quarterly, gennaio 2000, vol. 49, parte I, pag. 171, sebbene difenda con veemenza tali ordini inibitori, riconosce espressamente che le regole della Convenzione hanno un proprio meccanismo di applicazione, del quale le citate misure non fanno parte.
- 10 –
- V. T.C. Hartley, Comity and the Use of Antisuit Injuctions in International Litigation, American Journal of Comparative Law, vol. 35, estate 1987, pagg. 496 e segg.
- 11 –
- D.C. Jackson, Enforcement of Maritime Claims, LLP, 3a ed., 2000, ammette che «It is, however, now recognised that it does reflect indirect interference in the power of the relevant foreign court» [«Tuttavia, è ormai riconosciuto che (tale meccanismo) riflette un’interferenza nei poteri del giudice straniero interessato». Traduzione non ufficiale].
- 12 –
- G.A. Bermann, The use of antisuit injunction in international litigation, Columbia Journal of Transnational Law, vol. 28, 1990, pagg. 630 e 631.
- 13 –
- Nella causa Peck v. Jennes, 48 U.S. (7 How.), pagg. 612, 624-625, cit. da L. Collins, Essays in International Litigation on the conflict of Laws, Clarendon Press, 1994, pag. 112, si legge che: «(...) as the Supreme Court held over a century ago, there is no difference between addressing an injunction to the parties and addressing it to the foreign court itself» [«(...) come ha affermato la Corte Suprema oltre un secolo fa, tra rivolgere un ordine inibitorio alle parti e rivolgerlo allo stesso giudice straniero non vi è differenza». Traduzione non ufficiale].
- 14 –
- Sentenza 27 giugno 1991, causa C-351/89, Overseas Union Insurance e a. (Racc. pag. I‑3317, punto 24).
- 15 –
- V. sentenza 15 maggio 1990, causa 365/88, Hagen (Racc. pag. I-1845, punto 20).